I COMBUSTIBILI La combustione è la rapida ossidazione di un combustibile da parte di un comburente; la reazione è accompagnata da quel fenomeno fisico visibile che è denominato “fiamma” e dalla produzione energia termica. Il combustibile è costituito solitamente da una sostanza che contiene atomi di carbonio e di idrogeno, mentre il comburente normalmente impiegato è l’ossigeno presente nell’aria. Il carbonio si combina con l’ossigeno per formare anidride carbonica e libera calore secondo la seguente formula: C + O 2 = CO 2 + Calore Analogamente l’idrogeno si combina con l’ossigeno per formare vapore acqueo, con conseguente produzione di calore, secondo la formula seguente: 2H 2 + O 2 = 2H 2 O + Calore È importante rilevare che il combustibile e l’ossigeno si combinano in proporzioni ben definite e fisse. Le quantità di ossigeno e di combustibile nella miscela sono in proporzioni perfette o stechiometriche” quando queste permettono una completa ossidazione del combustibile. Se avessimo eccesso di combustibile oppure insufficienza di ossigeno la miscela viene definita ricca (o grassa), mentre la fiamma è riducente e tende ad essere lunga, gialla e fumosa. Tale tipo di combustione è anche definita “incompleta” perché solo una parte del carbonio viene completamente ossidato dall’ossigeno, mentre il restante subisce un’ossidazione parziale. Come indica la seguente formula di reazione, la combustione parziale o incompleta del carbonio è accompagnata dalla formazione di monossido di carbonio, un gas fortemente tossico: 2C + O 2 = 2CO + Calore La quantità di calore che qui si produce è inferiore a quella che accompagna la combustione completa. Infatti, il monossido di carbonio è un combustibile e quindi ancora in grado di bruciare, secondo la seguente reazione: 2CO+ O 2 = CO 2 + Calore Pertanto nel caso di combustione incompleta, avremmo due inconvenienti: • la produzione di un gas tossico • una resa inferiore in energia termica (solo il 30% del totale ottenibile). Se viceversa forniamo alla miscela ossigeno in eccesso, la miscela sarà povera (o magra) e la combustione ossidante. Come risultato avremmo una fiamma molto corta di colore tendente al blu. In questo caso tutta l’energia chimica presente nel combustibile viene trasformata in calore, cioè la combustione potrà essere definita completa. Dal punto di vista merceologico, per poter definire combustibile una sostanza non è sufficiente che sia in grado di dar luogo alla reazione di combustione.E’ necessario che abbia anche le seguenti caratteristiche: • deve produrre una quantità di calore elevata • il suo prezzo deve essere adeguato al suo potere calorifico; per es. il diamante (costituito da carbonio puro) per la chimica può essere definito combustibile • deve essere facile da trasportare; il costo del trasporto non deve avere notevole incidenza sul prezzo finale • non deve produrre sostanze dannose per gli impianti e l’ambiente; lo zolfo (definito combustibile per la chimica), durante la sua combustione produce ossidi di zolfo che sono altamente corrosivi e tossici. I COMBUSTIBILI FOSSILI I combustibili fossili sono fonti di energia primaria, che vengono trasformate soprattutto in energia elettrica dopo processi di conversione. Si sono formati a seguito delle trasformazioni subite da residui animali e vegetali nel corso delle varie ere geologiche. Queste trasformazioni hanno portato alla formazione di sostanze diverse a seconda dei composti chimici presenti e dei processi geologici cui le masse sono state sottoposte. Sono costituiti principalmente da carbonio ed idrogeno e possono contenere sostanze minerali. Un combustibile è tanto più pregiato quanto maggiore è la quantità di idrogeno che contiene e tanto minore è il suo contenuto in sostanze minerali, infatti, l'idrogeno aumenta il potere calorifico e le sostanze minerali i residui solidi. Si definisce potere calorifico di un combustibile la quantità di calore (espressa con le unità di misura dell’energia joule, caloria o wattora) prodotto dalla combustione completa di un kg (per i solidi e liquidi) o di un m3 di combustibile misurato (per i gassosi e liquidi) in condizioni standard (cioè alla temperatura di 0°C e alla pressione atmosferica) . 1 Pertanto le unità di misura utilizzate sono: kcal/kg kcal/ m3 kj/kg kj/ m3 kwh/kg kwh/ m3 e i loro multipli. Il potere calorifico superiore (Pcs) definisce la quantità di calore liberata durante una combustione completa, incluso il calore latente di evaporazione contenuto nel vapore acqueo dei gas di combustione. Il potere calorifico superiore di un combustibile viene determinato mediante il calorimetro (o bomba calorimetria), all’interno del quale una quantità esattamente pesata del combustibile viene fatta bruciare in presenza di ossigeno: • il calore prodotto dalla combustione completa riscalda l’acqua che si trova all’esterno • viene misurata, con un termometro, la differenza tra la temperatura massima e quella iniziale • moltiplicando questo valore per la costante del calorimetro si ottiene la quantità di calore sviluppata dalla combustione completa del combustibile • dividendo poi la quantità di calore per la quantità di combustibile utilizzato si ricava il potere calorifico superiore del combustibile. Il valore determinato col calorimetro è puramente teorico in quanto comprende anche il calore assorbito dall’acqua, prodottasi dalla combustione dell’idrogeno, per passare allo stato di vapore. Questo calore nella pratica viene perso perché viene dissipato con i prodotti della combustione. Per calcolare il potere calorifico reale di un combustibile, cioè il suo potere calorifico inferiore (Pci), bisogna sottrarre, dal valore misurato col calorimetro, una quantità di calore che viene determinata, con una formula empirica, sulla base della percentuale di idrogeno presente nel combustibile; la differenza tra Pcs e Pci aumenta con l’aumentare del quantità di idrogeno presente nel combustibile. Classificazione dei combustibili I combustibili vengono classificati in base: • allo stato fisico di aggregazione (solido, liquido e gassoso) • e all’origine (naturali e artificiali) I combustibili solidi naturali sono le biomasse vegetali e il carbone; quelli artificiali (ottenuti per distillazione da quelli naturali) sono il carbone di legna e il carbon coke. I combustibili liquidi naturali sono il petrolio e gli oli vegetali; quelli artificiali (ottenuti attraverso diversi trattamenti da carbone, petrolio e biomasse) sono benzina, cherosene, gasolio, oli combustibili, alcoli, biodiesel e bioetanolo. Il combustibile gassoso naturale è il così detto gas naturale, composto in gran parte da metano; i gas artificiali (ottenuti mediante processi industriali gassificazione e distillazionedi carbone, petrolio e biomasse) sono il gpl, idrogeno, biogas, gas illuminante e altri gas tecnici. I combustibili sono, di gran lunga, la fonte energetica più utilizzata. IL PETROLIO Il petrolio è il principale combustibile fossile liquido. Ha origine da sostanze organiche che, acculate nel sottosuolo in particolari condizioni di pressione e temperatura e per l’azione di microrganismi anaerobi, sono state trasformate, nel corso di milioni di anni, in idrocarburi Esso è formato da una miscela di circa 200 idrocarburi solidi,liquidi e gassosi; la sua composizione analitica elementare è mediamente la seguente: 80-87% carbonio 10-14% idrogeno il rimanente è costituito da zolfo, azoto, fosforo, ossigeno,elio. 2 Mentre la composizione analitica è pressoché uguale qualunque sia il giacimento di provenienza, la qualità del greggio dipende,invece, da alcuni parametri che riguarda per es. la resa nelle diverse frazioni che si possono ottenere e dalla presenza di sostante indesiderate (per es. lo zolfo). Idrocarburi Vasta classe di composti chimici formati da carbonio e idrogeno, molti dei quali, gassosi, liquidi o solidi, sono i principali costituenti del greggio e del gas naturale, oltre che di varie sostanze naturali (resine, caucciù, ecc.). Lo stato fisico di aggregazione degli idrocarburi dipende dal numero di atomi di carbonio che costituiscono la molecole (cioè dalle dimensioni della stessa). Idrocarburi di piccola dimensione sono gassosi; quelli di media dimensione sono liquidi; quelli di grande dimensione sono solidi. Il petrolio si presenta liquido perché prevalgono gli idrocarburi liquidi, mentre quelli solidi e gassosi si trovano in essi disciolti. Per la loro diversa struttura molecolare, essi hanno proprietà fisiche e chimiche diverse e sono quindi in grado di essere utilizzati in moltissimi campi. La loro caratteristica fondamentale è quella di produrre energia termica per ossidazione rapida (cioè bruciano). Questa caratteristica può essere utilizzata per produrre energia secondo tecnologie estremamente flessibili. Essi inoltre forniscono la materia prima indispensabile all’industria chimica moderna che è per questo detta petrolchimica. Nelle molecole degli idrocarburi gli atomi di carbonio possono legarsi in gran numero, formando catene aperte (idrocarburi alifatici aciclici: alcani, alcheni, alchini, ecc.) e chiuse (idrocarburi ciclici: alifatici ciclici o aliciclici e aromatici). Se vi figurano solo legami semplici si hanno idrocarburi saturi (alcani, cicloalcani), se vi sono anche legami doppi o tripli si hanno idrocarburi insaturi (alcheni, alchini). Il grande numero di atomi di carbonio che possono far parte delle molecole degli idrocarburi, la possibilità di scambio di valenze diverse tra gli atomi di carbonio e l’isomerizzazione rendono pressoché illimitato il numero dei possibili composti del carbonio. Si stima siano oltre tre milioni i composti già conosciuti e che circa 100.000 ne vengano isolati o sintetizzati ogni anno. Negli idrocarburi di questa serie, gli atomi di carbonio sono uniti da un legame semplice. Per esempio: Metano: CH4 Etano: CH3CH3 Propano: CH3CH2CH3 Butano: CH3(CH 2)n CH3 La formula generale degli Alcani è dunque: CnH2n+2 A partire dal butano si incontra negli alcani il fenomeno della isomeria. Due o più idrocarburi si definiscono isomeri quando le loro molecole hanno la stessa formula bruta (stesso numero di atomi di carbonio e stesso numero di atomi di idrogeno) ma struttura diversa. Il butano (C4H10) ha due isomeri: il normal butano (n-butano) e l'isobutano (o 2metilpropano). Si definisce "normale" la struttura lineare, mentre si parla di forme "iso" quando la catena è ramificata. Con l’aumentare del numero di atomi di carbonio della molecola aumenta il numero degli isomeri possibili. Alcheni 3 Gli alcheni o idrocarburi etilenici sono caratterizzati dal fatto che nella loro catena due atomi di C sono uniti con un doppio legame, per cui nella formula generale hanno due atomi di H in meno dei corrispondenti idrocarburi saturi. La formula generale è:CnH2n Il primo termine del gruppo è appunto l’etilene: Etilene:CH2=CH2 Propene:CH2= CH-CH3 Butene:CH2=CH-CH2CH 3 Pentene: CH2= CH-(CH2)2CH3 Alchini Gli alchini sono idrocarburi a catena aperta e insaturi, caratterizzati da un triplo legame. La formula generale è: CnH2n-2 Butilene: CH3-CH2-C≡CH Acetilene: CH≡CH Idrocarburi clicici La formula generale è: CnH 2n Ciclo propano Ciclo butano Ciclo pentano Ciclo esano Idrocarburi aromatici Sono gli idrocarburi che comprendono, nella loro molecola, un anello esagonale con tre doppi legami alternati a semplici legami. Il benzene, che è il più semplice fra gli idrocarburi aromatici, ha formula bruta C6H6: nella sua molecola, gli atomi di carbonio sono disposti ai vertici di un esagono regolare. Altri importanti idrocarburi aromatici sono il naftalene o naftalina, l’antracene e il benzopirene. benzene naftalene Il ciclo petrolifero Il ciclo petrolifero inizia con l'acquisizione (tramite negoziati diretti o partecipazione a gara) del diritto legale di cercare. Proprietario del diritto minerario è di norma lo Stato, con il quale la Compagnia petrolifera deve stipulare un contratto che stabilisca i diritti dei contraenti; in particolare, debbono essere definiti: l'area nella quale si svolgerà la ricerca, la durata dell'accordo, gli impegni minimi di lavoro e di spesa (commitment), come verrà ripartita la produzione e quali tasse la Compagnia sarà tenuta a pagare. Negli anni che hanno seguito la seconda guerra mondiale, i contratti di ricerca petrolifera si sono evoluti; generalmente, lo Stato ospite non si limita più ad una concessione di ricerca e sfruttamento dei giacimenti scoperti, con i relativi introiti delle royalties, ma, quasi sempre, partecipa direttamente agli utili della produzione. Attualmente sono frequenti i contratti di ripartizione della produzione ed i contratti di servizio, nei quali la Compagnia petrolifera non detiene i diritti minerari, ma agisce come contrattista della Compagnia di Stato del paese ospite. Esplorazione La scelta dell'area per un'avventura esplorativa viene valutata in funzione della possibilità e della probabilità di una scoperta basandosi su un certo numero di elementi geologici fondamentali (studi e ricerche, conoscenza dell'area, valutazione del rischio minerario) oltre che su considerazioni di carattere economico. Le operazioni esplorative iniziano con la prospezione geofisica, che comprende le operazioni necessarie all'individuazione delle trappole (serbatoi di rocce che consentono la formazione e l'accumulo di idrocarburi); viene di norma utilizzato un rilevamento sismico a riflessione che è in grado di ricostruire l'assetto stratigrafico delle rocce che costituiscono il sottosuolo e in casi favorevoli, di fornire, tramite ulteriori elaborazioni, anche informazioni sulla loro struttura litologica e sulla natura dei fluidi in essa contenuti. 4 I pozzi esplorativi hanno il compito di accertare se la trappola contiene idrocarburi, di che tipo e in quale quantità, e di verificare se il modello geologico del sottosuolo che è stato adottato sia effettivamente quello previsto. Le informazioni necessarie vengono ricavate dall'esame diretto delle rocce e fluidi (carote e fanghi di perforazione), integrate con dati acquisiti per via indiretta misurando in modo continuo i diversi parametri fisici delle rocce attraversate dal pozzo. Nelle aree marine i pozzi esplorativi vengono perforati da impianti di perforazione montati su strutture mobili di tipo autosollevante o semisommergibile e su navi di perforazione. Sviluppo Per recuperare gli idrocarburi occorre mettere in produzione il giacimento, perforando un numero ottimale di pozzi di produzione ed installando le attrezzature necessarie per liberare il gas e il petrolio dalle componenti indesiderate (particelle solide, acqua, sali, ecc.) e per separare la fase liquida del petrolio da quella gassosa. La pressione che permette al greggio di risalire in superficie è data dalla presenza in soluzione di idrocarburi gassosi. Una volta si recuperava solo il petrolio che usciva spontaneamente dal sottosuolo, oggi si procede mediante i sistemi di GAS INJECTION oppure di WATER INJECTION che consistono nel pompaggio sotto terra di gas o acqua, allo scopo di spingere verso l'alto il greggio rimasto nella roccia spugnosa e ormai privo di pressione. In mare le operazioni di sviluppo sono più complesse; i pozzi di produzione, sono perforati da piattaforme fisse di vario tipo (in acciaio, in cemento, semisommergibili, ancorate con cavi ecc.), di dimensioni spesso gigantesche, e deviati in modo da drenare la più vasta area possibile da un'unica postazione. In questi ultimi anni, per la messa in produzione di giacimenti in acque profonde (oltre i 400 metri) sono stati utilizzati sistemi di completamento sottomarini, con teste pozzo e relativi comandi, installati sul fondo e manovrati sul fondo stesso o, a distanza, dalla superficie. Durante la fase di perforazione le maggiori problematiche ambientali riguardano: • l'impatto visivo del cantiere ("footprint ambientale"), • la tossicità dei fluidi di perforazione, • lo smaltimento dei detriti • e il pericolo di blowout (eruzione incontrollata del pozzo). Il cantiere di perforazione occupa al massimo un'area di due ettari. Rimane operativo per un tempo variabile in funzione della profondità e del tipo di formazione da perforare. All'inizio dei lavori il terreno viene rimosso e preservato per poi essere ridistribuito sul suolo al termine dell'attività di perforazione. Per proteggere la falda acquifera superficiale viene eseguita una completa impermeabilizzazione del sito. Per ridurre il numero di postazioni si utilizzano tecnologie come quella dei pozzi orizzontali e pozzi deviati che consente la perforazione di più pozzi da un'unica postazione. Per i fluidi di perforazione sono stati messi a punto particolari additivi che ne riducono drasticamente la tossicità. I detriti vengono trattati presso l'impianto che dispone delle attrezzature necessarie per la separazione, il trattamento e l'avvio allo smaltimento. Terminata la fase di perforazione l'impianto viene smontato e l'area, delimitata da una barriera di piante tipiche dell'ecosistema, viene riportata alle condizioni iniziali. Produzione Una volta completato lo sviluppo, iniziano le attività di produzione attraverso le quali, gli idrocarburi sono estratti dal giacimento, trattati negli impianti e inviati al mercato tramite pipeline o navi. Durante la vita produttiva, che può durare anche decenni, il giacimento è continuamente monitorato, vengono effettuati interventi nei pozzi per ottimizzare la 5 produzione e , in alcuni casi, si procede a progetti di recupero avanzati, con l'iniezione di gas o di acqua, per aumentare la quantità di idrocarburi recuperabili. In alcuni casi il gas naturale prodotto viene stoccato in giacimenti sotterranei, appositamente predisposti, da dove verrà utilizzato successivamente per modulare la quantità di gas da erogare in funzione dei picchi di consumo, giornalieri o stagionali, e per consentire l'ottimizzazione della produzione dai giacimenti. L'impianto di produzione viene collocato in parte al di sotto del livello del terreno per limitare l'impatto visivo. Il petrolio e il gas naturale sono sempre associati ad una miscela di altri gas e acqua di strato. Le infrastrutture di raccolta e trattamento dei centri olio e delle centrali gas sono realizzate in modo da azzerare le emissioni gassose. Nella maggior parte dei casi le acque separate dagli idrocarburi vengono reiniettate nei giacimenti di provenienza. In località remote, il gas contenuto nell'olio al momento dell'estrazione non essendo utilizzabile viene liberato in atmosfera (Venting) o bruciato in fiaccola (Flaring). Ciò rappresenta una dispersione di materia prima, con un consistente impatto ambientale. Al fine di contenere le emissioni in atmosfera dei gas serra durante i processi estrattivi, dove possibile vengono adottati sistemi di reiniezione del gas nel giacimento mediante un pozzo reiniettore. Nei casi in cui l'utilizzo economico del gas associato non sia possibile, o per usi energetici locali o per la reiniezione nel giacimento stesso, si ricorre al "gas flaring" che consiste nel bruciare il gas in una torcia. Benché tale pratica sia in via di riduzione, sono ancora ingenti i volumi di gas associato destinati a flaring. Le statistiche mondiali più aggiornate indicano che nell'anno 2000 circa 120 miliardi di m3 di gas sono stati bruciati in torcia, corrispondenti a circa il 12,9% della produzione lorda mondiale. Si può stimare che a tale volume corrisponda un'emissione di almeno 350 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, assumendo che l'efficienza media di combustione delle torce sia del 98%. La stima di 350 Mt rappresenta una quantità rilevante, pari a circa il 60% dell'intero impegno europeo di riduzione di gas serra nell'ambito del Protocollo di Kyoto. Consapevole dell'importanza dell'abbattimento delle emissioni da gas flaring, l'Eni ha avviato il programma "Zero Gas Flaring". Già oggi, benché la produzione di gas Eni costituisca il 30% della produzione totale di idrocarburi, la quota di gas bruciato in torcia è solo l'8%, contro una media mondiale del 12,9%. Più del 90% del gas flaring dell'Eni è localizzato in tre paesi: Nigeria, Libia e Congo. Sono inoltre allo studio soluzioni per lo sfruttamento dell'energia prodotta dalla combustione del gas. Nell'offshore la perforazione avviene con mezzi in grado di trattare a bordo tutti fluidi e i detriti di lavorazione e stoccarli per lo smaltimento a terra. Le tecnologie di deviazione pozzi, raggiungendo più giacimenti da un'unica postazione, consentono di limitare il numero di piattaforme da installare stabilmente. La messa a punto di attrezzature in grado di permettere il pompaggio multifase evita la necessità di dotare nelle piattaforme ingombranti strutture per il trattamento olio. L'olio raggiunge la terraferma attraverso pipeline, miscelato con il gas e l'acqua estratti. Il trattamento e la separazione avviene in centri olio onshore. Lavorazione del greggio Il trasporto di petrolio alle raffinerie avviene tramite oleodotti e, per tragitti più lunghi, attraverso navi petroliere. Gli oleodotti, interrati o adagiati sui fondali marini, comprendono un complesso di condotte, stazioni di pompaggio, di controllo e di sicurezza. Le caratteristiche costruttive degli oleodotti, le protezioni delle tubazioni, i dispositivi di sicurezza per l’interruzione del flusso ed i sistemi di controllo garantiscono elevati livelli di prevenzione contro le fuoriuscite di prodotto. Le moderne petroliere sono navi cisterne a compartimenti separati e a doppio scafo: un’intercapedine di circa 2 metri riveste completamente lo scafo evitando la fuoriuscita in mare del carico in caso di collisione. Per ridurre l’impatto ambientale di queste navi, sono stati introdotti nuovi sistemi di ripulitura delle cisterne che permettono di raccogliere i residui petroliferi per trattarli poi in impianti a terra, anziché scaricarli in mare. Allo stato naturale, il petrolio greggio non ha pratici impieghi, ma dalla sua “raffinazione” è possibile ottenere prodotti fondamentali per la vita quotidiana; prodotti energetici, come ad esempio benzina e gasolio, e prodotti per uso non energetico, come basi lubrificanti e bitumi. La raffinazione del greggio fornisce inoltre importanti materie prime per l’industria petrolchimica, necessarie per la produzione di plastiche, vernici, adesivi, detersivi, resine, solventi, fibre sintetiche e gomme. 6 Il primo trattamento di raffinazione del petrolio consiste in una distillazione frazionata o topping che si compie in colonne o torri di distillazione o frazionamento di altezza anche superiore ai 30 metri. Il petrolio viene da prima riscaldato a circa 400°C in un opportuno forno e inviato allo stato di vapore nella torre di distillazione provvista di una serie di piatti perforati. Il petrolio raffreddandosi si divide in due correnti: una di gas e vapori che sale verso l'alto e una di liquidi che scende verso il basso. Le varie frazioni condensano a diverse altezze a seconda delle relative temperature di ebollizione; perciò, le frazioni più leggere, con punto di ebollizione più basso, si raccolgono nelle sezioni superiori della colonna, mentre le frazioni con punto di ebollizione più alto si raccolgono in quelle inferiori. In tal modo si ottengono le seguenti frazioni: 1) Prodotti gassosi (che includono gas liquefatti) 2) Virgin nafta (destinata alla petrolchimica) 3) Benzine (usate soprattutto come carburante per motori a scoppio) 4) Kerosene (impiegato in particolare come carburante per aerei a reazione) 5) Gasolio (usato come carburante per motori diesel e come combustibile per il riscaldalmento) 6) Residuo o olio pesante (da queste frazioni per ultima distillazione sottovuoto si ricavano oli combustibili, oli lubrificanti, cere e bitumi) Schema di torre di distillazione del petrolio Contenendo elementi indesiderati quali zolfo e azoto, i prodotti della raffinazione devono essere sottoposti a un processo di purificazione. Questo per due motivi: sono dannosi per i motori nei quali vengono utilizzati e sono responsabili delle piogge acide. Attualmente le raffinerie stanno concentrandosi su processi di desolforazione innovativi per rispettare specifiche più severe sul contenuto di zolfo delle benzine e dei gasoli, ma anche per migliorare la flessibilità delle raffinerie stesse. La seconda fase della raffinazione comprende differenti tipi di processi che modificano le molecole degli idrocarburi, rompendole in altre molecole più piccole (cracking), unendole tra loro per formarne di più grandi (polimerizzazione e alchilazione), o rimodellandole in altre molecole (reforming). L'obiettivo di quei processi è di convertire alcune delle frazioni 7 distillate in componenti per prodotti petroliferi commerciabili e/o di trasformare i tagli più pesanti in distillati leggeri ed intermedi. Impieghi dei prodotti petroliferi Il petrolio è la fonte energetica più utilizzata a livello mondiale. La stessa situazione è presente anche in Italia: I prodotti petroliferi si possono dividere in quattro famiglie, in base all'uso cui sono destinati: 1) I carburanti servono per azionare i diversi tipi di motori e comprendono la benzina (per automobili e aerei), il gasolio (per motori diesel), il kerosene (per le turbine degli aerei a reazione) e i gas petroliferi. 2) I combustibili si usano principalmente per il riscaldamento di abitazioni e di impianti industriali e vengono bruciati nelle caldaie per mezzo di bruciatori (a gasolio, a kerosene, a gpl). 3) La virgin nafta fornisce un grande numero di idrocarburi che sono le materie prime di diversi settori: plastica, detersivi, ecc. 4) I lubrificanti servono per ridurre l'attrito e quindi l'usura delle parti in movimento di motori e macchine. 5) Gli altri prodotti comprendono la vaselina (farmacia e prodotti cosmetici), la paraffina (cere, lucidi), gli asfalti e i bitumi (rivestimenti stradali) ecc. Prodotti gassosi I Gpl o gas di petrolio liquefatti sono miscele di frazioni leggere, che hanno la proprietà di essere gassosi alla pressione atmosferica e di liquefare a temperatura ambiente a pressioni non molto elevate. La maggior parte del Gpl si ottiene dalla prima distillazione del greggio e dal processo di reforming, mentre una quota minoritaria proviene dai processi di conversione (cracking catalitico, hydrocracking, visbreaking). I Gpl ottenuti dal topping e dal reforming contengono soltanto propano e butano mentre i Gpl da processi di conversione hanno percentuali più o meno elevate di idrocarburi insaturi (propene e butene). Per ragioni di sicurezza il Gpl deve essere odorizzato prima della commercializzazione, al fine di favorire la determinazione olfattiva di eventuali fughe. Sul mercato il Gpl è reperibile come miscela (propano/butano) e come propano commerciale. Gli impieghi principali del prodotto sono: autotrazione (in sostituzione di benzina e gasolio) e combustione. Benzine Si definisce benzina una miscela di idrocarburi leggeri, con molecole da 4 a 12 atomi di carbonio, liquida alle condizioni ambiente di temperatura e pressione, atta ad essere impiegata per azionare motori a combustione interna ad accensione comandata, cioè i “motori a scoppio”. La benzina ha mediamente un intervallo di distillazione compreso tra 30°C e 200°C. E’ la frazione che ha più elevato valore commerciale e costituisce circa il 25% dei prodotti della distillazione primaria. I principali requisiti che una benzina deve possedere sono due: 8 1. la volatilità, ovvero la proprietà di formare una quantità di vapore in modo tale da effettuare nei cilindri dei motori una buona combustione; 2. il potere antidetonante cioè la resistenza che un carburante oppone a passare dal regime di combustione a quello di detonazione. Questo potere si misura in N.O.(numero di ottano). Per stabilire le qualità antidetonante delle benzine vengono messe a confronto, in un motore standard, con due idrocarburi presi come riferimento: per convenzione al neptano si attribuisce numero di ottano uguale a 0 e all'isottano si attribuisce numero di ottano uguale a 100. Pertanto quando, per es., si dice che una benzina (o un qualsiasi altro carburante che può essere utilizzato in un motore a scoppio) ha NO 98, ciò significa che essa si comporta come una miscela costituita da 98% di isottano e il 2% di il n-eptano . Allo scopo di aumentare la resa in benzina e anche al fine di ottenere prodotti adatti a diversi impieghi individuali o all'utilizzo come intermedi nell'industria petrolifera, che assorbe circa il 10% della produzione di petrolio, sono stati messi a punto particolari procedimenti di trasformazione: il cracking, la polimerizzazione e il reforming. Le reazioni di cracking sono quelle in cui gli idrocarburi formati da lunghe catene di atomi di carbonio, presenti nelle frazioni medie e pesanti (come gasolio e oli combustibili), vengono “rotte” (da qui il termine cracking) e trasformate in molecole più leggere. I processi di cracking possono essere di tre tipi: il “cracking termico”, che usa solamente il calore, il “fluid catalytic cracking”, che si avvale del calore e di un catalizzatore chimico di conversione e l’”hydrocracking”, che utilizza il calore, un catalizzatore e l'idrogeno. Nelle reazioni di polimerizzazione si utilizzano, invece, gas che provengono da tutte le operazioni di raffinazione; partendo da idrocarburi leggeri si ottengono molecole con un numero di atomi di carbonio compreso tra 10 e 12. La reazione avviene in speciali reattori e si ottengono idrocarburi con un elevato numero di ottano. Poiché le benzine ottenute per distillazione hanno numero di ottano molto modesto, esse vengono sottoposte a reazioni di reforming utili per migliorare le proprietà antidetonanti. Le proprietà antidetonanti di un idrocarburo dipendono dalle dimensioni e dalla struttura della molecola: Il NO di un idrocarburo: • diminuisce all’aumentare del numero di atomi di carbonio (es. il metano è migliore dell’etano ) a parità di numero di atomi di carbonio: • aumenta con la ramificazione della molecola (es. l’isobutano è migliore del n-butano) • aumenta con la presenza di doppi e tripli legami (es, l’etilene è migliore dell’etano) • aumenta negli idrocarburi ciclici (es. il ciclobutano è migliore del butano). Le reazioni di reforming servono pertanto per modificare la struttura delle molecole degli idrocarburi pur conservando lo stesso numero di atomi di carbonio; si opera a temperatura e pressione elevata e in presenza di catalizzatori. Tra le varie reazioni possibili sono da segnalare quelle di isomerizzazione, in cui alcuni idrocarburi lineari sono trasformati in idrocarburi ramificati e quelle di ciclizzazione, in cui si formano idrocarburi aromatici (contenenti cioè un anello benzenico) a partire da idrocarburi lineari. Il processo di reforming, oltre ad essere indispensabile per migliorare la qualità delle benzine, rappresenta anche la fonte primaria di idrogeno per le necessità della raffineria. La benzina finita si ottiene miscelando componenti provenienti dai diversi impianti e aggiungendo minime quantità di additivi per migliorare il NO (per es. MTBE) e per conferire alla benzina proprietà aggiuntive (per es. detergenza). In passato per migliorare il NO di una benzina venivano utilizzati composti organici del piombo (piombo tetrametile e piombo tetraetile) ora banditi in quanto altamente inquinanti; la benzina era di colore rosso). Dal 1° gennaio 2002 nei Paesi dell’Unione Europea possono essere commercializzate soltanto benzine senza piombo (verdi) e pertanto da quella data le benzine del mercato europeo si distinguono solo per il numero di ottano. La norma EN 228, recepita in Italia come UNI EN 228, è la specifica europea di riferimento della benzina super senza piombo (detta Euro Super) che ha NO 95 e deve essere reperibile in tutti i paesi dell’Unione Europea. Accanto alla Euro Super, nella maggior parte dei paesi europei è reperibile anche una Superplus con ottano 98, mente in alcuni paesi, come ad esempio Germania ed Austria, è disponibile anche una benzina normale (ottano 91-92). a benzina agricola è ricavata dalla benzina verde e può essere impiegata solo come combustibile nei mezzi agricoli, poiché gode di agevolazioni fiscali. Per poter 9 utilizzare questo prodotto è necessario essere in possesso dei requisiti descritti nei provvedimenti legislativi relativi. La gamma delle altre benzine si completa con la benzina avio destinata a soddisfare le esigenze dell'aviazione civile leggera, come aerei da turismo e della Protezione Civile. Cherosene Il cherosene è un prodotto ottenuto prevalentemente dalla distillazione primaria del greggio. Mediamente il cherosene ha un intervallo di distillazione compreso tra 180°C e 280°C. Nella formulazione possono essere impiegati anche tagli provenienti da impianti di conversione, quali l’hydrocracking, mentre non vengono in generale impiegati tagli da impianti di cracking catalitico e termico. L’impiego principale del cherosene si ha nei motori a turbina per aviazione (Jet Fuel). Poiché la temperatura alle alte quote raggiunge valori molto bassi (circa –50°C), il Jet Fuel viene ottenuto addizionando sostanze antigelo. In Europa il mercato dei cheroseni per riscaldamento e illuminazione, al confronto, è da considerarsi del tutto marginale. Gasolio Mediamente il gasolio ha un intervallo di distillazione compreso tra 160°C e 380°C; fino a non molti anni fa, veniva prodotto esclusivamente dalla distillazione primaria del greggio e, pertanto, la sua qualità dipendeva sostanzialmente dalle caratteristiche del greggio stesso e dalle modalità di distillazione. Negli anni più recenti hanno trovato sempre maggiore impiego componenti da impianti di conversione come per esempio tagli da cracking o da hydrocracking, e quindi l’influenza della qualità del greggio, seppur sempre importante, si è attenuata. Il gasolio viene prevalentemente utilizzato per l'alimentazione dei motori a combustione interna ad accensione spontanea (motori diesel) oppure per la combustione in impianti termici per il riscaldamento civile. Nel caso di utilizzo nel motore diesel, il gasolio viene iniettato nella camera di combustione dove s’infiamma a contatto con l’aria portata ad alta temperatura dalla compressione. Il gasolio pertanto dovrà possedere buone caratteristiche di combustione, tali da limitare il ritardo tra l’inizio dell’iniezione e l’inizio dell’accensione. Il “numero di cetano” è l’indicatore scelto per misurare la rapidità con la quale viene innescata la combustione (per autotrazione: minimo 51; per motori lenti come quelli agricoli e marini il valore può essere sensibilmente più basso). La specifica di riferimento europea che armonizza in tutta l'Europa Occidentale le specifiche nazionali del gasolio autotrazione é la EN 590, che è stata recepita in Italia come UNI EN 590. Le caratteristiche del gasolio che hanno un impatto ambientale (per es. il contenuto di zolfo) sono state definite dall'Unione Europea nella Direttiva 2003/17/CE. Le esigenze applicative e quindi di specifica per l'impiego del gasolio nella combustione stazionaria sono meno severe rispetto a quelle per l'autotrazione. Il gasolio per riscaldamento si differenzia infatti dal prodotto per autotrazione per tre aspetti: • Ha un più elevato tenore di zolfo (0,2% contro 0,035%) • E’ più “altobollente” • Il numero di cetano non è indicato in specifica Un particolare tipo di gasolio ad elevato punto finale di ebollizione e ad alto tenore di zolfo è impiegato nella trazione navale su motori di media dimensione. Il gasolio agricolo viene utilizzato come carburante nei mezzi agricoli e come combustibile per le attività legate all’agricoltura. Questo prodotto è sottoposto ad una tassazione diversa rispetto agli altri prodotti petroliferi, per questo motivo viene colorato di verde prima della commercializzazione. Per poter acquistare e utilizzare il gasolio agricolo è necessario essere in possesso dei requisiti descritti nei provvedimenti legislativi relativi. Il gasolio alpino è impiegato come carburante per i motori diesel che devono funzionare a basse temperature. Infatti questo prodotto, grazie ad un particolare processo di raffinazione, può essere impiegato senza problemi fino a una temperatura di meno 21° C. Oli combustibili E’ la frazione che distilla entro i 350 °C: sono solitamente di colore giallo, hanno un odore caratteristico e una densità tra 0,82 e 0,90. Vengono di norma utilizzati come combustibili per motori a combustione interna o in miscela con altri oli pesanti. Dalla frazione che distilla oltre i 350 °C si ottengono gli oli residuali o nafte che possono essere impiegati in forni industriali e centrali termoelettriche; tuttavia, a causa del loro elevato potere inquinante, vengono, sempre di più, destinati a gassificazione. Ciò consente 10 di ottenere un gas pulito e, contemporaneamente, di recuperare lo zolfo. Alla Saras di Sarroch esiste uno dei più grandi impianti di gassificazione. Impatto ambientale Il petrolio può inquinare durante tre fasi: il trasporto, la lavorazione e la combustione dei suoi derivati. a forma più impressionante di inquinamento è quello provocato dal petrolio riversato in mare. Per dare un'idea delle dimensioni del problema basti pensare che un litro di petrolio rende non più potabile un milione di litri di acqua. In media ogni anno sono riversate in mare circa 5 milioni di tonnellate di petrolio. Di questo petrolio il 47% circa proviene dalle raffinerie, mentre il 41% dai trasporti in petroliera, da incidenti e da perdite durante la trivellazione in mare. I danni provocati da incidenti sono stati incalcolabili per la flora marina, per i crostacei, i pesci, gli uccelli e i mammiferi. Gli studi hanno dimostrato che anche a distanza di una decina di anni dall'incidente gli animali colpiti erano malati e la loro catena alimentare sconvolta. L’'inquinamento provocato dal petrolio, causa anche il deposito sui fondali marini di catrame, di cui non possiamo prevedere gli effetti di lungo termine sull'ecosistema. F l'effetto serra r a i p r o d o t t i % dei principali gas ad effetto serra della combustione troviamo molti elementi inquinanti primari. In primo luogo il biossido e il monossido di carbonio, che sono gas che provocano l'effetto serra, poi gli ossidi di zolfo e di azoto che reagiscono e formano, rispettivamente, acido solforico e acido nitrico, responsabili Fonti responsabili dell’emissione di SOx e NOx % 11 delle delle piogge acide. Le piogge acide oltre ad avere ripercussione negative per la salute dell’uomo provocano notevoli danni alle foreste, alle coltivazioni agricole e ai monumenti. La combustione dei combustibili provoca anche la formazione di un importante inquinante secondario come l’ozono (O3) che si origina dalla reazione tra una molecola di ossigeno atmosferico (O2) e un atomo di ossigeno (O). Anche questo inquinante provoca notevoli danni all’ambiente; quando la concentrazione di questo elemento supera la soglia di pericolo, nelle nostre città viene bloccata la circolazione veicolare. La combustione di gasolio e benzina provoca inoltre l'emissione di "particolato", cioè di aggregati di materia solida o liquida, le cui Monumento fotografato a distanza di 60 anni dimensioni sono inferiori a mezzo millimetro. Le 1908 1968 particelle rimangono a lungo sospese nell'atmosfera e si diffondono a grande distanza dal luogo di emissione, mentre le particelle di dimensione maggiore ricadono rapidamente in zone vicine. concentrazione di ozono nell'estate del 2003 foglia di tabacco esposta a concentrazioni basse di ozono Spesso il particolato rappresenta l’inquinante a maggiore impatto ambientale nelle aree urbane, tanto da indurre le autorità competenti a disporre dei blocchi del traffico per ridurne il fenomeno. Le particelle sospese totali sospese o PTS, che hanno anche altri origini, vengono anche indicate come PM (Particulate Matter). Il particolato nell’aria può essere costituito da diverse sostanze: sabbia, ceneri, polveri, fuliggine, sostanze silicee di varia natura, sostanze vegetali, composti metallici, fibre tessili naturali e artificiali, sali, elementi come il carbonio o il piombo, ecc.. Il parametro utilizzato per classificare il livello di inquinamento è il PM10, cioè le particelle di dimensioni inferiore ai 10 mm. DATI STATISTICI Riserve, produzione e consumo 12 1995 RISERVE MONDO 2007 969,429 106 barili 1,147,507 riserve aree Produzione % (aree) 13 Produzione primi dieci paesi del mondo Consumi % aree Consumi % 14 Consumo pro capite (aree) Consumo pro capite In Italia il consumo pro capite nel 2006 è stato pari a 10,81 barili. 15 GAS NATURALE I principali combustibili gassosi sono, principalmente : gas di città, gas di petrolio liquefatto, gas naturale. Il gas di città è detto anche gas illuminante perché nell'800 veniva usato per illuminazione pubblica e privata. La materia prima era il carbon fossile, che sottoposto a distillazione dava il gas, un residuo solido il carbon coke, ammoniaca e catrame. Il gas petrolio liquefatto (GPL) ha in gran parte sostituito il precedente negli anni 50 e 60; si ottiene nelle raffinerie dalla distillazione del petrolio. Il gas naturale è diventato il gas di uso generale dagli anni 60 in poi. Il gas naturale è una miscela di idrocarburi, costituito in massima parte da metano e, per il resto, da piccole quantità di etano, propano, butano, pentano, ecc. Per questo motivo il gas naturale viene comunemente chiamato "metano". A differenza degli altri, che sono prodotti di trasformazione,il metano è un combustibile naturale che viene estratto direttamente dal sottosuolo. L'origine del metano è legata a quella del petrolio; quasi sempre si trova intrappolato insieme al petrolio sotto uno strato di roccia anche se esistono grandi giacimenti di solo gas naturale. La tecnica usata per la ricerca e la perforazione dei giacimenti è uguale a quella del petrolio. Date le grandi pressioni, non appena si finisce di trivellare il gas fuoriesce da solo e occorre solamente "infilarlo" in un tubo e indirizzarlo verso le sue destinazioni finali o nei centri di stoccaggio. Tutta l'Europa è attraversata da lunghi gasdotti di cui non notiamo la presenza perché il loro tragitto è sotterraneo, e in questo modo il paesaggio non viene deturpato. Attualmente in Italia confluiscono tre gasdotti. Uno arriva dalla Siberia e giunge in Italia attraverso l'Austria. Uno arriva dall'Olanda e scavalca le Alpi italoRete di metanodotti europei svizzere. Un terzo arriva dall'Algeria, attraversa il canale di Sicilia, sbuca sull'isola e risale tutta la penisola. Il metano viene trasportato anche con le navi metaniere; per rendere economicamente conveniente questo tipo di trasporto il gas deve essere compresso ad elevate pressioni e a temperature molto basse. Nella figura sono indicate le rotte seguite dalle metaniere dirette in Europa. Il gas naturale, trasportato con le navi Rotte delle metaniere dirette in Europa metaniere, una volta arrivato nei luoghi di consumo, viene stoccato, nei centri criogenici, in appositi serbatoi e tenuto a pressione elevata e bassa temperatura. Qualunque sia il metodo di trasporto utilizzato il metano, prima di essere immesso nella rete di distribuzione, subisce questi trattamenti: 16 • la pressione viene ridotta a valori molto bassi • viene addizionata una particolare sostanza odorizzante, che serve per avvertire eventuali fughe • in parte viene immagazzinato in apposti in serbatoi metallici di grandi dimensioni (gasometri), che Esportazioni mondiali via GNL e via gasdotto rispetto alla produzione permettono di far fronte alla maggior richiesta nelle ore di punta. Recentemente il gas naturale è divenuto oggetto di grande attenzione per i vantaggi ambientali che derivano dal suo uso. Infatti durante la combustione del gas naturale, le emissioni di biossido di zolfo, polveri e composti nocivi avvengono solamente in quantità assolutamente trascurabili. Anche le emissioni di ossido di azoto sono inferiori a quelle prodotte dalla combustione del carbone, del gasolio e della benzina. Quando brucia, il gas naturale rilascia nell'atmosfera prevalentemente vapore acqueo (H2O) e anidride carbonica (CO2), due sostanze gassose che esistono normalmente in natura. L'anidride carbonica non deve però essere troppo abbondante, in quanto è tra i responsabili dell'effetto serra (i maggiori Paesi ciclo operativo del gas naturale industrializzati si sono accordati, durante la conferenza sul clima di Kyoto del 1997, per ridurre le emissioni di gas ed effetto serra sul pianeta). In ogni caso, a parità di energia prodotta, il gas naturale produce meno anidride carbonica rispetto ad altri combustibili o carburanti di origine fossile come la benzina e il gasolio.Grazie a questi aspetti, i veicoli a gas naturale (taxi, scuolabus, pulmini e autobus) potrebbero costituire una delle risposte per ridurre in parte l'inquinamento atmosferico delle città. Attualmente in Italia circolano circa oltre 300.000 vetture a gas naturale, che corrispondono a un terzo del totale mondiale (siamo secondi solo all'Argentina). Inoltre, grazie alle condutture sotterranee il gas arriva nelle case e nelle industrie; viene così evitato l'inquinamento dovuto al transito sulle strade di autocisterne che trasportano combustibili liquidi. 17 Riserve mondo Riserve metano (aree) aree) Produzione metano (aree) aree) 18 Produzione metano (paesi) paesi) consumi metano (paesi) Esportazioni metano (paesi) 19 IL CARBONE Il carbone è un combustibile fossile noto da molti secoli, divenuto fondamentale fonte primaria di energia nel XVIII secolo con la Rivoluzione industriale quando sostituì di fatto il legno per il suo maggiore potere calorifico. Esso si è formato dalla decomposizione, in ambiente anaerobico, di grandi masse vegetali, modificate dalla pressione e dalla temperatura nel sottosuolo. Le zone più favorevoli per la formazione di depositi organici vegetali sono state le pianure costiere, le lagune e le zone paludose. A differenza del petrolio e del gas naturale, che si trovano concentrati in alcune aree della terra, i giacimenti di carbone sono più equamente distribuiti in tutti i continenti. Ciò è dovuto al fatto che l carbone, essendo solido, si è conservato nello stessi luoghi in cui si è originato, mentre gli altri due grazie, in quanto fluidi, hanno potuto spostarsi anche a lunghissima distanza prima di trovare delle sacche impermeabili in cui sono rimasti bloccati. Il processo di formazione del carbone è detto “carbogenesi” o “carbonizzazione” e le sue caratteristiche cambiano da giacimento a giacimento, dipendendo da vari fattori: tipo di vegetali, profondità, temperature e pressioni presenti nel sottosuolo, durata del periodo di trasformazione, composizione dell’acqua e delle rocce con cui è in contatto. Una carbogenesi prolungata comporta una progressiva eliminazione dai resti vegetali di componenti come idrogeno e ossigeno con un conseguente arricchimento indiretto di carbonio. Il valore commerciale di un carbone si determina in base al contenuto percentuale di carbonio, e quindi al grado di fossilizzazione subita, e alla quantità e qualità delle sostanze organiche ed inorganiche, come ad esempio lo zolfo, presenti: 1) torba (55% - 65% circa di carbonio): deriva da una carbonizzazione piuttosto recente di vegetali erbacei e lacustri, ha un elevato contenuto di acqua, pari a circa l’80% - 90%, e di sostanze inorganiche, la cui combustione produce le ceneri, è di scarso pregio e non trova applicazioni industriali; 2) lignite (65% - 75% di C): deriva da un processo di carbogenesi più spinto della torba, durato oltre 2 milioni di anni, umidità fino al 50%, è un combustibile “povero” ed è utilizzato solo in condizioni particolari; 3) litantrace (75% - 90% di C): è il carbon fossile vero e proprio; è duro e compatto, ha basso tasso di umidità e di ceneri, è di largo impiego nella produzione industriale, soprattutto quando trasformato nel coke siderurgico, con cui si produce la ghisa dai minerali in ferro; 4) antracite (90% - 95% di C): è il carbone più pregiato, si ottiene alla fase conclusiva della carbonizzazione del legno (circa 300 milioni di anni), ha bassissimo tenore di sostanze volatili, ha scarso utilizzo nelle applicazioni industriali ma è largamente utilizzato nel riscaldamento domestico. Il potere calorifico dei diversi tipi di carbone dipende dalla percentuale di carbonio presente: si va dai 3.500-5000 kcal/kg circa della lignite agli oltre 7.000 del litantrace, fino ad arrivare agli 8.500 dell’antracite (per fare un confronto il potere calorifero del legno può arrivare fino ai 3.500 kcal/kg). Un’altra classificazione, in parte sovrapponibile alla precedente, suddivide i carboni in lignitici, subbituminosi, bituminosi e antracitici, in base alla percentuale di carbonio, di sostanze volatili e al potere calorifico. I giacimenti Il carbone è la fonte energetica primaria più abbondante sul globo terrestre: i suoi giacimenti sono presenti in varie regioni della Terra. Stando alle stime del World Energy Council, nota organizzazione mondiale in campo energetico, alla fine del 2003 le riserve mondiali di carbone erano di oltre 984 Gt (519 di antracite e carbone bituminoso e 465 di sub-bitumimoso e lignite). Il paese con il maggior quantitativo di carbone sono gli Stati Uniti con circa 250 Gt, seguiti dalla Russia (157), Cina (114), India (84) e Australia (82). In Europa ed Eurasia le riserve più grandi si trovano in Germania (66), Ucraina e Kazakistan (34), Polonia (22), Repubblica Ceca (5,6), Grecia (2,8) e Gran Bretagna (1,5). Sono riserve che se sfruttate con lo stesso tasso attuale sarebbero sufficienti per alcune centinaia di anni. E’ proprio grazie alle sue grandi riserve mondiali, al basso prezzo e alla necessità di diversificare le fonti energetiche primarie che i Paesi industrializzati e quelli con economie emergenti stanno ricominciando a utilizzare il carbone, per sostituire il ben più caro “oro nero”. 20 A differenza degli altri combustibili fossili, i maggiori produttori di carbone sono, in generale, anche i maggiori consumatori; i costi notevoli per il suo trasporto, rapportati al suo modesto valore economico (rispetto a petrolio e metano), limitano notevolmente il commercio internazionale di questa fonte energetica. Nel 2003 i consumi mondiali di carbone hanno raggiunto i 2.578 Mtep con un incremento di circa il 6,9% rispetto all’anno precedente, con punte del 10,4% in Asia e addirittura del 15,1% in Cina. L’aumento dei consumi mondiali del 2003 rispetto a quelli del 1993, pari a 2.168 Mtep, è stato addirittura del 18,9%. La nazione che ha consumato più carbone nel 2003 è stata la Cina con circa 800 Mtep, seguita dagli Stati Uniti con poco meno di 574 Mtep. Il nostro Paese lo scorso anno ha consumato 15,3 Mtep di carbone contro i 14,2 del 2002 (+7,7%) e i 10 di dieci anni prima (+53%). Passando alla produzione, nel 2003 sono stati prodotti oltre 2.518,6 Mtep di carbone, con un incremento del 5,9% rispetto all’anno precedente. Gli incrementi maggiori nella produzione rispetto al 2002 si sono registrati in Asia (+10,8%), in particolar modo in Cina (+15%). Nel 2003 i paesi Asiatici e del Pacifico hanno avuto una produzione di 1317,7 Mtep (pari al 52,3% del totale mondiale), seguiti dal nord America con 589,6 milioni di tonnellate equivalenti (23,4%) e dall’Europa ed Eurasia con 434 Mtep (17,2%). I g i a c i m e n t i e 21 L’IMPORT-EXPORT IN ITALIA Nel nostro Paese l’unica risorsa carbonifera effettivamente sfruttata è un deposito di carbone sub-bituminoso nel bacino del Sulcis Iglesiente, a sud ovest della Sardegna. L’attuale area di coltivazione contiene, in base alle più recenti stime, circa 57 Mt di carbone con potere calorifero di oltre 5.000 kcal/Kg ed elevato contenuto di ceneri e zolfo. Le attività estrattive del bacino carbonifero sardo sono state sospese nel 1972 per essere riprese nel 1997. Attualmente dalla miniera vengono estratte circa 400.000 t/anno di carbone, in gran parte destinato alla centrale Enel di Portovesme. Per fronteggiare le altre richieste di carbone l’Italia deve ovviamente importarlo dall’estero, soprattutto via mare (circa il 99% del totale). La nazione di provenienza è diversificata in base alla qualità del carbone richiesto e all’utilizzo industriale che se ne deve fare. Nel 2003 il nostro Paese ha importato oltre 22 Mt di carbone (+11% rispetto all’anno 2002), soprattutto da vapore (15,8 Mt, +13% rispetto all’anno precedente) e da coke (4,7 Mt, -9% rispetto al 2002). I principali paesi d’importazione sono Indonesia (oltre 5 Mt di carbone da vapore), Sud Africa (4,7, soprattutto da vapore), Australia (3, diviso per metà in carbone da vapore e da coke), Usa (2,5, fondamentalmente da coke), Colombia (2,5, da vapore) e Cina (1,7, soprattutto metallurgico e in parte da vapore). Per quanto concerne invece le esportazioni l’Italia invia oltre confine 200mila tonnellate di carbone, l’82% del quale è costituito da coke metallurgico. Il Paese che acquista più coke metallurgico dall’Italia è la Francia (oltre 62mila tonnellate), seguito dalla Germania (circa 36mila). Le principali applicazioni Le principali applicazioni industriali del carbone riguardano: 1. il suo utilizzo come combustibile in centrali termoelettriche, centrali termiche per la produzione di calore e vapore per l’industria, 2. la sua trasformazione in altri prodotti e combustibili artificiali da destinare ad altri impieghi (catrame, carbon coke, gas tecnici, benzine e gasoli) mediante trattamenti di distillazione, gassificazione e liquefazione. Un combustibile solido che grazie al suo elevato potere calorifico e soprattutto al basso prezzo di acquisto, soprattutto di quello proveniente dai paesi in via di sviluppo o con economie emergenti, ha ancora il suo forte appeal sull’industria mondiale. Senza dimenticare anche gli usi domestici per il riscaldamento, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Per la produzione di energia elettrica il carbone viene fatto bruciare in un forno nel quale viene recuperata l’energia termica prodotta dalla sua combustione. Inizialmente il carbone veniva utilizzato a pezzi, oggi invece viene macinato e polverizzato per aumentare la superficie specifica e il contatto con l’ossigeno e quindi la velocità di combustione. I gas 22 caldi generati dalla combustione del carbone fanno evaporare l’acqua presente nei tubi interni al forno. Il vapore viene compresso in una pompa e poi espanso in una turbina, causando il movimento rotatorio delle sue pale. La rotazione della turbina e conseguentemente del generatore elettrico, montati sullo stesso albero motore, dà luogo alla produzione di energia elettrica. In siderurgia il carbone viene utilizzato soprattutto per la produzione del coke. Il carbone, riscaldato a oltre 1000 gradi centigradi in assenza di ossigeno (distillazione), perde le sostanze volatili e forma un residuo solido chiamato coke, utilizzato soprattutto nell’industria metallurgica. Il coke è un carbone in parte grafitizzato, duro e poroso, che brucia con difficoltà e contiene una percentuale al di sotto del 10% di ceneri. I prodotti gassosi che si liberano nella produzione del coke formano a temperatura ambiente il cosiddetto gas di cokeria, costituito fondamentalmente da idrogeno, metano, monossido di carbonio e azoto. Questo gas è utilizzato per usi termici all’interno della stessa cokeria per il riscaldamento del forno. Il coke metallurgico prodotto dal carbone (litantrace grasso a corta fiamma) viene utilizzato negli altiforni siderurgici per la produzione di ghisa in quanto svolge le seguenti funzioni: 1) produrre calore, 2) operare la riduzione dell’ossido di ferro, 3) combinarsi col ferro per dare la lega (ghisa). Un’altra frazione che si ottiene dalla distillazione del carbone è rappresentata dal catrame, liquido dal quale si possono ottenere, per ulteriore distillazione a pressione ridotta, una serie di idrocarburi e composti che costituivano le materie prime della “carbochimica”, oggi sostituita dalla “petrolchimica”. I carboni meno pregiati (specie ligniti) e con elevati tenori di zolfo vengono attualmente sottoposti al processo di gassificazione che consente di ottenere un combustibile gassoso pulito e, inoltre, di recuperare lo zolfo. Questo trattamento presenta notevoli vantaggi: • si rende possibile l’utilizzo di una fonte energetica altrimenti non utilizzabile; • si produce un combustibile gassoso pulito, più facilmente utilizzabile e trasportabile mediante gasdotti; • si recupera lo zolfo, utilizzato in molti settori industriali e in agricoltura, la cui vendita consente di abbattere i costi del processo. L’IMPATTO AMBIENTALE I problemi ambientali legati all’utilizzo del carbone riguardano non solo il momento della sua combustione ma anche le fasi di movimentazione e trasporto che provocano effetti inquinanti sull’atmosfera e sul suolo, a causa delle notevoli quantità di polveri che si producono. Per ovviare a questi problemi, attualmente, il carbone destinato alla combustione, viene finemente macinato e, quindi sospeso in acqua e trasportato come se fosse un combustibile liquido mediante carbonodotti e navi cisterna. Da quando il prezzo del petrolio è salito notevolmente si è tornato a parlare di combustibili solidi come il carbone o l’orimulsion per alimentare le centrali termoelettriche italiane, si è molto parlato del miglioramento tecnologico nell’abbattimento delle emissioni in atmosfera. Si è accennato anche all’opzione del carbone “pulito” per le applicazioni industriali e, per contrastare l’effetto serra, addirittura della possibilità di “sequestrare” e 23 confinare negli strati geologici profondi l’anidride carbonica emessa. Per quanto concerne le emissioni in atmosfera di una centrale a carbone va subito chiarita la differenza tra gli impianti non ambientalizzati e quelli di nuova generazione con sezione di abbattimento fumi adeguatamente dimensionata. La differenza è sostanziale soprattutto per le emissioni di ossidi di azoto, ossidi di zolfo e polveri sottili, mentre non riguarda minimamente quelle di anidride carbonica, il principale gas serra. consumi di energia per settore , anno 2005 (Mtep) I vecchi impianti, alcuni dei quali ancora oggi attivi sul territorio nazionale, emettono infatti elevate quantità di NOx (emessi nei processi di combustione ad alta temperatura), SOx (prodotti dall’uso di combustibili contenenti zolfo) e polveri sottili, con un contributo non trascurabile rispetto a tutte le altre fonti di emissioni della produzione energetica nazionale. Stando infatti ai dati dell’Annuario dei dati ambientali per il 2003 dell’Apat (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici) l’industria energetica italiana (comprensiva ovviamente anche degli impianti di produzione dell’energia elettrica di nuova generazione e di centrali che bruciano olio combustibile e gli altri combustibili fossili) ha emesso nel 2001 429.000 tonnellate di SO2 (su un totale di 709.000 tonnellate, pari a oltre il 60%), 155.000 tonnellate di NOx, pari all’11,8% del totale delle emissioni, e 17.000 tonnellate di Pm10 (l’8,7% del totale). Vale la pena ricordare i problemi ambientali e sanitari causati dalle emissioni di questi inquinanti: • gli ossidi di azoto e zolfo sono responsabili del fenomeno delle piogge acide e della conseguente acidificazione delle superfici con cui vengono a contatto, a partire da suolo, acque superficiali e non, piante, monumenti, etc., ma anche di problemi all’apparato respiratorio dell’uomo, così come le polveri. • gli NOx sono poi dei precursori dello smog fotochimico da ozono. Grazie alle nuove tecnologie di abbattimento degli inquinanti atmosferici (in particolar modo installazione di denitrificatori, desolforatori e depolveratori) le emissioni di NOx, SOx e polveri prodotte dall’uso del carbone nelle centrali termoelettriche possono essere notevolmente abbattute. Anche le migliori tecnologie di combustione del carbone, tra cui la polverizzazione, la combustione a letto fluido, la gassificazione, molte delle quali ancora in fase sperimentale e dimostrativa, possono dare il loro contributo alla riduzione delle emissioni di questi inquinanti. Il problema che preoccupa di più è l’emissione del principale gas serra prodotto sulla Terra, l’anidride carbonica. Com’è noto la CO2 emessa da una combustione è il risultato della reazione chimica tra il carbonio presente nel combustibile e l’ossigeno presente nell’aria. Il rapporto quindi tra combustibile bruciato e anidride carbonica prodotta è fisso e immodificabile. Visto che il carbone è il combustibile a maggior contenuto di carbonio, inevitabilmente risulta essere quello che ha emissioni specifiche di CO2 maggiori rispetto a olio e gas naturale (quest’ultimo emette meno della metà di CO2 del carbone), come risulta anche dalla tabella seguente. 24 L’ipotesi del confinamento geologico Nel frattempo si stanno portando avanti ricerche su soluzioni alternative alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica come il sequestro della CO2 in formazioni rocciose profonde, il cosiddetto “confinamento geologico”. L’anidride carbonica verrebbe trasportata sotto pressione e iniettata nelle profondità oceaniche o in giacimenti sotterranei, come quelli di petrolio ancora in attività, di carbone non sfruttabili o quelli esauriti di petrolio e gas, ma anche in acquiferi salini profondi o in campi geotermici non in produzione. Questa è una tecnica ancora sperimentale e che presenta diversi problemi ambientali e costi assolutamente proibitivi. Per quanto concerne i costi stime certe su tutto il processo di confinamento non ne esistono ma si consideri che solo la prima fase del confinamento, che consiste nella separazione della CO2 dai gas di combustione, comporterebbe un aumento di circa un 40% dei costi di produzione di elettricità. Dal punto di vista ambientale poi non si conoscono gli effetti dovuti all’iniezione di enorme quantità di gas nel sottosuolo e per quanto concerne il confinamento della CO2 nelle profondità oceaniche non si conoscono le possibili interazioni negative con gli ecosistemi marini. C’è poi chi ha ipotizzato l’uso della CO2 nella reazione con sali di calcio e magnesio per la produzione di carbonati, di varie dimensioni, che potrebbero essere utilizzati come pietra da taglio o materiale da costruzione. CENTRALI TERMOELETTRICHE Introduzione I procedimenti tradizionali di conversione dell’energia, messi a punto dall’uomo per rendere disponibili, a partire da fonti di energia naturali, energia in forma utile (meccanica e/o elettrica) sono quelli che sfruttano direttamente l’energia cinetica, potenziale o termica degli elementi presenti in natura (energia eolica, idroelettrica, geotermica, maree, termica solare, etc.) o quelli che sfruttano l’energia termica derivante dalla combustione di composti di origine organica presenti in natura (carbone, petrolio e derivati, metano, legna) e/o derivanti da residui delle attività umane (biogas, biomasse, RSU). Tali procedimenti si basano sull’evoluzione termodinamica ciclica di fluidi mediante un complesso di organi denominati impianti motori termici. I fluidi a cui solitamente si ricorre negli impianti motori sono quelli maggiormente disponibili in natura, ossia l’aria e l’acqua, pertanto si possono così distinguere due grandi tipologie di impianti: impianti a gas (utilizzanti aria o prodotti della combustione con aria) e impianti a vapore (utilizzanti acqua). Quando tali impianti sono destinati alla produzione di energia elettrica si può a giusto titolo definirli Centrali termoelettriche. Tipologie di Centrali Termoelettriche Le varie tipologie di impianti motori termici destinati alla produzione di energia elettrica sono classificabili oltre che in base al fluido evolvente nel ciclo, anche in relazione al tipo di motore primo utilizzato ed in particolare si possono avere: • Centrali termoelettriche con turbina a vapore • Centrali termoelettriche con motore alternativo a combustione interna • Centrali termoelettriche con turbogas 1. Le centrali termoelettriche con turbine a vapore sono del tipo a ciclo chiuso nel quale il fluido che evolve nella quasi totalità delle applicazioni è l’acqua (altri tipi di fluido sono impiegati solo in casi molto particolari) la quale passa dallo stato liquido a quello di vapore, per effetto dell’energia termica ad essa fornita dall’esterno (combustione), e viceversa in seguito ad una espansione in turbina, dove avviene la cessione dell’energia dal fluido alla macchina, ed al suo raffreddamento mediante scambio con una sorgente fredda (acqua di mare, fiume, da pozzo mediante uso di torri evaporative); realizzando così una trasformazione ciclica ripetibile all’infinito. Tali impianti molto diffusi fino agli anni ’80 partono da taglie non inferiori ai 10 Mw ed arrivano ad oltre 1000 Mw con moltissime applicazioni alimentate da reattori nucleari i quali sostituiscono la combustione di idrocarburi o altri combustibili quale fonte di energia ad alta temperatura per la vaporizzazione dell’acqua che evolve nel ciclo. 25 Questi impianti sono caratterizzati da rendimenti di produzione di energia elettrica che raramente superano il 25% per le taglie al disotto dei 100 Mw, mentre esistono sulle taglie più grandi impianti che raggiungono anche rendimenti di produzione di energia elettrica pari al 42%. Gli impianti con turbina a vapore, essendo a ciclo chiuso fanno sì che il fluido evolvente nel circuito, e quindi in contatto con le macchine, sia sempre la stessa acqua, pertanto hanno il notevole pregio di poter essere alimentati con i combustibili più disparati non essendo la macchina motrice direttamente esposta ai prodotti della combustione come invece avviene nei motori alternativi a combustione interna e nella quasi totalità degli impianti con turbina a gas. I generatori di vapore (caldaie) dell'impianto a vapore possono quindi essere progettati per l'utilizzo di combustibili solidi, liquidi e gassosi e rendono ad esempio possibile l'utilizzo quale fonte primaria di energia anche biomasse di varia tipologia, provenienza e dimensione o residui solidi urbani (RSU). L’impianto a vapore è caratterizzato da una scarsa flessibilità in quanto a variazioni continue dei carichi e frequenti avviamenti ed inoltre è incapace di avviarsi in assenza di energia elettrica per l’alimentazione degli ausiliari (pompe di circolazione, ventilatori, estrattori, etc.). Normalmente essi vengono utilizzati nelle centrale termoelettriche destinate a garantire il carico di base (base-load) e quindi utilizzate quasi sempre a potenze molto prossime a quelle massime nominali. Tali centrali sono dunque destinate ad un funzionamento in continuo con solo i fermi necessari per la manutenzione programmata e/o straordinaria. Il costo medio di un impianto può variare di molto soprattutto in funzione dell'efficienza di produzione di energia elettrica che si intende ottenere. In generale per impianti con potenze di alcune centinaia di megawatt tale costo può oscillare fra i 350 € ed i 500 € per kw installato. 2. Centrali termoelettriche con turbine a gas Gli impianti di produzione energia elettrica con turbine a gas sono impianti generalmente a ciclo aperto nei quali il fluido evolvente è aria la quale viene aspirata dall’atmosfera, compressa ed inviata in turbina dove si miscela con il combustibile. La combustione di tali sostanze trasforma il fluido di partenza combustibile da aria a quello composto dagli inerti (quasi totalmente Azoto) e dai vari prodotti della combustione (essenzialmente acqua, H2O, anidride carbonica, CO2, ossido di carbonio, CO) trasferendogli l’energia chimica del combustibile sotto forma di energia termica. Contrariamente, quindi, a quanto avviene negli impianti a vapore che sono a ciclo chiuso la combustione coinvolge direttamente il fluido che evolve nel ciclo ed avviene all’interno delle turbine costituenti l’impianto 26 cosicché i prodotti della combustione sono direttamente in contatto con gli organi della macchina motrice (turbina). Ciò rende inutilizzabili combustibili di tipo solido e quelli con caratteristiche chimiche tali da poter essere aggressivi per i materiali costituenti le palettature delle turbine, già sollecitate dalle elevate temperature dei gas combusti (talvolta superiori ai 1000°C). La maggioranza degli impianti con turbine a gas sono alimentati a gas metano, il combustibile certamente per essi più idoneo, ma non di rado vi sono impianti alimentati con combustibili quali oli densi, oli fluidi o gasolio. Gli impianti con turbina a gas nati inizialmente per la propulsione aerea, negli ultimi trent’anni si sono diffusi anche nel campo della produzione di energia elettrica grazie al costante miglioramento dei materiali utilizzati per le turbine che hanno fatto in modo da incrementarne le prestazioni in termini di rendimenti, affidabilità e durata. Gli impianti con turbogas destinati alla produzione di energia elettrica sono solitamente di taglia compresa fra alcune decine di Mw sino a circa 300 Mw; sono caratterizzati da rendimenti (intorno al 35 %) mediamente molto inferiori di quelli ottenibili con impianti a vapore dell’ultima generazione. La loro diffusione negli ultimi anni è legata alla loro capacità di poter avviarsi, andare a regime in un tempo estremamente ridotto e di essere più flessibili nelle regolazioni rispetto agli impianti a vapore rendendoli estremamente utili per far fronte a carichi di punta sulle reti elettriche. 3. Centrali termoelettriche con motore alternativo a combustione interna Sono impianti caratterizzati dal realizzare in un'unica unità molto compatta, per l’appunto il motore, tutte le fasi del ciclo in cui evolve il fluido. In tali impianti che sono a ciclo aperto il fluido evolvente si trasforma chimicamente nelle varie fasi del ciclo, difatti il fluido di partenza è generalmente aria prelevata dall’atmosfera la quale viene all’interno del motore miscelata con un combustibile che può essere gassoso (metano, GPL) o liquido (benzina, gasolio), per poi realizzare direttamente all’interno del cilindro una combustione di tali sostanze (combustione interna c.i.) la quale, oltre a trasferire l’energia al fluido evolvente mediante l’aumento della sua temperatura, ne cambia profondamente le caratteristiche di partenza. I prodotti della combustione ad elevata temperatura espandono nel cilindro del motore e trasferiscono quindi energia alla macchina dopodiché vengono espulsi in atmosfera ed il ciclo riparte ogni volta con aspirazione di nuova aria ed introduzione di altro combustibile. La necessità di effettuare la combustione all’interno del cilindro rende inutilizzabili combustibili di tipo solido e quelli con caratteristiche chimiche tali da non garantire una idonea combustione. I motori a combustione interna destinati alla produzione di energia elettrica presenti sul mercato vanno da potenze di pochi kw sino a circa 10 Mw, le taglie piccole sono generalmente generatori di emergenza alimentati per lo più a gasolio, mentre da alcune centinaia di kw in su esistono applicazioni destinate alla produzione in continuo di energia destinata a singole utenze industriali, a piccole reti isolate o in situazioni dove la compattezza dell’impianto ne privilegia l’installazione. Gli impianti di produzione di energia elettrica con motori alternativi a c.i sono mediamente caratterizzati da elevati rendimenti quasi sempre superiore al 35% già per taglie intorno ai 1000 kw sino ad oltre il 40% per quelli da 3.0 Mw in su; rendimenti comparabili se non superiori a quelli di molte delle grandi centrale termiche per la produzione di energia sia con turbina a vapore che con turbina a gas. Una peculiarità degli impianti con motore alternativo a c.i. è quella di essere in grado di seguire senza eccessive difficoltà e perdite di efficienza i carichi dell'utenza se collegati in parallelo con la rete elettrica e di poter funzionare in maniera discontinua con fermate giornaliere e partenze improvvise su richiesta dell'utenza. Tale flessibilità di esercizio li rende ancor più idonei per tutte le utenze industriali che non lavorano a ciclo continuo su tre turni e o per tutte le utenze di tipo civile caratterizzate da notevoli variazioni di richiesta nell'arco del giorno e della settimana ed influenzate dalle condizioni climatiche esterne. Il costo medio di un impianto con motore alternativo è fortemente variabile a seconda del combustibile utilizzato e può andare da 100 € per kw installato se trattasi di motori alimentati a gasolio sino a 250 € per motori alimentati a gas metano o a biogas. 27 Impatto ambientale delle centrali termoelettriche Come per tutti gli impianti di produzione energia che utilizzano la combustione essi sono fonti di emissioni inquinanti in atmosfera da essa derivanti. Le moderne tecnologie utilizzate per il contenimento e l'abbattimento di tali emissioni, in particolar modo se si utilizza metano quale combustibile, consentono di ridurle a valori alquanto bassi. Nonostante ciò va comunque considerata l’immissione in atmosfera di ingenti quantitativi di CO2, gas che provoca l’effetto serra, nonché di rilevanti quantitativi di ossidi di azoto NOx che insieme agli ossidi di Zolfo Sox sono i maggiori responsabili delle piogge acide, se si utilizzano idrocarburi quali gasoli o oli densi. Proprio in virtù di ciò la legislazione italiana prevede che tutti gli impianti termoelettrici con potenze superiori ai 50 Mwe siano sottoposti ad una accurata valutazione di impatto ambientale nota come V.I.A. (Valutazione di impatto ambientale). La cogenerazione La cogenerazione è la produzione combinata di elettricità e calore. Un impianto convenzionale di produzione di energia elettrica ha una efficienza di circa il 35%, mentre il restante 65% viene disperso sotto forma di calore; in un impianto di cogenerazione, invece, il calore prodotto dalla combustione non viene disperso, ma recuperato per altri usi. In questo modo la cogenerazione raggiunge una efficienza superiore al 90% e questo permette di: • risparmiare energia primaria • salvaguardare l'ambiente • diminuire le emissioni di CO2 • diminuire i costi • creare nuovi posti di lavoro Infatti, in una centrale di cogenerazione il calore di scarico della macchina per la produzione di energia elettrica ha livelli termici elevati e di conseguenza può essere riutilizzato per la produzione di acqua calda, vapore (teleriscaldamento, utilizzi in processi industriali, ecc.), direttamente (fumi utilizzati per l'essiccamento), oppure per produrre una ulteriore quota di energia elettrica (ciclo combinato). Non ci sono dubbi sui vantaggi, in termini di rendimento energetico, che la cogenerazione ha rispetto alla produzione separata di energia elettrica e termica. Tuttavia, proprio perché questi vantaggi sono originati da una produzione combinata, è necessario che 28 l'energia termica disponibile possa essere utilizzata nel ciclo produttivo dello stabilimento in cui essa si colloca. Ciò comporta la localizzazione degli impianti di cogenerazione in prossimità delle aree produttive senza la penalizzazione delle perdite di trasporto dell'energia elettrica in rete, ponendo però dei limiti alle dimensioni delle macchine utilizzate in quanto l'energia termica non può essere trasportata a grandi distanze in modo economico. centrale di cogenerazione a gas metano TRIGENERAZIONE Nel settore terziario dei paesi a clima temperato, la richiesta di calore è limitata a pochi mesi invernali, mentre esiste un significativo fabbisogno di freddo (condizionamento dell’aria) durante i mesi estivi. In questo caso, con un impianto di cogenerazione, il calore è impiegato per produrre freddo, attraverso cicli di assorbimento. Questo processo di cogenerazione “allargata” è conosciuta come trigenerazione o produzione combinata di calore, freddo ed elettricità (CHCP=Cogeneration of Heat, Cooling and Power). Il raffrescamento è prodotto tramite l'impiego del normale ciclo frigorifero in grado di trasformare l'energia termica in energia frigorifera realizzando la trasformazione di stato del fluido refrigerante come nelle pompe di calore. L'acqua refrigerata così ottenuta può essere utilizzata per il condizionamento degli ambienti industriali, degli uffici o delle abitazioni adiacenti ecc. Come per i sistemi di cogenerazione anche la trigenerazione offre grandi risparmi energetici dovuti alla produzione congiunta di energia elettrica, calore e raffrescamento RISPARMIO DI CO2 OTTENIBILE CON LA COGENERAZIONE Mediamente un impianto di cogenerazione alimentato a metano permette per ogni Kwhe prodotto un risparmio di CO2 pari a 450 g se confrontato con la produzione separata di energia elettrica (centrale termoelettrica) ed energia termica (caldaia convenzionale) MACCHINEDISPONIBILI I sistemi di cogenerazione si classificano sostanzialmente nei seguenti tipi fondamentali: 29 • motori alternativi, a ciclo Otto e Diesel, da cui viene recuperato il calore del circuito di raffreddamento del motore e dell'olio a bassa temperatura (da 50° a 90° C) e quello dei gas di scarico ad alta temperatura (circa 400-500°C); • turbine a gas, i cui gas di scarico in gran volume e ad alta temperatura producono il calore richiesto in una caldaia a recupero, oppure vengono utilizzati direttamente in processo, come ad esempio nei processi di essiccamento; • turbine a vapore a contropressione alimentate con vapore surriscaldato, che dopo aver attraversato la turbina producendo energia elettrica viene scaricato a bassa pressione per alimentare le utenze termiche; • a questi va aggiunto il ciclo combinato in cui con lo scarico delle turbine a gas viene prodotto vapore, che a sua volta può azionare una turbina a vapore. RENDIMENTI I valori di rendimento medi in potenza elettrica, se riferiti al combustibile bruciato, nel campo della piccola cogenerazione sono mediamente compresi nei seguenti ambiti: • turbina a vapore 18-20% • turbogas 23-33% • motori alternativi 32-40% Considerando, invece il rendimento globale del sistema (energia termica ed energia elettrica prodotta rispetto a quella introdotta come combustibile) si ha: • turbina a vapore 80-90% • turbogas 70-85% • motori alternativi 65-90% valori citati sono valori medi che servono solo a fornire una panoramica generale. COMBUSTIBILI UTILIZZATI Solitamente i combustibili utilizzati nella cogenerazione sono idrocarburi liquidi o gassosi. L'impiego di idrocarburi gassosi come il metano è attualmente preferito per diverse ragioni, tra le quali il moderato costo e il minor impatto ambientale. Le turbine a vapore possono anche essere azionate con vapore prodotto dalla combustione di combustibili più economici come il carbone, la nafta, i rifiuti solidi, i cascami di produzione, ecc. IMPIANTI COMBINATI E' noto che la possibilità di trasformare energia termica in energia meccanica (lavoro) e quindi in energia elettrica è legata alla realizzazione di un ciclo termodinamico che a fronte di uno scambio di calore fra due sorgenti a differente temperatura consente di convertire una aliquota dell'energia fornita ad alta temperatura in energia meccanica. Il rapporto fra il lavoro prodotto e l'energia termica introdotta è proprio il rendimento del ciclo termodinamico. Per poter ottenere un elevata efficienza del ciclo termodinamico e dunque un buon rendimento di conversione dell'energia termica in lavoro è necessario massimizzare il rapporto fra la temperatura media di adduzione e quella di sottrazione di energia termica al ciclo. Gli impianti motori termici attualmente utilizzati per la produzione di energia elettrica sono limitati per quanto riguarda l'una o l'altra di queste temperature: • per gli impianti a vapore nonostante si abbiano nelle camere di combustione temperature superiori ai 1500°C, motivi tecnologici, economici e di sicurezza limitano le temperatura massime del vapore a circa 550°C con una temperatura media di adduzione del calore alquanto più bassa, mentre la temperatura minima è vincolata a quella delle condizioni ambiente e/o dalla disponibilità di ingenti quantitativi di fluido freddo (mare, fiumi) e mediamente non scende al disotto dei 35°C. • per gli impianti a combustione interna (motori alternativi, turbogas) sia le temperature medie di adduzione che di cessione dell'energia termica sono molto più elevate di quelle degli impianti a vapore, ma il rapporto fra la temperatura media di adduzione di calore quella di cessione resta pressoché invariato. Viene di conseguenza l'idea di combinare il ciclo termodinamico di impianti a combustione interna (Ciclo Joule per i turbogas, Cicli Otto o Diesel per i motori alternativi) sfruttando in 30 tal modo le alte temperature in camera di combustione (adduzione del calore) degli impianti a combustione interna ed utilizzando poi l'energia termica dei gas scaricati da questi ultimi, ad alta temperatura e pressione atmosferica, quale energia in ingresso di un ciclo a vapore. In tal modo su realizza una combinazione di cicli per la quale la temperatura media di adduzione di vapore risulta quella caratteristica degli impianti a combustione interna, mentre la temperatura di cessione e quella caratteristica degli impianti a vapore, molto prossima a quella ambiente. Ciò consente di far crescere il rapporto fra le due temperature e dunque il rendimento di conversione dell'energia termica in lavoro. Tipologie di impianti combinati gas/vapore Gli impianti combinati gas/vapore attualmente più diffusi per installazioni fisse sono gli impianti formati da turbogas con turbovapore in cascata. Tali impianti sono anche in via di diffusione per alcune applicazioni di trasporto marittimo. Risultano presenti installazioni anche se in numero minore di motori alternativi a c.i. accoppiati a turbovapore relativamente ad applicazione per impianti di generazione di taglia molto minore di quelli utilizzanti turbogas. Tali impianti siano essi con turbogas o con motore alternativo sono classificati come: • Unfired Cycle se la caldaia per la produzione di vapore sfrutta esclusivamente l'energia termica posseduta dai gas esausti in uscita dalla turbina o dal motore alternativo • oppure Exhaust Fired Cycle se i gas esausti vengono utilizzati come comburente nei bruciatori della caldaia per la produzione vapore. Nel primo caso la potenza elettrica della sezione a gas è ampiamente superiore a quella vapore, mentre nel secondo caso le due possono equivalersi o essere addirittura maggiore quella della sezione vapore a seconda delle scelte impiantistiche effettuate. Unfired Cycle Negli impianti Unfired Cycle i gas caldi scaricati dalla turbina o dal motore alternativo, destinati alla generazione di energia elettrica, provvedono alla produzione di vapore da far espandere in una turbina a condensazione per la generazione di ulteriore energia elettrica. Gli impianti Unfired Cycle con turbogas sono IMPIANTO COMBINATO TURBOGAS-VAPORE di gran lunga più diffusi di quelli con motore alternativo in quanto la disponibilità di energia termica ad alta temperatura per la produzione di vapore è molto maggiore, rendendo economicamente più conveniente il ricorso a tale ciclo compensando i costi aggiuntivi con un buon rendimento complessivo di produzione di energia elettrica (sino al 56%). In tali impianti l'energia elettrica si ottiene per 2/3 dal turbogas e per 1/3 dal turbovapore. Gli impianti Unfired Cycle basati su motori alternativi sono anch'essi caratterizzati da rendimenti complessivi altrettanto elevati (anche 54%), ma l'energia elettrica che si ottiene deriva per oltre il 90% dal motore alternativo, già di per sé prodotta con rendimento alquanto elevato. Tali caratteristiche rendono nella maggioranza dei casi economicamente ingiustificata la spesa e la complicazione impiantistica a fronte di un marginale incremento del rendimento globale di produzione dell'energia elettrica. In generale gli impianti combinati del tipo Unfired sono caratterizzati da una scarsa flessibilità non garantendo, in special modo quelli con turbogas, rendimenti accettabili a carichi anche solo del 10-15% inferiori rispetto a quello nominale. Exhaust Fired Cycle In questa seconda tipologia di impianti i gas caldi provenienti dai gruppi di generazione elettrica, siano essi con turbogas o con motore alternativo, vengono utilizzati per una postcombustione nei bruciatori di un generatore di vapore quale comburente, vista la presenza 31 ancora rilevante di ossigeno (circa 12% per i motori alternativi, fra il 16 ed il 18% per i turbogas). In tal caso si incrementa l'aliquota di energia prodotta con il vapore, raggiungendosi in alcuni impianti l'equivalenza fra le energia prodotte con i due generatori. Gli impianti Fired sono caratterizzati da una maggiore flessibilità progettuale e di esercizio essendo possibile modulare l'apporto di energia termica in post-combustione senza compromettere eccessivamente la funzionalità ed il rendimento globale dell'impianto. Essi però sono caratterizzati da rendimenti globali di produzione energia mediamente più bassi di quelli del tipo Unfired utilizzando l'energia primaria del combustibile in misura maggiore nel ciclo a vapore caratterizzato da temperature medie di adduzione del calore più basse rispetto ai cicli dell'impianto con turbogas o con motore alternativo. Vantaggi degli impianti combinati 1. Risparmio energetico Gli impianti combinati possono raggiungere rendimenti di produzione di energia elettrica di molto superiore al 50%, di gran lunga più elevati di quelli di qualsiasi centrale basata semplicemente su un ciclo a vapore o a gas. 2. Affidabilità Gli impianti combinati non ricorrono a tecnologie innovative che possono coinvolgere rischi tecnici, ma si basano sulla combinazione di cicli e di macchine dalle tecnologie oramai più che consolidate. 3. Emissioni in atmosfera Gli impianti combinati utilizzano, quale fonte primaria di energia, per lo più gas metano la cui combustione in tali impianti non produce emissioni di polveri, composti solforati (responsabili delle piogge acide) ed emissioni molto contenute di CO ed NOx rispetto agli impianti convenzionali. Inoltre gli elevati rendimenti di produzione di energia elettrica riducono le emissioni specifiche di CO2 in atmosfera. IDROGENO Caratteristiche fisiche dell’idrogeno L’idrogeno, il cui nome significa “generatore di acqua”, rappresenta l’elemento più abbondante dell’universo. Nel sole ad esempio è presente per circa il 90%, e con l’ossigeno ed il silicio è uno degli elementi più diffusi della crosta terrestre, dove si trova allo stato combinato, con carbonio, ossigeno ed altri elementi (acqua, idrocarburi, proteine, grassi zuccheri ecc.); è uno dei principali costituenti del mondo vegetale e animale. L’idrogeno è a temperatura ambiente un gas incolore, inodore e praticamente insolubile in acqua; dopo l’elio è il gas più difficile a liquefarsi; è il combustibile col più alto potere calorifico superiore. L’idrogeno come combustibile L’idrogeno è un gas industriale di primaria importanza. Fu per lungo tempo utilizzato per il gonfiamento degli aerostati; fu poi sostituito dall’elio, leggermente più pesante ma non infiammabile. Attualmente, l’impiego dell’idrogeno come combustibile avviene nei programmi spaziali. Oggetto delle più recenti ricerche è l’impiego dell’idrogeno nelle celle a combustibile. L’obiettivo è quello di realizzare un sistema energetico basato sull’idrogeno, con la costruzione di impianti per la produzione di energia che utilizzino l’idrogeno prodotto dall’elettrolisi dell’acqua marina. L’interesse dell’idrogeno come vettore energetico risale all’inizio degli anni 1970, durante la prima crisi petrolifera. La visione di un sistema energetico basato sull’idrogeno era però strettamente correlata, nella realtà, con la disponibilità di energia elettrica a basso costo. Di conseguenza, i progetti di ricerca legati all’energia dall’idrogeno furono progressivamente abbandonati. Nel corso degli anni 1980, furono fatti passi in avanti nello studio delle tecnologie relative alle risorse rinnovabili e all’efficienza energetica, tanto che la ricerca su sistemi energetici altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili apparve sempre più interessante. Produzione dell’idrogeno L’utilizzo dell’idrogeno come combustibile è compatibile con l’ambiente: non produce alcun gas serra, in particolare CO2, ma soltanto calore e vapore acqueo. Tuttavia il suo 32 impiego incontra nella pratica numerosi problemi soprattutto riguardo gli alti costi di produzione e di immagazzinamento. Le principali tecnologie di produzione dell’idrogeno sono: • Elettrolisi dell’acqua • Steam reforming del gas metano • Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi • Gassificazione del carbone • Gassificazione e pirolisi delle biomasse • Altri metodi L’elettrolisi dell’ acqua Il processo dell’elettrolisi fu applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’ anno 1839. Questo processo richiede il passaggio di corrente elettrica attraverso l’acqua. La corrente entra nella cella elettrolitica tramite un elettrodo caricato negativamente, il catodo, attraversa l’acqua e va via attraverso un elettrodo caricato positivamente, elettrolisi di 1litro di acqua l’anodo. L’idrogeno e l’ossigeno così separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e verso l’anodo. 1,358 m³ H2 L’elettrolisi è il metodo più comune per 4,41 kWh di 6,299 la produzione di idrogeno anche se energia chimica 1 litro kWhel incontra notevoli ostacoli per la H2O quantità limitata di idrogeno prodotta e Energia elettrica per i costi, ancora troppo elevati, 0,679 m³ O2 dovuti all’impiego di energia elettrica. Il costo per la produzione di idrogeno dall’elettrolisi resta il più alto rispetto a qualsiasi altra tecnologia; è, tuttavia, il processo che riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente. Steam reforming del gas metano Lo Steam reforming del gas metano (SMR) è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e attraverso il quale si produce il 48% dell’idrogeno mondiale. Lo SMR implica la reazione tra metano e vapore in presenza di catalizzatori. CH4 + H2O CO + 3 H2 CO + H2O CO2 + H2 CH4 + 2 H2O CO2 + 4 H2 Al posto del metano è possibile utilizzare anche altri idrocarburi. Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi L’idrogeno può essere ottenuto dall’ossidazione parziale non catalitica, ad una temperatura che varia tra 1300-1500 °C, di idrocarburi pesanti; i costi sono sensibilmente più elevati. Gassificazione del carbone In generale, il processo della gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di una sostanza solida, liquida o gassosa con l’obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso, formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e idrocarburi leggeri come il metano. La produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone è una tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali, ma è competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato. Gassificazione e pirolisi delle biomasse Come la gassificazione, anche la pirolisi, o distillazione secca, è un processo che per mezzo della decomposizione termica spezza le molecole complesse delle sostanze organiche in elementi semplici. Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900-1000 °C, in assenza di ossigeno con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido. L’applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi differenti gas, tra cui l’idrogeno. La gassificazione delle biomasse prevede l’impiego sia di materiale derivato dai rifiuti solidi urbani sia da materiali specifici appositamente coltivati per essere impiegati come fonte d’energia. Un importante vantaggio ambientale dell’utilizzo delle biomasse come fonte di idrogeno è il fatto che il biossido di carbonio emesso nella conversione delle biomasse, non contribuisce ad aumentare la quantità totale di gas nell’atmosfera. Il biossido di 33 carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita (fotosintesi) e solo la stessa quantità è restituita all’ambiente durante il processo della gassificazione. Purtroppo il contenuto d’idrogeno è solo del 6-6.5% , rispetto al 25% del gas naturale. Per questa ragione i costi sono ancora molto elevati e questo sistema non è competitivo. Altri metodi Si sta puntando molto su sistemi che consentano la produzione di idrogeno tramite l’impiego diretto dell’energia solare, in sostituzione dell’energia elettrica necessaria per l’elettrolisi dell’acqua. Si tratta comunque di tecnologie in fase sperimentale. Uno di questi metodi usa il processo della fotoconversione ed associa un sistema di assorbimento della luce solare ed un catalizzatore per la scissione dell’acqua. Questo processo usa l’energia della luce senza passare Schema della produzione di idrogeno da fonte solare per via termochimica attraverso la produzione separata di elettricità. Celle a combustibile Le celle a combustibile sono sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica di un combustibile (in genere idrogeno) direttamente in energia elettrica, senza l’intervento intermedio di un ciclo termico, ottenendo pertanto rendimenti di conversione più elevati rispetto a quelli delle macchine termiche convenzionali. La nascita delle celle a combustibile risale al 1839, anno in cui l’inglese William Grove riportò i risultati di un esperimento nel corso del quale era riuscito a generare energia elettrica in una cella contenente acido solforico, dove erano stati immersi due elettrodi, costituiti da sottili fogli di platino, sui quali arrivavano rispettivamente idrogeno ed ossigeno. Una cella a combustibile funziona in modo analogo ad una batteria, in quanto produce energia elettrica attraverso un processo elettrochimico; tuttavia, a differenza di quest’ultima, consuma sostanze provenienti dall’esterno ed è quindi in grado di funzionare ininterrottamente finché al sistema viene fornito combustibile (idrogeno) ed ossidante (ossigeno o aria). Il processo che si svolge in una cella a combustibile è inverso di quello dell’elettrolisi: nel processo dell’elettrolisi l’acqua, con l’impiego di energia elettrica, viene decomposta nei suoi componenti gassosi idrogeno (H2) e ossigeno (O2). Una cella a combustibile inverte questo processo e unisce i due componenti producendo acqua. In questo processo viene liberata la stessa quantità di energia elettrica che è stata impiegata per la decomposizione, almeno teoricamente, in quanto una parte di energia va dispersa a causa di altri processi fisico-chimici. La struttura di una cella a combustibile è molto semplice: essa è composta di tre strati sovrapposti. Il primo strato è l’anodo, il secondo è l’elettrolita e, il terzo, il catodo. L’anodo e il catodo servono da catalizzatori, mentre lo strato intermedio consiste in una struttura di supporto che assorbe l’elettrolita. Esistono differenti tipi di celle che si distinguono per la loro struttura e il loro funzionamento. Nei vari tipi di celle a combustibile vengono usati differenti elettroliti; alcuni di questi sono liquidi, altri solidi e altri ancora hanno struttura membranosa. 34 SCHEMA DI FUNZIONAMENTO di una cella a combustibile Quando l’idrogeno fluisce sul lato anodico della cella, un catalizzatore di platino facilita la scissione del gas idrogeno in elettroni e protoni (ioni idrogeno): • I protoni passano attraverso la membrana (il centro della cella), si combinano con l’ossigeno e gli elettroni sul lato catodico, producendo acqua. • Gli elettroni, che non possono attraversare la membrana, passano dall’anodo al catodo attraverso un circuito esterno, che contiene un motore o una qualsiasi utenza che consuma l’energia generata dalla cella. Collegando i due elettrodi (catodo e anodo) con un conduttore elettrico, gli elettroni lo attraversano e partendo dall’anodo raggiungono il catodo: quindi si genera una corrente elettrica sfruttabile. Questo processo si svolge senza interruzione fino a che permane una sufficiente quantità di idrogeno e di ossigeno. Poiché una singola cella non consente di ottenere la potenza ed il voltaggio desiderato, più celle sono disposte in serie a mezzo di piatti bipolari, a formare il cosiddetto “stack”. Gli stack a loro volta sono assemblati in moduli, per ottenere generatori della potenza richiesta. L’impiego delle celle a combustibile La possibilità che hanno questi sistemi di Sole Gas Forza Energia utilizzare diversi combustibili Carbone Petrolio Geotermia Biomassa naturale idrica nucleare Vento di partenza (vedi fig.), le elevate efficienze di conversione e le ottime Elettricità Benzina Gasolio Metanolo Etanolo caratteristiche ambientali consentono un contenimento CxHy + H2O dei consumi energetici ed al H2O Steam reforming tempo stesso possono Elettrolisi Gassificazione contribuire in maniera significativa al (forma gassosa) (forma liquida) Compressione, Trasporto, Stoccaggio, Liquefazione, Trasporto, Stoccaggio, raggiungimento degli Distribuzione Rifornimento impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, per quanto stazionario mobile portatile riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra. Se fino al 1960 le celle a combustibile erano una pura curiosità scientifica, al giorno d’oggi esse trovano o troveranno a breve termine impiego in tre grandi aree: 1. Trazione per veicoli 2. Alimentazione di reti elettriche ( per esempio per case, condomini, ospedali) Impiego Logistica Metodo di produzione Vettore energetico Fonte primaria PRODUZIONE E IMPIEGO DELL’IDROGENO 35 3. Celle a combustibile miniaturizzate per impieghi portatili (telefoni cellulari, computer). Trazione per veicoli Alimentazione diretta con idrogeno. Ci sono due modi per far funzionare una automobile con idrogeno: motore a combustione diretta di idrogeno oppure celle a combustibile con motore elettrico. Uno dei vantaggi dell’uso di celle a combustibile per la trazione di veicoli è il loro rendimento energetico. Per percorrere 100 km un’auto convenzionale consuma circa 4 litri di benzina; un’auto a combustione di idrogeno consuma circa 2 kg di idrogeno mentre un’auto a celle a combustibile consuma 1 kg di idrogeno. Inoltre lo scarico è solo del vapore acqueo. Il modo più semplice ed economico per accumulare idrogeno a bordo di un veicolo è motore a combustione di utilizzarlo sotto forma di gas compresso a pressione di 200-250 bar. La tecnologia risulta tuttavia non proponibile per uso a bordo di auto tradizionali, a causa del peso ed ingombro dei serbatoi attualmente utilizzati, che sono un limite all'autonomia e capacità di carico del veicolo. La 600 Electra della FIAT costituisce un esempio di auto che usa bombole di idrogeno compresso; queste occupano notevole spazio nel veicolo, dimostrando la poca praticità di questo sistema di accumulo se si utilizzano bombole di tipo tradizionale (a 200-250 bar). Questa tecnologia di stoccaggio è invece utilizzata sulla maggior parte dei prototipi di autobus finora realizzati. Nella foto è riportato uno degli autobus utilizzato a Torino nelle ultime Olimpiadi della neve. L'idrogeno può essere stoccato a bordo del veicolo in forma liquida ad una temperatura di -253 °C. Per mantenere queste temperature sono stati messi a punto serbatoi a doppia parete, con un'intercapedine ove viene fatto il vuoto. Questa tecnologia è ormai consolidata in Germania, dove la BMW la utilizza da oltre 15 anni su auto ad idrogeno alimentate con motori a combustione interna. Tra i veicoli a celle a combustibile di recente produzione che usano idrogeno liquido, vanno senz'altro ricordate la NECAR 4 della DaimlerChrysler e la HydroGen 1 della Opel. Utilizzano inoltre idrogeno liquido gli autobus realizzati da Ansaldo (3 serbatoi da 600 litri della Messer Griesheim, situati sul tetto del bus) e dalla MAN (3 serbatoi da 200 litri della Linde, posizionati sul pianale del veicolo). A sfavore dell’idrogeno liquido giocano la maggiore complessità del sistema, non solo a bordo del veicolo ma anche a terra, per la distribuzione ed il rifornimento, ed i maggiori costi ad esso associati. Anche il costo energetico della liquefazione è considerevole, corrispondendo a circa il 30% del contenuto energetico del combustibile, contro un valore compreso tra il 4% ed il 7% per l’idrogeno compresso. Alimentazione con combustibili Per generare energia, l’unità costituita dalle celle a combustibile deve essere integrata in un sistema completo che comprende una sezione di trattamento del combustibile per ottenere l’idrogeno, la sezione di compressione dell’aria, un sistema di condizionamento della potenza elettrica, un sistema di recupero del calore sviluppato ed infine una sezione di 36 regolazione e controllo. L’energia prodotta dalle celle farà muovere un motore elettrico, il quale darà la propulsione necessaria agli organi di trasmissione del veicolo. Autoveicoli a celle a combustibile sono dunque vantaggiosi, efficienti e consentono di superare le limitazioni intrinseche dei veicoli elettrici come la limitata autonomia e i lunghi tempi di ricarica delle batterie tradizionali. L’unico aspetto negativo è che utilizzano fonti non rinnovabili. Alimentazione di reti elettriche Le celle a combustibile presentano proprietà tali da renderne molto interessante l’impiego nel campo della produzione di energia elettrica, in quanto rispondono perfettamente agli obiettivi che si perseguono nel settore elettrico, e cioè • miglioramento dell'efficienza di conversione delle fonti primarie; • flessibilità nell’uso dei combustibili; • riduzione delle emissioni di inquinanti nell’atmosfera Il rendimento di questi impianti, contrariamente a quanto avviene nelle centrali elettriche convenzionali, è poco sensibile alle variazioni del carico e indipendente dalla potenza installata. ìUna centrale a celle a combustibile, inoltre, ha una struttura modulare che può essere realizzata in breve tempo, con la possibilità di accrescere la sua potenzialità in proporzione all’aumento della domanda. A questi vantaggi vanno aggiunti il basso livello di inquinamento ambientale e la scarsa rumorosità. Va notato che a regime stazionario la cella a combustibile si presta alla cogenerazione, ossia, alla produzione congiunta di elettricità e calore. La prima centrale sperimentale a celle a combustibile, con l’intento di dimostrare l’impatto ambientale nullo in un centro abitato, è stata realizzata nel 1983 a New York. Celle a combustibile miniaturizzate per impieghi portatili Per giocattoli, telefonini, computer portatili ed altri prodotti di elettronica si fa uso al giorno d’oggi di batterie pesanti e costose. L’alternativa è rappresentata da una cella a combustibile miniaturizzata, con una durata superiore a quella di una batteria Ni-Cd e senza bisogno di ricarica, in quanto basta rimpiazzare in modo rapido il combustibile. Il pregio di una rapida sostituzione del combustibile rende tali celle anche vantaggiose rispetto alle batterie ricaricabili, che spesso vengono confrontate con questa nuova tecnologia. Esse infatti abbisognano tempi di ricarica non brevi. 37 ENERGIA NUCLEARE Più di ogni altra fonte, l'energia nucleare è oggetto di atteggiamenti fortemente emotivi, o è vista: • come fonte di grossi rischi per l’uomo e l’ambiente in generale, • oppure come l'unica possibile salvezza dalla "fine del petrolio". Non è nessuna delle due cose: è un sistema di produzione di energia elettrica che presenta i suoi vantaggi e con alcuni aspetti da tenere in considerazione, così come tutti gli altri sistemi che utilizzano combustibili fossili. L'energia nucleare oggi rappresenta il 7% circa del fabbisogno energetico globale con il 17% di energia elettrica prodotta da tale fonte. INTRODUZIONE Ogni atomo è formato da un nucleo, comprendente protoni e neutroni, e da una nube di elettroni che ruotano attorno a tale nucleo. La massa del protone è di 1.67252· 10-27 kg e quella del neutrone, leggermente maggiore, è di 1.67482· 10-27 kg. Gli elettroni invece sono molto più leggeri e la loro massa è 1836 volte inferiore rispetto a quella del protone. Nell’atomo il nucleo occupa un volume piccolissimo: esso ha un raggio dell’ordine di 10-15 m, mentre l’atomo ha un raggio dell’ordine i 1010 m; l’atomo quindi è costituito in buona parte da vuoto. I protoni possiedono una carica elettrica positiva e gli elettroni una carica elettrica negativa; i neutroni invece sono privi di carica. • Il numero di protoni è il numero atomico Z dell’atomo e individua l’elemento; poiché gli atomi sono neutri le cariche elettriche si devono bilanciare, il numero degli elettroni è uguale a quello dei protoni. Allo stato di ione, invece, un elemento può avere un numero di elettroni superiore a quello dei protoni e allora si ha uno ione negativo (anione); se invece si verifica il contrario si ha uno ione positivo (catione). • Il numero di neutroni è N • e il numero totale di protoni e neutroni, A = Z +N, è chiamato numero di massa dell’atomo. Due o più nuclei aventi lo stesso numero atomico (Z), ma numero di massa (A) diverso e che dunque differiscono soltanto nel numero di neutroni, vengono detti isotopi (dal greco: “iso” = uguale e “topos” = luogo, cioè atomi che occupano lo stesso posto nella tavola periodica). Gli isotopi hanno esattamente le stesse proprietà chimiche mentre differiscono per le proprietà nucleari. 38 Due o più nuclei aventi lo stesso numero atomico (Z), ma numero di massa (A) diverso e che dunque differiscono soltanto nel numero di neutroni, vengono detti isotopi (dal greco: “iso” = uguale e “topos” = luogo, cioè atomi che occupano lo stesso posto nella tavola periodica). Gli isotopi hanno esattamente le stesse proprietà chimiche mentre differiscono per le proprietà nucleari. L’idrogeno ha per esempio tre isotopi(vedi fig.): l’idrogeno 1H1, il deuterio 1H2 (anche designato con D) e il trizio 1H3 (anche designato con T). Il trizio, essendo radioattivo, viene definito radioisotopo. Il numero in basso a sinistra del simbolo dell’elemento indica il numero atomico (uguale in tutti in quanto si tratta di H); il numero alla destra rappresenta invece il numero di massa. La maggior parte della famiglia nucleare (nuclidi) è costituita da elementi instabili (su circa 2800 noti, solo 264 sono stabili), soggetti a decadimenti (trasformazioni) in altre specie nucleari, eventualmente a loro volta instabili fintantoché la trasformazione non giunge ad un nucleo stabile, fermando dunque la catena di decadimenti. Queste trasformazioni si verificano con rapidità differente a seconda del nucleo considerato ed avvengono mediante l’emissione di particelle di materia e/o di radiazioni elettromagnetiche (il nuclide è detto radioattivo). Il fenomeno della radioattività è stato scoperto ai primi del Novecento dalla coppia M. e P. Curie e da A. H. Becquerel (il nome “radioattività” proviene dall’elemento radioattivo Il tempo di dimezzamento “radio” scoperto dai Curie). Elementi radioattivi sono contenuti nella crosta terrestre, nei mari e addirittura nel nostro corpo: si tratta di elementi non stabili, che raggiungono uno stato stabile attraverso una o più disintegrazioni (decadimenti). Gli elementi radioattivi presenti in natura (radionuclidi) hanno generalmente periodi di dimezzamento (t½) molto lunghi. Il cosiddetto periodo di dimezzamento rappresenta la durata durante la quale il 50 % degli elementi presenti nel momento t0 si disintegra. Spesso, i nuovi nuclei risultanti dalla disintegrazione sono radioattivi a loro volta: si forma così una catena di disintegrazione. Durante la disintegrazione radioattiva, il numero di nuclei attivi diminuisce progressivamente; di conseguenza, col passare del tempo diminuisce anche l’emissione di radiazioni. 39 Vi sono tre tipi di radioattività a seconda della radiazione emessa durante la trasformazione nucleare: alfa (α), beta meno (β−), beta più (β+). • il decadimento α è caratterizzato dalla liberazione di particelle alfa ossia nuclei di elio (2 protoni + 2 neutroni); ciò porta all’ottenimento di un nuovo elemento con numero atomico inferiore di 2 unità e numero massa inferiore di 4 unità • il decadimento β− è caratterizzato dall’emissione di un elettrone. Immaginiamo un neutrone composto da un protone e un elettrone; nel momento in cui viene emesso un elettrone il neutrone si trasforma in protone: il nuovo elemento avrà numero atomico aumentato di una unità ma sempre lo stesso numero di massa; decadimento α decadimento β − il decadimento β+ è caratterizzato dall'emissione di un elettrone positivo. Un protone perde la carica positiva e si trasforma in un neutrone: il nuovo elemento avrà numero atomico inferiore di una unità, ma stesso numero di massa; D i 22 11Na --> β + + 10Ne 22 n o r m a , un effetto collaterale comune a tutte e tre queste disintegrazioni è l’emissione di radiazioni γ, onde elettromagnetiche ad alta energia. E’ dunque possibile, partendo da una specie nucleare instabile, costruire una sequenza di decadimenti tenendo conto di tutte le combinazioni di trasformazioni alfa e beta. Se si arriva ad una specie stabile la catena si ferma, altrimenti procede tramite ulteriori decadimenti alfa o beta. Le radiazioni gamma, anche se contribuiscono in modo sostanziale al bilancio della radiazione naturale, non vanno incluse nella definizione di una catena di decadimenti perché non conducono a nuove specie nucleari. Se si considerano le sequenze di decadimenti degli isotopi delle tre famiglie U-238, U235 e Torio-232 (vedi tabelle), queste si concludono con l’ottenimento di tre isotopi stabili del piombo (rispettivamente 82Pb206, 82Pb207 e 82Pb208). Schermatura delle radiazioni radioattive Le radiazioni radioattive possono attraversare la materia o penetrarvi ed essere assorbite. Questi processi possono generare nuove radiazioni o calore, a seconda dell'energia cinetica delle radiazioni e del tipo di raggi. • La radiazione alfa ha un bassissimo potere penetrante e può essere schermata già con un sottile foglio di carta. Tuttavia i materiali che emettono radiazioni alfa costituiscono una minaccia potenziale per l'uomo, in quanto possono penetrare all'interno del corpo umano attraverso l'ingestione di cibo od acqua, oppure attraverso l'inalazione di gas e aerosol. In questo caso danneggiano i tessuti umani, irraggiandoli direttamente dall'interno. • La radiazione beta ha un maggior potere penetrante e attraversa un sottile foglio di carta; può però essere schermata con un foglio di alluminio di alcuni millimetri di spessore. 40 • La radiazione di neutroni ha un elevato potere penetrante, ma può essere schermata con un materiale contenente boro o con la paraffina. • La radiazione gamma ha un elevato potere penetrante. Attraversa facilmente la carta e la lastra di alluminio , ma può essere fortemente indebolita con alcuni centimetri di piombo. La fissione nucleare Nel 1938 i chimici tedeschi Hahn e Strassmann scoprirono che bombardando il nucleo di uranio 92U235 con dei neutroni lenti, cioè con basso contenuto energetico, questo si spaccava in 2 nuclei di medie dimensioni, liberando altri neutroni (2 o 3) ed energia termica. L’assorbimento di un neutrone, infatti, trasforma l’uranio 235 nell’isotopo 92U236 che, avendo un contenuto 92U energetico molto elevato, è molto instabile per cui si spacca sprigionando una grande quantità di calore. Tale processo è chiamato fissione nucleare. Occorre notare che le reazioni di fissione possibili per questo nuclide sono moltissime con produzione di 2 oppure 3 neutroni (2,4 è il numero medio di neutroni ) prodotti e con diversi possibili prodotti (a loro volta radioattivi) come nuclei di bario e cripto, selenio e cesio, bromo e lantanio, rubidio e cesio o stronzio e xeno, ecc. Per esempio: 235 235 + n 36Kr94 + 56Ba139 + 3n + n 36Kr94 + 56Ba140 + 2n 92U 92U Per la fissione di U-235 si deve quindi parlare di una distribuzione statistica dei prodotti. Potremmo scrivere la reazione di fissione di U-235 nel modo seguente: 235 + n X + Y + 2,4 n + energia 92U I neutroni, non avendo carica elettrica, sono particolarmente idonei per la fissione perché non vengono respinti dalle cariche positive del nucleo. Inoltre, per provocare la fissione il neutrone deve essere lento perché, rimanendo più a lungo nelle vicinanze del nucleo, aumenta la probabilità di essere catturato più facilmente. Solitamente neutroni lenti producono solo urti elastici con i nuclei dell’92U238 ma anche se un neutrone lento viene catturato dal nucleo di 92U238 la fissione è molto improbabile. I neutroni con velocità medie o elevate vengono di solito catturati dal nucleo di 92U238 senza fissione. In questo caso l’isotopo radioattivo 92U239, che si forma dopo la cattura del neutrone, emettendo una particella , diventa nettunio 93Np239 (tempo di dimezzamento 23,5 minuti) e il nettunio, emettendo una particella , si tramuta in plutonio 94Pu239 (tempo di dimezzamento 2,35 giorni). Il plutonio 94Pu239, nuclide artificiale radioattivo, è adatto alla fissione (nei reattori veloci) perché può essere scisso da neutroni veloci. Quindi: 235 • è un radionuclide fissile naturale 92U 239 • è un radionuclide fissile artificiale 94Pu 238 • è un radionuclide fertile naturale; viene denominato fertile perché in grado di 92U produrre un radionuclide fissile (94Pu239). 41 Reattori nucleari L’energia liberata durante il processo di fissione deriva da una corrispondente perdita di massa degli elementi partecipanti alla reazione (scompare circa 1g di massa per ogni kg di nuclide fissionato). Secondo la legge di Einstein la massa m e l’energia E sono infatti concetti equivalenti, legati dalla relazione: E = mc2 dove c è a velocità della luce nel vuoto. Nei reattori nucleari avviene proprio la trasformazione della massa in energia. Difatti, spaccando un nucleo in due nuclei più leggeri, in questi due nuclei e nelle particelle liberate è immagazzinata meno massa di quanta ne era immagazzinata originariamente nel nucleo di partenza. Scompare circa 1g di massa per ogni kg di nuclide fissionato; si ha così un guadagno netto di energia. Il fatto che per ogni fissione si liberino dei neutroni energetici, rende teoricamente possibile un fenomeno di “autosostentamento” della reazione, nel senso che tali neutroni potrebbero a loro volta innescare altre fissioni di nuclei di uranio. Il risultato di questa sequenza è una tipica reazione a catena; per innescare questo processo a catena si sfrutta il fattore di moltiplicazione dei neutroni, i quale non è sempre pari al valore ideale (2.4) ma è in generale inferiore. Se la quantità di materiale fissile è sufficiente, si riesce ad ottenere un fattore efficace di moltiplicazione superiore ad uno, innescando così una reazione di fissione a catena che porta ad uno svolgimento di una quantità enorme di energia in un breve intervallo di tempo. Questo fenomeno viene sfruttato per scopi militari: in una bomba nucleare (o impropriamente, atomica) viene posta una quantità di materiale fissile (massa critica) tale da avere una moltiplicazione di neutroni elevata ed una reazione a catena rapidissima che produce, in tempi brevissimi, una quantità enorme di energia . Se, invece, durante la fissione si abbassa il guadagno di neutroni accentuando l'assorbimento e anche controllandolo, è possibile far avvenire la reazione in maniera controllata. Questo ha portato allo sviluppo di reattori a fissione nucleare per la produzione di energia. Una centrale nucleare è una forma perfezionata di centrale termica. Nel reattore delle centrali nucleari, attraverso la fissione controllata, viene liberata un'enorme quantità di calore che producendo vapore aziona delle turbine collegate ad un generatore di corrente elettrica. Un reattore a fissione consiste schematicamente in: • un "nocciolo", dove viene fatta avvenire la reazione di fissione controllata da appositi assorbitori, • uno scambiatore di calore che porta fuori dal nocciolo l'energia prodotta e che aziona un dispositivo per rendere utilizzabile tale energia (per esempio turbine collegate a generatori di elettricità); • un sistema di raffreddamento. I materiali utilizzati per la costruzione di un reattore a fissione nucleare devono presentare dei requisiti un po' particolari rispetto ai materiali utilizzati nelle costruzioni tecniche in generale. Si può affermare che le ricerche volte ad elevare il grado di sicurezza nei reattori nucleari hanno portato allo sviluppo di materiali spesso di tipo completamente nuovo. Infatti oltre alla alta robustezza tali materiali devono necessariamente possedere un basso potere di assorbimento dei neutroni ed una elevata resistenza alle radiazioni, al calore e alla corrosione. Il nocciolo è composto da tre elementi fondamentali: • Il combustibile nucleare 42 le barre di controllo il moderatore L’unico elemento naturale che presenta caratteristiche idonee per essere utilizzato come combustibile nucleare nei processi di fissione è l’isotopo 235 dell’uranio. Esso costituisce solo lo 0.7% del totale di questo elemento, la maggior parte essendo invece l’isotopo 238 (che non è fissile). E’ dunque necessario predisporre tecniche di arricchimento artificiale del minerale. Essendo i due elementi (235 e 238) specie isotopiche, non è possibile separarle per via chimica. Si adottano quindi tecniche complesse di separazione per diffusione che utilizzano la piccola differenza di massa dei due isotopi; ciò che resta dopo questo trattamento è detto Uranio depleto o impoverito. Un altro elemento utilizzabile nella fissione è l’isotopo 239 del plutonio, prodotto artificialmente per bombardamento neutronico di uranio-238; è separabile per via chimica dall’uranio. La produzione di combustibile basato sul plutonio a partire dall’uranio è detta “fertilizzazione”. Il nocciolo viene di solito assemblato con elementi come quelli mostrati nelle figure. • • In ognuno si trovano dei gruppi di 17 X 17 barre, in ognuna delle quali vengono infilate delle pastiglie di Uranio preparate in forma di cilindro con diametri di circa 1-1,5 cm. Queste vengono impilate in guaine rigide fatte di una lega di zirconio, lunghe circa 3 metri e mezzo, e vengono montate negli elementi, lasciando qualche spazio vuoto per le barre di controllo. Per fare un nocciolo completo servono circa 150 di questi elementi. La fissione viene innescata bombardando dall’esterno con neutroni moderati (termici) il combustibile fissile. Affinché le reazioni di fissione si possano autosostenere occorre che i neutroni originati colpiscano altri nuclei scindendoli e producendo così una reazione a catena. La quantità minima occorrente per iniziare una reazione a catena spontanea viene chiamata “massa critica”; per l’uranio-235 puro essa è di 50 kg. Per ottenere una reazione a catena controllata, ossia costante e regolabile, si deve fare in modo che solo una parte dei neutroni emessi produca una successiva fissione mentre gli altri vengono assorbiti. Per una regolazione esatta si utilizzano le barre di controllo, realizzate in materiali altamente assorbenti come leghe di boro, indio, argento e cadmio. I neutroni generati, essendo veloci (quindi non utili per la fissione), devono venire sufficientemente rallentati, cioè “moderati”. I materiali moderatori devono essere capaci di ridurre la velocità dei neutroni senza catturarli. Solitamente si usa come moderatore l’acqua in quanto può svolgere anche la funzione di refrigerante; cioè, essa assorbe il calore prodotto dalla fissione e lo trasferisce all’esterno del nocciolo. Esistono vari tipi di centrali nucleari: • reattori ad acqua bollente • reattori ad acqua pressurizzata, • e reattori a metallo liquido 43 reattori ad acqua bollente: l’acqua è a diretto contatto con il nocciolo caldo e viene vaporizzata; il vapore prodotto viene inviato direttamente alla turbina generatrice di elettricità. Lo svantaggio principale di questo sistema è che l’acqua può diventare radioattiva (secondo svariati processi) ed in caso di fuga la contaminazione ambientale è assicurata. reattore ad acqua bollente reattore ad acqua pressurizzata reattori ad acqua pressurizzata: in questo tipo di reattore vi sono due circuiti separati. Nel circuito primario, a contatto diretto con il reattore, circola dell’acqua che viene mantenuta allo stato liquido ad elevate temperature (300-330 °C), grazie all’impiego di elevate pressioni (circa 155 bar). L’acqua di questo circuito assorbe il calore della fissione e lo cede, mediante opportuni scambiatori, al circuito secondario contenente acqua non pressurizzata che,quindi, evapora ed aziona le turbine. Il vantaggio di questo disegno è che l’acqua a contatto con la zona radioattiva resta sempre isolata dalla parte “ordinaria” della centrale. Il vapore che esce dalla turbina, a bassa temperatura e pressione, entra in un ultimo scambiatore di calore, che fa condensare l'acqua raffreddandola con un terzo circuito. L'acqua di questo circuito, ovviamente, non viene a contatto con niente di radioattivo, visto che l'acqua del primario, leggermente radioattiva, non entra a contatto con l'acqua del secondario, ma scambia solo calore attraverso pareti impermeabili Quindi a questo scopo si può usare acqua che viene da un fiume o dal mare, a patto poi di reimmetterla nel fiume (o in mare) da cui la si è presa a valori di temperatura accettabili. Esistono ovviamente leggi che prescrivono limiti di temperatura e portata con cui deve essere reimmessa l'acqua nei fiumi, per evitare danni all'ecosistema locale. Nel caso in cui sia necessario raffreddare l'acqua dell'ultimo circuito questa viene raffreddata ad aria tramite torri di raffreddamento. Queste strutture, spesso enormi (a volte si usano torri alte fino a 140 m..) hanno la forma caratteristica che è restata nell'immaginario collettivo come tipica di una centrale nucleare (vedi fig.). Interno di una centrale centrale Svizzera reattori a metallo liquido: il termovettore è costituito da sodio liquefatto (o da altri metalli alcalini). Il vantaggio rispetto il modello ad acqua pressurizzata è che le temperature di 44 esercizio possono essere più elevate e l’efficienza complessiva aumentata per la migliore conduttività termica del sodio. Questi reattori sono chiamati autofertilizzanti. La caratteristica fondamentale di un reattore autofertilizzante è nel fatto che esso può produrre, a partire da combustibili fertili, una quantità di materiale fissile superiore a quella che consuma. Il sistema ad autofertilizzazione più diffuso in tutto il mondo usa uranio 238 come materiale fertile. L'assorbimento di un neutrone da parte di un nucleo di uranio 238 dà luogo a un’emissione beta (β β−) per cui il nucleo si trasforma nell'isotopo fissile plutonio 239. La fissione di un nucleo di plutonio 239, innescata da un neutrone, avviene con emissione di una media di 2,8 neutroni, uno dei quali è necessario per indurre la fissione nello stadio successivo della reazione a catena. Il reattore che sfrutta il sistema autofertilizzante più avanzato è l' LMFBR (Liquid Metal Fast Breeder Reactor, Reattore autofertilizzante rapido a metallo liquido), in cui la velocità dei neutroni destinati alla produzione di plutonio viene mantenuta alta, per massimizzare l'efficienza del sistema. Va quindi escluso qualunque materiale moderatore, come ad esempio l'acqua, che rallenterebbe i neutroni. Come refrigerante viene usato un metallo liquido, generalmente sodio. Il tempo di raddoppiamento, cioè il tempo in cui il reattore produce una quantità di combustibile doppia rispetto a quella originaria, è di circa 10 anni. Lo sviluppo del sistema LMFBR è iniziato negli Stati Uniti prima del 1950, con la costruzione del primo reattore autofertilizzante sperimentale, EBR-1. Sono stati poi installati reattori autofertilizzanti operativi in Gran Bretagna, Francia, Russia e altri paesi dell'ex Unione Sovietica; procede inoltre il lavoro a scopo sperimentale in Giappone e in Germania. Nei reattori autofertilizzanti le scorie sono molto pericolose per la presenza di plutonio. Inoltre questi reattori presentano rischi molto più grandi degli altri a neutroni termici per il fatto che dopo un certo periodo di funzionamento il combustibile deve essere trattato opportunamente per estrarne il materiale fissile che si è formato. Questo comporta una serie di operazioni periodiche ad alta pericolosità, come rimozione del combustibile, suo trasporto, manipolazione in laboratori di estrazione, etc. che rendono i reattori autofertilizzanti ad altissima pericolosità. Occorre anche non sottovalutare, per questo tipo di reattori, l'alta pericolosità sociale dato che il plutonio, prodotto in grande quantità, può essere usato direttamente per scopi militari. Rischio nucleare L’utilizzo dell’energia nucleare per produrre energia elettrica comporta dei vantaggi e dei rischi. Tra i primi possiamo citare: • disponibilità della materia prima (soprattutto nel caso della fusione) • elevata resa per unità di materiale utilizzato (la fusione di1kg di U235 produce circa 23 Gwh di energia; la fusione di 1 kg della miscela deuterio-trizio sviluppa circa 100 Gwh) • nessuna emissione di gas a effetto serra • nessuna emissione di gas responsabili delle piogge acide • nessuna emissione di particolato I rischi possono essere raggruppati in due grosse categorie: • rischi termici • e rischi delle scorie. I rischi termici sono tutti quei problemi che possono sorgere per il superamento eccessivo della potenza progettata del reattore. Una potenza troppo alta sottopone a sollecitazioni eccessive i materiali di cui è costruito il reattore e può provocare perfino la fuoriuscita di materiale ad alta radioattività (come nel famoso incidente di Chernobyl del 1986). Le scorie sono costituite sia da nuclidi prodotti dalla fissione sia da materiali presenti nel combustibile che per reazione con i neutroni nel nocciolo si sono trasformati in nuclidi radioattivi. Di solito le scorie vengono separate in base alla loro radioattività, cioè in base alla durata media del loro periodo di "raffreddamento", e poi vengono riposte in depositi a "raffreddare". Le varie tappe di approvvigionamento e smaltimento del combustibile formano un ciclo chiuso: l'uranio radioattivo naturale è estratto dal suolo e alla fine le scorie radioattive prodotte dall'utilizzazione dell'energia nucleare sono restituite al suolo protette da numerose barriere. 45 Solitamente il materiale fissile viene sfruttato in un reattore per 3 o 4 anni. Durante questo periodo di tempo la quantità di nuclei di uranio-235 diminuisce a causa delle reazioni di fissioni producendo un impoverimento del combustibile. Contemporaneamente si formano prodotti di fissione (una parte dei quali radioattivi) e plutonio-239. Lo smaltimento di tutti questi prodotti, detti comunemente scorie radioattive, avviene in due modi: • trattamento delle scorie per il recupero di uranio e plutonio • immagazzinamento definitivo delle scorie come rifiuti. Prima di essere immesse in un deposito geologico in profondità, tutte le categorie di scorie radioattive devono essere imballate (o condizionate, in gergo tecnico). Gli elementi di combustibile esauriti sono trattati in impianti di ritrattamento: attraverso un processo chimico, le sostanze riutilizzabili, Ciclo del combustibile come il plutonio e l'uranio, sono recuperate dagli elementi di combustibile esauriti, per poter poi essere riciclate in nuovi elementi. Le sostanze residue altamente radioattive vengono vetrificate. Le scorie mediamente radioattive a lunga durata e quelle debolmente e mediamente radioattive sono solidificate con il cemento. Per limitare al massimo l’eventuale contatto con l’acqua le scorie vengono poi rinchiuse ermeticamente in fusti d’acciaio e seppellite, a profondità opportune, in formazioni geologiche particolarmente stabili. La Finlandia è stata il primo Paese del mondo a decidere la costruzione di un deposito finale per scorie radioattive. Anche in Finlandia i comuni hanno litigato a lungo sull'ubicazione definitiva. A differenza del resto del mondo, però, non perché nessuno voleva i rifiuti, ma perché all'inizio si erano candidati quattro comuni. Intanto si sta realizzando una nuova centrale nucleare, dopo il via libera della commissione europea, nell’isola di Olkiluoto. In questo sito si trovano altre due centrali (Olkiluoto 1 e Olkiluoto 2). . Si tratta di un reattore ad acqua in pressione di nuovo tipo che viene costruito da un consorzio francese ed è il più ambizioso progetto nella storia finlandese. Con una potenza prevista di 1600 Megawatt sarà la centrale nucleare più potente al mondo. L’impianto dovrà entrare in funzione nel 2009. La nuova centrale è destinata a soddisfare la deposito per scorie radioattive in Finlandia richiesta supplementare di elettricità della Finlandia e a sostituire i vecchi stabilimenti alimentati a combustibile fossile, La costruzione del nuovo reattore nucleare Olkiluoto 3 potrebbe avere ripercussioni anche in altri pesi 46 europei. La supercentrale potrebbe fornire elettricità all’estero, ma soprattutto stimolare il potenziamento e la ripresa dell’energia nucleare in altri paesi, nonché dare il via alla costruzione di nuovi reattori. Centrali nucleari nel mondo. Nel mondo, ad agosto 2007, sono in funzione 439 centrali nucleari per un totale di 372.002 Mwelettrici;alla stessa data sono in costruzione altri 34 impianti per una potenza di 27.838 Mwh el, mentre è stata pianificata la costruzione di altri 81 reattori per altri 89.175 Mwhel. A livello mondiale la produzione di energia elettrica col nucleare è superiore al 16%, ma molti Paesi soddisfano tramite il nucleare gran parte del proprio fabbisogno interno: • Francia: 78% fabbisogno energetico interno • Paesi dell'Europa dell'Est: 40-50% • USA: 19% L'Europa soddisfa mediamente il 35% del proprio fabbisogno energetico interno mediante l'uso di centrali nucleari, anche se nel dato medio pesa fortemente la politica energetica francese. Il caso della Francia è unico al mondo, ben il 78% dei consumi energetici francesi sono soddisfatti mediante reattori nucleari. Nelle figure sottostanti sono riportati i siti dove si trovano le centrali nucleari; compaiono anche le centrali italiane che, tuttavia non sono attive. La fusione nucleare Anche la fusione di due nuclei atomici libera energia. A differenza della fissione nucleare, però, la fusione è possibile solo con nuclei leggeri, come ad esempio il deuterio e il trizio. La fusione nucleare costituisce la fonte energetica del sole (quattro nuclei d'idrogeno si fondono formando elio) e si ripete da miliardi di anni all'interno delle stelle. Le difficoltà tecniche per l'applicazione industriale sono enormi, anche se il fenomeno di fusione è stato dimostrato negli impianti di ricerca. La difficoltà maggiore, nel riprodurre sulla terra la reazione di fusione, viene dal fatto che per far avvenire la reazione i due nuclei reagenti debbono avvicinarsi vincendo la repulsione coulombiana. Ciò richiede una energia "di attivazione" elevatissima; nelle stelle invece esistono le condizioni ideali per consentire la fusione dei nuclei. 47 48 Per quanto riguarda gli usi bellici (bomba a idrogeno) le difficoltà sono state superate: per fornire l’energia necessaria per innescare la reazione di fusione viene prima fatto esplodere un ordigno nucleare a fissione La tecnica più studiata fino ad oggi è quella che impiega un forte campo magnetico per confinare un plasma formato da nuclei di deuterio e trizio. ad alta temperatura, in modo che questo non venga in contatto col materiale con cui viene realizzato il reattore. Per innescare la reazione la temperatura dovrebbe essere di circa 108 °C però a tutt'oggi non si è ancora riusciti a stabilizzare il plasma con una temperatura così alta per tempi sufficientemente lunghi da avere un autosostentamento costante della reazione. L'elettricità ottenuta attraverso la fusione nucleare comporterà dei notevoli vantaggi in termini di resa (100 GWh/kg contro 23 GWh/kg della fissione). La produzione di energia da fusione nucleare potrebbe risultare più sicura di quella da fissione per due ragioni: • non si producono scorie radioattive, anche se durante il funzionamento della reazione si ha una alta emissione di neutroni; • la reazione non procede a catena, come nella reazione di fissione, per cui la si può arrestare quando si vuole senza alcun pericolo che essa sfugga al controllo. Inoltre le materie prime (deuterio e trizio) sono disponibili in grandi quantità. Il deuterio si può ricavare dall’acqua degli oceani ed il trizio può essere ottenuto dal litio, con opportuni trattamenti. L'orizzonte di tempo per realizzare un reattore industriale sembra ancora molto lungo; nel 1975 si prevedeva una applicazione commerciale per i primi anni del 2000! IL NUCLEARE IN ITALIA L'Italia possedeva quattro centrali nucleari situate a:Corso, Garigliano, Latina, Trino Vercellese. Dopo l’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986 ed in seguito al referendum popolare dell’autunno 1987, il governo italiano imponeva: • una moratoria di cinque anni per la costruzione di nuovi impianti nucleari; • la sospensione della costruzione delle nuove centrali di Trino Vercellese 2 e della centrale Alto Lazio (Montalto di Castro), • la chiusura della centrale di Latina • e la sospensione dell’esercizio delle centrali di Trino Vercellese 1 e Caorso, la cui chiusura definitiva fu deliberata dal CIPE il 26 luglio 1990. 49