Diritto del mare L`emergenza immigrazione riaccende la

Diritto del mare
L’emergenza immigrazione riaccende la tensione tra Italia e Malta
Fabio Caffio
22/04/2010
Un contenzioso latente ma pervicace continua ad opporre Malta
all’Italia a dispetto degli eccellenti rapporti politici che si sono
venuti consolidando sin dal 1980, quando l’Italia si impegnò con
un trattato a garantire la neutralità maltese. Motivo di disaccordo
è l’enorme zona marittima di ricerca e soccorso (Search and
Rescue, Sar) di quasi 250.000 chilometri quadrati che Malta
reclama nonostante il suo territorio insulare sia di appena 315 chilometri quadrati.
Termini della controversia
La zona reclamata da Malta include persino le acque territoriali italiane delle Isole
Pelagie, Lampedusa compresa. Proprio Lampedusa costituisce una delle ragioni centrali
della disputa: Malta sostiene che i migranti salvati nella sua zona di ricerca e soccorso
debbano essere trasportati sull’isola italiana, qualora questa sia l’approdo più vicino per i
mezzi di salvataggio.
Malta non accetta in sostanza il principio, codificato nel 2004 nell’ambito della
Convenzione Solas (1974) e della Convenzione di Amburgo (1979), secondo cui il posto
sicuro (place of safety) in cui sbarcare i migranti va individuato tra i porti del paese che è
titolare della zona Sar. A parere di Malta la nozione di place of safety dovrebbe invece
essere interpretata nel senso che lo sbarco può avvenire nel porto più vicino al luogo di
soccorso, a prescindere dal fatto che esso appartenga o meno allo Stato responsabile del
Sar. La differente interpretazione di tale principio ha causato tensioni. Ad esempio,
l’anno scorso La Valletta ha rifiutato l’approdo al mercantile turco “Pinar” che aveva
salvato 144 migranti nella zona Sar maltese, 50 miglia a sud di Lampedusa. L’approdo è
stato poi autorizzato dall’Italia a Porto Empedocle per motivi umanitari. L’episodio aveva
indotto il governo italiano ad auspicare la ricerca di una soluzione interpretativa a livello
europeo.
Nuove regole europee
Tenendo conto di tale auspicio e nel tentativo di gestire l’emergenza immigrazione che si
ripresenterà nei prossimi mesi estivi, le istituzioni europee hanno adottato nuove misure
per la cooperazione operativa dell’agenzia europea Frontex e per il soccorso in alto mare
di migranti in pericolo. La Commissione aveva elaborato un progetto di decisione del
Consiglio per integrare il codice Schengen nella parte relativa alla sorveglianza delle
frontiere marittime affidata alla stessa Frontex. La decisione è stata sottoposta al vaglio
del Parlamento europeo il quale non ha tuttavia approvato la proposta di attribuirle valore
vincolante. Il testo ha così mantenuto una valenza orientativa e sostanzialmente esortativa
(soft law). Le nuove Rules e Guidelines escludono i respingimenti in alto mare,
prevedendo che gli agenti di Frontex debbano prioritariamente “tener conto delle
particolari esigenze dei minori, delle vittime della tratta, di quanti necessitano di
assistenza medica urgente o di protezione internazionale e di quanti si trovano in
situazione di grande vulnerabilità”.
Questi principi di carattere generale sono completati dalla regola - che non è accettata da
Malta - secondo cui lo sbarco dei migranti soccorsi deve avvenire nel paese che ospita
l’operazione Frontex, a meno di diverse soluzioni quali “lo sbarco nel paese terzo da cui è
partita la nave che trasporta le persone interessate o dalle cui acque territoriali o regione
di ricerca e soccorso tale nave è transitata” Il risultato è che lo svolgimento della
prossima operazione Frontex (denominata “Chronos”) che doveva essere ospitata a
Malta, è subordinato all’esito della missione nell’isola del Commissario europeo per gli
Affari interni Cecilia Malmström. Va detto che le attività di Frontex nel Mediterraneo
sono sempre risultate efficaci (nelle Canarie l’agenzia europea ha svolto le operazioni
“Hera” incentrate sul rimpatrio e molto apprezzate dalla Spagna).
Lacune maltesi
Il nodo della questione sta nell’enorme zona marittima Sar maltese in cui vengono
soccorsi i migranti, che si sovrappone alle acque territoriali delle Pelagie e che si spinge
fin sotto Creta, a distanza di circa 500 miglia da Malta, privando tra l’altro la Tunisia di
un ragionevole spazio in cui esercitare le proprie funzioni di ricerca e soccorso. Questa
zona marittima coincide di fatto con la zona per le informazioni di volo - zona Fir - la cui
funzione è regolamentata dalla Convenzione di Chicago del 1944 sulla sicurezza
dell’aviazione civile, che è stata gestita dalla Gran Bretagna fino a quando Malta era un
suo possedimento. Malta ne pretende la titolarità, nonostante le proteste italiane.
Una situazione analoga si ha in Egeo ove la Grecia ha una zona Sar (coincidente con la
Fir) non riconosciuta dalla Turchia. Ma mentre la Grecia, facendo base sui suoi mezzi
aeronavali - dislocati sulle numerose isole che si spingono a ridosso della costa turca - è
effettivamente in grado di provvedere ad un efficiente servizio di soccorso, non è così per
Malta. I mezzi maltesi, anche se ben assortiti (anche grazie alla cooperazione militare
italiana che, tra l’altro, ha messo a disposizione elicotteri ed un pattugliatore d’altura) e di
recente incrementati con quattro motovedette acquistate dall’Australia con fondi europei,
non sembrano sufficienti a garantire la capacità di azione necessaria ad effettuare
tempestivi soccorsi in un’area così vasta. Tant’è che Malta è stata costretta più volte a far
intervenire mezzi di soccorso italiani e ha assegnato alla Grecia, tramite un accordo, la
sorveglianza nell’area più orientale della propria zona.
Nel 2008 Malta ha inoltre stipulato un memorandum di cooperazione Sar con la Libia,
considerando evidentemente la prossimità della propria area alle coste libiche. Una
riduzione della zona Sar maltese ad ovest, a sud e a est, rappresenterebbe quindi un
adeguamento alla realtà geografica dell’area in conformità al principio di effettività
presupposto, in materia, dalla Convenzione di Amburgo del 1979.
Possibili vie d’uscita
Possono ben comprendersi i motivi per cui Malta difende strenuamente la zona Sar come
una questione di vitale interesse nazionale e con il sostegno della propria opinione
pubblica: non solo l’Ue fornisce a Malta un aiuto finanziario rapportato all’estensione
della Sar, ma la frontiera sud di quest’ultima costituisce per più di 1.000 km il vallo, per
così dire, della fortezza Europa. A Malta si tende a vedere la zona Sar come una sorta di
compensazione per l’esigua estensione territoriale del paese e si ritiene che fornisca
un’ipoteca sulle future delimitazioni della Zona economica esclusiva (Zee) e della
piattaforma continentale che resta ancora da definire (senza alcun fondamento giuridico,
in quanto la Sar riguarda la giurisdizione ai fini del soccorso e non l’esercizio di diritti
sovrani).
È quindi difficile che Malta rinunci alle sue pretese. A meno di non immaginare un’intesa
italo-maltese per deferire la soluzione del caso ad un organo arbitrale o giurisdizionale o,
più opportunamente, per convocare una conferenza intergovernativa sotto egida
dell’International Maritime Organization (Imo) per la delimitazione delle Sar del
Mediterraneo centrale, cui invitare i paesi interessati anche in vista della creazione di
zone congiunte.
Il punto è che il Sar è solo uno degli aspetti (ovviamente prioritario) della sorveglianza
anti-immigrazione. La quale va invece inquadrata, restando fermi gli inderogabili principi
di rispetto della sicurezza delle persone e dei loro diritti umani, nell’ambito più vasto del
sistema di cooperazione delineato, tra l’altro, nel III Protocollo di Palermo del 2000,
riguardante la prevenzione ed il contrasto del traffico di immigrati illegali in alto mare, il
cui sviluppo con i paesi di origine è stato più volte indicato dal ministro dell’Interno
Roberto Maroni come un obiettivo che la Commissione europea dovrebbe porsi. Questa è
del resto la via scelta sia da Italia e Libia nell’ambito del Trattato bilaterale di amicizia,
partenariato e cooperazione del 2008, sia da Malta e Libia nell’ambito delle loro
amichevoli relazioni bilaterali.
È chiaro che gli interessi maltesi a non divenire il punto di ingresso di migranti illegali
coincidono con quelli italiani. D’altronde, oltre ad essere entrambe membri dell’Unione,
Italia e Malta sono legate, grazie all’accordo del 1980, da relazioni speciali così strette da
rendere la cooperazione bilaterale una strada obbligata, anche se il raggiungimento di un
accordo richiederà un paziente lavoro di tessitura diplomatica sia a livello bilaterale che
europeo.