Influenza della televisione sull`affettivitá dei bambini

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INFLUENZA DELLA TELEVISIONE SULL’AFFETTIVITA’ DEI BAMBINI
(Pubblicato nel libro “Il diritto al gioco” a cura di Clementina Gily Reda – Luglio 2000 )
Il ruolo dei mass-media e dei modelli culturali
Il ruolo dei fattori sociali e culturali nella determinazione del comportamento umano sembra
ai nostri giorni molto più evidente che in passato, data la massiccia estensione e diffusione della
tecnologia moderna, la quale ha notevolmente modificato la società umana in tutti i suoi aspetti.
Come afferma McLuhan, «il messaggio di un medium o di una tecnologia è nel mutamento di
proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani. La ferrovia non ha introdotto
nella società né il movimento, né il trasporto, né la ruota, né la strada, ma ha accelerato e
allargato le proporzioni di funzioni umane già esistenti creando città di tipo totalmente nuovo e
nuove forme di lavoro e di svago». Così, lo studio dei media che pervadono la nostra vita
quotidiana, prende in considerazione non solo il contenuto, ma il medium stesso e la matrice
culturale entro la quale esso agisce; allo stesso modo, non si può stabilire la bontà o la negatività
dei prodotti della scienza moderna senza considerare il modo in cui essi vengono usati. C’è,
oltretutto, da fare una differenza tra i cosiddetti medium caldi, come la radio o il cinema, ed i
medium freddi come la TV o il telefono; i primi non lasciano molto spazio che il pubblico debba
colmare o completare, mentre i secondi implicano un alto grado di partecipazione o di
completamento da parte del pubblico. Questo significa che gli effetti della radio sull’utente
saranno molto diversi da quelli della televisione. Così si sta passando sempre più dallo studio del
contenuto dei messaggi a quello del loro effetto totale; «l’interesse per l’effetto anziché per il
significato è una novità fondamentale dell’era elettrica in quanto l’effetto mette in gioco la
situazione totale e non un solo livello di informazione». Continuando la sua riflessione sull’impatto
della Tv nella vita quotidiana e nell’istruzione in particolare, McLuhan afferma poi che «noi
consideriamo la TV un sussidio accidentale quando in realtà ha già trasformato i processi di
apprendimento dei giovani, indipendentemente da ciò che imparano a casa o a scuola».
Nell’attuale «villaggio elettronico», infatti, l’esperienza del mondo è irrisoria in confronto a quella
filtrata dai media che finiscono con il modellare in buona parte la visione che l’uomo ha della
realtà.
In particolare, il tema dell’influenza della visione di spettacoli aggressivi non è, in realtà, che
un aspetto specifico del più generale tema dell’influenza della televisione sull’apprendimento di
modelli comportamentali di varia natura. In questi anni è imponente l’interesse per questi temi in
quanto la televisione è oramai entrata nel mondo occidentale in tutte le famiglie e rappresenta
uno strumento dal quale anche e soprattutto i bambini sono fortemente attratti. D’altra parte, in
tema di aggressività, è evidente che il più vasto campionario di modelli per l’apprendimento di
comportamenti violenti è offerto proprio dai mezzi di comunicazione di massa e in particolare
dalla televisione; mentre altri media, infatti, si sono imposti varie forme di autocensura, i
programmi televisivi sono pieni di rappresentazioni dirette della violenza. Il fenomeno del contagio
dei comportamenti aggressivi è dimostrato dall’andamento ciclico dei nuovi stili di violenza che
molto assomiglia a quello delle mode e di tutte le forme epidemiche di comportamento. Da queste
preoccupazioni ha preso l’avvio un abbondante lavoro di ricerca sugli effetti della televisione, nei
bambini specialmente. Coloro che maggiormente si sono occupati di questo argomento sono
soprattutto i teorici dell’apprendimento; autori come Bandura e Berkowitz avevano già negli
anni ’70 evidenziato l’influenza negativa dell’esposizione, sia essa televisiva che cinematografica, a
modelli aggressivi. Secondo questi autori c’è innanzitutto da considerare l’azione diretta di
insegnamento, di cui non va sottovalutato l’effetto di “aggiornamento tecnico” che i telefilm e i
vari programmi televisivi forniscono alla popolazione in genere (ma che probabilmente ha il suo
maggiore impatto e utilità sulla popolazione carceraria). Inoltre, il modo in cui viene rappresentata
la violenza riduce le inibizioni, offrendo abbondanti giustificazioni riguardo le remore morali;
essendo spesso l’aggressione presentata come la soluzione ottimale dei conflitti, questi messaggi
veicolano l’immagine della violenza quale strumento principe per il trionfo del bene sul male.
Alla luce dei primi risultati della nostra ricerca-azione, siamo indotti a ritenere ora che tutta
questa
fondamentale
elaborazione teorica
vada arricchita
con
la
valutazione degli
approfondimenti della funzione catartica della visione di scene di violenza a cui già accennava
Freud e che nella dottrina a lui successiva è stata largamente sottostimata. L’assunto che ci
sentiamo di proporre e che naturalmente è da verificare, con ulteriori esperimenti sul campo e da
sostanziare in altra occasione in sede scientifica, è che la funzione catartica possa giungere non
solo a contenere l’istinto di aggressività, ma addirittura a ridurlo, se non ad eliminarlo, grazie ai
processi di elaborazione fantasmatica dei dati oggettivi che cadono sotto la nostra osservazione.
Un tale processo, che risulta più agevole e naturale nei bambini, essendo essi meno
condizionati degli adulti dai vissuti di violenza individuale e sociale, può anzi produrre negli adulti
effetti maggiormente incidenti, essendo essi maggiormente indotti dall’esperienza ai processi di
razionalizzazione.
I modelli teorici più recenti, inoltre, non si limitano a considerare l’influenza del mezzo
televisivo come stimolo esterno, ma prendono in esame molte variabili individuali, familiari e
sociali ed in particolare i processi psichici coinvolti; lo spettatore, infatti, sia esso adulto che
bambino, non è psicologicamente inerte di fronte agli stimoli televisivi, ma compie complessi
processi di elaborazione nei confronti dell’immagine e del messaggio. La teoria dell’elaborazione
dell’informazione ha permesso dunque di aggiungere, ai risultati delle ricerche precedenti, la
conoscenza dei processi psichici coinvolti nello spettatore di un programma televisivo violento.
Ad un primo livello, quello cosiddetto della codifica dell’informazione, la televisione può
offrire dei modelli di comportamento aggressivo, dei copioni da inserire in memoria; a questo
stadio è rilevante la valenza emotiva dell’evento, in quanto una sua connotazione non neutra ne
aumenta la salienza ed aumenta la probabilità che il copione aggressivo venga memorizzato
stabilmente. Ad un secondo livello, che è quello della ripetizione del modello per la sua fissazione
in memoria a lungo termine, la televisione può agire come momento di esercizio e ripetizione,
appunto, indiretta di schemi aggressivi; attraverso l’identificazione con i personaggi televisivi,
infatti, si esercitano indirettamente le sequenze comportamentali violente che si stabiliscono così
nella memoria. Inoltre, maggiore è l’identificazione, maggiore è l’effetto di memorizzazione del
comportamento; questo implica che le età che maggiormente si caratterizzano per la ricerca di
modelli di identificazione, quali la preadolescenza e l’adolescenza, siano anche quelle nelle quali
tale fenomeno ha più effetto.
Ed è qui che può inserirsi ora un terzo livello. Dopo quello della codifica e quello della
ripetizione del modello e della identificazione con esso, il livello del distacco e del superamento del
modello. Metabolizzando la “ritualità” delle situazioni di violenza e di aggressività, si metabolizza,
insieme, la loro “irritualità” rispetto al pacifico contesto civile a cui per vivere e sopravvivere
naturalmente si tende. E si razionalizza, dunque, la opportunità di ridurre i comportamenti violenti.
Questo vale, a prescindere dalla fascia di età di appartenenza, anche per quei soggetti che
vivono in ambienti di vita in cui non esistono modelli di identificazione adeguati. Dato che
l’identificazione con il modello è più facile quanto più questo viene vissuto come realistico, ne
deriva che i ragazzi la cui famiglia e ambiente sociale circostante offrono frequenti esempi di
comportamento aggressivo, sono quelli che maggiormente saranno influenzati dai modelli
televisivi violenti; in questi casi, infatti, la televisione aumenta il rischio che gli schemi
comportamentali offerti dall’ambiente vengano immagazzinati.
Ma si può immagazzinare e razionalizzare, anche, il comportamento di segno opposto.
Lo studio di Bandura, cui si è accennato precedentemente, insieme a molti altri che
successivamente si sono aggiunti, ha portato alla comune convinzione che assistere a scene di
violenza accresce l’aggressività dell’osservatore. In America si sono moltiplicati gli studi sugli effetti
della violenza dei mezzi di comunicazione sui bambini; si è riscontrato che un normale bambino
americano all’età di sedici anni ha assistito più o meno a 20.000 omicidi e molti di questi bambini
imitano il comportamento di tipo aggressivo degli eroi televisivi. In accordo con queste ipotesi, i
risultati di uno studio longitudinale dimostrano che effettivamente la televisione incoraggia la
violenza, come si vede dallo schema riportato nel CdROM.
Sebbene, però, molti studi di correlazione come questi abbiano messo in luce che esiste una
correlazione tra l’assistere a spettacoli violenti per televisione e il comportamento aggressivo,
queste ricerche non possono dirci se la televisione ispira comportamenti aggressivi o se invece gli
individui aggressivi tendono più frequentemente a scegliere programmi televisivi con molte scene
di violenza. In realtà, non ha senso seguire un modello di spiegazione unicausale, secondo il quale
sia nella famiglia, nell’ambiente sociale o nella televisione la causa del comportamento aggressivo.
Risultati della ricerca
Si è visto come i diversi autori si siano schierati in posizioni teoriche opposte rispetto alla
definizione dell’aggressività come istinti o comportamento appreso; ugualmente esistono ipotesi
divergenti riguardo l’effetto dell’esposizione a comportamenti violenti ed aggressivi. Da una parte,
di derivazione freudiana, si sostiene l’ipotesi della funzione catartica, secondo cui assistere a scene
di violenza permetterebbe allo spettatore di scaricare vicariamente la propria energia aggressiva
attraverso l’identificazione con l’aggressore; dall’altra, l’identificazione con un modello aggressivo
aumenta le probabilità che venga messa in atto successivamente un comportamento violento in
funzione dell’azione degli agenti rinforzanti e dell’apprendimento osservativo.
Sebbene non sia possibile assumere una posizione radicale in un senso o nell’altro della
disputa, i dati da noi ottenuti finora danno maggiore sostegno all’ipotesi della riduzione catartica
dell’aggressività. La numerosità del campione studiato e alcune difficoltà organizzative intervenute,
ci hanno permesso, ad oggi, di completare l’analisi dei dati raccolti nei tre gradi di scuola
appartenenti alla fascia socioeconomica del proletariato. I grafici riportati di seguito sono relativi
alle percentuali di colori aggressivi e pacifici usati in ognuna delle 4 vignette proposte e alle
risposte verbali attribuite ai personaggi dei fumetti, anch’esse distinte in aggressive e pacifiche per
ognuna delle 4 vignette. Per rendere immediatamente leggibili ed intuibili i risultati ottenuti, ci
sembra utile raggruppare tali grafici per gradi di scuola e per gruppi sperimentali, in modo da
poter confrontare le differenze riscontrate nelle diverse condizioni di esposizione televisiva;
inoltre, per considerare l’influenza della variabile sesso, ci è sembrato opportuno riportare i dati
separati per maschi e femmine, oltre ai dati riassuntivi di entrambi i sessi.
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