Relazione della Dott.ssa Annamaria Giammarioli

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI GENERE SUI LUOGHI DI LAVORO
Dott.ssa Anna Maria Giammarioli – Dipartimento del Farmaco – Istituto Superiore di Sanità
La medicina di genere è una branca della medicina relativamente giovane, la cui nascita è databile
in America tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. In quegli
anni, medici e ricercatori iniziarono a rendersi conto che lo stato di salute o di malattia può essere
influenzato da aspetti sanitari legati al sesso (anatomici e fisiologici) come da ruoli socio-economici
e culturali. Nella Medicina occidentale nasce la consapevolezza che gli uomini e le donne, pur
essendo soggetti alle medesime patologie, presentano significative differenze riguardo l’insorgenza,
la progressione, la risposta ai trattamenti e la prognosi di molte malattie.
La medicina in una prospettiva di genere, o più semplicemente la “Medicina di genere” definisce
due diversi ordini di intervento: i) differenze basate sulla biologia (sesso) e ii) differenze basate su
fattori socio-culturali (genere). Le caratteristiche sessuali, fisiologiche e biologiche sono differenze
universali e immutabili mentre il genere è caratterizzato da fattori che possono mutare nel tempo,
associabili alla cultura e all’organizzazione sociale del paese di appartenenza. Questi fattori socioculturali possono condizionare l’accesso alle cure per individui di sesso diverso, così amplificando
o sopprimendo determinate caratteristiche biologiche. Il genere è pertanto un concetto più ampio
rispetto al sesso biologico (Fig.1). Di seguito focalizzeremo la nostra attenzione principalmente
sulle differenze biologiche che caratterizzano i due sessi.
Studi clinici
Il concetto di differenza di genere è stato fino ad oggi trascurato nella ricerca clinica e la maggior
parte degli studi che stanno alla base delle strategie terapeutiche è stata condotta sugli uomini per
poi essere traslata alle donne. La medicina, come oggi la conosciamo, ha come modello di
riferimento il corpo maschile, intendendo con questo un uomo di età media (30-40 anni) che pesa
circa 70 chili. Le uniche differenze riconosciute con l’organismo femminile sono quelle riguardanti
l’apparato riproduttivo, una situazione che, poco simpaticamente, è stata definita come “sindrome
del bikini”.
Quali sono i motivi che portano a condurre la sperimentazione clinica principalmente sugli uomini?
La scelta preliminare di escludere le donne dagli studi clinici è stata motivata da vari fattori tra cui
i) evitare eventuali interferenze sulla fertilità e la gravidanza a seguito dei trattamenti sperimentali,
ii) contenere i costi della ricerca. Quando si è cominciato a parlare di sperimentazione clinica, era
da poco passata la seconda guerra mondiale e tutti erano ancora molto colpiti dalle notizie che
descrivevano gli orrori dei lager nazisti dove tra l’altro si faceva una sperimentazione selvaggia
sugli uomini e sulle donne. Per questo motivo c’era una notevole reticenza, specialmente da parte
delle donne, ad entrare negli studi clinici temendo che questi studi potessero interferire sulla fertilità
e su un’eventuale gravidanza.
Ai giorni nostri l’attuazione di ogni studio clinico prevede delle regole molto precise e stringenti
che sono riconosciute e applicate a livello internazionale. Lo scopo dello studio è valutare la
tollerabilità e la non tossicità del nuovo farmaco/terapia facendo in modo che lo studio sia il più
possibile preciso, attendibile e soprattutto che venga attuato nel più totale rispetto dei criteri etici.
In cosa consiste e a che cosa serve uno studio clinico? Ogniqualvolta ci si appresta a mettere in uso
un nuovo farmaco e di conseguenza un nuovo approccio terapeutico, quest’ultimo deve essere
validato tramite uno studio clinico. Per testare un nuovo farmaco o una nuova terapia si opera
formando gruppi omogenei di persone per mettere a confronto il vecchio con il nuovo farmaco da
testare. La fisiologia femminile è molto più complessa rispetto a quella maschile e tali fattori di
complessità devono essere considerati nell’avvio di una sperimentazione. Facendo un esempio, se
volessimo testare un farmaco rispetto alle fasi di età, per l’uomo potremmo formare due gruppi
(escludendo i bambini) e considerare individui adulti e anziani. Le donne, considerata l’importanza
delle fasi ormonali nelle risposte terapeutiche (vedi dopo) non potrebbero essere rappresentate tutte
in solo due gruppi (adulte e anziane) ma richiederebbero la formazione di sottogruppi che
rappresentano le diverse fasi di una donna adulta come 1) donne in età fertile, 2) donne in età fertile
che fanno uso di contraccettivi ormonali, 3) donne in fase pre-menopausale, 4) donne in gravidanza
e non ultimo 5) donne nelle diverse fasi del ciclo mestruale. Generalmente le donne in gravidanza
vengono escluse dagli studi, ma escludere gli altri sottogruppi renderebbe lo studio parziale, mentre
includerli porterebbe ad un notevole aumento dei costi relativi all’attuazione dello studio stesso.
Le considerazioni economiche, la convinzione che tra uomini e donne ci fossero similarità tali da
poter ritenere validi anche per le donne i risultati delle ricerche ottenute sugli uomini, la reticenza
ad aderire alla sperimentazione da parte delle donne, sono tutti fattori che hanno favorito le
condizioni per cui la sperimentazione clinica si è rivolta principalmente agli uomini.
Principali differenze di genere nell’ambito delle patologie
La medicina di genere è una disciplina relativamente giovane e i dati su molte patologie sono
ancora incompleti e basati principalmente sulla distribuzione delle malattie tra i due sessi. Di
seguito riportiamo alcuni esempi.
Le malattie autoimmuni sono prettamente femminili (Fig. 2). In alcuni casi come nel Lupus
Eritematoso sistemico o nella Tiroidite autoimmune su 10 pazienti 9 sono donne. Molte
osservazioni suggeriscono che gli ormoni sessuali (maschili e femminili) sono coinvolti nella
regolazione della risposta immune. Per esempio gli androgeni (ormoni maschili) possono ridurre la
produzione di anticorpi mentre gli estrogeni possono incentivarli.
Gli estrogeni potrebbero avere un ruolo nel manifestarsi delle patologie autoimmuni e spiegare
almeno in parte la diversa incidenza nei due sessi. Questa ipotesi in parte è confermata
dall’aumento di severità di alcune patologie autoimmuni durante la gravidanza (quando i livelli di
estrogeni sono elevati) e da una corrispondente miglioramento durante la menopausa.
Anche le malattie tumorali presentano differenze per quanto riguarda aggressività, localizzazione
e risposta alle terapie. Tra uomini e donne si osserva una certa differenza sia di incidenza che di
sopravvivenza per tumori che colpiscono lo stesso organo (Tab.1). Il tumore è una malattia
multifattoriale che si sviluppa per accumulo di danni che possono essere sia di tipo esogeno
(radiazioni, esposizioni ad agenti infettivi, ecc), sia di tipo endogeno (familiarità nella mutazione di
alcuni geni, ormoni, e alterazioni del sistema immunitario), ma anche causati da diversi stili di vita.
In questo contesto, non è facile fare una distinzione tra le differenze prettamente biologiche e quelle
socioculturali come gli stili di vita. Per esempio, negli ultimi anni le donne hanno iniziato ad
adottare stili di vita non salutari come l’abitudine al fumo di sigaretta e l’assunzione di alcool che
una volta erano appannaggio del sesso maschile. Parimenti l’incidenza del tumore al polmone è
aumentata nelle donne probabilmente a causa di un aumento dell’abitudine al fumo. D’altra parte
c’è da sottolineare che nel caso del tumore al polmone gli estrogeni giocano un ruolo importante e
nelle donne in età fertile la malattia è più aggressiva se comparata alla progressione del tumore
negli uomini.
Per alcune malattie respiratorie sono state notate delle correlazioni tra l’insorgenza ed il sesso. Per
esempio numerose sono le evidenze sperimentali che evidenziano l’importanza delle variazioni
ormonali nello sviluppo dell’asma; e tale rapporto è confermato dalla maggiore incidenza della
patologia asmatica nelle donne in età puberale e riproduttiva rispetto agli uomini della stessa età. Il
sesso maschile è colpito prevalentemente in età pediatrica, mentre nel sesso femminile le variazioni
ormonali caratteristiche della pubertà, dell’età fertile, della menopausa e durante la gravidanza
possono indurre o accentuare la sintomatologia asmatica. Ancora non ci sono dei dati certi ma
sempre più numerosi studi suggeriscono l’importanza degli ormoni sessuali (in maggior misura gli
estrogeni) per spiegare l’andamento dicotomico dell’asma nei due sessi. Le donne durante la loro
vita sono sottoposte a flussi ormonali che possono influenzare la stimolazione del sistema
immunitario: gli estrogeni regolano il rilascio di molte molecole infiammatorie (citochine) coinvolte
nello scatenarsi della malattia asmatica.
E’ soprattutto nell’ambito delle malattie cardiovascolari che esiste la più consistente abbondanza
di dati sulle differenze tra uomini e donne. Nella cultura comune, le malattie cardiovascolari sono
state considerate una prerogativa quasi esclusivamente maschile - probabilmente perché le donne
mostrano eventi cardiovascolari con un ritardo di circa 5-10 anni rispetto agli uomini di pari età e
particolarmente dopo la menopausa. Diversi studi dimostrano che la donna risulta “protetta”
dall’assetto ormonale fino alla menopausa. Questo divario di incidenza si restringe con l'avanzare
dell'età, quando gli eventi cardiovascolari diventano la principale causa di morte nelle donne. Le
donne sembrano meno capaci degli uomini di riconoscere in tempo i sintomi dell’infarto poiché
questi si presentano in maniera diversa rispetto agli uomini e purtroppo neanche gli operatori
sanitari sono spesso consapevoli di queste differenze. Nei manuali di medicina i sintomi attribuibili
ad un infarto vengono descritti come un dolore toracico a livello dello sterno, oppressivo e
costrittivo, che può irradiarsi al braccio sinistro. Nelle donne i sintomi che appaiono per primi sono
un dolore irradiato alle spalle, al dorso, al collo, nausea persistente, sudori freddi, ansia e debolezza.
La mancata inclusione delle donne negli studi clinici (i primi studi clinici su malattie
cardiovascolari con inclusione delle donne sono osservati in America e databili nella prima metà
degli anni ’90) ha comportato un ritardo nella comprensione dei fattori fisiologici e biologici sul
rischio di patologie cardiovascolari nelle donne. Questo ritardo si ripercuote sull’efficacia
dell’intervento e delle terapie.
Molte malattie metaboliche, come il diabete, sono più frequenti nelle donne (circa il 60% delle
donne sopra i 65 anni di età). In generale la donna con diabete ha una peggiore qualità e minore
aspettativa di vita. Le donne diabetiche presentano una maggiore mortalità per eventi
cardiovascolari rispetto agli uomini diabetici.
Le patologie neurodegenerative. In questo contesto parleremo solo di quelle che presentano una
maggiore incidenza nella popolazione.
La malattia di Parkinson è circa 2 volte più frequente negli uomini mentre la malattia di
Alzheimer è più frequente nelle donne. Vari fattori, tra cui quelli genetici, possono influenzare
l’andamento della malattia di Parkinson: è stato evidenziato un legame tra la malattia di Parkinson
e una mutazione di alcuni geni presenti nel cromosoma X. Tutti sappiamo che il sistema ereditario
femminile è formato da due cromosomi X (XX) mentre l’uomo ha un cromosoma X e un
cromosoma Y (XY): così mutazioni presenti in geni collocati nel cromosoma X sono manifeste nel
100% degli individui maschi e nel 50% degli individui femmine. Nella donna (come in tutti i
mammiferi di sesso femminile) esistono dei sistemi di bilanciamento genico che precocemente,
durante lo sviluppo, inattivano uno dei due cromosomi X in maniera casuale. Questo sistema si è
evoluto per evitare che la femmina di mammifero abbia il doppio dei geni attivi nel cromosoma X
rispetto al maschio.
Numerosi studi hanno sottolineato che in caso di mutazioni nei geni presenti nel cromosoma X nelle
femmine, l’inattivazione non è più casuale ma può avvenire preferibilmente nel cromosoma X che
porta il gene mutato. Le donne (o meglio le femmine di mammifero) hanno dunque una protezione
a livello genetico data dall’inattivazione dei geni nel cromosoma X che potrebbero essere dannosi.
Per quanto riguarda la malattia di Parkinson le mutazioni responsabili della patologia sono nel
cromosoma X. Anche l’emofilia come il daltonismo sono dovuti a mutazioni presenti nel
cromosoma X, e per questo sono malattie tipiche del genere maschile, perché portate da quell’unico
gene presente nel corredo cromosomico maschile. Pur essendo meno colpite dalla malattia di
Parkinson le donne lamentano una maggiore disabilità e una qualità di vita peggiore.
La malattia di Alzheimer è più frequente nelle donne (1 donna su 6 rispetto ad 1 uomo su 10). Le
donne con Alzheimer presentano anche sintomi diversi poiché sembrano sviluppare deficit più gravi
a livello del linguaggio, diventano emotivamente instabili, sono maggiormente soggette alla
depressione rispetto agli uomini che invece presentano anomalie del comportamento a livello fisico,
verbale e sessuale. Le cause alla base delle anomalie cerebrali sembrano anche diverse poiché
l’accumulo della proteina Tau nei neuroni malati è presente nel 90% dei pazienti maschi e solo nel
10 % delle pazienti femmine di pari età.
Per finire questa rapida e incompleta rassegna di patologie riportiamo quello che viene definito il
“paradosso donna”: le donne presentano una maggiore aspettativa di vita ma soffrono un numero
maggiore di patologie e disabilità. Gli uomini in età avanzata appaiono più robusti e forti ma
muoiono prima.
Altre differenze biologiche
Il genere condiziona non solo l’inizio e lo svolgersi della patologia ma anche la risposta alla
terapia. Abbiamo già sottolineato che la maggior parte delle sperimentazioni cliniche per definire
una nuova terapia sono fatte su individui di sesso maschile. Il dosaggio del farmaco che alla fine
della sperimentazione verrà applicato alla popolazione sarà quindi riferito ad un uomo giovane di
età (30 – 40 anni) con peso medio di circa 70 kg. Le donne generalmente hanno peso medio e
statura inferiori all’uomo, una percentuale di grasso più elevata, una minore velocità di svuotamento
gastrico e minore secrezione gastrica, ridotta motilità intestinale, minore biotrasformazione epatica
e ridotta velocità di filtrazione renale. Risulta abbastanza intuitivo che il dosaggio stabilito dalla
sperimentazione clinica non sarà calibrato per il fisico di una donna.
Queste diverse caratteristiche biologiche tra uomini e donne possono portare a differenze riguardo la quantità
effettiva di farmaco assunta e la sua successiva eliminazione. Questi aspetti vengono studiati da due branche
della farmacologia: la farmacocinetica e la farmacodinamica . La farmacocinetica indica il percorso
del farmaco all’interno dell’organismo e come questo percorso altera il farmaco stesso. La
farmacodinamica invece studia gli effetti del farmaco sull’organismo. Sebbene sembrino concetti
astrusi e complicati, è importante parlarne perché gli studi fatti sulla farmacocinetica evidenziano
grandi differenze tra uomo e donna.
La maggior parte dei farmaci viene assunta per via orale, ma alcuni possono essere anche inalati o
assunti per via endovenosa. Al pari dei farmaci, anche agenti inquinanti o tossici possono essere
assunti nelle stesse modalità, cioè “respirati” (inalati) o “ingoiati” (per via orale). Dopo l’assunzione
il farmaco subirà delle modificazioni per poter essere assorbito dall’organismo, distribuito dal
circolo sanguigno, metabolizzato e poi eliminato.
La maggior parte dei farmaci orali si distribuisce nell’organismo dopo aver percorso l’esofago, lo
stomaco e l’intestino. Come accennato precedentemente, il movimento gastrico e lo svuotamento
dell’intestino è più lento nella donna rispetto all’uomo, quindi anche l’assorbimento sarà differente
e molto più lento nella donna: questo porterà a una differente permanenza del farmaco nel corpo.
Sappiamo che tutto ciò che ingeriamo passa per il fegato, e lo stesso avviene per i farmaci. Nel
fegato varie specie di enzimi hanno la funzione di modificare ciò che abbiamo ingerito affinché
venga metabolizzato e venga eliminato ciò che non serve. La maggior parte degli enzimi
detossificanti si trova nel fegato ed appartiene alla famiglia dell’enzima citocromoP450 (abbreviato
come CYP). Gli enzimi CYP hanno ognuno un compito diverso per poter metabolizzare sostanze di
diversa composizione; in altre parole questi enzimi sono tanti per poter agire sulla maggior parte
delle sostanze ingerite. Una delle prime differenze descritte tra i due sessi riguarda proprio la famiglia di
questi enzimi, che sono rappresentati diversamente nel sesso femminile e nel sesso maschile. Per esempio le
donne europee presentano una prevalenza dell’enzima CYP3A4 mentre negli uomini è prevalente l’enzima
CYP2D6. Avere enzimi che possono metabolizzare le sostanze (farmaci) in maniera diversa tra i due
sessi fa si che l’agente verrà smaltito in maniera diversa: un enzima meno attivo nel metabolizzare
un determinato farmaco ne provocherà una permanenza maggiore nell’organismo; come
conseguenza si avrà un effetto di sovradosaggio e quindi maggiori effetti collaterali. Viceversa un
enzima con un’attività maggiore rispetto a quella attesa ridurrà i tempi di azione del farmaco che
quindi sarà meno efficace: queste differenze possono in parte spiegare le diversità di efficacia
farmacologica tra uomini e donne. Infatti, dal punto di vista farmacologico, è noto che gli enzimi CYP450
sono responsabili nelle donne dello sviluppo di un numero significativo di reazioni avverse ai farmaci. Gli
enzimi CYP sono tra le principali cause della variabilità dose\risposta in soggetti differenti che assumono lo
stesso farmaco (o sono esposti allo stesso agente tossico ambientale). Le donne presentano maggiori
effetti avversi rispetto ai farmaci perché più soggette ad effetti di sovradosaggio. Questo perché la
maggior parte degli studi che stanno alla base delle strategie terapeutiche è stata condotta
principalmente sugli uomini.
Per ultimo vorrei richiamare l’attenzione sui preparati fitoterapici, erboristici o sugli integratori
alimentari. La maggior parte di queste sostanze sono utilizzate come medicazioni “fai da te” perché
erroneamente ritenuti innocui: si tratta a tutti gli effetti di “agenti farmacologici attivi” che pertanto
dovrebbero essere assunti con cautela ed in alcuni casi sotto controllo medico. Le donne, principali
utilizzatrici di queste sostanze, spesso ignorano che molti di questi preparati “naturali” potrebbero
interagire con altri farmaci assunti contemporaneamente: ad esempio l’iperico, usato come
antidepressivo o antivirale riduce l’effetto degli anticoagulanti e degli anticoncezionali orali. Le
fibre vengono assunte per ridurre l’assorbimento degli alimenti e sono molto utilizzate per ridurre il
peso nelle diete dimagranti, ma poiché la via di transito degli alimenti è la stessa dei farmaci orali,
le fibre non solo riducono l’assorbimento degli alimenti, ma contemporaneamente riducono anche
l’assorbimento dei farmaci.
Altro caso interessante da menzionare è quello del pompelmo che viene ampiamente utilizzato nelle
diete dimagranti per le sue propietà digestive, diuretiche e depurative; viene trascurato il fatto che
questo frutto può interferire con alcuni farmaci tra cui antiaritmici, statine e immunodepressori
inficiando in maniera significativa la loro attività farmacologica. Sia l’iperico che il pompelmo
agiscono sull’enzima CYP3A4 (maggiormente presente nelle donne), l’iperico aumentandone gli
effetti e il pompelmo riducendoli.
La mancanza di studi di genere non ha penalizzato soltanto le donne, anche gli uomini ne hanno
sofferto: malattie considerate tipicamente femminili sono state a lungo sottovalutate negli uomini, e
spesso diagnosticate in ritardo per preconcetti di genere come il carcinoma della mammella,
l’osteoporosi e l’emicrania.
Un approccio di genere alla medicina potrebbe consentire di: 1) ridurre il livello di errore nella
pratica medica; 2) promuovere un’appropriatezza delle cure; 3) migliorare e personalizzare le cure;
4) generare risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale.
In Europa e nel mondo moltissime linee guida richiamano l’intervento focalizzato sul genere sia in
farmacologia che in medicina.
Nel 2009 il progetto “Salute della donna” gestito dal Dr. Stefano Vella, direttore del Dipartimento
del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità, si è posto come obiettivo quello di verificare diversi
aspetti della medicina in un ottica di genere. Lo studio è stato condotto con la cooperazione di otto
regioni italiane allo scopo di arrivare al concetto di accesso e appropriatezza delle cure uguale per
uomini e donne. A questo fine, particolare attenzione è stata data all’aspetto formativo/informativo
per facilitare il lavoro del personale medico ed arrivare alla produzione di linee guida in un ottica di
medicina di genere.
La filosofia che sottende il progetto è stata quella di proteggere la salute della donna per proteggere
la salute di tutta la popolazione: siamo tutti uguali per quanto riguarda i diritti, siamo tutti diversi
per quanto riguarda i bisogni.
Medicina del Lavoro in un’ottica di Genere
Le disposizioni regolatorie in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro introdotte dal il Dlgs 626/94, che
prescindendo dalle differenze di genere, età e provenienza, producono una valutazione del rischio su astratte
caratteristiche dei lavoratori, sono state ampliate dal Dlgs. 81/08. Questo decreto, recependo a livello
nazionale le indicazioni fornite dall’Unione Europea, introduce una concezione nuova di “salute e sicurezza
sul lavoro”, non più ”neutra” ma improntata in modo sistematico alle “differenze di genere”. Il Dlgs. 81/08
prende in esame non solo i periodi di gravidanza e maternità (già legislativamente tutelati dalla direttiva
Europea 85 del 1992) ma estende la tutela della salute e sicurezza delle lavoratrici su tutto l’arco della vita
lavorativa.
Tuttavia le indicazioni riferite a tali problematiche, più volte richiamate nel D.Lgs 81 (art. 1, 28, 40), non
sempre risultano di facile applicazione. Nell’esame della valutazione dei rischi il legislatore descrive ciò che
deve essere considerato lasciando al datore di lavoro la scelta dei criteri per la valutazione non specificando
quindi “come” valutarli. Il come affrontarli è invece oggi una questione aperta e di fondamentale importanza.
Anche in medicina del lavoro molti concetti dovranno essere rielaborati in un’ ottica di medicina di
genere.
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