Rachele Guardini:
una donna del 1800 con una grande passione per i giovani
Come ha vissuto e praticato l’Opera di S. Dorotea e come ha raggiunto l’obiettivo della stessa,
di occuparsi dell’educazione cristiana delle giovani generazioni, Madre Rachele Guardini,
confondatrice con il sacerdote d. Luca Passi, dell’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea di
Venezia?
È una domanda legittima e in parte impegnativa.
L’epistolario di M. Rachele, la fonte più diretta di cui disponiamo, ci parla in abbondanza di
problemi pratici e organizzativi, connessi all’avvio e consolidamento del nuovo Istituto.
Tuttavia, accanto a questioni attinenti la nuova fondazione, compaiono riferimenti che lasciano
dedurre passione per le giovani, atteggiamento maturato in breve tempo nel suo cuore,
certamente a contatto con il pensiero e l’azione del Passi.
Nella lettera indirizzata al patriarca di Venezia, sua Ecc.za il Card. Iacopo Monico, in data 18
ottobre 1838, quindi a pochi mesi dalla fondazione, la Guardini, dopo averlo informato sulla
vita del nascente Istituto, va subito con il pensiero alle fanciulle per le quali si prospetta la
possibilità di un Oratorio e di un Appartamento in cui avviare una scuola “onde facilitare il
mezzo di togliere dalle strade le fanciulle” [1] .
L’idea di creare ambienti formativi: scuole, oratori, educandati dove “le giovanette”, termine
che ricorre 54 volte nel carteggio, possano ricevere istruzione, essere avviate ad un lavoro,
venire educate, risulta un obiettivo che accompagna in modo costante il pensiero e l’azione
della Guardini.
Se si tiene conto che la sua responsabilità agli inizi dell’Istituto attiene alla fondazione delle
varie case, alle relazioni pubbliche, alla valutazione dell’idoneità dei nuovi soggetti, al
sostentamento economico e alla vita spirituale dei membri, in un arco di tempo che va dal
1838 al 1846, i riferimenti all’educazione e alla prevenzione delle giovani che trapelano dalle
sue lettere tradiscono l’interesse profondo e il posto privilegiato che esse occupano nel suo
cuore. A ciò va aggiunta l’attenzione per il consolidarsi della Pia Opera, forma peculiare di
educazione preventiva e di accompagnamento alla vita cristiana delle fanciulle e delle giovani a
cui l’Istituto deve badare, essendo la diffusione e il mantenimento della Pia Opera, pensata dal
Passi, il fine a cui lo stesso Istituto deve tendere.
Per assolvere a questo compito Madre Rachele è molto attenta nell’individuare e affinare le
attitudini delle suore a svolgere la missione dell’Istituto, si adopera affinché esse acquisiscano
la cultura e i titoli richiesti per l’insegnamento e le stimola ad assumere adeguati metodi
educativi, efficaci se attraversano il cuore di chi educa per raggiungere il cuore di chi è
educato.
Nella lettera al Prof. d. Antonio Farina del 12 agosto 1838, mentre l’Istituto sta vivendo appena
la sua alba, ella afferma: “ Mi saluti tanto tutte le ragazze, alle quali tanto raccomando di
corrispondere alle premure dei loro Superiori, certe che, se così faranno, cresceranno
nell’amore di Dio”[2].
Questa affermazione è fortemente rivelativa. Presuppone nella Guardini una relazione
consolidata (Quando? Nel breve tempo, due mesi appena, di permanenza a Vicenza?) con le
ragazze a cui si riferisce, alle quali può chiedere addirittura la docilità, la sottomissione ai
Superiori che offrono loro attenzioni e premure. La premura è un atteggiamento materno, è
un’azione di salvaguardia, in un certo senso di protezione, di cura e perciò di “coltivazione”, di
stimolo a crescere e richiede, per l’efficacia, di essere riconosciuta e accolta, interiorizzata e
ricambiata.
Emerge poi, dritto e chiaro, senza veli, il fine dell’educazione nel pensiero di Madre Rachele:
“crescere nell’amore di Dio”. È un’espressione che funziona come un concentrato e rimanda a
una concezione della persona che rispecchia la visione teologica dell’Ottocento, ma che
possiamo tradurre
con riferimento all’attuale antropologia biblica e teologica.In questa
espressione sono condensati tutto il senso e lo spessore del progetto cristiano di vita.
Conoscere l’amore di Dio significa trovare la chiave del mistero della vita umana nel mondo da
cui la radice della dignità e del valore di ogni persona, segnata nel profondo del suo essere
dall’impronta di Dio (l’immagine). Conoscere l’amore di Dio è, quindi, individuare in modo più
sicuro il fondamento del diritto di ogni uomo, e di ogni piccolo d’uomo, a trovare condizioni
che diano forma e sviluppo alla propria umanità, a conoscere e sperimentare la libertà, a
instaurare rapporti sociali in cui costruire e rendere visibile la giustizia, garanzia di rispetto
reciproco e della possibilità di cooperazione al bene comune e alla crescita personale e sociale.
Allora si comprende la gioia di Madre Rachele per quanto l’ “aiuto spirituale” che si attua con
la Pia Opera produce nelle diverse città.
A Genova, nel 1840 risulta che ci sono “quasi tremila ragazze delle più abbandonate che
mediante le cure delle Sorvegliatrici e delle Assistenti sono indirizzate alla frequenza dei
Sacramenti, della dottrina cristiana e delle scuole, e tolte così al pericolo di diventare preda del
vizio e della corruzione” [3]. Gli stessi obiettivi e lo stesso spirito ritroviamo, ma non solo, nella
lettera n.11: “Ho parlato a Monsignore per la scuola delle fanciulle allo scopo di toglierle dalla
strada” [4]. Ancora una conferma, ma le citazioni potrebbero essere numerose, nella lettera
n.12: “L’oratorio di S. Pantaleone si mette bene; la prima e seconda festa non eravi che sette
ragazze; ora siamo al numero di trenta, le quali si può dire che non conoscono Dio. Lei vede
quanto bene si può con queste fare. Le teniamo per un poco riunite, parlando loro del Signore
e cercando di far loro conoscere l’importanza di salvarsi; poi le assistiamo ad ascoltare la S.
Messa, e loro sono contentissime di questo”[5]
“Non conoscono Dio… l’importanza di salvarsi…”: potremmo integrare affermando che se non
conoscono Dio non conoscono neppure se stesse, non sanno quanto vale la loro vita, come
possono impegnarla, dentro quale progetto di crescita personale e di servizio possono
costruirla ed esprimerla, dentro quale dono d’amore possono sperimentare la propria libertà.
Di conseguenza, perciò, non possono conoscere ed apprezzare che cosa implica e cosa vuol
dire salvezza di tutta la loro persona, nella integralità della sua dignità umana, psico-affettiva,
razionale e spirituale.
Da qui l’attenzione della Guardini alla persona nella sua concretezza. Nella lettera n.480 [6]
non esita, in risposta a critiche mosse probabilmente da alcune ragazze inquiete che ha dovuto
con determinazione allontanare, a rendere pubblica la dieta alimentare che segue nel convitto
di Venezia, la stessa con cui si nutrono le suore, dice Madre Rachele. Emerge uno sguardo
individualizzato, prudente e intelligente che valuta le differenti costituzioni fisiche, le diverse
attività e lavori praticati dalle persone, senza privilegi di ruolo o di provenienza sociale, con
una attenzione saggia ed equilibrata. Da ciò uno stile sano di convivenza che ispira benessere
e serenità, anche in situazione di malessere fisico. Lo ritroviamo indicato nella lettera n.1204:
“Questa mattina mi diceva il Signor Dottor Frari che gli sembrava di essere all’Ospitale, perché
faceva le ordinazioni mediche al letto di quella che visitava, per non sbagliare (le nostre dilette
educande sono meno tre, tutte costipate), con questa differenza che le nostre giovanette,
quantunque incomodate, sono tutte liete.”[7].
Sarebbe interessante avere lo spazio per far emergere da tutto il carteggio la premura e
l’attenzione di Madre Rachele per le giovani, a testimonianza di quanto lo spirito e la lettera
dell’Opera di S. Dorotea avessero fatto presa in lei e accompagnassero la sua azione nella fase
di avvio dell’Istituto. Commovente risuona la tipologia di relazione educativa e affettiva di
Rachele con le sue ragazze e con le suore allo stesso modo. Di ritorno da un viaggio a Ferrara
e Rovigo, così scrive al Conte d. Marco Passi: “In Venezia siamo arrivate alle otto del
mercoledì. Quale sia stata l’allegrezza di tutte queste creature al nostro giungere, non sono
certo capace di esprimerlo. L’Irene mi ha veduta dal parlatorio, dove stava con una Signora:
diede senza riflessione un grido, al quale tutte si avvidero della nostra venuta, ed in un
momento si erano tutte riunite al mio collo e gridavano: è proprio venuta; sì, l’abbiamo con
noi, di maniera che la Signora piangeva ed era incantata” [8].
L’intensità del legame educativo che si alimenta di una sana energia e di un positivo
coinvolgimento affettivo dice, in forma scoperta, la qualità dell’impegno e dell’interesse per
l’educazione e la formazione delle giovani in Madre Rachele Guardini .
Esso ricorda alle Suore dell’Istituto, ai Cooperatori e Cooperatrici dell’Opera di S. Dorotea e a
quanti hanno a cuore la vita e la crescita delle nuove generazioni che l’educazione passa per la
strada del cuore, un cuore a sua volta formato e liberato da vincoli narcisistici e bisogni
camuffati, purificato, perciò, da un grande fuoco che chiamiamo ‘amore di Dio’, mai
disgiungibile, perché fa tutt’uno, dall’amore per l’uomo.
Emmarosa Trovò