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XXX (2008/6) 180, pp. 691-712
ATTUALITÀ DI GUARDINI.
INTERVISTA A SILVANO ZUCAL
INTRODUZIONE
1° ottobre 1968 - 1° ottobre 2008: sono trascorsi quarant’anni dalla morte del filosofo e teologo Romano Guardini. Nato in
Italia, a Verona, il 17 febbraio 1885, si trasferì con la sua famiglia
in Germania dove rimase per tutta la vita.
Conseguita la licenza, approdò agli studi di teologia dopo
aver tentato altre facoltà e nel 1910 fu ordinato sacerdote a Magonza.
Proseguì poi gli studi a Friburgo dove nel 1915 conseguì il
dottorato con un lavoro su san Bonaventura. Negli anni ’20 lavorò ancora sui medievali in preparazione alla libera docenza che
ottenne nel 1922.
Contemporaneamente aveva avviato un gruppo di rinnovamento della pastorale giovanile, che ebbe dall’estate 1920 la sua
sede presso il Castello di Rothenfels e Guardini ne fu direttore
dal 1927 fino alla sua chiusura. Questa esperienza, nucleo propulsore di un più ampio movimento culturale, durò fino al 1939,
quando il castello fu requisito dalla Gestapo. Sono questi gli anni
e il luogo in cui egli elabora eminentemente il suo pensiero, svolto sempre con taglio pedagogico e attinente alla vita. Appartengono a questo periodo i suoi scritti fondamentali di metodologia filosofica L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto
vivente (1925) e La visione cattolica del mondo (1923).
Nel 1923 viene chiamato per il suo primo incarico da docente a Berlino per assumere la cattedra di Katholische Weltanscha-
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uung, ossia visione cattolica del mondo. Si trattava di un insegnamento nuovo, di cui era ancora da definirsi bene l’oggetto e costituì una grande sfida per Guardini.
Dal 1939 il Reich lo sospese da ogni incarico pubblico. Il silenzio forzato, che durò fino al 1945, si trasforma in un periodo
fecondo per la produzione filosofica. Terminata la guerra, il nostro autore riprese l’insegnamento di filosofia della religione e
Christliche Weltanschauung prima a Tubinga e poi a Monaco. Al
periodo 1939-1945 appartengono gli scritti di cristologia di cui ricordiamo Il Signore (1937), gli scritti di antropologia come Mondo e persona (1939), i lavori su vari autori da Dante Alighieri a
Rainer Maria Rilke, da Pascal a Kierkegaard, da Dostoevskij ad
Agostino, che costituiranno materiale per i corsi negli anni successivi. Allo stesso periodo appartengono studi di filosofia politica pubblicati in seguito, tra cui La fine dell’epoca moderna (1950)
e Il potere (1951).
L’ultima sua grande opera fu la fondazione della Katholische
Akkademie a Monaco nel 1957, luogo di studio e di ricerca della
verità, sognata già dai tempi di Rothenfels.
Gli anni seguenti, nonostante la malattia e la vecchiaia, trascorsero nella produttività continua, fino al 1968, quando le sue
condizioni di salute peggiorarono. Si spense a Monaco il 1° ottobre dello stesso anno.
La casa editrice Morcelliana ha iniziato a pubblicare le opere
complete di Guardini, sotto la direzione di un folto comitato
scientifico di cui fanno parte Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, Silvano Zucal, Michele Nicoletti e altri illustri studiosi tra cui (prima
dell’elezione a pontefice) il papa Benedetto XVI. Il progetto si
propone per la prima volta di pubblicare l’intera produzione alla
quale appartengono scritti di filosofia, di teologia, di spiritualità,
di esegesi biblica, di liturgia, di commento ed introduzione ad autori di filosofia e letteratura; inoltre troviamo scritti di pedagogia
e di filosofia politica con annessi commenti dei massimi esperti
sull’autore. È un lavoro straordinario che si protrarrà per alcuni
anni, data l’abbondante produzione. Nonostante il suo lavoro sia
stato lasciato nell’ombra per lungo tempo, sta attirando negli ultimi anni l’interesse di molti e sta svelando il suo grande valore.
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Guardini infatti è un autore non facilmente classificabile, ma che
ha inciso notevolmente nel campo della teologia moderna, della
filosofia della religione e della liturgia.
Nell’intervista che segue, Silvano Zucal tratteggia la figura di
Guardini. Silvano Zucal è nato a Romeno il 31 ottobre 1956, docente di filosofa teoretica e filosofia della religione all’Università
di Trento e professore emerito alla Studio Teologico di Trento.
Studioso del pensiero filosofico contemporaneo, ha pubblicato
volumi e saggi su Karl Rahner, Hans Urs von Balthasar, Romano
Guardini, Dietrich Bonhoeffer, Ferdinand Ebner, Marìa Zambrano e Max Picard. Al centro dei suoi interessi è anche la cristologia filosofica. Tra le pubblicazioni più importanti: Lineamenti di
pensiero dialogico (2004), Romano Guardini, filosofo del silenzio,
(1992). È impegnato nella pubblicazione dell’Opera Omnia di
Romano Guardini di cui ha curato il volume II/1, Filosofia della
religione: esperienza religiosa e fede e la premessa al volume I,
Scritti di metodologia filosofica.
INTERVISTA
Prof. Zucal, lei è da anni impegnato, insieme al prof. Michele
Nicoletti, nel lavoro di pubblicazione dell’Opera omnia di Romano
Guardini, di cui ricorre questo ottobre il 40° anniversario della
morte. Come introdurre questo autore per il pubblico italiano?
Per introdurre Guardini al lettore partirei da un’immagine
fondamentale formulata dalla professoressa Gerl 1. Da qualche
anno lei lo definisce: «Padre della Chiesa del XX secolo».
Noi siamo abituati a pensare ai Padri della Chiesa come a
quelli dei primi secoli del cristianesimo. Chi è il Padre della Chie1
H.-B. Gerl-Falkovitz, Romano Guardini. La vita e l’opera, Morcelliana,
Brescia 1988.
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sa? È quel cristiano che, radicato nella fede, tenta l’incrocio, la
contaminazione, l’inculturazione, il rapporto con la cultura dominante del tempo, nel caso dei primi secoli della Chiesa con la cultura greca. La questione è che la stagione dei Padri della Chiesa
non è finita. La Chiesa ha bisogno di santi, ha bisogno di martiri e
ha bisogno anche di Padri della Chiesa.
Guardini è a mio parere il più rilevante dei Padri della Chiesa del XX secolo (benché non l’unico), proprio per la sua capacità di parlare a più generazioni. Nella prima parte del Novecento,
mentre egli elaborava il suo pensiero, la Chiesa era molto dilaniata da correnti come quella del modernismo; egli, non a caso, si rifece alla grande tradizione cristiana. Studia e approfondisce il
pensiero di Padri della Chiesa come san Bonaventura e sant’Agostino, ma al contempo legge pure Nietzsche con assiduità, intrattiene rapporti personali con Max Scheler. Quindi da una parte
mantiene il legame con la grande tradizione cristiana, e, naturalmente, anche con il contesto evangelico; e dall’altra coltiva un
fortissimo rapporto con la cultura del suo tempo. Aveva capito
che non si potevano eludere Husserl e tutte le grandi esperienze
culturali del Novecento. È questa, in fondo, la sua grandezza.
In questo senso si potrebbe definire Guardini “maestro del dialogo”?
Io lo considero sempre tra i pensatori dialogici, però è soprattutto maestro di questa “non rimozione” dell’altro da sé. Il pensatore cristiano corre spesso il rischio di illudersi di poter stare nella
propria “cittadella”, con il suo Vangelo, con i suoi riferimenti biblici: legge la sua biblioteca, dimenticandosi però dell’altra biblioteca.
Ci sono uomini che hanno la loro biblioteca, in cui leggono solo
certi autori. Ma il cristiano, se vuole comunicare con il mondo, non
può leggere solo la sua biblioteca, per quanto preziosa essa sia, altrimenti si confinerà in un’ottica esclusivamente autoreferenziale.
Anche l’altra biblioteca, che magari sembra avversa, che magari sembra su posizioni non compatibili con la tradizione e la
prospettiva cristiane, in realtà è una biblioteca fondamentale per
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poter parlare a tutti, se il cristianesimo vuol essere ancora missionario nel senso profondo del termine, cioè aperto e dialogico anche nei confronti di chi non è cristiano.
In Guardini era forte il desiderio di creare un ponte tra le
due biblioteche, di non chiudersi nella propria biblioteca rassicurante. Prima di entrare in seminario, Guardini aveva studiato in
tre facoltà diverse e aveva intuito il rischio della profonda lacerazione che avrebbe generato il fossilizzarsi all’interno del proprio
patrimonio di pensiero, non dialogando con la cultura del proprio tempo.
Sarebbe come se i cristiani dei primi tempi si fossero disinteressati della cultura greca. Paolo andò sull’Acropoli, voleva annunciare lo scandalo della Resurrezione, però tentò il dialogo,
esprimendosi poi in modo sistematico. Ma la stagione del dialogo
tra le due biblioteche non è finita. È una metafora – per quanto
improvvisata – che mette in luce il rischio drammatico dell’incomprensione.
Il primo incarico pubblico assunto da Romano Guardini fu la
cattedra di Weltanschauung cattolica all’Università luterana di Berlino nel 1923. Iniziò lì il suo percorso di docente ed educatore.
Quale fu il ruolo e l’atteggiamento di Guardini in questo contesto, in cui i rapporti tra mondo cattolico e luterano non erano
semplici?
L’assunzione di Guardini da parte del ministro prussiano fu
una mossa politica intelligente e abile nel tentativo di riaprire all’interno dell’Università di Berlino uno spazio alla minoranza cattolica; usò infatti l’escamotage di incardinarlo formalmente a Breslavia come ultimo nell’ordine dei professori.
Gli studenti cattolici credevano di poter trovare finalmente
in lui il loro leader. Guardini in realtà non voleva parlare solo ai
cattolici: il suo insegnamento di Weltanschauung era rivolto a tutti
i cristiani.
Non si trattava semplicemente di un desiderio di dialogo
ecumenico. Guardini era profondamente convinto che ritornan-
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do alle radici, all’essenza del cristianesimo 2, si potesse approfondire la possibilità di una relazione universale. Erano queste le sue
ambizioni, era questa la sua prospettiva.
Quindi, mentre gli studenti cattolici lo consideravano il loro
leader spirituale e credevano di dare vita con lui a un gruppuscolo cattolico dentro un’università a maggioranza luterana, egli sbaragliò progressivamente il campo da ogni aspettativa di parte.
Avrebbe potuto finire ignorato e diventare semplicemente il cappellano degli studenti cattolici nell’àmbito dell’insegnamento di
Weltanschauung. Prese invece sul serio questo incarico didattico e
le sue lezioni diventarono lezioni del tutto atipiche che attiravano
studenti di tutte le età.
Quindi era una figura carismatica…
Sì. Però quando entrava in aula – dicono – era del tutto terrorizzato, era timidissimo. Affrontava la lezione come un evento.
Qualche volta tremava persino. Pur non essendo un grande oratore, era di una chiarezza cristallina. I suoi testi infatti sono belli
anche a distanza di anni e parlano a generazioni diverse, perché si
sente una sorta di socratismo. Si riconosce inconfondibilmente il
suo interesse per Socrate dalla forte oralità che trasuda ancora dai
suoi testi. Per questo la sua filosofia parla ancora ai lettori di oggi.
Padre Gemelli lo aveva ascoltato a Berlino ed era rimasto talmente impressionato da ritenere di avere finalmente trovato un autore
da proporre agli studenti per la loro vita spirituale, anche se poi
fece censurare Il Signore 3 (che solo ora esce nella versione originale integrale).
Intorno alla sua semplicità non si è però creato qualche equivoco?
2
R. Guardini, L’essenza del cristianesimo, Morcelliana, Brescia 2007 (I ed.
1949), a cura di S. Zucal.
3
R. Guardini, Il Signore (1949), Vita e Pensiero, Morcelliana, Milano-Brescia 2005, intr. di G. Canobbio.
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Il grande fraintendimento su Guardini nasce dal fatto che il
suo dettato cristallino, limpido, lo fa apparire un filosofo facile.
In realtà, da studioso, tornando più volte sulla stessa pagina mi
sono reso conto che questa chiarezza può essere una trappola.
Egli – e in questo probabilmente la sua origine italiana ebbe un
certo influsso – ha voluto opporre questo dettato cristallino a certe oscurità degli autori tedeschi. Ciò non implica però che la pagina cristallina sia poco profonda. Guardini è dunque un autore
limpido, ma non facile.
Racconta Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz 4 che lui non lasciava
trasparire molto della sua interiorità, manteneva piuttosto un certo
riserbo sulla sua ricerca personale, così profonda. I suoi scritti e le
sue pubblicazioni erano il frutto di un attento lavoro di verifica e di
cesello, cosicché lo studente che affrontava per la prima volta le problematiche filosofiche trovasse nell’autore un compagno di viaggio
fidato. Quali responsabilità sentiva in quanto educatore di fronte ai
suoi studenti?
Guardini riteneva che ciò che veniva passato ai suoi studenti
o che veniva pubblicato dovesse essere prima limato e filtrato con
cura. Si addossava a tal fine un lavoro colossale, e non a caso arrivò stremato al momento in cui, nel 1939, il nazismo lo sospese
dall’insegnamento. Nel suo atteggiamento si percepisce questa responsabilità della parola, della comunicazione. Conoscendo i suoi
allievi, mi sono fatto l’idea che avveniva un processo di iniziazione, ossia un tentativo di portarli progressivamente a livelli superiori di conoscenza. Anzitutto, con questa tensione alla chiarezza,
non voleva dare nulla per scontato; poi si trattava di un’iniziazione non solo filosofico-speculativa, ma anche di vita, esperienziale.
A questo riguardo ricordiamo l’incontro con Heidegger di cui
Guardini riferisce: «Abbiamo parlato tutta la notte e non ho capito nulla», il che, a pensarci bene, è terrificante. Il nostro pensato4
H.-B. Gerl-Falkovitz, Romano Guardini, cit.
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re al contrario rifuggiva ogni tipo di esoterismo, reputandolo preoccupante. E nonostante questo giudizio negativo sull’oscurità di
Heidegger, anni dopo Guardini fu nella commissione per la sua
riabilitazione, poiché sosteneva che sarebbe stato troppo pericoloso per la Germania privarsi di un genio così grande.
Qual è l’attualità di Guardini?
Parlare di attualità in Romano Guardini è sempre un po’ rischioso; egli inorridirebbe di fronte a questo termine, perché il
concetto di attualità non gli interessava. Spesso ripeteva: «Bisogna guardarsi dall’assedio del presente». Prestando continua attenzione all’assedio del presente e cedendo al suo fascino si rischia di esporsi nuovamente alle tragedie totalitarie che ha vissuto
la Germania. Più che di “attualità” – visto che seguendo l’“attualità” si rischia di diventare modaioli – dobbiamo parlare di discernimento, inteso come capacità anche di distanziamento.
Guardini era così preoccupato del rischio di essere travolti dal
presente che ha tentato, non sempre con successo, di educare i
suoi giovani ad evitare questo assedio della moda, dalla cultura
dominante; altrimenti si rischiava di finire con addosso la divisa
nazista, come molti dei suoi allievi realmente fecero, non avendo
ascoltato questo monito. Mentre i ragazzi della Rosa Bianca leggevano Guardini.
In ciò si vede l’importanza dell’attualità dell’“inattuale”. Bisogna sempre essere “inattuali”, che vuol dire anche scomodi.
Guardini in questo era maestro di discernimento. “Discernimento” però ha per Guardini sempre un doppio significato, sia quello
di un discernimento intellettuale, sia e insieme di un discernimento spirituale. Quando i suoi studenti cattolici andavano da lui a
chiedere che cosa dovessero fare per acquisire maggiore autorità
all’interno dell’università, lui li cacciava esortandoli a riflettere,
ragionare, leggere, studiare. Li rendeva cioè consapevoli che le ricette ai problemi non sono per lo più a portata di mano.
In questo senso anche oggi è una sfida terribile, perché è altissimo il rischio di farsi travolgere dalla frenesia, dalla fretta, dal-
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la tentazione dell’omologazione, del presenzialismo; si può realmente precipitare in un totalitarismo: in un totalitarismo mediatico, della banalità dominante, dei nuovi razzismi…
Addentrandosi nel pensiero antropologico di Guardini, si nota
che egli pensa all’uomo come a un “vuoto” pronto ad accogliere una
parola; l’indirizzo che la vita prenderà dipende da quale parola cade
in questo silenzio. E così questo silenzio si fa ascolto fecondo. A
fondamento dell’approccio filosofico di Guardini sta proprio il gioco
degli opposti, come nel caso del silenzio e della parola. Potrebbe illustrarci questo pensiero dell’opposizione polare?
È proprio questo il nodo centrale: la sua visione dell’opposizione polare (der Gegensatz), che sostanzialmente costituisce il
suo discorso sul metodo.
Sembra una cosa complessa. In realtà proprio con l’esempio
silenzio-parola diventa concetto afferrabile ai più. Se non c’è questo equilibrio nella nostra esistenza, tra silenzio e parola, la parola
degrada in chiacchiera e il silenzio in mutismo.
Ogni parola, per essere parola e non chiacchiera, ha bisogno
di silenzio; e ogni silenzio, per non serrarsi in mutismo, ha bisogno di parola.
Si tratta però di un equilibrio che non si dà mai definitivamente, un equilibrio instabile.
Ci sono poi delle alternative che si escludono a vicenda, che
non possono mai stare assieme, come il male e il bene. Ma a parte
queste rare situazioni, in cui vi è contraddizione e non opposizione polare, la nostra vita è sempre oscillazione tra poli opposti.
Un altro esempio di opposizione polare è quello che si trova
tra singolo e comunità, termini che possono degenerare rispettivamente in individualismo e comunitarismo. Se infatti un individuo non entra in una comunità, impazzisce; se però si immerge
totalmente nella comunità, diventerà totalitario e quindi la comunità ne annullerà l’identità.
La vita è dunque sempre mobile in questa prospettiva, poiché l’equilibrio, dice Guardini, esiste solo in Dio: solo in Dio si
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annulla l’opposizione polare, solo Dio è al contempo Trinità e
perfetta unità.
Noi invece siamo qui e, a parte le opzioni alternative contraddittorie (die Gegenteile), che sono poche, dobbiamo vivere in
questa tensione, in questo equilibrio instabile, che ha anche – e
Guardini usa parole forti – una dimensione tragica. Prendiamo
ad esempio il comunitarismo e l’individualismo: ciascuno sta bene nella sua condizione, sia essa la placenta comunitaria – in cui si
fatica a dirsi «Devo avere la mia testa, la mia personalità, la mia
individualità» – o la clausura individualistica – nella quale si fatica a rompere il proprio guscio.
È una dimensione tragica, perché è una dimensione di continua rottura.
Nell’elaborazione del suo pensiero, quanto ha contato dal punto di vista filosofico il confronto con il pensiero dialettico che costituisce l’eredità dell’Ottocento tedesco? Che confronto c’è stato con
Hegel, e di conseguenza con Marx?
Da vero Padre della Chiesa, oltre che con Nietzsche si confrontò inevitabilmente con l’idealismo e volle che il suo discorso
sul metodo fosse anti-idealistico. La sua distinzione tra contraddizione e opposizione proponeva infatti un’alternativa alla prospettiva dialettica.
Dal punto di vista terminologico troviamo l’espressione Weltanschauung, “visione del mondo”, utilizzata anche da altri autori
contemporanei, come Dilthey o Scheler. Che cosa mantiene dell’accezione che ha in questi autori e in che cosa invece si differenzia?
Si tratta di un termine quasi intraducibile, che la mia docente
all’università rendeva con “cosmo-visione”.
Guardini non ne modifica il significato rispetto a quello che
ha nelle altre correnti di pensiero, piuttosto pone l’accento su un
aspetto per lui fondamentale: quello della visione, dell’occhio,
dell’Anschauung.
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Il suo scritto sull’occhio 5 – saggio di poche pagine – tratta
della tematica della visione ed è a mio parere uno dei suoi scritti
più belli e originali.
Guardini è soprattutto maestro del “vedere”. Prese le distanze dalla prospettiva kantiana, elabora una fenomenologia tipicamente sua, in cui “vedere” significa che l’uomo si pone di fronte
alla realtà, senza la presunzione di afferrarla e incastonarne gli
elementi in una struttura concettuale preconfezionata. Ma è la realtà stessa a lasciarsi vedere, a mostrarsi.
Chiaramente è impossibile eludere il nostro punto di vista,
giacché in quanto uomini siamo dotati di occhi – forse gli angeli
non hanno occhi –, ma la vista può essere educata a rispettare
l’alterità del dato. Questa lezione pedagogica trova affinità non
tanto in Germania, quanto piuttosto nell’ambiente francese, ad
esempio in Merleau-Ponty.
Definita l’accezione di Anschauung, in un secondo momento
Guardini si concentra sul termine Welt, che pone il problema della relazione occhio-cosmo.
Secondo Guardini, questa Weltanschauung deve essere una
prospettiva che ci permetta di guardare la realtà dall’alto, da un
punto esterno, con uno sguardo che abbracci l’insieme e che non
lasci il particolare isolato e decontestualizzato.
Se dovessi spiegare questo concetto con un’immagine, oserei
dire che è come andare in cima a una montagna e guardare il
mondo da lassù; prima si ha una visione d’insieme, poi progressivamente si nota e si delinea ogni singolo particolare (una casa, un
albero…), ma sempre inserito nel contesto.
Questa capacità di visione, secondo Guardini, dovrebbe immunizzare da tutti i settorialismi e particolarismi.
Si tratta dunque di educarsi a vedere anzitutto l’insieme, die
Welt, e poi guardare il particolare al suo interno.
I testi fondamentali nei quali Guardini ha spiegato la metodologia della visione sono tre: L’opposizione polare, il Saggio sull’occhio, e il testo sulla Weltanschauung cristiano-cattolica.
5
R. Guardini, L’occhio e la conoscenza religiosa, in Id., Scritti di Filosofia della
Religione, Opera Omnia, vol. II/1, a cura di S. Zucal, Morcelliana, Brescia 2008.
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In che modo Guardini avvicina al termine Weltanschauung gli
aggettivi christliche o katholische?
Usa questi aggettivi sempre oscillando dall’uno all’altro; ma
l’aggettivazione più appropriata sarebbe “christliche katholische”,
intendendo però il termine katholische non nell’accezione strettamente confessionale con cui era inteso al momento della costituzione della cattedra a Berlino (dove si trattava puramente di un
problema di etichetta all’interno di una facoltà protestante).
Guardini intendeva andare all’essenza del cristianesimo, recuperare il significato originale del termine, ossia “universalmente aperta”.
Ritiene infatti che ogni cristiano, fatto proprio lo sguardo di
Cristo – fonte da cui sempre dobbiamo alimentarci –, dovrebbe
essere “cattolico”, ossia possedere questa capacità di universalità.
Colpisce sempre questa attenzione speciale che Guardini riserva alla figura di Cristo, riguardo alla quale, anche per la formazione
dei sacerdoti, spesso si è interrogato e ha scritto. Come interpreta il
ruolo di presbitero? E qual è il suo rapporto con la Chiesa, data la
sua propensione a un tipo di ricerca che talvolta poteva mettere in
discussione la sua stessa ortodossia?
Come sacerdote egli fu, anche se in modo sofferto, assolutamente fedele. Per lui essere presbitero significava prima di tutto
essere predicatore. Guardini è stato professore e predicatore.
Questi i suoi due ruoli insieme a quello di educatore dei giovani.
Dal 1945, ritornato all’insegnamento prima a Tubinga e poi a Monaco, proponeva la sua dottrina in due sedi distinte: la cattedra
all’Università e il pulpito della predica settimanale. Un mio collega che era lì in quegli anni racconta che entrambi erano appuntamenti seguitissimi.
Essere sacerdote per Guardini significava sostanzialmente
annunciare la Parola. Ebner lo definirebbe Bedenker des Wortes,
poiché dopo averla “ruminata” interiormente la ridonava con una
profondità che ne riecheggiava l’abissalità. Dunque non c’è con-
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traddizione tra i due Guardini; lui sentiva le due dimensioni come due dimensioni assolutamente diverse, distinte ovviamente, e
ciononostante affini per il suo profilo personale e spirituale.
Qual è il contributo apportato da Guardini alla cristologia?
La sua famosa tesi di cristologia, che ha fatto tanto discutere
e a suo tempo ha determinato la censura della sua opera Il Signore, va spiegata. Secondo la sua tesi non era detto che Cristo dovesse necessariamente morire in croce, altrimenti si rischia di leggere la vicenda di Cristo nell’ottica fortemente necessitante di
Hegel, secondo cui tutto era già scritto. Cristo invece, nella sua
piena umanità, si aspettava l’accoglienza da parte degli uomini e
soffrì terribilmente sulla croce, non tanto per l’atrocità del supplizio, quanto piuttosto per questo rifiuto.
Guardini si oppone alla prospettiva hegeliana, poiché la dialettica d’amore in cui si gioca la libertà dell’uomo non può essere
necessitata: Cristo, nella sua offerta d’amore, pieno, assoluto, radicale e totale, se è vero uomo – oltre che vero Dio –, si aspetta
come chiunque altro l’accoglienza. Se Lui si fosse aspettato fin
dall’inizio il rifiuto, verrebbero a cadere due aspetti fondamentali:
da un lato la libertà dell’uomo di accettare il dono eucaristico,
dall’altro la dimensione pienamente umana di Cristo. Questa è la
tesi che padre Gemelli fece attenuare nell’opera Il Signore. Guardini soffrì molto per questa censura.
Fu censurata anche un’altra tesi, altrettanto originale e molto
attuale. Guardini temeva più l’influsso del buddismo che quello
dell’islam. Notava infatti l’inizio di una deriva buddista della cultura occidentale. Per “buddista” intendeva quel gusto per tutto
ciò che sa di orientaleggiante. Secondo Guardini non sono tanto
l’islam e l’ebraismo ad attentare all’essenza del cristianesimo, che
è una fede dell’incarnazione, della lettera, ma questo “buddismo”
un po’ all’occidentale che, al di là di un forte alone spirituale, nasconde un’abissale differenza.
Infatti le altre religioni “del libro”, indipendentemente dal rilievo dato alla figura di Cristo, sono comunque molto incarnate,
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molto concrete e terrene (per usare il linguaggio nietzscheano:
«fedeli alla terra»). Il buddismo invece poggia su un fondamento
antropologico diverso.
In questo insegnamento di filosofia della religione si può vedere anche una possibilità di dialogo tra la fede e la ragione, fra la teologia e la filosofia?
Qual è l’oggetto che Guardini propone per questo insegnamento e come riesce a parlare di Cristo e di religione in un àmbito che
richiede chiaramente anche una “scientificità”?
Prima di tutto bisogna chiarire la posizione originale di
Guardini nel panorama della teologia e della storia della religione
del Novecento, ossia la sua distinzione tra religione e fede.
In quel periodo era in corso un forte dibattito sul rapporto
religione-fede, in cui si distinguevano varie posizioni, tra cui quella di Barth che condannava la religione come opera del diavolo e
sosteneva che solo la fede (sola fides) era importante; oppure posizioni molto religionistiche secondo le quali fede e religione si
identificavano.
In questo orizzonte confuso, Guardini anzitutto prospetta
una distinzione netta. La religione è un dato antropologico rilevante, anche se ambiguo; la fede è un atto di obbedienza a una rivelazione. Guardini sostiene infatti che l’uomo è un “animale religioso”, anche se inscrive tra le tragedie della postmodernità la sua
possibile estinzione. Oltre alla distinzione netta egli propone poi
la necessaria correlazione tra queste due dimensioni.
Nel saggio La fine dell’epoca moderna 6 Guardini parla di
“perdita del senso religioso”, come di un anestetizzarsi dei sensi dell’anima…
6
2004.
R. Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia
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Sì. L’uomo per Guardini è per natura religioso. Ad esempio
non può limitarsi a vedere nell’albero un oggetto botanico, o lirico, ma lo riconosce di per sé portatore di un significato religioso,
come lo è il cielo stellato. In questa sensibilità si riconosce la lezione di Dostoevskij, di cui Guardini si è occupato in un bellissimo testo 7.
Questa distinzione tra religione e fede è necessaria perché
spesso nel linguaggio ordinario, come anche in teologia o in filosofia della religione, si equivoca, usando i due termini come se indicassero la stessa cosa; invece il cristianesimo non è semplicemente una religione: è prima di tutto una fede, ossia un’adesione
a una relazione obbedienziale.
Distinte le due dimensioni, cioè la dimensione della religione
come dato antropologico costitutivo e la fede come adesione a
una rivelazione, secondo me, nel pensiero di Guardini esse entrano in opposizione polare, ossia vanno equilibrate, nonostante il
continuo rischio di cadere come Schleiermacher in derive religionistiche, o in derive fideistiche alla Karl Barth.
Si tratta dunque anche qui di un problema di equilibrio, alla
cui ricerca Guardini si dedicò sia negli studi sulla liturgia sia poi su
quelli realizzati assieme all’amico Rudolf Schwarz sull’architettura 8.
Il rapporto tra religione e fede per Guardini deve essere polare, dunque nessuno dei due poli va eliminato. Nella liturgia, che è
un evento religioso e al contempo di fede, le due dimensioni devono stare assieme, perciò in essa si dà la possibilità di questa “opposizione polare”. Se nella liturgia un uomo entra nella dimensione
sacramentale senza avere una sensibilità religiosa, rischia poi di
avere una fede puramente obbedienziale, quasi cerebrale.
Guardini sostiene che nella postmodernità è alta la probabilità di avere una “fede nuda”, ossia priva di una sana opposizione
polare generata dall’incrocio vitale con la dimensione religiosa. A
suo avviso dunque la religione sta morendo. Lo stesso non vale
però per la fede.
7
R. Guardini, Dostoevskij. Il mondo religioso, Morcelliana, Brescia 1995.
R. Schwarz, Costruire la chiesa. Il senso liturgico nell’architettura sacra,
Morcelliana, Brescia 2000.
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A mio avviso Guardini – oso interpretarlo – giudicherebbe
anche tutti i cosiddetti “ritorni al sacro”, di cui spesso si sente
parlare, come qualcosa di artificiale: o il bisogno religioso c’è e
permane nonostante la morte della religione, oppure la religione
sopravvive in forme artificiali o in strumentalizzazioni politiche.
Tale bisogno però per essere vero deve essere sorgivo e naturale,
non indotto. Guardini teme piuttosto la perdita di questa dimensione sorgiva e spera soltanto che con le folle provenienti dal terzo mondo, dal mondo iperreligioso in migrazione possano arrivare nuovi maestri di religione, ossia rieducatori a un senso religioso
autentico.
La liturgia verrebbe così arricchita da quelle danze, che vediamo nelle liturgie afroamericane o più strettamente africane,
che starebbero benissimo in una liturgia cristiana, ma che paiono
strane ai nostri occhi. È però proprio l’espressione religiosa che
crea una vitale relazione con la dimensione di fede, di obbedienza
alla Rivelazione.
È questa la grande idea che Guardini propone in ambito liturgico con alcuni testi magistrali, alla quale affianca la soluzione
cristologica, che sta alla base di tutto il suo pensiero, ossia il ritorno all’essenza del cristianesimo, rimettendo Cristo al centro.
Ha cercato però anche di creare una saldatura, mettendo in
luce le possibili relazioni fra le due dimensioni nell’ottica dell’opposizione polare.
Questa lezione di Guardini, secondo me non ancora valorizzata abbastanza, emerge da tutti gli scritti che ho commentato,
soprattutto dai testi teologici. Essa permetterebbe di uscire da
molte ambiguità, equivoci e derive: prima fra tutte, questa confusione terrificante che è la sovrapposizione di religione e fede. Sul
piano teologico offrirebbe inoltre la possibilità di una rilettura del
rapporto che intercorre fra loro e aiuterebbe a evitare inutili religionismi e fideismi.
Nell’introduzione ai saggi raccolti nel volume Pensatori Religiosi lei dice che «il percorso teoretico di Guardini è sempre ed essenzialmente un percorso ermeneutico, un tentativo di dire non na-
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scondendosi dietro l’altro ma accompagnandosi con l’interlocutore
prescelto» 9. In che modo sceglieva Guardini i suoi “interlocutori”?
Quali sono i caratteri di questo metodo dialogico?
Per “interlocutori” si intende coloro che di volta in volta sono stati oggetto di studio e di pubblicazioni, da Dostoevskij a Pascal.
Credo che, anche se criticata da Gadamer, questa sua prospettiva ermeneutica sia del tutto particolare e originale.
Guardini è un dialogico e ancor più un esperto di Einfühlung, “empatia”.
Era un uomo, per come lo descrivono, che non amava centrare su di sé l’attenzione, rimaneva piuttosto in posizione decentrata.
Ciò avveniva sia con gli autori che leggeva e commentava sia
con i suoi interlocutori personali, amici o allievi che fossero.
Quando faccio leggere il suo capolavoro su Dostoevskij, ad
esempio, il lettore per certi aspetti intuisce veramente la persona
che Dostoevskij doveva essere. Questa immedesimazione è frutto
proprio di questa capacità di Guardini di decentrarsi evitando così il rischio, sempre in agguato, di costringere la realtà nelle proprie categorie: atteggiamento questo che comprometterebbe una
vera comprensione di volta in volta di Dostoevskij, di Pascal, di
Kierkegaard.
Nei rapporti educativi questo decentrarsi aveva proprio l’effetto opposto: questo atteggiamento gli guadagnava centralità e
autorità. Le persone infatti quando si sentono veramente accolte
grazie a questa capacità empatica riconoscono nell’altro il vero
maestro. Al contrario, colui che precipita addosso all’interlocutore le sue tesi e teorie, i suoi volumi, rischia o di allontanarlo oppure di creare replicanti. Ma il vero maestro non è colui che crea replicanti e di questo Guardini aveva il terrore.
9
R. Guardini, Pensatori religiosi, Morcelliana, Brescia 2001, p. 7.
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L’abate Hugo Lang di Monaco lo definì, proprio per questo
ruolo di maestro straordinario, «Praeceptor Germaniae». Lo vediamo impegnato con i movimenti giovanili, nel progetto del castello
di Rothenfels, collaboratore a Ulm nell’Università popolare del secondo dopoguerra (1953-1968), infine fondatore dell’Accademia
cattolica di Monaco nel 1957. Quali sono i caratteri di queste diverse iniziative, con le quali Guardini si proponeva di formare uomini
e donne che stessero nella società con profondità di coscienza?
E con responsabilità. Il pensiero di Guardini incise in modo
determinante però solo su alcune minoranze. Pur essendo maestro di moltissimi, vide infatti molti tradire e accettare poi compromessi con il regime in modo totalmente superficiale e drammatico.
Il desiderio di questi progetti per la formazione del popolo e
dei giovani era già nato dalla sua, seppur brevissima, attività pastorale, prima del suo impegno accademico. Fondamentale fu
l’esperienza del castello di Rothenfels e in seguito, anche se meno
rilevante, della Katholische Akademie di Monaco.
Il problema di cui Guardini aveva avuto sentore – paragonabile forse in modo un po’ azzardato all’intuizione di don Milani –
era lo stato di minorità culturale assoluta e drammatica in cui si
trovavano le folle, frutto anche del modo col quale abitualmente
si impartiva la formazione cristiana.
Riteneva la formazione delle folle una formazione dogmatica e
dottrinale, che non incideva nella vita concreta?
Esattamente. Era una formazione non esistenziale!
Guardini aveva compreso il limite del precedente modello
educativo e di questa forma di catechesi, che non favorivano la
crescita delle nuove generazioni. Nei diversi periodi della sua vita
aveva cercato tutte le occasioni per rinnovare la pastorale. Tra
queste, l’esperienza del castello di Rothenfels, stroncata nel 1939
dalla Gestapo, rimase cruciale, in quanto progetto formativo integrale.
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Riteneva necessario cambiare registro, perché il cristianesimo
non è un “ricettario”. Anche quando scrisse il testo sulle virtù 10,
sottolineò il fatto che esse sono anzitutto vita e non “imbrigliamento” dell’essere, catene o lacci che l’uomo si mette addosso
(come piuttosto risulta dalla sensibilità tedesca dell’Ottocento).
L’intenzione fondamentale di Guardini era ridonare la conoscenza dell’essenza del cristianesimo, mostrando come esso sia responsabilizzante e liberante. Da qui derivarono però anche le sue
più grandi delusioni per le defezioni di molti suoi allievi, nel momento delle scelte cruciali.
Il principio fondamentale che sta alla base della prospettiva
guardiniana è la centralità di Cristo nella vita del cristiano, da cui
discende un’etica vitale, che non imbriglia. Lui sentiva realmente
nel cristianesimo questa vitalità. Nel suo libro sulle virtù ne enunciò alcune che rompono i canoni classici delle virtù etiche: la fortezza, il coraggio, la temerarietà spirituale. Tutte utili all’uomo
postmoderno.
I ragazzi della Rosa Bianca, gruppo di resistenza al nazismo,
non incontrarono mai Guardini personalmente, ma lo leggevano.
Come ne furono influenzati?
Colui che fa conoscere Guardini ai ragazzi della Rosa Bianca
è il pensatore cattolico di Eberbach Theodor Hecker, incrociato a
Monaco.
Guardini sperava di poter immunizzare i giovani dal nazismo
con il suo insegnamento e con le sue strategie educative. Ma nemmeno lui si era accorto della “valanga” totalitaria che stava arrivando. Vedeva segnali preoccupanti, ma non riusciva a valutare la
gravità della situazione, anche perché sia la Chiesa cattolica sia
quella luterana erano in difficoltà nel prendere posizioni rispetto al
Reich.
10
R. Guardini, Virtù. Temi e prospettive della vita morale, Morcelliana,
Brescia 2000.
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Per i ragazzi della Rosa Bianca la lettura dei suoi scritti si rivelò fondamentale, proprio per la sua visione delle virtù e per il
ruolo attribuito da Guardini alla “coscienza”, il concetto più rivoluzionario nella sua etica.
Si era reso conto che quello a lui contemporaneo era un periodo in cui tutti volevano abdicare alla coscienza per indossare una
divisa. Questo tema era cruciale allora, come lo è oggi, in questo
clima di eresia della coscienza, a tutti i livelli – anche nella Chiesa –,
a causa della tentazione dell’omologazione, della dinamica di branco, della tendenza a chiudersi nelle proprie comunità.
Sempre a proposito del suo impegno nel campo pedagogico, si
può dire che egli sentisse quasi un ruolo di pioniere nella ricerca. La
sua ricerca si faceva profonda, tragica e solitaria. Quali furono i rapporti con l’ambiente degli intellettuali di quegli anni?
Lo scritto che è più rivelatore del carattere di Guardini è quello
sulla malinconia 11, in cui si trova una bella definizione di “malinconia positiva” e “malinconia negativa”, della “malinconia depressiva”
e della “malinconia feconda”.
Era un uomo che indubbiamente provava una fortissima solitudine. Ebbe pochi amici. Si sentiva in quegli anni solo a occuparsi di questi argomenti, sia poiché nell’àmbito della filosofia in
quello stesso periodo diventava dominante la vulgata heideggeriana, sia per il fatto che in quel contesto il suo stile, la sua cattedra,
il suo modo di far filosofia risultavano eccentrici.
In questo clima Guardini era isolato anche dal mondo intellettuale cattolico che era ancora in gran parte neoscolastico.
La grande stagione della straordinaria teologia cattolica tedesca, che – come sostiene Karl Rahner – diede un impulso alla ricerca
con una ventata di libertà, venne in seguito. Tutta la grande teologia
tedesca deve infatti moltissimo a Guardini, non tanto per quel che
riguarda un magistero specifico, piuttosto per il metodo di ricerca.
11
R. Guardini, Ritratto della malinconia, Morcelliana, Brescia 1990.
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Per concludere, vediamo che la produzione di Guardini spazia
dall’ecclesiologia alla cristologia, dalla critica letteraria…
Questo è il problema che si era già posto Hans Urs von Balthasar, suo allievo a Berlino, e che ci siamo posti anche noi quando abbiamo istituito il Comitato Scientifico per l’Opera Omnia,
comitato vasto, di cui fece parte anche l’attuale papa Benedetto
XVI.
Ci sono volute numerose discussioni prima di trovare una soluzione per la classificazione delle opere, che violasse il meno
possibile le intenzioni di Guardini.
In che modo dunque leggere unitariamente questa immensa
produzione?
Il filo conduttore è il suo metodo, che emerge da tutti i suoi
lavori e che ha elaborato nei tre scritti citati precedentemente, ossia L’Opposizione polare, il testo sulla Weltanschauung cattolica e
quello sull’occhio in cui spiega in sostanza la sua prospettiva di
fenomenologia.
In secondo luogo accompagna tutta la sua opera questa dimensione dialogico-empatica, ossia questa straordinaria capacità,
tipica di Guardini, di decentramento, di inserzione nell’altro, che
sia l’autore di uno scritto o una persona presente.
Questi sono gli elementi particolarmente rilevanti che conferiscono unitarietà alla sua opera.
A CURA DI ANNA MARIA CANTERI
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Attualità di Guardini. Intervista a Silvano Zucal
SUMMARY
Forty years after the death of Romano Guardini, the theologian
and philosopher who was born in Verona and lived in Germany, his
work appears increasingly relevant. “Praeceptor Germaniae”,
Guardini, a spiritual guide for his time, although fully involved in
the issues of the time, showed himself capable of inspiring the
timeless search for Truth. Researcher into the dynamics of being
through the concept of “polar opposition”, and inspiration for the
young people of the “White Rose”, he developed a powerful,
anthropologically sound, and deeply anti-ideological idea. Silvano
Zucal guides the reader through the Guardini’s intellectual and
existential journey, drawing out the coherence and continuity of an
apparently unsystematic thought process.