i combustibili - Università degli Studi di Cagliari

I COMBUSTIBILI
La combustione è la rapida ossidazione di un combustibile da parte di un comburente;
la reazione è accompagnata da quel fenomeno fisico visibile che è denominato “fiamma” e
dalla produzione energia termica. Il combustibile è costituito solitamente da una sostanza
che contiene atomi di carbonio e di idrogeno, mentre il comburente normalmente impiegato
è l’ossigeno presente nell’aria. Il carbonio si combina con l’ossigeno per formare anidride
carbonica e libera calore secondo la seguente formula:
C + O 2 = CO 2 + Calore
Analogamente l’idrogeno si combina con l’ossigeno per formare vapore acqueo, con
conseguente produzione di calore, secondo la formula seguente:
2H 2 + O 2 = 2H 2 O + Calore
È importante rilevare che il combustibile e l’ossigeno si combinano in proporzioni ben
definite e fisse. Le quantità di ossigeno e di combustibile nella miscela sono in proporzioni
perfette o stechiometriche” quando queste permettono una completa ossidazione del
combustibile. Se avessimo eccesso di combustibile oppure insufficienza di ossigeno la
miscela viene definita ricca (o grassa), mentre la fiamma è riducente e tende ad essere
lunga, gialla e fumosa. Tale tipo di combustione è anche definita “incompleta” perché solo
una parte del carbonio viene completamente ossidato dall’ossigeno, mentre il restante
subisce un’ossidazione parziale. Come indica la seguente formula di reazione, la
combustione parziale o incompleta del carbonio è accompagnata dalla formazione di
monossido di carbonio, un gas fortemente tossico:
2C + O 2 = 2CO + Calore
La quantità di calore che qui si produce è inferiore a quella che accompagna la
combustione completa. Infatti, il monossido di carbonio è un combustibile e quindi ancora in
grado di bruciare, secondo la seguente reazione:
2CO+ O 2 = CO 2 + Calore
Pertanto nel caso di combustione incompleta, avremmo due inconvenienti:
•
la produzione di un gas tossico
•
una resa inferiore in energia termica (solo il 30% del totale ottenibile).
Se viceversa forniamo alla miscela ossigeno in eccesso, la miscela sarà povera (o
magra) e la combustione ossidante. Come risultato avremmo una fiamma molto corta di
colore tendente al blu. In questo caso tutta l’energia chimica presente nel combustibile viene
trasformata in calore, cioè la combustione potrà essere definita completa.
Dal punto di vista merceologico, per poter definire combustibile una sostanza non è
sufficiente che sia in grado di dar luogo alla reazione di combustione.E’ necessario che abbia
anche le seguenti caratteristiche:
•
deve produrre una quantità di calore elevata
•
il suo prezzo deve essere adeguato al suo potere calorifico; per es. il diamante
(costituito da carbonio puro) per la chimica può essere definito combustibile
•
deve essere facile da trasportare; il costo del trasporto non deve avere notevole
incidenza sul prezzo finale
•
non deve produrre sostanze dannose per gli impianti e l’ambiente; lo zolfo (definito
combustibile per la chimica), durante la sua combustione produce ossidi di zolfo che sono
altamente corrosivi e tossici.
I COMBUSTIBILI FOSSILI
I combustibili fossili sono fonti di energia primaria, che vengono trasformate soprattutto
in energia elettrica dopo processi di conversione. Si sono formati a seguito delle
trasformazioni subite da residui animali e vegetali nel corso delle varie ere geologiche.
Queste trasformazioni hanno portato alla formazione di sostanze diverse a seconda dei
composti chimici presenti e dei processi geologici cui le masse sono state sottoposte.
Sono costituiti principalmente da carbonio ed idrogeno e possono contenere sostanze
minerali. Un combustibile è tanto più pregiato quanto maggiore è la quantità di idrogeno che
contiene e tanto minore è il suo contenuto in sostanze minerali, infatti, l'idrogeno aumenta il
potere calorifico e le sostanze minerali i residui solidi.
Si definisce potere calorifico di un combustibile la quantità di calore (espressa con le
unità di misura dell’energia joule, caloria o wattora) prodotto dalla combustione completa di
un kg (per i solidi e liquidi) o di un m3 di combustibile misurato (per i gassosi e liquidi) in
condizioni standard (cioè alla temperatura di 0°C e alla pressione atmosferica) .
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Pertanto le unità di misura utilizzate sono:
kcal/kg
kcal/ m3
kj/kg
kj/ m3
kwh/kg
kwh/ m3
e i loro multipli.
Il potere calorifico superiore (Pcs) definisce la quantità di calore liberata durante una
combustione completa, incluso il calore latente di evaporazione contenuto nel vapore acqueo
dei gas di combustione. Il potere calorifico superiore di un combustibile viene determinato
mediante il calorimetro (o bomba calorimetria), all’interno del quale una quantità
esattamente pesata del combustibile viene fatta bruciare in presenza di ossigeno:
•
il calore prodotto dalla combustione completa riscalda l’acqua che si trova all’esterno
•
viene misurata, con un termometro, la differenza tra la temperatura massima e quella
iniziale
•
moltiplicando questo valore per la costante del calorimetro si ottiene la quantità di
calore sviluppata dalla combustione completa del combustibile
•
dividendo poi la quantità di calore per la quantità di combustibile utilizzato si ricava il
potere calorifico superiore del combustibile.
Il valore determinato col calorimetro è puramente teorico in quanto comprende anche il
calore assorbito dall’acqua, prodottasi dalla combustione dell’idrogeno, per passare allo stato
di vapore. Questo calore nella pratica viene perso perché viene dissipato con i prodotti della
combustione.
Per calcolare il potere calorifico reale di un combustibile, cioè il suo potere calorifico
inferiore (Pci), bisogna sottrarre, dal valore misurato col calorimetro, una quantità di calore
che viene determinata, con una formula empirica, sulla base della percentuale di idrogeno
presente nel combustibile; la differenza tra Pcs e Pci aumenta con l’aumentare del quantità
di idrogeno presente nel combustibile.
Classificazione dei combustibili
I combustibili vengono classificati in base:
• allo stato fisico di aggregazione (solido, liquido e gassoso)
• e all’origine (naturali e artificiali)
I combustibili solidi naturali sono le
biomasse vegetali e il carbone; quelli
artificiali (ottenuti per distillazione da
quelli naturali) sono il carbone di legna
e il carbon coke.
I combustibili liquidi naturali sono il
petrolio e gli oli vegetali; quelli artificiali
(ottenuti attraverso diversi trattamenti
da carbone, petrolio e biomasse) sono
benzina,
cherosene,
gasolio,
oli
combustibili,
alcoli,
biodiesel
e
bioetanolo.
Il combustibile gassoso naturale è il così
detto gas naturale, composto in gran
parte da metano; i gas artificiali
(ottenuti mediante processi industriali gassificazione
e
distillazionedi
carbone, petrolio e biomasse) sono il
gpl, idrogeno, biogas, gas illuminante e altri gas tecnici.
I combustibili sono, di gran lunga, la fonte energetica più utilizzata.
IL PETROLIO
Il petrolio è il principale combustibile fossile liquido. Ha origine da sostanze organiche
che, acculate nel sottosuolo in particolari condizioni di pressione e temperatura e per l’azione
di microrganismi anaerobi, sono state trasformate, nel corso di milioni di anni, in idrocarburi
Esso è formato da una miscela di circa 200 idrocarburi solidi,liquidi e gassosi; la sua
composizione analitica elementare è mediamente la seguente:
80-87%
carbonio
10-14%
idrogeno
il rimanente è costituito da zolfo, azoto, fosforo, ossigeno,elio.
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Mentre la composizione analitica è pressoché uguale qualunque sia il giacimento di
provenienza, la qualità del greggio dipende,invece, da alcuni parametri che riguarda per es.
la resa nelle diverse frazioni che si possono ottenere e dalla presenza di sostante
indesiderate (per es. lo zolfo).
Idrocarburi
Vasta classe di composti chimici
formati da carbonio e idrogeno, molti
dei quali, gassosi, liquidi o solidi, sono
i principali costituenti del greggio e del
gas naturale, oltre che di varie
sostanze naturali (resine, caucciù,
ecc.). Lo stato fisico di aggregazione
degli idrocarburi dipende dal numero
di atomi di carbonio che costituiscono
la molecole (cioè dalle dimensioni della
stessa).
Idrocarburi
di
piccola
dimensione sono gassosi; quelli di media dimensione sono liquidi; quelli di grande
dimensione sono solidi. Il petrolio si presenta liquido perché prevalgono gli idrocarburi
liquidi, mentre quelli solidi e gassosi si trovano in essi disciolti. Per la loro diversa struttura
molecolare, essi hanno proprietà fisiche e chimiche diverse e sono quindi in grado di essere
utilizzati in moltissimi campi.
La loro caratteristica fondamentale è quella di
produrre energia termica per ossidazione rapida (cioè
bruciano). Questa caratteristica può essere utilizzata
per
produrre
energia
secondo
tecnologie
estremamente flessibili. Essi inoltre forniscono la
materia prima indispensabile all’industria chimica
moderna che è per questo detta petrolchimica.
Nelle molecole degli idrocarburi gli atomi di carbonio
possono legarsi in gran numero, formando catene
aperte (idrocarburi alifatici aciclici: alcani, alcheni,
alchini, ecc.) e chiuse (idrocarburi ciclici: alifatici
ciclici o aliciclici e aromatici). Se vi figurano solo legami semplici si hanno idrocarburi saturi
(alcani, cicloalcani), se vi sono anche legami doppi o tripli si hanno idrocarburi insaturi
(alcheni, alchini). Il grande numero di atomi di carbonio che possono far parte delle molecole
degli idrocarburi, la possibilità di scambio di valenze diverse tra gli atomi di carbonio e
l’isomerizzazione rendono pressoché illimitato il numero dei possibili composti del carbonio.
Si stima siano oltre tre milioni i composti già conosciuti e che circa 100.000 ne vengano
isolati o sintetizzati ogni anno. Negli idrocarburi di questa serie, gli atomi di carbonio sono
uniti da un legame semplice.
Per esempio:
Metano: CH4
Etano: CH3CH3
Propano: CH3CH2CH3
Butano: CH3(CH 2)n CH3
La formula generale degli Alcani è dunque: CnH2n+2
A partire dal butano si incontra negli alcani il fenomeno della isomeria. Due o più
idrocarburi si definiscono isomeri quando le loro molecole hanno la stessa formula bruta
(stesso numero di atomi di carbonio e stesso
numero di atomi di idrogeno) ma struttura
diversa. Il butano (C4H10) ha due isomeri: il
normal butano (n-butano) e l'isobutano (o 2metilpropano). Si definisce "normale" la
struttura lineare, mentre si parla di forme
"iso" quando la catena è ramificata.
Con l’aumentare del numero di atomi di carbonio della molecola aumenta il numero
degli isomeri possibili.
Alcheni
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Gli alcheni o idrocarburi etilenici sono caratterizzati dal fatto che nella loro catena due
atomi di C sono uniti con un doppio legame, per cui nella formula generale hanno due atomi
di H in meno dei corrispondenti idrocarburi saturi.
La formula generale è:CnH2n
Il primo termine del gruppo è appunto l’etilene: Etilene:CH2=CH2 Propene:CH2= CH-CH3
Butene:CH2=CH-CH2CH 3
Pentene:
CH2= CH-(CH2)2CH3
Alchini
Gli alchini sono idrocarburi a catena aperta e insaturi, caratterizzati da un triplo legame.
La formula generale è: CnH2n-2
Butilene:
CH3-CH2-C≡CH
Acetilene: CH≡CH
Idrocarburi clicici
La formula generale è: CnH 2n
Ciclo
propano
Ciclo
butano
Ciclo
pentano
Ciclo
esano
Idrocarburi aromatici
Sono gli idrocarburi che comprendono, nella loro molecola, un anello esagonale con tre
doppi legami alternati a semplici legami.
Il benzene, che è il più semplice fra gli idrocarburi aromatici, ha formula bruta C6H6:
nella sua molecola, gli atomi di carbonio sono disposti ai vertici di un esagono regolare. Altri
importanti idrocarburi aromatici sono il naftalene o naftalina, l’antracene e il benzopirene.
benzene
naftalene
Il ciclo petrolifero
Il ciclo petrolifero inizia con l'acquisizione (tramite negoziati diretti o partecipazione a
gara) del diritto legale di cercare. Proprietario del diritto minerario è di norma lo Stato, con il
quale la Compagnia petrolifera deve stipulare un contratto che stabilisca i diritti dei
contraenti; in particolare, debbono essere definiti: l'area nella quale si svolgerà la ricerca, la
durata dell'accordo, gli impegni minimi di lavoro e di spesa (commitment), come verrà
ripartita la produzione e quali tasse la Compagnia sarà tenuta a pagare. Negli anni che
hanno seguito la seconda guerra mondiale, i contratti di ricerca petrolifera si sono evoluti;
generalmente, lo Stato ospite non si limita più ad una concessione di ricerca e sfruttamento
dei giacimenti scoperti, con i relativi introiti delle royalties, ma, quasi sempre, partecipa
direttamente agli utili della produzione. Attualmente sono frequenti i contratti di ripartizione
della produzione ed i contratti di servizio, nei quali la Compagnia petrolifera non detiene i
diritti minerari, ma agisce come contrattista della Compagnia di Stato del paese ospite.
Esplorazione
La scelta dell'area per un'avventura esplorativa viene valutata in funzione della
possibilità e della probabilità di una scoperta basandosi su un certo numero di elementi
geologici fondamentali (studi e ricerche, conoscenza dell'area, valutazione del rischio
minerario) oltre che su considerazioni di carattere economico. Le operazioni esplorative
iniziano con la prospezione geofisica, che comprende le operazioni necessarie
all'individuazione delle trappole (serbatoi di rocce che consentono la formazione e l'accumulo
di idrocarburi); viene di norma utilizzato un rilevamento sismico a riflessione che è in grado
di ricostruire l'assetto stratigrafico delle rocce che costituiscono il sottosuolo e in casi
favorevoli, di fornire, tramite ulteriori elaborazioni, anche informazioni sulla loro struttura
litologica e sulla natura dei fluidi in essa contenuti.
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I pozzi esplorativi hanno il compito di accertare se la trappola contiene idrocarburi, di
che tipo e in quale quantità, e di verificare se il modello geologico del sottosuolo che è stato
adottato sia effettivamente quello previsto. Le informazioni necessarie vengono ricavate
dall'esame diretto delle rocce e fluidi (carote e fanghi di perforazione), integrate con dati
acquisiti per via indiretta misurando in modo continuo i diversi parametri fisici delle rocce
attraversate dal pozzo. Nelle aree marine i pozzi esplorativi vengono perforati da impianti di
perforazione montati su strutture mobili di tipo autosollevante o semisommergibile e su navi
di perforazione.
Sviluppo
Per recuperare gli idrocarburi occorre mettere in produzione il giacimento, perforando
un numero ottimale di pozzi di produzione ed installando le attrezzature necessarie per
liberare il gas e il petrolio dalle componenti indesiderate (particelle solide, acqua, sali, ecc.)
e per separare la fase liquida del petrolio da quella gassosa. La pressione che permette al
greggio di risalire in superficie è data dalla presenza in soluzione di idrocarburi gassosi. Una
volta si recuperava solo il petrolio che usciva spontaneamente dal sottosuolo, oggi si procede
mediante i sistemi di GAS INJECTION oppure di WATER INJECTION che consistono nel
pompaggio sotto terra di gas o acqua, allo scopo di spingere verso l'alto il greggio rimasto
nella roccia spugnosa e ormai privo di pressione.
In mare le operazioni di sviluppo sono più complesse; i pozzi di produzione, sono
perforati da piattaforme fisse di vario tipo (in acciaio, in cemento, semisommergibili,
ancorate con cavi ecc.), di dimensioni spesso gigantesche, e deviati in modo da drenare la
più vasta area possibile da un'unica postazione. In questi ultimi anni, per la messa in
produzione di giacimenti in acque profonde (oltre i 400 metri) sono stati utilizzati sistemi di
completamento sottomarini, con teste pozzo e relativi comandi, installati sul fondo e
manovrati sul fondo stesso o, a distanza, dalla superficie.
Durante la fase di perforazione le maggiori problematiche ambientali riguardano:
•
l'impatto visivo del cantiere ("footprint ambientale"),
•
la tossicità dei fluidi di perforazione,
•
lo smaltimento dei detriti
•
e il pericolo di blowout (eruzione incontrollata del pozzo).
Il cantiere di perforazione occupa al
massimo un'area di due ettari.
Rimane operativo per un tempo
variabile in funzione della profondità
e del tipo di formazione da perforare.
All'inizio dei lavori il terreno viene
rimosso e preservato per poi essere
ridistribuito sul suolo al termine
dell'attività di perforazione. Per
proteggere
la
falda
acquifera
superficiale
viene
eseguita
una
completa impermeabilizzazione del
sito.
Per ridurre il numero di postazioni si utilizzano tecnologie come quella dei pozzi
orizzontali e pozzi deviati che consente la perforazione di più pozzi da un'unica postazione.
Per i fluidi di perforazione sono stati messi a punto particolari additivi che ne riducono
drasticamente la tossicità. I detriti vengono trattati presso l'impianto che dispone delle
attrezzature necessarie per la separazione, il trattamento e l'avvio allo smaltimento.
Terminata la fase di perforazione l'impianto viene smontato e l'area, delimitata da una
barriera di piante tipiche dell'ecosistema, viene riportata alle condizioni iniziali.
Produzione
Una volta completato lo sviluppo, iniziano le attività di produzione attraverso le quali, gli
idrocarburi sono estratti dal giacimento, trattati negli impianti e inviati al mercato tramite
pipeline o navi. Durante la vita produttiva, che può durare anche decenni, il giacimento è
continuamente monitorato, vengono effettuati interventi nei pozzi per ottimizzare la
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produzione e , in alcuni casi, si procede a progetti di recupero avanzati, con l'iniezione di gas
o di acqua, per aumentare la quantità di idrocarburi recuperabili.
In alcuni casi il gas naturale prodotto viene stoccato in giacimenti sotterranei,
appositamente predisposti, da dove verrà utilizzato successivamente per modulare la
quantità di gas da erogare in funzione dei picchi di consumo, giornalieri o stagionali, e per
consentire l'ottimizzazione della produzione dai giacimenti. L'impianto di produzione viene
collocato in parte al di sotto del livello del terreno per limitare l'impatto visivo.
Il petrolio e il gas naturale sono sempre associati ad una miscela di altri gas e acqua di
strato. Le infrastrutture di raccolta e trattamento dei centri olio e delle centrali gas sono
realizzate in modo da azzerare le emissioni gassose. Nella maggior parte dei casi le acque
separate dagli idrocarburi vengono reiniettate nei giacimenti di provenienza.
In località remote, il gas contenuto nell'olio al momento dell'estrazione non essendo
utilizzabile viene liberato in atmosfera (Venting) o bruciato in fiaccola (Flaring). Ciò
rappresenta una dispersione di materia prima, con un consistente impatto ambientale. Al
fine di contenere le emissioni in atmosfera dei gas serra durante i processi estrattivi, dove
possibile vengono adottati sistemi di reiniezione del gas nel giacimento mediante un pozzo
reiniettore. Nei casi in cui l'utilizzo economico del gas associato non sia possibile, o per usi
energetici locali o per la reiniezione nel giacimento stesso, si ricorre al "gas flaring" che
consiste nel bruciare il gas in una torcia.
Benché tale pratica sia in via di riduzione, sono ancora ingenti i volumi di gas associato
destinati a flaring. Le statistiche mondiali più aggiornate indicano che nell'anno 2000 circa
120 miliardi di m3 di gas sono stati bruciati in torcia, corrispondenti a circa il 12,9% della
produzione lorda mondiale. Si può stimare che a tale volume corrisponda un'emissione di
almeno 350 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, assumendo che l'efficienza media di
combustione delle torce sia del 98%.
La stima di 350 Mt rappresenta una quantità
rilevante, pari a circa il 60% dell'intero impegno europeo di riduzione di gas serra nell'ambito
del Protocollo di Kyoto.
Consapevole dell'importanza dell'abbattimento delle emissioni da
gas flaring, l'Eni ha avviato il programma "Zero Gas Flaring". Già oggi, benché la produzione
di gas Eni costituisca il 30% della produzione totale di idrocarburi, la quota di gas bruciato in
torcia è solo l'8%, contro una media mondiale del 12,9%. Più del 90% del gas flaring dell'Eni
è localizzato in tre paesi: Nigeria, Libia e Congo. Sono inoltre allo studio soluzioni per lo
sfruttamento dell'energia prodotta dalla combustione del gas.
Nell'offshore la perforazione avviene con mezzi in grado di trattare a bordo tutti fluidi e
i detriti di lavorazione e stoccarli per lo smaltimento a terra. Le tecnologie di deviazione
pozzi, raggiungendo più giacimenti da un'unica postazione, consentono di limitare il numero
di piattaforme da installare stabilmente. La messa a punto di attrezzature in grado di
permettere il pompaggio multifase evita la necessità di dotare nelle piattaforme ingombranti
strutture per il trattamento olio. L'olio raggiunge la terraferma attraverso pipeline, miscelato
con il gas e l'acqua estratti. Il trattamento e la separazione avviene in centri olio onshore.
Lavorazione del greggio
Il trasporto di petrolio alle raffinerie avviene tramite oleodotti e, per tragitti più lunghi,
attraverso navi petroliere. Gli oleodotti, interrati o adagiati sui fondali marini, comprendono
un complesso di condotte, stazioni di pompaggio, di controllo e di sicurezza. Le
caratteristiche costruttive degli oleodotti, le protezioni delle tubazioni, i dispositivi di
sicurezza per l’interruzione del flusso ed i sistemi di controllo garantiscono elevati livelli di
prevenzione contro le fuoriuscite di prodotto.
Le moderne petroliere sono navi cisterne a compartimenti separati e a doppio scafo:
un’intercapedine di circa 2 metri riveste completamente lo scafo evitando la fuoriuscita in
mare del carico in caso di collisione. Per ridurre l’impatto ambientale di queste navi, sono
stati introdotti nuovi sistemi di ripulitura delle cisterne che permettono di raccogliere i residui
petroliferi per trattarli poi in impianti a terra, anziché scaricarli in mare.
Allo stato naturale, il petrolio greggio non ha pratici impieghi, ma dalla sua
“raffinazione” è possibile ottenere prodotti fondamentali per la vita quotidiana; prodotti
energetici, come ad esempio benzina e gasolio, e prodotti per uso non energetico, come basi
lubrificanti e bitumi.
La raffinazione del greggio fornisce inoltre importanti materie
prime per l’industria petrolchimica, necessarie per la produzione di plastiche, vernici, adesivi,
detersivi, resine, solventi, fibre sintetiche e gomme.
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Il primo trattamento di raffinazione del petrolio consiste in una distillazione frazionata o
topping che si compie in colonne o torri di distillazione o frazionamento di altezza anche
superiore ai 30 metri. Il petrolio viene da prima riscaldato a circa 400°C in un opportuno
forno e inviato allo stato di vapore nella torre di distillazione provvista di una serie di piatti
perforati. Il petrolio raffreddandosi si divide in due correnti: una di gas e vapori che sale
verso l'alto e una di liquidi che scende verso il basso. Le varie frazioni condensano a diverse
altezze a seconda delle relative temperature di ebollizione; perciò, le frazioni più leggere,
con punto di ebollizione più basso, si raccolgono nelle sezioni superiori della colonna, mentre
le frazioni con punto di ebollizione più alto si raccolgono in quelle inferiori. In tal modo si
ottengono le seguenti frazioni:
1) Prodotti gassosi (che includono gas liquefatti)
2) Virgin nafta (destinata alla petrolchimica)
3) Benzine (usate soprattutto come carburante per motori a scoppio)
4) Kerosene (impiegato in particolare come carburante per aerei a reazione)
5) Gasolio (usato come carburante per motori diesel e come combustibile per il
riscaldalmento)
6) Residuo o olio pesante (da queste frazioni per ultima distillazione sottovuoto si ricavano
oli combustibili, oli lubrificanti, cere e bitumi)
Schema di torre di distillazione del petrolio
Contenendo elementi indesiderati quali zolfo e azoto, i prodotti della raffinazione devono
essere sottoposti a un processo di purificazione. Questo per due motivi: sono dannosi per i
motori nei quali vengono utilizzati e sono responsabili delle piogge acide. Attualmente le
raffinerie stanno concentrandosi su processi di desolforazione innovativi per rispettare
specifiche più severe sul contenuto di zolfo delle benzine e dei gasoli, ma anche per
migliorare la flessibilità delle raffinerie stesse.
La seconda fase della raffinazione comprende differenti tipi di processi che modificano le
molecole degli idrocarburi, rompendole in altre molecole più piccole (cracking), unendole tra
loro per formarne di più grandi (polimerizzazione e alchilazione), o rimodellandole in altre
molecole (reforming). L'obiettivo di quei processi è di convertire alcune delle frazioni
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distillate in componenti per prodotti petroliferi commerciabili e/o di trasformare i tagli più
pesanti in distillati leggeri ed intermedi.
Impieghi dei prodotti petroliferi
Il petrolio è la fonte energetica più utilizzata a livello mondiale. La stessa situazione è
presente anche in Italia:
I prodotti petroliferi si possono dividere in quattro famiglie, in base all'uso cui
sono destinati:
1) I carburanti servono per azionare i diversi tipi di motori e comprendono la benzina (per
automobili e aerei), il gasolio (per motori diesel), il kerosene (per le turbine degli aerei a
reazione) e i gas petroliferi.
2) I combustibili si usano principalmente per il riscaldamento di abitazioni e di impianti
industriali e vengono bruciati nelle caldaie per mezzo di bruciatori (a gasolio, a kerosene, a
gpl).
3) La virgin nafta fornisce un grande numero di idrocarburi che sono le materie prime di
diversi settori: plastica, detersivi, ecc.
4) I lubrificanti servono per ridurre l'attrito e quindi l'usura delle parti in movimento di
motori e macchine.
5) Gli altri prodotti comprendono la vaselina (farmacia e prodotti cosmetici), la paraffina
(cere, lucidi), gli asfalti e i bitumi (rivestimenti stradali) ecc.
Prodotti gassosi
I Gpl o gas di petrolio liquefatti sono miscele di frazioni leggere, che hanno la proprietà
di essere gassosi alla pressione atmosferica e di liquefare a temperatura ambiente a
pressioni non molto elevate. La maggior parte del Gpl si ottiene dalla prima distillazione del
greggio e dal processo di reforming, mentre una quota minoritaria proviene dai processi di
conversione (cracking catalitico, hydrocracking, visbreaking). I Gpl ottenuti dal topping e dal
reforming contengono soltanto propano e butano mentre i Gpl da processi di conversione
hanno percentuali più o meno elevate di idrocarburi insaturi (propene e butene).
Per ragioni di sicurezza il Gpl deve essere odorizzato prima della commercializzazione,
al fine di favorire la determinazione olfattiva di eventuali fughe. Sul mercato il Gpl è
reperibile come miscela (propano/butano) e come propano commerciale. Gli impieghi
principali del prodotto sono: autotrazione (in sostituzione di benzina e gasolio) e
combustione.
Benzine
Si definisce benzina una miscela di idrocarburi leggeri, con molecole da 4 a 12 atomi di
carbonio, liquida alle condizioni ambiente di temperatura e pressione, atta ad essere
impiegata per azionare motori a combustione interna ad accensione comandata, cioè i
“motori a scoppio”. La benzina ha mediamente un intervallo di distillazione compreso tra
30°C e 200°C. E’ la frazione che ha più elevato valore commerciale e costituisce circa il 25%
dei prodotti della distillazione primaria. I principali requisiti che una benzina deve possedere
sono due:
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1.
la volatilità, ovvero la proprietà di formare una quantità di vapore in modo tale da
effettuare nei cilindri dei motori una buona combustione;
2.
il potere antidetonante cioè la resistenza che un carburante oppone a passare dal
regime di combustione a quello di detonazione. Questo potere si misura in N.O.(numero di
ottano). Per stabilire le qualità antidetonante delle benzine vengono messe a confronto, in
un motore standard, con due idrocarburi presi come riferimento: per convenzione al neptano si attribuisce numero di ottano uguale a 0 e all'isottano si attribuisce numero di
ottano uguale a 100. Pertanto quando, per es., si dice che una benzina (o un qualsiasi altro
carburante che può essere utilizzato in un motore a scoppio) ha NO 98, ciò significa che essa
si comporta come una miscela costituita da 98% di isottano e il 2% di il n-eptano .
Allo scopo di aumentare la resa in benzina e anche al fine di ottenere prodotti adatti a
diversi impieghi individuali o all'utilizzo come intermedi nell'industria petrolifera, che assorbe
circa il 10% della produzione di petrolio, sono stati messi a punto particolari procedimenti di
trasformazione: il cracking, la polimerizzazione e il reforming.
Le reazioni di cracking sono quelle in cui gli idrocarburi formati da lunghe catene di
atomi di carbonio, presenti nelle frazioni medie e pesanti (come gasolio e oli combustibili),
vengono “rotte” (da qui il termine cracking) e trasformate in molecole più leggere. I
processi di cracking possono essere di tre tipi: il “cracking termico”, che usa solamente il
calore, il “fluid catalytic cracking”, che si avvale del calore e di un catalizzatore chimico di
conversione e l’”hydrocracking”, che utilizza il calore, un catalizzatore e l'idrogeno.
Nelle reazioni di polimerizzazione si utilizzano, invece, gas che provengono da tutte le
operazioni di raffinazione; partendo da idrocarburi leggeri si ottengono molecole con un
numero di atomi di carbonio compreso tra 10 e 12. La reazione avviene in speciali reattori e
si ottengono idrocarburi con un elevato numero di ottano.
Poiché le benzine ottenute per distillazione hanno numero di ottano molto modesto,
esse vengono sottoposte a reazioni di reforming utili per migliorare le proprietà
antidetonanti.
Le proprietà antidetonanti di un idrocarburo dipendono dalle dimensioni e dalla struttura
della molecola:
Il NO di un idrocarburo:
•
diminuisce all’aumentare del numero di atomi di carbonio (es. il metano è migliore
dell’etano )
a parità di numero di atomi di carbonio:
•
aumenta con la ramificazione della molecola (es. l’isobutano è migliore del n-butano)
•
aumenta con la presenza di doppi e tripli legami (es, l’etilene è migliore dell’etano)
•
aumenta negli idrocarburi ciclici (es. il ciclobutano è migliore del butano).
Le reazioni di reforming servono pertanto per modificare la struttura delle molecole degli
idrocarburi pur conservando lo stesso numero di atomi di carbonio; si opera a temperatura e
pressione elevata e in presenza di catalizzatori. Tra le varie reazioni possibili sono da
segnalare quelle di isomerizzazione, in cui alcuni idrocarburi lineari sono trasformati in
idrocarburi ramificati e quelle di ciclizzazione, in cui si formano idrocarburi aromatici
(contenenti cioè un anello benzenico) a partire da idrocarburi lineari. Il processo di
reforming, oltre ad essere indispensabile per migliorare la qualità delle benzine, rappresenta
anche la fonte primaria di idrogeno per le necessità della raffineria. La benzina finita si
ottiene miscelando componenti provenienti dai diversi impianti e aggiungendo minime
quantità di additivi per migliorare il NO (per es. MTBE) e per conferire alla benzina proprietà
aggiuntive (per es. detergenza). In passato per migliorare il NO di una benzina venivano
utilizzati composti organici del piombo (piombo tetrametile e piombo tetraetile) ora banditi in
quanto altamente inquinanti; la benzina era di colore rosso). Dal 1° gennaio 2002 nei Paesi
dell’Unione Europea possono essere commercializzate soltanto benzine senza piombo (verdi)
e pertanto da quella data le benzine del mercato europeo si distinguono solo per il numero di
ottano. La norma EN 228, recepita in Italia come UNI EN 228, è la specifica europea di
riferimento della benzina super senza piombo (detta Euro Super) che ha NO 95 e deve
essere reperibile in tutti i paesi dell’Unione Europea. Accanto alla Euro Super, nella maggior
parte dei paesi europei è reperibile anche una Superplus con ottano 98, mente in alcuni
paesi, come ad esempio Germania ed Austria, è disponibile anche una benzina normale
(ottano 91-92). a benzina agricola è ricavata dalla benzina verde e può essere impiegata
solo come combustibile nei mezzi agricoli, poiché gode di agevolazioni fiscali. Per poter
9
utilizzare questo prodotto è necessario essere in possesso dei requisiti descritti nei
provvedimenti legislativi relativi. La gamma delle altre benzine si completa con la benzina
avio destinata a soddisfare le esigenze dell'aviazione civile leggera, come aerei da turismo e
della Protezione Civile.
Cherosene
Il cherosene è un prodotto ottenuto prevalentemente dalla distillazione primaria del greggio.
Mediamente il cherosene ha un intervallo di distillazione compreso tra 180°C e 280°C. Nella
formulazione possono essere impiegati anche tagli provenienti da impianti di conversione,
quali l’hydrocracking, mentre non vengono in generale impiegati tagli da impianti di cracking
catalitico e termico.
L’impiego principale del cherosene si ha nei motori a turbina per aviazione (Jet Fuel). Poiché
la temperatura alle alte quote raggiunge valori molto bassi (circa –50°C), il Jet Fuel viene
ottenuto addizionando sostanze antigelo. In Europa il mercato dei cheroseni per
riscaldamento e illuminazione, al confronto, è da considerarsi del tutto marginale.
Gasolio
Mediamente il gasolio ha un intervallo di distillazione compreso tra 160°C e 380°C; fino
a non molti anni fa, veniva prodotto esclusivamente dalla distillazione primaria del greggio e,
pertanto, la sua qualità dipendeva sostanzialmente dalle caratteristiche del greggio stesso e
dalle modalità di distillazione. Negli anni più recenti hanno trovato sempre maggiore impiego
componenti da impianti di conversione come per esempio tagli da cracking o da
hydrocracking, e quindi l’influenza della qualità del greggio, seppur sempre importante, si è
attenuata. Il gasolio viene prevalentemente utilizzato per l'alimentazione dei motori a
combustione interna ad accensione spontanea (motori diesel) oppure per la combustione in
impianti termici per il riscaldamento civile.
Nel caso di utilizzo nel motore diesel, il gasolio viene iniettato nella camera di
combustione dove s’infiamma a contatto con l’aria portata ad alta temperatura dalla
compressione. Il gasolio pertanto dovrà possedere buone caratteristiche di combustione, tali
da limitare il ritardo tra l’inizio dell’iniezione e l’inizio dell’accensione. Il “numero di cetano” è
l’indicatore scelto per misurare la rapidità con la quale viene innescata la combustione (per
autotrazione: minimo 51; per motori lenti come quelli agricoli e marini il valore può essere
sensibilmente più basso). La specifica di riferimento europea che armonizza in tutta l'Europa
Occidentale le specifiche nazionali del gasolio autotrazione é la EN 590, che è stata recepita
in Italia come UNI EN 590. Le caratteristiche del gasolio che hanno un impatto ambientale
(per es. il contenuto di zolfo) sono state definite dall'Unione Europea nella Direttiva
2003/17/CE. Le esigenze applicative e quindi di specifica per l'impiego del gasolio nella
combustione stazionaria sono meno severe rispetto a quelle per l'autotrazione.
Il gasolio per riscaldamento si differenzia infatti dal prodotto per autotrazione per tre aspetti:
•
Ha un più elevato tenore di zolfo (0,2% contro 0,035%)
•
E’ più “altobollente”
•
Il numero di cetano non è indicato in specifica
Un particolare tipo di gasolio ad elevato punto finale di ebollizione e ad alto tenore di
zolfo è impiegato nella trazione navale su motori di media dimensione.
Il gasolio agricolo viene utilizzato come carburante nei mezzi agricoli e come combustibile
per le attività legate all’agricoltura. Questo prodotto è sottoposto ad una tassazione diversa
rispetto agli altri prodotti petroliferi, per questo motivo viene colorato di verde prima della
commercializzazione. Per poter acquistare e utilizzare il gasolio agricolo è necessario essere
in possesso dei requisiti descritti nei provvedimenti legislativi relativi.
Il gasolio alpino è impiegato come carburante per i motori diesel che devono funzionare
a basse temperature. Infatti questo prodotto, grazie ad un particolare processo di
raffinazione, può essere impiegato senza problemi fino a una temperatura di meno 21° C.
Oli combustibili
E’ la frazione che distilla entro i 350 °C: sono solitamente di colore giallo, hanno un
odore caratteristico e una densità tra 0,82 e 0,90. Vengono di norma utilizzati come
combustibili per motori a combustione interna o in miscela con altri oli pesanti.
Dalla frazione che distilla oltre i 350 °C si ottengono gli oli residuali o nafte che possono
essere impiegati in forni industriali e centrali termoelettriche; tuttavia, a causa del loro
elevato potere inquinante, vengono, sempre di più, destinati a gassificazione. Ciò consente
10
di ottenere un gas pulito e, contemporaneamente, di recuperare lo zolfo. Alla Saras di
Sarroch esiste uno dei più grandi impianti di gassificazione.
Impatto ambientale
Il petrolio può inquinare durante tre fasi: il trasporto, la lavorazione e la combustione
dei suoi derivati. a forma più impressionante di inquinamento è quello provocato dal petrolio
riversato in mare. Per dare un'idea delle dimensioni del problema basti pensare che un litro
di petrolio rende non più potabile un milione di litri di acqua. In media ogni anno sono
riversate in mare circa 5 milioni di tonnellate di petrolio. Di questo petrolio il 47% circa
proviene dalle raffinerie, mentre il 41% dai trasporti in petroliera, da incidenti e da perdite
durante la trivellazione in mare. I danni provocati da incidenti sono stati incalcolabili per la
flora marina, per i crostacei, i pesci, gli uccelli e i mammiferi. Gli studi hanno dimostrato che
anche a distanza di una decina di anni dall'incidente gli animali colpiti erano malati e la loro
catena alimentare sconvolta.
L’'inquinamento provocato dal petrolio, causa anche il deposito sui fondali marini di catrame,
di cui non possiamo prevedere gli effetti di lungo termine sull'ecosistema.
F
l'effetto serra
r
a
i
p
r
o
d
o
t
t
i
% dei principali gas ad effetto serra
della combustione troviamo molti elementi inquinanti primari. In primo luogo il biossido e il
monossido di carbonio, che sono gas che provocano l'effetto serra, poi gli ossidi di zolfo e di
azoto che reagiscono e formano, rispettivamente, acido solforico e acido nitrico, responsabili
Fonti responsabili dell’emissione di SOx e NOx %
11
delle delle piogge acide. Le piogge acide oltre ad avere ripercussione negative per la salute
dell’uomo provocano notevoli danni alle foreste, alle coltivazioni agricole e ai monumenti.
La combustione dei combustibili provoca anche
la formazione di un importante inquinante
secondario come l’ozono (O3) che si origina
dalla reazione tra una molecola di ossigeno
atmosferico (O2) e un atomo di ossigeno (O).
Anche questo inquinante provoca notevoli danni
all’ambiente; quando la concentrazione di
questo elemento supera la soglia di pericolo,
nelle nostre città viene bloccata la circolazione
veicolare. La combustione di gasolio e benzina
provoca inoltre l'emissione di "particolato", cioè
di aggregati di materia solida o liquida, le cui
Monumento fotografato a distanza di 60 anni
dimensioni sono inferiori a mezzo millimetro. Le
1908
1968
particelle
rimangono
a
lungo
sospese
nell'atmosfera e si diffondono a grande distanza dal luogo di emissione, mentre le particelle
di dimensione maggiore ricadono rapidamente in zone vicine.
concentrazione di ozono nell'estate del 2003
foglia di tabacco esposta a
concentrazioni basse di ozono
Spesso il particolato rappresenta l’inquinante a maggiore impatto ambientale nelle aree
urbane, tanto da indurre le autorità competenti a disporre dei blocchi del traffico per ridurne
il fenomeno. Le particelle sospese totali sospese o PTS, che hanno anche altri origini,
vengono anche indicate come PM (Particulate Matter). Il particolato nell’aria può essere
costituito da diverse sostanze: sabbia, ceneri, polveri, fuliggine, sostanze silicee di varia
natura, sostanze vegetali, composti metallici, fibre tessili naturali e artificiali, sali, elementi
come il carbonio o il piombo, ecc.. Il parametro utilizzato per classificare il livello di
inquinamento è il PM10, cioè le particelle di dimensioni inferiore ai 10 mm.
DATI STATISTICI
Riserve, produzione e consumo
12
1995
RISERVE MONDO
2007
969,429
106 barili
1,147,507
riserve aree
Produzione % (aree)
13
Produzione primi dieci paesi del mondo
Consumi % aree
Consumi %
14
Consumo pro capite (aree)
Consumo pro capite
In Italia il consumo pro capite nel 2006 è stato pari a 10,81 barili.
15
GAS NATURALE
I principali combustibili gassosi sono, principalmente : gas di città, gas di petrolio
liquefatto, gas naturale.
Il gas di città è detto anche gas illuminante perché nell'800 veniva usato per
illuminazione pubblica e privata. La materia prima era il carbon fossile, che sottoposto a
distillazione dava il gas, un residuo solido il carbon coke, ammoniaca e catrame.
Il gas petrolio liquefatto (GPL) ha in gran parte sostituito il precedente negli anni 50 e
60; si ottiene nelle raffinerie dalla distillazione del petrolio. Il gas naturale è diventato il
gas di uso generale dagli anni 60 in poi.
Il gas naturale è una miscela di idrocarburi, costituito in massima parte da metano e, per il
resto, da piccole quantità di etano, propano, butano, pentano, ecc. Per questo motivo il gas
naturale viene comunemente chiamato "metano". A differenza degli altri, che sono prodotti
di trasformazione,il metano è un combustibile naturale che viene estratto direttamente dal
sottosuolo. L'origine del metano è legata a quella del petrolio; quasi sempre si trova
intrappolato insieme al petrolio sotto uno strato di roccia anche se esistono grandi giacimenti
di solo gas naturale. La tecnica usata per la ricerca e la perforazione dei giacimenti è uguale
a quella del petrolio. Date le grandi pressioni, non appena si finisce di trivellare il gas
fuoriesce da solo e occorre solamente "infilarlo" in un tubo e indirizzarlo verso le sue
destinazioni finali o nei
centri
di
stoccaggio.
Tutta
l'Europa è
attraversata da lunghi
gasdotti
di
cui
non
notiamo
la
presenza
perché il loro tragitto è
sotterraneo, e in questo
modo il paesaggio non
viene deturpato.
Attualmente
in
Italia
confluiscono tre gasdotti.
Uno arriva dalla Siberia e
giunge
in
Italia
attraverso l'Austria. Uno
arriva
dall'Olanda
e
scavalca le Alpi italoRete di metanodotti europei
svizzere. Un terzo arriva
dall'Algeria, attraversa il
canale di Sicilia, sbuca
sull'isola e risale tutta la
penisola. Il metano viene
trasportato anche con le
navi
metaniere;
per
rendere economicamente
conveniente questo tipo
di trasporto il gas deve
essere compresso ad
elevate pressioni e a
temperature
molto
basse. Nella figura sono
indicate le rotte seguite
dalle metaniere dirette in
Europa. Il gas naturale,
trasportato con le navi
Rotte delle metaniere dirette in Europa
metaniere,
una
volta
arrivato nei luoghi di consumo, viene stoccato, nei centri criogenici, in appositi serbatoi e
tenuto a pressione elevata e bassa temperatura. Qualunque sia il metodo di trasporto
utilizzato il metano, prima di essere immesso nella rete di distribuzione, subisce questi
trattamenti:
16
•
la pressione viene ridotta a valori molto bassi
•
viene addizionata una particolare sostanza odorizzante, che serve per avvertire
eventuali fughe
•
in parte viene immagazzinato in apposti in serbatoi metallici di grandi dimensioni
(gasometri),
che
Esportazioni mondiali via GNL e via gasdotto rispetto alla produzione
permettono
di
far
fronte alla maggior
richiesta nelle ore di
punta.
Recentemente il gas naturale è
divenuto oggetto di grande
attenzione
per
i
vantaggi
ambientali che derivano dal suo
uso.
Infatti
durante
la
combustione del gas naturale,
le emissioni di biossido di zolfo,
polveri
e
composti
nocivi
avvengono
solamente
in
quantità
assolutamente
trascurabili. Anche le emissioni
di ossido di azoto sono inferiori
a quelle prodotte dalla combustione del carbone, del gasolio e della benzina.
Quando brucia, il gas naturale rilascia nell'atmosfera prevalentemente vapore acqueo (H2O)
e anidride carbonica (CO2), due sostanze gassose che esistono normalmente in
natura. L'anidride carbonica non deve però essere troppo abbondante, in quanto è tra i
responsabili
dell'effetto
serra (i maggiori Paesi
ciclo operativo del gas naturale
industrializzati si sono
accordati,
durante
la
conferenza sul clima di
Kyoto del 1997, per
ridurre le emissioni di
gas ed effetto serra sul
pianeta). In ogni caso,
a
parità
di
energia
prodotta, il gas naturale
produce meno anidride
carbonica
rispetto
ad
altri
combustibili
o
carburanti
di
origine
fossile come la benzina e
il gasolio.Grazie a questi aspetti, i veicoli a gas naturale (taxi, scuolabus, pulmini e autobus)
potrebbero costituire una delle risposte per ridurre in parte l'inquinamento atmosferico delle
città. Attualmente in Italia circolano circa oltre 300.000 vetture a gas naturale, che
corrispondono a un terzo del totale mondiale (siamo secondi solo all'Argentina). Inoltre,
grazie alle condutture sotterranee il gas arriva nelle case e nelle industrie; viene così evitato
l'inquinamento dovuto al transito sulle strade di autocisterne che trasportano combustibili
liquidi.
17
Riserve mondo
Riserve metano (aree)
aree)
Produzione metano (aree)
aree)
18
Produzione metano (paesi)
paesi)
consumi metano (paesi)
Esportazioni metano (paesi)
19
IL CARBONE
Il carbone è un combustibile fossile noto da molti secoli, divenuto fondamentale fonte
primaria di energia nel XVIII secolo con la Rivoluzione industriale quando sostituì di fatto il
legno per il suo maggiore potere calorifico. Esso si è formato dalla decomposizione, in
ambiente anaerobico, di grandi masse vegetali, modificate dalla pressione e dalla
temperatura nel sottosuolo. Le zone più favorevoli per la formazione di depositi organici
vegetali sono state le pianure costiere, le lagune e le zone paludose. A differenza del petrolio
e del gas naturale, che si trovano concentrati in alcune aree della terra, i giacimenti di
carbone sono più equamente distribuiti in tutti i continenti. Ciò è dovuto al fatto che l
carbone, essendo solido, si è conservato nello stessi luoghi in cui si è originato, mentre gli
altri due grazie, in quanto fluidi, hanno potuto spostarsi anche a lunghissima distanza prima
di trovare delle sacche impermeabili in cui sono rimasti bloccati. Il processo di formazione
del carbone è detto “carbogenesi” o “carbonizzazione” e le sue caratteristiche cambiano da
giacimento a giacimento, dipendendo da vari fattori: tipo di vegetali, profondità,
temperature e pressioni presenti nel sottosuolo, durata del periodo di trasformazione,
composizione dell’acqua e delle rocce con cui è in contatto. Una carbogenesi prolungata
comporta una progressiva eliminazione dai resti vegetali di componenti come idrogeno e
ossigeno con un conseguente arricchimento indiretto di carbonio.
Il valore commerciale di un carbone si determina in base al contenuto percentuale di
carbonio, e quindi al grado di fossilizzazione subita, e alla quantità e qualità delle sostanze
organiche ed inorganiche, come ad esempio lo zolfo, presenti:
1) torba (55% - 65% circa di carbonio): deriva da una carbonizzazione piuttosto recente
di vegetali erbacei e lacustri, ha un elevato contenuto di acqua, pari a circa l’80% - 90%, e
di sostanze inorganiche, la cui combustione produce le ceneri, è di scarso pregio e non trova
applicazioni industriali;
2) lignite (65% - 75% di C): deriva da un processo di carbogenesi più spinto della torba,
durato oltre 2 milioni di anni, umidità fino al 50%, è un combustibile “povero” ed è utilizzato
solo in condizioni particolari;
3) litantrace (75% - 90% di C): è il carbon fossile vero e proprio; è duro e compatto, ha
basso tasso di umidità e di ceneri, è di largo impiego nella produzione industriale,
soprattutto quando trasformato nel coke siderurgico, con cui si produce la ghisa dai minerali
in ferro;
4) antracite (90% - 95% di C): è il carbone più pregiato, si ottiene alla fase conclusiva
della carbonizzazione del legno (circa 300 milioni di anni), ha bassissimo tenore di sostanze
volatili, ha scarso utilizzo nelle applicazioni industriali ma è largamente utilizzato nel
riscaldamento domestico.
Il potere calorifico dei diversi tipi di carbone dipende dalla percentuale di carbonio
presente: si va dai 3.500-5000 kcal/kg circa della lignite agli oltre 7.000 del litantrace, fino
ad arrivare agli 8.500 dell’antracite (per fare un confronto il potere calorifero del legno può
arrivare fino ai 3.500 kcal/kg).
Un’altra classificazione, in parte sovrapponibile alla precedente, suddivide i carboni in
lignitici, subbituminosi, bituminosi e antracitici, in base alla percentuale di carbonio, di
sostanze volatili e al potere calorifico.
I giacimenti
Il carbone è la fonte energetica primaria più abbondante sul globo terrestre: i suoi
giacimenti sono presenti in varie regioni della Terra. Stando alle stime del World Energy
Council, nota organizzazione mondiale in campo energetico, alla fine del 2003 le riserve
mondiali di carbone erano di oltre 984 Gt (519 di antracite e carbone bituminoso e 465 di
sub-bitumimoso e lignite).
Il paese con il maggior quantitativo di carbone sono gli Stati Uniti con circa 250 Gt,
seguiti dalla Russia (157), Cina (114), India (84) e Australia (82). In Europa ed Eurasia le
riserve più grandi si trovano in Germania (66), Ucraina e Kazakistan (34), Polonia (22),
Repubblica Ceca (5,6), Grecia (2,8) e Gran Bretagna (1,5). Sono riserve che se sfruttate con
lo stesso tasso attuale sarebbero sufficienti per alcune centinaia di anni.
E’ proprio grazie alle sue grandi riserve mondiali, al basso prezzo e alla necessità di
diversificare le fonti energetiche primarie che i Paesi industrializzati e quelli con economie
emergenti stanno ricominciando a utilizzare il carbone, per sostituire il ben più caro “oro
nero”.
20
A differenza degli altri combustibili fossili, i maggiori produttori di carbone sono, in generale,
anche i maggiori consumatori; i costi notevoli per il suo trasporto, rapportati al suo modesto
valore economico (rispetto a petrolio e
metano), limitano notevolmente il
commercio internazionale di questa
fonte energetica.
Nel 2003 i consumi mondiali di
carbone hanno raggiunto i 2.578 Mtep
con un incremento di circa il 6,9%
rispetto all’anno precedente, con punte
del 10,4% in Asia e addirittura del
15,1% in Cina. L’aumento dei consumi
mondiali del 2003 rispetto a quelli del
1993, pari a 2.168 Mtep, è stato
addirittura del 18,9%. La nazione che
ha consumato più carbone nel 2003 è
stata la Cina con circa 800 Mtep,
seguita dagli Stati Uniti con poco meno
di 574 Mtep. Il nostro Paese lo scorso
anno ha consumato 15,3 Mtep di
carbone contro i 14,2 del 2002
(+7,7%) e i 10 di dieci anni prima
(+53%).
Passando alla produzione, nel
2003 sono stati prodotti oltre 2.518,6
Mtep di carbone, con un incremento
del 5,9% rispetto all’anno precedente.
Gli
incrementi
maggiori
nella
produzione rispetto al 2002 si sono
registrati
in
Asia
(+10,8%),
in
particolar modo in Cina (+15%). Nel
2003 i paesi Asiatici e del Pacifico
hanno avuto una produzione di 1317,7
Mtep (pari al 52,3% del totale
mondiale), seguiti dal nord America
con
589,6
milioni
di tonnellate
equivalenti (23,4%) e dall’Europa ed
Eurasia con 434 Mtep (17,2%).
I
g
i
a
c
i
m
e
n
t
i
e
21
L’IMPORT-EXPORT IN ITALIA
Nel nostro Paese l’unica risorsa carbonifera effettivamente sfruttata è un deposito di
carbone sub-bituminoso nel bacino del
Sulcis Iglesiente, a sud ovest della
Sardegna. L’attuale area di coltivazione
contiene, in base alle più recenti stime,
circa 57 Mt di carbone con potere
calorifero di oltre 5.000 kcal/Kg ed
elevato contenuto di ceneri e zolfo. Le
attività
estrattive
del
bacino
carbonifero sardo sono state sospese
nel 1972 per essere riprese nel 1997.
Attualmente
dalla
miniera
vengono estratte circa 400.000 t/anno
di carbone, in gran parte destinato alla
centrale Enel di Portovesme.
Per fronteggiare le altre richieste di
carbone
l’Italia
deve
ovviamente
importarlo dall’estero, soprattutto via
mare (circa il 99% del totale). La
nazione di provenienza è diversificata
in base alla qualità del carbone richiesto e all’utilizzo industriale che se ne deve fare. Nel
2003 il nostro Paese ha importato oltre 22 Mt di carbone (+11% rispetto all’anno 2002),
soprattutto da vapore (15,8 Mt, +13% rispetto all’anno precedente) e da coke (4,7 Mt, -9%
rispetto
al
2002).
I
principali
paesi
d’importazione sono Indonesia (oltre 5 Mt di
carbone da
vapore),
Sud
Africa
(4,7,
soprattutto da vapore), Australia (3, diviso per
metà in carbone da vapore e da coke), Usa
(2,5, fondamentalmente da coke), Colombia
(2,5, da vapore) e Cina (1,7, soprattutto
metallurgico e in parte da vapore). Per quanto
concerne invece le esportazioni l’Italia invia
oltre confine 200mila tonnellate di carbone,
l’82% del quale è costituito da coke
metallurgico. Il Paese che acquista più coke
metallurgico dall’Italia è la Francia (oltre 62mila
tonnellate), seguito dalla Germania (circa
36mila).
Le principali applicazioni
Le principali applicazioni industriali del
carbone riguardano:
1.
il suo utilizzo come combustibile
in centrali termoelettriche, centrali
termiche per la produzione di calore e
vapore per l’industria,
2.
la sua trasformazione in altri prodotti e combustibili artificiali da destinare ad altri
impieghi (catrame, carbon coke, gas tecnici, benzine e gasoli) mediante trattamenti di
distillazione, gassificazione e liquefazione.
Un combustibile solido che grazie al suo elevato potere calorifico e soprattutto al basso
prezzo di acquisto, soprattutto di quello proveniente dai paesi in via di sviluppo o con
economie emergenti, ha ancora il suo forte appeal sull’industria mondiale. Senza dimenticare
anche gli usi domestici per il riscaldamento, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Per la produzione di energia elettrica il carbone viene fatto bruciare in un forno nel
quale viene recuperata l’energia termica prodotta dalla sua combustione. Inizialmente il
carbone veniva utilizzato a pezzi, oggi invece viene macinato e polverizzato per aumentare
la superficie specifica e il contatto con l’ossigeno e quindi la velocità di combustione. I gas
22
caldi generati dalla combustione del carbone fanno evaporare l’acqua presente nei tubi
interni al forno. Il vapore viene compresso in una pompa e poi espanso in una turbina,
causando il movimento rotatorio delle sue pale. La rotazione
della turbina e
conseguentemente del generatore elettrico, montati sullo stesso albero motore, dà luogo alla
produzione di energia elettrica. In siderurgia il carbone viene utilizzato soprattutto per la
produzione del coke. Il carbone, riscaldato a oltre 1000 gradi centigradi in assenza di
ossigeno (distillazione), perde le sostanze volatili e forma un residuo solido chiamato coke,
utilizzato soprattutto nell’industria metallurgica. Il coke è un carbone in parte grafitizzato,
duro e poroso, che brucia con difficoltà e contiene
una percentuale al di sotto del 10% di ceneri. I
prodotti gassosi che si liberano nella produzione
del coke formano a temperatura ambiente il
cosiddetto
gas
di
cokeria,
costituito
fondamentalmente
da
idrogeno,
metano,
monossido di carbonio e azoto. Questo gas è
utilizzato per usi termici all’interno della stessa
cokeria per il riscaldamento del forno. Il coke
metallurgico prodotto dal carbone (litantrace
grasso a corta fiamma) viene utilizzato negli
altiforni siderurgici per la produzione di ghisa in
quanto svolge le seguenti funzioni:
1) produrre calore,
2) operare la riduzione dell’ossido di ferro,
3) combinarsi col ferro per dare la lega (ghisa).
Un’altra frazione che si ottiene dalla distillazione del carbone è rappresentata dal
catrame, liquido dal quale si possono ottenere, per ulteriore distillazione a pressione ridotta,
una serie di idrocarburi e composti che costituivano le materie prime della “carbochimica”,
oggi sostituita dalla “petrolchimica”.
I carboni meno pregiati (specie ligniti) e con elevati tenori di zolfo vengono attualmente
sottoposti al processo di gassificazione che consente di ottenere un combustibile gassoso
pulito e, inoltre, di recuperare lo zolfo. Questo trattamento presenta notevoli vantaggi:
•
si rende possibile l’utilizzo di una fonte energetica altrimenti non utilizzabile;
•
si produce un combustibile gassoso pulito, più facilmente utilizzabile e trasportabile
mediante gasdotti;
•
si recupera lo zolfo, utilizzato in molti settori industriali e in agricoltura, la cui vendita
consente di abbattere i costi del processo.
L’IMPATTO AMBIENTALE
I problemi ambientali legati all’utilizzo del carbone riguardano non solo il momento
della sua combustione ma anche le fasi di movimentazione e trasporto che provocano effetti
inquinanti sull’atmosfera e sul suolo, a causa delle notevoli quantità di polveri che si
producono. Per ovviare a questi problemi, attualmente, il carbone destinato alla
combustione,
viene
finemente
macinato e, quindi sospeso in
acqua e trasportato come se fosse
un combustibile liquido mediante
carbonodotti e navi cisterna.
Da quando il prezzo del petrolio è
salito notevolmente si è tornato a
parlare di combustibili solidi come il
carbone
o
l’orimulsion
per
alimentare
le
centrali
termoelettriche italiane, si è molto
parlato
del
miglioramento
tecnologico nell’abbattimento delle
emissioni in atmosfera. Si è
accennato anche all’opzione del
carbone “pulito” per le applicazioni
industriali e, per contrastare l’effetto serra, addirittura della possibilità di “sequestrare” e
23
confinare negli strati geologici profondi l’anidride carbonica emessa. Per quanto concerne le
emissioni in atmosfera di una centrale a carbone va subito chiarita la differenza tra gli
impianti non ambientalizzati e quelli di nuova generazione con sezione di abbattimento fumi
adeguatamente dimensionata. La differenza è sostanziale soprattutto per le emissioni di
ossidi di azoto, ossidi di zolfo e polveri sottili, mentre non riguarda minimamente quelle di
anidride carbonica, il principale gas serra.
consumi di energia per settore , anno 2005 (Mtep)
I vecchi impianti, alcuni dei quali ancora
oggi attivi sul territorio nazionale,
emettono infatti elevate quantità di NOx
(emessi nei processi di combustione ad
alta temperatura), SOx (prodotti dall’uso
di combustibili contenenti zolfo) e polveri
sottili, con un contributo non trascurabile
rispetto a tutte le altre fonti di emissioni
della produzione energetica nazionale.
Stando infatti ai dati dell’Annuario dei dati
ambientali per il 2003 dell’Apat (Agenzia
per la Protezione dell’Ambiente e per i
Servizi Tecnici) l’industria energetica
italiana (comprensiva ovviamente anche
degli impianti di produzione dell’energia elettrica di nuova generazione e di centrali che
bruciano olio combustibile e gli altri combustibili fossili) ha emesso nel 2001 429.000
tonnellate di SO2 (su un totale di 709.000 tonnellate, pari a oltre il 60%), 155.000 tonnellate
di NOx, pari all’11,8% del totale delle emissioni, e 17.000 tonnellate di Pm10 (l’8,7% del
totale).
Vale la pena ricordare i problemi ambientali e sanitari causati dalle emissioni di questi
inquinanti:
•
gli ossidi di azoto e zolfo sono responsabili del fenomeno delle piogge acide e della
conseguente acidificazione delle superfici con cui vengono a contatto, a partire da suolo,
acque superficiali e non, piante, monumenti, etc., ma anche di problemi all’apparato
respiratorio dell’uomo, così come le polveri.
•
gli NOx sono poi dei precursori dello smog fotochimico da ozono.
Grazie alle nuove tecnologie di abbattimento degli inquinanti atmosferici (in particolar
modo installazione di denitrificatori, desolforatori e depolveratori) le emissioni di NOx, SOx e
polveri prodotte dall’uso del carbone nelle centrali termoelettriche possono essere
notevolmente abbattute.
Anche le migliori tecnologie di combustione del carbone, tra cui la polverizzazione, la
combustione a letto fluido, la gassificazione, molte delle quali ancora in fase sperimentale e
dimostrativa, possono dare il loro contributo alla riduzione delle emissioni di questi inquinanti.
Il problema che preoccupa di più è l’emissione del principale gas serra prodotto sulla
Terra, l’anidride carbonica. Com’è noto la CO2 emessa da una combustione è il risultato della
reazione chimica tra il
carbonio presente nel
combustibile e
l’ossigeno presente
nell’aria.
Il
rapporto quindi tra
combustibile bruciato e
anidride carbonica
prodotta è fisso e
immodificabile. Visto
che il carbone è il combustibile a maggior contenuto di carbonio, inevitabilmente risulta essere
quello che ha emissioni specifiche di CO2 maggiori rispetto a olio e gas naturale (quest’ultimo
emette meno della metà di CO2 del carbone), come risulta anche dalla tabella seguente.
24
L’ipotesi del confinamento geologico
Nel frattempo si stanno portando avanti ricerche su soluzioni alternative alla riduzione
delle emissioni di anidride carbonica come il sequestro della CO2 in formazioni rocciose
profonde, il cosiddetto “confinamento geologico”. L’anidride carbonica verrebbe trasportata
sotto pressione e iniettata nelle profondità oceaniche o in giacimenti sotterranei, come quelli
di petrolio ancora in attività, di carbone non sfruttabili o quelli esauriti di petrolio e gas, ma
anche in acquiferi salini profondi o in campi geotermici non in produzione. Questa è una
tecnica ancora sperimentale e che presenta diversi problemi ambientali e costi
assolutamente proibitivi.
Per quanto concerne i costi stime certe su tutto il processo di confinamento non ne esistono
ma si consideri che solo la prima fase del confinamento, che consiste nella separazione della
CO2 dai gas di combustione, comporterebbe un aumento di circa un 40% dei costi di
produzione di elettricità.
Dal punto di vista ambientale poi non si conoscono gli effetti dovuti all’iniezione di enorme
quantità di gas nel sottosuolo e per quanto concerne il confinamento della CO2 nelle
profondità oceaniche non si conoscono le possibili interazioni negative con gli ecosistemi
marini.
C’è poi chi ha ipotizzato l’uso della CO2 nella reazione con sali di calcio e magnesio per
la produzione di carbonati, di varie dimensioni, che potrebbero essere utilizzati come pietra
da taglio o materiale da costruzione.
CENTRALI TERMOELETTRICHE
Introduzione
I procedimenti tradizionali di conversione dell’energia, messi a punto dall’uomo per
rendere disponibili, a partire da fonti di energia naturali, energia in forma utile (meccanica
e/o elettrica) sono quelli che sfruttano direttamente l’energia cinetica, potenziale o termica
degli elementi presenti in natura (energia eolica, idroelettrica, geotermica, maree, termica
solare, etc.) o quelli che sfruttano l’energia termica derivante dalla combustione di composti
di origine organica presenti in natura (carbone, petrolio e derivati, metano, legna) e/o
derivanti da residui delle attività umane (biogas, biomasse, RSU).
Tali procedimenti si basano sull’evoluzione termodinamica ciclica di fluidi mediante un
complesso di organi denominati impianti motori termici. I fluidi a cui solitamente si ricorre
negli impianti motori sono quelli maggiormente disponibili in natura, ossia l’aria e l’acqua,
pertanto si possono così distinguere due grandi tipologie di impianti: impianti a gas
(utilizzanti aria o prodotti della combustione con aria) e impianti a vapore (utilizzanti acqua).
Quando tali impianti sono destinati alla produzione di energia elettrica si può a giusto titolo
definirli Centrali termoelettriche.
Tipologie di Centrali Termoelettriche
Le varie tipologie di impianti motori termici destinati alla produzione di energia elettrica
sono classificabili oltre che in base al fluido evolvente nel ciclo, anche in relazione al tipo di
motore primo utilizzato ed in particolare si possono avere:
•
Centrali termoelettriche con turbina a vapore
•
Centrali termoelettriche con motore alternativo a combustione interna
•
Centrali termoelettriche con turbogas
1. Le centrali termoelettriche con turbine a vapore sono del tipo a ciclo chiuso nel quale il
fluido che evolve nella quasi totalità delle applicazioni è l’acqua (altri tipi di fluido sono
impiegati solo in casi molto particolari) la quale passa dallo stato liquido a quello di vapore,
per effetto dell’energia termica ad essa fornita dall’esterno (combustione), e viceversa in
seguito ad una espansione in turbina, dove avviene la cessione dell’energia dal fluido alla
macchina, ed al suo raffreddamento mediante scambio con una sorgente fredda (acqua di
mare, fiume, da pozzo mediante uso di torri evaporative); realizzando così una
trasformazione ciclica ripetibile all’infinito.
Tali impianti molto diffusi fino agli anni ’80 partono da taglie non inferiori ai 10 Mw ed
arrivano ad oltre 1000 Mw con moltissime applicazioni alimentate da reattori nucleari i quali
sostituiscono la combustione di idrocarburi o altri combustibili quale fonte di energia ad alta
temperatura per la vaporizzazione dell’acqua che evolve nel ciclo.
25
Questi impianti sono caratterizzati da rendimenti di produzione di energia elettrica che
raramente superano il 25% per le taglie al disotto dei 100 Mw, mentre esistono sulle taglie
più grandi impianti che raggiungono anche rendimenti di produzione di energia elettrica pari
al 42%.
Gli impianti con turbina a vapore, essendo a ciclo chiuso fanno sì che il fluido evolvente
nel circuito, e quindi in contatto con le macchine, sia sempre la stessa acqua, pertanto
hanno il notevole pregio di poter essere alimentati con i combustibili più disparati non
essendo la macchina motrice direttamente esposta ai prodotti della combustione come
invece avviene nei motori alternativi a combustione interna e nella quasi totalità degli
impianti con turbina a gas.
I generatori di vapore (caldaie) dell'impianto a vapore possono quindi essere progettati
per l'utilizzo di combustibili solidi,
liquidi e gassosi e rendono ad
esempio possibile l'utilizzo quale
fonte primaria di energia anche
biomasse
di
varia
tipologia,
provenienza e dimensione o residui
solidi urbani (RSU).
L’impianto a vapore è
caratterizzato
da
una
scarsa
flessibilità in quanto a variazioni
continue dei carichi e frequenti
avviamenti ed inoltre è incapace di
avviarsi in assenza di energia
elettrica per l’alimentazione degli
ausiliari (pompe di circolazione,
ventilatori,
estrattori,
etc.).
Normalmente essi vengono utilizzati
nelle
centrale
termoelettriche
destinate a garantire il carico di base (base-load) e quindi utilizzate quasi sempre a potenze
molto prossime a quelle massime nominali. Tali centrali sono dunque destinate ad un
funzionamento in continuo con solo i fermi necessari per la manutenzione programmata e/o
straordinaria.
Il costo medio di un impianto può variare di molto soprattutto in funzione dell'efficienza di
produzione di energia elettrica che si intende ottenere. In generale per impianti con potenze
di alcune centinaia di megawatt tale costo può oscillare fra i 350 € ed i 500 € per kw
installato.
2. Centrali termoelettriche con turbine a gas
Gli impianti di produzione energia elettrica con turbine a gas sono impianti
generalmente a ciclo aperto nei quali il fluido evolvente è aria la quale viene aspirata
dall’atmosfera, compressa ed inviata in
turbina
dove
si
miscela
con
il
combustibile. La combustione di tali
sostanze trasforma il fluido di partenza
combustibile
da aria a quello composto dagli inerti
(quasi totalmente Azoto) e dai vari
prodotti
della
combustione
(essenzialmente acqua, H2O, anidride
carbonica, CO2, ossido di carbonio, CO)
trasferendogli l’energia chimica del
combustibile sotto forma di energia
termica.
Contrariamente, quindi, a
quanto avviene negli impianti a vapore
che sono a ciclo chiuso la combustione
coinvolge direttamente il fluido che
evolve nel ciclo ed avviene all’interno
delle
turbine
costituenti
l’impianto
26
cosicché i prodotti della combustione sono direttamente in contatto con gli organi della
macchina motrice (turbina). Ciò rende inutilizzabili combustibili di tipo solido e quelli con
caratteristiche chimiche tali da poter essere aggressivi per i materiali costituenti le
palettature delle turbine, già sollecitate dalle elevate temperature dei gas combusti (talvolta
superiori ai 1000°C). La maggioranza degli impianti con turbine a gas sono alimentati a gas
metano, il combustibile certamente per essi più idoneo, ma non di rado vi sono impianti
alimentati con combustibili quali oli densi, oli fluidi o gasolio.
Gli impianti con turbina a gas nati inizialmente per la propulsione aerea, negli ultimi
trent’anni si sono diffusi anche nel campo della produzione di energia elettrica grazie al
costante miglioramento dei materiali utilizzati per le turbine che hanno fatto in modo da
incrementarne le prestazioni in termini di rendimenti, affidabilità e durata.
Gli impianti con turbogas destinati alla produzione di energia elettrica sono solitamente
di taglia compresa fra alcune decine di Mw sino a circa 300 Mw; sono caratterizzati da
rendimenti (intorno al 35 %) mediamente molto inferiori di quelli ottenibili con impianti a
vapore dell’ultima generazione.
La loro diffusione negli ultimi anni è legata alla loro capacità di poter avviarsi, andare a
regime in un tempo estremamente ridotto e di essere più flessibili nelle regolazioni rispetto
agli impianti a vapore rendendoli estremamente utili per far fronte a carichi di punta sulle
reti elettriche.
3. Centrali termoelettriche con motore alternativo a combustione interna
Sono impianti caratterizzati dal realizzare in un'unica unità molto compatta, per l’appunto il
motore, tutte le fasi del ciclo in cui evolve il fluido. In tali impianti che sono a ciclo aperto il
fluido evolvente si trasforma chimicamente nelle varie fasi del ciclo, difatti il fluido di
partenza è generalmente aria prelevata dall’atmosfera la quale viene all’interno del motore
miscelata con un combustibile che può essere gassoso (metano, GPL) o liquido (benzina,
gasolio), per poi realizzare direttamente all’interno del cilindro una combustione di tali
sostanze (combustione interna c.i.) la quale, oltre a trasferire l’energia al fluido evolvente
mediante l’aumento della sua temperatura, ne cambia profondamente le caratteristiche di
partenza.
I prodotti della combustione ad elevata temperatura espandono nel cilindro del motore
e trasferiscono quindi energia alla macchina dopodiché vengono espulsi in atmosfera ed il
ciclo riparte ogni volta con aspirazione di nuova aria ed introduzione di altro combustibile.
La necessità di effettuare la combustione all’interno del cilindro rende inutilizzabili
combustibili di tipo solido e quelli con caratteristiche chimiche tali da non garantire una
idonea combustione.
I motori a combustione interna destinati alla produzione di energia elettrica presenti sul
mercato vanno da potenze di pochi kw sino a circa 10 Mw, le taglie piccole sono
generalmente generatori di emergenza alimentati per lo più a gasolio, mentre da alcune
centinaia di kw in su esistono applicazioni destinate alla produzione in continuo di energia
destinata a singole utenze industriali, a piccole reti isolate o in situazioni dove la
compattezza dell’impianto ne privilegia l’installazione.
Gli impianti di produzione di energia elettrica con motori alternativi a c.i sono
mediamente caratterizzati da elevati rendimenti quasi sempre superiore al 35% già per
taglie intorno ai 1000 kw sino ad oltre il 40% per quelli da 3.0 Mw in su; rendimenti
comparabili se non superiori a quelli di molte delle grandi centrale termiche per la
produzione di energia sia con turbina a vapore che con turbina a gas.
Una peculiarità degli impianti con motore alternativo a c.i. è quella di essere in grado di
seguire senza eccessive difficoltà e perdite di efficienza i carichi dell'utenza se collegati in
parallelo con la rete elettrica e di poter funzionare in maniera discontinua con fermate
giornaliere e partenze improvvise su richiesta dell'utenza.
Tale flessibilità di esercizio li rende ancor più idonei per tutte le utenze industriali che
non lavorano a ciclo continuo su tre turni e o per tutte le utenze di tipo civile caratterizzate
da notevoli variazioni di richiesta nell'arco del giorno e della settimana ed influenzate dalle
condizioni climatiche esterne.
Il costo medio di un impianto con motore alternativo è fortemente variabile a seconda
del combustibile utilizzato e può andare da 100 € per kw installato se trattasi di motori
alimentati a gasolio sino a 250 € per motori alimentati a gas metano o a biogas.
27
Impatto ambientale delle centrali termoelettriche
Come per tutti gli impianti di produzione energia che utilizzano la combustione essi
sono fonti di emissioni inquinanti in atmosfera da essa derivanti. Le moderne tecnologie
utilizzate per il contenimento e l'abbattimento di tali emissioni, in particolar modo se si
utilizza metano quale combustibile, consentono di ridurle a valori alquanto bassi. Nonostante
ciò va comunque considerata l’immissione in atmosfera di ingenti quantitativi di CO2, gas che
provoca l’effetto serra, nonché di rilevanti quantitativi di ossidi di azoto NOx che insieme agli
ossidi di Zolfo Sox sono i maggiori responsabili delle piogge acide, se si utilizzano idrocarburi
quali gasoli o oli densi.
Proprio in virtù di ciò la legislazione italiana prevede che tutti gli impianti termoelettrici
con potenze superiori ai 50 Mwe siano sottoposti ad una accurata valutazione di impatto
ambientale nota come V.I.A. (Valutazione di impatto ambientale).
La cogenerazione
La
cogenerazione è la produzione combinata di elettricità e calore.
Un impianto convenzionale di produzione di energia elettrica ha una efficienza di circa il
35%, mentre il restante 65% viene disperso sotto forma di calore; in un impianto di
cogenerazione, invece, il calore prodotto dalla combustione non viene disperso, ma
recuperato per altri usi.
In questo modo la cogenerazione raggiunge una efficienza superiore al 90% e questo
permette di:
•
risparmiare energia primaria
•
salvaguardare l'ambiente
•
diminuire le emissioni di CO2
•
diminuire i costi
•
creare nuovi posti di lavoro
Infatti, in una centrale
di cogenerazione il calore di
scarico della macchina per la
produzione di energia elettrica
ha livelli termici elevati e di
conseguenza
può
essere
riutilizzato per la produzione di
acqua
calda,
vapore
(teleriscaldamento, utilizzi in
processi
industriali,
ecc.),
direttamente (fumi utilizzati
per l'essiccamento), oppure per produrre una ulteriore quota di energia elettrica (ciclo
combinato). Non ci sono dubbi sui vantaggi, in termini di rendimento energetico, che la
cogenerazione ha rispetto alla produzione separata di energia elettrica e termica. Tuttavia,
proprio perché questi vantaggi sono originati da una produzione combinata, è necessario che
28
l'energia termica disponibile possa essere utilizzata nel ciclo produttivo dello stabilimento in
cui essa si colloca. Ciò comporta la localizzazione degli impianti di cogenerazione in
prossimità delle aree produttive senza la penalizzazione delle perdite di trasporto dell'energia
elettrica in rete, ponendo però dei limiti alle dimensioni delle macchine utilizzate in quanto
l'energia termica non può essere trasportata a grandi distanze in modo economico.
centrale di cogenerazione a gas metano
TRIGENERAZIONE
Nel settore terziario dei paesi a clima temperato, la richiesta di calore è limitata a pochi mesi
invernali,
mentre
esiste
un
significativo fabbisogno di freddo
(condizionamento dell’aria) durante
i mesi estivi. In questo caso, con
un impianto di cogenerazione, il
calore è impiegato per produrre
freddo,
attraverso
cicli
di
assorbimento. Questo processo di
cogenerazione
“allargata”
è
conosciuta come trigenerazione o
produzione combinata di calore,
freddo
ed
elettricità
(CHCP=Cogeneration
of
Heat,
Cooling
and
Power).
Il
raffrescamento è prodotto tramite l'impiego del normale ciclo frigorifero in grado di
trasformare l'energia termica in energia frigorifera realizzando la trasformazione di stato del
fluido refrigerante come nelle pompe di calore.
L'acqua refrigerata così ottenuta può essere utilizzata per il condizionamento degli ambienti
industriali, degli uffici o delle abitazioni adiacenti ecc. Come per i sistemi di cogenerazione
anche la trigenerazione offre grandi risparmi energetici dovuti alla produzione congiunta di
energia elettrica, calore e raffrescamento
RISPARMIO
DI
CO2
OTTENIBILE
CON
LA
COGENERAZIONE
Mediamente un impianto di cogenerazione alimentato a metano permette per ogni
Kwhe prodotto un risparmio di CO2 pari a 450 g se confrontato con la produzione separata di
energia elettrica (centrale termoelettrica) ed energia termica (caldaia convenzionale)
MACCHINEDISPONIBILI
I sistemi di cogenerazione si classificano sostanzialmente nei seguenti tipi
fondamentali:
29
•
motori alternativi, a ciclo Otto e Diesel, da cui viene recuperato il calore del circuito di
raffreddamento del motore e dell'olio a bassa temperatura (da 50° a 90° C) e quello dei gas
di scarico ad alta temperatura (circa 400-500°C);
•
turbine a gas, i cui gas di scarico in gran volume e ad alta temperatura producono il
calore richiesto in una caldaia a recupero, oppure vengono utilizzati direttamente in
processo, come ad esempio nei processi di essiccamento;
•
turbine a vapore a contropressione alimentate con vapore surriscaldato, che dopo aver
attraversato la turbina producendo energia elettrica viene scaricato a bassa pressione per
alimentare le utenze termiche;
•
a questi va aggiunto il ciclo combinato in cui con lo scarico delle turbine a gas viene
prodotto vapore, che a sua volta può azionare una turbina a vapore.
RENDIMENTI
I valori di rendimento medi in potenza elettrica, se riferiti al combustibile bruciato, nel
campo della piccola cogenerazione sono mediamente compresi nei seguenti ambiti:
•
turbina a vapore 18-20%
•
turbogas 23-33%
•
motori alternativi 32-40%
Considerando, invece il rendimento globale del sistema (energia termica ed energia
elettrica prodotta rispetto a quella introdotta come combustibile) si ha:
•
turbina a vapore 80-90%
•
turbogas 70-85%
•
motori alternativi 65-90%
valori citati sono valori medi che servono solo a fornire una panoramica generale.
COMBUSTIBILI
UTILIZZATI
Solitamente i combustibili utilizzati nella cogenerazione sono idrocarburi liquidi o
gassosi. L'impiego di idrocarburi gassosi come il metano è attualmente preferito per diverse
ragioni, tra le quali il moderato costo e il minor impatto ambientale.
Le turbine a vapore possono anche essere azionate con vapore prodotto dalla
combustione di combustibili più economici come il carbone, la nafta, i rifiuti solidi, i cascami
di produzione, ecc.
IMPIANTI COMBINATI
E' noto che la possibilità di trasformare energia termica in energia meccanica (lavoro) e
quindi in energia elettrica è legata alla realizzazione di un ciclo termodinamico che a fronte
di uno scambio di calore fra due sorgenti a differente temperatura consente di convertire
una aliquota dell'energia fornita ad alta temperatura in energia meccanica. Il rapporto fra il
lavoro prodotto e l'energia termica introdotta è proprio il rendimento del ciclo
termodinamico.
Per poter ottenere un elevata efficienza del ciclo termodinamico e dunque un buon
rendimento di conversione dell'energia termica in lavoro è necessario massimizzare il
rapporto fra la temperatura media di adduzione e quella di sottrazione di energia termica al
ciclo.
Gli impianti motori termici attualmente utilizzati per la produzione di energia elettrica
sono limitati per quanto riguarda l'una o l'altra di queste temperature:
•
per gli impianti a vapore nonostante si abbiano nelle camere di combustione
temperature superiori ai 1500°C, motivi tecnologici, economici e di sicurezza limitano le
temperatura massime del vapore a circa 550°C con una temperatura media di adduzione del
calore alquanto più bassa, mentre la temperatura minima è vincolata a quella delle
condizioni ambiente e/o dalla disponibilità di ingenti quantitativi di fluido freddo (mare,
fiumi) e mediamente non scende al disotto dei 35°C.
•
per gli impianti a combustione interna (motori alternativi, turbogas) sia le temperature
medie di adduzione che di cessione dell'energia termica sono molto più elevate di quelle
degli impianti a vapore, ma il rapporto fra la temperatura media di adduzione di calore quella
di cessione resta pressoché invariato.
Viene di conseguenza l'idea di combinare il ciclo termodinamico di impianti a combustione
interna (Ciclo Joule per i turbogas, Cicli Otto o Diesel per i motori alternativi) sfruttando in
30
tal modo le alte temperature in camera di combustione (adduzione del calore) degli impianti
a combustione interna ed utilizzando poi l'energia termica dei gas scaricati da questi ultimi,
ad alta temperatura e pressione atmosferica, quale energia in ingresso di un ciclo a vapore.
In tal modo su realizza una combinazione di cicli per la quale la temperatura media di
adduzione di vapore risulta quella caratteristica degli impianti a combustione interna, mentre
la temperatura di cessione e quella caratteristica degli impianti a vapore, molto prossima a
quella ambiente. Ciò consente di far crescere il rapporto fra le due temperature e dunque il
rendimento di conversione dell'energia termica in lavoro.
Tipologie di impianti combinati gas/vapore
Gli impianti combinati gas/vapore attualmente più diffusi per installazioni fisse sono gli
impianti formati da turbogas con turbovapore in cascata. Tali impianti sono anche in via di
diffusione per alcune applicazioni di trasporto marittimo.
Risultano presenti installazioni anche se in numero minore di motori alternativi a c.i.
accoppiati a turbovapore relativamente ad applicazione per impianti di generazione di taglia
molto minore di quelli utilizzanti turbogas.
Tali impianti siano essi con turbogas o con motore alternativo sono classificati come:
•
Unfired Cycle se la caldaia per la produzione di vapore sfrutta esclusivamente l'energia
termica posseduta dai gas esausti in uscita dalla turbina o dal motore alternativo
•
oppure Exhaust Fired Cycle se i gas esausti vengono utilizzati come comburente nei
bruciatori della caldaia per la produzione vapore.
Nel primo caso la potenza elettrica della sezione a gas è ampiamente superiore a quella
vapore, mentre nel secondo caso le due possono equivalersi o essere addirittura maggiore
quella della sezione vapore a seconda delle scelte impiantistiche effettuate.
Unfired Cycle
Negli impianti Unfired Cycle i gas caldi scaricati dalla turbina o dal motore alternativo,
destinati alla generazione di energia elettrica, provvedono alla produzione di vapore da far
espandere in una turbina a condensazione per la generazione di ulteriore energia elettrica.
Gli impianti Unfired Cycle con turbogas sono
IMPIANTO COMBINATO TURBOGAS-VAPORE
di gran lunga più diffusi di quelli con motore
alternativo in quanto la disponibilità di
energia termica ad alta temperatura per la
produzione di vapore è molto maggiore,
rendendo economicamente più conveniente il
ricorso a tale ciclo compensando i costi
aggiuntivi
con
un
buon
rendimento
complessivo di produzione di energia elettrica
(sino al 56%). In tali impianti l'energia
elettrica si ottiene per 2/3 dal turbogas e per
1/3 dal turbovapore.
Gli impianti Unfired Cycle basati su motori
alternativi sono anch'essi caratterizzati da
rendimenti complessivi altrettanto elevati
(anche 54%), ma l'energia elettrica che si
ottiene deriva per oltre il 90% dal motore
alternativo, già di per sé prodotta con
rendimento
alquanto
elevato.
Tali
caratteristiche rendono nella maggioranza dei
casi economicamente ingiustificata la spesa e
la complicazione impiantistica a fronte di un marginale incremento del rendimento globale di
produzione dell'energia elettrica. In generale gli impianti combinati del tipo Unfired sono
caratterizzati da una scarsa flessibilità non garantendo, in special modo quelli con turbogas,
rendimenti accettabili a carichi anche solo del 10-15% inferiori rispetto a quello nominale.
Exhaust Fired Cycle
In questa seconda tipologia di impianti i gas caldi provenienti dai gruppi di generazione
elettrica, siano essi con turbogas o con motore alternativo, vengono utilizzati per una postcombustione nei bruciatori di un generatore di vapore quale comburente, vista la presenza
31
ancora rilevante di ossigeno (circa 12% per i motori alternativi, fra il 16 ed il 18% per i
turbogas). In tal caso si incrementa l'aliquota di energia prodotta con il vapore,
raggiungendosi in alcuni impianti l'equivalenza fra le energia prodotte con i due generatori.
Gli impianti Fired sono caratterizzati da una maggiore flessibilità progettuale e di esercizio
essendo possibile modulare l'apporto di energia termica in post-combustione senza
compromettere eccessivamente la funzionalità ed il rendimento globale dell'impianto.
Essi però sono caratterizzati da rendimenti globali di produzione energia mediamente più
bassi di quelli del tipo Unfired utilizzando l'energia primaria del combustibile in misura
maggiore nel ciclo a vapore caratterizzato da temperature medie di adduzione del calore più
basse rispetto ai cicli dell'impianto con turbogas o con motore alternativo.
Vantaggi degli impianti combinati
1.
Risparmio energetico
Gli
impianti combinati possono raggiungere rendimenti di produzione di energia elettrica di
molto superiore al 50%, di gran lunga più elevati di quelli di qualsiasi centrale basata
semplicemente su un ciclo a vapore o a gas.
2.
Affidabilità
Gli impianti combinati non ricorrono a tecnologie innovative che possono coinvolgere
rischi tecnici, ma si basano sulla combinazione di cicli e di macchine dalle tecnologie oramai
più che consolidate.
3.
Emissioni in atmosfera
Gli impianti combinati utilizzano, quale fonte primaria di energia, per lo più gas metano
la cui combustione in tali impianti non produce emissioni di polveri, composti solforati
(responsabili delle piogge acide) ed emissioni molto contenute di CO ed NOx rispetto agli
impianti convenzionali. Inoltre gli elevati rendimenti di produzione di energia elettrica
riducono le emissioni specifiche di CO2 in atmosfera.
IDROGENO
Caratteristiche fisiche dell’idrogeno
L’idrogeno, il cui nome significa “generatore di acqua”, rappresenta l’elemento più
abbondante dell’universo. Nel sole ad esempio è presente per circa il 90%, e con l’ossigeno
ed il silicio è uno degli elementi più diffusi della crosta terrestre, dove si trova allo stato
combinato, con carbonio, ossigeno ed altri elementi (acqua, idrocarburi, proteine, grassi
zuccheri ecc.); è uno dei principali costituenti del mondo vegetale e animale.
L’idrogeno è a temperatura ambiente un gas incolore, inodore e praticamente insolubile
in acqua; dopo l’elio è il gas più difficile a liquefarsi; è il combustibile col più alto potere
calorifico superiore.
L’idrogeno come combustibile
L’idrogeno è un gas industriale di primaria importanza. Fu per lungo tempo utilizzato
per il gonfiamento degli aerostati; fu poi sostituito dall’elio, leggermente più pesante ma non
infiammabile. Attualmente, l’impiego dell’idrogeno come combustibile avviene nei programmi
spaziali.
Oggetto delle più recenti ricerche è l’impiego dell’idrogeno nelle celle a combustibile.
L’obiettivo è quello di realizzare un sistema energetico basato sull’idrogeno, con la
costruzione di impianti per la produzione di energia che utilizzino l’idrogeno prodotto
dall’elettrolisi dell’acqua marina.
L’interesse dell’idrogeno come vettore energetico risale all’inizio degli anni 1970,
durante la prima crisi petrolifera. La visione di un sistema energetico basato sull’idrogeno
era però strettamente correlata, nella realtà, con la disponibilità di energia elettrica a basso
costo. Di conseguenza, i progetti di ricerca legati all’energia dall’idrogeno furono
progressivamente abbandonati.
Nel corso degli anni 1980, furono fatti passi in avanti nello studio delle tecnologie
relative alle risorse rinnovabili e all’efficienza energetica, tanto che la ricerca su sistemi
energetici altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili apparve sempre più
interessante.
Produzione dell’idrogeno
L’utilizzo dell’idrogeno come combustibile è compatibile con l’ambiente: non produce
alcun gas serra, in particolare CO2, ma soltanto calore e vapore acqueo. Tuttavia il suo
32
impiego incontra nella pratica numerosi problemi soprattutto riguardo gli alti costi di
produzione e di immagazzinamento.
Le principali tecnologie di produzione dell’idrogeno sono:
•
Elettrolisi dell’acqua
•
Steam reforming del gas metano
•
Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi
•
Gassificazione del carbone
•
Gassificazione e pirolisi delle biomasse
•
Altri metodi
L’elettrolisi dell’ acqua
Il processo dell’elettrolisi fu applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’ anno
1839. Questo processo richiede il passaggio di corrente elettrica attraverso l’acqua. La
corrente entra nella cella elettrolitica tramite un elettrodo caricato negativamente, il catodo,
attraversa l’acqua e va via attraverso
un elettrodo caricato positivamente,
elettrolisi di 1litro di acqua
l’anodo. L’idrogeno e l’ossigeno così
separati confluiscono rispettivamente
verso il catodo e verso l’anodo.
1,358 m³ H2
L’elettrolisi è il metodo più comune per
4,41 kWh di
6,299
la produzione di idrogeno anche se
energia chimica
1 litro
kWhel
incontra notevoli ostacoli per la
H2O
quantità limitata di idrogeno prodotta e
Energia
elettrica
per i costi, ancora troppo elevati,
0,679 m³ O2
dovuti all’impiego di energia elettrica.
Il costo per la produzione di idrogeno
dall’elettrolisi resta il più alto rispetto a qualsiasi altra tecnologia; è, tuttavia, il processo che
riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente.
Steam reforming del gas metano
Lo Steam reforming del gas metano (SMR) è un processo ben sviluppato ed altamente
commercializzato e attraverso il quale si produce il 48% dell’idrogeno mondiale. Lo SMR
implica la reazione tra metano e vapore in presenza di catalizzatori.
CH4 + H2O CO + 3 H2
CO + H2O CO2 + H2
CH4 + 2 H2O CO2 + 4 H2
Al posto del metano è possibile utilizzare anche altri idrocarburi.
Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi
L’idrogeno può essere ottenuto dall’ossidazione parziale non catalitica, ad una
temperatura che varia tra 1300-1500 °C, di idrocarburi pesanti; i costi sono sensibilmente
più elevati.
Gassificazione del carbone
In generale, il processo della gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non
catalitica, di una sostanza solida, liquida o gassosa con l’obiettivo finale di produrre un
combustibile gassoso, formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e idrocarburi
leggeri come il metano. La produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone è una
tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali, ma è competitiva con la tecnologia
SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato.
Gassificazione e pirolisi delle biomasse
Come la gassificazione, anche la pirolisi, o distillazione secca, è un processo che per
mezzo della decomposizione termica spezza le molecole complesse delle sostanze organiche
in elementi semplici. Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900-1000 °C, in assenza di
ossigeno con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido.
L’applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi
differenti gas, tra cui l’idrogeno.
La gassificazione delle biomasse prevede l’impiego sia di materiale derivato dai rifiuti
solidi urbani sia da materiali specifici appositamente coltivati per essere impiegati come
fonte d’energia. Un importante vantaggio ambientale dell’utilizzo delle biomasse come fonte
di idrogeno è il fatto che il biossido di carbonio emesso nella conversione delle biomasse,
non contribuisce ad aumentare la quantità totale di gas nell’atmosfera. Il biossido di
33
carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita (fotosintesi) e solo la stessa
quantità è restituita all’ambiente durante il processo della gassificazione. Purtroppo il
contenuto d’idrogeno è solo del 6-6.5% , rispetto al 25% del gas naturale. Per questa
ragione i costi sono ancora molto elevati e questo sistema non è competitivo.
Altri metodi
Si sta puntando molto su
sistemi che consentano la produzione di
idrogeno
tramite
l’impiego
diretto
dell’energia
solare,
in
sostituzione
dell’energia elettrica necessaria per
l’elettrolisi
dell’acqua.
Si
tratta
comunque
di
tecnologie
in
fase
sperimentale.
Uno di questi metodi usa il
processo
della
fotoconversione
ed
associa un sistema di assorbimento della
luce solare ed un catalizzatore per la
scissione dell’acqua. Questo processo
usa l’energia della luce senza passare
Schema della produzione di idrogeno da fonte solare per via termochimica
attraverso la produzione separata di
elettricità.
Celle a combustibile
Le celle a combustibile sono sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica
di un combustibile (in genere idrogeno) direttamente in energia elettrica, senza l’intervento
intermedio di un ciclo termico, ottenendo pertanto rendimenti di conversione più elevati
rispetto a quelli delle macchine termiche convenzionali.
La nascita delle celle a combustibile risale al 1839, anno in cui l’inglese William Grove
riportò i risultati di un esperimento nel corso del quale era riuscito a generare energia
elettrica in una cella contenente acido solforico, dove erano stati immersi due elettrodi,
costituiti da sottili fogli di platino, sui quali arrivavano rispettivamente idrogeno ed ossigeno.
Una cella a combustibile funziona in modo analogo ad una batteria, in quanto produce
energia elettrica attraverso un processo elettrochimico; tuttavia, a differenza di quest’ultima,
consuma sostanze provenienti dall’esterno ed è quindi in grado di funzionare
ininterrottamente finché al sistema viene fornito combustibile (idrogeno) ed ossidante
(ossigeno o aria).
Il processo che si svolge in una cella a
combustibile è inverso di quello dell’elettrolisi:
nel processo dell’elettrolisi l’acqua, con l’impiego
di energia elettrica, viene decomposta nei suoi
componenti gassosi idrogeno (H2) e ossigeno
(O2).
Una cella a combustibile inverte questo
processo e unisce i due componenti producendo
acqua. In questo processo viene liberata la
stessa quantità di energia elettrica che è stata
impiegata per la decomposizione, almeno
teoricamente, in quanto una parte di energia va
dispersa a causa di altri processi fisico-chimici.
La struttura di una cella a combustibile è molto
semplice: essa è composta di tre strati
sovrapposti. Il primo strato è l’anodo, il secondo
è l’elettrolita e, il terzo, il catodo. L’anodo e il
catodo servono da catalizzatori, mentre lo strato
intermedio consiste in una struttura di supporto che assorbe l’elettrolita. Esistono differenti
tipi di celle che si distinguono per la loro struttura e il loro funzionamento. Nei vari tipi di
celle a combustibile vengono usati differenti elettroliti; alcuni di questi sono liquidi, altri solidi
e altri ancora hanno struttura membranosa.
34
SCHEMA DI FUNZIONAMENTO
di una cella a combustibile
Quando l’idrogeno fluisce sul lato
anodico della cella, un catalizzatore
di platino facilita la scissione del gas
idrogeno in elettroni e protoni (ioni
idrogeno):
•
I
protoni
passano
attraverso la membrana (il
centro
della
cella),
si
combinano con l’ossigeno e
gli elettroni sul lato catodico,
producendo acqua.
•
Gli elettroni, che non
possono
attraversare
la
membrana,
passano
dall’anodo
al
catodo
attraverso
un
circuito
esterno, che contiene un
motore o una qualsiasi
utenza che consuma l’energia generata
dalla cella.
Collegando i due elettrodi (catodo e
anodo) con un conduttore elettrico, gli elettroni lo
attraversano e partendo dall’anodo raggiungono il
catodo: quindi si genera una corrente elettrica
sfruttabile. Questo processo si svolge senza
interruzione fino a che permane una sufficiente
quantità di idrogeno e di ossigeno.
Poiché una singola cella non consente di
ottenere la potenza ed il voltaggio desiderato, più
celle sono disposte in serie a mezzo di piatti
bipolari, a formare il cosiddetto “stack”.
Gli stack a loro volta sono assemblati in moduli,
per ottenere generatori della potenza richiesta.
L’impiego
delle
celle
a
combustibile
La possibilità che
hanno questi sistemi di
Sole
Gas
Forza
Energia
utilizzare diversi combustibili
Carbone Petrolio Geotermia Biomassa
naturale
idrica
nucleare
Vento
di partenza (vedi fig.), le
elevate
efficienze
di
conversione
e
le
ottime
Elettricità
Benzina
Gasolio
Metanolo
Etanolo
caratteristiche
ambientali
consentono un contenimento
CxHy + H2O
dei consumi energetici ed al
H2O
Steam reforming
tempo
stesso
possono
Elettrolisi
Gassificazione
contribuire
in
maniera
significativa
al
(forma gassosa)
(forma liquida)
Compressione, Trasporto, Stoccaggio,
Liquefazione, Trasporto, Stoccaggio,
raggiungimento
degli
Distribuzione
Rifornimento
impegni assunti con la
sottoscrizione del Protocollo
di
Kyoto,
per
quanto
stazionario
mobile
portatile
riguarda la riduzione delle
emissioni di gas serra.
Se fino al 1960 le celle a combustibile erano una pura curiosità scientifica, al giorno
d’oggi esse trovano o troveranno a breve termine impiego in tre grandi aree:
1.
Trazione per veicoli
2.
Alimentazione di reti elettriche ( per esempio per case, condomini, ospedali)
Impiego
Logistica
Metodo di
produzione
Vettore
energetico
Fonte
primaria
PRODUZIONE E IMPIEGO DELL’IDROGENO
35
3.
Celle a combustibile miniaturizzate per impieghi portatili (telefoni cellulari, computer).
Trazione per veicoli
Alimentazione diretta con idrogeno. Ci sono due modi per far funzionare una
automobile con idrogeno: motore a combustione diretta di idrogeno oppure celle a
combustibile con motore elettrico.
Uno dei vantaggi dell’uso di celle a
combustibile per la trazione di veicoli è il
loro rendimento energetico. Per percorrere
100 km un’auto convenzionale consuma
circa 4 litri di benzina; un’auto a
combustione di idrogeno consuma circa 2 kg
di idrogeno mentre un’auto a celle a
combustibile consuma 1 kg di idrogeno.
Inoltre lo scarico è solo del vapore acqueo.
Il modo più semplice ed economico per
accumulare idrogeno a bordo di un veicolo è
motore a combustione
di utilizzarlo sotto forma di gas compresso a
pressione di 200-250 bar.
La tecnologia risulta tuttavia non proponibile per uso a bordo di auto tradizionali, a
causa del peso ed ingombro dei serbatoi attualmente utilizzati, che sono un limite
all'autonomia e capacità di carico del veicolo.
La 600 Electra della FIAT costituisce un esempio di auto che usa bombole di idrogeno
compresso; queste occupano notevole spazio nel veicolo, dimostrando la poca praticità di
questo sistema di accumulo se si utilizzano bombole di tipo tradizionale (a 200-250 bar).
Questa tecnologia di stoccaggio è invece utilizzata sulla maggior parte dei prototipi di
autobus finora realizzati. Nella foto è riportato uno degli autobus utilizzato a Torino nelle
ultime Olimpiadi della neve.
L'idrogeno può essere stoccato a
bordo del veicolo in forma liquida
ad una temperatura di -253 °C. Per
mantenere
queste
temperature
sono stati messi a punto serbatoi a
doppia parete, con un'intercapedine
ove viene fatto il vuoto. Questa
tecnologia è ormai consolidata in
Germania, dove la BMW la utilizza
da oltre 15 anni su auto ad
idrogeno alimentate con motori a
combustione interna.
Tra i veicoli a celle a combustibile di recente produzione che usano idrogeno liquido,
vanno senz'altro ricordate la NECAR 4 della DaimlerChrysler e la HydroGen 1 della Opel.
Utilizzano inoltre idrogeno liquido gli autobus realizzati da Ansaldo (3 serbatoi da 600 litri
della Messer Griesheim, situati sul tetto del bus) e dalla MAN (3 serbatoi da 200 litri della
Linde, posizionati sul pianale del veicolo).
A sfavore dell’idrogeno liquido giocano la maggiore complessità del sistema, non solo a
bordo del veicolo ma anche a terra, per la distribuzione ed il rifornimento, ed i maggiori costi
ad esso associati. Anche il costo energetico della liquefazione è considerevole,
corrispondendo a circa il 30% del contenuto energetico del combustibile, contro un valore
compreso tra il 4% ed il 7% per l’idrogeno compresso.
Alimentazione con combustibili
Per generare energia, l’unità costituita dalle celle a combustibile deve essere integrata
in un sistema completo che comprende una sezione di trattamento del combustibile per
ottenere l’idrogeno, la sezione di compressione dell’aria, un sistema di condizionamento della
potenza elettrica, un sistema di recupero del calore sviluppato ed infine una sezione di
36
regolazione e controllo. L’energia prodotta dalle celle farà muovere un motore elettrico, il
quale darà la propulsione necessaria agli organi di trasmissione del veicolo.
Autoveicoli
a
celle
a
combustibile sono dunque
vantaggiosi, efficienti e
consentono di superare le
limitazioni intrinseche dei
veicoli elettrici come la
limitata autonomia e i
lunghi tempi di ricarica
delle batterie tradizionali.
L’unico aspetto negativo è
che utilizzano fonti non
rinnovabili.
Alimentazione di reti elettriche
Le celle a combustibile presentano proprietà tali da renderne molto interessante
l’impiego nel campo della produzione di energia elettrica, in quanto rispondono
perfettamente agli obiettivi che si perseguono nel settore elettrico, e cioè
• miglioramento dell'efficienza di conversione delle fonti primarie;
• flessibilità nell’uso dei combustibili;
• riduzione delle emissioni di inquinanti nell’atmosfera
Il rendimento di questi
impianti, contrariamente a
quanto
avviene
nelle
centrali
elettriche
convenzionali,
è
poco
sensibile alle variazioni del
carico e indipendente dalla
potenza installata.
ìUna centrale a celle a
combustibile, inoltre, ha
una struttura modulare che
può essere realizzata in
breve
tempo,
con
la
possibilità di accrescere la
sua
potenzialità
in
proporzione
all’aumento
della domanda.
A questi vantaggi vanno
aggiunti il basso livello di
inquinamento ambientale e
la scarsa rumorosità. Va notato che a regime stazionario la cella a combustibile si presta alla
cogenerazione, ossia, alla produzione congiunta di elettricità e calore. La prima centrale
sperimentale a celle a combustibile, con l’intento di dimostrare l’impatto ambientale nullo in
un centro abitato, è stata realizzata nel 1983 a New York.
Celle a combustibile miniaturizzate per impieghi portatili
Per giocattoli, telefonini, computer portatili ed altri prodotti di elettronica si fa uso al
giorno d’oggi di batterie pesanti e costose. L’alternativa è rappresentata da una cella a
combustibile miniaturizzata, con una durata superiore a quella di una batteria Ni-Cd e senza
bisogno di ricarica, in quanto basta rimpiazzare in modo rapido il combustibile. Il pregio di
una rapida sostituzione del combustibile rende tali celle anche vantaggiose rispetto alle
batterie ricaricabili, che spesso vengono confrontate con questa nuova tecnologia. Esse
infatti abbisognano tempi di ricarica non brevi.
37
ENERGIA NUCLEARE
Più di ogni altra fonte, l'energia nucleare è oggetto di atteggiamenti fortemente emotivi, o è
vista:
• come fonte di grossi rischi per l’uomo e l’ambiente in generale,
• oppure come l'unica possibile salvezza dalla "fine del petrolio".
Non è nessuna delle due cose: è un sistema di produzione di energia elettrica che presenta i
suoi vantaggi e con alcuni aspetti da tenere in considerazione, così come tutti gli altri sistemi
che utilizzano combustibili fossili. L'energia nucleare oggi rappresenta il 7% circa del
fabbisogno energetico globale con il 17% di energia elettrica prodotta da tale fonte.
INTRODUZIONE
Ogni atomo è formato da un nucleo, comprendente protoni e neutroni, e da una nube di
elettroni che ruotano attorno a tale nucleo.
La massa del protone è di 1.67252· 10-27 kg e
quella del neutrone, leggermente maggiore, è di
1.67482· 10-27 kg. Gli elettroni invece sono molto più
leggeri e la loro massa è 1836 volte inferiore rispetto a
quella del protone. Nell’atomo il nucleo occupa un
volume piccolissimo: esso ha un raggio dell’ordine di
10-15 m, mentre l’atomo ha un raggio dell’ordine i 1010
m; l’atomo quindi è costituito in buona parte da
vuoto. I protoni possiedono una carica elettrica positiva
e gli elettroni una carica elettrica negativa; i neutroni
invece sono privi di carica.
•
Il numero di protoni è il numero atomico
Z dell’atomo e individua l’elemento; poiché gli
atomi sono neutri le cariche elettriche si
devono bilanciare, il numero degli elettroni è uguale a quello dei protoni. Allo stato di ione,
invece, un elemento può avere un numero di elettroni superiore a quello dei protoni e allora
si ha uno ione negativo (anione); se invece si verifica il contrario si ha uno ione positivo
(catione).
•
Il numero di neutroni è N
•
e il numero totale di protoni e neutroni, A = Z +N, è chiamato numero di massa
dell’atomo.
Due o più nuclei aventi lo stesso numero atomico (Z), ma numero di massa (A) diverso e
che dunque differiscono soltanto nel numero di neutroni, vengono detti isotopi (dal greco:
“iso” = uguale e “topos” = luogo, cioè atomi che occupano lo stesso posto nella tavola
periodica). Gli isotopi hanno esattamente le stesse proprietà chimiche mentre differiscono
per le proprietà nucleari.
38
Due o più nuclei aventi lo stesso
numero atomico (Z), ma numero di
massa (A) diverso
e che dunque
differiscono soltanto nel numero di
neutroni, vengono detti isotopi (dal
greco: “iso” = uguale e “topos” =
luogo, cioè atomi che occupano lo
stesso posto nella tavola periodica).
Gli isotopi hanno esattamente le
stesse proprietà chimiche mentre
differiscono per le proprietà nucleari.
L’idrogeno ha per esempio
tre isotopi(vedi fig.):
l’idrogeno 1H1, il deuterio 1H2 (anche designato con D) e il trizio 1H3 (anche designato con
T). Il trizio, essendo radioattivo, viene definito radioisotopo.
Il numero in basso a sinistra del simbolo dell’elemento indica il numero atomico (uguale in
tutti in quanto si tratta di H); il numero alla destra rappresenta invece il numero di massa.
La maggior parte della famiglia nucleare
(nuclidi) è costituita da elementi instabili
(su circa 2800 noti, solo 264 sono stabili),
soggetti a decadimenti (trasformazioni) in
altre specie nucleari, eventualmente a loro
volta instabili fintantoché la trasformazione
non giunge ad un nucleo stabile, fermando
dunque la catena di decadimenti.
Queste trasformazioni si verificano con
rapidità differente a seconda del nucleo
considerato ed avvengono mediante l’emissione di particelle di materia e/o di radiazioni
elettromagnetiche (il nuclide è detto radioattivo). Il fenomeno della radioattività è stato
scoperto ai primi del Novecento dalla coppia M. e P. Curie e da A. H. Becquerel (il nome
“radioattività”
proviene
dall’elemento
radioattivo
Il tempo di dimezzamento
“radio” scoperto dai Curie).
Elementi
radioattivi
sono contenuti nella crosta
terrestre,
nei
mari
e
addirittura nel nostro corpo: si
tratta di elementi non stabili,
che raggiungono uno stato
stabile attraverso una o più
disintegrazioni (decadimenti).
Gli
elementi
radioattivi presenti in natura
(radionuclidi)
hanno
generalmente
periodi
di
dimezzamento
(t½)
molto
lunghi. Il cosiddetto periodo
di dimezzamento rappresenta
la durata durante la quale il
50 % degli elementi presenti
nel momento t0 si disintegra. Spesso, i nuovi nuclei risultanti dalla disintegrazione sono
radioattivi a loro volta: si forma così una catena di disintegrazione.
Durante la disintegrazione radioattiva, il numero di nuclei attivi diminuisce
progressivamente; di conseguenza, col passare del tempo diminuisce anche l’emissione di
radiazioni.
39
Vi sono tre tipi di radioattività a seconda della radiazione emessa durante la
trasformazione nucleare: alfa (α), beta meno (β−), beta più (β+).
•
il decadimento α è caratterizzato dalla liberazione di particelle alfa ossia nuclei di elio (2
protoni + 2 neutroni); ciò porta all’ottenimento di un nuovo elemento con numero atomico
inferiore di 2 unità e numero massa inferiore di 4 unità
•
il decadimento β− è caratterizzato dall’emissione di un elettrone. Immaginiamo un
neutrone composto da un protone e un elettrone; nel momento in cui viene emesso un
elettrone il neutrone si trasforma in protone: il nuovo elemento avrà numero atomico
aumentato di una unità ma sempre lo stesso numero di massa;
decadimento α
decadimento β −
il decadimento β+ è
caratterizzato
dall'emissione di un
elettrone positivo.
Un protone perde la
carica positiva e si
trasforma in un
neutrone: il nuovo
elemento avrà
numero atomico
inferiore di una
unità, ma stesso
numero di massa;
D
i
22
11Na
--> β + +
10Ne
22
n
o
r
m
a
,
un effetto collaterale comune a tutte e tre queste disintegrazioni è l’emissione di radiazioni
γ, onde elettromagnetiche ad alta energia.
E’ dunque possibile, partendo da una specie nucleare instabile, costruire una sequenza
di decadimenti tenendo conto di tutte le combinazioni di trasformazioni alfa e beta. Se si
arriva ad una specie stabile la catena si ferma, altrimenti procede tramite ulteriori
decadimenti alfa o beta. Le radiazioni gamma, anche se contribuiscono in modo sostanziale
al bilancio della radiazione naturale, non vanno incluse nella definizione di una catena di
decadimenti perché non conducono a nuove specie nucleari.
Se si considerano le sequenze di decadimenti degli isotopi delle tre famiglie U-238, U235 e Torio-232 (vedi tabelle), queste si concludono con l’ottenimento di tre isotopi stabili
del piombo (rispettivamente 82Pb206, 82Pb207 e 82Pb208).
Schermatura delle radiazioni radioattive
Le radiazioni radioattive possono attraversare la materia o penetrarvi ed essere
assorbite. Questi processi possono generare nuove radiazioni o calore, a seconda
dell'energia cinetica delle radiazioni e del tipo di raggi.
•
La radiazione alfa ha un bassissimo potere penetrante e può essere schermata già con
un sottile foglio di carta. Tuttavia i materiali che emettono radiazioni alfa costituiscono una
minaccia potenziale per l'uomo, in quanto possono penetrare all'interno del corpo umano
attraverso l'ingestione di cibo od acqua, oppure attraverso l'inalazione di gas e aerosol. In
questo caso danneggiano i tessuti umani, irraggiandoli direttamente dall'interno.
•
La radiazione beta ha un maggior potere penetrante e attraversa un sottile foglio di
carta; può però essere schermata con un foglio di alluminio di alcuni millimetri di spessore.
40
•
La radiazione di neutroni ha un
elevato potere penetrante, ma può
essere schermata con un materiale
contenente boro o con la paraffina.
•
La radiazione gamma ha un
elevato potere penetrante. Attraversa
facilmente la carta e la lastra di
alluminio , ma può essere fortemente
indebolita con alcuni centimetri di
piombo.
La fissione nucleare
Nel 1938 i chimici tedeschi Hahn e Strassmann scoprirono che bombardando il nucleo di
uranio 92U235 con dei neutroni lenti, cioè con basso contenuto energetico, questo si spaccava
in 2 nuclei di medie dimensioni, liberando altri neutroni (2
o 3) ed energia termica.
L’assorbimento di un neutrone, infatti, trasforma l’uranio
235
nell’isotopo 92U236
che, avendo un contenuto
92U
energetico molto elevato, è molto instabile per cui si
spacca sprigionando una grande quantità di calore.
Tale processo è chiamato fissione nucleare.
Occorre notare che le reazioni di fissione possibili
per questo nuclide sono moltissime con produzione di 2
oppure 3 neutroni (2,4 è il numero medio di neutroni )
prodotti e con diversi possibili prodotti (a loro volta
radioattivi) come nuclei di bario e cripto, selenio e cesio,
bromo e lantanio, rubidio e cesio o stronzio e xeno, ecc.
Per esempio:
235
235
+ n 36Kr94 + 56Ba139 + 3n
+ n 36Kr94 + 56Ba140 + 2n
92U
92U
Per la fissione di U-235 si deve quindi parlare di una distribuzione statistica dei prodotti.
Potremmo scrivere la reazione di fissione di U-235 nel modo seguente:
235
+ n X + Y + 2,4 n + energia
92U
I neutroni, non avendo carica elettrica, sono particolarmente idonei per la fissione perché
non vengono respinti dalle cariche positive del nucleo. Inoltre, per provocare la fissione il
neutrone deve essere lento perché, rimanendo più a lungo nelle vicinanze del nucleo,
aumenta la probabilità di essere catturato più facilmente.
Solitamente neutroni lenti producono solo urti elastici con i nuclei dell’92U238 ma anche
se un neutrone lento viene catturato dal nucleo di 92U238 la fissione è molto improbabile.
I neutroni con velocità medie o elevate vengono di solito catturati dal nucleo di 92U238
senza fissione. In questo caso l’isotopo radioattivo 92U239, che si forma dopo la cattura del
neutrone, emettendo una particella , diventa nettunio 93Np239 (tempo di dimezzamento
23,5 minuti) e il nettunio, emettendo una particella  , si tramuta in plutonio 94Pu239
(tempo di dimezzamento 2,35 giorni). Il plutonio 94Pu239, nuclide artificiale radioattivo, è
adatto alla fissione (nei reattori veloci) perché può essere scisso da neutroni veloci.
Quindi:
235
•
è un radionuclide fissile naturale
92U
239
•
è un radionuclide fissile artificiale
94Pu
238
•
è un radionuclide fertile naturale; viene denominato fertile perché in grado di
92U
produrre un radionuclide fissile (94Pu239).
41
Reattori nucleari
L’energia liberata durante il processo di fissione deriva da una corrispondente perdita di
massa degli elementi partecipanti alla reazione (scompare circa 1g di massa per ogni kg di
nuclide fissionato).
Secondo la legge di Einstein la massa m e l’energia E sono infatti concetti equivalenti,
legati dalla relazione: E = mc2
dove c è a velocità della luce nel vuoto.
Nei reattori nucleari avviene proprio la trasformazione della massa in energia. Difatti,
spaccando un nucleo in due nuclei più leggeri, in questi due nuclei e nelle particelle liberate è
immagazzinata meno massa di quanta ne era immagazzinata originariamente nel nucleo di
partenza. Scompare circa 1g di massa per ogni kg di nuclide fissionato; si ha così un
guadagno netto di energia.
Il fatto che per ogni fissione si liberino dei neutroni energetici, rende teoricamente
possibile un fenomeno di “autosostentamento” della reazione, nel senso che tali neutroni
potrebbero a loro volta innescare altre fissioni di nuclei di uranio. Il risultato di questa
sequenza è una tipica reazione a catena; per innescare questo processo a catena si sfrutta il
fattore di moltiplicazione dei neutroni, i quale non è sempre pari al valore ideale (2.4) ma è
in
generale
inferiore.
Se la quantità di
materiale fissile è
sufficiente, si riesce
ad
ottenere
un
fattore efficace di
moltiplicazione
superiore ad uno,
innescando così una
reazione di fissione
a catena che porta
ad uno svolgimento
di una quantità enorme di energia in un breve intervallo di tempo. Questo fenomeno viene
sfruttato per scopi militari: in una bomba nucleare (o impropriamente, atomica) viene posta
una quantità di materiale fissile (massa critica) tale da avere una moltiplicazione di neutroni
elevata ed una reazione a catena rapidissima che produce, in tempi brevissimi, una quantità
enorme di energia .
Se, invece, durante la fissione si abbassa il guadagno di neutroni accentuando
l'assorbimento e anche controllandolo, è possibile far avvenire la reazione in maniera
controllata. Questo ha portato allo sviluppo di reattori a fissione nucleare per la produzione
di energia.
Una centrale nucleare è una forma perfezionata di centrale termica. Nel reattore delle
centrali nucleari, attraverso la fissione controllata, viene liberata un'enorme quantità di
calore che producendo vapore aziona delle turbine collegate ad un generatore di corrente
elettrica.
Un reattore a fissione consiste schematicamente in:
• un "nocciolo", dove viene fatta avvenire la reazione di fissione controllata da appositi
assorbitori,
• uno scambiatore di calore che porta fuori dal nocciolo l'energia prodotta e che aziona
un dispositivo per rendere utilizzabile tale energia (per esempio turbine collegate a
generatori di elettricità);
• un sistema di raffreddamento.
I materiali utilizzati per la costruzione di un reattore a fissione nucleare devono
presentare dei requisiti un po' particolari rispetto ai materiali utilizzati nelle costruzioni
tecniche in generale. Si può affermare che le ricerche volte ad elevare il grado di sicurezza
nei reattori nucleari hanno portato allo sviluppo di materiali spesso di tipo completamente
nuovo. Infatti oltre alla alta robustezza tali materiali devono necessariamente possedere un
basso potere di assorbimento dei neutroni ed una elevata resistenza alle radiazioni, al calore
e alla corrosione.
Il nocciolo è composto da tre elementi fondamentali:
• Il combustibile nucleare
42
le barre di controllo
il moderatore
L’unico elemento naturale che presenta caratteristiche idonee per essere utilizzato
come combustibile nucleare nei processi di fissione è l’isotopo 235 dell’uranio. Esso
costituisce solo lo 0.7% del totale di questo elemento, la maggior parte essendo invece
l’isotopo 238 (che non è fissile). E’ dunque necessario predisporre tecniche di arricchimento
artificiale del minerale. Essendo i due elementi (235 e 238) specie isotopiche, non è possibile
separarle per via chimica. Si adottano quindi tecniche complesse di separazione per
diffusione che utilizzano la piccola differenza di massa dei due isotopi; ciò che resta dopo
questo trattamento è detto Uranio depleto o impoverito.
Un altro elemento utilizzabile nella fissione è l’isotopo 239 del plutonio, prodotto
artificialmente per bombardamento neutronico di uranio-238; è separabile per via chimica
dall’uranio. La produzione di combustibile basato sul plutonio a partire dall’uranio è detta
“fertilizzazione”. Il nocciolo viene di solito assemblato con elementi come quelli mostrati
nelle figure.
•
•
In ognuno si trovano dei gruppi di 17 X 17 barre, in ognuna delle quali vengono infilate
delle pastiglie di Uranio preparate in forma di cilindro con diametri di circa 1-1,5 cm. Queste
vengono impilate in guaine rigide fatte di una lega di zirconio, lunghe circa 3 metri e mezzo,
e vengono montate negli elementi, lasciando qualche spazio vuoto per le barre di controllo.
Per fare un nocciolo completo servono circa 150 di questi elementi.
La fissione viene innescata bombardando dall’esterno con neutroni moderati (termici) il
combustibile fissile.
Affinché le reazioni di fissione si possano autosostenere occorre che i neutroni originati
colpiscano altri nuclei scindendoli e producendo così una reazione a catena. La quantità
minima occorrente per iniziare una reazione a catena spontanea viene chiamata “massa
critica”; per l’uranio-235 puro essa è di 50 kg.
Per ottenere una reazione a catena controllata, ossia costante e regolabile, si deve fare
in modo che solo una parte dei neutroni emessi produca una successiva fissione mentre gli
altri vengono assorbiti. Per una regolazione esatta si utilizzano le barre di controllo,
realizzate in materiali altamente assorbenti come leghe di boro, indio, argento e cadmio.
I neutroni generati, essendo veloci (quindi non utili per la fissione), devono venire
sufficientemente rallentati, cioè “moderati”. I materiali moderatori devono essere capaci di
ridurre la velocità dei neutroni senza catturarli.
Solitamente si usa come moderatore l’acqua in quanto può svolgere anche la funzione
di refrigerante; cioè, essa assorbe il calore prodotto dalla fissione e lo trasferisce all’esterno
del nocciolo. Esistono vari tipi di centrali nucleari:
•
reattori ad acqua bollente
•
reattori ad acqua pressurizzata,
•
e reattori a metallo liquido
43
reattori ad acqua bollente: l’acqua è a diretto contatto con il nocciolo caldo e viene
vaporizzata; il vapore prodotto viene inviato direttamente alla turbina generatrice di
elettricità. Lo svantaggio principale di questo sistema è che l’acqua può diventare radioattiva
(secondo svariati processi) ed in caso di fuga la contaminazione ambientale è assicurata.
reattore ad acqua bollente
reattore ad acqua pressurizzata
reattori ad acqua pressurizzata: in questo tipo di reattore vi sono due circuiti separati. Nel
circuito primario, a contatto diretto con il reattore, circola dell’acqua che viene mantenuta
allo stato liquido ad elevate temperature (300-330 °C), grazie all’impiego di elevate
pressioni (circa 155 bar). L’acqua di questo circuito assorbe il calore della fissione e lo cede,
mediante opportuni scambiatori, al circuito secondario contenente acqua non pressurizzata
che,quindi, evapora ed aziona le turbine. Il vantaggio di questo disegno è che l’acqua a
contatto con la zona radioattiva resta sempre isolata dalla parte “ordinaria” della centrale.
Il vapore che esce dalla turbina, a bassa temperatura e pressione, entra in un ultimo
scambiatore di calore, che fa condensare l'acqua raffreddandola con un terzo circuito.
L'acqua di questo circuito, ovviamente, non viene a contatto con niente di radioattivo, visto
che l'acqua del primario, leggermente radioattiva, non entra a contatto con l'acqua del
secondario, ma scambia solo calore attraverso pareti impermeabili Quindi a questo scopo si
può usare acqua che viene da un fiume o dal mare, a patto poi di reimmetterla nel fiume (o
in mare) da cui la si è presa a valori di temperatura accettabili.
Esistono ovviamente leggi che prescrivono limiti di temperatura e portata con cui deve
essere reimmessa l'acqua nei fiumi, per evitare danni all'ecosistema locale. Nel caso in cui
sia necessario raffreddare l'acqua dell'ultimo circuito questa viene raffreddata ad aria tramite
torri di raffreddamento. Queste strutture, spesso enormi (a volte si usano torri alte fino a
140 m..) hanno la forma caratteristica che è restata nell'immaginario collettivo come tipica
di una centrale nucleare (vedi fig.).
Interno di una centrale
centrale Svizzera
reattori a metallo liquido: il termovettore è costituito da sodio liquefatto (o da altri metalli
alcalini). Il vantaggio rispetto il modello ad acqua pressurizzata è che le temperature di
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esercizio possono essere più elevate e l’efficienza complessiva aumentata per la migliore
conduttività termica del sodio. Questi reattori sono chiamati autofertilizzanti.
La caratteristica fondamentale di un reattore autofertilizzante è nel fatto che esso può
produrre, a partire da combustibili fertili, una quantità di materiale fissile superiore a quella
che consuma. Il sistema ad autofertilizzazione più diffuso in tutto il mondo usa uranio 238
come materiale fertile. L'assorbimento di un neutrone da parte di un nucleo di uranio 238 dà
luogo a un’emissione beta (β
β−) per cui il nucleo si trasforma nell'isotopo fissile plutonio 239.
La fissione di un nucleo di plutonio 239, innescata da un neutrone, avviene con
emissione di una media di 2,8 neutroni, uno dei quali è necessario per indurre la fissione
nello stadio successivo della reazione a catena. Il reattore che sfrutta il sistema
autofertilizzante più avanzato è l' LMFBR (Liquid Metal Fast Breeder Reactor, Reattore
autofertilizzante rapido a metallo liquido), in cui la velocità dei neutroni destinati alla
produzione di plutonio viene mantenuta alta, per massimizzare l'efficienza del sistema. Va
quindi escluso qualunque materiale moderatore, come ad esempio l'acqua, che rallenterebbe
i neutroni. Come refrigerante viene usato un metallo liquido, generalmente sodio. Il tempo di
raddoppiamento, cioè il tempo in cui il reattore produce una quantità di combustibile doppia
rispetto a quella originaria, è di circa 10 anni.
Lo sviluppo del sistema LMFBR è iniziato negli Stati Uniti prima del 1950, con la
costruzione del primo reattore autofertilizzante sperimentale, EBR-1. Sono stati poi installati
reattori autofertilizzanti operativi in Gran Bretagna, Francia, Russia e altri paesi dell'ex
Unione Sovietica; procede inoltre il lavoro a scopo sperimentale in Giappone e in Germania.
Nei reattori autofertilizzanti le scorie sono molto pericolose per la presenza di plutonio.
Inoltre questi reattori presentano rischi molto più grandi degli altri a neutroni termici per il
fatto che dopo un certo periodo di funzionamento il combustibile deve essere trattato
opportunamente per estrarne il materiale fissile che si è formato. Questo comporta una serie
di operazioni periodiche ad alta pericolosità, come rimozione del combustibile, suo trasporto,
manipolazione in laboratori di estrazione, etc. che rendono i reattori autofertilizzanti ad
altissima pericolosità. Occorre anche non sottovalutare, per questo tipo di reattori, l'alta
pericolosità sociale dato che il plutonio, prodotto in grande quantità, può essere usato
direttamente per scopi militari.
Rischio nucleare
L’utilizzo dell’energia nucleare per produrre energia elettrica comporta dei vantaggi e
dei rischi.
Tra i primi possiamo citare:
•
disponibilità della materia prima (soprattutto nel caso della fusione)
•
elevata resa per unità di materiale utilizzato (la fusione di1kg di U235 produce circa 23
Gwh di energia; la fusione di 1 kg della miscela deuterio-trizio sviluppa circa 100 Gwh)
•
nessuna emissione di gas a effetto serra
•
nessuna emissione di gas responsabili delle piogge acide
•
nessuna emissione di particolato
I rischi possono essere raggruppati in due grosse categorie:
•
rischi termici
•
e rischi delle scorie.
I rischi termici sono tutti quei problemi che possono sorgere per il superamento
eccessivo della potenza progettata del reattore. Una potenza troppo alta sottopone a
sollecitazioni eccessive i materiali di cui è costruito il reattore e può provocare perfino la
fuoriuscita di materiale ad alta radioattività (come nel famoso incidente di Chernobyl del
1986).
Le scorie sono costituite sia da nuclidi prodotti dalla fissione sia da materiali presenti
nel combustibile che per reazione con i neutroni nel nocciolo si sono trasformati in nuclidi
radioattivi. Di solito le scorie vengono separate in base alla loro radioattività, cioè in base
alla durata media del loro periodo di "raffreddamento", e poi vengono riposte in depositi a
"raffreddare".
Le varie tappe di approvvigionamento e smaltimento del combustibile formano un ciclo
chiuso: l'uranio radioattivo naturale è estratto dal suolo e alla fine le scorie radioattive
prodotte dall'utilizzazione dell'energia nucleare sono restituite al suolo protette da numerose
barriere.
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Solitamente il materiale fissile viene sfruttato in un reattore per 3 o 4 anni. Durante
questo periodo di tempo la quantità di nuclei di uranio-235 diminuisce a causa delle reazioni
di fissioni producendo un impoverimento del combustibile. Contemporaneamente si formano
prodotti di fissione (una parte dei quali
radioattivi) e plutonio-239.
Lo smaltimento di tutti questi prodotti,
detti
comunemente
scorie
radioattive,
avviene in due modi:
•
trattamento delle scorie per il recupero
di uranio e plutonio
•
immagazzinamento definitivo delle scorie
come rifiuti.
Prima di essere immesse in un deposito
geologico in profondità, tutte le categorie di
scorie radioattive devono essere imballate (o
condizionate, in gergo tecnico). Gli elementi
di combustibile esauriti sono trattati in
impianti di ritrattamento: attraverso un
processo chimico, le sostanze riutilizzabili,
Ciclo del combustibile
come il plutonio e l'uranio, sono recuperate
dagli elementi di combustibile esauriti, per
poter poi essere riciclate in nuovi elementi. Le sostanze residue altamente radioattive
vengono vetrificate. Le scorie mediamente radioattive a lunga durata e quelle debolmente e
mediamente radioattive
sono solidificate con il
cemento. Per limitare al
massimo
l’eventuale
contatto con l’acqua le
scorie
vengono
poi
rinchiuse ermeticamente
in
fusti
d’acciaio
e
seppellite, a profondità
opportune, in formazioni
geologiche
particolarmente stabili.
La Finlandia è stata il
primo Paese del mondo
a decidere la costruzione
di un deposito finale per
scorie radioattive. Anche in Finlandia i comuni
hanno litigato a lungo sull'ubicazione definitiva. A
differenza del resto del mondo, però, non perché
nessuno voleva i rifiuti, ma perché all'inizio si
erano candidati quattro comuni. Intanto si sta
realizzando una nuova centrale nucleare, dopo il
via libera della commissione europea, nell’isola di
Olkiluoto. In questo sito si trovano altre due
centrali (Olkiluoto 1 e Olkiluoto 2). . Si tratta di
un reattore ad acqua in pressione di nuovo tipo
che viene costruito da un consorzio francese ed è
il più ambizioso progetto nella storia finlandese.
Con una potenza prevista di 1600 Megawatt sarà
la centrale nucleare più potente al mondo.
L’impianto dovrà entrare in funzione nel 2009.
La nuova centrale è destinata a soddisfare la
deposito per scorie radioattive in Finlandia
richiesta supplementare di elettricità della
Finlandia e a sostituire i vecchi stabilimenti alimentati a combustibile fossile, La costruzione
del nuovo reattore nucleare Olkiluoto 3 potrebbe avere ripercussioni anche in altri pesi
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europei. La supercentrale potrebbe fornire elettricità all’estero, ma soprattutto stimolare il
potenziamento e la ripresa dell’energia nucleare in altri paesi, nonché dare il via alla
costruzione di nuovi reattori.
Centrali nucleari nel mondo.
Nel mondo, ad agosto 2007, sono in funzione 439 centrali nucleari per un totale di 372.002
Mwelettrici;alla stessa data sono in costruzione altri 34 impianti per una potenza di 27.838
Mwh el, mentre è stata pianificata la costruzione di altri 81 reattori per altri 89.175 Mwhel.
A livello mondiale la produzione di energia elettrica col nucleare è superiore al 16%, ma
molti Paesi soddisfano tramite il nucleare gran parte del proprio fabbisogno interno:
•
Francia: 78% fabbisogno energetico interno
•
Paesi dell'Europa dell'Est: 40-50%
•
USA: 19%
L'Europa soddisfa mediamente il 35% del proprio fabbisogno energetico interno
mediante l'uso di centrali nucleari, anche se nel dato medio pesa fortemente la politica
energetica francese. Il caso della Francia è unico al mondo, ben il 78% dei consumi
energetici francesi sono soddisfatti mediante reattori nucleari. Nelle figure sottostanti sono
riportati i siti dove si trovano le centrali nucleari; compaiono anche le centrali italiane che,
tuttavia non sono attive.
La fusione nucleare
Anche la fusione di due nuclei atomici libera energia. A differenza della fissione
nucleare, però, la fusione è possibile solo
con nuclei leggeri, come ad esempio il
deuterio e il trizio.
La fusione nucleare costituisce la
fonte energetica del sole (quattro nuclei
d'idrogeno si fondono formando elio) e si
ripete da miliardi di anni all'interno delle
stelle. Le
difficoltà
tecniche
per
l'applicazione industriale sono enormi,
anche se il fenomeno di fusione è stato
dimostrato negli impianti di ricerca.
La
difficoltà
maggiore,
nel
riprodurre sulla terra la reazione di
fusione, viene dal fatto che per far
avvenire la reazione i due nuclei reagenti
debbono
avvicinarsi
vincendo
la
repulsione coulombiana. Ciò richiede una
energia "di attivazione" elevatissima; nelle stelle invece esistono le condizioni ideali per
consentire la fusione dei nuclei.
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Per quanto riguarda gli usi bellici (bomba a idrogeno) le difficoltà sono state superate: per
fornire l’energia necessaria per innescare la reazione di fusione viene prima fatto esplodere
un ordigno nucleare a fissione
La tecnica più studiata fino ad oggi è quella che impiega un forte campo magnetico per
confinare un plasma formato da nuclei di deuterio e trizio.
ad alta temperatura, in modo che questo non venga in contatto col materiale con cui viene
realizzato il reattore. Per innescare la reazione la temperatura dovrebbe essere di circa 108
°C però a tutt'oggi non si è ancora riusciti a stabilizzare il plasma con una temperatura così
alta per tempi sufficientemente lunghi da avere un autosostentamento costante della
reazione.
L'elettricità ottenuta attraverso la fusione nucleare comporterà dei notevoli vantaggi in
termini di resa (100 GWh/kg contro 23 GWh/kg della fissione).
La produzione di energia da fusione nucleare potrebbe risultare più sicura di quella da
fissione per due ragioni:
•
non si producono scorie radioattive, anche se durante il funzionamento della reazione si
ha una alta emissione di neutroni;
•
la reazione non procede a catena, come nella reazione di fissione, per cui la si può
arrestare quando si vuole senza alcun pericolo che essa sfugga al controllo.
Inoltre le materie prime (deuterio e trizio) sono disponibili in grandi quantità. Il deuterio si
può ricavare dall’acqua degli oceani ed il trizio può essere ottenuto dal litio, con opportuni
trattamenti. L'orizzonte di tempo per realizzare un reattore industriale sembra ancora molto
lungo; nel 1975 si prevedeva una applicazione commerciale per i primi anni del 2000!
IL NUCLEARE IN ITALIA
L'Italia possedeva quattro centrali nucleari situate a:Corso, Garigliano, Latina, Trino
Vercellese. Dopo l’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986 ed in seguito al referendum
popolare dell’autunno 1987, il governo italiano imponeva:
•
una moratoria di cinque anni per la costruzione di nuovi impianti nucleari;
•
la sospensione della costruzione delle nuove centrali di Trino Vercellese 2 e della
centrale Alto Lazio (Montalto di Castro),
•
la chiusura della centrale di Latina
•
e la sospensione dell’esercizio delle centrali di Trino Vercellese 1 e Caorso, la cui
chiusura definitiva fu deliberata dal CIPE il 26 luglio 1990.
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