i nuovi cittadini: percorsi di ricerca e voci degli adolescenti di origine

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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA
FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
Corso di studio in Educatore Sociale
I NUOVI CITTADINI: PERCORSI DI RICERCA E VOCI DEGLI
ADOLESCENTI DI ORIGINE STRANIERA
Prova finale in
ANTROPOLOGIA CULTURALE
Relatore:
Presentata da:
Prof . Ivo Giuseppe Pazzagli
Alice Bertuccioli
Correlatore:
Dott.ssa Federica Tarabusi
Sessione I
Anno accademico
2008-2009
1
2
INDICE
Ringraziamenti………………………………………………………….
5
Introduzione…………………………….……………………………….
6
CAPITOLO 1
La questione delle “seconde generazioni” di immigrati in Italia:
confronto del fenomeno e problemi di definizione ……………………..... 8
1.1 Le difficoltà metodologiche nella ricerca sulle seconde generazioni ……………....
1.2 Quale “seconda generazione”? Il dibattito attorno al termine ………………............
1.3 Le diverse assimilazioni delle “seconde generazioni” nella nuova società…………
1.3.1 Le “seconde generazioni”: il confronto con i modelli esteri …......................
11
15
22
24
CAPITOLO 2
I giovani di origine non italiana e il rapporto con le istituzioni ……….... 30
Lavorano, vanno a scuola ma non sono cittadini: aspetti e fattori per diventare
cittadini italiani……………………………………………………………….......…
2.2 Le istituzioni mediatrici: la famiglia e la scuola……..……………...........................
2.2.1 Lo spazio familiare: aspettative e conflitti……………..................................
2.2.2 Il viaggio all’improvviso………..…………………………………...............
2.3 Il rapporto tra le “seconde generazioni” e la scuola…………………........................
2.3.1 L’ingresso a scuola…………………………………………………..............
2.3.2 La conoscenza della lingua italiana………………………………….............
2.1
31
34
35
39
42
47
49
CAPITOLO 3
Le teorie legate al concetto di differenza ……………………………….... 52
3.1 La prospettiva pluralista o essenzialista…………….…………………………........
3.2 La prospettiva costruzionista……….……………………………………….............
3.3 Multiculturalismo quotidiano………………….…………………………….......…..
3.3.1 I concetti di cosmopolitismo e transnazionalismo…...………………...........
55
57
59
62
CAPITOLO 4
Un approccio etnografico alla ricerca ………………………………......... 67
4.1 Dispositivi d’indagine 1: l’ osservazione partecipante…………............................... 70
4.2 Dispositivi d’indagine 2: la conversazione…………………………………….....… 79
Dispositivi d’indagine 3: le interviste all’interno della ricerca: “Giovani delle terre
4.3
di mezzo”………………...………………………………………………..............… 83
CAPITOLO 5
La ricerca …………………………………………………………............... 87
5.1 Un processo continuo di costruzioni, di identificazioni e distinzioni……………….
3
88
5.1.1 La resistenza culturale………………………………………………………
5.1.2 Mimetismi………………………………………………..............................
5.1.3 Essere al margine…………………………………………………...…….....
5.1.4 Giocare tra più fronti: “Italiani con il trattino”………………………….......
5.2 Il rapporto tra l’istituzione scolastica e i protagonisti della ricerca…………............
5.2.1 Dati relativi alla presenza dei ragazzi di origine non italiana nella provincia
di Rimini…………………………………………………………………….
5.2.2 Gli interventi di sostegno all’apprendimento della lingua italiana negli
istituti scolastici della provincia di Rimini………………………………….
89
91
93
94
97
Conclusioni…………………………………………………………….........
108
98
100
Bibliografia ………………………………………………………..….......... 111
Altre Fonti ………………………………………………………………...... 114
Sitografia ………………………………………………………………........ 116
4
Ringraziamenti
Ringrazio la mia famiglia che mi ha permesso di arrivare fino a questo
punto e ha fatto sì che passassi questi tre anni universitari. Ringrazio
mia sorella Sara, che anche se ora si trova in Francia, mi ha sempre
aiutata con i suoi consigli e aiuti, durante la stesura della tesi.
Ringrazio Gigi che mi ha sopportato e aiutato durante questi mesi.
Ringrazio Simone che mi ha aiutata nell’impaginazione della tesi.
Ringrazio il Prof. Pazzagli per avermi seguito durante l’elaborazione
della tesi.
Ringrazio la Dott.ssa Tarabusi, per avermi dato preziosi consigli sulla
parte etnografica e antropologica di questo elaborato e avere accettato
di essere il correlatore di questa tesi. Senza le sue riflessioni, critiche e
suggestioni, sicuramente questa trattazione non sarebbe come è ora.
Ringrazio Aziz che mi ha permesso di entrare nella sua vita e
attraverso i suoi racconti e consigli, mi ha fatto comprendere il suo
mondo e la sua visione riguardo le tematiche affrontate in questa tesi.
Ringrazio l’Associazione Arcobaleno che con i suoi progetti mi ha
permesso di entrare in contatto con i bambini e i ragazzi di origine
straniera.
Ringrazio “Volontarimini” ed “Extrafondente” che mi hanno concesso
di partecipare alla ricerca azione “Giovani delle terre di mezzo”.
Ringrazio i ragazzi della ricerca per la loro disponibilità a farsi
intervistare.
Ringrazio i bambini dell’extrascuola di Cattolica che con la loro
felicità e gioia hanno reso questi miei giorni meno tristi.
Infine ringrazio coloro che se non avessi avuto l’onore di conoscere,
non mi sarei dedicata al tema dei ragazzi di origine straniera.
5
Introduzione
In questo elaborato verrà affrontato il tema delle “seconde
generazioni” di immigrati.
Studiare le seconde generazioni in Italia significa aprire una questione
che, nel prossimo futuro susciterà un importante ed interessante
dibattito, il quale non sarà più rigidamente circoscritto soltanto
dall’immigrazione.
Infatti, l’integrazione dei ragazzi di origine non italiana, non
rappresenta
soltanto
una
tappa
fondamentale
dei
fenomeni
immigratori, ma un importante fattore di cambiamento sociale per le
società riceventi.
Le società riceventi, infatti, devono prepararsi ad accogliere ed
accettare la presenza di più culture, creando attraverso l’approccio
interculturale una dimensione di arricchimento reciproco.
Affrontare la tematica della seconde generazioni di immigrati in
termini di trasformazione e di sfida per la coesione sociale risulta
quindi molto importante: gli adolescenti di cui sto parlando
rappresentano parte del futuro dell’Italia e sono portatori di culture e
forme di pensiero plurime.
Questa tesi nasce dalla mia esperienza di tirocinio svolta presso
l’Associazione “Arcobaleno” di Riccione, dove ho portato avanti
diverse attività, in particolare l’extrascuola, che ha come obiettivo una
maggiore conoscenza della lingua italiana per i ragazzi delle scuole
primarie e secondarie.
Oltre a ciò, partecipando ai diversi incontri che affrontavano i vari
aspetti concerni ai ragazzi di origine non italiana, sono entrata in
contatto con i protagonisti dello scenario analizzato.
I protagonisti di questa Tesi sono infatti, i giovani figli di immigrati
che vivono in Italia, dove sono nati o dove hanno vissuto parte della
loro socializzazione.
6
I ragazzi che sono giunti in Italia attraverso il ricongiungimento
familiare, in modo particolare, devono affrontare sfide spesso
impreviste in una fase così delicata quale quella dell’adolescenza.
Essi, infatti, si trovano a subire la decisione di emigrare in un Paese di
cui spesso non conoscono la lingua e in cui devono costruire da capo
legami sociale e talvolta anche quelli familiari.
All’interno di tale elaborato compariranno i resoconti etnografici e le
conclusioni
riguardanti
due
ricerche:
primariamente
verranno
approfondite quelle messe in atto all’interno dell’esperienza
“extrascuola” a cui ho partecipato, focalizzando lo sguardo in modo
particolare su due bambine che hanno frequentato il laboratorio
extrascolastico.
All’interno
di
tale
indagine
verrà
approfondito
il
metodo
dell’osservazione partecipante, svolta da chi scrive, nell’arco di sei
mesi (novembre 2008- maggio 2009) all’interno di una scuola
primaria di Cattolica (Rn). Verrà approfondito anche il dispositivo
d’indagine delle conversazioni informali, intrattenute con alcuni
ragazzi di origine straniera, protagonisti delle realtà associative nella
regione Emilia Romagna.
La seconda indagine etnografica è stata svolta all’interno di una
ricerca a cui ho partecipato, “I ragazzi delle terre di mezzo”, promossa
dalla Provincia di Rimini, con il contributo di alcune associazioni di
volontariato del territorio riminese tra cui “Arcobaleno”, “Voce in
capitolo”, “Jacqueire” e con il supporto di “Volontarimini”.
Il metodo utilizzato per tale ricerca è di tipo qualitativo a più voci, le
interviste sono state fatte ai giovani di origine straniera che
frequentano gli istituti superiori, ai docenti delle scuole-medie
superiori e agli operatori delle realtà educative territoriali.
Nel primo capitolo di questo elaborato sarà definita la cornice teorica
entro la quale si inseriscono le “seconde generazioni”.
Verrà fatto un breve excursus sulla lettura sociologica e antropologica
7
del termine attraverso le varie teorie finora prodotte, confrontandole
brevemente con i maggiori studi svolti negli Stati Uniti, in Francia e in
Germania.
In seguito tratterò il rapporto che i ragazzi hanno instaurato con le
istituzioni mediatrici fondamentali: la scuola e la famiglia.
Analizzando, le varie difficoltà e risorse che esse dispongono per una
buona inclusione nella nuova società.
Focalizzerò la mia attenzione sull’acquisizione della cittadinanza, uno
dei problemi centrali per questi ragazzi, i quali non vengono
riconosciuti come cittadini all’interno del contesto italiano.
La tesi proseguirà con la trattazione dei concetti di “differenza” e
“identità etnica”. Verranno analizzate le varie teorie inerenti
all’inserimento delle “seconde generazioni”, mostrando il passaggio
dalla teoria pluralista ad una costruzionista, la quale vede la capacità
dei ragazzi di origine straniera nell’usare in modo consapevole e
strategico la propria “diversità” in rapporto ai diversi contesti.
Nel quarto capitolo verranno analizzati i metodi etnografici a cui si è
fatto riferimento all’interno di questo elaborato, circoscrivendo la
realtà dei ragazzi di origine straniera sul territorio della Provincia di
Rimini.
Infine, nell’ultimo capitolo, verranno delineate le riflessioni inerenti ai
temi che percorrono questa tesi quali le varie identificazioni che i
ragazzi si attribuiscono e il rapporto con l’istituzione scolastica, a
seguito delle ricerche etnografiche svolte.
8
1- La questione delle “seconde generazioni” di immigrati
in Italia: confronto del fenomeno e problemi di
definizione.
Il fenomeno dell’immigrazione in Italia si configura negli anni
settanta, caratterizzato da una prevalenza di flussi dai paesi di
sviluppo avanzato. E’ a partire dalla seconda metà degli anni ottanta
che il fenomeno inizia ad assumere proporzioni tali da attirare
l’attenzione costante della politica, di istituzioni e dell’opinione
pubblica.
Circa un quinto della popolazione straniera presente oggi nel nostro
paese è costituita da minori: bambini e ragazzi nati oppure giunti in
Italia a seguito della ricomposizione dei nuclei familiari.
Una nuova età compare dunque sulla scena dell’immigrazione e pone
agli operatori, ai servizi, alle scuole del nostro paese la necessità di
una conoscenza approfondita ed una riflessione sul tema, progettando
interventi innovativi ed efficaci.
La formazione di una nuova generazione di immigrati rappresenta non
solo un nodo cruciale dei fenomeni migratori, ma una sfida per la
coesione sociale e un fattore di trasformazione del Paese.
“Di anno in anno, per effetto dei nuovi nati (e dei ricongiungimenti familiari)
aumenta il numero delle seconde generazioni. Vi è un nocciolo duro di adolescenti e
giovani, nati in Italia o arrivati prima dell’inizio della scuola dell’obbligo alla fine
degli anni Ottanta (o agli inizi degli anni Novanta). Avanguardie dei futuri cittadini
italiani, esponenti della generazione dei “giovani cosmopoliti”1.
La presenza in Italia di figli di migranti è il segnale più evidente del
passaggio da immigrazioni temporanee a insediamenti durevoli, a
volte definitivi, con la trasformazione delle immigrazioni di lavoro, in
1
Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes, 2006, Pag. 168
9
immigrazioni di popolamento.
Oggi, infatti, la migrazione non è più rappresentata da persone
singole, come avveniva in passato, ma prevalgono soggetti coniugati
ed interi gruppi famigliari. L’immigrazione di popolamento, a
differenza di quella di lavoro porta maggiori conseguenze nell’assetto
sociale, in quanto va ad interessare tutte le sfere della società, della
politica e in particolare quella culturale e sociale.
“(…) In molti paesi l’immigrazione è ormai strutturale, consolidata, composta da
nuclei familiari, da soggetti portatori di diritti e non più da singoli lavoratori ospiti.
Una quota significativa di nuovi nati, oggi stranieri figli di genitori stranieri, saranno
domani cittadini sia attraverso le naturalizzazioni sia attraverso il diritto del suolo.
L’insieme di questi processi dà origine a seconde e terze generazioni figlie
dell’immigrazione”2.
2
Queirolo Palmas L., Prove di seconde generazioni. Giovani di origine
immigrata tra scuola e spazi urbani, Franco Angeli, Milano, 2006, pag.29
10
1.1 Le difficoltà metodologiche nella ricerca sulle seconde
generazioni
Quando si studiano le seconde generazioni di migranti, ci si trova
spesso ad affrontare problemi metodologici rilevanti. In primo luogo,
le varie metodologie di raccolta dati sulle minoranze etniche a volte
non tengono conto della differenza fra stranieri, nativi e stranieri
nativi, tralasciando in questo modo quella che è la vera realtà delle
seconde generazioni.
Ciò si verifica in Italia, dove i bambini nati da genitori stranieri
prendono la nazionalità dei loro genitori: essi possono chiedere la
cittadinanza italiana entro un anno dal raggiungimento del
diciottesimo anno di età, soltanto se essi risultano, al momento della
domanda, continuativamente residenti in Italia.
La questione della cittadinanza è estremamente problematica in Italia
e non definita in modo chiaro da nessun paese europeo, dove la
filiazione da famiglie immigrate detiene ancora un enorme peso
sull’acquisizione della nazionalità del Paese di arrivo.
Un secondo problema è inoltre costituito dalla scelta di chi includere
nella cosiddetta “seconda generazione”. Esistono molte ambiguità,
perché da un lato, comprende ragazzi con percorsi migratori ed
esperienze diverse e dall’altro riunisce due sotto-gruppi, quello dei
minori e quelli degli adolescenti. A tal proposito, trovo utile riportare
una parte del testo della Raccomandazione del Consiglio d’Europa
dove vengono considerati
“migranti della seconda generazione i bambini che sono nati nel paese di
accoglienza di genitori stranieri immigrati, ve li hanno accompagnati, oppure li
hanno raggiunti a titolo di ricongiungimento familiare e che vi hanno compiuto una
parte della loro scolarizzazione o della loro formazione professionale”. Nel
suddetto testo si parla inoltre di “bisogni supplementari” che essi hanno, e “i quali
11
derivano dalla specifica condizione di piccoli migranti (in bilico tra due paesi, due
mondi, due universi simbolici)”3 (1984).
L’argomento delle “seconde generazioni” presenta tre grandi
tematiche da cui non è possibile discostarsi nell’ambito della
riflessione su tale fenomeno. Esse sono rappresentate da pluralità,
lessico, oggetto di indagine.4
Per quanto riguarda il lessico, la difficoltà maggiore sta nel fatto di
utilizzare una terminologia appropriata , non tanto per la definizione
generale dell’ambito di studio dei giovani stranieri, quanto per la
descrizione, ogni volta differente, del percorso di inserimento nella
società che i gruppi immigrati compiono, a seconda del Paese in cui si
trovano
Il termine inteso in senso “plurale”, si riferisce al movimento delle
seconde generazioni di immigrazione su un piano tridimensionale
nell’ambito della società globale, per via delle origini.
Questi momenti diversi: si basano infatti sull’ epoca storica della
prima migrazione a cui fanno riferimento, all’appartenenza di origine
della propria cultura, alla loro integrazione nell’ambito nazionale o
regionale di destinazione.
Le seconde generazioni dello stesso gruppo di appartenenza infatti,
possono
avere meccanismi di arrivo e di accoglienza differenti a seconda del
Paese in cui si dirigeranno: il tono della società, dello stile di vita a cui
vanno incontro, gli effetti della politica del paese di arrivo, sono
diversi a seconda delle differenti realtà sociali.
3
http://www.trickster.lettere.unipd.it/doku.php?id=seconde_generazioni:salva
ti_scuola
4
Marco Demarie, intervento sul tema delle seconde generazioni al
seminario europeo su "Immigrazione, Mercato del lavoro e
Integrazione", Como, 20-21 novembre 2003.
http://www.fga.it/fileadmin/storico/pdf/demarie_como.doc
12
M. Demarie sostiene a questo proposito che
“Il problema è dunque in primo luogo, ed al tempo stesso, teorico e politico: un vero
consenso europeo su come affrontare nei suoi mille possibili aspetti la questione
dell’immigrazione e del suo futuro è ancora in formazione, anche se non mancano i
principi. Sul piano dei progetti politici nazionali, delle culture politiche, delle
opinioni pubbliche, dei media riscontriamo uno spettro ampio ma spesso, sul piano
degli argomenti, fragile di posizioni e visioni. Non stupisce quindi che tale
situazione si rifletta sull’imprecisione del nostro linguaggio.
Chiunque abbia consuetudine con la ricerca internazionale sa bene quanto difficile
sia il dialogo e il confronto su questo tema, a partire dalla costituzione di un
vocabolario
minimo
condiviso:
ogni
termine utilizzabile –
integrazione,
assimilazione, inserzione, incorporazione, inclusione – reca con sé una serie di
implicazioni storiche, ideologiche, persino affettive. Esse per di più variano
notevolmente da contesto linguistico a contesto linguistico: ad esempio, il termine
francese “intégration” è a quanto pare assai più controverso di quanto non siano i
quasi neutrali omologhi italiano “integrazione” o spagnolo “integración”. Gli
inglesi parlano senza difficoltà di “relazioni di razza” (race relations),
un’espressione che, se tradotta alla lettera, suonerebbe inaccettabile nella maggior
parte delle lingue europee. È anche il caso di “assimilation”, che, se nel mondo
della sociologia specie statunitense riguadagna seguaci se inteso come concetto
analitico,
risulta
ancora
piuttosto
gravato
da
connotazioni
appunto
assimilazionistiche definibili di ‘prima maniera’ nei suoi omologhi francese o
italiano. La problematicità del lessico è dunque un punto di cui conviene essere
pienamente consapevoli”5.
Oltre al problema dell’interpretazione lessicale, si trovano difficoltà
nella definizione dell’oggetto dell’indagine in termini statistici e
numerici. Proprio per tali ragioni è preferibile svolgere ricerche ad
hoc sul territorio.
Le “seconde generazioni” in Italia: dati e cifre
In Italia nel 2007 sono nati 64.000 bambini da entrambi i genitori
stranieri e, se si tiene anche conto dei minori che arrivano nel nostro
5
Ibidem
13
Paese attraverso la pratica del ricongiungimento familiare, emerge
che la popolazione minorile aumenta in Italia al ritmo di 100.000 unità
l'anno.
I minori stranieri residenti risultano essere 767.060, dei quali ben
457.345 di seconda generazione, ovvero nati in Italia e gli studenti
figli di immigrati aumentano al ritmo di 70.000 unità l'anno sfiorando
le 600.000 nell'anno scolastico 2007-2008 (574.133). Sono poco meno
di 100 mila gli studenti romeni (92.734), albanesi (85.195) e
marocchini (76.217), quasi 30.000 i cinesi, 20.000 gli ecuadoriani,
15.000 i tunisini, i serbi e i montenegrini6.
6
“Caritas, dossier immigrazione in Italia quasi 4 milioni i regolari” in La
Repubblica, 30 ottobre 2008
http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/cronaca/immigrati/immigrati/immigrati.ht
ml
14
1.2 Quale “seconda generazione”? Il dibattito attorno al
termine
“(…)sono degli “immigrati” che non sono emigrati da alcun luogo”.
(Sayad, 2002; p. 382)
Il termine “seconde generazioni” nasce negli Stati Uniti all’inizio del
Novecento, quando gli studi sull’immigrazione proveniente dal
continente Europeo verso il Nuovo continente iniziano ad acquisire
organicità.
Definire le seconde generazioni è però meno scontato di quanto appaia
e il significato che viene attribuito ad esse varia a seconda del Paese in
cui è utilizzato.
In Francia, ad esempio quando si parla di seconde generazioni, ci si
riferisce per lo più ai figli degli algerini e provenienti dal Maghreb in
generale; negli Stati Uniti il termine si è spostato, negli anni, dai figli
degli europei ai figli di asiatici e ispanici.
In Italia, generalmente confluiscono in questa categoria casi molto
diversi, che vanno dai bambini nati e cresciuti nella società ricevente,
agli adolescenti ricongiunti dopo aver compiuto un ampio processo di
socializzazione nel paese di origine. Il quadro è complicato da alcuni
casi eterogenei, come quelle dei figli di coppia mista e dei piccoli
nomadi, che nel sistema scolastico vengono equiparati ai minori di
origine straniera (Besozzi, 2001), in quanto identificati come portatori
di eterogeneità culturale.
La stessa definizione del termine risulta complessa e ricca di
ambiguità: solitamente viene utilizzato il termine “minore straniero”
perché risulta essere un termine neutro, che rimanda alla situazione
giuridica, piuttosto che alla storia diretta o familiare di migrazione.
Sarebbe improprio definirli “immigrati” dal momento che circa la
metà di loro è nata in Italia e conosce il paese di origine solo
15
indirettamente, attraverso i racconti dei propri genitori. D’altra parte,
definirli “seconde generazioni” assegna loro un’etichetta rigida, quasi
a sottolineare un’eredità che passa di padre in figlio e che sembra
connotare l’identità in maniera perenne.
Questo pone anche delle difficoltà nei proponimenti d’integrazione del
bambino stesso. Ogni minore ha un mondo alle spalle, una situazione
diversa da caso a caso, un percorso migratorio diretto o indiretto,
vissuto, subito o semplicemente respirato in famiglia per essere figlio
di immigrati. Un nome consono potrebbe essere quello suggerito da
Tahar Ben Jelloun che chiama i minori immigrati “génération
involontarie” (generazione involontaria) definita dall’autore come
“(…) una generazione destinata ad incassare i colpi: questi giovani non sono
immigrati nella società, lo sono nella vita… Essi sono lì senza averlo voluto, senza
aver nulla deciso e devono adattarsi alla situazione in cui i genitori sono logorati dal
lavoro e dall’esilio, così come devono strappare i giorni a un avvenire indefinito,
obbligati ad inventarselo invece che viverlo”7
Il passaggio dalla prima alla seconda generazione presenta elementi di
discontinuità8 di natura cognitiva, comportamentale e sociale.
Un primo elemento di discontinuità consiste nelle diverse aspettative
che i figli hanno rispetto ai propri genitori. I ragazzi che compiono il
processo di socializzazione in Italia hanno interessi, stili di vita,
passioni e desideri di consumo che tendono a ricalcare quella dei
coetanei autoctoni; difficilmente considereranno accettabili le
modalità di integrazione subalterna9 accettata dai propri genitori.
7
Cfr. Ben Jelloun T., Hospitalité française, Ed. Le Seuil, Paris 1984
Marco Demarie, intervento sul tema delle seconde generazioni al seminario
europeo su "Immigrazione, Mercato del lavoro e Integrazione", Como, 20-21
novembre 2003.
9
Ambrosini descrive il concetto di integrazione subalterna parlando dei lavori delle
cinque P: precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, penalizzanti socialmente.
Ambrosini M., Molina S., (a cura di), 2004, Seconde generazioni. Un’introduzione
al futuro dell’immigrazione in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino
8
16
L' integrazione subalterna, è l’idea che gli immigrati “vanno bene e li
possiamo anche accettare finché stanno all’ultimo posto”, è la visione
comune, secondo la quale essi non lottano per ottenere i propri diritti,
non protestano e svolgono lavori che “un italiano non fa più”. I lavori
duri, faticosi, ripetitivi, spesso socialmente poco apprezzati, attraverso
i quali gli immigrati sono riusciti ad ottenere un reddito e un ruolo nel
paese straniero, non vengono accettati dai figli di immigrati come
destino ineludibile, anzi tendono ad essere rifiutati.
Un ulteriore elemento di discontinuità è la ricerca della propria
identità, la quale, per i ragazzi di origine non italiana risulta
maggiormente difficile rispetto ai propri coetanei. Emergono infatti,
desideri ambivalenti ed in antitesi fra loro: la ricerca di essere “uguali”
ai loro coetanei e il desiderio di essere “diversi”, ossia appartenenti ad
un sistema culturale derivato dall’etnia di appartenenza. Da queste
discontinuità possono discendere opportunità, intese come delle
mobilità sociale e pericoli (di anomia e frustrazione) che possono
produrre comportamenti devianti, disagio e tensione.
Molina e Demarie10, osservano come questi elementi di difficoltà
affrontati dalle seconde generazioni si traducano in una serie di
dissonanze: sul piano occupazionale dove si manifesta lo squilibrio tra
aspettative e la possibilità di soddisfarle, dato da fenomeni di
discriminazione, scarsità di capitale sociale e debolezza dei percorsi
formativi; sul piano generazionale dove i giovani figli di immigrati
sono chiamati ad operare una forma di conciliazione o di reciprocità
tra due culture anche molto diverse tra di loro e infine sul piano
politico-sociale che invoca la questione della cittadinanza e della
rappresentanza politica della popolazione immigrata.
Un’altra questione problematica è rappresentata dal momento
10
Ambrosini M., Molina S. (a cura di), 2004, Pag.11-12
17
dell’arrivo dei ragazzi: fino a che età è giusto parlare di “seconde
generazioni”? Per quanto riguarda i bambini di tenera età che si
trasferiscono all’estero non si riscontrano obiezioni, più discutibile è
lo status dei ragazzi e delle ragazze immigrati tra 15 e 18 anni,
specialmente quando si tratta di minori non accompagnati, che
emigrano soli.
Graziella Favaro11, riferendosi al caso italiano distingue all’interno del
concetto “seconde generazioni” diversi gruppi di minori:
- Minori in Italia;
- Minori ricongiunti;12
- Minori giunti soli; (e presi in carico da progetti educativi realizzati in
Italia)
- Minori rifugiati; (“bambini della guerra”)
- Minori arrivati per adozione internazionale;
- Figli di coppie miste.
Questa definizione che abitualmente viene attribuita alle seconde
generazioni di immigrazione ha chiaramente un’impronta generica, ed
è la denominazione a cui nel tempo si fa riferimento.
All’interno della definizione della Favaro è opportuno spiegare le
peculiarità dei vari gruppi che compongono la sfera delle “seconde
generazioni”. Secondo l’autrice, i figli nati in Italia, vivono meglio la
loro situazione di nuovi cittadini. Imparano facilmente la lingua e la
loro integrazione avviene facilmente. Non hanno problemi di
separazione e nessun legame diretto con la terra di origine dei loro
genitori.
I figli giunti in seguito al ricongiungimento familiare, hanno già un
11
Ambrosini M., Molina S. (a cura di), 2004
Questi a loro volta possono essere distinti tra quanti sono giunti in età pre-scolare,
e quanti sono arrivati in Italia dopo avere iniziato il processo di apprendimento
scolastico in un altro paese.
Angeli F., Una generazione in movimento. Gli adolescenti e i giovani immigrati. Atti
del Convegno Nazionale dei Centri Interculturali. Reggio Emilia, 20-21 ottobre
2005, Pag. 66
12
18
passato vissuto nella terra natia, incrementando così, in qualche modo
il trauma di una separazione dal loro mondo di origine. Specialmente
verso la fase dell’adolescenza si creano situazioni difficili da gestire in
quanto devono inserirsi completamente in nuova vita, iniziando ad
apprendere una diversa lingua e a rapportarsi con nuovi coetanei.
I minori giunti soli o non accompagnati rappresentano adolescenze
marginali, invisibili, negate: le condizioni di vita dei minori non
accompagnati sono segnate spesso da difficoltà, miseria e vessazioni.
Si calcola che in Italia siano presenti circa 5.00013 minori soli,
provengono soprattutto dal Marocco, dall’Albania e da altri paesi
dell’Est Europa. Sono spesso destinati al rimpatrio, dopo essere stati
inseriti nei percorsi di tutela.
I figli dei genitori rifugiati subiscono i riflessi dei traumi dei loro
genitori come le violenze, la prigione, i maltrattamenti e le paure.
Il dibattito sulla classificazione e denominazione di questi ragazzi è
controverso: ogni autore rileva il proprio punto di vista sull’argomento
e di conseguenza sono numerose le sfumature di significato e le
interpretazioni soggettive.
Un sociologo, Ruben Rumbaut nel 1997, in un suo saggio, ha proposto
la classificazione delle diverse esperienze di cui possono essere
portatori i giovani di origine non italiana:
GENERAZIONE 1,75: coloro che si trasferiscono all’estero in età
prescolare, entro in cinque anni di età;
GENERAZIONE 1,514: coloro che hanno iniziato il processo di
socializzazione e la scuola primaria nel paese di origine ma ha
completato l’educazione scolastica in un nuovo paese di residenza;
GENERAZIONE 1,25: coloro che giungono dovendo frequentare le
scuole medie.
Immigrato di seconda generazione apparirebbe una qualifica non
13
Ibidem
L’idea era già peraltro presente nel lavoro di Thomas e Znaniecki, che
avevano parlato di “mezza seconda generazione”
14
19
sensata (anche se dal punto di vista giuridico possibile e anzi
quotidianamente confermata), in quanto a rigore la qualifica di
immigrato competerebbe solamente a chi abbia personalmente
compiuto l'esperienza della migrazione.
I figli degli immigrati costituiscono una nuova posizione di frontiera:
sono socializzati a metà fra i valori familiari, i quali sono portavoce di
una cultura a tutto tondo “altra”, e quelli della società dove sono
immersi e nella quale vivono e consolidano la propria formazione
culturale.
Il sentirsi di essere in una sorta di “metà strada” è riconducibile alla
definizione “Italiani col trattino” (Andall 2002). A due cittadinanze
differenti in parti quasi uguali, nel nostro caso sottintende una parte
d’italianità che non è data sempre così per scontata. Dall’estro dello
scrittore Pennac è uscito il personaggio di Hélène/Rachida che
propone un’amara riflessione e tenta di fare arrivare al lettore cosa
significhi essere “col trattino”
“O figlia di mio padre, il figlio del figlio di tuo figlio sarà sempre della seconda
generazione, e i suoi figli dopo di lui, e i bambini generati dalle loro figlie saranno
della seconda generazione, di qua e di là dal mare, sempre (…).”15
Molti studi e le esperienze dei paesi di lunga immigrazione mostrano
che l'integrazione e l'esclusione sociale dei migranti e dei loro
discendenti dipende maggiormente dalle politiche di accoglienza,
insediamento e di cittadinanza che dalle differenze culturali, di livello
sociale o di istruzione.
Con i ricongiungimenti familiari e quindi con l'arrivo di ragazzi da
altri paesi, sono emersi alcuni punti fondamentali per la coesione e
l'integrazione sociale, che venivano nascosti finché si trattava di
immigrati di prima generazione, di cui si immaginava un rientro in
patria in un futuro prossimo. Sayad sostiene come la nascita della
15
Pennac D., Messieurs les enfants, Paris, Gallimard, 1997, trad. it. Signori bambini,
Feltrinelli, Milano, 1998, Pag.46
20
seconda generazione abbia sconvolto i nascosti meccanismi di
accettazione
dell'immigrazione,
infatti
l'autore
sostiene
che
“l'emigrazione e l'immigrazione sono meccanismi sociali che hanno
bisogno
di ignorarsi come tali per potere essere come devono
essere16.”
16
Sayad A., “La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze
dell’immigrato”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, p. 10
21
1.3 Le diverse assimilazioni delle “seconde generazioni” nella
nuova società
In un contesto di costante aumento del numero delle presenze di
giovani stranieri in Italia, l’attenzione verso questi ragazzi è spesso
legata
alla
questione
dell’assimilazione,
termine
decisamente
ambiguo.
Brubaker17, attribuisce due significati distinti al concetto di
assimilazione: il primo si riferisce ad un processo graduale che
permette ai membri dei gruppi minoritari di diventare simili al gruppo
maggioritario senza perdere l’originalità della propria esperienza; la
seconda accezione, invece, rimanda, ad un totale adeguamento della
propria natura ai sistemi valoriali, culturali e sociali della società
dominante.
Amobrosini, riprendendo Portes individua tre traiettorie ideali delle
“seconde generazioni”:
a) La prima è quella dell’assimilazione tradizionalmente intesa, in cui
l’avanzamento
socio-economico
corrisponde
all’acculturazione
all’interno della società ricevente, il che comporta il progressivo
abbandono dei legami identitari e di un’identità culturale originaria;
b) La seconda consiste nell’acquisizione di stili di vita occidentali, in
situazioni di carenza degli strumenti necessari per accedere a standard
di consumo corrispondenti. All’interno di questa traiettoria possiamo
distinguere due varianti: nelle impostazioni strutturalista è stata
sottolineata l’acquisizione di stili di vita occidentali, in situazioni,
tuttavia, di carenza degli strumenti necessari. (ASSIMILAZIONE
ANOMICA O ILLUSORIA). In America, invece, Portes e altri, con il
concetto
di
downward
assimilation,
sottolineano
piuttosto
l’assunzione di un’identica etnica reattiva, contrapposta ai valori e alle
istituzioni della società ricevente, tipica dei ghetti urbani e delle
minoranze discriminate.
c)
La
terza
traiettoria
viene
17
chiamata
ASSIMILAZIONE
Brubaker R, The return of assimilaztion?Changing perspectives on
immigration and its sequels in France, Germany and the United States, 2001,
vol.24. Pag. 531
22
SELETTIVA,
che
consiste
nel
successo
scolastico
e
nel
miglioramento economico, grazie al mantenimento dei legami con le
comunità etniche di appartenenza e di codici culturali distintivi.
L’assimilazione anomica o illusoria e l’assimilazione al ribasso
costituiscono le due varianti di un atteggiamento, da parte dei ragazzi,
verso gli strati più svantaggiati della popolazione, in situazioni che
presentano poche possibilità di fuoriuscita da una condizione di
esclusione
e
un
peggioramento
della
marginalità
e
della
disoccupazione.18
Dunque, l’incrocio tra elementi culturali ed elementi di natura
economica e sociale, nonché le risorse che la famiglia e la comunità di
appartenenza possono offrire, costituiscono un nodo cruciale per
l’integrazione delle “seconde generazioni”.
In
Italia,
esistono
diversi
fattori
che
potrebbero
impedire
l’integrazione socio-culturale delle “seconde generazioni”: la legge
Bossi- Fini che ha inasprito fortemente la condizione degli immigrati
considerandoli esclusivamente come risorsa lavoro e la rigida
limitazione delle possibilità di accesso alla nazionalità italiana per gli
immigrati residenti da molto tempo in Italia.
In questo modo, le relazioni che i giovani di origine straniera
instaurano con il Paese di arrivo risultano essere ambigue, poiché la
società sembra pretendere una piena integrazione, ma allo stesso
tempo, non pone le basi perché essa possa realmente verificarsi.
In questo quadro di possibile predestinazione negativa non bisogna
cadere nel rischio di generalizzazione, molti ragazzi, figli di persone
che hanno immigrato hanno iniziato una brillante carriera e un buon
riconoscimento da parte della società italiana. Ciò è avvenuto, in
particolar modo, attraverso l’istituzione scolastica e il mondo del
lavoro.
La scuola, dovrebbe aiutare l’inserimento di questi ragazzi all’interno
18
Ambrosini M., Molina S. (a cura di), Seconde generazioni. Un’introduzione al
futuro dell’immigrazione in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004,
Pag.38
23
del tessuto sociale. Il mercato del lavoro, dovrebbe, invece, creare un
terreno occupazionale ai giovani, sfruttando la ricchezza che possono
dare al contesto italiano e non utilizzarli come persone indispensabili
nei lavori più umili – come si è fatto in passato con i loro genitori - , in
modo da evitare che lo scarto tra le aspettative create dal processo di
inserimento e la mancanza di qualifiche professionali adeguate alle
loro competenze, possa creare un forte senso di frustrazione.
Questo argomento verrà approfondito maggiormente nei successivi
capitoli.
1.3.1 Le “seconde generazioni”: il confronto con i modelli esteri
“E’ forse una fortuna per l’Italia che il suo sistema scolastico, come pure altre
istituzioni sociali, si trovino ad affrontare la sfida dell’immigrazione dopo la
maggior parte delle nazioni occidentali19”
Ho ritenuto opportuno inserire questa breve panoramica delle politiche
di integrazione applicate in alcuni Paesi occidentali nei confronti delle
seconde generazioni, in modo che da fornire una cornice generale al
tema.
Analizzerò la realtà delle seconde generazioni in contesti esteri: gli
Stati Uniti d’America, la Francia e la Germania.
Il caso statunitense
E’ risaputo che in America gli immigrati costituiscano la componente
in più rapida crescita della popolazione e che la loro presenza ha
trasformato l’ambiente sociale, la cultura e la politica di numerose
grandi città statunitense.
Negli Stati Uniti la questione delle seconde generazioni è tutt’ora di
grande importanza.
Come sostiene Aihwa Ong20, acquisire la cittadinanza rappresenta un
19
Glenn Charles L. Il mito della scuola unica, Marietti, Torino, 2004, Pag.169
Ong A., Da rifugiati a cittadini: pratiche di governo nella nuova America,
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003, Pag. 33-34
20
24
processo molto lungo di lotta contro le esclusioni basate sull’etnicità e
sulla razza, e presuppone che lo status sociale di un determinato
gruppo minoritario migliori nel tempo con il susseguirsi di sacrifici e
l’aumentare dei beni materiali.
Secondo Portes e Rumbaut il progetto morale della cittadinanza viene
minacciato proprio dai gruppi che di origine erano immigrati:
“Il dibattito politico sull’immigrazione negli Stati Uniti è sempre stato segnato da
forti richieste di restrizioni. I più accaniti sostenitori di questa linea politica sono
spesso i figli degli immigrati , che ostentano il loro patriottismo di seconda
generazione in modo aggressivo. Questa posizione trascura però il fatto che sono
stati il lavoro e gli sforzi degli immigrati – spesso genitori e nonni dei restrizionisti
di oggi- a rendere possibile gran parte della prosperità della nazione21”
Ciò avviene in particolar modo negli Stati Uniti dove chi è meritevole
risulta essere vantaggiato nell’acquisizione della cittadinanza:
“I processi di attribuzione razziale che definiscono i cittadini meritevoli e non
meritevoli hanno impregnato anche le forme di governo della povertà, in particolar
modo la classificazione e la regolamentazione dei nuovi immigrati e di coloro che si
spostavano verso le aree urbane. L’ideologia dell’etica del lavoro, sviluppatasi
storicamente in contrapposizione alla schiavitù, negava una piena cittadinanza
sociale a quanti non raggiungevano la cittadinanza materiale in modo autonomo,
cioè ai disoccupati e a chi era a carico del welfare.22”
Nel dopoguerra, il fatto che la cittadinanza si fondasse sul modello del
capitale umano fece si che i gruppi di minoranza diventassero
economicamente più attivi, contribuendo a stigmatizzare tutti coloro
che dipendevano economicamente dallo Stato.
La pluralità dei percorsi di inserimento e l’articolazione complessa
che la società americana presenta rendono più adeguata alle
caratteristiche delle nuove seconde generazioni l’idea di un
assimilazione segmentata, per la quale bisogna chiedersi a quale
21
Portes A., Rumbaut R.G., Immigrant America: A Portrait. In Ong A, 2003,
Pag.16
22
Ibidem
25
segmento della società americana le seconde generazioni saranno
assimilate. Da questa prospettiva, l’inserimento dei giovani di origine
straniera all’interno della società americana dipende da quattro fattori
principali:23
1.
La storia di prima generazione di immigrati;
2. Le modalità di acculturazione di genitori e figli e della loro
reciproca interazione;
3. Le difficoltà culturali ed economiche incontrate dalle seconde
generazioni;
4. Le risorse che la famiglia (capitale umano) o la comunità etnica
(capitale sociale) mettono a disposizione per superare tali difficoltà.
Tuttavia, il processo non appare così del tutto lineare. Ad ostacolare la
sua buona riuscita possono subentrare alcuni fattori fra cui:
– Il persistere di manifestazioni discriminatorie legate alla propria
provenienza, in particolare in ambiti lavorativi e in termini di
accettazione sociale;
– Il mercato del lavoro con le sue crescenti disuguaglianze.
Attualmente, i figli degli immigrati che vogliono raggiungere
posizioni alte all’interno del sistema lavorativo devono cercare di
superare il gap formativo con i loro genitori ed acquisire titoli di
studio elevati nell’arco di una sola generazione;
– Il rafforzamento di aree di marginalità e devianza all’interno delle
metropoli, con l’incremento dell’abbandono scolastico e l’ingresso in
ambienti delinquenziali.
Da una ricerca empirica , di tipo longitudinale condotta su un gruppo
di giovani di seconda generazione – intervistati tre volte nell’arco di
dieci anni, dall’adolescenza fino alla prima età adulta – in Florida e in
California (Portes, Fernandez-Kelly, Haller, 2003)24, è emersa
l’importanza sia del capitale umano – ossia, il livello socio-culturale
23
Ambrosini M., Molina S. (a cura di), Seconde generazioni. Un’introduzione al
futuro dell’immigrazione in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004,
Pag.58
24
Ibidem
26
delle famiglie e la loro capacità di controllo e di guida – sia del
capitale sociale – ossia, le risorse che la comunità etnica mette a
disposizione dei giovani.
Considerando entrambi i fattori, si ritiene che i casi di una riuscita
integrazione siano favoriti da una cosiddetta acculturazione selettiva (
Portes, 2003) delle seconde generazioni, i quali, in questo caso,
manterrebbero vivi i legami con la propria famiglia e comunità di
origine, attraverso soprattutto il mantenimento del bilinguismo.
Da questa ricerca emerge anche la rilevanza che l’origine etnica
detiene come elemento di differenziazione nei risultati scolastici, nel
reddito familiare, nella probabilità di rimanere disoccupato e di cadere
in gironi delinquenziali.
Dunque, negli Stati Uniti oggi le seconde generazioni rappresentano
quella fascia di gioventù col più rapido tasso di crescita, e se la società
americana tende a trascurarli, lo fa a proprio rischio: invece di
ignorare le forze che spingono ad un’ “assimilazione al ribasso”, essa
dovrebbe promuovere un tipo di acculturazione selettiva, ad esempio
l’apprendimento
dell’inglese
non
separato
dal
mantenimento
dell’identità culturale e linguistica d’origine, offrendo così migliori
prospettive per superare gli ostacoli che la seconda generazione deve
affrontare.
Il caso francese
Le seconde generazioni in Francia presentano tre costanti: esse sono
prevalentemente di origine magrebina e musulmani, sono costituite
soprattutto da cittadini francesi e corrispondono in gran parte alla
popolazione giovanile che vive nelle cosiddette banlieues, aree
metropolitane ad alto rischio di emarginazione e devianza. Il dibattito
sulle seconde generazioni in Francia si è sviluppato a partire dagli
anni ottanta e novanta, in particolare intorno alla possibilità di essere
allo stesso tempo musulmani e francesi: in quegli anni la popolazione
giovanile di origine magrebina ha avviato un’intensa mobilitazione
socio-politica, al fine di mettere in discussione il classico modello
27
assimilazionista “alla francese” e di promuovere un concetto di
cittadinanza che dia più ampio respiro alla propria identità
comunitaria all’interno della società francese. L’enorme battaglia
portata avanti dalle seconde generazioni ha così portato in primo piano
alcuni temi nell’agenda politica francese. Innanzitutto, la definizione
di cittadinanza. A partire dagli anni ottanta, infatti, il tradizionale
nesso tra cittadinanza e nazionalità è stato messo in discussone
attraverso la rivendicazione di una cittadinanza di residenza sganciata
dalla nazionalità e basata sulla partecipazione alla vita della comunità
etnica; e l’impegno per un ulteriore miglioramento dello jus soli al
fine di ottenere la nazionalità. In secondo luogo, è stato ridiscusso il
ruolo dell’Islam: con alcune eccezioni, l’Islam praticato in Francia è
piuttosto blando, anche se il fondamentalismo continua a fare i suoi
proseliti nelle banlieues, facendo leva sul disagio sociale ed
alimentando attività illegali, fra cui, lo spaccio della droga e
l’arruolamento terroristico (Wihtol de Wenden, 2003). Infine, un
ampio dibattito è stato aperto sul concetto di etnicità. Le seconde
generazioni in Francia rappresentano una sfida al tradizionale concetto
di Stato e società francese: la loro presenza mette in discussione il
concetto del cosiddetto multiculturalismo alla francese e spinge a
interrogarsi sulla possibilità di una convivenza tra alcune specificità
etniche ed il tradizionale modello repubblicano.
Il caso tedesco
In Germania è opinione comune che fra gli immigrati soltanto i Turchi
costituiscano un problema dal punto di vista dell’inserimento
all’interno del sistema tedesco. A dispetto di questi stereotipi,
l’integrazione sociale, il background formativo ed il successo
economico delle seconde generazioni in Germania rivelano una
situazione molto più complessa. Gli immigrati spagnoli, per esempio,
appaiono essersi integrati con buoni risultati, mentre gli Italiani
manifestano maggiori difficoltà da questo punto di vista. Per quanto
riguarda i Turchi, invece, i loro risultati appaiono molto più
28
soddisfacenti. Alcune spiegazioni vanno ricercate considerando le
politiche adottate dai singoli Lander: i gruppi nazionali che ottengono
risultati meno soddisfacenti sono più numerosi in quei Lander, come
Baviera e Baden-Wurttemberg, che adottano politiche scolastiche più
segregazioniste nei confronti delle seconde generazioni, scoraggiando
il conseguimento di titoli di studio superiori, e favorendo invece il
ritorno dell’immigrato al paese di origine (Thranhardt, 2003). Altre
spiegazioni, invece, vanno ricercate nelle risorse che la comunità
immigrata mette a disposizione per favorire la promozione socioeconomica del singolo individuo.
In Germania, dunque, la strada per favorire una buona integrazione
delle seconde generazioni non è una sola. Questa potrà avvenire
attraverso un percorso di assimilazione (come nel caso degli spagnoli),
oppure attraverso un tipo di integrazione pluralista (come nel caso dei
greci), che conserva i legami con l’identità culturale e linguistica del
proprio paese di origine. In ogni caso, gli immigrati dovrebbero essere
coinvolti maggiormente nel processo di elaborazione di decisioni che
li riguardano.
29
2 I giovani di origine non italiana e il rapporto con le
istituzioni
Il destino delle “seconde generazioni” è mediato dalle istituzioni
sociali che incontrano nei processi di socializzazione.
Per tale ragione, in questo capitolo tratterò il rapporto tra i ragazzi di
origine non italiana e le istituzioni in generale, per poi focalizzarmi su
quelle che ritengo decisive per il processo identitario: la famiglia e la
scuola.
30
2.1 Lavorano, vanno a scuola ma non sono cittadini: aspetti e
fattori per diventare cittadini italiani.
La legge 91 del 1992 stabilisce che acquistano automaticamente alla
nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il
padre e la madre) siano cittadini italiani: per la legge italiana è
cittadino di questo Stato chi è figlio di cittadino italiano, in base al
principio dello “jus sanguinis”, in che luogo si nasce non conta.
Coloro che nascono in Italia da cittadini stranieri possono richiedere la
cittadinanza italiana al compimento del diciottesimo anno di età,
dimostrando di aver risieduto ininterrottamente in Italia dalla nascita,
possono richiedere la cittadinanza se i loro genitori hanno provveduto
a registrarli come residenti immediatamente dopo essere nati.
La stessa legge prevede che possono acquisire la cittadinanza coloro
che risiedono in Italia da almeno dieci anni dimostrando di avere i
requisiti di reddito e di regolarità della residenza.
I ragazzi di seconda generazione non sono migranti perché non hanno
vissuto alcun percorso migratorio ma non sono nemmeno riconosciuti
come autoctoni (per la legge italiana, una delle più restrittive
d’Europa). In questo modo al compimento dei diciotto anni sono
costretti a districarsi tra un permesso di soggiorno per studio o per
lavoro, tra decreti e circolari, iniziando così un percorso pieno di
ostacoli che li pone nella paradossale condizione di sentirsi stranieri in
patria.
“E’ impensabile che una persona frequenti le scuole d’infanzia, poi le elementari, le
scuole medie, le scuole superiori, e che in tutti questi anni la sua situazione
giuridica sia legata ad un documento di soggiorno, dai tanti lati vincolati, per poi
frequentare una qualsiasi Università, ovviamente sempre legato a quel tipo di
documento e poi, se non si dovesse riuscire ad inserirsi nel mondo del lavoro,
magari dove vorrebbe questa persona, dove aspira a fare carriera, in un modo o
nell’altro si trova a doversi accontentare di una qualsiasi mansione, assecondando
una retro – prospettiva di carriera”.
Aziz Sadid, associazione G.A.3 (Generazione Articolo 3), Reggio Emilia
Infatti a questi ragazzi, anche se magari hanno frequentato in Italia
31
asilo, elementari medie e liceo, quando diventano maggiorenni può
succedere questo: chi non è nato qui non ha diritto di rinnovare il
permesso di soggiorno per motivi familiari e se volesse restare in
Italia regolarmente deve chiedere permessi per lavoro o studio. O
possiedi un contratto, o ti iscrivi all’Università, altrimenti scivoli
nell’illegalità.
A tale proposito nel novembre 2007 i ragazzi della rete G2 – Seconde
Generazioni, un’organizzazione creata nel 2005 da figli di immigrati
nati o cresciuti in Italia, hanno scritto una lettera al Presidente Giorgio
Napolitano:
“Caro Presidente, mentre i nostri amici e vicini ci riconoscono come italiani,
l’attuale legge impedisce a molti di noi di essere italiani anche sulla carta. Noi
giovani figli di immigrati ci troveremo presto a decidere su un futuro che sembra
già così precario. Cominciare l’età adulta come “italiani con permesso di
soggiorno” rende il nostro passo ancora più incerto”.25
In tale modo la società italiana, nel suo complesso, dopo averli
accettati da bambini inserendoli entro i propri processi di
socializzazione primaria e secondaria e “sedotti” per quanto riguarda
gli stili di vita, ora, nel momento in cui essi giungono all’età
dell’adolescenza, finisce per penalizzarli socialmente e politicamente.
“Io sono italiana di fatto, non me lo toglie nessuno. Non esiste che una volta
arrivata ai 18 anni, o lavori o fai un permesso di un anno, oppure vai a casa. A
casa? Poi quando vado a casa mi dicono: “Scusi ma te sei italiana, tornatene in
Italia.” E io? Dove sto? In mezzo? In Spagna? Tra l’Italia e il Marocco perché
nessuno mi vuole?”
(intervista ad una ragazza all’interno del video “Giovani interculturali dell’Emilia
Romagna, conversazioni a tema”26)
“Il non essere riconosciuti giuridicamente comporta tutta una serie di esclusioni sul
fatto appunto di non poter accedere ai diritti elementari…Per fare un qualsiasi
esempio, io non posso accedere ad un concorso pubblico. Per fare il servizio civile
25
http://archiviostorico.corriere.it/2008/maggio/09/Immigrati_generazione_2_
co_9_080509040.shtml
26
http://www.youtube.com/results?search_type=&search_query=giovani+inte
rculturali+emilia+romagna&aq=f
32
nazionale in biblioteca bisognava avere la cittadinanza e io non l’ho potuto fare.
Cosa mi serve avere la cittadinanza se poi nel contesto sociale non sono
riconosciuto? Io non cerco un pezzo di carta che mi dica sono italiano.. ma una
vera e propria serenità nel vivere”. (Aziz Sadid,)
Nel progetto di ricerca “I ragazzi delle terre di mezzo” a cui ho
partecipato, è emersa una non conoscenza generale sui diritti e doveri
che appartengono a questi ragazzi. Ciò può essere fatto risalire alla
loro giovane età.
Come “straniera” pensi di avere tutti i diritti?
“No, dai. Penso che in Italia come leggi per gli stranieri vada abbastanza bene, tanto
non possiamo pretendere di essere come i cittadini italiani, ma come extracomunitari
va bene insomma, solo che deve velocizzare un po’ le pratiche”.
Con il permesso di soggiorno hai avuto problemi?
“No, perché essendo sempre stata a carico dei miei genitori non ho mai avuto
problemi, dopo si vedrà quando sarò autonoma e dopo vediamo. Per ora non ho
avuto grandi problemi”.
(Q., 20 anni, genitori cinesi27)
Quali sono i tuoi diritti per te? Pensi che in Italia si possa fare qualcosa di più per i
diritti degli stranieri?La tua situazione qui in Italia è legata al permesso di
soggiorno? Lo devi rinnovare?
“No, non credo, penso che è più a lungo”.
(T., 17 anni, genitori bulgari)
Se cittadinanza equivalesse realmente ad inclusione e quindi
all’assunzione di ruoli e responsabilità all’interno di una collettività,
allora è necessario che le leggi che disciplinano oggi l’acquisizione
dello status di cittadino siano più flessibili, soprattutto nei confronti
dei 900 mila ragazzi e ragazze di origine straniere che risiedono
attualmente in Italia. Giovani costretti a vivere quotidianamente una
vita limitata, piena di ostacoli, nonostante conducano essa sia pari a
quella dei coetanei italiani doc: non è forse questa una limitazione per
l’individuo della possibilità di realizzare a pieno se stesso?
27
Da questo punto in poi, i nomi saranno utilizzati come pseudonomi per
garantire l’anonimato e il rispetto della privacy dei soggetti intervistati
33
2.2 Le istituzioni mediatrici: la famiglia e la scuola
Quando giungono i figli delle persone immigrate nella società
"ospitante", le cose cambiano, vengono incrementati i rapporti tra gli
immigrati e le istituzioni.
Autori come Bastenier e Dassetto hanno fatto notare come il rapporto
tra immigrati ed istituzioni della società ricevente si intensifica nel
momento in cui nascono dei figli o iniziano dei processi di
ricongiungimento familiare o di scolarizzazione, facendo così arrivare
l'immigrato ad un processo completo di "cittadinizzazione"28.
A quel punto la famiglia diventa un importante punto di riferimento,
perché inizia ad interessarsi e a coinvolgersi alle attività praticate dal
giovane, accettando la diversità della società di arrivo e cercando di
creare situazioni adatte al non generarsi di scontri generazionali.
L'immigrazione diventa a quel punto, secondo un processo naturale,
da situazione temporanea di partenza, uno status definitivo e durevole,
con la trasformazione del processo di integrazione da ingresso in un
Paese straniero per cause di lavoro a fase di immigrazione di
popolamento29.
Dunque, la nascita e la socializzazione delle seconde generazioni,
anche indipendentemente dai soggetti coinvolti, secondo Ambrosini e
Molina
“producono uno sviluppo delle interazioni, degli scambi, a volte dei conflitti tra
popolazioni immigrate e società ospitante; sicchè rappresentano un punto di svolta
dei rapporti interetnici, obbligando a prendere coscienza di una trasformazione
irreversibile nella geografia umana e sociale dei paesi in cui avvengono”30.
La crescita delle seconde generazioni porta con sé una modificazione
della composizione sociale non solo per le società riceventi ma anche
all'interno delle comunità immigrate. Proprio in queste ultime, la
nascita e la socializzazione delle seconde generazioni rappresenta un
28
Ambrosini M., Molina S. (a cura di), 2004
Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005
30
Ambrosini M., Molina S. (a cura di), 2004, pag.2
29
34
modo per riconoscere maggiormente il proprio status e la propria
identità di minoranze ormai entrate a far parte di un contesto
differente da quello della società di origine. Di conseguenza, nascono
esigenze di definizione, rielaborazione e trasmissione del patrimonio
culturale e dell'educazione dei propri figli.
Come hanno notato Zolberg e Litt Woon (1999), in Europa la
questione islamica non si è posta con la prima generazione di
immigrati, ma con i figli di essa.
“Quando l'istanza della trasmissione dell'identità culturale è divenuta centrale,
stimolando domande di spazi per il culto collettivo e pubblico, anche sui luoghi di
lavoro, di regimi alimentari appropriati nelle mense scolastiche, di opportunità per
impartire un'educazione religiosa ai minori anche nella scuola pubblica, di
riconoscimento di pratiche educative considerate conformi ai precetti coranici31”.
2.2.1 Lo spazio familiare: aspettative e conflitti
L’istituzione che ritengo fondamentale e incisiva nel processo
identitario dei ragazzi è la famiglia.
La famiglia al cui interno i processi educativi sono dettati
dall’ambivalenza tra il mantenimento di codici culturali tradizionali e
desiderio di integrazione nel contesto della nuova società, tra volontà
di controllo delle scelte e dei comportamenti dei figli e confronto con
una nuova società che enfatizza i valori dell’emancipazione,
dell’eguaglianza tra uomini e donne e dell’autonomia personale.
Foner ha rilevato come nelle famiglie immigrate “vecchio” e “nuovo”
si fondano, creando nuovi stili di vita familiare32.
All’interno delle famiglie immigrate spesso manca la rete parentale, la
quale rappresenta un ostacolo che può indebolire la capacità educativa
delle famiglie, salvo dove si instaurano reti etniche particolarmente
31 Ibidem
32
Foner in Ambrosini M., Molina S. (a cura di), Seconde generazioni.
Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, Fondazione Giovanni
Agnelli, Torino, 2004, Pag.32
35
coese.
I minori restano spesso soli, se entrambi i genitori lavorano fuori casa;
altre volte, restano affidati a madri giunte per ricongiungimento, che
hanno poca autonomia, scarse competenze linguistiche e ridotta
capacità di movimento nella società ospitante.
Il nucleo familiare è il primo e più importante punto di riferimento nel
processo di costruzione di un’identità: i messaggi che i genitori
inviano, consciamente o inconsciamente, ai loro figli, le modalità con
cui essi vivono avvenimenti e relazioni, sono altrettanti elementi che
possono spingere i ragazzi ad intraprendere l’una o l’altra strada, a
fare questa o quella scelta. Se tale discorso è valido per qualsiasi
rapporto genitore - figlio, soprattutto nel momento di sviluppo del
proprio io del minore, esso acquisisce una valenza più che mai
amplificata quando si parla di famiglie immigrate e dei loro figli:
“La famiglia rappresenta l’istanza di mediazione necessaria tra l’individuo e la
società circostante e uno dei principali agenti di socializzazione: è essa, in primo
luogo, che fornisce i modelli collettivi che struttureranno la personalità del
bambino. L’abbandono del paese, la precarietà delle condizioni dell’esistenza,
rimbombano sulle capacità delle famiglie di offrire al bambino le possibilità di
identificazioni future, il che si traduce nella rottura di un quadro rassicurante e di
valorizzazione necessaria a ciascun individuo e assolutamente necessaria per i
bambini e gli adolescenti”.33
La famiglia ha dunque una funzione essenziale, perché – oltre a
doversi confrontare costantemente con le istanze di separazioni e di
protezione che l’adolescente avverte - deve inoltre mediare tra due
modelli culturali, quello che essa rappresenta, e quello del paese di
arrivo.
All’interno delle famiglie immigrate, dunque, i “normali” conflitti
generazionali, si aggravano maggiormente a causa di meccanismi di
difesa e di protezione attuati da entrambi le parti: infatti, più i genitori
immigrati si sentono esclusi dalla società di accoglienza, più essi si
33
Llaumett M., “I giovani tra famiglia e società di accoglienza”, in Landuzzi
C., Tarozzi A., Treossi A. (a cura di), Tra luoghi e generazioni. Migrazioni
africane in Italia e in Francia. l’Harmanattan Italia, Torino, 1995
36
rannicchiano sulle loro tradizioni, proprio nel momento in cui i loro
figli avrebbero maggiormente bisogno di sentirsi più sicuri e dove la
necessità di riconoscimento diventa fondamentale, in una fase cruciale
di affermazione della personalità.
Come mai i tuoi genitori non ti fanno uscire?
“Perché sono all’antica… A me dispiace, perché io non chiedo di uscire tutti i
giorni, ma chiedo di uscire solo in alcuni giorni come capodanno o il mio
compleanno”.
Tu come cerchi di risolvere questi “scontri”?
“Niente, non ci parlo”.
(Q., 20 anni, genitori cinesi)
Nelle interviste che ho svolto all’interno della ricerca, ho notato come
lo
scontro
generazionale
sia
molto
marcato.
Ciò
accade
particolarmente per quanto riguarda la libertà del ragazzo/a
nell’uscire, nel fare tardi la sera. E’ emerso con maggiore frequenza
l’assenza di un dialogo tra genitori e figli, ma anche una forte
obbedienza e stima verso i propri genitori.
…Quindi non c’è dialogo con i tuoi genitori?
“No, se c’è rimangono sempre della stessa idea. Mia mamma è un po’ più aperta,
mio babbo no, non ci sta per niente. Mia mamma fino ad un certo punto poi, non
così tanto, tipo è d’accordo con me sulla differenza tra uomini e donne, che non ci
deve essere. Poi mi aiuta a volte quando devo uscire prima mi preparo con lei poi
andiamo da mio babbo. Ultimamente mi dà fastidio perché ormai ho 18 anni quindi
di fare tutte ste cose non ho più voglia. Da noi è più cresci più devi essere
controllata, una ragazza, mentre qui è il contrario: più cresci più bisogna darti
fiducia, bisogna che fai le tue scelte, prendi la tua responsabilità, non proprio che te
ne vai via comunque le responsabilità te le devi prendere. Da noi no!”
(A., 18 anni, genitori marocchini)
I genitori vedono che i loro figli stanno progressivamente diventando
figli del paese di arrivo, auspicando tuttavia che essi possano trarre
vantaggio dagli aspetti positivi, tralasciando però quei valori che
culturalmente essi non condividono. A tal proposito, è interessante
notare come, nel rapporto tra immigrati di prima generazione e paese
di arrivo, spesso le seconde generazioni fungano quasi da mediatori,
37
“iniziando” i loro genitori a modelli e comportamenti nel nuovo paese
di residenza: un punto questo, che spesso sta alla base di molti
conflitti di autorità all’interno dei nuclei familiari, soprattutto in quelli
dove la struttura patriarcale è ancora molto forte.
La doppia proposta culturale, dunque, diventa spesso una vera e
propria lacerazione per il giovane, che vede contrapporsi modelli
culturali tra loro differenti, quello fornito dalla propria famiglia (visto
come luogo di affetto) e quello trasmesso dal paese di arrivo (contesto
percepito come ostile, ma al tempo stesso affascinante).
All’interno del processo di costruzione identitaria, la mediazione tra
questi due universi contrapposti risulta essere quanto mai centrale, e
rischia di creare nei giovani un sentimento di estraneità, sia rispetto al
paese di origine, sia rispetto al paese di arrivo.
Diversi autori hanno sintetizzato i seguenti aspetti, generati dal
rapporto genitori e figli:
–
Il fenomeno del rovesciamento dei ruoli, attraverso il quale i figli,
grazie alla migliore conoscenza della lingua, assumono precocemente
responsabilità adulte nel confronto della società ospitante.
–
La precoce perdita di autorevolezza e capacità educativa da parte
dei genitori, non supportati da una rete di prossimità e di
collaborazione informale, superati dai figli per dimestichezza,
socializzazione, capacità di orientamento nella società ricevente.
–
Le tendenze già richiamate dei figli a fuoriuscire dalle norme di
integrazione subalterna accettate dai padri, basate sull’inserimento
nelle posizioni inferiori delle gerarchie occupazionali, attraverso
l’assunzione di schemi cognitivi e criteri di valutazione molto più
simili a quelle dei coetanei autoctoni nei confronti delle opportunità
offerte dal mercato del lavoro.
–
La tensione nei confronti della trasmissione di modelli culturali
ispirati alla società di origine, così come l’avevano conosciuta i
genitori, a volte idealizzandola o sottovalutando le trasformazioni che
anch’essa attraversa: modelli attraverso cui passa il desiderio di
controllo
sui
comportamenti
delle
giovani
generazioni,
di
riaffermazioni di un’autorità genitoriale scossa dallo sradicamento e
38
dall’incontro con la società ricevente, di combinazione tra i desideri
contrastanti di incitamento alla promozione sociale.
–
Il conflitto può esplodere anche per ragioni diverse, come la
ribellione contro le aspettative di mobilità sociale dei genitori, a causa
delle pressioni e le opposizioni dell’ambiente di vita e in particolare
del gruppo dei pari, nei quartieri poveri in cui molte minoranze
rimangono intrappolate. Zhou parla di “dissonanza generazionale”34,
cioè quando i figli non si collocano sui livelli di aspirazioni dei
genitori e non si conformano alla propria guida.
–
Le problematiche di genere e di equilibri interni alla famiglia,
giacché le pressioni conformistiche sono normalmente più forti nei
confronti delle figlie (Tribalat, 1995)35, mentre i maggiori problemi
sociali riguardano i figli maschi
2.2.2 Il viaggio all’improvviso…
Il fenomeno oggi emergente delle seconde generazioni evidenzia
problematiche sociali e politiche che riguardano anche l’accettazione
da parte della società ospitante dei nuclei familiari che proiettano in
Italia il loro futuro.
Il viaggio risulta un elemento centrale delle storie di intere famiglie .
L’esodo che porta gli adolescenti nel nuovo paese è per molti scandito
e accompagnato da vissuti ed emozioni contrastanti: attese, illusioni,
speranze nei confronti del futuro e di una nuova vita, perdita e
nostalgia degli affetti, gli amici, i compagni e i giochi che si sono
lasciati alle spalle.
“Quando sei cosciente ti aiuta comunque perché è stata una scelta, invece quando
qualcun altro lo fa per te, è difficile, l’impatto è difficile, credetemi, perché io vengo
da una zona rurale e per me prendere l’aereo da Casablanca, scendere a Milano in
una notte di fine dicembre del 1996, dov’era tutto bianco, era la prima volta che ho
visto la neve, è stato un impatto molto forte, mi sono messa a cantare perché era
quello il modo di tranquillizzarmi e dire si, canto qualcosa di mio e quindi non mi
34
Zhou nell’articolo di M. Ambrosini Tra problemi sociali e nuove identità: i
figli dell’immigrazione http://www.provincia.re.it/allegato.asp?ID=280211
35
ibidem
39
hanno buttata via dal pianeta, sono sempre sulla terra ma in un paese nuovo”.
( Fatima, genitori marocchini, dal video “Giovani Interculturali dell'Emilia
Romagna - Conversazioni a tema”)
La maggior parte dei minori non sceglie quando se e quando emigrare.
Il viaggio a volte avviene all’improvviso, causato da eventi inattesi o
dalla burocrazia italiana, lasciando in questo modo i figli in una
situazione di sospensione e di attesa senza certezze e senza progetti
per il futuro.
“Puoi immaginarlo come una valigia, tu hai caricato tanto per attraversare la
frontiera ti chiedono di lasciare qualcosa.. è come una valigia… lo lasci ma è una
cosa persa, lo fai perché dici vado a trovare qualcos'altro, ma nella valigia c’è
sempre spazio per qualcos’altro… però già lasciarlo, prendere l’aereo e fare il
biglietto, fisicamente non sei più presente tra i tuoi parenti, non hai più la moschea
intorno, non hai più… della preghiera, non mangi più lo stesso cibo dei tuoi amici…
è già una cosa persa.”
(Fatima)
“Je suis ssis sur deux chaises qui ont chacune trois pieds” (sono
seduto su due sedie che hanno ognuna tre piedi)36 è la frase di una
canzone di un gruppo “afro-parigino” che ritengo descriva bene la
situazione dei ragazzi figli di immigrati. L’idea di una persona seduta
su due sedie, ognuna delle quali con tre piedi, suggerisce una
situazione abbastanza difficile, instabile, di ricerca di un equilibrio che
forse non verrà mai raggiunto. I ragazzi di origine straniera si sentono
in tale modo: appartenenti a due mondi, né di qua né di là, si portano
sempre dietro questo senso di estraneità anche se sono anni e anni che
vivono all’interno di un paese. Essere ragazzo figlio d’immigrato
significa vivere una condizione abbastanza difficile, piena di
domande: una condizione che porta a fare scelte a volte lontane dalle
proprie aspirazioni. Essere figli di immigrati è una non scelta.
“(...)Il fatto di trovarsi a vivere nell’ambiente italiano, per chi nasce nel paese dei
genitori e cresce altrove dai primi anni d’infanzia, non è stata una scelta, bensì un
impatto forte, si possiamo dire un vero e proprio trauma.”
36
http://sociale.parma.it/allegato.asp?ID=469182
40
(Aziz Sadid)
Questi ragazzi sono obbligati ad inventare il proprio mondo, la loro
strada, a crearsi una storia che in qualche modo includa anche il loro
passato, devono creare qualcosa che appartenga a loro. Come tutti i
ragazzi, stranieri e non, devono trovare una collocazione all’interno
della società, con maggiore difficoltà dei coetanei autoctoni.
Migrare in adolescenza o in età infantile è molto differente. Per quanto
riguarda l’età al momento dell’arrivo, sembrano essere facilitati i
bambini più piccoli, nella fascia di età prescolare. Difficoltà maggiori
si rilevano fra i ragazzi preadolescenti e adolescenti, i quali possono
incontrare maggiori difficoltà di tipo relazionale, di apprendimento e
di inserimento. Molti di essi presentano problemi all’interno del
sistema scolastico, resistenze ad instaurare rapporti di amicizia più
consolidati con i nuovi compagni e a ritessere fili affettivi nella
situazione di arrivo.
Questi fattori di criticità, di rifiuto, sono collegati anche alle modalità
e ai tempi di arrivo dei ragazzi.
Come ho notato anche dalla ricerca che ho svolto, intervistando sia
ragazzi adolescenti che bambini in età infantile, le manifestazioni del
“rifiuto” ad essere qui, sono maggiormente diffuse fra ragazzi e
ragazze più grandi.
41
2.3 Il rapporto tra le “seconde generazioni” e la scuola
La seconda istituzione influente è la scuola, intesa come il crogiolo
dell’assimilazione, il possibile trampolino della promozione sociale,
oppure come l’istituzione sociale in cui si determinano le premesse
per il confinamento dei figli degli immigrati ai margini della buona
occupazione e delle opportunità di effettiva integrazione nelle società
ospitanti.
A tal proposito Tribalat in una ricerca svolta nel 1995 ha constato una
certa mobilità sociale delle “seconde generazioni”, nonostante percorsi
scolastici non molto brillanti. I figli e le figlie di operai algerini e
spagnoli in media hanno ottenuto posizioni migliori dei padri, e sono
usciti dalla classe operaia con più frequenza dei figli di operai
francesi.
Il rapporto con il sistema educativo è molto articolato e un polo della
questione è rappresentato dalle risorse e strategie familiari, dalla loro
capacità e determinazione nel favorire la carriera scolastica dei figli.
Il secondo polo è identificabile invece nel funzionamento dei sistemi
scolastici delle società riceventi, dal loro grado di apertura nei
confronti di alunni con un background linguistico e culturale diverso e
nell’educazione interculturale come base di una scuola multietnica.
Un terzo fattore influente è il contesto di ricezione dell’immigrazione.
La possibilità di entrare legalmente, il riconoscimento dei valori
educativi acquisiti in patria, le modalità di inserimento nel mercato del
lavoro,
l’incidenza
dei
pregiudizi
e
delle
discriminazioni,
intervengono nell’inserimento e nella promozione sociale degli
immigrati, riflettendosi sui loro figli e sulla loro carriera educativa.
La partecipazione dei minori stranieri e di origine straniera al sistema
scolastico rappresenta la trasformazione dei processi migratori.
“Lo spazio scolastico, del loisir e delle relazioni fra le giovani generazioni, diviene
tanto più importante quanto più i progetti dei figli iniziano a differenziarsi da quelli
dei padri, ri-situando il proprio futuro atteso e desiderabile nelle città e nelle
42
società in cui vivono e studiano”37.
A questo proposito nella ricerca condotta sugli adolescenti di origine
immigrata (Giovannini, Queirolo Palmas, 2002), abbiamo un preciso
riscontro visibile nella seguente tabella:
Progetti futuri
Genitori
Figli
Restare in Italia
31.9
36.5
Cambiare Paese
3.8
12.9
Tornare al paese di origine
29.0
15.0
Non so
33.0
33.8
Secondo i dati pubblicati sul sito della Pubblica istruzione, nell’anno
scolastico 2007/08 gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nel
sistema scolastico nazionale rappresentano il 6,4% del totale degli
alunni corrispondenti a 574.133 unità.
Le scuole primarie e secondarie di I grado accolgono il maggior
numero
di
allievi
di
origine
straniera,
che
rappresentano
rispettivamente, in percentuale, il 7,7% e 7,3% dell’intera popolazione
scolastica.
Nonostante la scuola dell’infanzia non rientri nell’obbligo scolastico,
la presenza degli studenti non italiani rappresenta una quota
significativa del 6,7%. Più contenuta l’incidenza nella scuola
secondaria di II grado, pari al 4,3%.
I bambini e ragazzi stranieri nati nel nostro Paese che risultano iscritti
a scuola costituiscono il 35% degli alunni stranieri, corrispondenti al
2,2% di tutti gli studenti in totale. Naturalmente la loro maggiore
concentrazione si rileva tra i bambini della scuola dell’infanzia e
primaria dove rispettivamente il 71,2% e 41,1% degli stranieri iscritti
è nato in Italia. La percentuale dei nati di seconda generazione che
frequenta una scuola secondaria scende al 17,8% per quella di I grado
e al 6,8% per le scuole del II grado.
Gli alunni stranieri entrati per la prima volta nel 2007/2008 nel
37
Queirolo Palmas L., Prove di seconde generazioni. Giovani di origine immigrata
tra scuola e spazi urbani, Franco Angeli, Milano, 2006, Pag.74
43
sistema scolastico italiano, invece, sono 46.154 corrispondenti all’8%
di tutti gli alunni con cittadinanza non italiana; 23.650 di essi, più
della metà, sono inseriti nella scuola primaria.
Tuttavia, se si osservano le percentuali su 100 alunni ugualmente con
cittadinanza non italiana, queste mostrano una distribuzione pressoché
omogenea nei diversi livelli scolastici.
Per la scuola dell’infanzia il fenomeno dei nuovi ingressi nel sistema
scolastico
non è nettamente individuabile in quanto è il primo livello di
scolarizzazione.
La cittadinanza più rappresentata in Italia è quella rumena con 92.734
alunni pari al 16,15 % del totale degli alunni stranieri.
A seguito dell’ingresso della Romania nei paesi dell’Unione Europea
il numero degli alunni rumeni ha subito un forte incremento superando
la numerosità degli alunni provenienti dall’Albania (85.195 pari al
14,84 %), che negli anni precedenti era la nazione più rappresentata.
Insieme al Marocco (76.217 presenze, 13,28%), la Romania e
l’Albania coprono il 44,27% delle presenze straniere nella scuola38.
Una delle trasformazioni che investono la scuola e gli operatori che
lavorano al suo interno riguarda proprio la presenza dei bambini e dei
ragazzi che vengono da altri paesi.
Negli ultimi sei – sette anni, l'inserimento di alunni con storie, lingua,
cultura diversa fa parte della quotidianità di docenti ed educatori.
Questo fenomeno è nuovo in Italia, in quanto è apparso nella seconda
metà degli anni Novanta prevalentemente nelle grandi città del centronord.
I giovani di origine straniera presenti in Italia sono circa 400.000 e,
secondo le previsioni degli studiosi supereranno il milione entro il
2015. La presenza nelle scuole italiane di studenti di origine straniera
sta aumentando sempre di più, soprattutto nelle scuole materne e
38
http://www.pubblica.istruzione.it/dg_studieprogrammazione/notiziario_stranieri_
0708.pdf
44
elementari. Anche nelle scuole superiori
sono in aumento, la
maggioranza è formata da ragazzi nati nel Paese d’origine e giunti in
Italia a seguito del ricongiungimento familiare.
Il numero maggiore di studenti stranieri si trova nelle regioni del nord
dove è avvenuto il maggior numero di ricongiungimenti famigliari.
L'inserimento degli alunni stranieri richiede molteplici attenzioni
diversificate per ogni ordine di scuola: di tipo relazionale, didattico,
linguistico, di confronto culturale, e necessaria mediazione tra i
modelli educativi.39
Nel caso dei bambini più piccoli, i servizi educativi rivolgono
maggiori attenzioni: alla storia di ciascun bambino, all'accoglienza dei
genitori, alle loro ansie e paure.
Nel caso invece dell'inserimento scolastico dei più grandi, il ruolo di
“alunno” all'interno della classe che devono assumere pone loro e ai
docenti maggiori problemi di inserimento. Il ragazzino che attraversa
la fase dell'adolescenza vivrà un forte periodo di vulnerabilità ed
inadeguatezza nel nuovo contesto. Egli si sentirà “diverso” dagli altri
coetanei e dovrà superare lo scoglio più grande: l'apprendimento della
lingua.
Nelle interviste raccolte i ragazzi danno un giudizio in prevalenza
positivo per quando riguarda il loro inserimento scolastico e il
rapporto con gli insegnanti.
Chi ti ha aiutato di più ad imparare la lingua italiana?
“All’inizio alle medie facevo una specie di corso con un’insegnante che mi ha
aiutato molto con le parole…ad esprimermi”.
(Z., 18 anni, genitori albanesi)
Quali sono stati le maggior difficoltà che hai incontrato all’interno della scuola?
“All’inizio ho avuto difficoltà… in matematica comunque no perché i numeri sono
numeri, in italiano si ho avuto molto difficoltà infatti mi ricordo che ci portavano
sempre una prof. Di sostegno, sia a me che a mia sorella, e ci ha aiutato molto, lei è
stata molto significativa nel nostro insegnamento”.
(A., 18 anni, genitori marocchini )
39
Ibidem
45
La scuola per la maggior parte delle famiglie rappresenta il mezzo per
accedere alla cittadinanza sociale: tutto il percorso immigratorio e il
futuro è proiettato sui figli. La scuola è apprezzata non solo dal punto
di vista strumentale, ma come agenzia di integrazione, di tessitura di
contatti con la società italiana, di messa a disposizione di risorse
relazionali per l’accesso ai servizi e la ricerca di nuove opportunità
lavorative.
Il numero sempre crescente di minori stranieri iscritti nelle scuole
italiane, richiede alla scuola una maggiore apertura verso le esigenze
di una società multiculturale per favorire una piena integrazione degli
alunni stranieri e delle loro famiglie.
Ho ritenuto fondamentale introdurre un paragrafo sull’istituzione
scolastica in quanto nell’ultimo anno è stata al centro di dibattiti e di
grandi trasformazioni.
Ritengo che le classi “ponte” non siano una soluzione giusta per
l’apprendimento della lingua italiana, ma una vera e propria
esclusione nei riguardi di questi bambini, è proprio lo stare insieme
agli altri che facilita l’apprendimento e la conoscenza dell’altro.
Non dimentichiamo poi il fatto che molti di questi bambini anche se
hanno un nome e cognome non italiano, la nuova lingua la sanno
parlare perfettamente; quindi, non bisogna generalizzare dicendo che
tutti i bambini stranieri debbano essere inseriti in classe diverse da
quelle dei loro coetanei italiani.
In questi anni è stato fatto in Italia, riguardo l’accoglienza e
l’inserimento dei bambini di origine straniera, infatti, all’interno di
molti istituti scolastici, su basi locali e volontaristiche sono stati
sviluppati laboratori di italiano, attività extrascolastiche e sono stati
introdotti facilitatori e mediatori culturali.
La scuola dovrebbe proporsi come luogo di accoglienza, di confronto
e di integrazione per valorizzare le diverse culture in essa presenti.
Un impegno per l’integrazione scolastica dovrebbe cominciare con il
superamento di queste segregazioni di fatto.
46
2.3.1 L’ingresso a scuola
L’ingresso a scuola per il bambino “straniero” rappresenta un
momento molto importante nella sua vita.
Questo evento è un elemento di discontinuità nella trasmissione
culturale e nella storia familiare: apprendere a leggere e a scrivere
nella lingua del nuovo Paese significa, segnare una rottura con i
legami fondamentali rappresentati dalla lingua materna.
A scuola il bambino può sperimentare anche un vissuto di distanza e
di differenza: rispetto ai riferimenti e ai modelli proposti dai genitori e
dagli insegnanti; rispetto alle aspettative diverse che gli vengono
rinviate da due spazi educativi (scuola e famiglia).
Da una ricerca regionale sui percorsi scolastici e formativi nella scuola
secondaria di II grado (Besozzi, Colombo, 2007) è emerso che l’età di
inserimento più sfavorevole nei confronti della riuscita è quella della
preadolescenza: è meglio essere inseriti prima o dopo ma non durante
la scuola media40.
Il ragazzo adolescente che si inserisce nella scuola secondaria
rappresenta una sfida complessa che può essere segnata da vissuti di
regressione,
frustrazione,
perdita
di
motivazione.
Egli
deve
ricominciare tutto da capo in un nuovo contesto, insieme ad altri
ragazzi, non riuscendo a comprendere le parole e i gesti, il modo con
cui rapportarsi agli altri.
Per un periodo più o meno lungo, i ragazzi neo arrivati stanno in
classe irrigiditi e silenziosi in attesa che gli eventi della giornata e le
parole della scuola acquisiscano un senso.
L’esperienza scolastica che hanno vissuto nel paese natio è molto
diversa dalla nuova e non sempre i ragazzi riescono a ri-orientarsi. In
genere, i ragazzi immigrati hanno sperimentato modalità pedagogiche
e didattiche di tipo tradizionale e modelli disciplinari più rigidi.
Le reazioni nei confronti del sistema scolastico possono essere
differenti. Alcuni provano disagio di fronte alla confusione, al rumore,
40
Casacchia O., Natale L., Paterno A., Terzera L., Studiare insieme, crescere
insieme? Un indagine sulle seconde generazioni in dieci regioni italiane, 2008,
Franco Angeli, Milano, P.33
47
al venir meno di segnali chiari che definiscono la modalità dei tempi,
delle attività e rimangono in disparte e in silenzio:
“ I primi tempi avevo sempre mal di testa per la confusione che c’era in classe, non
ero abituata al disordine e non capivo cosa fare.”
“ Durante le lezioni i miei compagni fanno una grande confusione, cosa che non
avveniva in Cina. Anche il metodo è diverso: là seguivano il libro come ordine, qui
si salta. Io già faccio fatica a capire e con la confusione… Però ultimamente mi sto
abituando41.”
Altri stanno in classe seguendo il modello che gli è stato trasmesso da
piccoli nella scuola d’origine: si concentrano maggiormente sul
compito che devono svolgere che sulle relazioni con i pari, stabilendo
a volte un rapporto privilegiato con gli insegnanti:
“ Mi hanno messo in prima media, avevo due anni più dei miei compagni. Non stavo
bene con loro, ma andavo d’accordo con gli insegnanti42”
Altri ancora, possono riscontrare difficoltà a stabilire nuovi confini, a
decodificare e fare proprie le regole e i messaggi impliciti, a
comprendere
la
portata
delle
trasgressioni,
distinguendo
tra
comportamenti ammessi e tollerati e comportamenti che non vengono
accettati dal nuovo sistema.
Hai avuto particolari difficoltà con la lingua?
“All’inizio forse si, sulla lingua e sul comportamento dato che io ero tipo uno spirito
libero, non mi attenevo alle regole, uscivo sempre di classe, facevo la birichina
sempre però divertivo molto le mie compagne di classe perché ero un soggetto
diverso e dopo piano piano mi sono conformata alle loro regole capendo anche
perché… dopo mi sono tranquillizzata all’età di… 10 anni… però mi sono molto
divertita all’inizio”.
(A., 18 anni, genitori marocchini)
“Si chiede in genere ai minori immigrati di adattarsi in fretta e di trovare il proprio
posto all’interno di riferimenti, regole esplicite o implicite, routine quotidiane
41
Angeli F., Una generazione in movimento. Gli adolescenti e i giovani immigrati.
Atti del Convegno Nazionale dei Centri Interculturali. Reggio Emilia, 20-21 ottobre
2005,P.54
42
ibidem
48
comuni e sedimentate. Si chiede loro di apprendere rapidamente l’italiano e di
esprimere, attraverso le nuove parole, pensieri, eventi, concetti, riflessioni. [..] Le
aspettative familiari e della scuola premono affinché la fase di adattamento sia
veloce, ridotta nel tempo, autogestita e il periodo di disorientamento sia silenzioso e
invisibile”43.
L’ingresso nella scuola rappresenta un occasione di scambio, di
conoscenza, di relazione con gli altri, per alcuni ragazzi essa però
rappresenta l’ambito nel quale emergono le fragilità e si pongono sfide
e ostacoli difficili da superare.
2.3.2 La conoscenza della lingua
La conoscenza dell’italiano costituisce un requisito fondamentale per i
giovani “stranieri” nell’inserimento del contesto italiano. E’ stato
infatti rilevato come la scarsa conoscenza della lingua aumenti
significativamente i problemi di inserimento del soggetto nella nuova
società.
Come si può supporre, le conoscenze e abilità linguistiche crescono
sensibilmente al crescere della durata del tempo trascorso nel paese di
arrivo.
Dalle ricerche che ho svolto è emerso come i bambini e i ragazzi
parlino la lingua del paese di origine all’interno della propria famiglia
e con ragazzi che provengono dal loro stesso paese. La lingua italiana
invece, viene parlata all’interno della scuola e con i compagni italiani.
“A casa, con i miei genitori parlo in cinese, a scuola l’italiano”. Huan
(Huan è una bambina di nove anni che parla l’italiano benissimo e con me e un altro
educatore si diverte a dirci le parole in dialetto romagnolo. In un altro momento
dell’extrascuola alla mia domanda Dimmi qualche parola in cinese mi aveva
risposto che lei il cinese non lo sa).
“Con mio padre parlo il dialetto marocchino, con mia sorella l’italiano”. (Aziz)
In casa parlate l’italiano?
43
Favaro G., Napoli M., Come un pesce fuor d’acqua. Il disagio dei bambini e dei
49
“No, con mia sorella a volte, non mi ricordo neanche se parlo italiano o marocchino
mentre con i miei genitori devo parlare per forza marocchino se no non ci capiamo”.
(A., 18 anni, genitori marocchini).
La lingua materna viene mantenuta nella comunicazione domestica,
nel rapporto con i parenti, nei programmi che guardano via satellite.
“Quando l’attaccamento alla propria lingua e al proprio gruppo si scontra con una
presenza esigua di connazionali che non consente la costruzione di una rete
sufficientemente forte ed estesa, è possibile cercare di mantenere relazioni su scala
internazionale. In questo caso, si utilizza internet o il telefono per non sentirsi
isolati e soli”44.
Il linguaggio sembra costituire il principale elemento simbolico che
marca i confini tra i diversi gruppi. L’italiano è la lingua delle
istituzioni, del mondo della scuola o del lavoro, dell’ambiente
formale, mentre il mondo della vita quotidiana, l’ambiente informale è
vissuto attraverso la lingua madre.
Essere bilingui è la situazione più diffusa e riguarda sia bambini nati
qui, sia in misura maggiore, i minori immigrati.
Ciascuno parla la sua lingua in base alla persona con cui interagisce.
Anche la posizione occupata dal figlio nella famiglia è un altro fattore
da tenere conto. Il primogenito, in genere, tende ad usare
maggiormente la lingua d’origine con i genitori mentre il fratello più
piccolo tende ad esprimersi solo in italiano.
La scelta di alternare le due lingue può dipendere inoltre dal tema dei
discorsi, dalla volontà di sottolineare un aspetto, di esprimere un
emozione.
Ad esempio, i genitori e i bambini usano l’italiano per parlare di
argomenti scolastici ma poi torneranno a parlare nella lingua materna
per esprimere sentimenti, riferimenti alla vita familiare, agli stati
d’animo.
ragazzi immigrati, 2002, Edizioni Angelo Guerini, Milano. Pag.11
44
Bosisio R., Colombo E., Leonini L., Rebughini P., Stranieri e italiani. Una
ricerca tra adolescenti figli di immigrati nelle scuole superiori. 9/03/2005
www.sociol.unimi.it/ricerca_pubblicazioni.php
50
E’ interessante notare anche, come si registri una sorta di inversione
delle generazioni: sono i figli ad insegnare l’italiano ai genitori.
Infatti, grazie alla migliore conoscenza della lingua, i figli assumono
precocemente responsabilità adulte nei confronti della società
ospitante, fino a diventare, per certi aspetti, “i genitori dei loro
genitori”, coloro che li accompagnano dal medico, nei rapporti con gli
uffici pubblici, nei contatti con le istituzioni scolastiche,..
Questo modo però di far gestire le relazioni e i problemi ai figli rischia
di indebolire l’immagine dei genitori e il loro ruolo di guida per la
crescita dei propri figli.
51
3. Le teorie legate al concetto di “differenza”
Il diffondersi dei processi di globalizzazione ha fatto si che le azioni
dei singoli individui si muovano in un contesto spazio-temporale
ormai planetario. La velocità e la maggiore disponibilità dei mezzi di
spostamento e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa,
rendono più diffusa e “quotidiana” l’esperienza della differenza,
favorendo l’esistenza di diverse possibilità e di prospettive identitarie.
La diffusione dei media elettronici e il rilievo sociale assunto dai
processi migratori contribuiscono a trasformare la realtà quotidiana,
facendo della differenza una delle risorse maggiormente disponibili,
considerandola come punto di partenza per la sperimentazione della
propria identità.
A tal proposito Appadurai sottolinea come:
“Immagini in movimento che incrociano spettatori deterritorializzati creano “sfere
pubbliche diasporiche”, nuovi spazi sociali, politici e culturali attraversati e
caratterizzati dalla differenza e dalla volontà di preservarla, senza annullarla in
una sintesi percepita come perdita e riduzione.”45
Tali spazi mettono in crisi le teorie che continuano a vedere lo stato
nazione come causa principale dei più rilevanti mutamenti sociali e
l’ideale di eguaglianza come fondamento unico per la solidarietà
sociale.
I ragazzi di origine straniera, sono maggiormente inseriti in flussi di
riconoscimento identitario, di consumo e di informazione, molto
eterogenei tra loro. Tali contesti sono alimentati dalle possibilità
economiche e tecnologiche, dagli scambi e dalle reti nazionali che
instaurano. Ciò consente ai giovani, la sperimentazione di nuove
modalità di costruzione del sé e lo sviluppo di nuove competenze.
A tale proposito, risulta importante sviluppare la capacità di adeguarsi
a contesti relazionali diversificati, caratterizzati da regole e interessi
differenti, facendo fronte alla crescente difficoltà di trasferire ciò che
45
Appadurai in Colombo E., Semi G., Multiculturalismo quotidiano. Le
pratiche della differenza, Franco Angeli, Milano, 2007
52
si è appreso o acquisito in un ambito della vita ad altri ambiti.
“Soprattutto i giovani si trovano a dover fare i conti con la possibilità e la necessità
di costruire i propri riferimenti e le proprie preferenze a partire da elementi che
provengono da localizzazioni e tradizioni diverse, costruendo nuovi modelli in un
lavoro continuo di assemblaggio, ibridazione, compromesso. Si trovano inoltre nella
condizione continua di apprendere ad apprendere, cioè a dover necessariamente
attrezzarsi per assemblare un insieme ampio e differenziato di competenze e,
soprattutto, per comprendere quali tra esse è più efficace utilizzare in determinati
contesti in vista di determinati obiettivi”46.
Il bilinguismo, la capacità di contare su riferimenti culturali
differenziati, la capacità di adattarsi alle diverse situazioni e
l’instaurare relazioni transnazionali, sembrano fattori rilevanti nella
costruzione dell’identità dei ragazzi di origine straniera.
Nel dibattito sulle “seconde generazioni” hanno prevalso, nel corso
del tempo, diversi approcci teorici che si sono diversamente rapportati
ai concetti di “differenza” e di “identità etnica”.
Enzo Colombo47 e altri autori, hanno individuato alcune prospettive:
- Pluralista
- Costruzionista
- Multiculturalismo quotidiano
Ciò che è importante approfondire è il passaggio da una prospettiva
pluralista (essenzialista) ad una costruzionista.
La prospettiva costruzionista, negli ultimi anni è stata ritenuta
migliore, in quanto considera la “differenza” non come qualcosa che
già esiste ed è immutabile, ma come
una costruzione attiva dell’individuo.
Il modello assimilazionista classico ha portato ad una posizione
radicale che vedeva una completa acculturazione dei migranti nella
società ricevente, comportando il progressivo abbandono dei legami
46
Intervento di Enzo Colombo all’interno del seminario “Ragazzi e ragazze
straniere a scuola e nelle città”, Milano, 7 novembre 2007.
http://www.centrocome.it/come_files/userfiles/File/ScuoleSuperiori/Contribu
tiSS/intervento%20Colombo.doc
47
Colombo E., Semi G., Multiculturalismo quotidiano. Le pratiche della
differenza,Franco Angeli, Milano, 2007
53
identitari e di un’identità culturale originaria.
Diversi autori hanno optato per un rovesciamento di
questa
prospettiva, sostenendo in questo modo una visione pluralista e
multiculturale, volta al mantenimento della dimensione etnica più che
al processo di inclusione per assimilazione.
Tale visione prevede il mantenimento o il rafforzamento delle lingue e
delle culture dei gruppi immigrati, le strategie e le politiche di
riconoscimento delle tradizioni, delle religioni e dei modelli di
relazione dei singoli gruppi minoritari.
I discorsi contemporanei relativi al concetto di differenza sembrano
basarsi su due prospettive: quella che vede contrapporsi l’idea della
differenza come un insieme dato di tratti caratterizzanti e l’idea della
differenza
come
un
continuo
mescolamento, ibridazione.
54
processo
di
trasformazione,
3.1 La prospettiva pluralista o essenzialista
La differenza etnica e i suoi caratteri distintivi come la lingua, la
religione, la famiglia, i rituali e le tradizioni, sono considerati come i
fattori determinanti nella comprensione delle strategie migratorie,
degli atteggiamenti e dei comportamenti dei gruppi migranti e dei loro
figli.
La differenza etnica viene considerata, secondo questa prospettiva, un
elemento che “spiega” il comportamento sociale, divenendo sinonimo
di identità e di appartenenza ad un particolare gruppo sociale,
trasformandosi in un ‘essenza:
“ La differenza tende ad assumere il carattere di un’essenza, il nucleo più profondo
e autentico che fonda la ragione di esistenza del singolo o del gruppo, qualcosa che
si è ricevuto come dotazione personale particolare o come eredità collettiva forgiata
attraverso lunghi periodici storici, costituita dalla sedimentazione dei più sacri
saperi del gruppo e che ora influenza e guida le azioni, i pensieri, le volontà
individuali e collettive.”48
Il soggetto e i gruppi privati di questo loro bagaglio specifico, della
loro differenza, sono privati della capacità di agire e di pensarsi come
soggetti umani.
Tale visione essenzialista porta a considerare la differenza come un
qualcosa che già esiste e non può essere modificato, favorendo in
questo modo una retorica dell’esclusione, che porta ad un unico
vantaggio dei gruppi dominanti:
“ Chi ha potere sufficiente a costruire confini visibili e consistenti può regolarne il
passaggio, impedendo l’accesso a individui e a gruppi indesiderati”49.
La differenza finisce così per funzionare come un meccanismo
ideologico che consente la legittimazione delle disuguaglianze e di
nascondere la vera natura, basata sull’egemonia culturale e sul
controllo delle risorse materiali da parte del gruppo dominante.
48
49
Colombo E., Semi G., 2007, Pag. 20
ibidem
55
L’insistenza sul carattere essenziale, originario, indiscutibile della
differenza annulla ogni possibilità critica, pretendendo che ogni
differenza sia accettata nei termini in cui è presentata dai singoli
individui e dai gruppi, senza possibilità di valutazione, di resistenza e
di contestazione.
Tale premessa ci porta, da un lato, a considerare che tutti gli
appartenenti di un gruppo abbiano le stesse credenze, la stessa visione
del mondo e, quindi, le stesse aspettative; dall’altro, proprio perché
sono portatori di tali differenze sono diversi da me.
E’
facile
allora
costruire
un
rapporto
con
l’altro
basato
sull’indifferenza o sul conflitto: infatti, se la relazione è bonaria e
l’indifferenza risulta insuperabile, allora una delle possibilità che ho
per rapportarmi all’altro è la tolleranza, ossia decidere che c’è un
“qui” e un “lì”, un “noi” e un “loro” e conviverci insieme riducendo al
minimo la conoscenza e ciò che potrebbe contaminare entrambe le
parti.
“ Se si considera la differenza culturale come un’essenza, allora la differenza è
qualcosa che abbiamo, che fonda la nostra identità sociale e non possiamo
modificare, in quanto ogni modifica è un venir meno alla nostra identità. Partendo
da qui, sono poche le strade che restano da percorrere. Una strada è quella di
evitare il più possibile i contatti per mantenere salde le nostre identità; l’altra è
quella di tollerarci in superficie proprio in quanto la differenza dell’altro non è in
grado di toccarci profondamente e non cambia l’essenza sulla quale crediamo
fondata la nostra appartenenza.”50
50
ibidem
56
3.2 La prospettiva costruzionista
Uno dei contributi più rilevanti della riflessione antropologica e
sociologica al dibattito relativo alla differenza, identità e cultura
consiste nella decostruzione critica della prospettiva essenzialista.
A partire da una epistemologia costruzionista, si mette in evidenza che
differenze, identità e culture non sono date ma prodotte in un’opera
continua di mediazione, confronto, adeguamento e conflitto tra
possibilità differenziate.
“Non esistono come realtà PURE, SEPARATE, ma solo come processi
intrinsecamente caratterizzati da contraddizione, instabilità, mutamento e
miscelazione.”51
Tale approccio evita di considerare la differenza come qualcosa di
pre-sociale e di costitutivo, ma è considerata una produzione situata.
L’approccio costruzionista infatti, non si limita a constatare il carattere
costruito della realtà sociale ma si interroga sulle condizioni e sui
modi di tale produzione.
Viene proposto uno sguardo processuale, dinamico e costruzionista
che non si interroga sulla presunta sostanza della differenza, ma che si
concentra sui contesti, le modalità, le tattiche e le strategie del suo
utilizzo pratico.
Secondo Young e Werbner52, l’insistenza postrutturalista sul carattere
inevitabilmente ibrido di ogni identità e cultura toglie di fatto rilievo
alla differenza, trasformandola in un elemento costitutivo ma non
caratterizzante:
“ Favorisce l’idea che le differenze siano equivalenti e simmetriche, trasforma le
differenze iniziali secondo logiche di miscelazione continua che sono del tutto
indipendenti dalle diverse posizioni di potere. L’ibrido tende ad apparire sempre
positivo, un superamento dei poteri egemonici esistenti, sempre capace di lasciarsi
alle spalle le disparità e le disuguaglianze degli elementi che entrano in contatto.”53
51
Clifford, 1998; Hannerz, 1996; Amselle, 1990; Nederveen Pietere, 2003; in
Colombo E., Semi G., 2007, Pag. 22
52
Young e Werbner in Colombo E., Semi G., 2007, Pag. 22
53
ibidem
57
Riprendendo Clifford, il concetto di ibrido segnala che l’identità, le
culture e le differenze non si danno mai in forma pura e omogenea,
ma trovano condizione di possibilità nel confronto continuo, nel loro
carattere indefinito e impuro, nello spazio intermedio che risulta
dall’impossibilità di definire secondo criteri “naturali”, stabili e
incontestabili la propria e l’altrui identità, la propria e l’altrui
differenza.
Il concetto di differenza sembra muoversi all’interno di due coppie di
polarità.
La
prima
è
definita,
da
un
lato,
dalla
dicotomia
eguaglianza/disuguaglianza, dall’altro dal legame con l’identità. La
seconda invece, oggettivizza la differenza, mettendo in luce i processi
di continua produzione, mescolamento e ibridazione.
Il dibattito sul multiculturalismo appare così chiuso in mezzo due
polarità, da un lato rimane ostile alla differenza, non tenendo conto
dell’importanza che essa assunto nella vita quotidiana e nella
definizione di sé; dall’altro, assume un carattere ideologico che
trasforma la differenza in un valore irrinunciabile, trasformandola in
un essenza da proteggere e da riprodurla senza eccessive alterazioni.
In tutti e due i casi, anche se in modo differente, la differenza tende ad
assumere il carattere di un essenza, una caratterizzazione fondante la
specificità individuale e di gruppo che, proprio per questo suo
carattere sacro e costitutivo, deve essere preservata nella sua presunta
purezza, protetta da mutamenti e miscelazioni54.
Il piano sociologico, attento a come la differenza viene costruita,
interpretata e utilizzata nello specifico delle diverse relazioni sociali,
rimane sullo sfondo, se non del tutto assente. Come sostiene Enzo
Colombo, uno dei modi per provare a reintrodurre la dimensione
sociologica potrebbe essere quello di porre attenzione alla dimensione
quotidiana, a partire dal ruolo che in essa tende ad assumere la
differenza.
54
http://www.sociol.unimi.it/papers/2003-5-7_Enzo%20Colombo.pdf
58
3.3 Multiculturalismo quotidiano
All’interno di una prospettiva costruzionista nasce l’idea di
multiculturalismo quotidiano.
Tale termine tende ad evitare di considerare la differenza come un
qualcosa di pre-sociale, di costitutivo e di fondamentale, capace di
determinare il pensiero e le azioni degli individui, ma al contrario la
differenza, viene considerata:
“Una produzione situata, risultato di confronti e conflitti che hanno luogo in
contesti caratterizzati da una distribuzione asimmetrica delle risorse e del potere,
ma non di meno necessaria per attribuire senso alla realtà sociale e per organizzare
l’agire in essa”.55
Per tale motivo l’interesse centrale di multiculturalismo quotidiano
non è il cercare di definire i contenuti delle diverse differenze, ma si
rivolge agli usi pratici della differenza nei contesti di interazione
quotidiana.
In questo caso, si assume un approccio costruzionista che non si limita
a considerare il carattere costruito della realtà sociale ma che si
interroga sulle condizioni e sui modi di tale produzione.
Enzo Colombo, all’interno de multiculturalismo quotidiano considera
la differenza come un concetto poliedrico e analizza le diverse
dimensioni di essa:
“Il rilievo assunto dalla differenza come risorsa per l’azione – oltre a collegarsi
all’importanza che essa assume nella società contemporanea- è legato sia al fatto
che essa sembra costituire una risorsa ampiamente disponibile, sia al fatto che si
presta ad un uso poliedrico”.56
La differenza si presenta come nuova forma di identificazione, cioè
come strumento di resistenza contro l’omologazione nel modello
dominante. Nell’ambito del multiculturalismo quotidiano tende a
garantire la possibilità di rivendicare spazi di indipendenza,
55
56
ibidem
ibidem
59
manifestazioni di autonomia e libertà e di definire e manifestare le
proprie preferenze.
Si presenta inoltre come nuova forma di egualitarismo, cioè come
strategia di legittimazione di richieste di inclusione. All’interno del
multiculturalismo
quotidiano
si
manifesta
come
spazio
di
rivendicazione per l’accesso a risorse scarse da cui si è stati esclusi.
Secondo Colombo, il riconoscimento di appartenenza a specifiche
differenze diventa uno strumento tattico per acquisire posizioni
vantaggiose rispetto ai criteri di allocazione
di particolari beni e
servizi.
La differenza può inoltre essere la base per nuove forme di privilegio,
cioè essere trasformata in uno strumento strategico per ottenere
vantaggi, divenendo in questo caso strumento di esclusione e di
protezione degli interessi del gruppo con cui si identifica.
Infine, si può presentare come nuova forma di critica sociale, cioè
come strategia di legittimazione per la richiesta di ridiscutere e
modificare le regole che fondano lo status quo. Nell’ambito del
multiculturalismo quotidiano questo uso della differenza si traduce
nella possibile creazione di spazi di sperimentazione, spazi che
favoriscono la contaminazione e l’incontro, la festa, l’inversione
rituale e la trasgressione carnevalesca.
Porre al centro dell’attenzione e della ricerca le pratiche di
multiculturalismo quotidiano significa cercare di dare attenzione alla
differenza, alle appartenenze e alle identità, senza considerarle né
oggetti fissi e immutabili, ma considerarle come costruzioni sociali
che prendono forma nelle interazioni in contesti specifici.
Da qui nasca l’esigenza di considerare la differenza non come un
fattore determinante, un prerequisito, che consente di prevedere le
forme l’azione individuale e collettiva, ma come una risorsa a
disposizione dei soggetti per definirsi e definire le situazioni nelle
quali si trovano quotidianamente coinvolti.
I giovani di origine straniera costituiscono dei soggetti privilegiati per
analizzare come differenza, identificazione e appartenenza vengono
60
costruiti e utilizzati in contesti di multiculturalismo quotidiano. Essi
infatti hanno tra i loro potenziali fattori di identificazione il
riferimento ad esperienze culturali, modelli tradizionali e reti di
relazioni sociali considerati differenti.
Mannheim57 individua i ragazzi di origine straniera in una particolare
“collocazione di generazione”, collocazione che può favorire la
formazione di un “legame di generazione”: la percezione di
condividere un’esperienza storica e biografica unica e specifica.
“ Condividere un legame di generazione – l’esperienza della migrazione, la
necessità di collocarsi entro contesti culturali e network relazionali diversificati,
una valutazione positiva della differenza e l’importanza attribuita a un suo
riconoscimento da parte del contesto in cui ci si trova inseriti, la ristrutturazione
delle dimensioni spazio-temporali dovute ai processi di globalizzazione,
l’immersione in una sfera pubblica diasporica caratterizzata dai flussi di
informazioni, immagini, idee, individui e merci- non implica necessariamente
costituire né un gruppo concreto né un’unità omogenea. Sarebbe dunque più
opportuno parlare di generazioni al plurale per evidenziare la complessità e la
differenziazione interna.”58
Utilizzare una prospettiva di generazione permette di evitare di
considerare l’appartenenza etnica come il fattore determinante
dell’azione di questi giovani, consente inoltre di evitare di considerare
le differenze, le identificazione e le identità come essenze, immutabili
e statiche.
Risulta importante focalizzarsi al come queste differenze e identità
vengono costruite e utilizzate, oltrepassando il loro contenuto
specifico.
Dalle ricerche svolte è stato notato come i ragazzi di origine straniera
usano o nascondano la propria differenza a seconda degli obiettivi da
raggiungere.
E’ utile vedere come essi giochino con questa ambivalenza fondata
sulle appartenenze, non rinunciando ad essere contemporaneamente
57
Mannheim in Bosisio R., Colombo E., Leonini L., Rebughini P., Stranieri e
italiani. Una ricerca tra adolescenti figli di immigrati nelle scuole superiori.
9/03/2005
58
Ibidem
61
“diversi” e italiani. A dispetto dei luoghi comuni che si interrogano se
i giovani di seconda generazione siano rimasti stranieri in patria o
siano diventati a tutti gli effetti italiani, per loro, i giovani stessi, la
scelta e la differenza non si pone in termini così assoluti.
A seconda dei contesti quindi, l’appartenenza culturale viene dunque
giocata per definire chi sono in un contesto a seconda degli interessi
che spingono all’azione. Se sarò interessato ad avere rispetto in quanto
membro di un’altra cultura o discendente di una particolare famiglia,
allora la differenza culturale sarà in quel contesto un elemento
importante per definire la mia identità; in altre situazioni, al contrario,
il mio interesse sarà quello di essere considerato come tutti gli altri,
come italiano, giocando proprio su tale appartenenza. E questo
“gioco” non crea affatto contraddizioni negative perché, come
sostiene Enzo Colombo, l’identità non si gioca di una sola
appartenenza, ma di sovrapposizioni e di stratificazioni.
3.3.1 I concetti di: cosmopolitismo e transnazionalismo
“ Un’autista di taxi a Londra recentemente mi ha raccontato di aver lavorato a New
York, a Nuova Delhi e a Londra e che stava pensando di raggiungere un parente
che faceva lo stesso mestiere a Città del Messico. Gli ho chiesto quale paese gli
fosse piaciuto di più, ma il tassista sembrava non capire la domanda: aveva vissuto
in un mondo fatto di metropoli diverse tra di loro, ma con una familiarità urbana
più significativa , per lui, delle differenze nazionali dei singoli paesi a cui queste
città appartenevano.”59
Con tale frase, tratta da un articolo di giornale, si vuole spiegare come
il mondo sia cambiato e che i confini dei paesi non sono così
strettamente delineati.
Il cosmopolitismo, la connettività, l’urbanità, la densità, il
multiculturalismo e la creatività, saranno i caratteri costitutivi delle
nuove cosmopoli.
La crescente attenzione per tali fenomeni di trasformazioni, indotte dai
59
Da un articolo tratto da “Repubblica” di Benjamin Barber, 11 maggio 2009
62
processi di globalizzazione, modifica il nostro modo di guardare ai
fenomeni migratori, ma più in generale, segnala trasformazioni
profonde che riguardano non solo i migranti e i loro figli, ma tutti noi,
per molti aspetti della nostra vita quotidiana.
A partire da una prospettiva attenta all’intensificarsi dei fenomeni di
interconnessione tra i vari paesi, la condizione del migrante diviene
“esemplare”, anticipando le trasformazioni che probabilmente
diventeranno esperienza comune e condivisa.
L’attenzione viene posta sulle modalità di costruzione dei legami
comunitari, dell’identità individuale e delle strategie adottate per
garantirsi successo economico e sociale.
In un contesto di crescente interconnessione globale, la propria
identificazione è data principalmente dal flusso transnazionale in cui
si è inseriti, piuttosto che direttamente dalle caratteristiche locali.
Come dimostrano le testimonianze dei ragazzi intervistati all’interno
della ricerca “Giovani delle terre di mezzo”: differenza, identità,
appartenenza etnica risultano essere in relazione con elementi
contestuali e non definiti in modo assoluto, coerente e costante.
A questo proposito è utile analizzare in che modo entri in gioco il
concetto di cosmopolitismo, l’immagine del cosmopolita, il quale sta a
significare la creazione di uno spazio che pur tenendo conto dei
confini nazionali li trascende, configurando forme di superamento
della distinzione nazionale che ha caratterizzato la modernità.
(Hannerz 1998; Werbner 1999; Fetherstone 2002).
Il termine cosmopolita segnala la dimensione processuale dei processi
di identificazione, come questi non si configurano come essenza,
costituzioni stabili e definitive, ma come capacità di costituire sintesi
continue che tengano conto delle esperienze passate per adeguarle alle
necessità dei contesti presenti e agli obiettivi futuri.
In questo contesto, le seconde generazioni di immigrati, lontani
dall’essere la semplice estensione delle loro “terre natie” e delle loro
“radici” tradizionali, secondo Soysal essi
63
“negoziano e definiscono identità collettive che sono dissociate dalla cittadinanza
etnica e culturale. Prendono i loro simboli identificativi sia dal flusso culturale
60
globale, sia dagli elementi distintivi delle nazioni di provenienza e di arrivo”
.
I ragazzi è come se giocassero il dividersi tra due culture,
l’appartenere a due mondi. Tenere insieme diverse appartenenze e
diverse specificità ampia la possibilità di azione e fa si che si adattino
nel miglior modo ai differenti contesti. L’utilizzo che viene fatto della
differenza e il significato che essa di volta in volta assume “dipendono
dai contesti in cui ci si trova inseriti, dagli scopi che si intendono
raggiungere, dalla lettura che viene fatta delle diverse situazioni”61.
Le differenze sono e vengono considerate come risorse positive, le
quali consentono una maggior apertura mentale, maggiore libertà e
aprono la strada a maggiori opportunità.
Lo sviluppo affettivo, intellettuale, sociale dei giovani di origine
straniera, è avvenuto attraverso il contatto con due o più modelli di
riferimento culturali: da un lato quello dei genitori che rispecchia in
qualche modo, i valori e le pratiche culturali del paese di origine e
della comunità culturale di riferimento in Italia. Dall’altro, quello
trasmesso dalla scuola e dalla società di residenza.
La conoscenza che i giovani della seconda generazione hanno del
paese d’origine è fortemente mediata dallo spazio affettivo e familiare
nel quale sono cresciuti; mentre il contatto con la società italiana
avviene in particolare negli spazi della vita scolastica e sociale.
Entrambi questi riferimenti sono inoltre oggi a loro volta influenzati
da altri modelli culturali veicolati attraverso i mezzi tecnologici e i
mass media.
Si manifesta quella che Beck62 ha definito poligamia dei luoghi:
spostarsi in molti luoghi diversi che abbracciano mondi separati, senza
che alcuno di essi sia in grado di catturare nella sua totalità la
molteplicità dell’esperienza quotidiana.
Appartenere e seguire i codici e le usanze di una determinata cultura
60
ibidem
Ibidem
62
Beck, U. La società cosmopolita, Il Mulino, Bologna, 2003, Pag. 110
61
64
spetta al singolo individuo decidere, è una scelta orientata dalle
proprie preferenze e dai propri obiettivi.
Secondo Beck la globalizzazione implicherebbe la nascita di lealtà
multiple e lo sviluppo di molteplici stili di vita transnazionali e in
seguito sintetizza così il suo pensiero:
“Sguardo cosmopolita significa che in un mondo di crisi globali e di pericoli
generati dal progresso le vecchie distinzioni - tra dentro e fuori, nazionale e
internazionale, noi e gli altri - perdono il loro carattere vincolante e che per
sopravvivere c'è bisogno di un nuovo realismo, un realismo cosmopolita”63.
Il concetto di transnazionalismo
Con il termine transnazionalismo si indica la capacità dei migranti di
essere in entrambi i contesti contemporaneamente.
La prospettiva transnazionale pone in risalto il diffondersi di una
consapevolezza della multi localizzazione, del legame esistente tra
gruppi e luoghi distanti e diversificati, per cui
“Il qui e l’altrove si interconnettono, tanto che ciò che avviene “qui” è
comprensibile e possibile grazie a ciò che esiste lontano e il tipo di connessioni che
si alimentano altrove fa la differenza rispetto a ciò che si è in grado di fare e di
ottenere qui ed ora”64.
Ciò avviene soprattutto tra i giovani migranti, la cui socializzazione
avviene in contesti molto differenziati e i processi di costruzione
dell’identità fanno spesso uso di elementi costitutivi provenienti da
universi diversi.
Bosisio, Colombo, Leonini e Rebughini all’interno della loro ricerca
“Stranieri e italiani”,65 sostengono che:
“Un’identificazione transnazionale sembra favorita dal possesso di un discreto
63
Ibidem
Bosisio R., Colombo E., Leonini L., Rebughini P., Stranieri e italiani.
Una ricerca tra adolescenti figli di immigrati nelle scuole superiori.
9/03/2005 www.sociol.unimi.it/ricerca_pubblicazioni.php
65
www.sociol.unimi.it/ricerca_pubblicazioni.php
64
65
capitale culturale e sociale, da un ottimo inserimento in una rete etnica e da un forte
orientamento verso il successone e il miglioramento personale. Sembra essere più
frequente tra i giovani che sono arrivati in Italia tra i sei e i tredici anni, che hanno
un buon grado di conoscenza e di inserimento nella realtà italiana, ma che
mantengono una viva memoria e un concreto legame con il contesto nel quale sono
nati e cresciuti nell’infanzia. Si tratta di giovani che mantengono un’elevata
competenza sia nella lingua italiana e che, tendenzialmente, vivono in un contesto
familiare caratterizzato da bassa conflittualità, in cui il livello culturale e sociale
dei genitori consente di alimentare interessi e garantire una costante acquisizioni di
informazioni relative al paese di provenienza”.
Alcuni antropologi hanno definito con il termine “transnazionalismo”
il processo attraverso il quale i migranti, grazie anche alle innovazioni
tecnologiche, tessono reti e mantengono relazioni sociali, economiche
culturali e politiche che, collegando le loro società di origine a quelle
di approdo, attraversano confini nazionali (Glick Shiller et al. 1992)66.
Essere transazionali significa utilizzare la propria posizione di extra –
territorialità per favorire il passaggio dei beni, informazioni o
competenze in modo da ricavarne un vantaggio economico.
Bruno Riccio a tale proposito sostiene che i “trasmigranti” sono
“Coloro le cui vite quotidiane si svolgono “qui” e “là”, tra due o più stati
nazionali, con profonde conseguenze sia per i migranti sia per gli stati che questi
ultimi attraversano”67
66
Riccio B., “Migrazioni transnazionali: il declino dello stato nazionale?”, in
Callari Galli M. (a cura di), Nomadismi contemporanei. Rapporti tra
comunità locali, stati-nazione e “flussi culturali globali”, Guaraldi
Universitaria, Rimini, 2004, p.122
67
ibidem
66
4 Un approccio etnografico alla ricerca
I dati ripresi in questo elaborato sono stati raccolti attraverso diverse
metodologie quali l’osservazione partecipante all’interno del progetto
“Extrascuola”, conversazioni informali con i miei coetanei e la
partecipazione ad una ricerca – azione sul tema delle “seconde
generazioni”, intitolata “Giovani delle terre di mezzo”.
Questi ambienti mi hanno permesso di entrare in contatto con la realtà
studiata, ciascuno dei quali in modo differente ma estremamente
coinvolgente.
“(…) Che il terreno sia multi situato o che si svolga in un solo luogo, che sia esso
per l’antropologo “esotico” o “familiare”, che egli vi risieda stabilmente o meno,
la dimensione simbolica e concettuale entro la quale l’osservazione e la progressiva
costruzione dell’oggetto di ricerca si iscrivono non possono oggi prescindere da
uno sguardo che abbracci “l’interno, l’esterno e i margini” della comunità studiata.
In questa prospettiva, “locale” e “globale” rappresentano due sfere di influenza
che ne prefigurano, senza esaurirle, altre, le quali vanno dallo stato e dalle sue
politiche culturali – che si esprimono attraverso i mezzi di informazione, le scuole,
le università, i musei- fino ai rapporti informali e quotidiani che il gruppo di cui
l’etnografo si occupa intrattiene con le comunità a esso contigue68.”
L’extrascuola è un’attività che viene promossa negli istituti didattici
(scuola primaria e secondaria di primo grado) del distretto nord e sud
della provincia di Rimini.
Per quanto mi riguarda, tale attività è stata svolta a Riccione (scuola
secondaria), Misano (scuola primaria), Cattolica (scuola primaria) e a
San Giovanni (scuola primaria e secondaria) per un periodo compreso
tra ottobre 2008 e maggio 2009.
Lo scopo dell’extrascuola è il potenziamento e il recupero della lingua
italiana per i bambini che provengono da diverse nazionalità e in
alcuni casi è rivolto anche a studenti italiani che presentano difficoltà
nell’apprendimento.
68
Rossi C., Antropologia culturale. Appunti di metodo per la ricerca nei mondi
contemporanei, Guerini e associati, Milano, 2003, Pag. 50
67
Quello che si chiede agli alunni durante le ore dell’extrascuola è di
portare i compiti, in particolare quelli di italiano che vengono
assegnati loro dai rispettivi insegnanti. Oltre ad aiutarli ad apprendere
meglio la lingua, l’extrascuola, rappresenta un momento di scambio,
di conoscenza e di gioco.
E’ presente un continuo scambio culturale; noi volontari insegniamo a
loro le nostre abitudini, modi di fare, tradizioni e proverbi; mentre
attraverso loro impariamo la loro lingua, ad esempio come si dice
“ciao” in cinese, senegalese, ucraino, olandese.
In questo periodo sono entrata in contatto con una realtà che prima mi
era sconosciuta, attraverso la partecipazione ad alcuni convegni sulle
“seconde generazioni”: un ciclo di incontri svolti presso l’associazione
Arcobaleno. Grazie alla partecipazione a tali seminari ho conosciuto i
protagonisti della mia tesi.
Questi ragazzi fanno parte di alcune associazioni di “seconda
generazione” come la GA3, Associna, Crossing, Rete Together.
In particolare, con alcuni di loro sono riuscita ad instaurare un
rapporto di amicizia, il quale mi ha permesso di distaccarmi un po’ dal
mio ruolo di tesista e di scoprire la loro storia di immigrazione,
approfondendo il loro punto di vista così poco analizzato e preso in
considerazione, soprattutto a livello di ricerca.
La ricerca – azione “Giovani delle terre di mezzo”, a cui ho
partecipato è stata realizzata da alcune associazioni di volontariato
della provincia di Rimini (Ass. Arcobaleno, Voce in Capitolo,
Jacqueire), con il supporto di Volontarimini.
E’ una ricerca di tipo qualitativo a più voci che ha coinvolto,
attraverso l’uso di interviste, giovani di origine non italiana che
frequentano le scuole superiori, docenti e operatori di realtà educative
territoriali.
L’obiettivo finale di tale ricerca è quello di realizzare un report da
restituire alle associazioni e ai soggetti che operano nell’ambito
dell’immigrazione con lo scopo che diventi anche un utile strumento
68
di programmazione con i giovani stranieri e
aggregazione giovanile.
69
per creare spazi di
4.1 Dispositivi d’indagine 1: Osservazione partecipante
Come ho accennato precedentemente, durante la ricerca svolta presso
gli istituti scolastici, ho seguito il metodo etnografico.
L’etnografia si potrebbe definire come una “descrizione di un
particolare mondo sociale in base a una prospettiva non scontata”.69
Infatti può essere definita in tal modo perché l’etnografo tenta di
descrivere la realtà sociale ma in base a presupposti che ne
evidenziano aspetti non ovvi.
Ho utilizzato in particolar modo l’osservazione partecipante per
entrare in relazione con i bambini/ragazzi e, aspetto non meno
importante, per dare un taglio scientifico alla mia ricerca sulle
“seconde generazioni”.
“L’osservazione partecipante costituisce la postura metodologica principale
assunta dall’etnografo, il quale raccoglie i dati condividendo, e al contempo,
osservando, la vita del gruppo in ogni suo aspetto”70.
Come volontaria e studente, mi sono immersa in situazioni, persone
estranee a quelle che frequento quotidianamente. Proprio questo
atteggiamento cognitivo, risulta essere il più appropriato nello
svolgimento di un’osservazione partecipante.
“L’estraneo, ignorando molti aspetti della cultura del gruppo a cui tenta di
accedere, cerca di capirne le convenzioni per agire come membro competente.
Inizialmente l’estraneo dà poche cose per scontate e ha la capacità di accorgersi di
particolari che agli occhi dei membri appaiono banali e irrilevanti, o che sono
totalmente invisibili. (…)
Questo atteggiamento è tanto più facile quanto più si è culturalmente distanti dal
gruppo che osserviamo come capitava all’antropologo classico, che a volte
conosceva poco anche la lingua della comunità che studiava.”71
69
Dal Lago A., De Blasi R., Un certo sguardo. Introduzione all’etnografia sociale,
Laterza, Bari, 2002, Pag.10
70
Rossi C., 2003, Pag. 46
71
Gobo G., Descrivere il mondo. Teoria e pratica del metodo etnografico in
sociologia, Carrocci, Roma, 2001, Pag.106.
70
Le metodologie etnografiche privilegiano l’aspetto induttivo nel quale
le ipotesi emergono durante il lavoro di ricerca, piuttosto che quello
deduttivo, con cui si parte da ipotesi iniziali e in un secondo momento
si testano empiricamente sul campo.
L’osservazione sul campo è il metodo etnografico per eccellenza:
quando è sul campo, il ricercatore può decidere che tipo di
osservazione utilizzare. Ad esempio, può utilizzare un’osservazione
non partecipante oppure un’osservazione partecipante. Mentre nella
prima il ricercatore assiste passivamente alle situazioni in cui è calato,
osservando quasi a distanza i soggetti interferendo il meno impossibile
per non “inquinare” la ricerca con la propria presenza, nel secondo
metodo di ricerca ci si immerge direttamente nel campo di indagine e
si partecipa attivamente alle interazioni della vita quotidiana dei propri
soggetti di studio.
“L’obiettivo della partecipazione attiva non è quello di diventare un nativo e
acquisirne le capacità e le competenze sociali, bensì di raggiungere una maggior
comprensione delle pratiche osservate”72.
Secondo tale approccio, questo strumento di indagine fa sì che la
presenza del ricercatore in qualche modo condizioni l’osservazione e,
sebbene si cerchi di ridurne al minimo l’influenza, bisogna prendere
atto che essa è eliminabile soltanto in parte. Come sostiene Jedlowski
“ciò che si vede non è dunque la <<realtà>>, ma la specifica realtà
generata dal proprio intervento”.73 Se questa peculiarità da alcuni può
essere
considerata
un
limite
dello
strumento
osservazione
partecipante, da molti è ritenuta una caratteristica connaturata
all’osservazione stessa. Secondo Gobo ad esempio:
“Accettando questa prospettiva l’obiettivo del ricercatore non è quello di
modificare il meno possibile il campo di osservazione, ma di attivare buone
72
73
Gobo G., 2001, pag. 82
Jedlowski 1994, Pag. 24 in Gobo G., 2001, Pag.98
71
strategie per comprendere il meglio possibile.”74
Ai fini della ricerca, ho deciso di descrivere l’attività dell’extrascuola
solamente di un determinato istituto scolastico75, in quanto ho
trascorso un periodo maggiore in esso e ho trovato un clima
decisamente accogliente.
Il periodo di osservazione partecipante all’interno della scuola
primaria è durato sei mesi (novembre 2008 – maggio 2009), per circa
due ore settimanali.
L’ambiente
Per la metodologia etnografica i “luoghi” sono altrettanto importanti,
non a caso il primo suggerimento che proviene dalla Scuola di
Chicago è quello di “scendere per le strade e guardarsi intorno”.
Ritengo che la descrizione degli ambienti sia fondamentale per
comprendere i comportamenti delle persone, e in questo caso, essi
ricoprono maggiore importanza essendo fondamentali per il mio
“s/oggetto di studio”.
L’ambiente scolastico rappresenta per tutti i bambini un luogo di
grande importanza, all’interno del quale avviene la socializzazione
primaria.
Il circolo didattico di Cattolica comprende due scuole primarie e una
scuola dell’infanzia: scuola primaria “Piazza Repubblica”, scuola
primaria “Carpignola” e scuola dell’infanzia “Giovanni XIII”.
Il plesso di Piazza della repubblica, costruito nel 1966 e ristrutturato
negli anni 1994-95, accoglie tutti gli alunni residenti a Cattolica nella
zona del centro, del mare e dei territori limitrofi. La scuola è situata
vicino ad importanti edifici pubblici quali il Comune, la Civica Università, la posta, il laboratorio d'immagine e il Centro Culturale Polivalente (a cui sono annessi il teatro, la biblioteca per adulti e ragazzi,
74
75
Gobo G., 2001, Pag. 99
Circolo didattico “Piazza Repubblica”, Via Resistenza, 9 - 47841 Cattolica (Rn)
72
la mediateca, la cineteca), l'Accademia Musicale, l'accademia di danza
e la AUSL. Il plesso comprende anche la scuola materna Giovanni
XXIII. In esso si svolgono attività di Karate e corsi di Taek kwon do.
Il plesso scolastico è molto grande e nuovo, gli spazi interni comprendono un salone adibito ad uso teatro, riunioni e l’attività
dell’extrascuola. Sono presenti in totale quindici aule, due laboratori
multimediali, due spazi per le attività di consolidamento, uno spazio
attrezzato per la psicomotricità, la palestra, biblioteca pedagogica e
una sala mensa. Gli spazi esterni comprendono il giardino, campo per
la pallavolo e uno spazio – giochi attrezzato. I bambini totali iscritti
nell’anno scolastico 2008/09 sono 348.
I progetti interculturali all’interno del Circolo Didattico di Cattolica
La Direzione Didattica di Cattolica rientra nel programma di intervento previsto a favore degli alunni stranieri, inserito nel “ Piano di zona”
del Distretto Sud di Rimini, che vede nel comune di Riccione e
nell’Associazione Arcobaleno il gestore degli interventi di mediazione
ed extrascuola, per il secondo anno consecutivo.
Il finanziamento è diviso in tre azioni:
·
Alfabetizzazione o laboratorio di italiano come L2
·
Mediazione linguistico-culturale
·
Extrascuola
La scuola primaria di Cattolica accoglie, ogni anno, un forte afflusso
di bambini non alfabetizzati, per cui si rende necessario un intervento
programmato e continuativo per affrontare la problematica.
Quanto è stato realizzato negli anni scolastici 2005/2006, 2006/2007 è
stato ritenuto da tutto il Collegio docenti di Cattolica positivo; molta
soddisfazione per le attività svolte, per la disponibilità, per le mete
raggiunte è stata espressa dal Centro Pedagogico di Rimini, in sede di
verifica.
73
Gli attori coinvolti: i bambini dell’extrascuola
Il gruppo di bambini che partecipavano all’attività dell’extrascuola era
molto eterogeneo, sia per la provenienza del Paese natio, sia per l’età e
per le classi che frequentavano.
Inizialmente gli alunni erano otto, dopo pochi mesi si sono ridotti a
sei: ciò è da attribuire a diverse ragioni connesse al trasferimento
scolastico.
Le nazionalità di provenienza sono diverse: Ucraina, Albania, Brasile,
Africa, Cina, Romania, Colombia.
L’età dei bambini oscilla dai 9 ai 12 anni, tutti frequentavano le classi
di quarta e quinta elementare.
Durante l’attività intrapresa all’interno della scuola, io, insieme ad
altri due volontari, aiutavamo i bambini nello svolgere i compiti e a
migliorare la loro padronanza linguistica, i maggiori problemi a cui
andavano incontro durante l’extrascuola era la grammatica.
L’extrascuola oltre ad essere un’attività in cui viene potenziato
l’apprendimento della lingua, rappresenta soprattutto un momento di
socializzazione per i bambini e, elemento non meno importante, uno
scambio culturale reciproco.
La maggior parte di essi sono giunti in Italia in tenera età e hanno
vissuto la loro socializzazione primaria insieme ai loro coetanei
italiani.
I miei sentimenti appena arrivata sono stati subito positivi: io e altri
volontari siamo stati accolti benissimo.
Ciò che mi ha colpito subito è stata la loro dolcezza e l’ottima capacità
nell’esprimersi attraverso la lingua italiana.
I primi incontri sono stati soprattutto di conoscenza reciproca: quando
abbiamo chiesto loro di presentarsi, la prima cosa che dicevano era il
loro Paese di origine. Ciò mi ha colpito particolarmente, in quanto
dimostravano di giustificare la loro provenienza.
All’interno di questa esperienza ho svolto diversi “ruoli”, colei che
aiutava a svolgere i compiti, di conseguenza ai loro occhi ero vista
74
come un’insegnante e allo stesso modo entravo nel ruolo di
“ricercatrice” e di osservatrice. Svolgere contemporaneamente i
diversi ruoli non è stato semplice, anche perché le ore a disposizione
erano effettivamente poche e non è stato facile instaurare un rapporto
di fiducia che mi permettesse di cogliere le loro storie e i loro
sentimenti: ciò è avvenuto soltanto negli ultimi due mesi.
“(All’etnografo) toccherà condividere (…) alcuni aspetti di quel mondo. Aspetti che
gli piacciono o lo disgustano, che lo commuovono o lo turbano o lo lasciano
indifferente (…) Il suo spaesamento (dell’etnografo, nda), infatti, non dipende da un
viaggio, da una rottura con il suo stile di vita ordinario, ma da un ri orientamento,
da un mutamento di prospettive che deve imporsi, spesso in accordo ma anche in
contrasto con le sue inclinazioni e abitudini. In questo senso, lo sguardo etnografico
comporta uno spaesamento molto vicino alla doppiezza.76”
Nel periodo di osservazione ho instaurato un rapporto maggiore con
due bambine, una di origine senegalese, l’altra cinese. Sono tutte e due
molto brave a scuola, per questo motivo penso che sia inutile che
continuino l’attività extrascolastica.
Per motivi di privacy le chiamerò Huan e Taba.
Huan è di origine cinese, ha nove anni e frequenta la quarta
elementare, è una bambina molto allegra e simpatica. Io e il ragazzo
del servizio civile abbiamo detto che da grande dovrebbe fare l’attrice
perché ha un forte senso dell’ironia ed è molto brava a recitare.
Huan è venuta in Italia, grazie al ricongiungimento familiare, all’età di
cinque anni.
A che età sei venuta in Italia?
A cinque anni, però in Cina ne avevo sette.
Qual è stata la tua prima impressione quando sei giunta in Italia?
Io pensavo che l’Italia fosse bella, ero curiosa… All’inizio mi prendevano in giro mi
dicevano: “Te sei cinese!”
Cosa ti manca del tuo Paese?
Gli amici.
Ti senti più italiana o cinese?
75
Mi sento più cinese perché a casa sono cinese, parlo cinese, mi comporto da cinese.
(nda, alla domanda che le avevo posto un altro giorno: “Dimmi una parola in
cinese”, lei mi aveva risposto che non lo sapeva il cinese)
Vorresti ritornare in Cina?
Si, a Pechino e a Shangai, vorrei vivere in tutto il mondo.
Ti senti diversa dai tuoi compagni?
Si.
Perché?
Per i comportamenti, per il mangiare, per il parlare.
Stai bene qua?
Si.
Hai amici?
Si, sia cinesi che italiani.
Taba, è di origine senegalese, ha undici anni e frequenta la quarta
elementare
(lei fa spesso notare come sia molto più grande dei suoi compagni di
classe, soprattutto fisicamente è molto alta, nda), è giunta in Italia
all’età di cinque anni. Taba è molto timida, instaurare un rapporto con
lei è stato più difficoltoso, rispetto ad Huan, era sempre molto restia e
sospettosa nei nostri confronti. Anche lei, come Huan è molto brava a
scuola, a parte alcune difficoltà nell’esposizione dovute anche un
piccolo problema di udito.
Ti senti più italiana o africana?
Mi sento più italiana, purtroppo.
Ti manca il Senegal?
Si molto.
La cosa più bella del Senegal?
La notte, perché giocavamo a nasconderci.
Che lingua parli a casa?
Parlo il senegalese.
Ti trovi bene in Italia?
Gli amici che ho qua sono più antipatici che in Senegal.
Dall’osservazione partecipante che ho svolto e dalle nostre
76
Dal Lago A., De Blasi R., 2002, Introduzione, Pag. 15
76
conversazioni è emerso come a volte, sia lei che Taba, si vergognino
di parlare della loro provenienza. L’elemento fondamentale che ha
dimostrato la mia tesi è l’aver cambiato il proprio nome di nascita, in
uno più breve. Ciò l’ho scoperto molti mesi dopo aver iniziato
l’extrascuola, anche perché, sui registri presenze dell’attività era
inserito il nome abbreviato.
Quando ho chiesto loro perché si facessero chiamare diversamente mi
hanno risposto sostenendo che il loro nome fosse brutto e troppo
lungo.
Ritengo che questi due elementi siano dei forti segnali che in qualche
modo rinnegano le proprie origini. Infatti, a differenza dei ragazzi
adolescenti di origine straniera, loro si sentono italiane e il loro non
essere nate nel paese della società ricevente lo vivono come un fattore
negativo.
“Oggi mentre facevo l’extrascuola alle elementari a Cattolica è accaduto un fatto
che mi ha colpita. Mentre i bambini eseguivano una scheda dove gli veniva chiesto
di indicare alcune tradizioni culinarie del proprio paese, Huan si è rifiutata di farlo.
Dopo averle chiesto il perché si è alzata dal tavolo ed è andata in un angolino
dall’altra parte della stanza.
Ciò mi ha fatto notare come lei abbia un rifiuto per le tradizioni cinesi e per la
lingua (dice anche che non lo sa parlare, ma solo scrivere il proprio nome), è come
se avesse provato vergogna per le proprie origini”
(Dal diario di tirocinio, 21 gennaio 2009)
Un’altra cosa interessante che mi è successa con Taba è stato quando
osservavamo, in un sussidiario di geografia, le immagini del
paesaggio africano. Lei sosteneva che l’Africa non fosse così come
nelle immagini, che le case non fossero di argilla, aggiungendo che il
suo Paese non fosse così povero come solitamente viene descritto.
Quando chiesi a tutte e due di rappresentare se stesse attraverso il
disegno, la prima reazione fu subito negativa rifiutandosi di farlo. In
seguito le incoraggiai dicendo loro che l’avrei fatto anche io, allora ci
stettero e Taba mi disse: “Ma io dopo mi devo colorare la faccia di
nero, che brutta” e Huan intervenne esclamando: “Allora io mi devo
77
disegnare con gli occhi a mandorla!”
Ciò è un comportamento frequente riscontrato anche da altri
ricercatori come Graziella Favaro:
“Soprattutto nei casi in cui le differenze somatiche impediscono al soggetto il
completo mimetismo all’interno della società ospitante, ribadendo costantemente a
lui e agli altri la sua differenza, le difese istituite dal soggetto possono intaccare
l’identità personale e la relativa immagine del corpo.” 77
Alcune ricerche, infatti hanno dimostrato come certi bambini non
autoctoni, specie se appartenenti a culture molte diverse da quella in
cui crescono, tendono a raffigurarsi con caratteristiche idealizzate e
non pertinenti ai loro tratti somatici. In casi come questi il corpo
diventa un codice meta – comunicativo, capace di esprimere i
sentimenti e le emozioni profonde, difficilmente comunicabili
attraverso l’uso di altri codici.
77
Favaro G., Napoli M., Come un pesce fuor d’acqua. Il disagio nascosto dei
bambini e dei ragazzi immigrati, Guerini e Associati, Milano, 2002, Pag.43
78
4.2 Dispositivi d’indagine 2: la conversazione
“Il dispositivo d’indagine della conversazione assume una particolare centralità
nell’antropologia dei mondi contemporanei, la quale opera in contesti spazio
temporali che spesso, somigliano poco all’immagine “classica” del villaggio in cui
l’antropologo incontra persone con cui conversare quasi per caso.”78
La conversazione tra il ricercatore e uno o più dei suoi interlocutori
viene considerata da molti autori come il dispositivo d’indagine da cui
generalmente proviene la maggior parte dei dati di una ricerca di
campo.
“Si tratta di una situazione dialogica in cui, teoricamente, è l’etnologo stesso a
sollecitare la comunicazione orale su temi particolarmente densi di significato che
egli ha individuato come tali, ad esempio, grazie all’osservazione partecipante.”79
La conversazione informale è particolarmente utile in quanto permette
di conoscere il punto di vista dell’Altro. Tale strumento d’indagine è
stato utilizzato soprattutto con i miei coetanei, conosciuti in alcuni
seminari sul tema delle “seconde generazioni”.
In particolare ho instaurato un buon rapporto di amicizia con Aziz.
Aziz è un ragazzo di ventitre anni, originario del Marocco ed emigrato
a Reggio Emilia all’età di dieci anni, a seguito del ricongiungimento
familiare.
E’ membro di un’associazione di Reggio Emilia, chiamata GA3,
Generazione articolo 3. Tale associazione giovanile è stata fondata da
diversi ragazzi, circa due anni fa, con diversi obiettivi.
L’obiettivo principale è quello di mettere in pratica ciò che è scritto
all’interno dell’Articolo 3 della costituzione italiana:
“ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
78
79
Rossi C., 2003, Pag.82
Ibidem
79
Io e Aziz ci siamo conosciuti durante un incontro svoltosi in un istituto di Rimini sulla questione dei diritti di cittadinanza per i ragazzi di
origine non italiana.
La mia referente mi ha presentato come tirocinante e tesista, Aziz si è
subito interessato all’argomento della tesi dandomi la sua totale disponibilità nell’aiutarmi attraverso il racconto della sua vita.
La cosa che mi ha colpito di lui è stata fin da subito la sua grande
gentilezza ed educazione nei modi di fare e di rapportarsi con la gente.
Oltre a ciò sono rimasta colpita dalla sua capacità nel coinvolgere i
ragazzi ai diversi dibattiti e alla sua grande eloquenza. Inizialmente mi
ha recato del disagio in quanto notavo come la mia padronanza di
linguaggio, nonostante sia nata in Italia, fosse “inferiore” alla sua.
Ritengo che questo disagio sia stato provocato anche dalla sua forte
visibilità nella realtà regionale se non nazionale.
Le nostre conversazione avvenivano principalmente attraverso il
social /network quale face /book, e il telefono; solamente tre volte ci
siamo incontrati di persona.
Come sostiene Cristina Rossi, il rapporto con le persone che
frequentiamo sul campo può essere intrattenuto e anzi consolidato
anche tramite e-mail:
“Tale mezzo, si colloca curiosamente a cavallo tra oralità e scrittura: dalla prima
esso mutua un carattere di immediatezza, mentre ha in comune con la seconda il
vantaggio di creare uno spazio comunicativo intimo. In questo modo, gli aspetti di
quotidianità e vicinanza che caratterizzano la relazione etnografica possono essere,
entro certi limiti, mantenuti e consolidati, nonostante la distanza fisica.”80
Durante le nostre conversazioni ho notato soprattutto problemi di
definizione e linguaggio per descrivere i ragazzi di seconda
generazione. Ad Aziz non piaceva che usassi questi termini, li
considerava
inopportuni
in
quanto
riteneva
che
fosse
un
etichettamento in maniera negativa. Mi vedeva appunto come una
80
Rossi C., 2003, Pag.58
80
tesista e ricercatrice e non voleva sentirsi come una cavia del mio
studio.
“ Probabilmente non è un caso che la parola <persona> nel suo significato
originale, volesse dire maschera. Questo implica il riconoscimento del fatto che
ognuno sempre e dappertutto, più o meno coscientemente, impersona una parte… E
in questi ruoli che ci conosciamo gli uni gli altri; è in questi ruoli che conosciamo se
stessi.”81
L’alternare il ruolo dell’amica e della ricercatrice non è stato facile in
quanto, Aziz sottolineava frequentemente il mio ruolo da tesista e
quindi era presente sempre un’ ambivalenza riscontrabile negli
atteggiamenti e nei comportamenti da parte di entrambi. Ciò ha
portato a diverse incomprensioni soprattutto durante le comunicazioni
telefoniche.
Attraverso i suoi racconti e i suoi pensieri sono entrata in una realtà
che fino a poco tempo fa mi era sconosciuta.
“ Essere sul campo ha come finalità quella di cercare di cogliere il punto di vista
degli interlocutori, al di là di ogni forma di precomprensione e giudizio.”82
Infatti, come sostiene Cristina Rossi, il
punto di vista del mio
interlocutore, in questo caso Aziz, mi ha fatto notare come sia difficile
per un ragazzo non autoctono essere riconosciuto come persona
all’interno della nostra società e come questi ragazzi debbano
affrontare maggiori sfide e ostacoli dei loro coetanei nati e cresciuti
qua.
Aziz, a questo proposito, mi disse:
“ L’illusione di avere diritti ma che in concreto non si hanno, questo è un discorso
che vale per chiunque, cittadino italiano o meno… Cosa mi serve la cittadinanza se
poi nel contesto sociale non sono riconosciuto? Io non cerco un pezzo di carta che
mi dica sono italiano… ma una vera e propria serenità nel vivere!”.
81
Goffman E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969,
Pag. 31
81
Ritengo che tale illusione di cui parla Aziz accumuna un po’ tutti
questi ragazzi in tale situazione.
82
Rossi C., 2003, Pag.90
82
4.3 Dispositivi d’indagine 3: le interviste all’interno della
ricerca “Giovani delle terre di mezzo”
Alcune associazioni di volontariato della provincia di Rimini hanno
realizzato una ricerca – azione dal titolo “Giovani delle terre di
mezzo”, si tratta di una ricerca di tipo qualitativo a più voci.
Obiettivi della ricerca: Potenziare gli strumenti di conoscenza dei
bisogni dei giovani stranieri per ottimizzare le risposte attivabili sul
territorio.
Il corpo della ricerca: per la comprensione di significati e per la
scoperta e l’approfondimento delle dinamiche individuali e soggettive
è necessario il ricorso alle tecniche della ricerca qualitativa.
Lo strumento utilizzato è stato l’intervista in profondità, la cui
conduzione in modo adattivo e empatico consente di fare emergere
items spontanei e impliciti appartenenti alla sfera più intima e privata
e non apertamente comunicabili dei soggetti osservati.
Sono state effettuate sedici interviste ai ragazzi/e di età compresa tra i
quattordici e i vent’anni, sette maschi e nove femmine. I Paesi di
provenienza sono:
– 4 dall’Albania
– 1 dall’Argentina
– 1 Bulgaria
– 2 Cina
– 1 Equador
– 1 Marocco
– 2 Perù
– 1 Moldavia
– 1 Romania
– 1 Senegal
– 1 Tunisi
83
Sono state raccolte varie informazioni sulle seguenti dimensioni:
- Il viaggio della migrazione, che segna il mutamento dello spazio
geografico conosciuto fino a quel momento dai ragazzi e porta
all’elaborazione di nuove rappresentazioni dei luoghi attraversati.
- Il rapporto con la famiglia: quali mutamenti il percorso emigratorio
determina nella definizione dei ruoli familiari?
- Attività e spazi del tempo libero, legami amicali instaurati con i
coetanei. Il gruppo dei pari è determinante nei processi di socializzazione adolescenziali e giovanili. Il gruppo dei pari è fondamentale
durante l’adolescenza: soddisfa la ricerca dell’autonomia, di rapporti
paritari, della solidarietà e risponde all’esigenza di intimità e confidenza necessaria agli adolescenti per meglio capire ed affrontare le
trasformazioni in atto nella loro persona; la ricerca e l’adesione ad un
gruppo dei pari può perciò considerarsi una tappa importante del
processo di costruzione dell’identità. Per i ragazzi di origine straniera
il gruppo dei pari può diventare ancor più importante, poiché si pone
come sostegno e occasione di confronto in una fase in cui si acquisisce
maggiore autonomia e si cercano conferme o smentite sui contenuti
culturali trasmessi dalla famiglia; inoltre può costituire una sorta di
rifugio dalle discriminazioni subite da parte del gruppo maggioritario.
Osservare i rapporti di amicizia instaurati con i coetanei, i luoghi di
ritrovo, le occasioni di incontro, gli spazi ed i momenti del tempo
libero consente allora di comprendere meglio il livello di integrazione
raggiunto.
- Media e informazione: la natura del progetto all’interno del quale si
inserisce la ricerca suggerisce l’approfondimento degli strumenti di
comunicazione preferiti dai giovani stranieri per informarsi. La diffusione di nuove tecnologie di comunicazione e l’intensificarsi dei
84
processi di circolazione demografica hanno permesso di sviluppare
una visione del mondo sempre più interculturale ed hanno reso i processi di sviluppo economico, sociale e culturale dei vari paesi (compresi quelli di provenienza dei migranti) sempre più interconnessi.
Spesso, però, l’immagine del “diverso” creata dai mass media produce
effetti devastanti sul grande pubblico. È interessante, dunque, ottenere
qualche elementi di analisi rispetto alla scelta ed alla fruizione delle
informazioni da parte delle seconde generazioni.
- La scuola, e tanto meno quella secondaria di II grado, non ha ancora
elaborato modelli certi e sperimentati per l’accoglienza e l’inserimento
degli studenti immigrati, per i quali l’accesso all’istruzione presenta
caratteristiche particolari e maggiori difficoltà rispetto a quelle incontrate dai compagni italiani. Senza una riflessione della scuola su come
intervenire per ridurre il divario esistente tra studenti italiani e stranieri e come attrezzarsi per garantire parità d’accesso a tutti, la riuscita
scolastica dei ragazzi stranieri può essere compromessa. Attraverso le
interviste sarà interessante raccogliere informazioni circa: primo
inserimento; l’orientamento dopo la terza media per la scelta
dell’indirizzo superiore; la lingua italiana e l’adattamento dei programmi e della strategie didattiche; l’educazione interculturale; i
rapporti scuola-famiglia.
- L’inserimento lavorativo: come dimostrano numerose indagini, il
percorso scolastico dei ragazzi stranieri risulta molto più discontinuo
di quello dei compagni italiani e quindi più esposto al rischio di abbandono. Sarà interessante a questo proposito contattare i Centri per
l’Impiego, dove i giovani di origine straniera ricevono informazioni e
orientamento finalizzati al supporto nella definizione di un proprio
progetto formativo e lavorativo.
Il metodo utilizzato all’interno della ricerca è stato quello
dell’intervista semi - strutturata. A differenza di quella strutturata essa
85
è più indicata quando il ricercatore ha un'idea più chiara di quelle che
sono le componenti per una valutazione. In questo caso, l'intervista è
meno libera e il ricercatore cercherà di assicurarsi che vengano
affrontati i punti da lui considerati salienti e stimolerà il soggetto a
fornire la propria opinione sugli argomenti precedentemente
selezionati.
“ Le interviste sono metodi per indagare la strutturazione della soggettività,
raccogliendo informazioni su una sfera di realtà che riguarda le convinzioni, le
intenzioni, le emozioni, le esperienze cui ha accesso diretto soltanto il soggetto.
Attraverso l’interazione discorsiva realizzata nelle interviste, emergono elementi del
mondo interiore e delle convinzioni specifiche di ciascun individuo partecipante alla
ricerca.”83
Il limite delle interviste a volte, può essere dato da una ricostruzione
in maniera erronea o incompleta da parte dell’individuo intervistato.
Il contatto con i coordinatori del progetto di ricerca ha facilitato la
reperibilità dei soggetti da intervistare, che sono stati raggiunti
all’interno dei vari istituti scolastici e centri giovani della provincia di
Rimini.
La traccia dell’intervista è stata indicativa e molto flessibile, a volte è
stato modificato anche l’assetto della struttura iniziale durante essa.
I ragazzi intervistati al primo impatto sembravano un po’ impauriti,
ma dopo avere loro spiegato a grandi linee la ricerca vi è stata una
diminuzione della tensione creata precedentemente.
83
Sorzio P., La ricerca qualitativa: problemi e metodi in educazione, Carrocci,
Roma, 2005, Pag. 40
86
5: La ricerca
Lo scopo di questa tesi è approfondire in che modo i giovani di
origine non italiana si identifichino e quale rapporto abbiano
instaurato con il sistema scolastico.
Nel paragrafo che segue verrà analizzato il “senso di appartenenza”
dei ragazzi di origine straniera, attraverso le interviste che sono state
svolte all’interno della ricerca “Giovani delle terre di mezzo”.
Nel successivo paragrafo verrà approfondito
il loro rapporto con
l’istituzione scolastica, analizzando la realtà della Provincia di Rimini.
87
5.1 Un processo continuo di costruzione di identificazioni e
distinzioni
Il problema dell’identità costituisce uno dei temi da sempre al centro
della riflessione per quanto riguarda il migrante, ed i nodi che la
attraversano non sono stati del tutto risolti.
La definizione stessa d’identità rimane controversa e da esplorare, così
come gli elementi che concorrono a costruirla, riprodurla o cambiarla.
Questo processo di costruzione dell’identità, di per sé già complesso,
risulta ancor più difficoltoso per i figli di immigrati che scoprono di
avere un’identità speculare all’alterità di cui sono visibilmente
protagonisti.
Le definizione che vengono attribuite loro: “sospesi tra due culture”,
“orfani dei due paesi”, “giovani con una doppia identità”, “italiani
solo per metà”, ecc.., amplificano maggiormente il loro sentirsi divisi
in due. Questa sensazione oscilla tra la gratificazione dell’essere per
metà “italiano”, influenzata dall’idea dei loro genitori e la frustrazione
dell’essere per metà “straniero” per gli italiani.
Il rischio che
l’incontro / scontro tra i modelli culturali trasmessi dalla famiglia e
dalla società riceventi provochi una frattura identitaria, è
molto
elevato per il giovane. Davanti ad una situazione così problematica,
l’essere umano elabora una serie di strategie come risposta a tale
condizione.
E’ stato rilevato come le risposte che l’individuo produce dipendano
sia dall’esperienza migratoria, sia dal processo di inserimento e di
integrazione all’interno del nuovo contesto.
All’interno di questo panorama generale, si possono individuare
alcuni processi di identificazione, da parte delle seconde generazioni,
che ricorrono più comunemente e che ho potuto individuare attraverso
i racconti dei protagonisti della ricerca a cui ho partecipato:
adolescenti che si identificano esclusivamente con i valori ed i modelli
del proprio paese di origine; adolescenti che, rifiutando qualsiasi
legame con il paese di origine, si identificano con il sistema socio88
culturale del paese dove sono nati o cresciuti; adolescenti che
oscillano tra i due poli, non sentendosi di appartenere a nessuno dei
due, e situandosi passivamente nel mezzo; adolescenti, infine, che più
consapevolmente si sentono di appartenere ad un’identità plurima, a
due culture diverse, e di possederle entrambe.
5.1.1 La resistenza culturale
In questo caso siamo di fronte ad un vero e proprio atteggiamento di
“resistenza culturale”, la quale si manifesta generalmente, in quei
ragazzi che hanno vissuto la fase di socializzazione primaria nel paese
di origine, e che hanno un rapporto problematico e conflittuale con il
paese di arrivo, dove vivono in situazione di precarietà che li hanno
spinti a frequentare solamente il proprio nucleo familiare e i
connazionali. I giovani che assumono tale atteggiamento cercano di
ridurre al minimo il contatto con gli autoctoni, o comunque instaurano
solo relazioni di necessità, quali quelli scolastici o lavorativi. Spesso
alimentano il desiderio di ritornare in patria in futuro.
A scuola hai molti amici?
“Si, ho amici con cui sono legata un po’ di più che sono tutti stranieri, tutti cinesi.
Mentre con gli italiani, ho legato con la mia vecchia classe, ma nella classe di adesso
essendo che io con gli studi non riuscivo a stare al passo con la classe, e ci sono stati
un po’ di disguidi”.
Quindi i tuoi migliori amici sono tutti cinesi. Come passi il tuo tempo libero?
“Fuori a giocare, guardare un po’ la tv, giocare un po’ al computer e quest’anno in
più ho la palestra”.
Quali luoghi frequenti maggiormente con i tuoi amici?
“Alle Befane, andiamo a girare, poi si va a volte al cinema, se no a cena, poi alcuni
vogliono andare in discoteca, ma io siccome i miei non mi fanno uscire tardi non ci
posso andare”.
Come mai i tuoi genitori non ti fanno uscire tardi?
“Perché… sono all’antica”.
Come mai hai scelto di andare in Cina per imparare il cinese?
“Non l’ho scelto io di andare in Cina, me l’hanno detto i miei e io sono andata”.
(P., 20 anni, genitori cinesi)
89
Secondo alcuni studiosi, la difesa della specificità culturale presenta
alcuni aspetti positivi per il giovane straniero, il quale, in questo
modo, aumenterebbe la propria autostima, diminuendo il rischio di
assumere comportamenti devianti.
Per questo motivo, si ritiene opportuno inserire tali orientamenti nelle
politiche sociali di un paese dove l’immigrazione è ormai una realtà
stabile, mettendo il singolo individuo nella condizione di esprimere la
propria specificità.
Gli aspetti negativi ed i rischi sono tuttavia numerosi.
Innanzitutto è molto probabile che l’atteggiamento di resistenza
culturale possa degenerare in una totale chiusura da parte del singolo o
della comunità.
Questa
situazione
può
portare
il
giovane
ad
allontanarsi
progressivamente dalla società ricevente nella quale è comunque
chiamato a vivere, e a provare un sempre più forte sentimento di
estraneità.
“La forte identificazione con il gruppo etnico o nazionale sembra caratterizzare
soprattutto giovani che sono arrivati in Italia quando già erano entrati nella loro
fase adolescenziale, che hanno quindi avuto maggiori e più recenti difficoltà di
inserimento e di apprendimento della lingua. La conoscenza linguistica in
particolare appare essere una discriminante forte: la comunità etnico - nazionale è
soprattutto una comunità linguistica, uno spazio entro cui ci si sente maggiormente
a proprio agio perché si è in grado di esprimersi, e comprendersi, meglio”84.
Ti senti più italiana o cinese?
“Cinese”.
Perché?
“Boh, perché capisco più il cinese, italiano più difficile”.
Ma perché? Perché non ti piace la cultura italiana?
“No, piace, però cinese è più facile”.
Dove ti immagini tra dieci anni?
“Tra dieci anni.. in Cina”.
84
Bosisio R., Colombo E., Leonini L., Rebughini P., Stranieri e italiani. Una
ricerca tra adolescenti figli di immigrati nelle scuole superiori. 9/03/2005
90
( C., 19 anni, genitori cinesi)
Un atteggiamento di chiusura può portare al fenomeno della
ghettizzazione, o peggio, di indifferenza, innescando meccanismi di
difesa, quali la radicalizzazione della propria identità etnica, che, in
altri contesti di maggior apertura da parte della società ricevente, non
si sarebbero mai creati.
Cosa ne pensi del fenomeno dell’autoghetizzazione?Cioè del fenomeno che gli
immigrati si chiudono tra loro?
“Questa chiusura, per alcuni casi è bello, e in alcuni casi rovina. Bello perché si
mantengono le tradizioni, non si perdono alcune cose che sono importanti valori
nostri, mentre brutto perché non ti adegui alla realtà che c’è adesso, non vai avanti
con la mentalità, rimani indietro e quello non mi piace”.
(Q., 20 anni, genitori cinesi)
La chiusura e l’estremismo di alcuni atteggiamenti da parte dei ragazzi
di origine straniera, spesso risultano essere uno strumento di
protezione da forme di razzismo e pregiudizi di inferiorità:
“ […] E’ una legge di fisica sociale il fatto che ogni stigmatizzazione provoca la
rivolta contro lo stigma. Questa rivolta inizia con la rivendicazione pubblica dello
stigma così trasformato in emblema. […] Contrariamente alle apparenze, le
seconde generazioni occupano una posizione ancora più dominata e più critica di
quella dei loro genitori nel campo dei rapporti di forza simbolici. In effetti,
contrariamente all’immigrato tradizionale, che poteva ancora illudersi di essere
“fuori gioco” ed ignorare il processo stesso di stigmatizzazione, essi non possono
ne abbandonare né la partita in cui si sono impegnati, né far finta di non essere
affatto interessati”85
5.1.2 Mimetismi
Nel caso invece, degli adolescenti che rifiutano qualsiasi legame con il
Paese di origine, si assiste ad un’adesione integrale ai modelli culturali
85
Sayad A., “La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze
dell’immigrato”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, P. 340
91
offerti dalla società ricevente.
“Quando sono tornata in Marocco all’età di dieci anni, non mi sono ritrovata, vedevo
tutti con occhi diversi, le mie amiche avevano fatto altre esperienze, io altre e quindi
non mi sono ritrovata per niente. Poi non mi piaceva neanche la realtà che vedevo,
ero più critica, vedevo dall’esterno cose che se fossi rimasta lì non avrei visto. Sarei
stata come le altre ragazze che cercano solo l’uomo da sposare… sarebbe questo lo
scopo… e poi avere una vita migliore perché nella famiglia non è che si sta bene”.
(A., 18 anni, genitori marocchini)
Generalmente, i ragazzi che tendono ad adottare questa strategia
hanno effettuato la socializzazione primaria nel paese di arrivo,
trovando un contesto accogliente che ha facilitato il loro inserimento.
Ti senti più italiano o ecuadoriano?
Mi sento più italiano, ormai ho perso le mie origini.
(O., 17 anni, genitori ecuadoriani)
I ragazzi aderiscono il più possibile ai modelli culturali trasmessi dal
nuovo contesto, iniziando ad assumere atteggiamenti e stili di vita
tipici della società ricevente.
I giovani che adottano un tale atteggiamento rifiutano i valori
trasmessi dai genitori, non solo perché vengono percepiti come rigidi
ed anacronistici rispetto al nuovo contesto, ma anche perché gli
rimandano alla costante condizione di marginalità e di precarietà a cui
sono esposti.
Per questo motivo, il tentativo di mimetizzarsi e di nascondere la
propria nazionalità è legato alla paura di essere discriminati o isolati.
Il peso negativo attribuito all’essere stranieri, soprattutto se si è
inclusi in gruppi stigmatizzati86 può portare a prendere le distanze
86
Il gruppo stigmatizzato varia notevolmente in relazione alle situazioni: dopo il
1991 essere albanesi è diventato un motivo di sospetto e di presa di distanza,
rappresentazione negativa che si estende a rumeni e, più in generale a chiunque
provenga dall’Europa dell’Est; dopo l’11 settembre 2001, essere nord africani è
spesso divenuto automaticamente sinonimo di estremismo e integralismo religioso.
In Bosisio R., Colombo E., Leonini L., Rebughini P., Stranieri e italiani. Una
92
dalle rappresentazioni di senso comune, favorendo
fenomeni di
conformismo.
5.1.3 Essere al margine
Nel terzo caso siamo invece davanti ad una condizione di totale
marginalità, in cui le seconde generazioni sono divise fra due culture
contrapposte, incapaci di scegliere o di formulare una nuova strategia,
non disponendo completamente né degli strumenti offerti dalla società
ricevente, né quelli offerti dal paese di origine. Una tale condizione è
di solito frutto delle frustrazioni che i giovani di origine straniera sono
costretti a vivere durante il processo di inserimento e di integrazione:
in primo luogo nell’ambiente scolastico e nelle relazioni intrattenute
con i pari.
“ Certamente ci sono nella vita di tutti noi dei periodi di crisi e di transizione simili
a quelli di cui fa esperienza l’emigrante quando lascia la propria patria per cercare
fortuna in un paese straniero. Ma nel caso dell’uomo marginale il periodo di crisi è
relativamente permanente […] Egli è quasi sempre qualcuno che vive in due mondi,
in entrambi dei quali è più o meno uno straniero”87
Così Robert Park descrive l’esperienza del migrante nelle grandi
metropoli americane di inizio ‘900, l’esperienza di colui che non è più
e non è ancora, che si sente ormai lontano dalle abitudini e dai modelli
dei propri familiari, ma non ha ancora alternative certe con cui
sostituirli.
L’adolescenza è da sempre considerata come il periodo caratterizzato
da un profondo cambiamento, in cui l’esperienza della “crisi” del
proprio sé è molto ricorrente.
Tale esperienza può essere amplificata quando si associa alla
sensazione di essere – o di essere considerati – stranieri. Il ragazzo
ricerca tra adolescenti figli di immigrati nelle scuole superiori. 9/03/2005
87
Park R., in Bosisio R., Colombo E., Leonini L., Rebughini P., Stranieri e italiani.
Una ricerca tra adolescenti figli di immigrati nelle scuole superiori. 9/03/2005
93
allora può sperimentare uno stato di estraneità, di sospensione, in cui
l’eccedenza di modelli viene percepita come confusione, incertezza,
anomia.
A differenza di chi può contare su una rete etnica o nazionale forte,
questi ragazzi si sentono più frequentemente in una condizione di
solitudine e di marginalità.
“All’inizio sono stata un anno senza dire neanche una parola, messa a disparte
perché nessuno capiva e nessun insegnante cercava di aiutarti, se c’erano dei
compiti te li scrivevano, però io non potevo farli perché non capivo niente”
(Q., 20 anni, genitori cinesi)
La perdite delle abitudini fa si che il ragazzo debba affrontare
individualmente, senza aiuti, confronti e supporti, un ambiente nuovo,
spesso difficile da comprendere. L’esperienza del cambiamento, viene
amplificata e deve essere affrontata senza poter contare sulla
protezione del gruppo e sulle varie pratiche rituali ad esso annesse. La
condizione di incertezza è, a volte, ampliata da una situazione
familiare difficile in cui la distanza con i genitori è forte.
Si possono tuttavia distinguere due tipi di marginalità: una marginalità
da frustrazione, che si sviluppa come conseguenza dell’atteggiamento
di ostilità adottato dalla società ricevente; ed una marginalità di
passaggio, che si presenta come disagio temporaneo normalmente
vissuto dai giovani stranieri durante il processo di inserimento nel
nuovo contesto e di elaborazione di una loro identità etnica. La
marginalità da frustrazione è quella maggiormente preoccupante
poiché rischia di degenerare in una vera e propria patologia.
5.1.4 Giocare tra più fronti: “Italiani con il trattino”
I processi di globalizzazione contemporanei consentono lo sviluppo di
forme identificative molto più articolate e complesse che prendono
forma in una dimensione transnazionale.
Una soluzione ad un conflitto identitario e culturale è costituita dalla
94
capacità dell’individuo di trovare una sorta di compromesso tra i
referenti culturali della famiglia e quelli offerti dal contesto esterno,
operando di volta in volta una selezione continua tra entrambi. Si
tratta di quei ragazzi che hanno coscienza di appartenere a due culture
e di avere un’identità plurale.
I ragazzi adolescenti, protagonisti della ricerca svolta, alla domanda Ti
senti più italiano o…?, tendenzialmente mi rispondevano che non si
sentivano né della nazionalità di origine né italiana:
Ti senti più italiano o marocchino?
“Entrambi… se ti rispondessi italiano mentirei a me stesso, se ti rispondessi
marocchino, idem. Semplicemente sono Aziz, figlio di genitori di origini
marocchine. Ho una parte di me che ha una certa cultura… non italiana… una
persona con un biculturalismo. “
(Aziz 22 anni, genitori marocchini)
Ti senti più italiano o cinese?
“Sono entrambe le cose, non c’è conflitto di interesse, la punta dell’ago punta verso
l’italiano, per una questione di nascita e di madrelingua.”
(Wen88, 24 anni, genitori cinesi).
Ti senti più italiana o albanese?
“Un pochino tutte e due, perché da quando sono venuta qui in Italia ho adottato un
po’ lo stile di vita che si fa qui, perciò un pochino tutti e due”.
(M., 18 anni, genitori albanesi)
Ti senti più italiano o peruviano?
“Mi sento… in mezzo, perché come peruviano un po’ ho perso la mia cultura, nel
senso che mi ricordo il parlare, le origini, però a volte per esempio non mi ricordo
neanche i nomi dei miei familiari che è una cosa brutta, poi me li faccio dire da mia
mamma. Qua ho passato quasi il resto della vita ormai, perché ci ho passato dieci
anni, là invece solo cinque anni.”
(P., 17 anni, genitori peruviani)
Questa condizione si presenta soprattutto per quei ragazzi che hanno
ricevuto una salda formazione nel paese di origine e che si sono bene
88
Wen membro dell’associazione “Associna” (www.associna.com)
95
integrati nel paese di arrivo. Questa situazione è realizzabile nel caso
di una società capace di porre su di un piano di uguaglianza e di parità
proposte culturali diverse.
“Tu dici che avere una doppia identità è un pregio, ma dipende dalla società, se la
società è fissata su un unico binario, cioè non è flessibile, è logico che avere
un’identità fissa ti facilita in quella società, se la società è aperta multiculturale il
vantaggio di avere due identità è grande. In questo momento nella società italiana
avere un’identità fissa ti dà meno problemi”.89
Un tale equilibrio, difficilmente può essere mantenuto per un lungo
periodo, senza che i ragazzi finiscano per adottare comportamenti
devianti o per aderire ad un unico modello culturale.
Tra i
ragazzi intervistati che frequentano le scuole superiori,
prevalgono forme di identificazioni plurime, le dichiarazioni di doppia
appartenenza, la volontà esplicita di non rinunciare ad alcuna delle
parti costitutive del proprio universo di riferimento. Si identificano
sicuramente
come italiani, ma si aggiunge a questo “stato” un
ulteriore aggettivo: “italo - egiziano”, “italo - cinese”,ecc…
“Forme di identificazione che favoriscono il tratto che unisce (hypehen), la
connessione che consente di essere contemporaneamente membri di un gruppo
senza per questo rinunciare ad altreappartenenze”90.
89
Intervista ad un ragazzo di origini cinesi all’interno del progetto: “Giovani
Interculturali dell'Emilia Romagna - Conversazioni a tema”
http://www.youtube.com/results?search_type=&search_query=giovani+intercultural
i+emilia+romagna&aq=f
90
ibidem
96
5.2 Il rapporto tra l’istituzione scolastica e i protagonisti
della ricerca
Una delle trasformazioni più importanti che attraversano oggi la
scuola e i servizi educativi riguarda la presenza dei bambini e dei
ragazzi che provengono da altri paesi.
Il ruolo dell’istituzione scolastica è stato descritto precedentemente
all’interno del capitolo relativo al rapporto con le istituzioni.
In questo paragrafo analizzerò come i protagonisti della mia ricerca
vivono il rapporto con la scuola e come essa ha saputo accoglierli e
progettare interventi relativi alla loro inclusione nel sistema. In modo
particolare mi soffermerò sulla realtà della provincia di Rimini.
Nell’anno scolastico 2007/08 gli alunni con cittadinanza non italiana
presenti nel sistema scolastico nazionale rappresentano il 6,4% del
totale degli alunni corrispondenti a 574.13391 unità.
Il fenomeno delle immigrazioni, in crescita nel nostro Paese con particolare intensità nel periodo 2002-2004 anche per effetto dei provvedimenti di regolarizzazione (L.n. 189/2002 e L. n. 222/2002), si riflette nella scuola italiana: in dieci anni ha visto aumentare di oltre
500.000 unità gli iscritti di origine straniera.
Alla popolazione straniera residente va anche aggiunta quella irregolare, la cui componente in età scolare ha pieno diritto e dovere di partecipare al sistema scolastico italiano come previsto dal D.P.R. 349/99
(Regolamento recante norme di attuazione del testo unico sull’ immigrazione e sulla condizione dello straniero – D. Lgs. 286/98), che
all’art. 45 dà disposizioni per l’iscrizione scolastica di minori stranieri,
e dalle norme migratorie successive. In campo scolastico, le leggi
emanate, sin dal decreto sull’autonomia scolastica, hanno messo in
luce le potenzialità offerte dalle norme stesse per la messa in atto di
91
http://www.scuolaer.it/scuola_cifre/rapporti_pubblicazioni/gli_alunni_stranieri_nel
_sistema_scolastico.aspx
97
percorsi che conducano ad una reale integrazione degli alunni di
cittadinanza non italiana.
Quest’attenzione è stata ripresa nelle “Linee guida per l’accoglienza e
l’integrazione degli alunni stranieri”, (C.M. n. 24/2006), che, oltre a
sottolineare come prioritaria l’accoglienza dei minori, fornisce orientamenti e suggerimenti di carattere organizzativo e didattico per favorirne l’integrazione e il successo scolastico e formativo.
5.2.1 Dati relativi alla presenza dei ragazzi di origine non italiana
nella provincia di Rimini
Nella provincia di Rimini i cittadini di origine non italiana sono a
quota 22.54592, il 7,6% della popolazione residente complessiva
(298.333), con un incremento, sull’anno precedente, del 14%.
2.527 sono i residenti nati in Italia (escludendo i sanmarinesi), di
questi 80% è nato in uno dei 20 comuni della Provincia di Rimini. Gli
“stranieri” residenti in provincia sono più giovani rispetto alla popolazione italiana residente: gli uomini hanno in media 32 anni contro i
43 degli italiani, e le donne hanno in media 32 contro i 46 delle italiane.
Solo nell’anno 2007 sono nati 360 bambini stranieri (1,6% dei nati
totali). Essi costituiscono l’11,2% della popolazione residente straniera e rappresentano un segmento di popolazione in costante crescita. Il
60% ha meno di 5 anni.
92
Dati relativi al 1 gennaio 2008
http://www.provincia.rimini.it/informa/statistiche/demografia/2008_immigrati/repor
t.pdf
98
Tab. 1
Ragazzi nati in Italia per classe di età e Paese di cittadinanza:93
PAESI ° 2° 3°
Paesi di cittadinanza più rappresentati
CLASSE
TOTALE
%
1°
2°
3°
DI ETA’
Fino a 4
1.501
59.4% Albania
anni
Da 5 a 9
715
170
6.7%
90
3.6%
17 anni
Da 18 a
(12%)
(10%)
Cina
Marocco
(40%)
(14%)
(8%)
Albania
Cina
Marocco
(34%)
(16.5%) (10%)
Cina
Tunisia
(28%)
(15.6%) (11%)
Cina
Tunisia
Regno
(21%)
(21%)
Unito
28.3% Albania
13 anni
Da 14 a
Marocco
(35%)
anni
Da 10 ai
Cina
19
0.8%
23 anni
Albania
(16%)
24 anni e
32
1.3%
oltre 32
TOTALE
Germania Francia
(22%)
2.527
100.0% Albania
(35%)
Svizzera
(12.5%) (12.5%)
Cina
Marocco
(13%)
(9%)
TOTALE % 1° 2° 3°
Complessivamente i minori di origine non italiana sono 4.51494, il
55% di questi sono nati in Italia, mentre la restante parte è giunta a
seguito del ricongiungimento familiare. Tra questi le nazionalità prevalenti sono quella albanese, cinese, macedone, marocchina e rumena.
Nell’anno scolastico 2007/2008 sono 3.686 gli stranieri iscritti nelle
scuole riminesi (di cui quasi 700 Sanmarinesi). Il 96% degli iscritti
frequenta le scuole statali. Prevalgono gli studenti albanesi, dell’Est
Europa, sudamericani e cinesi.
93
94
Ibidem
Ibidem
99
Nella tabella 1.1 viene descritta la presenza degli alunni di origine non
italiana all’interno degli istituti scolastici della Provincia di Rimini95.
Tab. 1.1
ALUNNI
SCUOLA
SECONDARIA
SECONDARIA
STRANIERI
PRIMARIA
DI I GRADO
DI II GRADO
Sanmarinesi
8,7
7,0
84,3
100,0%
Altre cittadinanze
36,2
31,7
32,1
100,0%
Totale
36,2
31,7
32,1
100,0%
Le scuole primarie di I ° grado sono quelle con la maggior presenza
assoluta di studenti non italiani, con un numero rilevato di 1.085
alunni stranieri. In percentuale nelle scuole primarie gli studenti di
origine non italiana sono il 7,7% nelle secondarie di I ° sono l’11,7% e
nelle secondarie di II ° il 7,8%.
5.2.2 Gli interventi di sostegno all’apprendimento della lingua
italiana negli istituti scolastici della provincia di Rimini
La provincia di Rimini sostiene le attività svolte dalla Casa
dell’intercultura, un Centro interculturale che sin dalla sua nascita e
nel corso di questi anni ha promosso diverse iniziative e progetti
interculturali su tutto il territorio provinciale. In particolare la provincia sostiene le attività di coordinamento dei seguenti ambiti:
– Mediazione interculturale nelle scuole: la mediazione interculturale
rappresenta una funzione indispensabile per la gestione dei servizi
pubblici e per garantire la convivenza e la comprensione reciproca fra
i cittadini di origine straniera e gli operatori delle Istituzioni italiane.
Le attività di mediazione relative al coordinamento sostenuto dalla
Provincia si realizzano nelle scuole primarie e secondarie di primo
grado;
95
Ibidem
100
TOTALE
– Percorsi pomeridiani per bambini non autoctoni che frequentano le
scuole del territorio: così come emerge dai dati di contesto sopra
presentati, l’inserimento dei bambini di origine non italiana nelle
scuole continua ad essere uno dei temi più rilevanti sul territorio.
L’incremento dei ragazzi nelle classi d’età scolare e prescolare è
evidente ed è connesso a un numero di oggettivi problemi di inserimento e di apprendimento della lingua italiana. Nel 2005 la Casa
dell’Intercultura, in collaborazione con il Centro Pedagogico Provinciale, ha avviato della azioni di coordinamento delle attività di inserimento dei bambini nelle scuole, curando non solo gli aspetti strettamente pedagogici ma anche quelli culturali connessi al mantenimento
delle proprie radici. Il coordinamento sostenuto dalla Provincia riguarda i percorsi pomeridiani extrascolastici di sostegno allo studio
aperti non solo agli alunni stranieri, ma anche a studenti italiani con
particolari bisogni formativi o semplicemente interessati ai temi svolti.
I percorsi riguardano le scuole primarie e secondarie di primo grado
del territorio provinciale attraverso il coinvolgimento e la formazione
di volontari.
Le ricerche svolte dai diversi studiosi hanno focalizzato prevalentemente la loro attenzione sul rapporto tra le “seconde generazioni” e
successo scolastico.
E’ stato osservato come, in generale, i figli di immigrati che nascono
nel paese di destinazione tendano ad avere risultati migliori rispetto a
coloro i quali giungono nel “nuovo” paese durante l’infanzia.
D’altra parte, differenze linguistiche e culturali profonde tra il paese di
origine e quello di accoglienza determinano precise configurazioni di
ruolo del minore all’interno della famiglia, sulle quali si raccoglieranno ulteriori informazioni riguardanti
“(...) la padronanza della lingua da parte dei genitori rispetto a quella dei minori
stessi; si pensi ad esempio al caso del giovane che dispone di maggiore padronanza
della lingua del paese di accoglienza rispetto al genitore: questo ha effetti ambiva-
101
lenti rispetto al rapporto con l’autorità genitoriale, come si è detto in precedenza, e
96
rispetto alla ricerca di una compensazione nel rapporto col gruppo dei pari.”
La scuola dell'obbligo italiana, organizzata fondamentalmente su base
territoriale, mette a stretto contatto per diverse ore al giorno figli di
autoctoni e figli di immigrati, a prescindere dalle diverse condizioni
economiche delle loro famiglie. L’assenza di modelli “ghettizzanti” di
integrazione scolastica costituisce un ulteriore importante aspetto della
socializzazione dei minori stranieri.
La scuola pubblica, in tal senso, assume un ruolo cruciale come fattore
di promozione di multiculturalità, unendo giovani della stessa età
senza distinzione di provenienza né di classe, ma anche come specchio
e potenziale propulsore di ulteriori forme di discriminazione e marginalizzazione, nel momento in cui la marginalità sociale e culturale
produce difficoltà scolastiche, le quali a loro volte producono marginalità.
Una simile spirale può alimentare una cultura oppositiva di rifiuto del
sistema di norme e valori della società di accoglienza.
Nella ricerca a cui ho partecipato “I ragazzi delle terre di mezzo”, che
ha coinvolto 16 ragazzi che frequentano le scuole secondarie di Rimini, è emerso come il rapporto con l’istituzione scolastica cambi dai
singoli comuni.
Ho potuto notare come il clima presente nelle scuole di Riccione è
molto diverso da quello di Rimini. Dalle testimonianze dei ragazzi è
emerso come in alcuni istituti scolastici di Rimini siano presenti atti di
violenza verso il ragazzo non italiano. Una ragazza che ha partecipato
alla ricerca come intervistatrice ha raccontato che nella scuola che
frequenta suo fratello, un istituto professionale, i ragazzi autoctoni si
coalizzano contro un gruppo di albanesi.
96
Ambrosini M., Molina S., in “L’integrazione scolastica delle seconde generazioni
di stranieri nelle scuole secondarie di primo grado della Regione Emilia Romagna”,
2006
http://www.scuolaer.it/allegato.asp?ID=281724
102
Forse la differenza tra i vari comuni è dovuta al fatto che a Rimini, la
presenza di alunni di origine straniera sia più elevata rispetto a comuni
come Riccione e Cattolica.
Un altro elemento che è trapelato è il buon rapporto dei ragazzi con i
propri insegnanti. In modo particolare, la maggior parte di loro sono
molto riconoscenti verso un insegnante che li ha aiutati appena arrivati
in Italia nell’apprendimento della nuova lingua.
Il rapporto con gli insegnanti com’è?
“Bene, un rapporto di amicizia”
Pensi che la scuola dovrebbe fare di più per accogliere gli studenti di origine
straniera?
“Lo sta già facendo…quindi...”
(M., 17 anni, genitori ecuadoriani)
Hai avuto difficoltà all’inizio con la lingua italiana?
“Si molto e ancora”
Chi ti ha aiutata?
“All’inizio quando ero a scuola c’era una prof. Che mi aiutava nel pomeriggio a
scuola”
(Q., 19 anni, genitori cinesi)
A scuola sei stata aiutata per imparare l’italiano?
“ Alle medie facevo un corso al pomeriggio di italiano, poi i prof comunque mi
hanno sempre aiutato però non ho avuto delle grosse difficoltà per quello… a
prescindere dal fatto che io non avevo voglia di studiare o che avevo voglia non ho
avuto grosse difficoltà”
Come ti trovi a scuola?
“In questa scuola mi sono trovata bene, qui studi però ti fanno vivere certe cose,
come i progetti (…) C’era un periodo che non avevo più voglia, mi era venuta un
po’ la crisi, infatti sono stata bocciata quell’anno, però anche crescendo capisci tante
cose e vedi l’importanza di studiare, adesso mi trovo bene”.
(P., 17 anni, genitori argentini)
Hai avuto grosse difficoltà all’interno del sistema scolastico?
“All’inizio ho avuto difficoltà… in matematica comunque no perché i numeri sono
numeri, in italiano si ho avuto difficoltà, infatti mi ricordo che ci portavano sempre
una prof. Di sostegno, sia me che a mia sorella, e ci ha aiutato molto, lei è stata
molto significativa nel nostro insegnamento perché la maestra non poteva dedicarci
103
così tanto tempo, mentre la prof. Di sostegno era li per quello e non raggruppava
solo me e mia sorella ma anche altre di tutta la scuola, un’oretta durante l’ora di
italiano ci portava fuori e poi rientravamo in classe.”
(A., 18 anni, genitori marocchini)
Dai racconti dei ragazzi si può notare che i maggiori problemi li abbiano vissuti durante la fase iniziale dell’inserimento scolastico, dovuti per la maggior parte alla non conoscenza della lingua italiana.
La presenza dei ragazzi di origine non italiana è maggiormente presente all’interno degli istituti professionali della Provincia di Rimini,
tale dato, come spiega una docente dell’Istituto alberghiero Savioli di
Riccione, può dipendere dal fatto che si ha già una qualifica facendo
solamente tre anni scolastici.
Percentuale di abbandoni: in quale anno del ciclo scolastico avvengono prevalentemente? C’è un periodo dell’anno in cui avvengono maggiormente?
“Devono assolvere l’obbligo scolastico e di solito noi arriviamo abbastanza bene al
terzo anno perché abbiamo una qualifica e quindi questo è un motivo per spingerli
ad arrivare ai tre anni. Già con la qualifica hai una buona opportunità di lavoro,
soprattutto nella zona in cui ci troviamo. Al terzo anno arrivano insomma… la
difficoltà è quando arrivano che sono già adulti per cui già in prima anno 17 – 18
anni e non è facile spingerli fino al terzo anno, oltre alle difficoltà di comunicazione
perché si sentono grandi con dei bambini; in prima sono ancora dei bambini. Per ora
quest’anno, non abbiamo nessun abbandono, abbiamo dei trasferimenti in altre
scuole.”
Che lettura da dell’abbandono scolastico dei ragazzi stranieri? Secondo lei quali
sono le principali cause che lo determinano?
“A volte la possibilità di trovare già un lavoro, perché facendo gli stage, loro conoscono il mondo del lavoro e le aziende, quindi già la possibilità di portare a casa uno
stipendio; quindi per loro è uno stimolo in più per abbandonare la scuola. Il problema è che poi non si rendono conto che bloccandosi al terzo anno non ti permette di
avere degli strumenti, qualcosa in più.”
Come ha accennato la Prof.ssa, uno dei problemi della scuola italiana
rispetto l’accoglienza degli alunni di origine straniera è l’inserimento
104
all’interno delle classi, molto differente rispetto all’età anagrafica
degli alunni stessi.
Secondo Graziella Favaro97 le modalità di inserimento tengono conto
di quattro parametri:
– L’età al momento di arrivo in Italia;
– Il percorso scolastico compiuto nel Paese di origine;
– Il livello di conoscenza della lingua italiana;
– Le caratteristiche della lingua d’origine (e della lingua di scolarizzazione).
L’inserimento all’interno delle classi dipende dall’età di arrivo in
Italia. La scuola dell’infanzia facilita l’inserimento nella scuola primaria e l’apprendimento della nuova lingua.
I bambini non italofoni arrivati a sei, sette anni vengono inseriti nelle
prime classi elementari. L’inserimento dei bambini neo-arrivati, di età
compresa fra i nove e gli undici anni, avviene in genere nelle classi del
secondo ciclo della scuola elementare. Il livello di scolarità precedente, la padronanza di una lingua neo-latina, l’ingresso a scuola all’inizio
dell’anno scolastico possono favorire un inserimento alle pari.
Se un ritardo scolastico di un anno può essere, in alcuni casi, accettabile, è assolutamente negativo inserire nelle prime classi della scuola
elementare ragazzi di età decisamente più elevata.
Purtroppo questa situazione è spesso riscontrabile all’interno di alcuni
istituti, come accennato nel capitolo inerente all’osservazione partecipante svolta all’interno della scuola primaria di Cattolica, l’esperienza
di Taba è esplicativa.
Taba ha undici anni e frequenta la quarta elementare. Spesso lei mi
faceva notare il suo sentirsi “più grande” rispetto ai suoi compagni
anche perché fisicamente, a livello di statura, era molto più grande.
Le situazioni più complesse si possono riscontrare al momento
dell’inserimento scolastico dei ragazzi neo – arrivati adolescenti o preadolescenti.
97
Favaro G., Il mondo in classe: dall’accoglienza all’integrazione dei bambini
stranieri a scuola, Nicola Milano Editore,2000, Pag. 27
105
Secondo la Favaro98, fra gli adolescenti “stranieri” si ritrovano i casi
di ritardo scolastico più pesanti e non è raro che vi siano ancora ragazzi di 14/15 anni inseriti nelle classi della scuola elementare perché non
italofoni.
I problemi di apprendimento dell’italiano, quindi, si pongono in maniera differente secondo l’età degli allievi. I temi da trattare e i programmi da seguire dovranno tener conto della variabilità età degli
alunni.
All’interno della ricerca non si sono ottenuti dati relativi
all’insuccesso o all’abbandono scolastico. Le varie inchieste eseguite
sui i ragazzi cosiddetti di “seconda generazione” evidenziano una forte
diseguaglianza nel percorso di italiani e stranieri, segnati questi ultimi
da tassi di promozione molto bassi e gravi ritardi. Secondo una recente
ricerca “Nuovi Italiani” svolta dal “Mulino”99, la scuola superiore
rimane largamente inaccessibile per i ragazzi di origine straniera,
anche in conseguenza delle scarse competenze linguistiche (su
150.000 ragazzi stranieri tra i quattordici e i diciotto anni, risultano
iscritti solo 100.000). Anche i più meritevoli, dopo una brillante scuola media, tendono a scegliere corsi più brevi ed orientati alla formazione tecnico- professionale, disertando i licei.
“ In altre parole, la nostra scuola non è in grado di intervenire sulla diseguaglianza
– così come non è più un fattore di promozione sociale tra gli stessi italiani- con
l’effetto di perpetuare le disparità. Il rischio è quello che i sociologi chiamano la
“downward assimilation”, ossia l’integrazione dei giovani stranieri nei circoli
viziosi della criminalità e della marginalità.”100
Tale ipotesi è solo un rischio, non un destino prefissato.
Ritengo che gli istituti della provincia di Rimini abbiano buoni strumenti per accogliere i ragazzi di origine straniera, grazie ai laboratori
extrascolastici svolti da associazioni come “Arcobaleno” e ai corsi
interni ai singoli istituti.
98
Ibidem
“Nuovi italiani. I giovani italiani cambieranno il nostro paese?”, ricerca svolta da
Dalla Zuanna G., Farina P., Strozza S., in “Repubblica” del 19 maggio 2009, Pag. 19
99
106
In generale il giudizio che i ragazzi attribuiscono alla propria scuola è
positivo e anche il livello di integrazione all’interno della classe è
buono, non sono stati riportati particolari episodi di intolleranza o di
razzismo.
E’ la scuola il luogo in cui si gioca il futuro dei “Nuovi italiani” e
anche del Paese.
100
Ibidem
107
Conclusioni
In questa tesi sono stati affrontati diversi temi riguardanti la tematica
dei ragazzi di origine non italiana.
Quando si studiano le seconde generazioni è richiesto all’osservatore
numerosi sforzi mentali: in primo luogo bisogna ben distinguere la
realtà dei ragazzi di origine straniera dalle considerazioni che
riguardano la prima immigrazione, quella relativa ai loro padri, che
spesso implica situazioni di prima emergenza e di gestione.
Contemporaneamente, però, è necessario tenere conto che il futuro
delle nuove generazioni dipenda dalle modalità di inserimento dei loro
genitori all’interno della società ricevente.
In secondo luogo, risulta fondamentale tener conto delle diverse
dimensioni concernenti ai giovani di origine straniera: l’età di arrivo
in Italia, la provenienza, la composizione e la condizione famigliare, il
genere, il network relazionale. Esse, sono tutte componenti, che si
rilevano decisive per una comprensione dei percorsi identitari e delle
possibili strategie di questi giovani.
All’interno del primo capitolo si è tentato di passare in rassegna le
diverse definizioni di “seconda generazione”, per evidenziarne, poi i
limiti e le insidie del termine. Si è arrivati alla conclusione che,
definire i ragazzi di origine straniera con tale termine, assegna loro
un’etichetta rigida, quasi a sottolineare un’eredità che passa di padre
in figlio e che sembra connotare l’identità in maniera perenne. Risulta
improprio anche definirli “immigrati” dal momento che circa la metà
dei ragazzi è nata in Italia e conosce il paese d’origine solo
indirettamente.
Il concetto di seconda generazione rischia di avvalorare in forma
acritica l’idea che esista una “differenza” tra i giovani figli di
immigrati e i giovani autoctoni e che tale differenza sia legata ad una
presunta appartenenza etnica o ad un’esperienza migratoria dei
genitori.
Dalla ricerca emerge come i ragazzi di origine straniera non si
108
identifichino solamente all’interno di uno dei mondi culturali, ma
come essi si riconoscano in ambiti plurali. Avvalorando in questo
modo la tesi inerente alla teoria costruzionista, la quale considera
l’identità e la differenza non date e precostituite, ma prodotte
dall’individuo stesso attraverso, continue mediazioni, confronti e
strategie. Risulta importante focalizzarsi come queste differenze ed
identità vengono costruite e utilizzate, oltrepassando il loro contenuto
specifico. Dai racconti e dalle ricerche svolte è stato notato come i
ragazzi di origine straniera usano o nascondano la propria differenza a
seconda degli obiettivi da raggiungere. La differenza in questa
prospettiva tende a diventare un valore aggiunto per una piena
realizzazione personale: riconoscere la differenza altrui, e vedersi
riconosciuta la propria è l’elemento fondamentale per una buona
convivenza civile.
Da questa ricerca emerge come i ragazzi vivano abbastanza bene il
rapporto con l’istituzione scolastica, considerata come il luogo
maggiore di socializzazione e di integrazione con i propri pari.
E’ emerso come i ragazzi/e scelgano percorsi scolastici più brevi e
orientati alla formazione tecnico – professionale. La scuola italiana
non è stata ben preparata ad accogliere i ragazzi di origine straniera, il
percorso che deve fare per una buona accoglienza è ancora lungo, ma i
programmi d’intervento all’interno di alcuni istituti stanno riscuotendo
un buon successo. La scuola italiana dovrebbe puntare su programmi
di formazione volti a cancellare e attenuare le differenze sociali.
La scuola, come sosteneva Don Milani, dovrebbe dare di più a chi
parte più indietro, indipendentemente dalla sua cittadinanza.
Si dovrebbe poi ripensare criticamente alla consetudine di inserire i
ragazzi stranieri che giungono in Italia già “grandi” una o due classi
indietro rispetto alla loro età. Infatti, ciò porta spesso a frustrazione e a
vivere l’esperienza scolastica in modo negativo.
Dall’analisi delle interviste è emerso che più che la dimensione
all’appartenenza etnica, sembrano essere determinanti
i contesti
biografici (l’età di arrivo in Italia) e familiari (il capitale culturale dei
109
genitori, indipendentemente dal tipo di lavoro svolto in Italia).
Ma il fattore più rilevante è dato dalla percezione che questi ragazzi
hanno degli spazi di possibilità, di libertà, di partecipazione loro
concessi. Come questi giovani utilizzeranno la differenza dipende, dal
contesto in cui vivono. Il dibattito in Italia sembra piuttosto in ritardo
su questo punto, solo ultimamente si è iniziato a considerare una
prospettiva di eguaglianza nelle opportunità lavorative, abitative ed
educative concesse ai migranti e ai loro figli. La discriminazione
incontrata nell’accesso allo spazio pubblico e nel riconoscimento dei
diritti sociali, le implicazioni che tali discriminazioni hanno nei
percorsi biografici di questi giovani, sono fattori decisivi nell’usare la
propria differenza positivamente.
110
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