DIRITTI E INTERESSI PRESIDIATI DALL’AZIONE DI CLASSE Paragrafo 1 La morfogenesi dell’azione collettiva, evoluzione dell’istituto L’intervento a difesa dei diritti del consumatore nasce dalla volontà di salvaguardare alcuni operatori economici considerati deboli. Tuttavia questo impegno non deve essere astratto ma deve concretamente salvaguardare chi subisce un danno rispetto alle condizioni inziali del contatto sociale a causa di un esercizio distorto del potere economico (non si agisce in buona fede – honeste agere). Lo scopo è dunque prevedere le questioni ex ante al fine di fornire strumenti rimediabili al diritto leso onde evitare una specifica mediazione tra utente e azienda; tutto per porre gli utenti al riparo da situazioni profittatorie. Inizialmente assistiamo a una presa di coscienza teorica del problema; essa tuttavia necessita di precisazioni. Mancano infatti alcune tessere fondamentali. Si tratta dunque di valutare le linee guida da seguire per riportare la questione sul piano pratico. Un elemento che mette in mostra le lacune in questa attività di coordinamento è il passaggio da azioni risarcitorie ad azioni restitutorie: quest’ultime assumono le sembianze di elemento calato dall’alto come frutto di soluzione normativa al fine di raggiungere un compromesso. Questa soluzione è frutto di un legislatore debole, animato solo dal desidero di troncare un fastidioso dibattito. Per capire se questo dibattito ha portato a un risultato bisogna dunque osservare come il contenuto di questo dibattito sia cambiato negli anni: il legislatore ha dimostrato di voler enunciare dei nuovi principi, non rendendosi conto che questo poteva portare ad allontanarsi dalla questione stessa. Paragrafo 2 Incerti esordi dell’azione di classe Le incertezze interpretative riguardo a cosa considerare nel dibattito sono il riflesso dell’incertezza del legislatore, che non sa come muoversi conoscendo le difficoltà a cui va incontro. Alla base della risoluzione del conflitto ci sono i pilastri concettuali del codice. Paragrafo 3 Strumento rimediale “privatistico” e “pubblicistico” Con un ordinamento del 27 dicembre 2011 si stabilisce la tutelabilità in forma collettiva dei diritti contrattuali dei consumatori e degli utenti. La corte territoriale afferma però che la disposizione si riferisce solo ai diritti derivanti da rapporti contrattuali. Il giudice del reclamo invece ritiene che non vi sia una relazione contrattuale tra l’utente e la società concessionaria del pubblico servizio in quanto questo rapporto non si fonda su una scelta negoziale delle parti interessate ma direttamente sulla legge. Nel caso concreto, poiché si tratta dunque di ricondurre il pagamento della tariffa di igiene ambientale alla previsione di legge e non alla libera determinazione degli utenti di avvalersi del servizio, è da escludere la natura contrattuale del rapporto. I criteri su cui si basa quest’affermazione sono la doverosità della prestazione e il collegamento di tale prestazione con un presupposto economicamente rilevante. La lesione di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori può derivare anche dalla violazione di obblighi enunciati nelle carte di servizi, cioè dalla violazione di standard qualitativi ed economici fissati con le modalità stabilite dalla legge. Nella carte dei servizi si stabilisce infatti che i servizi pubblici nazionali e locali sono erogati per il miglioramento della qualità, per assicurare la tutela dei cittadini e degli utenti e per garantire la loro partecipazioni, anche in forma associativa, alle procedure di valutazione e di definizione degli standard. Tuttavia c’è chi inquadra tale prestazione pecuniaria come tipicamente tributaria. A troncare il dibattito è intervenuto il giudice delle leggi, il quale ha escluso tale tariffa da quelle tributarie. Riemerge quindi l’ipotesi che questo sia un diritto nato in forma contrattuale. Rimane dunque da chiarire se la soluzione è valida solo a questo problema, o se essa può essere estesa anche ad altre prestazioni pecuniarie imposte alla massa degli utenti (come l’erogazione di acqua potabile). La soluzione a questo problema sta nel fatto che generalmente la messa a disposizione di un bene o di un’opera non è considerata come tassa (e può essere affidato a privati previo versamento di una somma di denaro), ma lo diventa per un’attività identica, ripetuta e frazionabile in singole prestazioni determinate e regolare dalla legge. In conclusione, ogni deroga finalizzata alla protezione del consumatore è giustificata esclusivamente alla luce di un interesse generale. Paragrafo 4 Un ordinanza dichiara inammissibile la domanda di risarcimento proposta da un comitato di pendolare a seguito dei continui disservizi nella fruizione del servizio di trasporto ferroviario. Si è stabilito che i passeggeri titolari di un titolo di viaggio o di un abbonamento che siano costretti a subire un susseguirsi di ritardi o soppressioni possano richiedere un indennizzo adeguato secondo le modalità previste, fermo restando il diritto all’assistenza in capo ai viaggiatori dinanzi a un ritardi di considerevoli proporzioni. Tuttavia se riferita al danno relativo al prezzo dei biglietti acquistato dai viaggiatori, la domanda deve essere ritenuta inammissibile per il difetto di omogeneità degli interessi lesi. Una nuova sentenza del 2008 afferma che la risarcibilità del danno deve avere tre presupposti: che l’interesse leso abbia radicamento costituzionale, che la lesione sia grave e che il pregiudizio non sia futile, cioè che non consista in meri disagi; ciò ci fa capire che i danni dedotti non possono essere ritenuti risarcibili in quanto non derivano da un danno penalmente rilevante né dalla lesione di danni di rilevanza costituzionale. Ciò avrebbe dovuto portare a un riesame dei tratti principali della situazione giuridica soggettiva. Paragrafo 5 Se consideriamo una pratica commerciale scorretta connessa all’ingannevolezza del messaggio pubblicitario contenuto nel foglio illustrativo di un farmaco, notiamo come i diritti individuali dei consumatori e degli utenti si caratterizzano per la loro omogeneità, sia perché generati da un medesimo contegno o da condotte simili e ripetute, sia perché il loro accertamento giudiziale richiede la soluzione di questioni di diritto o di fatto simili se non identiche. Paragrafo 6 Se consideriamo l’interesse come fine non più un limite teologico e strutturale, ma presupposto dell’azione l’interesse del singolo consumatore non va più tutelato in via immediata e diretta, ma rispetto a un interesse di altri soggetti i quali sono ugualmente lesi ed aspirano a una misura riparatoria in via giudiziale. Il diritto soggettivo era stato quindi spinto fuori dalla sfera strettamente individuale, era stato proiettato verso la sfera altrui ed era stato conformato all’interesse e al corrispettivo diritto, sorto in capo alle vittime di un medesimo fatto lesivo (reductio ad unitatem). Questo ha portato degli ostacoli di ordine concettuale nell’opera di ricostruzione e di inquadramento dell’istituto dal punto di vista sistematico. È apparso riduttivo tuttavia ricorrere all’immagine di un legislatore confuso che vaga smarrito nel campo delle teorie dogmatiche. Una legge del 2007 guardava all’interesse come qualcosa che era destinata ad assumere rilevanza individuale; tuttavia una riforma del 2009 sancisce la tutelabilità degli interessi giuridicamente rilevabili ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori. Una soluzione è stata trovata nell’articolo 140 bis nel quale si afferma che sono garantiti e riconosciuti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti e ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma associativa e collettiva. Da non tralasciare è il legame tra interessi tutelabili di natura individuale e collettiva e situazioni giuridiche soggettive elevate a rango di diritti fondamentali che il codice del consumo ha voluto sottolineare nell’articolo 2. Tra i diritti fondamentali troviamo diritto: - Alla tutela della salute - Alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi - Ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità - All’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà - All’educazione al consumo - Alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali - Alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatorie gli utenti - All’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità ed efficienza La legge sembra volgersi a presidiare prima le situazioni giuridiche soggettive; tuttavia è importante che il legislatore abbandoni la dimensione astratta per impegnarsi un accertamento in ordine ai caratteri e al contenuto di tali situazioni giuridiche soggettive. Tuttavia l’espressione diritti fondamentali può essere intesa con riferimento alle pretese di consumatori e utenti che possono inquadrarsi nella dimensione individuale del diritto soggettivo, così come essa può essere trascesa fino ad abbracciare gli interessi collettivi facenti capo ad un gruppo soggettivamente individuato nello spazio e nel tempo e per la qualità comune che detti interessi siano rappresentabili e tutelabili anche in forma collettivamente organizzata. Paragrafo 7 Agli apparti di mediazione legale comunitari e nazionali sono impegnati in un’opera di arginamento dei fenomeni abusivi occasionali e favori dall’appartenenza del contraente leso ad una fascia di soggetti che il processo economico relega in una posizione subalterna. Infatti nel rapporto tra imprese la relazione intersoggettiva può nascere e svolgersi su basi di strutturale disuguaglianza; questo tuttavia non giustifica l’intervento privato per regolare discrezionalmente i propri interessi. Si presume infatti che l’approccio repressivo risponda all’esigenza di evitare che l’altrui condizione di labilità del potere negoziale venga sfruttata allo scopo di trarne un indebito vantaggio. L’inosservanza della direttiva etica è già insita nel comportamento di chi, strumentalizzando la propria posizione si supremazia, sottometta la controparte a un comportamento iniquo. Tuttavia la parte che agisce in giudizio in vista del ristoro del pregiudizio subito ha l’onere di allegare oltre al danno l’avvenuta lesione della buona fede ma non anche l’elemento soggettivo dell’autore dell’illecito. La buona fede segna dunque il limite tra lecito e illecito. La iniquitas invece ha il compito di specificare sul piano dei contenuti la clausola generale mediante la tipizzazione del comportamento ritenuto incompatibile con il dettame etico che essa esprime. Il ruolo della buona fede non va però incontro a una sostanziale trasformazione in quanto essa continuerebbe a essere un criterio valutativo di un fatto o di una condotta. Paragrafo 8 Si punta quindi a trasformare il generico impegno di cooperazione in vista del soddisfacimento dell’interesse altrui in un dovere di astensione per fare in modo che una certa libertà negoziale non si realizzi in difformità a un principio di equità generale. Si fa in modo inoltre che il contratto non divenga occasione di prevaricazione in pregiudizio chi non sia in grado di incidere in modo significativo all’assetto regolamentare. Paragrafo 9 Il legislatore nella sedes materiae dei ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali rielabora l’assetto originario della disciplina secondo una finalità non esclusivamente repressiva, ma anche preventiva dell’abuso e ciò secondo un disegno che vuole evitare che la compromissione degli interessi oggetto di giuridica salvaguardia possa perpetuarsi, incidendo su quelli che si rivelano come i presupposti stessi del comportamento lesivo. Il legislatore comunitario dichiara non solo di proibire l’abuso ma anche di voler fare maggiori sforzi per evitarne la manifestazione. Ciò viene sancito nell’articolo 1 della direttiva 2011/83 UE che il regime giuridico tramite il conseguimento di un elevato livello di tutela dei consumatori intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno. Il legislatore intende dunque rifissare il confine di liceità. Sarebbe dunque riduttivo ed inappagante ritenere che la buona fede si esaurisca in un criterio selettivamente ricettivo dei valori di mercato. Paragrafo 10 Il dovere di astenersi da un comportamento poco corretto dell’autonomia privata ha trovato il suo massimo sviluppo nella sentenza 20106 del 18 settembre 2009: in esso si afferma che la bonae voluntatis si prende l’incarico di eliminare quei vantaggi a favore del potere privato in conseguenza di una violazione delle corrette regole. Il canone di buona volontà, inoltre, si incaricherebbe di mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della proporzione, atteggiandosi a strumento utilizzabile da parte del giudice in vista di un controllo dello statuto convenzionale a garanzia del corretto contemperamento degli interessi contrapposti. A suscitare non poche perplessità è la distinzione tra capacità autodeterminativa e concretizzazione nella fatttispecie negoziale: ogni potere, infatti, disgiunto dal suo concreto esercizio, trasloca in un’astratta idoneità, in una mera potenzialità. Sembra infatti che tale libertà sia intangibile se guardata nella dimensione statica, ma che essa sia sottoposta a un forte controllo quando è analizzata nella dimensione dinamica; questa affermazione è un espediente per proiettare la verifica giudiziale nel modo stesso di concepire tale libertà. Questa libertà è dunque tenuta a rapportarsi ex ante con un’autorità come indice di pre identificazione legale dell’abusività del contegno: questo intervento è reputato poco necessario a meno che non sia espressamente richiesto da un’autorità giudiziale. L’obiezione è che in mancanza di un dato normativo che specifichi come attuare detta tutela, essa produce un controllo sull’esercizio del potere negozialmente pattuito da cui discende una valutazione politica piuttosto che giurisdizionale della privata pattuizione. Questa obiezione è stata ritenuta priva di fondamento dai giudici di legittimità. Paragrafo 11 Gli effetti destabilizzanti si ricollegano al fatto che sia la legge a pronunciarsi sulle restrizioni alle libertà di contratto; essa deve armonizzare le esigenze individualistiche con le esigenze di socialità tramite l’emanazione di precetti impositivi. Il giudizio di riprovazione da parte del diritto non ammette un’alternativa fondata su criteri equitativi ma è giustificato dal fatto che in mente iudicis si sia formato il convincimento circa l’irrazionalità delle deliberazioni assunte dai privati e cioè circa l’insufficienza delle stesse a garantire la giustizia del rapporto. Negli ultimi anni vi è stato un moltiplicarsi degli interventi normativi volti a impedire che i fisiologici rapporti di forza all’interno del mercato abbiano a sconfinare in un fenomeno patologico di eterodeterminazione abusiva. L’intensificarsi di simili prescrizioni è segno evidente che l’osservazione dei limiti inderogabilmente imposti all’osservanza dei consociati nella strutturazione della regola vincolante sul piano pattizio è comunque rimessa agli apparti legislativi senza che ciò possa sopperirsi facendo leva su presunte ma indimostrabili implicazioni di un astratto principio di equità in virtù di un processo di sostituzione della voluntatis iudicis alla voluntatis legis. Servirebbe dunque un riadattamento funzionale per cui il canone cesserebbe di erigersi a limite interno della libertà dispositiva per trasformarsi in un limite esterno, allo scopo di ristabilire il giusto contemperamento degli interessi in gioco. Paragrafo 12 La corte di giustizia attraverso la sentenza del 3 giugno 2011 ha stabilito che gli articoli 4, 2 e 8 della direttiva 93713/CEE non ostacolano a una normativa nazionale che autorizzi un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole pattizie che riguardano da una parte la definizione dell’oggetto principale del contratto e dell’equilibrio tra prezzo e remunerazione, dei beni e servizi che devono essere forniti in cambio dall’altra; alla base di questa affermazione c’è l’ipotesi che queste clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile. Una volta abbandonato il livello attuale della mera enunciazione dei principi, il giudice sperimenterà concretamente sul piano della singola fattispecie negoziale la vis demolitoria e nel contempo la vis additiva della clausola di buona fede, predicate in omaggia a un’idealità di aequitas sostanziale di cui l’organo giudiziario sembra aspri a diventare il reale depositario. L’invito è quindi che il giudice infranga quella barriera psicologica che lo tiene legato alla logica deduttiva, che si dissuada dal raccogliere la delega del legislatore a compiere scelte di valore per misurarsi finalmente con la creazione della regola iuris, attingendo al criterio di buona fede. Se dunque il cerchio si chiuderà effettivamente nel modo indicato dalla nostra giurisprudenza si assisterà al definitivo trapasso dal mito della signoria del volere a quello del contratto. E dovrà aprirsi un nuovo ciclo storico di riflessione teorica sul contratto e sulla sua portata di strumento di regolazione dei privati interessi. Ai giudici quindi viene sottratta la scelta di valori e l’idoneità a creare regula iuris; essi sono chiamati invece ad applicare il modello di conformazione dei richiamati interessi che la legge e solo la legge ha il compito di elaborare. La buona fede consente di andare al di là dei contraenti ma giammai di operare contro di esso: la bonda fides può assolvere a una duplice funzione: strumento di controllo incondizionato del contenuto convenzionale e strumento integrativo dello statuto pattizio. Ciò appare ben lungi dal dischiudere prospettive rassicuranti, a meno che non ci si voglia rassegnare a veder regredire la capacità autodeterminativa individuale a strumento debole di regolamentazione dei privati interessi con inevitabili conseguenze distorsive sull’immagine stessa della libertà di contratto. Paragrafo 13 Concepita come azione tipicamente risarcitoria ovvero restitutoria l’azione di classe diventa esperibile in ragione di un pregiudizio rilevante e valutabile dal punto di vista economico e suscettibile di ristoro con una sentenza di condanna al pagamento di una somma liquida. Al consumatore sarà preclusa l’iniziativa in forma collettivamente organizzata ai fini della declaratoria di nullità della singola clausola squilibrante. Resta tuttavia da stabilire se nell’ipotesi di nullità parziale il giudice sia legittimato a rideterminare autoritativamente il prezzo del servizio una volta acclarata l’irragionevole sproporzione del prezzo imposto alla massa di consumatori e degli utenti. Soluzione maggiormente rispondente all’esigenza di tutela consentirebbe un effettivo esercizio di tale libertà, garantendo ai soggetti lesi di riappropriarsi di essa e di concordare con la controparte l’entità economica dello scambio. Paragrafo 14 L’allineamento intervenuto tra i principi di buona fede, di lealtà e di equità agevola lo sforzo ricostruttivo inteso a indentificare le pretese tutelabili attraverso il rimedio dell’azione di classe. Dall’unico comportamento dannoso si apre una strada ad un sistema protettivo conforme a un modello tipicamente duale o binario, costituito sia dalla tutela individuale che da quella collettiva. L’azione quindi si pone la finalità di venire incontro a pretese individuali, pur rimando in un ottica di salvaguardia dell’interesse comune. A non poter essere sottovalutato dunque è il tratto personalistico dell’interesse collettivo, l’intreccio tra situazioni soggettive riconosciute dalla legge ai singoli volte al raggiungimento di uno scopo comune; queste sono situazioni che danno luogo sul piano sostanziale ad una pluralità di posizioni di vantaggio di contenuto uguale ed egualmente orientate ma fra loro autonome e facenti capo a soggetti diversi. Esse scaturiscono dalla stessa condotta illecita e quindi si reclama una tutela giurisdizionale unitaria. Proprio per questo l’articolo 140 bis si struttura attorno a interessi individuali omogenei. La soluzione a questo conflitto sta nella pretesa da parte del singolo di essere stato soggetto di pregiudizio all’interno di un processo collettivo contraddistinto dal cumulo delle domande risarcitorie individuali. In tal modo si supera la palese incongruenza connessa alla scelta di voler garantire i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti promovendone la salvaguardia anche in forma collettiva e associativa; ciò infatti avrebbe finito per ostacolare la tutelabilità dell’interesse soggettivo. Non dovrebbe peraltro sfuggire che la ricostruzione proposta in ordine agli interessi tutelabili in forma collettivamente organizzata a fini risarcitori e restitutori contribuisce a marcare una differenza rispetto alle posizioni che assumono rilievo nel contesto della tutela inibitoria, dove la concezione classica dell’interesse collettivo sembra conservare validità. In altri termini, la norma all’articolo 140 bis anche nella sua più recente versione appare mal conciliarsi con l’esperibilità dello strumento rimediale in funzione della funzione di interessi diffusi. Per questo motivo si rivelerebbe opportuna una sintesi tra la previsione originaria e quella attuale in un punto di legittimazione autonoma e corrente in campo agli enti esponenziali. Le incongruenze del corredo lessicale e concettuale del dettato normativo non mancano di essere colte dall’attuale governo il quale, esplicitando il proprio intento di fare una modifica capace di ovviare ai rischi di difficile applicazione del regime protettivo, sottolinea che il requisito dell’identità del diritto ad una interpretazione rigorosa può rivelarsi nei fatti di scarsa configurabilità. Conformemente a tale finalità, il requisito dell’identità dei diritti tutelabili viene cancellato e al suo posto torna a campeggiare quello dell’omogeneità. Si dimostra con ciò piena avvedutezza dell’insanabile contrasto tra il concetto prescelto che rinvia alla mera comunanza degli elementi caratterizzanti le situazioni soggettive e quello disconosciuto che reclama invece l’uguaglianza sotto ogni profilo di dette situazioni. La soluzione avallata conferirebbe una forma sinteticamente ordinata dell’azione collettiva. Inoltre a perturbare l’orizzonte che l’opzione precettiva delinea interviene una condizione del tutto inattesa: nella versione definitiva del decreto legge (24 gennaio 2012) i presupposti di esercizio dell’azione non si ricollegano più all’avvenimento di diritti omogenei, ma di diritti del tutto omogenei ; inoltre nello scrutinio di ammissibilità della domanda, si demanda al giudice di valutare l’evidente omogeneità delle pretese fatte valere nel giudizio collettivo. Cosa debba intendersi per del tutto omogenei è questione che ripropone tutti i dubbi iniziali. Un progetto così ambizioso come quello di allargare le maglie dell’azione di classe in modo da trasformarla definitivamente in un efficace strumento di salvaguardia si è tradotto nell’adozione di un mero rafforzativo che nulla aggiunge, ma anzi molto sottrae nella prospettiva della chiarificazione ermeneutica. Paragrafo 15 Rimane da stabilire se il concetto di identità conservi tuttora uno spazio operativo. I diritti devono ritenersi omogenei laddove ad essere identici sono il petitum e causa petendi del procedimento instaurato. Il postulato si fonda però su una generalizzazione che non riesce a dar conto della complessità del fenomeno. Si pensi all’ipotesi che un prodotto difettoso si sia dimostrato nocivo per la saluta di una pluralità di consumatori; i soggetti danneggiati agiranno in forma collettiva. Se accoglie la domanda il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida ai sensi dell’articolo 1226 del codice civile le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione delle somme. L’organo giudiziario emetterà non già una sentenza di condanna, bensì di accertamento che si porrà come antecedente necessario alla fissazione del quantum debatur da compiersi in una fase successiva. La concreta riparazione in favore dei soggetti danneggiati anziché essere rinviata ad un separato giudizio, rimane comunque assorbita nel giudizio collettivo. Il procedimento è così articolato: - In una fase preliminare di scrutino dell’ammissibilità della domanda all’esito della quale il tribunale in composizione collegiale emette l’ordinanza ammissiva - Una fase di trattazione nel merito; questa fase si concluderà con la pronuncia di accoglimento della domanda - Una fase ulteriore di liquidazione dove la statuizione giudiziale in ordine al quantum spettante ai membri della classe Paragrafo 16 Una differenza va fatta tra petitum immediato e petitum mediato, dove col primo si identifica un provvedimento richiesto dal giudice mentre il secondo riguarda il conseguimento di un determinato bene giuridico. Si rivela dunque del tutto evanescente l’assunto derivante dall’ordinanza del tribunale di Roma del 11 aprile 2011 secondo la quale la teoria cumulativa non sarebbe teorizzabile laddove le questioni individuali da accertare superino la questione comune ai membri della classe e le caratteristiche dei diritti azionati impediscano una liquidazione dei danni omogenea ed unitaria per tutte le pretese potenzialmente azionabili. In base a questa lettura nel processo collettivo avrebbero cittadinanza unicamente i diritti individuali assolutamente identici. Un ordinanza del 27 gennaio 2012 afferma che l’azione divenga ammissibile soltanto laddove le posizioni dei singoli proponenti e dei possibili aderenti si alleino secondo una relazione simmetrica contraddistinta dalla minimizzazione delle differenze. Paragrafo 17 Alcune incaute scelte definitorie ex iure se pur nella loro inadeguatezza e insufficienza vengono ormai date per scontate e supinamente accettate sul piano speculativo. Alla base dell’atto di consumo vi è la persona la quale per effetto della peculiare iniziativa presa, acquisterebbe un autonoma qualificazione soggettiva, tale da reclamare un sistema di tutela capace di salvaguardarne le ragioni. Il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Una simile affermazione va incontro a rischi in quanto non è appagante, a meno che non venga integrata con l’affermazione che in consumatore diviene protagonista di una vicenda pattizia integralmente eterodeterminata e che lo vede costretto a piegarsi alla logica prendere o lasciare. Il legislatore nazionale dimostra ripetutamente di smarrire il senso dell’organica progettualità, in ragione alla rinuncia ad orientarsi al lume di un saldo principio ordinante a favore di un assetto precettivo non di rado frutto della stratificazione di interventi frammentari ed episodici. La mancanza di una visione unificante sembra impedire al legislatore di cogliere il rapporto di circolarità tra la parte e il tutto. L’opera chiarificatrice svolta in sede giurisprudenziale appare del resto parziale e limitata. Ma il problema più delicato che la novella legislativa in materia sottopone all’interprete è quello che concerne l’ardua opera di ricomposizione di molteplici frammenti di un regime giuridico che va parcellizzandosi in diversi ambiti di disciplina. Soltanto sul terreno dell’elaborazione dottrinale ed applicativa potrà sciogliersi il dubbio circa l’identificazione del criterio dirimenti in caso di antinomia: se debba attingersi al criterio della specialità o a quello dell’estensione in via analogica delle disposizioni che rispecchiano il favor per il consumatore. Se si impone il recupero della sistematicità degli interventi normativi che concorrono ad intessere una fitta trama di protezione nei confronti del consumatore è indubbio che un simile esito potrà essere favorito da un approccio che sappia predisporsi anche al ripensamento della tutela attuabile in forma collettiva. Un ordinamento effettivamente sensibile alla repressione dei contegni derivanti dagli schemi dell’honeste agere sarà tenuto a compiere un salto evolutivo verso un modello di protezione non più strettamente individualistico bensì capace di farsi carico delle ragioni dell’intera classe di persone esposte a riflessi dannosi della condotta multioffensiva. La recuperata centralità della persona aprirebbe la strada ad una visione unificante capace di giovare all’integrità del mosaico. Affrontando l’analisi con sano realismo è oggi possibile formulare che in attesa che quanto detto si realizzi ope legis, sia il giudice a consentire che la figura del consumatore riacquisti la sua colorazione personalistica attualmente sbiadita. Paragrafo 18 L’archetipo del danno punitivo ha trovato nell’aria nordamericana il terreno di più fecondo sviluppo. Ad una tale impostazione si è tradizionalmente dimostrata refrattaria la nostra esperienza giuridica; nel presente ordinamento infatti l’idea della punizione e della sanzione è estranea all’area del risarcimento del danno. Nell’articolo 140 comma VII si dice che il giudice nel fissare un termine per l’adempimento degli obblighi stabiliti dispone per il caso di adempimento la corresponsione di una somma per ogni inosservanza ovvero per ogni giorno di ritardo in relazione alla gravità del fatto. In questo articolo è insito una duplicità di interessi: uno di carattere individuale che postula l’iniziativa riparatoria volta ad eliminare gli effetti dannosi per il singolo consumatore della condotta illecita e uno di natura sovraindividuale che alimenta una pretesa punitiva di matrice pubblicistica. Così la tutela del soggetto debole passa attraverso al repressione della condotta lesiva. La tecnica sanzionatoria (articolo 27 e 140 del codice del consumo) si combina ad una tecnica strettamente mediale e consente per un verso all’ordinamento interno di allinearsi a quello sovranazionale e dall’altro di discostarsi dalla figura del danno punitivo. In assenza di reato e al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate ex lege, il pregiudizio di natura non patrimoniale è suscettibile di ristoro al cospetto della compromissione di un valore inerente alla persona presidiato a livello costituzionale. L’articolo 2059 postula la risarcibilità del danno anche laddove esso discenda dalla violazione di interessi primari della persona garantiti dalla carta fondamentale. Il referente dell’intervento protettivo ex iure è sempre il soggetto che quell’attività si volge a compiere. Ma è alla persona del consumatore che la controparte imprenditoriale deve: un contegno corretto, leale, trasparente ed equo; un adeguata informazione ed una corretta pubblicità; dei prodotti e dei servizi sicuri e di qualità; dei servizi pubblici conformi a standard qualitativi e di efficienza. Ed è parimenti alla persona del consumatore che il legislatore guarda allorquando proclama di volerne tutelare la salute, di volerne rafforzare l’educazione al consumo nonché di volerne promuovere la libertà di associarsi con il riconoscimento della rispettiva pretesa. La vittima dell’evento lesivo sarà legittimata a chiedere il ristoro del pregiudizio di carattere extra patrimoniale subito proprio in ragione della natura e della giuridica rilevanza dell’interesse vulnerato. L’esigenza di prevenzione sottesa alla risposta repressiva trova esplicito riconoscimento sul piano legale; infatti è lo stesso legislatore comunitario ad asseverare che il comportamento gravemente distonico rispetto al canone di buona fede reclama una sanzione non senza rinvigorire le finalità dissuasive della sanzione medesima. Paragrafo 19 le questioni ermeneutiche ancora aperte sul piano dello ius positum sembrano poter essere adeguatamente risolte riflettendo sul legame tra gli interessi collettivi e diritti fondamentali. Se infatti l’interesse che accomuna un gruppo di consumatori o di utenti si plasma per effetto ed in considerazione di un evento plurioffensivo da valutarsi come distonico rispetto ai valori primari, si apre la strada ad un’interpretazione estensiva della norma capace di coglierne tutte le potenzialità fattispecie che identificano le condizioni stesse di esercizio del rimedio. Lo strumento rimediale va incontro ad un ampliamento dei propri confini applicativi al punto da ricomprendere anche ipotesi di responsabilità da contratto sociale. La fonte dell’obbligazione risarcitoria è identificata nell’inosservanza dell’obbligo di protezione, quale obbligo deontologico cui si affida la salvaguardia degli interessi esposti a pericolo in occasione del contratto. L’azione ex art 140 bis potrà dunque ritenersi esperibile per il ristoro del pregiudizio subito da un gruppo di utenti a causa della negligente ed imperita condotta del personale medico od ausiliario operante in seno ad una struttura sanitaria. Non va però dimenticato il dato connesso alla territorialità dell’esplemento del servizio e della libera scelta dell’utente di fruirne al di fuori del suo luogo di residenza. Ciò può infatti far venir meno rispetto all’azienda ospedaliera la qualità di “professionista”. A sostegno di ciò ci sarebbe la circostanza per cui l’azienda in parola nel somministrare la prestazione sanitaria, non eserciterebbe un’attività tipicamente economica: il concetto di lucro non va inteso in senso soggettivo bensì oggettivo. Sostituendo al requisito soggettivo, connesso al profilo personale, un elemento di carattere oggettivo individuato nell’obbiettiva economicità dell’attività imprenditoriale, la nozione di legge finisce per attagliarsi pienamente a quell’attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi, che sia di per sé idonea a rimborsare i fattori mediante il corrispettivo di quanto si produce o si scambia. L’unica espressione che può essere utilizzata è dunque quella di “servizio di interesse economico generale”, espressione che fa riferimento a: un servizio che è fornito attraverso un’attività economica intesa in senso ampio, come qualsiasi attività che consista nel produrre beni e servizi in un determinato mercato - Un servizio che fornisce prestazioni considerate necessarie nei confronti di un’indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni La direttiva 2011724/UE richiama l’obbligo in capo agli stati membri di prestare sul loro territorio un’assistenza sanitaria sicura, di qualità elevata, efficiente e quantitativamente adeguata ai principi di universalità, di accesso a cure di elevata qualità e di solidarietà si ispira all’atto di solennizzare che l’assistenza transfrontaliera è prestata conformemente agli standard e agli orientamenti di qualità e sicurezza definiti dallo stato membro di cura, oltre che nel rispetto della normativa comunitaria in termini di standard di sicurezza. In ciò del resto riecheggia il riconoscimento operato dall’art 35 della carta di Nizza secondo cui nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un alto livello di protezione della salute umana. Vero è che per garantire la speditezza del processo sarebbe stato opportuno provvedere incidendo sulla possibilità per il giudice ordinari chiamato allo scrutinio di ammissibilità della domanda, di sospendere il giudizio allorquando sui fatti rilevanti ai fini di decidere sia in corso un’istruttoria dinanzi ad un’autorità indipendente. Paragrafo 20 Chi si interroghi alla luce dell’odierna configurazione del rimedio sulla sua idoneità ad assurgere a valido mezzo di repressione di contegni abusivi non potrà che rassegnarsi dinanzi alla contestazione che la rimodulazione normativa anziché predisporsi al pieno recupero dell’afflato solidaristico ha in realtà solo scalfito l’assetto precettivo di riferimento. L’azione potrebbe portare a compimento delle direttive di netta ispirazione deontologica. Tuttavia l’esecutivo non solo evita accuratamente di riarticolare nel senso di un deciso ampliamento i presupposti di esercizio dell’azione ma ripropone degli stilemi lessicali nei quali si esprime il distacco da quel patrimonio di concetti su cui si forgia la teoria stessa del diritto soggettivo. Che detta miopia non lasci presagire altro se non il prematuro declino dell’azione di classe corrisponde ad una valutazione affrettata. L’interprete potrà infatti orientarsi al lume dei sicuri referenti offerti da quelle direttive sistematiche che appaiono consolidate. Il giudice sarà chiamato ad uno sforzo esegetico qualificabile in termini post costruzione della norma e del suo apparato semantico, si da ovviare al pericolo di effetti distorsivi; l’organo giudiziale dovrà dunque accertare se la pretesa azionata nella singola fattispecie accomuni i membri della classe in funzione della titolarità di interessi omogenei. Ragioni di ottimismo risulterebbero accresciute per effetto del formarsi di una sensibilità Allegato 1: TRIBUNALE DI TORINO ordinanza del 4-06-2010 La banca convenuta applicava per l’utilizzo del fido (finanziamento concesso dalla banca) le commissioni per scoperto di conto (quando si va in rosso si paga un interesse in ragione della cifra e del tempo per cui si è stato in debito) nella misura di 2 euro per ogni giorno in cui sul conto si era determinato un saldo debitore e per ogni 1000 euro di saldo debitore; per l’extrafido (somme che superano il fondo alle quali viene applicato un tasso maggiore) erano imposte commissioni nella misura del 12,5‰ per il numero dei giorni in cui si era verificato lo scoperto. Tanto bastava perché l’attore potesse esperire l’azione di classe prevista dall’art 140 bis cod. consumo in quanto egli era titolare di un diritto individuale, omogeneo a quello degli altri consumatori ed utenti che si trovavano in una situazione identica. L’attore precisava che la condotta della banca integrava anche gli estremi di una pratica commerciale scorretta, che pure legittimava l’esperimento dell’azione di classe. Si configurava inoltre un comportamento anticoncorrenziale in ragione del fatto che tutti i grandi istituti bancari avevano tenuto la medesima condotta nel medesimo tempo e occasione. Sussisteva il danno economico in ragione dei maggiori e non dovuti costi addebitati per l’utilizzo de conto corrente e dell’affidamento. Il danno subito era pari a 250 euro, mentre il lucro cessante (corrispondente al mancato guadagno) era pari ad euro 1000. L’avvocato chiedeva che il tribunale dichiarasse ammissibile la domanda, accertasse la responsabilità della banca e accertasse il danno subito dall’avvocato. La banca ribatteva che in concreto il conto corrente era stato ampiamente utilizzato per scopi riferibili all’attività professionale di avvocato, pagando imposte a tali attività correlate, abbonamenti a riviste giuridiche e banche dati, incassando proventi per spese legali e accordi onorari. La banca precisava di aver mandato all’avvocato diverse lettere in data 25 maggio 2009 nella prima aveva comunicato l’introduzione della commissione per scoperto di conto, nella misura di euro 2 per ogni giorno in cui sul conto si era determinato un saldo debitore e per ogni 1000 euro di saldo debitore, fino a un massimo di euro 1000 a trimestre; nella seconda lettera la banca aveva comunicato di limitarsi ad applicare sul conto il tasso debitore di utilizzo oltre fido, in misura pari al 12,5% nel caso in cui sul conto corrente sul quale è stata concessa l’apertura di credito si determina un saldo debitore superiore all’importo dell’apertura di credito stessa. L’1 luglio 2009 la banca aveva abbassato tale tasso al 12%. Inoltre l’attore non poteva chiedere una pronuncia di mero accertamento in forza dell’azione di classe e tantomeno l’espulsione dal contratto delle clausole ritenute illegittime perché l’azione poteva dar luogo soltanto a una domanda di condanna. La convenuta deduceva ancora che non sussisteva il requisito all’identità dei diritti per cui veniva richiesta la tutela di classe. L’attore pretendeva di far riferimento alla generale ed ampia classe dei correntisti, quando si poteva trattare solo dei correntisti che fossero titolari di un conto corrente affidatario. Anche così la classe sarebbe stata eccessivamente differenziata perché il presunto danno sarebbe potuto derivare sia dall’applicazione di ulteriori e non dovuti costi, sia dalla limitazione della libertà negoziale, sia dalla forzata rinuncia all’utilizzo del fido o dalla forzata sua limitazione, sia dalla limitazione al pieno esplicarsi della vita di relazione. L’avvocato rilevava che il conto corrente era un bene neutro che non poteva in alcun modo essere ritenuto strumentale all’esercizio dell’attività economica dell’impresa. Anche ammettendo che l’uso promiscuo del bene potesse essere ritenuto estraneo alla qualità di consumatore, occorreva far riferimento alla finalità che lega il bene oggetto del contratto all’attività professionale, nesso che non può che avere carattere marginale. Aggiungeva l’avvocato che la domanda fatta dalla controparte relativa alla domanda di concessione di fido era illegittima perché egli era stato obbligato a rendere dichiarazioni non conformi a verità e cioè che l’affidamento era riferibile alla sua attività professionale. Egli sarebbe stato inoltre idoneo a rappresentare la classe come sopra definita perché tutte queste violazioni derivano da una clausola nulla e la loro diversificazione dipendeva soltanto dalle diverse modalità con cui tale nullità si era atteggiata. La classe andava individuata con riferimento a tutti i correntisti della convenuta e non soltanto con riguardo a quelli affidati perché non esisteva un contratto di affidamento autonomo rispetto al contratto di conto corrente. La presenza dell’affidamento era una mera circostanza causale che poteva venir meno in qualunque momento. La commissione per scoperto di conto era illegittima perché si applicava immediatamente al realizzarsi dello scoperto e dunque in violazione della regola stabilita dall’art 2 bis 2/09 che prevede che il saldo del cliente debba risultare a debito per un periodo continuativo non inferiore a trenta giorni. Quanto al T.U.O.F. esso veniva apiato in caso di sconfinamento dell’intero porto del saldo debitorio e non soltanto sull’importo utilizzato oltre l’ammontare dell’apertura del credito. L’avvocato inoltre si doleva che fossero stati prodotti dalla convenuta alcuni documenti contenti l’indicazione di tutte le operazioni da lui effettuate sul conto corrente con indicazione dei relativi destinatari e della causali produzione che acquisiva il carattere di diffusione di dati sensibili. Chiedeva pertanto al presidente del tribunale di dichiarare l’illegittimità del trattamento dei dati personali effettuato dalla convenuta e di disporne la trasformazione in forma anonima e/o il blocco. La banca rispondeva che la legge 2/09 non aveva posto alcuna limitazione alla remunerazione del credito bancario tramite l’applicazione degli interessi debitori, nel cui ambito rientrava la disciplina del T.U.O.F. che comunque dipendeva sia dall’effettivo utilizzo dei fondi che dalla durata dello stesso. Il tribunale inoltre si pronunciò sulla questione relativa MOTIVI DELLA DECISIONE 1. L’art 140 bis riconosce l’azione di classe per la tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori ed utenti. Occorre dunque ai fini della legittimazione attiva che attore sia un consumatore o utente. L’art 3 ci da la definizione di consumatore come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Si preferisce, invece, attribuire la legittimazione a ciascun consumatore o utente, a condizione che la posizione giuridica soggettiva da lui vantata sia caratterizzata da omogeneità rispetto a quella degli altri componenti della classe. A tale requisito si aggiunge quello dell’individualità del diritto vantato. Ancora va sottolineato che l’art 140 bis non crea nuovi diritti ma disciplina soltanto un nuovo mezzo di tutela, l’azione di classe, che si aggiunge alle azioni individuali già spettanti ai singoli. Costoro rimangono liberi di agire coi mezzi della tutela individuale preesistenti. In sede di ammissione il tribunale è chiamato a valutare l’ammissibilità della domanda cioè a stabilire se: - Il proponente appaia in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe - i diritti siano identici - non sussista conflitto di interessi in capo al proponente - la domanda sia manifestatamente infondata L’ammissibilità della domanda presuppone dunque la sussistenza delle condizioni dell’azione. Ne deriva che l’attore per potersi legittimare deve essere prima di tutto titolare del diritto individuale, omogeneo che caratterizza la classe che vuole rappresentare 2. Una più ampia legittimazione sarebbe giustificata dalla necessità di non privare di tutela soggetti che pur non rivestendo la qualità di consumatore in senso stretto si trovano tuttavia nella posizione di soggetto debole. La qualità di consumatore tuttavia consente di individuare in capo al soggetto tutelato quella condizione di soggetto debole che altrimenti non potrebbe essere verificata caso per caso. 3. Deve pertanto escludersi che l’avvocato non abbia i requisiti per essere qualificato come consumatore. Va osservato in primo luogo che non pare accoglibile la tesi sostenuta da parte attrice sul carattere neutro del conto corrente in quanto utilizzato ed utilizzabile con riferimento a qualunque attività non potrebbe di per se individuare la figura del professionista. Ne deriva che determinati beni personali non sono riferibili all’attività professionale non perché abbiano carattere neutro, ma perché il loro utilizzo non è significativo dell’impiego della professione essendo essi relativi a primarie esigenze di vita della persona. Perché ricorra la figura del professionista non è necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione essendo sufficiente che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale. Occorre ancora sottolineare che la qualità del consumatore deve sussistere al momento della pronuncia del giudice. Anche le operazioni di carattere professionale annotate sul conto nell’anno 2009 sono scarsamente significative: tali operazioni sono infatti anteriori all’instaurazione del giudizio ed assumono un valore indiziario dell’aver operato sul conto anche successivamente in qualità di professionista senza poter dimostrare compiutamente la situazione in essere all’atto di proposizione della domanda. Si tratta poi di operazioni di numero ed ammontare limitato. 4. L’art 2 bis legge 2/09 ha vietato la commissione di massimo scoperto. Nel vietare tale clausola il legislatore non ne ha definito il contenuto. La banca d’Italia nelle istituzioni ha recentemente definito la commissione di massimo scoperto come il corrispondente pagato dal cliente per compensare l’intermediario dall’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto di contro. Tale compenso viene calcolato sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento. La C.S.C. si applica ai soli correntisti non affidati e dunque non all’attore gode di un’apertura di credito in conto corrente sino all’ammontare di 15.000 euro. Per i conti affidati la convenuta ha invece introdotto il T.U.O.F. o tasso di debitore di utilizzo oltre fido applicato in misura pari al 12,5% poi ridotti al 12% nel caso in cui sul conto corrente è concessa l’apertura di credito si determina un saldo debitore superiore all’importo dell’apertura di credito stessa. Di conseguenza l’attore non risulta legittimato ad impugnare la validità di tale pattuizioni contrattuale, difettando in capo allo stesso l’interesse ad agire in quanto allo stato egli non è stato in alcun modo leso nei suoi diritti dall’introduzione di tale disciplina. È poi quasi superfluo aggiungere che non può ricavarsi dall’esistenza di altri correntisti deve in primo luogo essere individuato in capo al proponente soltanto in un secondo momento dovendosi verificare se l’esistenza di altri correntisti in ipotesi lesi dalla clausola commissionale posto che deve essere in primo luogo individuato in capo al proponente, soltanto in un secondo momento dovendosi verificare se l’esistenza del medesimo interesse in capo ad altri soggetti portatori del medesimo diritto consenta di ravvisare l’esistenza della classe. Per quanto concerne il T.U.O.F. l’attore è privo di un interesse concreto ed attuale a far valere la nullità della clausola contrattuale. L’azione dichiarata dall’avvocato va considerata inammissibile. Allegato 2: CORTE DI TORINO ordinanza del 27-10-2010 1. L’avvocato intratteneva con la banca convenuta il rapporto di conto corrente . A seguito dell’introduzione in forza dell’art 2 bis d.l. 29 novembre 2008 n. 185 convertito in legge 29 febbraio 2009 n 2 del divieto di applicazione della commissione di massimo scoperto, la banca convenuta aveva applicato alla clientela nuove commissioni sostitutive da ritenersi a loro volte illegittime. In particolare dalla proposta unilaterale di modifica unilaterale di contratto di conto corrente emessa dalla banca l’11 maggio 2009 era risultata l’introduzione dei seguenti nuovi istituiti contrattuali: - Con riguardo ai conti non affidati, commissione di scoperto di conto cosi disciplinata: 2 euro al giorno per ogni euro 1000 di saldo debitore o frazione fino ad un massino di 100 per trimestre solare - Con riguardo ai conti affidati, tasso debitore annuo nominale sulle somme utilizzate applicato sull’intero importo del credito utilizzato dal cliente e non soltanto sull’importo utilizzato oltre l’ammontare dell’apertura del credito. È applicato solo per il numero di giorni in cui lo scoperto si è verificato - Con riguardo ai tassi affidati, commissione per la messa a disposizione dei fondi, applicata al termine di ogni trimestre solare alla media dell’importo complessivo dei fidi in essere durante il trimestre stesso Tali commissioni erano illegittime sia perché ripristinatorie delle vecchie commissioni di massimo scoperto sia perché fatte oggetto da parte della banca di una pratica commerciale scorretta e di un comportamento anticoncorrenziale derivante dalla loro contemporanea adozione da parte di tutti i più importanti istituti di credito. L’azione indotta dall’avvocato rivestiva tutti i caratteri dell’azione di classe, trattandosi nella specie di tutelare un suo diritto individuale del tutto omogeneo a quello di altri consumatori ed utenti che si trovavano in una situazione identica alla sua. La domanda era inammissibile sia perché manifestatamente infondata dal momento che il soggetto esercitava la professione di avvocato ed aveva utilizzato il conto corrente in oggetto anche per ragioni inerenti a tale professione, sicchè egli non poteva essere considerato un consumatore La circostanza che la banca avesse ritenuto di applicare anche all’avvocato le nuove condizioni contrattuali previste per i clienti consumatori dipendeva da una scelta meramente prudenziale L’istituto dell’azione di classe era stato invocato poiché le nuove clausole contrattuali illecite erano state adottate prima dell’entrata in vigore; inoltre con l’azione di classe l’attore poteva formulare unicamente una domanda di condanna, non anche di mero accertamento né di espunzione del contratto delle clausole ritenute illegittime. Come risultava dagli estratti conto e dalla comunicazione 15 ottobre 2009 al soggetto erano stati applicati sul conto corrente in oggetto i soli interessi debitori non anche le commissioni Le commissioni di nuove introduzione erano comunque del tutto lecite Tesi del soggetto L’avvocato non si era avvalso del conto corrente in oggetto se non per fare fronte alle esigenze della sua attività professionale La nozione di consumatore doveva essere interpretata in senso ampio, anche in ragione della indubbia qualità di parte debole che il correntista inevitabilmente assumeva nei confronti della banca La classe di riferimento andava individuata in tutti i correntisti Le nuove commissioni erano illegittime in quanto riproduttive delle commissioni di massimo scoperto in contrasto col divieto di legge 2. Il tribunale di Torino con ordinanza 4 giugno 2010 dichiarava inammissibili le domande proposte dall’attore ex art 140 bis, compensava integralmente le spese di lite, ordinava la pubblicazione a spese dell’attore sul quotidiano il sole 24 ore. Rileva il primo giudice che : - L’art 140 bis attribuiva la legittimazione ad agire a chi rivestisse la qualità di consumatore, qualità che l’avvocato non aveva - Anche se il soggetto fosse legittimato sotto la categoria di consumatore, difettava di interesse ad agire poiché nessuna delle nuove commissioni introdotte dalla banca convenuta gli era stata applicata, nè la commissione di scoperto di conto era prevista solo per i conti non affidati, nè il tasso extrafido 3. Con atto depositato l’8 luglio 2010 si fa presente: - un erronea esclusione delle contestate commissioni dall’alveo della commissione di massimo scoperto e dunque erronea esclusione della loro illegittimità sotto tale profilo, non avendo il tribunale considerato che la banca convenuta aveva reintrodotto forme di remunerazione e di compenso sullo scoperto in tutto e per tutto equiparabili alle soppresse commissioni di massimo scoperto, con ciò contravvenendo ad un principio di ordine generale. - un erroneità delle statuizioni in punto di novità della domanda posto che la nullità contrattuale poteva e doveva essere rilevata d’ufficio dal giudice - un erronea affermazione di carenza di interessa da agire per mancata applicazione in concreto delle clausole d’esame: l’interesse ad agire infatti può essere anche dato dalla sola eliminazione di una clausola contrattuale nulla, fonte di ingiusti obblighi o condizioni di soggezione a prescindere dalla circostanza se al momento dell’instaurazione del giudizio tale clausola sia stata già applicata o sia già suscettibile di concreta applicazione nei confronti dell’attore. - che il T.U.O.F. veniva applicato sull’intero importo del saldo debitore e non soltanto sull’importo utilizzato oltre l’ammontare del fido concesso - che la commissione per la messa a disposizione dei fondi fosse anch’essa illegittima perché introdotta in assenza di previo accordo scritto Il tribunale aveva sbagliato ad attribuire al soggetto la qualità di consumatore dato che: - tale qualità non integrava una condizione dell’azione che doveva sussistere al momento della pronuncia bensì un aspetto di merito che doveva sussistere al momento dell’instaurazione con la banca del rapporto dedotto in giudizio - il tribunale non aveva adeguatamente considerato che proprio l’accensione ad hoc di nuovo rapporto di conto corrente per l’attività professionale dimostrava che quest’ultima veniva condotta mediante l’utilizzo del conto corrente dedotto in giudizio Con atto depositato l’11 ottobre 2010 interveniva il procuratore generale il quale concludeva per l’ammissibilità della domanda attorea, atteso che: - l’interesse ad agire era insito nell’obiettivo di rimuovere una situazione di incertezza giuridica oggettiva ed attuale - la domanda era manifestatamente infondata, in quanto finalizzata ad espungere forme di remunerazione che avevano di fatto sostituito, surrettiziamente e in frode alla legge, le commissioni di massimo scoperto - la qualità di consumatore era stata riconosciuta in capo all’attore così come nel suo intero svolgimento - l’individuazione dei componenti della classe era immediata, con riguardo a tutti i clienti della banca convenuta che avevano ricevuto la comunicazione della nuova disciplina delle commissioni sostitutive 4.1 Il reclamo è infondato. L’errore sarebbe consistito non solo nell’aver incluso l’asserita insussistenza di un danno risarcibile nell’ambito dell’interesse ad agire piuttosto che della manifesta infondatezza della domanda ma anche nel non aver considerato che l’interesse ad gire può essere ravvisato anche solamente nell’obiettivo concreto ed attuale di rimuovere una situazione di incertezza giuridica circa la sussistenza, validità, efficacia di una clausola contrattuale in quanto l’interesse ad agire potrebbe fondarsi anche sulla eliminazione della clausola contrattuale nulla, fonte di ingiusti obblighi o condizioni di soggezione. Se è vero che la norma attribuisce espressamente al consumatore utente il diritto di proporre l’azione di classe per l’accertamento della responsabilità dell’impresa altrettanto indubbio è il possibile ottenimento di una sentenza di condanna al risarcimento del danno e alla restituzione. Nel 12 comma si stabilisce espressamente che l’accoglimento della domanda implica la pronuncia di una sentenza di condanna con la quale il giudice deve o liquidare ex art 1226 le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilire un criterio omogeneo di calcolo per tale liquidazione. Lo stesso 12 comma prosegue nell’attribuire alla sentenza in questione un carattere, quello di provvisoria esecutività, decorsi 180 giorni dalla pubblicazione. Nel 13 comma il legislatore si prescrivendo che la corte d’appello richiesta di tale sospensione debba tener conto dell’entità complessiva della somma gravante sul debitore, del numero dei creditori, nonché delle connesse difficoltà di ripetizione in caso di accoglimento. Nel 14 comma si stabilisce che dopo la scadenza el termine di adesione non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa. 4.2 L’avvocato sostiene che la carica dirompente dell’istituto e la sua diretta derivazione dal diritto comunitario, oltre che dall’esperienza giuridica degli ordinamenti stranieri più avanzati, richiederebbero al giudice uno sforzo interpretativo di pari livello originalità, così da svincolarsi dagli asfittici criteri ordinari di interpretazione normativa. È individuabile nel legislatore l’intento di cautamente introdurre con l’azione di classe determinati limiti di operatività che il giudice non potrebbe in alcun modo valicare in tale prospettiva va ascritta la finalizzazione dell’azione di classe alla sola tutela di tipo risarcitorio ovvero restitutorio. L’azione di classe è e rimane un azione individuale aperta all’adesione di una pluralità di altri soggetti che si trovino in possesso di prestabiliti requisiti soggettivi e oggettivi di uniformità; essa non crea diritti ma si limita ad estendere la tutela giudiziale in presenza di determinati presupposti sostanziali e processuali a tutti i componenti di una classe di consumatori che si trovino nei confronti della stessa impresa in una situazione identica così da apprestare una più agevole tutela. L’azione di classe è e rimane un’azione meramente facoltativa. Ebbene, questa finalità si attaglia perfettamente alla tutela di tipo risarcitorio. 5.1 Trattandosi dunque di azione risarcitoria, non può l’avvocato introdurre l’azione di classe per semplicemente contestare la sussistenza del diritto della banca di inserire e far valere nel rapporto di conto corrente le clausole istitutive delle nuove commissioni. Occorre, invece, che l’azione di classe venga proposta al fine di ottenere un risarcimento ovvero una restituzione. All’avvocato non è mai stata applicata sul conto corrente nessuna delle clausole in questione (non la commissione di scoperto di fondi né quella per la messa a disposizione dei fondi); per quanto riguarda la commissione sull’extrafido possono ritenersi sussistenti i presupposti per la sua futura applicazione ma è lo stesso attore a riconoscere di non aver sborsato nulla e di non essere stato richiesto dalla banca in sede di chiusura annuale del conto di alcun esborso di tale titolo. Né potrebbe sostenersi la rilevanza degli eventi posteriori in termini di semplice possibilità di applicazione della clausola illecita perché così facendo la domanda risarcitoria verrebbe a fondarsi su una mera ipotesi priva di tutela. La mancanza di un danno risarcibile si evince chiaramente dalla stessa prospettazione dell’attore, il quale ha dedotto in giudizio una tipologia così classificabile di pregiudizio causalmente derivato dall’introduzione delle clausole contrattuale illecite: - danno in re ipsa da adozione da parte della banca convenuta di una pratica commerciale scorretta, ovvero di un comportamento anticoncorrenziale - danno definito economico derivante dalla grave lesione di diritti contrattuali dei consumatori danno definito economico e morale da limitazione di libertà negoziale dei clienti a seguito dell’applicazione dei più elevati costi di servizio di conto corrente - Danno definito patrimoniale, esistenziale, biologico ed alla vita di relazione conseguente all’introduzione di clausole illecite Quanto alla componente non patrimoniale è vero che se ne ammette la risarcibilità anche in ambito contrattuale, ma a condizione che: - L’interesse leso e non il pregiudizio sofferto abbia rilevanza costituzionale - La lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità - Il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari come quello alla vita o alla felicità 5.2 Vi è da chiedersi quale sia la soglia di deliberazione della fondatezza/infondatezza della domanda attingibile nella presente fase di ammissibilità. I principi esposti per questa sentenza non paiono generalizzabili avendo il giudice preso in considerazione una materia del tutto peculiare, anche perché segnata da interessi personalistici ed applicazioni tecnologiche del tutto avulse dall’ambito consumeristico di classe. 5.3 Il giudizio di manifesta infondatezza può qui basarsi non già sull’esito di particolari accertamenti o di sommarie valutazioni probatorie dei documenti prodotti, ma anche soltanto sulla stessa prospettazione che l’attore ha fornito e più volte ribadito tanto dei fatti costitutivi della domanda quanto del ventaglio di danni da lui asseritamente riportati e di cui ha chiesto il risarcimento, il che equivale a dire che la manifesta infondatezza della domanda è adirittura autoevidente. 6. L’affermazione di manifesta infondatezza della domanda finisce con l’assorbire ogni altro aspetto controverso. Ne segue il rigetto del reclamo. Allegato 3: CORTE D’APPELLO DI TORINO ordinanza del 23-9-2010 Rilevato in fatto - Che due soggetti titolari di conti correnti non affidati convenivano in giudizio, in proprio e mediante una mandataria, la banca chiedendo l’accertamento della nullità delle clausole relative alla commissione di massimo scoperto e della penale di passaggio a debito per i conti correnti non affidati e per il periodo successivo la nullità della commissione per scoperto di conto, nonché la condanna della banca convenuta alla restituzione delle somme loro addebitate in eccedenza ed al risarcimento del danno. - Che i medesimi prospettavano questioni di legittimità costituzionale - La banca eccepiva l’infondatezza delle questioni di legittimità prospettate e l’inammissibilità delle domande proposte - Che il P.M. intervenuto concludeva per l’ammissibilità dell’azione - Che il tribunale: Aveva chiesto la sospensione del giudizio stesso o una sua improcedibilità temporanea Aveva ritenuto inammissibile la domanda per un difetto di legittimazione attiva Aveva ravvisato l’evidente incapacità dei tre consumatori attori ad idonea cura degli interessi della classe, per l’apertamente dichiarata propria inadeguatezza patrimoniale a sostenere i costi, comportante l’inammissibilità della loro domanda ed assorbimento delle altre questioni - Che i soggetti avevano fatto reclamo con sentenza depositata il 28 maggio 2011. Ma questa non era stata accolta Osserva in diritto Con il primo motivo di gravame i reclamanti deducono violazione e falsa applicazione dell’art 77 in quanto fattispecie di rappresentanza processuale estranea all’ipotesi prevista dall’art 140 bis d. lg. 206/2005 siccome del tutto nuova, autonoma, speciale; eccepisce la banca l’infondatezza del mezzo per la legittimazione individuale all’esercizio dell’azione e non anche di associazioni e comitati abilitati solo in quanto mandatari. Con il secondo motivo di gravame essi deducono erronea interpretazione dell’art 77 per avere il tribunale escluso l’ammissibilità della presenza nello stesso processo del rappresentante e del rappresentante; eccepisce la banca l’infondatezza del mezzo per la legittimazione primaria del rappresentato, preclusiva della concorrenza, nello stesso processo di quella soltanto secondaria del rappresentato. Con il terzo motivo di gravame i reclamanti deducono la sussistenza di un potere di rappresentanza sostanziale; eccepisce la banca l’infondatezza del mezzo per l’inesistenza di alcun potere sostanziale ma solo processuale. Con il quarto motivo di gravame i reclamanti deducono l’erronea esclusione dal tribunale della capacità dei tre consumatori attori alla adeguata cura degli interessi della classe, senza neppure indagare l’eventuale esistenza tra questi e l’associazione mandataria di un rapporto sostanziale di sostegno nella gestione dell’azione di classe, indipendentemente dalla sua presenza nel processo; eccepisce la banca l’infondatezza del mezzo per la comprovata idoneità dei due soggetti a farsi carico da soli dei costi dell’azione per condizioni economiche deficitarie. Con il primo motivo di gravame la banca deduce l’inadeguatezza a carico degli attori reclamati alla cura adeguata dell’interesse di classe. Con il secondo motivo di gravame la banca deduce un conflitto di interesse tra i soggetti e gli altri componenti della classe dei correntisti non affidati. Con il terzo motivo di gravame la banca deduce la temporanea improcedibilità dell’azione per la pendenza di altra azione di classe per i medesimi fatti. Volendo la corte sgombrare subito il campo della deduzione, ha stabilito che quella del primo giudice sono supposizioni del tutto personali che certamente non costituiscono impianto argomentativo a fondamento della sua decisione. In ordine al primo motivo di gravame, un rimedio giustiziale può essere individuato non soltanto nel contenuto del provvedimento finale ma anche dalle modalità del provvedimento aventi, come nel caso in esame, una rilevanza sul piano sostanziale. In questo modo possiamo dare un contributo all’adeguatezza della risposta giurisdizionale ad un determinato bisogno di tutela, in riferimento a situazioni di illegittimità generalizzate ed anche gravi, ma di scarso peso economico sulla posizione del singolo, in tal modo giustiziabili per facilitazione dipendente dalla collettivizzazione dei costi, altrimenti antieconomici per il singolo consumatore. In questo modo il rapporto tra componente della classe ed associazione investe il piano della rappresentanza processuale mera, riconducibile al genus della rappresentanza tecnica, senza alcuna interferenza sulla titolarità né sulla disponibilità del rapporto sostanziale dedotto con l’azione risarcitoria. In ordine al secondo motivo di gravame relativa all’inammissibile presenza nello steso processo del rappresentante e del rappresentato la corte ha decreto che appare possibile la coesistenza di entrambi senza alcuna concorrenzialità alternativa. In ordine al primo motivo di gravame accidentale relativo ad idoneità dell’associazione alla cura adeguata dell’interesse della classe, la corte ne ravvisa l’infondatezza. In ordine al secondo motivo di gravame relativo al conflitto di interessi tra i due soggetti e gli altri componenti della classe dei correntisti la corte non può che rilevarne la prospettazione che rende palesemente infondata la doglianza; la condizione di conflitto di interessi infatti presuppone l’effettiva divaricazione di situazioni giuridiche positivamente tutelabili tra loro contrastanti in relazione al comune interesse. In ordine al terzo motivo di gravame relativo a temporanea improcedibilità dell’azione la corte condivide pienamente le argomentazioni svolte dal tribunale. Tuttavia tale disciplina può essere applicata ai solo conti correnti non affidati; l’avvocato è però titolare di un conto corrente assistito da un affidamento pure utilizzato, per cui il presente mezzo è stato rigettato. I due soggetti lamentano la nullità della clausola contrattuale avente ad oggetto la commissione per scoperto di conto; tuttavia sono stati eseguiti soltanto gli incassi delle somme dovute dai clienti in forza delle nuove clausole contrattuali, costituenti meri effetti consequenziali della stipulazione integrante fatto illecito. L’illecito compiuto è di natura contrattuale in quando dipende dall’esecuzione della modifica clausola contrattuale di conto corrente in virtù della sua applicazione per addebito della commissione per scoperto di conto. Quanto, infine, alla contestazione di inammissibilità dell’azione per difetto di identità di diritti questa corte ne ravvisa l’infondatezza; l’identità dei diritti individuali non deve essere intesa secondo un improponibile senso letterale ma piuttosto armonizzata con la previsione di omogeneità di tali diritti. La corte d’appello dichiara ammissibile l’azione di classe proposta dai due soggetti. Allegato 4: TRIBUNALE DI MILANO ordinanza del 20-12-2010 Osserva A. Va quindi deciso se è ammissibile o meno riconoscere alle parti un ordinario potere di precisare e modificare le proprie domande. In particolare parte attrice ha chiesto di poter depositare una propria memoria di replica alle deduzioni di controparte. Il collegio ha ritenuto di poter senz’altro ammettere entrambe le parti al deposito di memorie integrative. Il collegio si deve limitare a richiedere la pronuncia di una immediata ordinanza in tema di ammissibilità ma senza innovare per il resto nella disciplina dell’udienza, laddove la peculiarità dell’intero procedimento è piuttosto nella maggiore snellezza del rito piuttosto che in una radicale compressione dei diritti delle parti. B. Il collegio ritiene che nel formulare una domanda ex art 140 (in modo conforme alle richieste di merito o formulata dall’attore per la prima volta nella propria memoria autorizzata di replica) non abbia fatto in realtà che precisare opportunamente gli esatti contorni di una domanda già ritualmente proposta in sede di atto introduttivo del giudizio sulla base di una duplice e distinta causa petendi. C. Il collegio ritiene di dover escludere l’ammissibilità della domanda ex art 140 con conformi richieste di merito in quanto azione programmatrice rivolta nei confronti del produttore in relazione a caratteristiche proprie del prodotto immesso sul mercato, laddove indiscutibilmente l’odierna convenuta risulta essersi limitata alla messa in commercio , distribuzione e conseguente pubblicizzazione del prodotto contestato. D. A diversa conclusione si ritiene invece di dover arrivare per quanto attiene ai profili esaminati precedentemente in relazione al denunciato utilizzo da parte della convenuta di pratiche commerciali in tesi scorrette. Si ritiene che a fronte dell’inequivoca formulazione della domanda di parte attrice in termini di inganno effettivamente patito, gli elementi di carattere presuntivo prospettati da parte convenuta per confutare l’effettiva posizione di consumatore possano reputarsi in fatto tali da precludere l’avvio di un ordinario contraddittorio tra le parti. Per tali motivi si ritiene in definitiva che sussistano i presupposti per l’ammissibilità della domanda di parte attrice e per l’adesione alla stessa di tutti i consumatori che abbiano acquistato il prodotto in questione sulla base delle indicazioni fornite dal foglio illustrativo del prodotto. Allegato 5: CORTE DI APPELLO DI MILANO ordinanza del 3.5-2011 Rilevato che: Si chiede l’ordinanza di ammissibilità dell’azione di classe esercitata da un tale e si chiede che il convenuto risarcisca i danni pagando una somma determinata ai sensi dell’art 96 Osservato in generale che : L’art 140 bis disciplina l’azione di classe quale nuovo mezzo di tutela dei diritti individuali omogenei. Con l’azione di classe il legislatore ha inteso raggiungere tre obiettivi: consentire l’accesso alla giustizia ai consumatori e quindi la riparazione dei danni provocati da illeciti di massa, colpire gli illeciti e quindi costruirne un deterrente, realizzare l’economia processuale garantita dalla gestione in un solo giudizio di una molteplicità di pretese individuali omogenee e seriali. La domanda introduttiva dell’azione in esame deve essere proposta con atto di citazione al tribunale ordinario del capoluogo o della regione in cui ha sede l’impresa. All’esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull’ammissibilità della domanda; in particolare in tale fase preliminare procede a valutare se: 1. la domanda sia manifestatamente infondata 2. sussista un conflitto di interessi in capo al proponente 3. i diritti individuali tutelabili ai sensi del 2 comma siano identici 4. il proponente sia in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe Il proponente deve essere innanzitutto un consumatore ossia una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta e deve appartenere alla classe dei danneggiati. In tal caso egli può agire direttamente o per il tramite di associazioni cui da mandato o di comitati cui partecipa per la tutela dei diritti individuali omogenei. Il consumatore proponente deve essere titolare in proprio e personalmente del diritto individuale omogeneo che caratterizza la classe che intende rappresentare. Non deve poi trovarsi in una situazione di conflitto di interessi con la classe dei danneggiati. Deve essere in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe. Il secondo comma dell’art 140 bis individua specificamente i diritti a tutela dei quali l’azione può essere intrapresa: - i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica - i diritti identici spettanti ai consumatori finali nei confronti del produttore - i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali Ritenuto che: I motivi di reclamo non possano essere accolti poiché l’operato del tribunale è del tutto condivisibile laddove, quale non può non essere quello svolto sulla sola base degli atti, in assenza di istruttoria, all’unico fine di evitare azioni manifestatamente infondate a tutela di diritti non rientranti tra quelli tutelabili con l’azione di classe da parte di soggetti che non rivestano la qualifica di consumatori, ha espresso un giudizio di ammissibilità dell’azione di classe nei confronti della società distributrice di un test le cui pubblicizzate qualità sembra non rispondano a quelle reali. Infatti: 1. nel regolamentare il procedimento il legislatore ha specificato che l’azione di classe deve avere inizio con atto di citazione 2. la prima udienza in giudizio è dunque chiaramente ed unicamente dedicata alla discussione tra le parti in ordine alla ammissibilità dell’azione 3. la trattazione orale è stata prevista in funzione di una maggiore celerità del procedimento 4. la scelta di trattare per iscritto le questioni controverse è una questione di mera opportunità 5. il tribunale invitando le parti a depositare memorie scritte non ha violato alcuna disposizione di legge 6. ancora il tribunale non ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato concedendo il termine per memorie in assenza di istanza 7. ancor meno può dirsi violato il principio per cui bisogna accertare e dichiarare con ordinanza all’esito della prima udienza l’ammissibilità della presente domanda 8. non merita alcuna sanzione l’avvenuto deposito di due memorie autorizzate, l’una carente di documentazione indicata come offerta in comunicazione ed allegata l’altra accompagnata dai documenti indicati come offerti in comunicazione 9. il tribunale ha giudicato della ammissibilità della domanda ex art 140 bis lett sulla base di quanto dedotto con l’atto di citazione e della domanda ex art 140 bis lett con conformi richieste di merito 10. l’esame e la conseguente pronuncia circa l’ammissibilità della domanda non viola alcun principio essendosi risolta nel legittimo esercizio da parte del giudice del potere di qualificare giuridicamente la domanda sulla base dei fatti tempestivamente dedotti dalle parti 11. il tribunale ha quindi correttamente proceduto alla valutazione circa l’ammissibilità dell’azione di classe a) la situazione dedotta in giudizio ha legittimazione ad causam cioè consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa; il difetto di titolarità deve essere provato da chi lo eccepisce b) a fronte dell’inequivoca formulazione della domanda di parte attrice in termini di inganno effettivamente patito, gli elementi di carattere presuntivo prospettati da parte convenuta per confutare l’effettiva prestazione di un ordinario contraddittorio non possano reputarsi in fatto tali da precludere l’avvio di un ordinario contraddittorio tra le parti, secondo ordinari oneri di deduzione e di prova facenti capo a ciascuna delle parti da concludersi quindi con un giudizio pieno di merito su tutti quanti gli elementi costitutivi della pretesa azionata c) la corte non ravvisa la lamentata non proponibilità dell’azione di risarcimento per azione di procura d) non è ravvisata la denunciata situazione di conflitto di interessi e) è condivisibile la denunciata situazione di conflitto di interessi f) è condivisibile la non adeguatezza della cura degli interessi della classe espresso dal tribunale g) non è condivisibile la richiesta di separazione della pronuncia di inammissibilità il reclamo e le domande proposte dai soggetti sono rigettate allegato 6: TRIBUNALE DI ROMA ordinanza del 25-03-2011 Il soggetto era titolare presso la banca di un conto corrente .affidato per euro 4500. Tale banca aveva applicato nuove condizioni economiche denominate spese recupero costi operazione in assenza di provvista, corrispettivo per il servizio di disponibilità immediata fondi e commissione utilizzi oltre il limite del fido. Si chiede la nullità e la condanna della banca al risarcimento del pregiudizio subito nella misura di 200 euro quanto al danno patrimoniale e di 9000 euro quanto al danno patrimoniale. La banca chiedeva l’inammissibilità dell’azione di classe promossa dall’attore in quanto l’attore difetta della legittimazione attiva e in ogni caso è rappresentativo della classe per la quale assume di agire in giudizio. All’udienza collegiale del 23/12/2010 il sostenuto procuratore intervenuto concludeva per la non manifesta infondatezza dell’azione e il giudice riservava la pronuncia del provvedimento assegnando a parte attrice termine di 30 giorni per il deposito di note illustrative ed a parte convenuta ulteriori 30 giorni per repliche. DIRITTO Sull’istanza di riunione Diversi appaiono gli elementi oggettivi caratterizzanti le azioni introduttive delle due cause; in particolare risulta la causa petendi. La diversità delle situazioni giuridiche incide sulla tipologie delle clausole alla cui applicazione i due attori sono sottoposti Sull’ eccezione di inammissibilità dell’azione di classe per difetto di legittimazione attiva e carenza di interesse La banca sostiene che l’attore non è un correntista al quale si applichi la commissione utilizzi oltre il limite del fido sicchè difetterebbe la sua legittimazione attiva ad ottenere una pronuncia della clausola de quo. Come risulta dalla documentazione prodotta in giudizio, al rapporto di conto corrente di cui il soggetto è titolare vengono applicate una commissione denominata spese recupero costi operazioni in assenza di provvista e una corrispettivo per il servizio di disponibilità immediata fondi. L’altra commissione oggetto di censura da parte dell’attore (commissione utilizzi oltre il limite del fido) non risulta invero essere stata mai applicata Sull’ eccezione di inammissibilità dell’azione di classe per carenza del requisito dell’identità dell’azionario La domanda attorea si riferirebbe esclusivamente alla posizione personale dell’attore e di conseguenza non si presterebbe ad essere introdotta nelle forme di class action a causa della sicura diversità dei diritti azionabili da altri eventuali consumatori/utenti nella successiva fase di adesione. L’assunto non appare condivisibile. La tutela di determinati diritti omogenei può essere chiesta da un singolo soggetto il quale assume una duplice posizione: quella di parte in causa e quella di sostituto processuale di tutti i consumatori/utenti che si trovino nei confronti del soggetto convenuto nella stessa situazione e che decidano di aderire all’azione esperita dal promotore. L’azione di classe rappresenta una forma di tutela che si aggiunge a quella ordinaria di carattere individuale e alla quale ciascun soggetto legittimato può facoltativamente accedere laddove non intenda avvalersi degli ordinari mezzi di protezione dei propri diritti e con il solo limite che l’adesione all’azione di classe comporta la rinuncia ad ogni azione individuale fondata sul medesimo titolo. lo strumento tecnico con il quale il legislatore ha voluto dare una fonte ordinata alla nuova azione è quello della separazione del giudizio in due fasi: la prima volta alla verifica dell’ammissibilità della domanda secondo criteri specifici indicati nell’art 140 bis, la seconda diretta alla trattazione e istituzione della causa in merito. La fase iniziale di scrutinio dell’ammissibilità dell’azione è stata concepita dal legislatore proprio al fine di evitare che in sede di trattazione di merito possano verificarsi dei problemi di ammissibilità che oltre a rendere più complicato l’esame delle questioni prospettate dalla parti, avrebbe potuto compromettere le posizioni giuridiche degli stessi aderenti. L’articolo stabilisce che la domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi ovvero quando il giudice non ravvisa l’identità dei diritti individuali tutelabili nonché quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe; stabilisce anche che i diritti individuali omogenei sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, dove per diritti identici si intendono i diritti di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in una situazione identica. Nella nozione di omogeneità dunque ad essere identici sono il petitum e la causa petendi della causa introdotto. Ritenere dunque che le domande risarcitorie non possano essere proposte nelle forme della class action significherebbe dunque operare una interpretatio abrogans dell’art 140. Sull’ eccezione di inammissibilità ratione temporis dell’azione di classe L’art 49 II comma stabilisce che le disposizioni dell’art 140 bis del consumo di cui al decreto legislativo 6.9.2005 si applicano agli illeciti compiuti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito l’instantaneità e la permanenza del fatto illecito extracontrattuale deve essere accertata con riferimento non già al danno bensì al rapporto eziologico tra questo e il comportamento contra ius dell’agente, qualificato dal dolo e dalla colpa. Mentre nel fatto illecito istantaneo tale comportamento è mero elemento genetico dell’evento e si esaurisce con il verificarsi di esso, pur se l’esistenza di questo si protragga autonomamente, nel fatto illecito permanente il comportamento contra ius oltre a produrre l’evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo in cui questo perdura. In altri termini, nell’illecito istantaneo la condotta contra ius si concentra in un preciso momento anche se i suoi effetti dannosi possono protrarsi nel tempo, mentre nell’illecito permanente la condotta antigiuridica si ripete continuamente, rinnovandosi di momento in momento. Per la sussistenza dell’illecito non è necessario che il danno si sia verificato in concreto, potendo quest’ultimo essere anche solamente potenziale. Il momento in cui si concreta veramente quella trasgressione del soggetto alle regole dell’ordinamento giuridico che è il fulcro dell’illecito è quello in cui l’agente tiene un comportamento contrario alle norme di diritto. L’art 2043 afferma che qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Va fatta, quindi, una separazione concettuale tra illecito e danno poiché per la sussistenza del primo è sufficiente un fatto obiettivamente contrario all’ordinamento, non altresì giustificato da regole di diritto, mentre il danno rileva solo l’obbligo risarcitorio. Il tribunale: - dichiara inammissibili tutte le domande proposte - dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del procedimento - ordina la pubblicazione per estratto del presente provvedimento Allegato 7: TRIBUNALE DI NAPOLI ordinanza del 7-10-2011 Osserva: L’attore lamenta di aver acquistato un pacchetto turistico consistente in un soggiorno per due persone dal 23 al 31 dicembre 2009 a Zanzibar presso un hotel descritto dal catalogo del tour operator come una struttura dotata di ogni comfort, con spa, boutique con negozi tipici, palestra e centro diving, ma che recatosi sul posto costatava che il predetto hotel era inagibile a causa dei lavori si da rendere necessario il trasferimento degli ospiti per alcuni giorni in un'altra struttura alberghiera di categoria inferiore. Lamenta ancora che quando fu possibile accedere alla struttura concordata la stessa non rispondeva certo agli standard di una struttura a quattro stelle in quanto le stanze erano sporche, mancanti di sera di acqua calda, di televisione e phon e la piscina inagibile, la spiaggia impraticabile e così via. Si presume che i disagi siano stati comuni a tutti i soggetti che hanno acquistato il pacchetto. Ritenuto, quindi che sussistono i presupposti per l’ammissibilità della domanda il collegio decreta che: - il ricorso proposto da parte convenuta nei confronti della convenuta è inammissibile - è ammissibile il ricorso proposto dalla medesima parte - la parte attrice ha ora l’onere di dare adeguata pubblicità alla presenza ordinanza attraverso pubblicazione su corriere della sera e mattino entro il 15-12-2010 allegato 8: TRIBUNALE DI NAPOLI ordinanza del 9-12-2011 La attrice deduceva la illegittimità di tale clausola che prevede un versamento a carico del cliente con periodicità trimestrale per l’ipotesi in cui il conto corrente non affidato presenti un esposizione debitoria derivandola in via alternativa da due considerazioni, ovvero dal fatto che la detta clausola o doveva adottarsi in violazione dell’art 21.2/2009 per il fatto di presentare caratteristiche del tutto assimilabili alla commissione di massimo scoperto oppure doveva ritenersi comunque illegittima in quanto adottata unilateralmente senza il rispetto della jus varandi previsto e displinato dall’art 118. Il giudizio di ammissibilità richieste la sussistenza di: - identità dei diritti individuali coinvolti - idoneità del proponente a curare adeguatamente l’interesse della classe - assenza di conflitto di interesse La banca ha sostenuto l’assenza dei menzionati requisiti formali e ha indotto il collegio a una valutazione sommaria e prognostica del merito della controversia; la conclusione è stata che la differenziata posizione individuale in ordine allo specifico rapporto non appare idonea ad interferire con il presupposto indicato. Per nulla discutibile è poi l’aspetto del conflitto di interessi. Per questo motivo il tribunale di Napoli si è espresso a favore dell’ammissibilità della domanda proposta. Allegato 9: TRIBUNALE DI ROMA ordinanza del 20-09-2011 Se accoglie la domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida ai sensi dell’art 126 le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo per il calcolo per la liquidazione delle somme. La finalità coercitiva (ossia quella di costringere il convenuto ad eseguire l’esatta prestazione dovuta) è perseguita dalla norma in modo indiretto, potendo presumere che il prestatore di beni o servizi convenuto con azione di classe abbia interesse a non essere ulteriormente condannato al pagamento di ingenti somme a titolo di risarcimento del danno e di restituzioni. Si deve considerare che la responsabilità contrattuale del vettore è tuttora regolata dalla disciplina speciale dettata per il trasporto delle persone sulle ferrovie dello stato e da quella successivamente dettata con regolamento ministeriale ovvero dall’ente ferroviario esercente il servizio di trasporto ferroviario in regime di concessione. Se riferita al danno relativo al prezzo dei biglietti acquistati dei viaggiatori la domanda non deve essere ritenuta inammissibile per il difetto di omogeneità di interessi lesi. La suprema corte ha affermato la risarcibilità del danno non patrimoniale anche nei casi in cui esso non sia causato da un fatto qualificabile come reato e in cui il risarcimento non sia previsto d espresse disposizioni di legge; ha comunque specificato la possibilità di risarcire il danno non patrimoniale deve essere limitata ai casi in cui concorrano tre condizioni: che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione dell’interesse sia grave, ossia superi la soglia di normale tollerabilità e che il sanno non sia futile, ossia non consista in meri disagi o fastidi. La corte dichiara inammissibile la domanda e compensa interamente le spese processuali tra le parti. Allegato 10: CORTE DI APPELLO DI FIRENZE ordinanza del 27-12-2012 Si chiede che sia accertata la responsabilità della convenuta nei confronti dell’attrice e dei cittadini consumatori tenuti al pagamento della T.IA. per inadempimento dell’obbligazione di provvedere al servizio di trattamento antighiaccio e sgombero delle neve e a quello di raccolta di rifiuti in occasione della nevicata verificatesi a Firenze il 17.2.2010. La chiamata in giudizio ha chiesto che l’azione fosse dichiarata inammissibile e il tribunale ha accolta la richiesta. Il primo giudice ha però affermato che la domanda fosse manifestatamente infondata limitatamente alla richiesta di contenuto restitutorio e a quella avente ad oggetto il risarcimento del danno patrimoniale, ma fondata in riferimento a un danno non patrimoniale per la lesione del diritto di libertà di movimento subito dai cittadini. La reclamante si duole che il tribunale abbia escluso la configurabilità di un diritto di natura contrattuale, sostenendo che l’esistenza di un rapporto contrattuale andrebbe affermata in virtù del pagamento della tariffa da parte degli utenti e quindi della riconducibilità del rapporto contrattuale all’ipotesi di contratto sociale. Il generale riferimento ai diritti di natura contrattuale contenuto nella norma consente di annoverare nell’ambito dell’azione collettiva ogni tipo di contratto, quali che siano le modalità con cui esso sia stato concluso, ma non di estendere la tutela a fattispecie generatrici di diritti ed obblighi per le parti che non dipendano dalla scelta negoziale delle parti medesime, la natura contrattuale del rapporto è pertanto da escludere. Inoltre la reclamante sostiene che il primo giudice abbia erroneamente preso in considerazione la definizione di prodotto e produttore riferita alla fattispecie di responsabilità per prodotto difettoso contenuta nell’art 115 anziché fare riferimento alla disposizione generale contenuta nell’art 3 dello stesso codice che definisce le figure di prodotto e produttore in termini più ampi, tanto da ricomprendere fra i prodotti non solo i beni ma anche i servizi e fra i produttori non solo il fabbricante del bene ma anche il fornitore dei servizi. Ritiene la corte che questa censura sia infondata. La corte rigetta il reclamo e conferma il provvedimento impugnato. Allegato 11: CORTE DI APPELLO DI ROMA ordinanza del 27-1-2012 1. Parte attrice ha instaurato la presente controversia al fine di sentir accettare la responsabilità della convenuta per aver esercitato un’attività pericolosa, quella della produzione e della vendita delle sigarette senza adottare tutte le misure idonee ad evitare conseguenze pregiudizievoli a carico dei proponenti ed aver quindi causato agli stessi danni non patrimoniali consistenti nella dipendenza da nicotina, quale patologia del sistema nervoso nonché nel timore concreto di ammalarsi di altre patologie correlate al fumo e danni patrimoniali consistenti nella spesa utile per l’acquisto quotidiano delle sigarette 2. L’azione di classe può essere intentata soltanto con riguardo agli illeciti compiuti successivamente al 15-8-2009. Tale circostanza non esclude pertanto l’ammissibilità dell’azione proposta se nonostante i comportamenti omissivi e commissivi imputati alla convenuta abbiamo avuto inizio nel periodo pregresso, essi stessi sono proseguiti in epoca successiva. Il tribunale è chiamato a valutare la proponibilità della domanda sotto il profilo dell’omogeneità dei diritti individuali dei consumatori ed utenti. Per fare in modo che questo accada ci devono essere tre circostanze: La domanda non deve apparire manifestamente infondata nel merito Appaiono del tutto prive di consistenza le argomentazioni del soggetto concernenti: - L’insufficienza delle misure di carattere informativo circa la dipendenza da nicotina come su altri rischi del tabacco: tutti i pacchetti di sigarette recano chiari avvertimenti L’eliminazione dalla sigarette della nicotina quale misura efficace alla eliminazione degli effetti della dipendenza: i livelli di nicotina sono individuati dalla legge sulla base dei limiti massimi misurati meccanicamente e autorizzati dalla direttiva europea 2001737/CEE in materia di prodotti di tabacco e che le sigarette in commercio hanno un contenuto di nicotina che varia tra un minimo di 0.1 mg ed un massimo di 1 mg e in tale fascia il consumatore può liberamente scegliere il prodotto più idoneo alle proprie aspettative e alle proprie esigenze. L’eliminazione della nicotina dalle sigarette è da un lato irragionevole in quanto volta ad attuare una regolamentazione dell’attività di produzione sostitutiva di quella dello stato e dall’altro incongruente in quanto diretta ad attuare l’alterazione delle caratteristiche del prodotto legislativo definite e lo snaturamento delle stesse. Inoltre la eliminazione della nicotina non costituirebbe una misura appropriata sia per i riflessi sui consumatori che non ritenendo il prodotto soddisfacente si rivolgerebbero al mercato del contrabbando, sia perché il fumo rappresenta un comportamento multifattoriale non dovuto esclusivamente alla nicotina ma sostenuto da altri fattori psicologici. - L’incremento da parte delle ditte produttrici della dipendenza dei fumatori dalla nicotina mediante l’aggiunta al tabacco di additivi: l’art 7 impone ai fabbricanti di prodotto del tabacco di fornire annualmente al ministero della salute e al ministero dell’economia e delle finanze l’elenco degli ingredienti utilizzati con le relative quantità, dato tossicologici, specificandone anche la funzione e gli effetti sulla salute, inclusi gli effetto di dipendenza. In tale quadro l’utilizzo di additivi risulta legittimo. Non sussistono conflitti di interesse Il primo problema posto dalla norma è quello di stabilire tra chi debba sussistere conflitto al fine di escludere l’ammissibilità della domanda: Tra l’attore in senso sostanziale e il suo avvocato Tra l’ente rappresentativo dei consumatori e quest’ultimo Tra due o più consumatori Nella controversia in esame non è identificabile al conflitto di tale natura Sussiste un interesse meritevole di tutela Al fine della qualificazione dell’identità di diritti individuali di tutela mediante il ricorso all’azione collettiva devono sussistere due condizioni: Che si tratti di diritti che hanno la stessa origine ovvero che nascono da un fatto costitutivo identico Che si tratti di diritti il cui accertamento e la cui tutela involgano le stesse questioni di fatto e di diritto 3. Il soggetto ha proposto il reclamo. Il reclamo è stato trattenuto in riserva all’udienza del 25 gennaio 2012 4. Nel reclamo si vuole: Dimostrare l’attitudine della nicotina a creare dipendenza più forte di quella dell’eroina o della cocaina tanto che solamente il 2% dei fumatori riuscirebbe a smettere di fumare Dimostrare che il fumo non provochi solo una semplice difficoltà di smettere di fumare ma una vera e propria tossicodipendenza Dimostrare l’utilizzo di additivi al fine di rafforzare l’effetto di dipendenza della nicotina denunciare l’errore in cui il tribunale sarebbe incorso nel ritenere non praticabile la misura dell’eliminazione della nicotina nelle sigarette sostenere che il tribunale non avrebbe esaminato altri comportamenti commissivi imputati alla controparte quindi l’impiego di tabacco transgenico tale da produrre nicotina idonea a creare maggiore dipendenza La parte chiede quindi l’accertamento della cauzione di danni non patrimoniali consistenti nella dipendenza da nicotina quale patologia del sistema nervoso nonché il danno consistente nel timore concreto di ammalarsi di altre patologie fumo-correlate e di danni patrimoniali consistenti nella spesa utile per l’acquisto quotidiano di sigarette indotto dalla dipendenza. Le somme richieste per ciascun ricorrente sono quantificate in 2000 euro per danni non patrimoniali e 1000 euro per danni patrimoniali. 5. Il reclamo va respinto - E’ infondato il motivo con il quale il reclamante ha sostenuto di essere legittimato a proporre in questa sede l’azione inibitoria; ciò per una duplice ragione: Perché tale domanda non era stata proposta ab initio e non può esserlo in sede di reclamo Perché il cumulo tra azione di classe e azione inibitoria è impensabile 5.2 L’azione di classe è inammissibile perché concernente illeciti compiuti anteriormente alla data del 15 agosto 2009 5.2.1 Il secondo comma dell’articolo 49 stabilisce che tale disposizione si applica agli illeciti compiuti successivamente all’entrata in vigore della presente legge. Il primo giudice ha replicato affermando che l’illecito addebitato dai ricorrenti al soggetto abbia avuto carattere di illecito permanente, destinato cioè a protrarsi anche successivamente alla data del 15 agosto 2009 e così entro l’ambito di applicazione dell’azione di classe. 5.2.2 Tale ragionamento non può essere condiviso. 5.2.2.1 L’impianto che sostiene la domanda spiegata dai ricorrenti ha al suo centro l’assunto secondo cui il vizio del fumo costituirebbe vera e propria tossicodipendenza. Ciascun individuo pur libero di iniziare a fumare oppure no, sarebbe stato poi privato della libertà di scegliere se smettere o meno di fumare e quindi rimarrebbe per sempre schiavo della propria condizione di tossicodipendente, costretto a sostenere la spesa necessaria per acquistare la dose quotidiana ed al tempo stesso ineluttabilmente angosciato dal timore di ammalarsi delle patologie che il fumo può apportare. Secondo questa costruzione, l’illecito addebitato dai ricorrenti alla controparte si realizzerebbe solo con il concretizzarsi della tossicodipendenza: dopo di che si produrrebbe soltanto la sequela dannosa denunciata in questa sede e tale da protrarsi anche dopo la data del 15 agosto 2008, consistente nel versante non patrimoniale, nella stessa tossicodipendenza e nella paura di ammalarsi e del versante patrimoniale del costo del vizio del fumo. 5.2.2.2 Così stando le cose conviene all’illecito in tal modo rappresentato non già la definizione di illecito permanente, bensì quella di illecito istantaneo ad effetti permanenti laddove l’istantaneità dell’evento di danno si realizzerebbe nel momento in cui il fumatore rimanesse assoggettato alla coazione a ripetere determinata dalla dipendenza del fumo e in particolare della nicotina che esso contiene. È dunque palese che la domanda proposta in questa sede nuova da un illecito perpetrato ben prima della data indicata. 5.2.2.3 Non sembra plausibile sostenere che la disposizione ponga un limite al diritto di azione, che ben può essere esercitato non mediante l’azione di classe ma nelle forme ordinarie. 5.3 La domanda è altresì inammissibile per mancanza del requisito di identità dei diritti. 5.3.1 E’ da credere che i ricorrenti abbiano inteso avvalersi dell’art 140 bis il quale stabilisce che l’azione di classe può essere tra l’altro impiegata a tutela dei diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore anche a prescindere da un rapporto contrattuale. La corte ritiene che da un lato la formulazione della norma depone senz’altro per l’applicabilità della deposizione anche in caso di domanda fondata su un titolo extracontrattuale, dall’altro non vi è nessun indice testuale dal quale desumere domande risarcitorie del danno non patrimoniale. 5.3.2 Se si considera la nozione di identità di diritti si può pervenire: Ad un estremo, alla soluzione secondo la quale si ha identità di diritti ogni qual volta sia identico il diritto in tesi leso dal prodotto; nel caso oggi in esame vi sarebbe certamente identità di diritti giacchè i ricorrenti hanno tutti e tre lamentato la lesione del proprio diritto di salute, all’autodeterminazione e all’integrità del patrimonio 5.1 Dall’altro estremo alla soluzione secondo la quale si ha identità di diritti ogni qual volta sia identico il bene della vita di cui i danneggiati chiedono l’attribuzione a ristoro della lesione subita: l’identità di diritti potrebbe essere sicuramente esclusa 5.3.3 Il tribunale, superata la fase di ammissibilità, se accoglie la domanda, può stabilire il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione delle somme dovute a ciascuno degli appartenenti alla classe. 5.3.4 L’azione di classe risponde ad esigenze diverse: a) Quella economica consistente nell’accrescere la fiducia dei consumatori e degli utenti nel funzionamento equilibrato e corretto del mercato b) Quella pure economica consistente nel consentire ai produttori una valutazione rapida e generalizzata dei danni eventualmente da risarcire c) Quella attinente al profilo rimediale, consistente nell’emersione di un contenzioso a causa dell’eccessivo costo del ricorso alla giustizia a fronte del modesto valore economico della domanda d) Quella deflattiva, consistente nel serializzare controversie potenzialmente numerose o numerosissime si da semplificarne notevolmente la soluzione e ridurne ‘ impatto sul complessivo funzionamento del sistema giudiziario 5.3.5 Sussiste il requisito dell’identità dei diritti qualora, fermo l’accertamento concernente la condotta dannosa ed il nesso di causalità tra la stessa e il danno, gli accertamenti da compiere in via istruttoria in ordine alla posizione dei singoli ricorrenti o aderenti alla classe, nella seconda fase del giudizio, sia circoscritta al solo profilo del quantum. 5.3.6 Se questa ricostruzione è esatta, è evidente che i ricorrenti hanno agito non già a tutela di diritti identici bensì tutt’affatto diversificati, tali da richiedere non solo nel quantum ma anche nell’an accertamenti necessariamente individualizzati; diverse sono infatti le malattie derivanti dal fumo, il grado di dipendenza e la consapevolezza dei rischi. 5.4 La domanda manifestatamente infondata è quella ha possibilità di essere accolta all’esito della seconda fase del giudizio, mediante il contenuto probatorio che l’istruzione può apportare: ritiene la corte d’appello che il giudizio di manifesta infondatezza pronunciato dal tribunale sia in prevalenza condivisibile. 5.4.1 Il fumatore sceglie liberamente di fumare nella consapevolezza dei pericoli che corre, tra cui quello dell’assuefazione e della dipendenza non può dolersi dei danni che per tale via riceve poiché sceglie volontariamente di procurarseli. Inoltre se pur è vero che il fumo crea dipendenza, sta di fatto che tale dipendenza è voluta; tale dipendenza, dunque, se il fuimatore ne è consapevole, si presenta come actio libero in causa. 5.4.2 Ora il collegio ha ritenuto di trattare separatamente i due profili della nocività del fumo e della sua attitudine a produrre assuefazione. 5.4.2.1 Nessuna persona pur di consapevolezza medio-bassa può oggi non essere al corrente dei pericoli del fumo 5.4.2.2 Nessuna persona sensata può non essere consapevole che il fumo da dipendenza. Per parte sua l’azienda di tabacco non ha negato che taluni ingredienti vengano aggiunti al tabacco, ma ha invece sostenuto che gli additivi mirerebbero a migliorare la gradevolezza del prodotto e non ad aumentare l’attitudine della nicotina a produrre dipendenza. Il soggetto leso ha replicato che il principio di precauzione imporrebbe quantomeno di escludere l’impiego di ingredienti la cui nocività non è ancora dimostrata. La corte ha chiesto alla pubblica amministrazione di fare degli accertamenti, ma questi non hanno prodotto risultati significativi dal momento che è stata possibile comunicare solo una parte degli ingredienti essendo la restante parte tenuta in segreto. L’azione di classe intentata non può essere detta manifestatamente infondata, non potendosi con certezza escludere che un più penetrante accertamento dei contenuti delle sigarette avrebbe potuto condurre a dimostrare che effettivamente esse sono addizionate al fine di inchiodare il fumatore alla tossicodipendenza. - 5.4.3 i danni dedotti dai ricorrenti sono non solo patrimoniali ma anche non patrimoniali, sotto specie sostenuta per l’acquisto di sigarette 5.4.3.1 Quest’ultimo profilo di danno mostra quanto sia insostenibile sia la costruzione escogitata dall’associazione reclamante per introdurre l’azione di classe. La diminuzione patrimoniale non è che il prezzo pagato per la stipulazione di un valido contratto di compravendita. 5.4.3.2 Quanto al pretesto danno biologico, valgono le considerazioni già svolte. 5.4.3.3 Con l’espressione danno pericoloso si indica un sanno attuale determinato dal pericolo che un determinato accadimento abbia luogo. Il danno in questione assume le vesti del danno patrimoniale o non patrimoniale secondo che vada a colpire il patrimonio o la persona. In questo caso il danno è manifestatamente infondato 6. Le spese possono essere compensate 7. Va ordinata la pubblicazione sul corriera della sera e sul sole 24 ore Allegato 12: TRIBUNALE DI ROMA ordinanza del 27-4-2012 In data 29-3-2011 la signora in questione aveva partorito presso il reparto di neonatologia del Policlinico; in data 18 agosto aveva appreso dai giornali che una infermiera del reparto neonatale del Policlinico era risultata affetta da tubercolosi e che 1271 bambini nati tra i medi di marzo e luglio dello stesso anno nel reparto di neonatologia dello stesso ospedale erano stati richiamati per effettuare delle visite di controllo. Il bambino il data 24 agosto 2011 aveva effettuato i test necessari ad accertare il contagio e in data 26 agosto lo stesso era risultato positivo ai test diagnostici, pur non avendo ancora sviluppato la malattia. Ai genitori era stata comunicata la necessità di sottoporre il bambino a chemioterapia tubercolare. Questi chiedevano l’accertamento della responsabilità del policlinico convenuto per aver provocato la positività alla tubercolosi e la conseguente condanna al risarcimento del danno biologico e morale nonché in favore di tutti coloro che avendone i requisiti avrebbero potuto aderire all’azione di classe quali genitori di bambini risultati positivi ai test; assumevano dunque essere il danno identico per tutti i bambini che avessero sviluppato la positività e per tutti i genitori per lo stress psicologico connesso. Deducevano in particolare: La natura contrattuale del rapporto con l’ospedale convenuto La responsabilità della struttura per la trasmissione del virus La possibilità di ritenere impresa la struttura ospedaliera La identità di diritti individuali tutelabili La insussistenza di posizioni di conflitto di interessi La piena capacità dell’associazione a tutelare gli interessi della classe L’ospedale affermava che: Solo in data 26 luglio 2011 il servizio infermieristico dell’ospedale aveva acquisito la notizia dell’esistenza di un’infermiera del nido affetta da tubercolosi Che a partire da fine aprile 2011 la stessa infermiera aveva accusato sintomi non direttamente riconducibili alla patologia in questione. Chiedeva la sospensione del giudizio e deduceva l’inammissibilità dell’azione collettiva poiché: L’azienda sanitaria privata convenzionata al pari dell’azienda sanitaria pubblica è tenuta per legge alla erogazione della prestazione sanitaria e svolge la sua attività senza il necessario rispetto del principio di economicità, atteso che la prestazione deve essere assicurata anche se cagiona perdite con ciò escludendosi la possibilità di configurare come imprenditoriale la sua attività Manca il requisito delle identità delle situazioni sostanziali Vi è manifesta infondatezza dell’azione La parte attrice ribadisce che: Sia necessario rendere l’azione esperibile da tutti i soggetti aventi diritti omogenei e non più necessariamente identici Sia ritenuto sussistente sia il carattere d’impresa della convenuta sia un contrasto tra questi e i suoi utenti Sia ritenuta fondata la sussistenza della responsabilità della struttura sanitaria per aver omesso di effettuare gli opportuni controlli sull’infermiera Tanto premesso, osserva il collegio che: Fonte del contagio sarebbe stata un’infermiera la quale risulta affetta da tubercolosi conclamata accertata solo a seguito di rx torace effettuata in data 25 luglio 2011; l’infermiera aveva accusato malesseri dalla fine di aprile dello stesso anno Presso la regione Lazio veniva subito costruita un’unità di coordinamento al fine di stabilire le modalità di intervento In data 26 agosto 2011 il bambino risultava positivo al test diagnostico del quantiferon pur non avendo sviluppato la malattia Sono stati inizialmente sottoposti ai test quantiferon oltre 1500 bambini dei quali sono risultati positivi 125; a tutti i bambini risultati positivi al test è stata prescritta la profilassi antibiotica. Tutti i bambini sono risultati poi negativi sia al test Mantoux che alle rx toraciche Sulla istanza di sospensione Il Tar chiese di sottoporre a controllo la popolazione di bambini nati dal 22 dicembre 2010 al 28 luglio 2011 ritenendo corretto estendere le indagine sine a tre mesi prima dell’unica di malattia conclamato. Il collegio non ritiene che ricorrano i presupposti per disporre la sospensione del giudizio. Sui requisiti dell’azione e sui presupposti di ammissibilità È necessario verificare se sussistono i requisiti d’azione e se pertanto l’azione proposta rientri nel campo di applicazione della norma in esame. Ritiene il collegio che tali requisiti siano sussistenti. Sul carattere d’impresa Alla luce delle norme a carattere definitorio se da un lato il professionista è la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale,, dall’altra parte nella nozione codicistica di impresa assumono rilievo preponderante lo scopo dell’attività che deve essere destinata alla produzione di beni e servizi, la professionalità, intesa come esercizio abituale dell’attività, ed il carattere di economicità, quale modalità organizzativa che impone di assicurare la programmazione dell’attività, il coordinamento tra diversi fattori produttivi, la copertura dei costi e dei ricavi. L’attività del policlinico convenuto non può essere considerata imprenditoriale. L’azione proposta verso l’azienda sanitaria rientra senza dubbio nel campo di applicazione dell’art 140. Sulla natura contrattuale del rapporto dedotto La conclusione di un contratto determina il sorgere dell’obbligo di fornire adeguate prestazioni assistenziali attraverso la predisposizione di strutture e di risorse umane adeguate ed efficienti con effetti protettivi nei confronti dell’utente a fronte della dovute prestazione. La corte precisa che la negazione della ricorrenza di un contratto non è in alcun modo confliggente con la comune ed ormai acquisita qualificazione come contrattuale della responsabilità della struttura anche pubblica. Il collegio osserva quanto segue: Sulla adeguatezza del proponente Il proponente appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe e non emerge una situazione di conflitto di interessi. Sulla identità dei diritti individuali tutelabili con l’azione di classe Il termine identici viene sostituito dall’espressione del tutto omogenei; l’identità dei diritti infatti non può essere intesa in senso letterale ma deve essere correlata alla esistenza di caratteristiche comuni agli interessi dei singoli. Sulla non manifestata infondatezza Si osserva che la domanda proposta non appare manifestatamente infondata sotto il profilo del nesso di casualità rappresentato dal presumile contatto tra il neonato ospitato nel reparto di neonatologia e l’infermiera malata. Il collegio: Dichiara ammissibile l’azione di classe Dispone che sono includi nella classe e possono aderire all’azione si soggetti nati presso il policlinico dal 1 gennaio 2011 al 28 luglio 2011 risultati positivi alla tubercolosi e d i loro genitori Ordina la pubblicazione del presente provvedimento a cure e spese della parte proponente Allegato 13: TAR LAZIO sezione terza bis sent 20-1-2011, n 552 Fatto In proposito, nel dare notizia delle numerose segnalazioni ricevute da insegnanti, studenti e genitori, l’associazione lamentava la diffusa inosservanza degli indici minimi di edilizia scolastica e dell’indice di massimo affollamento delle aule, descrivendo situazioni di pericolo e disagio stigmatizzate con l’espressione “classi-pollaio”.il Ministero, evidenzia, sul piano dei fatti, come l’associazione non avesse fornito indicazioni analitiche e concrete in ordine ai casi di sovraffollamento, né indicato quali fossero gli atti amministrativi generali ed obbligatori per legge, la cui mancata adozione avrebbe provocato la denunciata situazione di grave sovraffollamento. In ogni caso, l’ amministrazione sottolineava di non avere specifica competenza in ordine agli strumenti potenzialmente risolutivi della problematica, atteso che spetterebbero allo Stato solo l’organizzazione della rete scolastica, l’assegnazione delle risorse e del personale alle istituzioni scolastiche mentre risultano delegate alle Regioni, la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, la programmazione della rete scolastica regionale nell’ambito delle risorse assegnate e sulla base dei piani provinciali, la determinazione del calendario scolastico; sono infine attribuite alle Provincie, in relazione all’istruzione secondaria, ed ai comuni, per i livelli inferiori della scuola, i compiti e le funzioni concernenti: a. l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione b. la redazione dei piani di organizzazione della rete scolastica, c. i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazioni di svantaggio d. il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d’intesa con le istituzioni scolastiche e. la sospensione delle lezioni in casi gravi ed urgenti L’amministrazione segnalava, ancora, come il numero minimo e massimo degli alunni fosse ormai analiticamente disciplinato dal dPR 81/2009. Diritto 1. Oggetto della tutela, così innovativamente riconosciuta, sono gli interessi, facenti capo alla pluralità di individui sopra descritta, che si assumono lesi: dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti 1.1 La concreta applicazione del decreto 198/09 alle amministrazioni ed ai concessionari di servizi pubblici è determinata con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze e di concerto, per quanto di competenza, con gli altri Ministri interessati. 1.2 La formula utilizzata dal legislatore descrive cioè una norma incompleta che, avendo individuato in via generale e astratta posizioni giuridiche di nuovo conio, oltre che strumenti azionabili per la relativa tutela, ma non i parametri specifici della condotta lesiva, necessita di una ulteriore previsione normativa, agganciata alla peculiarità e concretezza dell’assetto organizzativo dell’agente ed ai limiti della condotta diligente dal medesimo esigibili, ferme restando le risorse assegnate. Le posizioni giuridiche in via generale individuate e protette dalla stessa non sono ancora in concreto prospettabili davanti ad un giudice difettando la compiuta definizione della fattispecie lesiva o – il che è lo stesso - l’esatta individuazione del comportamento esigibile, oltre che la fissazione del dies a quo della concreta applicazione. 1.3 Tale disposizione, tuttavia, non può offrire alcun argomento per sostenere il rinvio della concreta applicazione delle norme, anche per l’ipotesi di omissione di atti generali; essa limitandosi a fornire indicazioni all’Esecutivo in ordine all’impatto finanziario delle previsioni regolamentari allo stesso demandate in materia di standards qualitativi, e non interessando la diversa fattispecie dell’inerzia. 1.4 Non vi è, in conclusione, alcun valido motivo per escludere l’immediata operatività delle previsioni di legge aventi ad oggetto l’omissione di atti generali, risultando irragionevole ogni diverso approdo ermeneutico 2. Il ricorso può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori. Non è in particolare contestato che il querelante abbia fra i propri associati anche utenti del servizio scolastico che possano dolersi di una lesione diretta, concreta ed attuale derivante dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori in materia di dimensionamento, fruibilità e sicurezza delle aule. 3. la ricorrente ha in particolare notificato preventivamente una diffida a tutte le amministrazioni oggi chiamate in giudizio ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati; ha indicato, in seno al ricorso, le ragioni per le quali il riscontro formale fornito dall’amministrazione non possa considerarsi sufficiente a rimuovere in modo nemmeno parziale la situazione denunciata, 4. Gli atti di cui si discorre non sono né validamente sottoscritti, né notificati, costituendo delle semplici manifestazioni di adesione ricevute dalla ricorrente e dalla stessa direttamente depositate, sulla falsa riga di quanto prescritto per l’azione di classe dall’art. 140 bis del codice del consumo. 5. Il piano generale di riqualificazione dell’edilizia scolastica stabilisce che per il solo anno scolastico 2009-2010 restano confermati i limiti massimi di alunni per classe previsti dal decreto del Ministro della pubblica istruzione in data 24 luglio 1998, n. 331, e successive modificazioni, per le istituzioni scolastiche individuate in un apposito piano generale di riqualificazione dell'edilizia scolastica adottato dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, d'intesa con il Ministro dell'Economia e delle Finanze 5.1 Il Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, tenuto conto delle proposte dell'Osservatorio per l'edilizia scolastica, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta, con proprio decreto, le norme tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalità urbanistica, edilizia e didattica indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale 6. L’avvocatura erariale, ritualmente costituitasi, replica, in via preliminare deducendo la nullità del ricorso per genericità ed indeterminatezza delle domande e, comunque, l’ inammissibilità per mancata individuazione di quelle fonti normative che avrebbero imposto l’obbligo di provvedere a mezzo di atti generali 7. Ritiene il collegio che queste considerazioni siano fondate; infatti il Decreto legge 25 giugno 2008, n.112 convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, recante “disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, all’art. 64, rubricato “disposizioni in materia di organizzazione scolastica”, ha previsto, ai fini di una “migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente” che, a decorrere dall'anno scolastico 2009/2010, siano adottati interventi e misure volti ad “incrementare gradualmente di un punto il rapporto alunni/docente, da realizzare comunque entro l'anno scolastico 2011/2012, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei tenendo anche conto delle necessità relative agli alunni diversamente abili”. 7.1 Rientra tra i regolamenti attuativi citati, il dPR 20 marzo 2009 n. 81, contenente “norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola. Tale fonte normativa ha in particolare inciso sulla formazione numerica delle classi innalzando il limite massimo di alunni per aula rispetto alla precedenti previsioni del DM 331/98. 8. Il senso è senz’altro da individuarsi nel processo di riorganizzazione scaturito dall’aumentato rapporto alunni/docente. Il conseguente maggiore affollamento delle aule e la relativa inidoneità delle stesse a contenere gli alunni in condizioni di sicurezza, salubrità e vivibilità, costituisce infatti implicazione di carattere strutturale non risolubile attraverso misure di carattere meramente organizzativo, ma unicamente affrontabile attraverso una mirata riqualificazione edilizia degli edifici e delle aule. Non v’è dubbio che le strutture edilizie costituiscano elemento fondamentale ed integrante del sistema scolastico e come tali debbano avere "uno sviluppo qualitativo ed una collocazione sul territorio adeguati alla costante evoluzione delle dinamiche formative, culturali economiche e sociali". Ad affermarlo è proprio la legge 23/96 che pone il raggiungimento di tale obiettivo anche attraverso la programmazione degli interventi tesi, in particolare: a) al soddisfacimento del fabbisogno immediato di aule, riducendo gli indici di carenza delle diverse regioni entro la media nazionale b) all'adeguamento alle norme vigenti in materia di agibilità, sicurezza e igiene; c) all'adeguamento delle strutture edilizie alle esigenze della scuola, ai processi di riforma degli ordinamenti e dei programmi, all'innovazione didattica e alla sperimentazione; d) ad una equilibrata organizzazione territoriale del sistema scolastico, anche con riferimento agli andamenti demografici; f) alla disponibilità da parte di ogni scuola di palestre e impianti sportivi di base. 8.1 Lo stato e la funzionalità di aule ed edifici avrebbe dovuto, del resto, essere fattore di processo oggetto di costante monitoraggio sin dal 1996, e ciò in forza delle previsioni dello stesso legislatore che in quell’anno ebbe la lungimiranza ed il merito di istituire una “anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica” realizzata, curata ed aggiornata con la collaborazione degli enti locali interessati, diretta “ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico”. Detta anagrafe, articolata per Regioni, avrebbe dovuto costituire “lo strumento conoscitivo fondamentale ai fini dei diversi livelli di programmazione degli interventi nel settore”. 8.2 In vista del perfetto funzionamento del sistema scolastico, nell’ordinata architettura disegnatane dal legislatore del ’96, il piano di riqualificazione dell’edilizia scolastica di cui all’art. 3 del dPR 81/2009 avrebbe dovuto costituire un atto di programmazione (non a caso demandato al concerto tra MIUR e Ministero dell’Economia e delle Finanze) per l’individuazione di obiettivi, risorse e tempi, relativi agli interventi edilizi necessari affinché gli Istituti - rilevabili dall’anagrafe nazionale - inidonei ad ospitare in condizioni di sicurezza e vivibilità il numero degli alunni imposto dalla rivisitazione degli indici di affollamento, fossero messi in condizione di farlo. 9. La lesione di cui si duole la pluralità degli utenti, e per essa l’associazione, deve derivare dalla “mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento”. Essendo - quello descritto - un riferimento temporale che comunque individua il dies a quem per l’emanazione dell’atto per cui è causa nell’inizio dell’anno scolastico indicato, è evidente che l’inerzia (non elisa dall’adozione del descritto elenco di scuole) si sia già protratta ampiamente oltre il termine di legge. 10. Non v’è dubbio che, nel caso di specie, trattasi di atto a carattere normativo, come tale escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs. 198/09 il quale, in modo non equivoco, assume la natura “non normativa” dell’atto generale a presupposto essenziale ed imprescindibile dell’azione. La relativa domanda è pertanto inammissibile. 11. Inammissibili, infine, risultano tutte le censure direttamente od indirettamente riferite all’attuale situazione delle scuole italiane. 12. In ragione dell’esito complessivo del giudizio, della novità e complessità del contenzioso e dell’assenza di precedenti giurisprudenziali sul tema, sono ravvisabili giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio. Allegato 14: CORTE DI CASSAZIONE 2-4-2009, n 8093 (ord.) Il soggetto ha proposto istanza di regolamento di competenza avverso la sentenza del 27 febbraio 2008, con la quale il Tribunale di Beneventoper ottenere l'accertamento della responsabilità del personale medico dipendente di detta azienda nell'esecuzione di un intervento chirurgico e, conseguentemente, la condanna della medesima al risarcimento dei danni sofferti per le lesioni ad esso conseguenti, in conseguenza alla sua persona. è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero. La resistente ha depositato memoria ed il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni scritte. Considerato quanto segue: Il ricorso prospetta tre motivi corredati da corrispondenti quesiti di diritto. Con il primo si sostiene che l'Azienda convenuta avrebbe rinunciato all'eccezione di incompetenza. Il Tribunale avrebbe omesso di considerare la rinuncia. Il motivo parrebbe infondato, atteso che l'espressione che avrebbe integrato la rinuncia all'eccezione non appare logicamente idonea in questo senso, giacchè il "rimettersi a giustizia" è soltanto evocativo del normale ufficio del giudice, che è appunto quello di rendere giustizia. Con il secondo motivo si denuncia "illegittimità ed infondatezza in diritto della sentenza declinatoria della competenza (....) per violazione e/o mancata applicazione dell'art. 1469 - bis c.c., comma 3, n. 19 e del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, lett u. In relazione a tale motivo si prospetta il seguente quesito di diritto: all'utente della prestazione sanitaria resa da una Azienda Ospedaliera Pubblica con oneri a carico del Servizio Sanitario nazionale, è applicabile la disciplina legislativa del consumatore e quindi è applicabile il principio del foro generale della residenza o del domicilio del consumatore ovverosia della competenza territoriale esclusiva del Giudice del luogo in cui l'utente - consumatore ha la propria residenza o il proprio domicilio elettivo? Questi gli argomenti a sostegno. In primo luogo, avrebbe rilievo il carattere contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria anche pubblica. In secondo luogo, si deduce l'inesattezza dell'affermazione del Tribunale di Benevento, secondo cui la particolarità del rapporto fra paziente e struttura ospedaliera, con oneri a carico del S.S.N., giustificherebbe l'inapplicabilità delle disposizioni sul rafforzamento della posizione del consumatore nella fase negoziale, "perchè trattandosi di erogazione di un servizio pubblico, non è l'utente che paga la prestazione e non può definirsi consumatore". In terzo luogo, si asserisce l'inesattezza dell'argomento prospettato dal Tribunale sulla base del D.Lgs. 206 del 2005, art. 101, là dove prevede una norma di rinvio a proposito dei servizi pubblici, per sottrarre l'azienda sanitaria pubblica all'operatività del foro del consumatore. L'inesattezza discenderebbe dal fatto che a seguire il ragionamento del Tribunale anche quando la prestazione sia erogata da un'azienda sanitaria privata, trattandosi sempre di un pubblico servizio, dovrebbe valere detta sottrazione. In quarto luogo si prospetta che darebbe luogo ad un risultato lesivo del principio costituzionale di eguaglianza l'escludere l'operatività del foro del consumatore nel caso di prestazione resa da una azienda ospedaliera pubblica con oneri a carico del S.S.N. ed ammetterla invece a favore di chi, avendo disponibilità economiche, si rivolga ad una struttura privata a proprie spese. L'art. 101 sotto la rubrica "Norma di rinvio", così dispone: Lo Stato e le regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia. Il rapporto di utenza deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e adeguatamente resi pubblici. Agli utenti è garantita, attraverso forme rappresentative, la partecipazione alle procedure di definizione e di valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi. La legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici l'obbligo di adottare, attraverso specifici meccanismi di attuazione diversificati in relazione ai settori, apposite carte dei servizi. L'interprete è, dunque, autorizzato ad un approccio interpretativo diverso da quello adottato dalla sentenza impugnata, cioè ad affrontare il problema dell'operare delle tutele apprestate a favore del consumatore - utente anche a beneficio dell'utente di un servizio pubblico, valutando se le varie disposizioni di cui consta il decreto legislativo siano o meno applicabili, per la loro ratio o sulla base del loro tenore, al rapporto di utenza pubblica. etto adempimento della prestazione richiesta possa applicarsi la norma de qua. Il dato che viene in rilievo è che, perchè la norma della lettera u), citata sopra si applichi, è necessario un presupposto. Questo presupposto è rappresentato dal "contratto" fra professionista e consumatore. Tuttavia quando il cittadino utente si rivolge alla struttura sanitaria pubblica o in convenzione, la ricezione della sua richiesta e la conseguente attivazione della struttura non danno luogo alla conclusione di un contratto, ma realizzano solo l’attuazione dell’obbligazione della mano pubblica a fornire il servizio. . Il terzo motivo lamenta in fine "irritualità della eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla parte convenutaex art. 38 c.p.c., comma 2" per non essere stata contestata la competenza del Tribunale di Benevento ai sensi del c.d. foro del consumatore. Tale motivazione è infondata. Le ragioni che giustificano l'esclusione dell'operatività del c.d. foro del consumatore nella fattispecie all'esame sono le seguenti. In primo luogo, deve osservarsi che il rapporto fra la posizione dell'utente del servizio pubblico e la disciplina del citato D.Lgs. (c.d. codice del consumo) dev'essere individuato sulla base di una corretta ricostruzione del significato dei due indici normativi già segnalati dalla relazione, presenti nel testo di esso. Dal comma 1 dell'art. 111 emerge un secondo dato che presenta una certa ambiguità: la proposizione "garantiscono i diritti degli utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia" si presta. infatti, ad essere intesa: a) sia nel senso di un riferimento ai "principi e criteri della normativa vigente" nella materia dei servizi pubblici, di modo che si sia voluto affidare alla legge statale e regionale il compito di disciplinare i diritti dell'utente del servizio pubblico tenendo conto della peculiarità della disciplina dei vari servizi, nel quale caso si sarebbe voluto sottrarre quella figura di utente alla disciplina del codice pur applicata secondo un criterio di compatibilità con il modo dell'attività del servizio pubblico; b) sia nel senso di un riferimento dei "principi e criteri della normativa vigente" non già alla materia dei servizi pubblici, bensì alla materia dei diritti dell'utente, nel quale caso si sarebbe dato allo Stato ed alle Regioni soltanto il potere di raccordare la disciplina emergente su questa materia e, quindi, in primo luogo dallo stesso codice del consumo alla peculiarità del servizio pubblico. L'art. 101, comma 1, del c.d. codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005 non sottrae i diritti dell'utente del servizio pubblico al suo operare ove in relazione alla specifica modalità del rapporto di utenza le norme del codice risultino applicabili, ma consente soltanto allo Stato e alle regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, di dettare norme che applichino i principi stabiliti dal codice tenendo conto delle peculiarità della disciplina del singolo servizio pubblico e delle modalità con cui avviene il suo espletamento. La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Perugia, avanti al quale rimette le parti, con termine per la riassunzione di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente. Compensa le spese del giudizio di regolamento di competenza. allegato 15: CORTE DI CASSAZIONE sez I civ, sent 14-6-2012, n 9772 Fatto e diritto 1. - l'avv. R. intratteneva con la banca convenuta il rapporto di conto corrente n. (OMISSIS) (da lui acceso nel 1994 con l'allora Cariplo spa, poi fusasi per incorporazione in Intesa San Paolo spa), con apertura di credito fino alla concorrenza di Euro 15.000,00; - a seguito dell'introduzione, in forza del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis, convertito in L. 28 gennaio 2009, n. 2, del divieto di applicazione della commissione di massimo scoperto nell'ambito del rapporto di conto corrente bancario, la banca convenuta aveva applicato alla clientela nuove commissioni 'sostitutive' da ritenersi a loro volta, sotto vari profili, illegittime; - in particolare, dalla 'proposta unilaterale di modifica unilaterale di contratto di conto corrente' emessa dalla banca l'11 maggio 2009, era risultata l'introduzione dei seguenti nuovi istituti contrattuali: con riguardo ai conti non affidati, 'commissione di scoperto di conto' (CSC) così disciplinata: 'Euro 2 al giorno per ogni Euro 1000 di saldo debitore o frazione, fino ad un massimo di Euro 100 per trimestre solare; la commissione si applica solo per i giorni in cui nel trimestre si è registrato contemporaneamente sia un saldo debitore contabile sia per valuta, e si calcola sul minore tra i due. Non si applica sui conti su cui è stato concesso un fido e non si applica per i giorni in cui il saldo debitore sia stato pari o inferiore ad Euro 100'; con riguardo ai conti affidati, 'tasso debitore annuo nominale sulle somme utilizzate' (TUOF), applicato (al momento della domanda, in ragione del 12,5%) 'sull'intero importo del credito utilizzato dal cliente, e non soltanto sull'importo utilizzato oltre l'ammontare dell'apertura di credito. E' applicato solo per il numero di giorni in cui lo scoperto si è verificato'; con riguardo ai conti affidati, 'commissione per la messa a disposizione dei fondi' (CDF), applicata 'al termine di ogni trimestre solare alla media dell'importo complessivo dei fidi in essere durante il trimestre stesso'; - tali commissioni erano illegittime sia perchè surrettiziamente ripristinatorie delle 'vecchie' commissioni di massimo scoperto, vietate dalla L. n. 2 del 2009, art. 2 bis, su citata; sia perchè fatte oggetto da parte della banca di una pratica commerciale scorretta e, più in generale, di un comportamento anticoncorrenziale derivante dalla loro contemporanea adozione da parte di tutti i più importanti istituti di credito; - l'azione introdotta dall'avv. R. concerneva un tipo di contratto stipulato con la banca, ex artt. 1341 e 1342 c.c., da innumerevoli altri correntisti; sicchè essa rivestiva tutti i caratteri della ed, 'azione di classe, trattandosi nella specie di tutelare un suo diritto individuale del tutto omogeneo a quello degli altri consumatori ed utenti che si trovavano in una situazione identica alla sua 2. Secondo la corte territoriale l'azione di classe può essere proposta al fine di ottenere un risarcimento ovvero una restituzione; pertanto può essere introdotta in esito al verificarsi di un pregiudizio effettivo - patrimoniale o, al limite, anche non patrimoniale - suscettibile di riparazione mediante pronuncia di condanna al pagamento di una somma, liquida o liquidabile, di denaro. Peraltro, nel caso di prestazione posta in essere in forza di un contratto nullo, il regime di tutela non sarebbe di tipo tanto risarcitorio, quanto restitutorio dell'indebito oggettìvo, come precisato dalla giurisprudenza Nella concreta fattispecie l'insussistenza di un danno risarcibile - derivante dalla mancata applicazione delle clausole contrattuali contestate - risultava non soltanto dalla semplice disamina di produzioni documentali, ma anche, e in maniera decisiva, dalla ammissione in fatto dello stesso proponente; il quale aveva dichiaratamente introdotto (con sostanziale finalità di mero accertamento) un'azione risarcitoria proprio con riguardo ad una situazione di applicazione soltanto eventuale e futura delle nuove commissioni di conto corrente. 3. Contro l'ordinanza della corte di merito il CODACONS - nella predetta qualità - ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso la s.p.a. Banca Intesa la quale ha, altresì, proposto ricorso incidentale condizionato - affidato a tre motivi - e non condizionato per un solo motivo, in relazione alla compensazione delle spese di lite. In via preliminare, peraltro, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso. Nei termini di cui all'art. 378 c.p.c., le parti hanno depositato memorie. 4. Con i motivi del ricorso principale parte ricorrente denuncia: violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, art. 183 c.p.c., comma 6; art. 24Cost., comma 2, e art. 111 Cost., comma 2, 'nella parte in cui la Corte di appello di Torino ha ritenuto non consentita alcuna modifica, precisazione della domanda attorea introdotta con atto di citazione; l'erronea, contraddittoria, insufficiente motivazione dell'ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non ammissibili le domande- precisazioni attoree in memoria 20.4.2010'; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 140 bis 'nella parte in cui l'ordinanza impugnata ha negato l’esperibilità dell'azione di mero accertamento'; 'erronea contraddittoria illogica motivazione del provvedimento nella parte in cui nega la rilevanza del danno non patrimoniale derivante dal diritto costituzionale alla tutela del risparmio e/o ritiene non provato quello patrimoniale derivante dalla comunicazione ai correntisti pur a fronte della mancata contestazione della banca convenuta'. 5. Con i motivi del ricorso incidentale condizionato la banca resistente denuncia: 1) violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., e art. 2907 c.c., in relazione alla ritenuta ammissibilità di rilievo d'ufficio della nullità in caso di azione di mero accertamento; 2) violazione degli artt. 112, 167 e 183 c.p.c., e D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, in relazione alla ritenuta ammissibilità della nuova doglianza concernente il TUOF; 3) violazione degli artt. 112, 167 e 183 c.p.c., e D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, in relazione alla ritenuta ammissibilità della nuova doglianza concernente la CDF. Con il motivo di ricorso incidentale non condizionato la banca resistente denuncia violazione dell'art. 92 c.p.c., e del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, comma 8, oltre che dell'art. 112 c.p.c., in relazione alla compensazione integrale delle spese di lite per entrambi i gradi del giudizio. 6. I ricorsi, proposti contro lo stesso provvedimento, devono essere riuniti. Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dalla banca resìstente. La proponibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., infatti, è condizionata alla sussistenza dei necessari requisiti della decisorietà, intesa come idoneità a risolvere una controversia intorno a diritti soggettivi o status, e della definitività, ossia della stabile incidenza di quei provvedimenti sui predetti diritti soggettivi e della insuscettività dei medesimi di essere revocati, modificati o assoggettabili ad altri rimedi giurisdizionali (v., per tutte, Cass. 18 settembre 1993, n. 9595; Cass. 11 febbraio 1995, n. 1541; Cass. 21 giugno 2002, n. 9064 e Cass. 16 luglio 2004, n. 13288). Parte ricorrente, per vero, ha fatto precedere all'illustrazione dei motivi una premessa sulla ricorribilità per cassazione dell'ordinanza della corte di appello che neghi, ai sensi dell'art. 140 bis cod. cons., l'ammissibilità dell'azione e ha fatto richiamo alla giurisprudenza formatasi sull'art. 274 c.c., prima dell'intervento della Corte costituzionale. Sennonchè la norma ora richiamata, prima della declaratoria di incostituzionalità, disciplinava una fattispecie affatto diversa rispetto a quella disciplinata dall'art. 140 bis cit.. La giurisprudenza della S.C., invero, riteneva che il provvedimento camerale in tema di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, reso dalla Corte d'appello in sede di reclamo, avesse carattere decisorio e definitivo e pertanto, ove non impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., acquistasse 'autorità di giudicato, precludendo la riproposizione della domanda, salvo che sulla base di circostanze ed elementi nuovi, per tali dovendosi intendere sia quelli oggettivamente nuovi, in quanto sopravvenuti al precedente provvedimento definitivo, sia quelli nuovi soggettivamente, perchè preesistenti ma non sottoposti all'esame del primo giudice' (Sez. 1, Sentenza n. 1826 del 28/01/2005; diversamente, però, v., in motivazione, Corte cost., sent. n. 50 del 2006: 'il meccanismo processuale di cui alla norma impugnata - in palese contraddizione con la sua funzione preventiva - si presta,... ad incentivare, per la sua stessa struttura, strumentalizzazioni, oltre che da parte del convenuto, anche da parte dello stesso attore che, attraverso una accurata programmazione della produzione probatoria, è in grado di assicurarsi - non essendo il provvedimento di inammissibilità suscettibile di passare in giudicato una reiterabilità, a tempo indeterminato, della istanza di riconoscimento, con la conseguenza che, proprio a fronte di iniziative effettivamente vessatorie, il convenuto potrebbe non esserne mai definitivamente al riparo'). Per converso, l'ordinanza di inammissibilità ex art. 140 bis cod. cons. non impedisce la proposizione dell'azione risarcitoria in sede ordinaria. Ciò che è inibita non è la tutela giurisdizionale di un diritto sebbene la tutela giurisdizionale in una determinata forma di un diritto tutelabile nelle forme ordinarie. Si tratta di provvedimento analogo a quello di rigetto della 'domanda d'ingiunzione', cioè un provvedimento che 'non pregiudica la riproposizione della domanda anche in via ordinaria' e, che, quindi, non è ricorribile per cassazione neppure ai sensi dell'art. 111 Cost., in quanto insuscettibile di passare in cosa giudicata (Cass., Sez. un., 19 aprile 2010 n. 9216; Cass., 3^, 29 settembre 2005 n. 19130). Si è pure rilevato, in dottrina, che il provvedimento può avere contenuto decisorio, come nell'ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza e, tuttavia, anche in tali casi, non è definitivo perchè anche nell'ipotesi di declaratoria di manifesta infondatezza della domanda, lo stesso soggetto, pur in assenza di elementi sopravvenuti, può proporre una nuova istanza, sia deducendo nuove prove, sia allegando nuovi fatti quantunque già esistenti, sia, più semplicemente, meglio strutturando la domanda, anche solo in punto di diritto. Invero, come è stato evidenziato in dottrina, l'ordinanza che dichiara o conferma l'inammissibilità dell'azione di classe, essendo fondata su una delibazione sommaria, non può assumere la stabilità del giudicato sostanziale e non produce l'efficacia preclusiva del dedotto e del deducibile. Nell'ipotesi di pronuncia di inammissibilità per manifesta infondatezza dei diritti omogenei fatti valere la valutazione del tribunale è operata, oltre che in sede di cognizione sommaria, ai soli fini del giudizio di ammissibilità della domanda di classe, dunque con delibazione finalizzata a una pronuncia di rito, idonea a condizionare soltanto la prosecuzione di quel processo di classe. Significativa, in proposito, è la norma di cui all'art. 140 bis, comma 14, secondo la quale 'non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l'adesione assegnato dal giudice ai sensi del comma 9'. E' l'ordinanza di ammissibilità, dunque, che preclude la proposizione della medesima azione di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l'adesione e, a contrario, l'ordinanza di inammissibilità non ne preclude la riproponibilità. Come ha evidenziato la dottrina, qui si coglie la differenza con la disciplina dettata dalla L. n. 117 del 1988, art. 5, che prevede espressamente che il provvedimento di inammissibilità sia ricorribile in cassazione, posto che tale disposizione vale proprio ad escludere la libera riproponibilità della domanda dichiarata inammissibile. Pertanto, l'ordinanza di inammissibilità ex art. 140 bis cod. cons. non implica alcuna decisione definitiva nè sull'esistenza del diritto risarcitorio rivendicato dal suo titolare nè sulla possibilità di farlo altrimenti valere in giudizio, talchè va esclusa l'ammissibilità del ricorso per cassazione, salvo per quel che attiene al capo riguardante la pronuncia sulle spese e sulla pubblicità. 7. La richiesta formulata in udienza dal P.G. di enunciazione dei principi di diritto cui il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi non è apprezzabile come richiesta ex art. 363 c.p.c., comma 2, nè è meritevole di accoglimento, se intesa come sollecitazione all'esercizio del potere officioso ex art. 363 c.p.c., comma 3. Infatti, l'art. 140 bis cod. cons. (D.Lgs. n. 206 del 2005) - già modificato ancor prima dell'entrata in vigore - è stato di recente ulteriormente modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (spiega la Relazione: 'In luogo del requisito dell'identità del diritto viene previsto quello della omogeneità') e, successivamente, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, in sede di conversione del decreto-legge, con l'inserimento, tra l'altro, nel comma 2 della disposizione, della premessa in virtù della quale 'L'azione di classe ha per oggetto l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori' e, nel comma 1, della precisazione che l'azione è esperibile anche per la tutela degli 'interessi collettivi'. Quanto alle commissioni bancarie oggetto dell'azione proposta nel presente procedimento, poi, è appena il caso di rilevare che il D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, già modificato dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 2, comma 2, è stato successivamente modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 27, comma 4 ('Il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis, commi 1 e 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, sono abrogati'; in particolare, il comma 3 del cit. art. 2 bis, recitava: 'I contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell'art. 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni'). Infine, il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 27 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27 ('Sono nulle tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido'), è stato modificato con D.L. 24 marzo 2012, n. 29, non ancora convertito in legge al momento della deliberazione della presente sentenza (è previsto l'esame in commissione della Camera il 18 aprile 2012). Appare evidente la completa inutilità dell'attività di nomofilachia ex art. 363 c.p.c., su enunciati normativi già definitivamente modificati ovvero in corso di modificazione. 8. I motivi del ricorso incidentale condizionato restano assorbiti dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale mentre l'elencazione sub 7 delle modifiche legislative che hanno interessato sia l'art. 140 bis cod. cons. che la normativa sostanziale dedotta in giudizio è sufficiente a dar conto dell'infondatezza del motivo di ricorso incidentale non condizionato relativo alla compensazione delle spese processuali che, per le stesse ragioni e per la reciproca soccombenza, possono essere compensate anche in relazione al giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e compensa le spese. APPENDICE NORMATIVA 1. I diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 nonché' gli interessi collettivi sono tutelabili anche attraverso l'azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. 2. L'azione di classe ha per oggetto l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori. L'azione tutela: a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. 3. I consumatori e utenti che intendono avvalersi della tutela di cui al presente articolo aderiscono all'azione di classe, senza ministero di difensore anche tramite posta elettronica certificata e fax. L'adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo, salvo quanto previsto dal comma 15. L'atto di adesione, contenente, oltre all'elezione di domicilio, l'indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa documentazione probatoria, è depositato in cancelleria, anche tramite l'attore, nel termine di cui al comma 9, lettera b). Gli effetti sulla prescrizione ai sensi degli articoli 2943 e 2945 del codice civile decorrono dalla notificazione della domanda e, per coloro che hanno aderito successivamente, dal deposito dell'atto di adesione. 4. La domanda è proposta al tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l'impresa, ma per la Valle d'Aosta è competente il tribunale di Torino, per il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia è competente il tribunale di Venezia, per le Marche, l'Umbria, l'Abruzzo e il Molise è competente il tribunale di Roma e per la Basilicata e la Calabria è competente il tribunale di Napoli. Il tribunale tratta la causa in composizione collegiale. 5. La domanda si propone con atto di citazione notificato anche all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale adìto, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità. 6. All'esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull'ammissibilità della domanda, ma può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un'istruttoria davanti a un'autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi ovvero quando il giudice non ravvisa l'omogeneità dei diritti individuali tutelabili ai sensi del comma 2, nonchè quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l'interesse della classe. 7. L'ordinanza che decide sulla ammissibilità è reclamabile davanti alla corte d'appello nel termine perentorio di trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione se anteriore. Sul reclamo la corte d'appello decide con ordinanza in camera di consiglio non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. Il reclamo dell'ordinanza ammissiva non sospende il procedimento davanti al tribunale. 8. Con l'ordinanza di inammissibilità, il giudice regola le spese, anche ai sensi dell'articolo 96 del codice di procedura civile, e ordina la più opportuna pubblicità a cura e spese del soccombente. 9. Con l'ordinanza con cui ammette l'azione il tribunale fissa termini e modalità della più opportuna pubblicità, ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe. L'esecuzione della pubblicità è condizione di procedibilità della domanda. Con la stessa ordinanza il tribunale: a) definisce i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi dall'azione; b) fissa un termine perentorio, non superiore a centoventi giorni dalla scadenza di quello per l'esecuzione della pubblicità, entro il quale gli atti di adesione, anche a mezzo dell'attore, sono depositati in cancelleria. Copia dell'ordinanza è trasmessa, a cura della cancelleria, al Ministero dello sviluppo economico che ne cura ulteriori forme di pubblicità, anche mediante la pubblicazione sul relativo sito internet. 10. È escluso l'intervento di terzi ai sensi dell'articolo 105 del codice di procedura civile. 11. Con l'ordinanza con cui ammette l'azione il tribunale determina altresì il corso della procedura assicurando, nel rispetto del contraddittorio, l'equa, efficace e sollecita gestione del processo. Con la stessa o con successiva ordinanza, modificabile o revocabile in ogni tempo, il tribunale prescrive le misure atte a evitare indebite ripetizioni o complicazioni nella presentazione di prove o argomenti; onera le parti della pubblicità ritenuta necessaria a tutela degli aderenti; regola nel modo che ritiene più opportuno l'istruzione probatoria e disciplina ogni altra questione di rito, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio. 12. Se accoglie la domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida, ai sensi dell'articolo 1226 del codice civile, le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all'azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme. In questo ultimo caso il giudice assegna alle parti un termine, non superiore a novanta giorni, per addivenire ad un accordo sulla liquidazione del danno. Il processo verbale dell'accordo, sottoscritto dalle parti e dal giudice, costituisce titolo esecutivo. Scaduto il termine senza che l'accordo sia stato raggiunto, il giudice, su istanza di almeno una delle parti, liquida le somme dovute ai singoli aderenti. In caso di accoglimento di un'azione di classe proposta nei confronti di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, il tribunale tiene conto di quanto riconosciuto in favore degli utenti e dei consumatori danneggiati nelle relative carte dei servizi eventualmente emanate. La sentenza diviene esecutiva decorsi centottanta giorni dalla pubblicazione. I pagamenti delle somme dovute effettuati durante tale periodo sono esenti da ogni diritto e incremento, anche per gli accessori di legge maturati dopo la pubblicazione della sentenza. 13. La corte d'appello, richiesta dei provvedimenti di cui all'articolo 283 del codice di procedura civile, tiene altresì conto dell'entità complessiva della somma gravante sul debitore, del numero dei creditori, nonchè delle connesse difficoltà di ripetizione in caso di accoglimento del gravame. La corte può comunque disporre che, fino al passaggio in giudicato della sentenza, la somma complessivamente dovuta dal debitore sia depositata e resti vincolata nelle forme ritenute più opportune. 14. La sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti degli aderenti. È fatta salva l'azione individuale dei soggetti che non aderiscono all'azione collettiva. Non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l'adesione assegnato dal giudice ai sensi del comma 9. Quelle proposte entro detto termine sono riunite d'ufficio se pendenti davanti allo stesso tribunale; altrimenti il giudice successivamente adìto ordina la cancellazione della causa dal ruolo, assegnando un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per la riassunzione davanti al primo giudice. 15. Le rinunce e le transazioni intervenute tra le parti non pregiudicano i diritti degli aderenti che non vi hanno espressamente consentito. Gli stessi diritti sono fatti salvi anche nei casi di estinzione del giudizio o di chiusura anticipata del processo». DECRETO LEGISLATIVO 20 dicembre 2009 n 198 Art. 1 Presupposti dell'azione e legittimazione ad agire 1. Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. 1-bis. Nel giudizio di sussistenza della lesione di cui al comma 1 il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione delle parti intimate. 1-ter. Sono escluse dall'applicazione del presente decreto le autorità amministrative indipendenti, gli organi giurisdizionali, le assemblee legislative e gli altri organi costituzionali nonche' la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2. Del ricorso e' data immediatamente notizia sul sito istituzionale dell'amministrazione o del concessionario intimati; il ricorso e' altresì comunicato al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. 3. I soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente possono intervenire nel termine di venti giorni liberi prima dell'udienza di discussione del ricorso che viene fissata d'ufficio, in una data compresa tra il novantesimo ed il centoventesimo giorno dal deposito del ricorso. 4. Ricorrendo i presupposti di cui al comma 1, il ricorso può essere proposto anche da associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori di cui al comma 1. 5. Il ricorso e' proposto nei confronti degli enti i cui organi sono competenti a esercitare le funzioni o a gestire i servizi cui sono riferite le violazioni e le omissioni di cui al comma 1. Gli enti intimati informano immediatamente della proposizione del ricorso il dirigente responsabile di ciascun ufficio coinvolto, il quale può intervenire nel giudizio. Il giudice, nella prima udienza, se ritiene che le violazioni o le omissioni sono ascrivibili ad enti ulteriori o diversi da quelli intimati, ordina l'integrazione del contraddittorio. 6. Il ricorso non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti di cui al comma 1; a tal fine, restano fermi i rimedi ordinari. 7. Il ricorso e' devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e le questioni di competenza sono rilevabili anche d'ufficio. Art. 2 Rapporti con le competenze di regolazione e controllo e con i giudizi instaurati ai sensi degli articoli 139, 140 e 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 1. Il ricorso di cui all'articolo 1 non può essere proposto se un organismo con funzione di regolazione e di controllo istituito con legge statale o regionale e preposto al settore interessato ha instaurato e non ancora definito un procedimento volto ad accertare le medesime condotte oggetto dell'azione di cui all'articolo 1, ne' se, in relazione alle medesime condotte, sia stato instaurato un giudizio ai sensi degli articoli 139, 140 e 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. 2. Nell'ipotesi in cui il procedimento di cui al comma 1 o un giudizio instaurato ai sensi degli articoli 139 e 140 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono iniziati dopo la proposizione del ricorso di cui all'articolo 1, il giudice di quest'ultimo ne dispone la sospensione fino alla definizione dei predetti procedimenti o giudizi. A seguito del passaggio in giudicato della sentenza che definisce nel merito il giudizio instaurato ai sensi dei citati articoli 139 e 140, il ricorso di cui all'articolo 1 diviene improcedibile. In ogni altro caso, quest'ultimo deve essere riassunto entro centoventi giorni dalla definizione del procedimento di cui al comma 1, ovvero dalla definizione con pronuncia non di merito sui giudizi instaurati ai sensi degli stessi articoli 139 e 140, altrimenti e' perento. 3. Il soggetto contro cui e' stato proposto il ricorso giurisdizionale di cui all'articolo 1 comunica immediatamente al giudice l'eventuale pendenza o la successiva instaurazione del procedimento di cui ai commi 1 e 2, ovvero di alcuno dei giudizi ivi indicati, per l'adozione dei conseguenti provvedimenti rispettivamente previsti dagli stessi commi 1 e 2. Art. 3 Procedimento 1. Il ricorrente notifica preventivamente una diffida all'amministrazione o al concessionario ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati. La diffida e' notificata all'organo di vertice dell'amministrazione o del concessionario, che assume senza ritardo le iniziative ritenute opportune, individua il settore in cui si e' verificata la violazione, l'omissione o il mancato adempimento di cui all'articolo 1, comma 1, e cura che il dirigente competente provveda a rimuoverne le cause. Tutte le iniziative assunte sono comunicate all'autore della diffida. Le pubbliche amministrazioni determinano, per ciascun settore di propria competenza, il procedimento da seguire a seguito di una diffida notificata ai sensi del presente comma. L'amministrazione o il concessionario destinatari della diffida, se ritengono che la violazione, l'omissione o il mancato adempimento sono imputabili altresì ad altre amministrazioni o concessionari, invitano il privato a notificare la diffida anche a questi ultimi. 2. Il ricorso e' proponibile se, decorso il termine di cui al primo periodo del comma 1, l'amministrazione o il concessionario non ha provveduto, o ha provveduto in modo parziale, ad eliminare la situazione denunciata. Il ricorso può essere proposto entro il termine perentorio di un anno dalla scadenza del termine di cui al primo periodo del comma 1. Il ricorrente ha l'onere di comprovare la notifica della diffida di cui al comma 1 e la scadenza del termine assegnato per provvedere, nonche' di dichiarare nel ricorso la persistenza, totale o parziale, della situazione denunciata. 3. In luogo della diffida di cui al comma 1, il ricorrente, se ne ricorrono i presupposti, può promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia ai sensi dell'articolo 30 della legge 18 giugno 2009, n. 69; in tal caso, se non si raggiunge la conciliazione delle parti, il ricorso e' proponibile entro un anno dall'esito di tali procedure. Art. 4 Sentenza 1. Il giudice accoglie la domanda se accerta la violazione, l'omissione o l'inadempimento di cui all'articolo 1, comma 1, ordinando alla pubblica amministrazione o al concessionario di porvi rimedio entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 2. Della sentenza che definisce il giudizio e' data notizia con le stesse modalità previste per il ricorso dall'articolo 1, comma 2. 3. La sentenza che accoglie la domanda nei confronti di una pubblica amministrazione e' comunicata, dopo il passaggio in giudicato, agli organismi con funzione di regolazione e di controllo preposti al settore interessato, alla Commissione e all'Organismo di cui agli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, alla procura regionale della Corte dei conti per i casi in cui emergono profili di responsabilità erariale, nonche' agli organi preposti all'avvio del giudizio disciplinare e a quelli deputati alla valutazione dei dirigenti coinvolti, per l'eventuale adozione dei provvedimenti di rispettiva competenza. 4. La sentenza che accoglie la domanda nei confronti di un concessionario di pubblici servizi e' comunicata all'amministrazione vigilante per le valutazioni di competenza in ordine all'esatto adempimento degli obblighi scaturenti dalla concessione e dalla convenzione che la disciplina. 5. L'amministrazione individua i soggetti che hanno concorso a cagionare le situazioni di cui all'articolo 1, comma 1, e adotta i conseguenti provvedimenti di propria competenza. 6. Le misure adottate in ottemperanza alla sentenza sono pubblicate sul sito istituzionale del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e sul sito istituzionale dell'amministrazione o del concessionario soccombente in giudizio. Art. 5 Ottemperanza 1. Nei casi di perdurante inottemperanza di una pubblica amministrazione si applicano le disposizioni di cui all'articolo 27, comma 1, n. 4, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054. 2. La sentenza di accoglimento del ricorso di cui al comma 1 e' comunicata alla Commissione e all'Organismo di cui agli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonche' alla procura regionale della Corte dei conti per i casi in cui emergono profili di responsabilità erariale. Art. 6 Monitoraggio 1. La Presidenza del Consiglio dei Ministri provvede al monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto, anche ai fini degli eventuali interventi correttivi di cui all'articolo 2, comma 3, della legge 4 marzo 2009, n. 15. Art. 7 Norma transitoria 1. In ragione della necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nelle carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici di cui all'articolo 1, comma 1, e di valutare l'impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori, la concreta applicazione del presente decreto alle amministrazioni ed ai concessionari di servizi pubblici e' determinata, fatto salvo quanto stabilito dal comma 2, anche progressivamente, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e di concerto, per quanto di competenza, con gli altri Ministri interessati. 2. In ragione della necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nelle carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici di cui all'articolo 1, comma 1, e di valutare l'impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori, la concreta applicazione del presente decreto alle regioni ed agli enti locali e' determinata, anche progressivamente, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su conforme parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Art. 8 Invarianza finanziaria 1. Dall'attuazione del presente provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.