Università degli Studi di Perugia Corso di Laurea in Fisica Buchi Neri Laureando: Stefano Speziali Relatore: Prof. Gianluca Grignani A.A. 2012/2013 Alla mia famiglia. “Sottile è il Signore..” Albert Einstein Sommario Nel presente lavoro vengono esposti i risultati fondamentali della teoria della gravitazione su scala relativistica e, in particolare, si studiano una classe di oggetti previsti dalla teoria stessa: i buchi neri. Dapprima si studiano quei buchi neri che sono dotati solamente di massa. Si generalizzano poi i risultati al caso di buchi neri che posseggono anche una carica e un momento angolare. Indice 1 Richiami di Relatività Generale 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Vettori e tensori . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Algebra dei tensori . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Derivata covariante e tensore di curvatura 1.5 Metrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6 Simmetrie e derivata di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 2 4 6 9 12 2 Equazioni di campo di Einstein 16 2.1 Il campo gravitazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 2.2 Tensore energia impulso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 2.3 Equazioni di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3 Buco Nero di Schwarzschild 3.1 Soluzione di Schwarzschild . . . . . . . . . . . . 3.2 Collasso gravitazionale di un corpo sferico . . . 3.3 Buchi neri e buchi bianchi . . . . . . . . . . . . . 3.4 Coordinate di Kruskal-Szekeres . . . . . . . . . . 3.5 Singolarità e completezza geodetica . . . . . . . 3.6 Massima estensione analitica . . . . . . . . . . . 3.7 Ipersuperfici nulle . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8 Orizzonti di Killing . . . . . . . . . . . . . . . . . Gravità superficiale sulla sfera di Schwarzschild Normalizzazione della gravità superficiale . . . 3.9 Spaziotempo di Rindler . . . . . . . . . . . . . . 3.10 Accelerazione sull’orizzonte . . . . . . . . . . . . 3.11 Diagrammi di Carter-Penrose . . . . . . . . . . . 3.12 Singolarità nude . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Buchi Neri Carichi 4.1 Soluzione di Reissner-Nordstrom . . . . . . . . . . . 4.2 Singolarità nude in RN . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Coordinate di Kruskal in RN . . . . . . . . . . . . . Collasso a simmetria sferica di un buco nero carico 4.4 Buchi Neri estremi di RN . . . . . . . . . . . . . . . v . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 21 24 27 28 30 31 31 33 34 35 35 37 38 42 . . . . . 45 45 46 48 52 54 5 Buchi Neri Rotanti 5.1 Teoremi di unicità . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Soluzione di Kerr . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 Singolarità nude nella metrica di Kerr . . . . . Struttura Causale . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4 Coordinate di EF in Kerr e buchi neri estremi Velocità angolare dell’orizzonte . . . . . . . . . Buchi neri estremi . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5 Ergosfera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6 Processo Penrose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 55 57 58 59 61 63 63 64 65 A Esempi svolti 66 A.1 Problema 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 A.2 Problema 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 Notazioni In questo lavoro adotteremo il sistema di unità naturale. c 2.998 ×108 m s velocità della luce h 6.626 ×10−34 J·s costante di Planck h̄ 1.054 ×10−34 J·s costante di Planck ridotta e -1.602 ×10−19 C carica dell’elettrone me 9.109 ×10−31 kg massa dell’elettrone G 6.677 ×10−11 m3 kg·s2 costante di gravitazione universale vii Capitolo 1 Richiami di Relatività Generale 1.1 Introduzione La teoria Speciale della Relatività ha due limitazioni: in primo luogo, privilegia una categoria particolare di sistemi di riferimento, quelli inerziali; in secondo luogo, non descrive i fenomeni gravitazionali. In particolare la gravità di Newton non è compatibile con il nuovo principio di relatività di Einstein per due motivi: il primo è che, secondo la relatività speciale, nessuna informazione può viaggiare più veloce della luce, mentre invece secondo la teoria di Newton la forza di gravità ha effetto istantaneo; il secondo è che la legge di gravitazione universale non è invariante rispetto alle trasformazioni di Lorentz, cioè la forza di gravità non rispetta il nuovo principio di relatività. È necessaria quindi un’estensione della teoria che, da un lato, non discrimini tra osservatori inerziali e osservatori accelerati, dall’altro, incorpori la gravità. Una tale estensione avvenne ad opera dello stesso Einstein in un articolo del 1916, in cui veniva presentata la teoria Generale della Relatività. Le due limitazioni della relatività speciale sono in realtà collegate: non è possibile, infatti, descrivere gli effetti della gravità senza prendere in considerazione sistemi di riferimento non inerziali. Uno degli elementi essenziali della teoria è l’equivalenza fra massa inerziale e massa gravitazionale, che fa si che tutti i corpi cadano con la stessa accelerazione. L’altro elemento peculiare della teoria è la nuova concezione tra geometria e fisica: la natura dello spaziotempo è parte integrante della soluzione del problema del moto. Diceva a tal proposito John A. Wheeler: “Lo spaziotempo dice alla materia come muoversi; la materia dice allo spaziotempo come curvarsi.” Possiamo riassumere, quindi, le idee e i princìpi che sono alla base della teoria della relatività generale nei seguenti 4 punti: 1 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale 1. Principio di equivalenza. Secondo questo principio la massa inerziale di un corpo può essere sempre scelta in modo da uguagliare la corrispondente massa gravitazionale. In tutti gli esperimenti svolti fino ad ora il rapporto tra massa gravitazionale di un corpo, cioè la massa che compare nell’espressione della forza di Newton, e la sua massa inerziale, cioè la massa che compare nella seconda legge di Newton, è costante (entro l’errore sperimentale) e indipendente dal corpo stesso. Ciò implica che nessun esperimento locale è in grado di distinguere un moto di caduta libera in un campo gravitazionale da un moto uniformemente accelerato in assenza del campo. In modo analogo nessun esperimento locale può distinguere lo stato di quiete in un campo gravitazionale costante da quello che si osserverebbe in un sistema in moto uniformemente accelerato in assenza del campo. 2. Principio di covarianza. Nella teoria speciale della relatività tutti gli osservatori inerziali sono equivalenti. Nella teoria generale questo fatto viene esteso a tutti i tipi di osservatori. Le leggi della fisica hanno quindi la stessa forma per tutti gli osservatori, inerziali e non inerziali. 3. Principio di corrispondenza. In presenza di campi gravitazionali deboli e nel limite di basse velocità (rispetto a quella della luce), la teoria generale deve fornire dei risultati che sono approssimabili dalla teoria della gravità di Newton. In assenza di campo gravitazionale le predizioni della teoria generale devono essere in linea con quelli della relatività speciale. 4. Principio di minimo accoppiamento gravitazionale. Questo principio afferma che nel passaggio dalla teoria speciale a quella generale non bisogna aggiungere nessun termine che tenga conto, in forma esplicita, della curvatura dello spaziotempo. In base a quanto appena detto, è necessario, a questo punto, introdurre gli elementi essenziali necessari a sviluppare la geometria quadridimensionale in una forma valida in coordinate arbitrarie. Il linguaggio che più si presta a questo scopo è quello della geometria differenziale e, in particolare, quello dei tensori. 1.2 Vettori e tensori Una varietà differenziabile quadridimensionale M è essenzialmente uno spazio topologico ricoperto da sistemi locali di coordinate (carte) che associano ad 2 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale ogni suo punto (o evento) una quaterna x µ = ( x0 , x1 , x2 , x3 ), in modo tale che nella regione di sovrapposizione di due di queste carte l’applicazione che fa passare dall’una all’altra sia differenziabile. In particolare, nella regione di sovrapposizione di due carte, i differenti sistemi di coordinate sono collegati da una trasformazione generale di coordinate (GCT) x 0µ ( x ). Solo oggetti con buone proprietà di trasformazione sotto GCT possono essere definiti su una varietà. Questi oggetti sono i tensori. Un campo vettoriale controvariante (o tensore di tipo (1, 0) o semplicemente “vettore”) ξ ( x ) = ξ µ ( x )∂µ è definito in ogni punto di una varietà differenziabile dalla sua azione su una funzione f ξ : f → ξ f = ξ µ ∂µ f (1.2.1) che definisce un’altra funzione. Questi oggetti generano uno spazio vettoriale quadridimensionale lineare in ogni punto della varietà chiamato spazio tangente (1,0) T p (M). Le funzioni ξ µ ( x ) sono le componenti del vettore rispetto alla base coordinata {∂µ }. Un campo vettoriale covariante (o tensore di tipo (0, 1) o “1-forma differenziale”) è un elemento dello spazio duale (a volte chiamato spazio cotangente) (0,1) T p (M) e, quindi, un funzionale lineare dello spazio tangente che trasforma vettori in funzioni. Gli elementi della base duale della base coordinata dei vettori controvarianti sono, in genere, denotati con {dx µ } e, per definizione, µ hdx µ |∂ν i ≡ δν (1.2.2) che implica che l’azione di una forma ω = ωµ dx µ su un vettore ξ ( x ) = ξ µ ( x )∂µ dia come risultato la funzione h ω | ξ i = ωµ ξ µ (1.2.3) Sotto GCT vettori e forme trasformano come trasformano le funzioni, cioè = ξ ( x ( x 0 )) etc., che implica che le loro componenti, rispetto alla base coordinata associata, trasformano in accordo con le leggi ξ 0 (x0 ) ξ 0ρ ( x 0 ) = e ωρ0 ( x 0 ) ∂x 0ρ µ ξ ( x ( x 0 )) ∂x µ ∂x µ µ = 0ρ ω ( x ( x 0 )) . ∂x 3 (1.2.4) (1.2.5) Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale Più in generale un tensore di tipo (q,r) può essere definito come un elemento (q,r ) dello spazio T p (M) dato dal prodotto tensoriale di q copie dello spazio tangente e r copie dello spazio cotangente. Le sue componenti trasformano in accordo con la legge T 0µ1 ...µq ∂x 0µ1 ∂x 0µq ∂x σ1 ∂x σr ρ1 ...ρq 0 ( x ) = . . . . . . T ν1 ...νr σ1 ...σq ( x ( x )) . ρq 0 ν 0 ν ρ1 r 1 ∂x ∂x ∂x ∂x 0 (1.2.6) Consideriamo ora una curva γ(λ) in M, cioè una mappa da un intervallo reale in M. Si definisce vettore tangente alla curva γ(λ) nel punto γ(λ0 ) il vettore d ( dλ )γ(λ0 ) . Da quanto detto sopra, il vettore tangente a una curva può essere pensato come l’operatore che mappa ogni funzione f , definita in un intorno di df df γ(λ0 ), in dλ (γ(λ0 )); dλ (γ(λ)) è la derivata di f nella direzione di γ(λ) rispetto al parametro λ. Esplicitamente si ha df 1 = lim { f (γ(λ + η )) − f (γ(λ))} dλ γ(λ) η →0 η (1.2.7) Se si utilizza un sistema di coordinate locali in un intorno di γ(λ0 ) dx µ df γ ( λ0 ) = (λ0 )∂µ f (γ(λ0 )) dλ dλ (1.2.8) Dall’ultima relazione, in particolare, si vede che il vettore tangente a una curva può essere sempre scritto, rispetto a una base coordinata, come d dx µ = ∂µ , dλ γ(λ) dλ (1.2.9) µ dove le dx dλ sono le componenti del vettore. Approfondiremo in seguito il ruolo delle curve e, in particolare, delle geodetiche (curve con un ruolo speciale) in relatività generale. 1.3 Algebra dei tensori Il prossimo passo nel costruire equazioni che siano invarianti sotto GCT è quello di stabilire quale sia l’algebra dei tensori, cioè come questi possano essere combinati per dare altri tensori. In particolare si definiscono 4 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale 1. Combinazione Lineare. Una combinazione lineare di tensori dello stesso tipo dà, come risultato, ancora un tensore dello stesso tipo. Infatti presi due tensori di tipo (1,1), A e B, con componenti rispetto alla base coordinata Aµ ν e Bµ ν , si può definire il tensore T, sempre di tipo (1,1) con componenti T µ ν , in base alla relazione T µ ν = aAµ ν + bBµ ν , (1.3.1) dove a e b sono scalari; si dimostra facilmente che le componenti di T trasformano in accordo con la legge T 0µ ν = ∂x 0µ ∂x σ ρ T . ∂x ρ ∂x 0ν σ 2. Prodotto Diretto. È possibile anche moltiplicare due tensori tramite prodotto diretto (o tensoriale). Moltiplicando un tensore di tipo (q,r) e un tensore di tipo (l,m) si ottiene un tensore di tipo (q+l,r+m). Se riprendiamo i tensori dell’esempio precedente possiamo formare un nuovo tensore, R, che ha componenti date dalla relazione Rµ ν ρ = Aµ ν Bρ . Anche in questo caso è possibile dimostrare che le componenti di R trasformano in accordo con la regola generale (1.2.6). 3. Contrazione. La contrazione di un tensore T di tipo (q,r), con componenti T µ1 ...µq ν1 ...νr , rispetto al primo indice controvariante e il primo indice covariante è un tensore di tipo (q-1,r-1) le cui componenti sono date da T µ1 ...µq µ1 ...νr . In generale è possibile contrarre un tensore su una qualsiasi coppia di indici controvarianti e covarianti. Queste tre operazioni possono anche essere combinate in vari modi. Si definisce parte simmetrica di un tensore T di tipo (2,0) il tensore TS che ha per componenti 1 T (µν) = { T µν + T νµ } . (1.3.2) 2! In modo simile, la parte antisimmetrica, TA del tensore T ha per componenti T [µν] = 1 µν { T − T νµ } . 2! 5 (1.3.3) Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale In generale, le componenti della parte simmetrica o antisimmetrica di un tensore T verranno denotati con una parentesi tonda o una parentesi quadra intorno agli indici. Così T µ1 ...µq (ν1 ...νr ) = (1.3.4) 1 {somma su tutte le permutazioni degli indici ν1 . . . νr ( T µ1 ...µq ν1 ...νr )} r! e T µ1 ...µq [ν1 ...νr ] = 1 {somma alternante su tutte le permutazioni degli indici ν1 . . . νr ( T µ1 ...µq ν1 ...νr )} . r! (1.3.5) Un tensore è detto simmetrico, rispetto a un insieme di indici controvarianti o covarianti, se è uguale alla sua parte simmetrizzata su questi indici; è detto antisimmetrico se è uguale alla sua parte antisimmetrizzata. Per esempio, un tensore T di tipo (0,2) è simmetrico se T(µν) = Tµν (e quindi T[µν] = 0). 1.4 Derivata covariante e tensore di curvatura Il calcolo tensoriale su una varietà generica presenta un’importante differenza rispetto al calcolo tensoriale nello spazio di Minkowski. Infatti, le derivate delle componenti T µ1 ...µq ν1 ...νr di un tensore T generico, non costituiscono più le componenti di un tensore. Per vedere ciò, prendiamo in considerazione un campo vettoriale ξ e le sue componenti ξ µ ( x ). Le leggi di trasformazione delle ξ µ ( x ) sono date dalla (1.2.4). Derivando quest’ultima rispetto a x 0λ si ottiene ∂ξ 0ρ ∂x 0ρ ∂x σ ∂ξ µ ∂2 x 0ρ ∂x σ µ = + ξ . ∂x µ ∂x 0λ ∂x σ ∂x σ ∂x µ ∂x 0λ ∂x 0λ (1.4.1) Il primo termine del membro di destra è quello che ci aspetteremmo se le ∂ξ ρ fossero le componenti di un tensore, mentre il secondo termine è quello ∂x λ che delude le nostre aspettative. È necessario estendere la nozione di derivata. Definiamo, quindi, la derivata covariante di un campo vettoriale, la quantità ∇µ ξ ν = ∂µ ξ ν + Γν µρ ξ ρ , (1.4.2) dove Γ è la connessione affine ed è aggiunta alla derivata parziale in modo che la derivata covariante di un tensore trasformi effettivamente come un tensore. 6 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale Il fatto che le ∇µ ξ ν siano effettivamente le componenti di un tensore permette di stabilire quale siano le leggi di trasformazione della connessione. Partendo, infatti, dall’uguaglianza Γν µρ ξ ρ = ∇µ ξ ν − ∂µ ξ ν , è facile vedere che Γ trasforma in accordo con Γ0ν µρ = ∂x 0ν ∂x σ ∂x τ η ∂2 x 0ν ∂x σ ∂x τ Γ , − ∂x η ∂x 0ρ ∂x 0µ τσ ∂x τ ∂x σ ∂x 0ρ ∂x 0µ (1.4.3) in particolare si vede che neanche la connessione trasforma come un tensore. Possiamo inoltre definire la derivata covariante di una 1-forma seguendo un ragionamento analogo a quello precedente. In particolare ∇µ ων = ∂µ ων − Γλ µν ωλ . (1.4.4) È ovvio che queste definizioni possono essere estese a tensori generici. La ∂T ... derivata covariante rispetto a x ρ di un tensore generico T ... ... è uguale a xρ ... , più, per ogni indice controvariante µ, un termine dato da Γµ νρ volte T con µ sostituito da ν, meno, per ogni indice covariante λ, un termine dato da Γκ λρ volte T con λ sostituito da κ. Per esempio, ∇ρ T µσ λ = ∂T µσ λ + Γµ ρν T νσ λ + Γσ ρν T µν λ − Γκ λρ T µσ κ . ∂x ρ (1.4.5) Fino a questo momento non è stata fatta nessuna ipotesi sulla connessione. D’ora in avanti, invece, richiederemo che essa sia simmetrica, cioè Γµ ρν = Γµ νρ . (1.4.6) In questo contesto le Γ sono anche chiamati simboli di Christoffel. La combinazione della derivata covariante con le proprietà algebriche definite nella sezione 3 dà risultati simili a quelli della derivazione ordinaria. In particolare la derivata covariante è un operatore lineare, soddisfa la regola di Leibniz per il prodotto (diretto) di tensori e, inoltre, commuta con la contrazione. Consideriamo ora una curva γ(λ) in M e sia V il suo vettore tangente in ogni punto. Se T è un campo tensoriale di tipo (q,r) definito lungo la curva γ(λ), si definisce derivata covariante di T lungo γ(λ) la quantità DT µ1 ...µq ν1 ...νr dλ = V ρ ∇ρ T µ1 ...µq ν1 ...νr . 7 (1.4.7) Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale Se si utilizza un sistema di coordinate locali, in modo che la curva γ(λ) sia deρ scritta da equazioni del tipo x µ = x µ (λ), allora V ρ = dx dλ e l’equazione precedente si riscrive come DT µ1 ...µq ν1 ...νr dx ρ = ∇ρ T µ1 ...µq ν1 ...νr . (1.4.8) dλ dλ DT µ1 ...µq ν ...ν 1 r Il tensore T è detto essere trasportato parallelamente lungo γ se = 0. dλ Data una curva γ(λ) con estremi p e s, la teoria delle soluzioni delle equazioni differenziali ordinarie ci dice che esiste un unico tensore in s ottenuto trasportando parallelamente un dato tensore in p lungo γ. Il trasporto parallelo lungo (q,r ) (q,r ) γ, quindi, è una mappa lineare da T p (M) a Ts (M) che preserva tutti i prodotti tensoriali e contrazioni. Un caso particolare si ottiene considerando la derivata covariante del vettore ρ ρ tangente stesso lungo γ. La curva γ è detta geodetica se DV dλ è parallelo a V , cioè se esiste una funzione f (anche nulla) tale che DV ρ = f Vρ . dλ (1.4.9) Anticipiamo il fatto che l’equazione (1.4.9) corrisponde all’equazione del moto per una particella di massa m che si muove su γ. Consideriamo ora il seguente fatto: se si trasporta parallelamente un vettore ξ definito inizialmente in p lungo la curva γ che termina ancora in p si ottiene un vettore ξ 0 in p che, in generale, sarà diverso da ξ; se si sceglie una curva differente γ0 , il nuovo vettore che si ottiene in p è in generale diverso da ξ e ξ 0 . Ciò è dovuto sostanzialmente al fatto che le derivate covarianti, in genere, non commutano. Il tensore di curvatura di Riemann dà una misura di questa non commutatività. Il tensore di Riemann, R, è un tensore di tipo (1,3) e può essere definito dalla relazione Rµ νρσ ξ ν = ∇ρ ∇σ ξ µ − ∇σ ∇ρ ξ µ . (1.4.10) che vale per ogni campo vettoriale ξ. Valutando esplicitamente il membro di destra si trova che Rµ νρσ = Γµ νσ, ρ − Γµ νρ, σ + Γµ ηρ Γη νσ − Γµ ησ Γη νρ . (1.4.11) Da questa definizione di evince che il tensore di Riemann ha le seguenti simmetrie Rµ νρσ = − Rµ νσρ (1.4.12) 8 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale e Rµ [νρσ] = 0 . (1.4.13) Con un calcolo un po’ più elaborato, invece, si verifica che il tensore di Riemann soddisfa l’identità di Bianchi Rµ ν[ρσ;λ] = 0 , (1.4.14) dove Rµ νρσ;λ ≡ ∇λ Rµ νρσ . Un’altra proprietà importante del tensore di Riemann è che il trasporto parallelo è localmente integrabile (cioè ξ 0 è uguale a ξ per ogni punto p di M) solo se Rµ νρσ = 0 in ogni punto di M; in questo caso la connessione è detta essere piatta. Contraendo il tensore di curvatura, si può definire il tensore di Ricci come tensore di tipo (0,2) con componenti R µν = Rλ µλν . (1.4.15) Il tensore di Ricci, come si vedrà nel prossimo capitolo, gioca un ruolo fondamentale nelle equazioni di campo di Einstein. 1.5 Metrica Per andare avanti nella costruzione del formalismo della relatività generale abbiamo bisogno di introdurre una struttura sulla varietà: la metrica, cioè un prodotto interno per i vettori dello spazio tangente (simmetrico e bilineare) che associ una funzione g(ξ, e) ad ogni coppia di vettori ξ e e. Tutto ciò è equivalente a definire un tensore g, di tipo (0,2), simmetrico rispetto alle sue componenti covarianti gµν = g(µν) : ξ · e ≡ g(ξ, e) = gµν ξ µ eν (1.5.1) Il quadrato della norma di un vettore è semplicemente il prodotto del vettore con se stesso, ξ 2 = ξ · ξ. La metrica è richiesta essere non singolare, cioè g ≡ det( gµν ) 6= 0 (1.5.2) e, in virtù del Principio di equivalenza, localmente diagonalizzabile; deve, cioè, 9 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale essere sempre possibile trovare un sistema di coordinate per cui gµν = ηµν ≡ diag(−1, +1, +1, +1) (1.5.3) In 4 dimensioni si ha che sign( g) = g = −1 | g| (1.5.4) La metrica può anche essere utilizzata per stabilire una corrispondenza tra lo spazio tangente e il suo duale, cioè tra vettori e 1-forme: ad ogni vettore ξ µ associamo una 1-forma ωµ la cui azione su un qualsiasi altro vettore η µ è il prodotto di ξ e η, ω (η ) = gµν ξ µ η ν . Ciò implica la relazione tra componenti ων = ξ µ gµν . È consuetudine indicare questa 1-forme con ξ µ e la trasformazione da vettori a 1-forme si ottiene “abbassando” l’indice. La metrica inversa può essere usata come metrica nello spazio cotangente. Le sue componenti sono le componenti della matrice inversa di gµν e vengono denotati con indici alti. L’operazione di “innalzamento” può essere definita in modo simile e la consistenza dell’operazione è garantita dal fatto che il duale del duale è lo spazio vettoriale di partenza. La generalizzazione delle operazioni di “innalzamento” e “abbassamento” per tensori generici è ovvia. Con la metrica è possibile anche definire la lunghezza di una curva γ, x µ (λ), grazie all’integrale Z q s = dλ | gµν ẋ µ ẋ ν | , (1.5.5) γ dove il punto indica la derivata rispetto a λ. In relatività si è soliti indicare il quadrato dell’elemento di “distanza” con ds2 = gµν dx µ dx ν . (1.5.6) La segnatura di una metrica in p è il numero di autovalori positivi della matrice gµν in p, meno il numero di autovalori negativi della stessa matrice. Una metrica con segnatura 2, ovunque su M, è detta Lorentziana. Con una metrica Lorentziana tutti i vettori possono essere divisi in tre classi: vettori di tipo tempo, tipo luce (o nulli) e tipo spazio a seconda che il quadrato della norma del vettore sia, rispettivamente, negativo, nullo o positivo. Le equazioni che governano il moto della materia devono essere tali che, presi due punti (o eventi) p e q di M, è possibile mandare un segnale da p a q se 10 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale e solo se, questi, possono essere uniti da una curva il cui vettore tangente (non nullo) è di tipo tempo o luce. Una tale curva è detta essere di tipo tempo o nullo, rispettivamente. Per una particella di massa m, che si muove su γ, definiamo il tempo proprio (cioè il tempo che misura un orologio solidale con la particella stessa) la quantità p dτ = −ds2 . (1.5.7) Finora abbiamo parlato della connessione e della metrica come strutture indipendenti e separate dalla varietà. Nella teoria standard della gravitazione la metrica e la connessione non sono, in realtà, indipendenti. Infatti si assume che la derivata covariante della metrica sia sempre nulla gµν;ρ = 0. (1.5.8) Non è difficile vedere che la (1.5.8) implica 1 Γµ νρ = gµσ gσν,ρ + gρσ,ν − gνρ,σ . 2 (1.5.9) Così, la connessione e, quindi, tutte le quantità definite nella sezione precedente, sono completamente determinate dalla metrica. In particolare, scegliendo un sistema di coordinate locali per cui gµν si riduca alla forma diagonale (1.5.3), in un intorno sufficientemente piccolo di un punto p della varietà, la connessione risulta identicamente nulla e l’equazione delle geodetiche (1.4.9) si riduce (con una ridefinizione del parametro λ in modo che la f che compare nell’equazione si annulli) ad essere, semplicemente, l’equazione dV µ =0, dλ (1.5.10) che corrisponde all’equazione di un moto rettilineo uniforme nello spazio di Minkowski (V è la quadrivelocità della particella). Ciò è in linea con il Principio di Equivalenza, il quale afferma che, localmente, è possibile scegliere un sistema di coordinate tale da annullare gli effetti della gravità e in cui le leggi del moto siano quelle della relatività ristretta. In ultima analisi definiamo il tensore di Riemann completamente covariante in base alla relazione R µνρσ ≡ gµλ Rλ νρσ (1.5.11) che gode della simmetria R (µν)ρσ = 0 11 (1.5.12) Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale come si verifica facilmente dalle relazioni (1.4.11) e (1.5.11). Invece dalle (1.4.12), (1.4.13) e (1.5.12) si trova che il tensore di Riemann è simmetrico rispetto alle coppie di indici {µν} e {ρσ }, cioè R µνρσ = R ρσµν (1.5.13) Quest’ultima relazione implica che il tensore di Ricci sia simmetrico R µν = R νµ . 1.6 (1.5.14) Simmetrie e derivata di Lie Sia k un campo vettoriale sulla varietà M e φλ un gruppo di diffeomorfismi ad un parametro generato da k. In particolare risulta che dφλ = k φ 0 ( p) λ dλ λ0 (1.6.1) φ ( p) = p 0 con p punto della varietà. Possiamo utilizzare φλ∗ per trascinare un campo tensoriale T µ1 ...µq ν1 ...νr generico sulla varietà. Il confronto tra T µ1 ...µq ν1 ...νr e ∗ T µ1 ...µq φ− ν1 ...νr , per piccoli valori del parametro λ, dà luogo alla derivata di Lie. λ Si definisce, infatti, derivata di Lie del campo T µ1 ...µq ν1 ...νr lungo k, la quantità Lk T µ1 ...µq 1 ∗ µ1 ...µq µ1 ...µq ν1 ...νr = lim { φ−λ T ν1 ...νr − T ν1 ...νr } p p p λ →0 λ (1.6.2) Segue immediatamente dalla sua definizione che la derivata di Lie è una mappa lineare fra tensori dello stesso tipo e che segue la regola di Leibnitz per il prodotto (diretto) fra tensori. Inoltre, siccome k è il vettore tangente alla curva integrale di φλ , per una generica funzione abbiamo che Lk f = k f = kµ ∂µ f (1.6.3) Per analizzare l’azione di Lk su un campo tensoriale arbitrario è utile introdurre un sistema di coordinate su M in cui il parametro λ è scelto come uno delle coordinate. Prendiamo ad esempio λ = x0 , così che k = ∂0 = ∂x∂ 0 . L’azione di φ−λ allora corrisponde alla trasformazione di coordinate x0 → x0 + λ, mentre x1 , x2 , x3 rimangono fissate. Conseguentemente, la derivata di Lie di 12 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale T µ1 ...µq ν1 ...νr , in un sistema di coordinate adattate a k, è data da Lk T µ1 ...µq ν1 ...νr = ∂T µ1 ...µq ν1 ...νr ∂x0 (1.6.4) Per un campo vettoriale, quindi, Lk ξ µ = ∂ξ µ ∂x0 (1.6.5) Calcolando il commutatore fra k e ξ, in base coordinata, si trova che k, ξ ]µ = ∂ξ µ ∂x0 (1.6.6) Quindi, k, ξ ]µ = Lk ξ µ (1.6.7) in un sistema di coordinate adattate a k. Tuttavia, entrambe queste quantità sono definite indipendentemente dal sistema di coordinate, per cui concludiamo che la relazione (1.6.7) vale sempre. A partire dalla (1.6.7) e dalle proprietà della derivata di Lie non è difficile dimostrare che per una 1-forma ων vale Lk ων = k µ ∂ων ∂kµ + ω µ ∂x µ ∂x ν (1.6.8) Infine, per un tensore generico Lk T µ1 ···µq ν1 ···νr ∂T µ1 ···µq ν1 ···νr σ ∂kµ1 λ µ2 ···µq k −T − ··· = ν1 ···νr ∂x σ ∂x λ ∂kµq ∂kη − T µ1 ···µq−1 λ ν1 ···νr λ + T µ1 ···µq η ···νr ν ∂x 1 ∂x η ∂k + · · · + T µ1 ···µq ν1 ···η νr . ∂x (1.6.9) Vediamo come la derivata di Lie possa essere utilizzata per trovare le simmetrie di un sistema. Sia γ una curva di tipo tempo con estremi a e b. L’azione per una particella di massa m che si muove su γ(λ) è S = −m Z b 13 a dτ , (1.6.10) Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale dove τ è il tempo proprio su γ. Grazie a (1.5.6) e a (1.5.7) riscriviamo l’azione come Z λ q b (1.6.11) S = −m dλ − gµν ẋ µ ẋ ν . λa L’equazione del moto della particella si ottiene imponendo che l’azione (1.6.11) abbia un valore estremale, cioè δS = 0 . (1.6.12) Un semplice calcolo mostra che l’equazione del moto è proprio la (1.4.9), che può essere riscritta come ν ρ dx µ d2 x µ µ dx dx = f , + Γ νρ dλ dλ dλ dλ2 (1.6.13) con f in questo caso determinata da dτ dln| dλ | f= . dλ (1.6.14) Definiamo un’azione equivalente a (1.6.11) S= 1 2 Z λ b λa dλ e−1 (λ) gµν ẋ µ ẋ ν − m2 e(λ) , dove e(λ) è una nuova funzione indipendente. Imponendo che che 1 dτ 1q . − gµν ẋ µ ẋ ν = e= m m dλ Imponendo, invece, che δS δx (1.6.15) δS δe = 0 si trova (1.6.16) = 0 si trova che l’equazione del moto è D ẋ µ = e−1 ė ẋ µ , dλ (1.6.17) analoga alla (1.4.9). Una naturale scelta per il parametro λ è quella per cui la f nella (1.4.9) o, equivalentemente, il termine di destra dell’equazione (1.6.17) siano nulli. Una tale scelta implica che il parametro λ, che descrive la curva γ, sia proporzionale, a meno di una costante, al tempo proprio τ λ ∝ τ + costante . (1.6.18) Una tale parametrizzazione, per la curva γ, è chiamata parametrizzazione affine. 14 Capitolo 1. Richiami di Relatività Generale Il vantaggio di considerare l’azione della particella nella forma (1.6.15) è che possiamo prendere il limite m → 0 per particelle di massa nulla. In questo caso si trova che ds2 = 0, mentre la (1.6.17) resta invariata. Consideriamo ora la trasformazione x µ → x µ + αkµ ( x ), e → e . (1.6.19) Allora, al primo ordine in α, S→S+ α 2 Z λ b λa dλe−1 Lk gµν ẋ µ ẋ ν , (1.6.20) dove η η Lk gµν = kη gµν,η + k ,µ gην + k ,ν gηµ . (1.6.21) L’azione risulta, quindi, invariante, al primo ordine in α, se Lk gµν = 0. Un campo vettoriale k con queste proprietà è detto campo vettoriale di Killing o, semplicemente, vettore di Killing. In particolare, k, è associato ad una simmetria dell’azione della particella e, quindi, ad una carica conservata. Non è difficile verificare che questa carica è Q = k · p = k µ pµ , (1.6.22) dove pµ è il quadrimpulso della particella pµ = m dx µ dτ (1.6.23) Per ogni campo vettoriale k, è sempre possibile scegliere un sistema di coordinate per cui ∂ k= , (1.6.24) ∂ζ dove ζ è una delle coordinate. In tali coordinate Lk gµν = ∂gµν ∂ζ . (1.6.25) Dall’ultima relazione si vede che k è un vettore di Killing se la metrica è indipendente da ζ. Ad esempio, per la metrica di Schwarzschild (vedi più ∂gµν avanti), ∂t = 0. Per cui un possibile vettore di Killing è k = conservata associata è l’energia della particella. 15 ∂ ∂t e la quantità Capitolo 2 Equazioni di campo di Einstein Nel capitolo precedente abbiamo visto come sia la connessione che il tensore di Riemann possano essere definiti in funzione della metrica dello spaziotempo. Inoltre, anche l’equazione del moto in relatività tiene conto della connessione e quindi della metrica. Sembra quindi che la vera variabile dinamica da determinare sia la metrica stessa. Ci proponiamo, in questo capitolo, di determinare quali siano le equazioni che permettono di ricavarne la forma esplicita. Tali equazioni sono proprio le equazioni di campo di Einstein. 2.1 Il campo gravitazionale Prima di procedere con il cercare equazioni che permettano di determinare la metrica dello spaziotempo, identifichiamo il campo gravitazionale. Partiamo dall’equazione delle geodetiche (1.6.13) e scegliamo, come parametro che descrive la curva, il cammino proprio s, definito in (1.5.5) ν ρ d2 x µ µ dx dx + Γ = 0, νρ ds ds ds2 (2.1.1) che, come si è detto, descrive il moto dei corpi in relatività. Il campo gravitazionale non può che essere contenuto nelle Γ, che sono, a loro volta, le derivate della metrica. Viene naturale quindi identificare il campo gravitazionale con la metrica gµν : questo costituisce uno degli aspetti peculiari della teoria. Per rendere la cosa più quantitativa, cominciamo col dire che, in genere, gµν differisce di poco dalla metrica nello spazio di Minkowski. Poniamo quindi gµν = ηµν + hµν , con |hµν | 1 . 16 (2.1.2) Capitolo 2. Equazioni di campo di Einstein Il campo gravitazionale, in genere, è un campo quasi statico; si ha quindi ∂hµν ∂x0 ' 0. (2.1.3) Nel caso di basse velocità, rispetto a quella della luce nel vuoto, le componenti dxi dx0 ds (i = 1, 2, 3) risultano trascurabili rispetto a ds . Fatte queste ipotesi la (2.1.1) diventa d2 x i = −Γi 00 . (2.1.4) ds2 Sotto le ipotesi fatte, il simbolo di Christoffel può essere scritto come 1 ∂h00 . 2 ∂xi (2.1.5) 1 ∂h00 d2 x i = . 2 ∂xi ds2 (2.1.6) Γi 00 ' − Combinando la (2.1.4) e (2.1.5) si ha che D’altra parte, in virtù del Principio di Corrispondenza, sappiamo che l’equazione del moto è ben approssimata da quella di Newton ∂Φ d2 x i =− . 2 ∂xi dt (2.1.7) Nel limite non relativistico, inoltre, possiamo porre ds ' −dt e, confrontando la (2.1.6) e la (2.1.7), si trova h00 = −2Φ , (2.1.8) e quindi g00 ' −1 − 2Φ . (2.1.9) Sostituendo l’espressione del potenziale Newtoniano generato da una distribuzione di massa M con simmetria sferica, Φ = − M r , si ha che g00 = −1 + Nel SI si avrebbe: g00 = −1 + 2GM , c2 r 2M , r (2.1.10) dove G è la costante di gravitazione universale. 17 Capitolo 2. Equazioni di campo di Einstein 2.2 Tensore energia impulso Dobbiamo, a questo punto tenere a mente un importante fatto: il campo gravitazionale non è generato solo da materia, ma anche da qualunque distribuzione di energia e impulso. Ad esempio il campo elettromagnetico trasporta energia e impulso e, quindi, incurva lo spaziotempo: esso stesso è sorgente di gravità. È necessario tenere conto di questo fatto nelle equazioni di campo che andremo a ricavare. A questo scopo introduciamo il tensore energia impulso Tµν . Consideriamo un sistema fisico il cui integrale d’azione ha la forma1 Sm = Z d4 x p −g Λ , (2.2.1) dove Λ è la densità di lagrangiana del sistema. Il principio variazionale di Hamilton stabilisce che il “moto” di un sistema fisico, fra due istanti dello spazio delle configurazioni, è tale che l’azione sia stazionaria in corrispondenza della “traiettoria del moto” per piccole perturbazioni dello stesso. Tuttavia noi non siamo interessati alle “equazioni del moto” del sistema fisico. È sufficiente quindi scrivere soltanto i termini legati alle variazioni delle gµν . Riportiamo solamente il risultato finale tralasciando i calcoli2 : 1 δSm = − 2 Z d4 x p − g Tµν δgµν , (2.2.2) dove Tµν è il tensore energia impulso dato da Tµν √ √ ∂ −g Λ ∂ −g Λ 2 = −√ − ∂λ . −g ∂gµν ∂gµν ,λ (2.2.3) Risulta chiaro, dunque, che il tensore energia impulso è simmetrico. Il tensore energia impulso gode di un’altra importante proprietà, e cioè che T µν ;ν = 0 . (2.2.4) In presenza di un campo elettromagnetico si ha che Λ è data da Λ=− 1 F F gµρ gνσ , 16π µν ρσ (2.2.5) √ d4 x − g indichiamo l’elemento di volume invariante. 2 Una derivazione dei risultati che seguono può essere trovata in Landau & Lifschitz, Teoria dei campi, Editori Riuniti university press. 1 Con 18 Capitolo 2. Equazioni di campo di Einstein dove Fµν è il tensore del campo elettromagnetico. L’espressione (2.2.3) del tensore energia impulso ci permette di calcolare il tensore energia impulso del campo elettromagnetico. Dopo semplici passaggi si trova Tµν = 2.3 1 1 Fµρ Fν ρ − Fρσ F ρσ gµν . 4π 4 (2.2.6) Equazioni di Einstein Prima di passare alla deduzione delle equazioni del campo gravitazionale definiamo l’azione del campo gravitazionale. Questa, detta anche azione di Hilbert-Einstein, è data dalla formula 1 Sg = 16π Z d4 x p −g R , (2.3.1) dove R è la curvatura scalare di Ricci, ottenuta contraendo la metrica con il tensore di Ricci (1.4.15) R ≡ gµν Rµν . (2.3.2) Possiamo passare ora alla deduzione delle equazioni del campo gravitazionale. Queste equazioni si ricavano dal principio di minima azione δ Sg + Sm = 0. Facendo variare Sg rispetto alle gµν si trova, dopo alcuni passaggi, che 1 δSg = 16π Z d4 x p 1 − g Rµν − gµν R δgµν , 2 (2.3.3) mentre la variazione di Sm è data dalla (2.2.2). Dal principio di minima azione si ha quindi 1 16π Z d4 x p 1 − g Rµν − gµν R − 8πTµν δgµν = 0 2 (2.3.4) e quindi, tenendo conto che le δgµν sono arbitrarie, 1 Rµν − gµν R = 8πTµν . 2 (2.3.5) Queste sono le equazioni del campo gravitazionale, equazioni fondamentali della teoria della relatività generale. Sono anche dette equazioni di campo di 19 Capitolo 2. Equazioni di campo di Einstein Einstein. Il tensore Gµν definito da 1 Gµν = Rµν − gµν R 2 (2.3.6) è detto tensore di Einstein. Contraendo le equazioni (2.3.5) con la metrica si trova R = −8πT , (2.3.7) dove T = gµν Tµν è la traccia del tensore T. Ne esce che le equazioni di campo possono essere scritte anche nella forma 1 Rµν = 8π Tµν − gµν T . 2 (2.3.8) Le equazioni di Einstein non sono lineari e quindi il principio di sovrapposizione non vale per i campi gravitazionali. In generale le equazioni possono essere linearizzate solo per campi deboli (vedi all’inizio di questo capitolo). Nel vuoto si ha che Tµν = 0, per cui le equazioni si riducono a Rµν = 0 . (2.3.9) Ciò non significa che lo spaziotempo sia piatto. Per affermare una cosa del genere abbiamo bisogno di una condizione più forte e cioè che Rµνρσ = 0. La proprietà cruciale che caratterizza il tensore di Einstein è l’identità G µν ;ν = 0 . (2.3.10) Essa segue direttamente dall’identità di Bianchi (1.4.14). Di conseguenza, in base alle equazioni di campo (2.3.5), anche il tensore energia impulso deve soddisfare un’identità simile. Si ritrova così l’equazione (2.2.4). L’equazione (2.2.4) esprime la conservazione dell’energia e dell’impulso e contiene in sé le equazioni del moto del sistema fisico. Quindi le equazioni del campo gravitazionale contengono implicitamente le equazioni della materia stessa che genera questo campo. Da ciò risulta che la distribuzione e il moto della materia stessa che genera il campo devono essere determinati contemporaneamente al campo medesimo. 20 Capitolo 3 Buco Nero di Schwarzschild In questo capitolo deriveremo una delle soluzioni esatte delle equazioni di Einstein: la soluzione di Schwarzschild. La soluzione di Schwarzschild nel vuoto descrive lo spaziotempo attorno ad una massa sferica, non rotante, e priva di carica elettrica. Storicamente è la prima ad essere stata trovata. Con essa è stato possibile calcolare l’angolo di precessione dell’orbita di Mercurio e la deflessione della luce in prossimità del Sole: questi furono i fatti che diedero forte sostegno alla teoria di Einstein. Inoltre, come vedremo approfonditamente in seguito, essa è in grado di prevedere l’esistenza dei buchi neri. 3.1 Soluzione di Schwarzschild Consideriamo un campo gravitazionale a simmetria sferica. Un campo del genere può essere generato da qualsiasi distribuzione a simmetria centrale della massa; in particolare è necessario che non solo la distribuzione della materia sia a simmetria a centrale, ma anche il moto della materia: la velocità in ogni punto deve essere radiale. Se scegliamo un sistema di coordinate “sferiche” (r, θ, φ) la forma più generale dell’intervallo è ds2 = h(r, t)dr2 + k(r, t) sin2 θdφ2 + dθ 2 + l (r, t)dt2 + a(r, t)dr dt , (3.1.1) dove a, h, k, l sono funzioni del “raggio vettore” r e del “tempo” t. Eseguiamo a questo punto una trasformazione di coordinate che non alteri la simmetria sferica di ds2 , trasformiamo cioè le coordinate r e t attraverso le formule r = f 1 (r 0 , t 0 ), t = f 2 (r 0 , t 0 ) (3.1.2) 21 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild ( f 1 e f 2 sono funzioni delle nuove coordinate r 0 e t0 ), in modo che a(r, t) si annulli e che k (r, t) sia uguale a r2 . Una tale scelta per la coordinata r implica che la lunghezza di una circonferenza centrata nell’origine delle coordinate sia 2πr. Riscriviamo le grandezze h e l in forma esponenziale, rispettivamente come eλ e −eν , dove λ e ν sono funzioni di r e t. Si ottiene quindi per ds2 l’espressione ds2 = −eν dt2 + eλ dr2 + r2 dθ 2 + sin2 θ dφ2 . (3.1.3) Se, quindi, le coordinate x µ sono rappresentate dalle coordinate (t, r, θ, φ) le componenti non nulle della metrica sono gtt = −eν , gθθ = r2 , grr = eλ , gφφ = r2 sin2 θ . (3.1.4) gφφ = r −2 sin−2 θ . (3.1.5) Inoltre le componenti della metrica inversa sono gtt = −e−ν , grr = e−λ , gθθ = r −2 , Con l’aiuto della formula (1.5.9) possiamo calcolarci le Γ. Si ottiene (l’apice indica la derivazione rispetto ad r e il punto la derivazione rispetto a t). Γr rr = λ0 2 Γt rr = λ̇2 eλ−ν , Γr rt = Γt rt = , λ 2, ν0 2 Γθ φφ = − sin θcosθ , , Γr θθ = −re−λ , Γr tt = ν0 ν−λ , 2e (3.1.6) Γr φφ = −r sin2 θe−λ . Tutte le altre componenti delle Γ (tranne quelle che si ottengono dalla simmetria della connessione, ovvero permutando gli indici bassi) sono nulle. Per scrivere (e risolvere) le equazioni di Einstein dovremmo ora calcolare le componenti del tensore di Ricci. Grazie alle formule (1.4.15) e (1.4.11) otteniamo, per le componenti miste e dopo un po’ di calcoli r 8πT r = −e 8πT θ −λ ν0 1 + 2 r r + 1 , r2 1 −λ 00 ν02 ν0 − λ0 ν0 λ0 = 8πT φ = − e ν + + − 2 2 r 2 2 1 λ̇ λ̇ν̇ + e−ν λ̈ + − , 2 2 2 (3.1.7) φ θ 22 (3.1.8) Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild t 8πT t = −e −λ 1 λ0 − r r2 + 1 , r2 (3.1.9) λ̇ 8πT r t = −e−λ . (3.1.10) r (le altre equazioni nelle equazioni di Einstein si annullano identicamente). Cerchiamo ora la soluzione per il campo al di fuori delle masse che lo generano, poniamo cioè il tensore energia impulso uguale a zero. Si ottengono quindi le equazioni 0 1 1 −λ ν −e + 2 + 2 = 0, (3.1.11) r r r 1 λ0 −λ 1 + −e − = 0, (3.1.12) r r2 r2 λ̇ = 0 . (3.1.13) Omettiamo l’equazione (3.1.8) perché non è indipendente dalle altre tre. Dalla (3.1.13) si vede che λ non dipende dal tempo. Sommando (3.1.11) e (3.1.12), troviamo λ0 + ν0 = 0, cioè λ + ν = f (t) , (3.1.14) dove f (t) è una funzione solo di t. Senza perdita di generalità si può porre f (t) = 0: ciò non altera la forma dell’intervallo (3.1.3). Da ciò si vede che un campo gravitazionale a simmetria centrale nel vuoto è automaticamente statico. L’equazione (3.1.12) si integra facilmente e dà e−λ = eν = 1 + costante . r (3.1.15) All’infinito (r → ∞) si ha e−λ = eν = 1, cioè la metrica diventa minkowskiana lontano dal corpo che genera il campo. La costante si esprime facilmente in funzione della massa che genera il campo sfruttando il limite di campo debole (2.1.10). In particolare si trova che costante = 2M e l’intervallo assume la forma −1 2M 2M 2 dr2 + r2 sin2 θdφ2 + dθ 2 , ds = − 1 − dt + 1 − r r 2 (3.1.16) r = 2M è detto raggio di Schwarzschild ed è caratteristico di ogni corpo. Questa è la soluzione trovata da Karl Schwarzschild nel 1916, pochi mesi dopo la pubblicazione della teoria della relatività generale. 23 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild 3.2 Collasso gravitazionale di un corpo sferico Nella metrica di Schwarzschild (3.1.16), gtt si annulla e grr diverge per r = 2M (raggio si Schwarzschild). Potremmo essere portati a pensare che la metrica ha una singolarità per r = 2M e che quindi non possano esistere corpi con raggio inferiore al proprio raggio di Schwarzschild. Tuttavia queste conclusione sarebbero errate. Per precisare il carattere della metrica spaziotemporale vicino a r = 2M, studiamo il problema del collasso di un corpo sferico (una stella ad esempio) e vediamo cosa succede per r → 2M. Per fare ciò ci riconduciamo al problema di una particella di “prova” che cade liberamente (trascurando le forze di pressione) nel campo della massa M. La metrica al di fuori della stella è la metrica di Schwarzschild (3.1.16) e, per continuità, anche sulla superficie. Se r = r (t) sulla superficie abbiamo 2 ds = − 2M 1− r 2M − 1− r −1 ṙ2 dt2 + r2 dΩ2 , (3.2.1) 2 2 2 2 dove ṙ = dr dt e dΩ = sin θdφ + dθ (metrica 2-sfera di raggio unitario). Per un moto puramente radiale dΩ2 = 0; inoltre ds2 = −dτ 2 . Si ha quindi 1= 2M 1− r 2M − 1− r −1 2 dt ṙ2 . dτ (3.2.2) Notiamo ora che ∂t∂ è un vettore di Killing per la metrica di Schwarzschild e la carica conservata corrispondente è l’energia della particella (vedi (1.6.22)) data da dt (energia per unità di massa) (3.2.3) e = − gtt dτ per cui possiamo riscrivere la (3.2.2) come 1= o 2M 1− r 2M − 1− r −1 −2 2M 2 ṙ 1− e2 r 2 1 2M 2M 2 ṙ = 2 1 − −1+e . r r e 2 (3.2.4) (3.2.5) Immaginiamo che il collasso avvenga con velocità radiale iniziale nulla; quindi ṙ = 0 per r = rmax . Allora r decresce avvicinandosi a r = 2M asintoticamente per t → ∞. Infatti integrando la (3.2.5) si ottiene che il tempo del collasso (per un 24 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild osservatore lontano) è dato da t= Z rmax r 1− 2M r edr q 2M r . (3.2.6) − 1 + e2 rmax = 12M . Questo integrale diverge per r → 2M come −2M ln(r − 2M) e − e2 quindi la legge asintotica con cui r tende a 2M è t r − 2M = costante e− 2M . (3.2.7) Si vede così che lo stadio finale di avvicinamento di un corpo in collasso al raggio di Schwarzschild avviene secondo una legge esponenziale con un tempo caratteristico molto piccolo ∼ 2M (nel SI 2GM ). c3 D’altra parte dal punto di vista di un osservatore sulla superficie della stella, l’avvicinamento avviene in un intervallo di tempo (proprio) finito. Infatti d = dt dt dτ −1 d 1 2M d = 2 1− . dτ r dτ e (3.2.8) Possiamo riscrivere, quindi, la (3.2.5) come dr dτ 2 = 2M 2 −1+e . r (3.2.9) Una semplice quadratura permette di vedere che il tempo proprio del collasso è dato da Z rmax dr q τ= . (3.2.10) 2M 2M r − r rmax Questo integrale converge per r → 2M. Raggiunto in tempo proprio il raggio di Schwarzschild il corpo corpo continuerà a comprimersi e tutte le sue particelle raggiungeranno il centro in un intervallo di tempo (proprio) finito. Infatti, integrando la (3.2.10) per r → 0, si ottiene che l’intervallo di caduta è dato da τ= πM 3 (1 − e ) 2 . (3.2.11) Non accade, quindi, nulla di speciale in r = 2M. Ciò suggerisce di studiare la natura dello spaziotempo vicino ad r = 2M in un sistema di coordinate in “caduta” con il corpo. È, inoltre, conveniente scegliere particelle senza massa. 25 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild Per geodetiche radiali nulle nello spaziotempo di Schwarzschild si ha che dt2 = dove dr2 1− 2M r ∗ 2 2 ≡ (dr ) , r − 2M r = r + 2M ln , per r > 2M 2M (3.2.12) ∗ (3.2.13) è la coordinata radiale di Regge-Wheeler. Per r che varia tra 2M e ∞ si ha che r ∗ varia da −∞ e ∞. Dalla (3.2.12) si ha che d(t ± r ∗ ) = 0 , (3.2.14) per geodetiche radiali nulle. Si può introdurre quindi la coordinata entrante nulla di Eddington-Finkelstein definita da v = t + r∗ , −∞ < v < ∞ . (3.2.15) Possiamo riscrivere, a questo punto, la metrica nelle coordinate entranti di Eddington-Finkelstein (v, r, θ, φ) ds 2 2M − dt2 + dr ∗2 + r2 dΩ2 = 1− r 2M dv2 + 2drdv + r2 dΩ2 . = − 1− r (3.2.16) Si noti che v è inizialmente definita solo per r > 2M, ma può essere continuata analiticamente per tutti i valori di r. Inoltre, a causa del termine misto, è immediato verificare come la metrica sia regolare per r = 2M, per cui la singolarità di Schwarzschild è effettivamente di tipo coordinato. Oltre a dimostrare la non singolarità fisica del raggio di Schwarszchild, la metrica di Eddington-Finkelstein è molto adatta per capire come mai niente possa allontanarsi dal campo gravitazionale della sorgente una volta passata la sfera si Schwarzschild. È possibile, infatti, riscrivere la metrica in questo modo 2 2drdv = − − ds + 2M 2 2 2 − 1 dv + r dΩ . r (3.2.17) In particolare si vede che 2drdv ≤ 0 quando ds2 ≤ 0, cioè per particelle che si 26 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild muovono su geodetiche di tipo tempo o luce, e per r ≤ 2M, cioè dentro alla sfera si Schwarzschild. Inoltre, il segno di dv non può essere arbitrario, poiché se consideriamo il moto dal passato verso il futuro si ha dv > 0, dato che v era stata definita come v = t + r ∗ , per cui se il tempo t aumenta anche il “tempo” v deve aumentare. Da quanto detto si evince che deve essere necessariamente dr ≤ 0 per r ≤ 2M . (3.2.18) Il segno d’uguaglianza vale solamente quando r = 2M, dΩ = 0 e ds2 = 0 (geodetiche radiali entranti nulle). Quindi niente può allontanarsi dal campo gravitazionale della sorgente una volta oltrepassata la sfera si Schwarzschild. Una tale superficie è detta orizzonte degli eventi. 3.3 Buchi neri e buchi bianchi Abbiamo visto come nessun segnale possa scappare dalla superficie di una stella una volta che questa abbia passato (durante il collasso) la regione r = 2M. La stella è collassata in un buco nero. Abbiamo anche visto che per un osservatore esterno, la superficie delle stella non raggiunge mai effettivamente la sfera di Schwarzschild, ma per r → 2M il redshift della luce che lascia la superficie cresce esponenzialmente e la stella scompare dalla vista in un tempo ∼ MG . c3 L’ipersuperficie r = 2M agisce come una membrana unidirezionale: tutto può entrare, ma niente può uscire. Vediamo ora che succede se al posto di v introduciamo la coordinata uscente nulla di Eddington-Finkelstein u, definita come u = t − r∗ , −∞ < u < ∞ (3.3.1) anch’essa definita inizialmente fuori dalla sfera di Schwarzschild, ma prolungabile analiticamente all’interno. Possiamo, quindi, riscrivere la metrica nelle coordinate di Eddington-Finkelstein uscenti (u, r, θ, φ) 2M ds = − 1 − du2 − 2drdu + r2 dΩ2 . r 2 (3.3.2) È importante sottolineare che la regione r < 2M nelle coordinate di EddingtonFinkelstein uscenti non è la stessa delle coordinate di Eddington-Finkelstein entranti. Infatti nella regione all’interno della sfera di Schwarzschild la metrica descrive un comportamento esattamente opposto a quello visto prima. Per 27 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild vedere ciò riscriviamo la metrica (3.3.2) nel seguente modo 2 2drdu = −ds + 2M − 1 du2 + r2 dΩ2 . r (3.3.3) Nella regione r ≤ 2M risulta drdu ≥ 0 , per ds2 ≤ 0 . (3.3.4) Dato che deve essere du ≥ 0 per linee d’universo dirette verso il “futuro”, deve anche essere dr ≥ 0. Il segno d’uguaglianza vale solo nel caso in cui r = 2M, dΩ = 0 e ds2 = 0. In questo caso una stella con una superficie di raggio r < 2M deve per forza espandersi attraverso la regione r = 2M. A questa soluzione soluzione viene dato il nome di buco bianco, l’inverso temporale del buco nero. Entrambe le soluzioni di buco nero e buco bianco sono previste dalla relatività generale essendo le equazioni di Einstein invarianti rispetto alla riflessione temporale. Tuttavia i buchi bianchi richiedono condizioni iniziali estremamente improbabili, per questo si è portati a pensare che solo la soluzione di buco nero sia realizzabile. 3.4 Coordinate di Kruskal-Szekeres La regione r > 2M è coperta sia dalle coordinate entranti che uscenti di Eddington-Finkelstein. Possiamo quindi riscrivere la metrica di Schwarzschild in termini delle coordinate (u, v, θ, φ) 2M ds = − 1 − dudv + r2 dΩ2 . r 2 (3.4.1) Introduciamo ora nuove coordinate (U, V ) definite (per r > 2M) da u v U = −e− 4M , V = e 4M (3.4.2) in termini delle quali la metrica diventa ds2 = − 32M3 − r e 2M dUdV + r2 dΩ2 , r 28 (3.4.3) Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild r∗ dove r (U, V ) è data implicitamente da UV = e 2M o anche r r − 2M UV = − e 2M . 2M (3.4.4) La metrica (3.4.3) è quindi la metrica di Schwarzschild riscritta nelle coordinate Kruskal-Szekeres (U, V, θ, φ). Inizialmente la metrica è definita per U < 0 e V > 0, ma può essere estesa analiticamente in modo che risulti U > 0 e V < 0. Dalla (3.4.4) si vede che r = 2M corrisponde a UV = 0, cioè lungo gli assi U e V. La singolarità in r = 0 (che è una vera singolarità dello spaziotempo) si ha quando UV = 1, per cui essa non sarà un punto, ma due archi di iperbole. È conveniente disegnare le linee con U e V costanti (geodetiche radiali nulle entranti o uscenti) a 45 gradi, in modo che il diagramma spaziotempo sia Ci sono in tutto quattro regioni nello spaziotempo di Kruskal, dipendenti dal segno di U e V. Le regioni I e II sono anche ricoperte dalle coordinate di Eddington-Finkelstein entranti. Queste sono le uniche regioni rilevanti per il collasso gravitazionale; infatti le regioni III e IV corrispondono alle soluzioni di buco bianco. 29 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild 3.5 Singolarità e completezza geodetica Una singolarità della metrica è un punto in cui il determinante o il suo inverso si annullano. D’altra parte una singolarità può essere dovuta ad una cattiva scelta del sistema di coordinate: abbiamo visto, infatti, che la singolarità nell’orizzonte degli eventi nella metrica di Schwarzschild è proprio di questo tipo. Questo tipo di singolarità è quindi rimovibili, come dimostrato ad esempio introducendo le coordinate di Eddington-Finkelstein o quelle di Kruskal-Szekeres. In generale se non esiste un sistema di coordinate per cui la singolarità sia rimovibile allora questa costituisce una vera singolarità dello spaziotempo. Ogni singolarità per cui qualche scalare di curvatura, costruito a partire dal tensore metrico, diverge è una singolarità dello spaziotempo. Una tale singolarità è chiamata anche singolarità di curvatura. La singolarità in r = 0 nello spaziotempo di Schwarzschild ne è un esempio. Tuttavia non tutte le singolarità irrimovibili sono singolarità di curvatura. Potremmo pensare, quindi, di “tagliare” la regione di spaziotempo contenente la singolarità non rimovibile e non doverci più preoccupare di questa. Tuttavia rimarrebbe il problema equivalente di capire cosa fare con delle curve che raggiungono la frontiera della regione tagliata. Notiamo dapprima che il problema non sussiste se la regione si trova ad infinito, cioè ad un valore infinito del parametro affine della curva che raggiunge una tale regione. D’altra parte l’impossibilità di continuare tutte le curve per tutti i valori del relativo parametro affine può essere presa come il carattere che definisce uno spaziotempo singolare. Parleremo, infatti, di un spaziotempo singolare come di uno spazio geodeticamente incompleto. Possiamo quindi dare la seguente Definizione 3.5.1. Uno spaziotempo è non singolare se e solo se tutte le geodetiche possono essere estese per tutti i valori del proprio parametro affine, cambiando coordinate se necessario. Nel caso della soluzione di Schwarzschild nel vuoto, una particella che si muove su una geodetica radiale entrante raggiungerà la singolarità coordinata r = 2M per un valore finito del parametro affine, ma, come abbiamo visto, questa geodetica può essere continuata nella regione II con un opportuno cambio di coordinate. La sua continuazione incontra, quindi, la singolarità di curvatura in r = 0. Tagliare una qualsiasi regione contenente r = 0, pertanto, conduce a un’incompletezza della geodetica. 30 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild 3.6 Massima estensione analitica Ogni volta che incontriamo una singolarità, per un valore finito del parametro affine lungo una qualche geodetica, dovremmo cercare di capire se questa è rimovibile o meno. In caso affermativo, e con un opportuno cambio di coordinate, possiamo costruire la massima estensione analitica di un dato spaziotempo in cui ogni geodetica che non termina su una singolarità irremovibile può essere estesa ad ogni valore del suo parametro affine. Lo spaziotempo di Kruskal rappresenta, quindi, la massima estensione analitica dello spaziotempo di Schwarzschild: non è infatti possibile trovare altre regioni per continuazione analitica. 3.7 Ipersuperfici nulle Sia S( x ) una funzione liscia delle coordinate x µ dello spaziotempo. Consideriamo una famiglia di ipersuperfici S = costante. I campi vettoriali normali alle ipersuperfici sono dati dalla formula l = fe( x ) gµν ∂ν S ∂µ , (3.7.1) dove fe è un’arbitraria funzione non nulla. Se l 2 = 0 per una particolare ipersuperficie, N , allora N è detta essere una ipersuperficie nulla. Esempio. Facciamo un esempio di ipersuperficie nulla nello spaziotempo di Schwarzschild in coordinate di Eddington-Finkelstein (v, r, θ, φ). Consideriamo, a tal proposito, la famiglia di ipersuperfici S = r − 2M. Il vettore normale è dato da 2M ∂S ∂ ∂S ∂ ∂S ∂ e l = f (r ) 1 − + + r ∂r ∂r ∂r ∂v ∂v ∂r ∂ ∂ 2M , (3.7.2) = fe(r ) 1 − + r ∂r ∂v mentre l 2 = fe2 gµν ∂µ S∂ν S 2M 2 rr = fe g = 1 − fe2 . r (3.7.3) Dall’ultima relazione si vede, in particolare, che r = 2M è un’ipersuperficie 31 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild nulla e che l ∂ = fe . ∂v r =2M (3.7.4) Consideriamo ora alcune proprietà delle ipersuperfici nulle. Sia N un’ipersuperficie nulla con vettore normale l. Un vettore t, tangente a N , è un vettore per cui t · l = 0; ma, siccome N è nulla, l · l = 0 e quindi l è esso stesso tangente ad N . Con ciò dx µ (3.7.5) lµ = dλ per qualche curva di tipo nullo su N . Proposizione 3.7.1. Le curve x µ (λ) sono geodetiche. Dimostrazione. Consideriamo ν µ ρ e l ∇ν l = l ∂ρ f gµν ∂ν S + fegµν l ρ ∇ρ ∂ν S d ln fe µ e ρ µ e−1 l + f l ∇ f lρ = dλ d ln fe µ 1 µν 2 µν = l + g ∂ν l − g ∂ν ln fe l 2 . (3.7.6) dλ 2 2 µ 2 Nonostante l = 0 non necessariamente deve essere che ∂ l = 0, a meno N N che l’intera famiglia S = costante non sia nulla. Dobbiamo però considerare che, siccome l 2 è costante su N , allora tµ ∂µ l 2 = 0 per ogni vettore t tangente ad N . In questo modo µ µ 2 (3.7.7) ∂ l ∝l N e, pertanto, lν∇ ν lµ N ∝ lµ , (3.7.8) cioè x µ (λ) è una geodetica con vettore tangente l. La funzione fe può essere scelta in modo che l ν ∇ν l µ = 0, ovvero in modo che λ sia un parametro affine Definizione 3.7.1. le geodetiche nulle x µ (λ) con parametro affine λ, per cui i µ vettori tangenti dx dλ sono normali all’ipersuperficie N , sono le generatrici di N . Esempio. U = 0 è un’ipersuperficie nulla nello spaziotempo di Kruskal. I 32 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild vettori normali alle ipersuperfici U = costante sono l=− l N =− r fer ∂ 2M e ∂V 32M3 fee ∂ , siccome r = 2M su N 16M2 ∂V (3.7.9) (3.7.10) È facile vedere che l 2 ≡ 0, per cui sia l 2 che ∂µ l 2 si annullano su N ; ciò è dovuto al fatto che le ipersuperfici U = costante sono nulle per ogni valore della costante, non solo zero. In particolare si ha che l ν ∇µ l µ = 0 se fe è costante. Scegliamo, quindi, fe = −16M2 e−1 . Si ha allora che l= ∂ ∂V (3.7.11) è normale ad U = 0 e V è un parametro affine per le generatrici di questa ipersuperficie nulla. 3.8 Orizzonti di Killing Definizione 3.8.1. Un’ipersuperficie nulla N è un orizzonte di Killing del campo vettoriale di Killing ξ se, su N , ξ è normale a N . Sia l il vettore normale ad N definito in modo che l ν ∇ν l µ = 0 (parametrizzazione affine). Allora, siccome su N ξ = fl (3.8.1) per una qualche funzione f , è facile verificare che ξ ν ∇ν ξ µ = κξ µ , (3.8.2) dove κ = ξ µ ∂µ ln | f | è chiamata gravità superficiale. Un’altra relazione utile per il calcolo di κ su N è 1 κ 2 = − ∇µ ξ ν ∇µ ξ ν . (3.8.3) 2 Per un campo vettoriale di Killing ξ non è difficile verificare la seguente relazione ∇ρ ∇µ ξ ν = Rν µρσ ξ σ . (3.8.4) 33 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild Sfruttando, infine, questa relazione possiamo dimostrare la seguente Proposizione 3.8.1. κ è costante sulle orbite di ξ. Dimostrazione. Sia t un vettore tangente a N . Allora dalla (3.8.3) si ha che tν ∂ν κ 2 = − ∇µ ξ ν tρ ∇ρ ∇µ ξ ν = − ∇µ ξ ν tρ Rνµρ σ ξ σ (3.8.5) Ora, dato che il vettore di Killing ξ oltre ad essere normale ad N è anche tangente, possiamo scegliere il vettore t = ξ. Così facendo si trova che ξ ν ∂ν κ 2 = − ∇µ ξ ν Rνµρσ ξ ρ ξ σ = 0 (3.8.6) L’ultima uguaglianza nella (3.8.6) segue dalle proprietà di simmetria del tensore di Riemann. Si trova così che κ è costante su orbite di ξ. Gravità superficiale sulla sfera di Schwarzschild Abbiamo visto come la metrica di Schwarzschild possa essere espressa nelle coordinate di Eddington-Finkelstein entranti. In particolare, questa è data da 2M dv2 + 2drdv + r2 dΩ2 ds = − 1 − r 2 (3.8.7) ∂ e ammette vettore di Killing k = ∂v . Come abbiamo già visto, k, risulta essere normale all’ipersuperficie nulla r = 2M; questo fa si che la sfera di Schwarzschild sia effettivamente un orizzonte di Killing. Un calcolo diretto inoltre ci permette di trovare la gravità superficiale sull’orizzonte kν ∇ν kµ = 1 µ k . 4M Risulta, quindi, che la gravità superficiale per Schwarzschild è κ = SI). 34 (3.8.8) 1 4M 4 c ( 4GM nel Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild Normalizzazione della gravità superficiale Se N è un orizzonte di Killing di ξ con gravità superficiale κ, allora, questo, è anche orizzonte di Killing di cξ con gravità superficiale c2 κ per ogni costante c. Quindi la gravità superficiale non è una proprietà solo di N , ma dipende anche dalla normalizzazione di ξ. Non esiste una naturale normalizzazione di ξ su N , dato che ξ 2 = 0 su N . Tuttavia in uno spaziotempo asintoticamente piatto esiste una naturale normalizzazione ad infinito. Ad esempio per il campo vettoriale di Killing generatore delle traslazioni temporali, k, possiamo scegliere una normalizzazione di questo in modo che k2 → −1 , per r → ∞ . (3.8.9) Questa condizione, quindi, fissa k e di conseguenza κ, a meno di un segno. Il segno può essere scelto in modo che k sia “diretto verso il futuro”. 3.9 Spaziotempo di Rindler Ritorniamo alla soluzione di Schwarzschild (3.1.16) −1 2M 2M 2 ds = − 1 − dt + 1 − dr2 + r2 sin2 θdφ2 + dθ 2 . r r 2 Poniamo r − 2M = Da ciò abbiamo che 1− dove κ = 1 4M . x2 . 4M (3.9.1) (3.9.2) 2M (κx )2 = . r 1 + (κx )2 (3.9.3) Osserviamo, inoltre, che per x ' 0 2M ' (κx )2 r (3.9.4) dr2 = (κx )2 dx2 . (3.9.5) 1− e, quindi, Quindi, per r ' 2M, si trova facilmente che ds2 ' −(κx )2 dt2 + dx2 + 35 1 dΩ2 . 4M (3.9.6) Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild La somma dei primi due termini del membro di destra della (3.9.6) può essere considerata come la metrica di uno spazio bidimensionale, che chiameremo spaziotempo di Rindler bidimensionale, mentre invece l’ultimo termine corrisponde 1 alla metrica di una 2-sfera di raggio 2κ . Possiamo quindi andare a studiare lo spaziotempo vicino l’orizzonte di Killing in r = 2M studiando la metrica bidimensionale dello spaziotempo di Rindler ds2 = −(κx )2 dt2 + dx2 , (3.9.7) definita inizialmente in x > 0. Questa metrica è singolare per x = 0, ma questa, ovviamente, è semplicemente una singolarità coordinata. Per vederlo introduciamo un sistema di coordinate del tipo di Kruskal visto sopra. U 0 = − xe−κt , V 0 = xeκt (3.9.8) in termini delle quali la metrica di Rindler diventa ds2 = −dU 0 dV 0 . (3.9.9) U0 = T − X , V0 = T + X . (3.9.10) ds2 = −dT 2 + dX 2 . (3.9.11) Poniamo ora Si trova, infine, Si trova quindi che lo spaziotempo di Rindler non è altro che lo spaziotempo di Minkowski bidimensionale in coordinate inusuali. Inoltre le coordinate di Rindler con x > 0 coprono solo la regione U 0 < 0 e V 0 > 0 dello spazio di Minkowski. 36 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild Non è difficile vedere dalla (3.9.9) che le linee U 0 = 0 e V 0 = 0 sono curve nulle. Inoltre il campo vettoriale di killing che avevamo trovato per la metrica di Schwarzschild, ∂t∂ , nelle coordinate U 0 e V 0 diventa ∂ 0 ∂ . (3.9.12) k=κ V −U ∂V 0 ∂U 0 È facile verificare che k 0 è normale all’ipersuperficie U 0 = 0. Ciò, in 0 U =0 particolare, dimostra che U 0 = 0 è un orizzonte di Killing. 3.10 Accelerazione sull’orizzonte Proposizione 3.10.1. L’accelerazione propria di una particella in x = a−1 nello spaziotempo di Rindler è costante ed uguale ad a. Dimostrazione. Una particella che si muove su un’orbita di tipo tempo X µ (τ ) di un campo vettoriale di Killing ξ ha quadrivelocità data da ξµ uµ = − ξ2 21 , (3.10.1) dato che u ∝ ξ e u · u = −1. La sua quadriaccelerazione, invece, è data da Duµ dτ ξ ν ∂ν ξ 2 ξ µ ξ ν ∇ν ξ µ = + 2 . −ξ 2 2 ξ2 aµ = (3.10.2) Osserviamo ora che ξ ν ∂ν ξ 2 = 2ξ µ ξ ν ∇µ ξ ν = 0 per un campo vettoriale di Killing. Da ciò abbiamo che ξ ν ∇ν ξ µ aµ = (3.10.3) −ξ 2 e l’accelerazione propria è il modulo di aµ , | a|. Nello spaziotempo di Rindler possiamo porre ξ = k. Troviamo quindi che aµ ∂µ = 1 ∂ 1 ∂ + 0 0 0 U ∂V V ∂U 0 37 (3.10.4) Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild e che | a| ≡ = gµν aµ aν 12 = 1 − 1 2 U0V0 1 x (3.10.5) Quindi per x = a−1 costante abbiamo | a| = a, cioè le orbite di k nello spaziotempo di Rindler sono linee di universo con accelerazione propria costante. L’accelerazione cresce asintoticamente per x → 0, così che che l’orizzonte di Killing in x = 0 è chiamato orizzonte d’accelerazione. Nonostante l’accelerazione propria di una linea d’universo con x = costante diverge per x → 0, l’accelerazione misurata da un altro osservatore rimane finita. Siccome dτ 2 = (κx )2 dt2 , (3.10.6) in x = a−1 costante, l’accelerazione misurata da un osservatore il cui tempo proprio è t è data da dτ 1 1 = (κx ) = κ , (3.10.7) dt x x che rimane finita per x → 0. Un osservatore che misura un tempo t non è altro che un osservatore lontano nello spaziotempo di Schwarzschild. Da quanto appena detto deduciamo che la gravità superficiale, κ, è la forza per unità di massa che deve esercitare un osservatore a infinito per tenere una particella ferma sull’orizzonte. Questo giustifica il termine “gravità superficiale” per κ. 3.11 Diagrammi di Carter-Penrose Un buco nero è una “regione dello spaziotempo da cui nessun segnale può scappare ad infinito” (Penrose). Questa definizione non è del tutto soddisfacente, nel senso che “infinito” non fa parte della struttura dello spaziotempo. Tuttuavia la “definizione” riguarda la struttura causale dello spaziotempo che rimane invariata dopo compattificazione conforme ds2 → de s2 = Λ2 (r, t)ds2 , Λ 6= 0 . (3.11.1) Possiamo scegliere Λ in modo che tutti i punti ad infinito nella metrica originale si trovino ora per un valore finito del parametro affine nella nuova metrica. 38 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild Perché questo avvenga dobbiamo scegliere Λ tale che Λ(r, t) → 0 per|r| → ∞ e/o |t| → ∞ . (3.11.2) In questo caso “infinito” può essere identificato nei punti (r, t) per cui Λ(r, t) = 0. Questi punti non fanno parte dello spaziotempo originale, ma possono essere aggiunti ad esso per dare una compattificazione conforme dello spaziotempo. Esempio 1. Nello spaziotempo di Minkowski abbiamo la seguente espressione per la metrica ds2 = −dt2 + dr2 + r2 dΩ2 . (3.11.3) Poniamo ( u=t−r v=t+r ) → ds2 = −dudv + ( u − v )2 2 dΩ . 4 Poniamo ora, invece, ( ) π π e e u = tanU − 2 < U < 2 e≥U e , poiché r ≥ 0 con V e<π e − π <V v = tanV 2 2 (3.11.4) (3.11.5) In queste coordinate 2 e cos V e ds = 2 cos U −2 h i 2 e 2 e e e − 4dUdV + sin U − V dΩ . (3.11.6) e| → Per avvicinarci a “infinito” in questa metrica dobbiamo prendere |U π e | → . Scegliendo, quindi, |V 2 e cos V e Λ = 2 cos U π 2 o (3.11.7) portiamo questi punti ad un valore finito del parametro affine nella nuova metrica 2 2 2 e e e e de s = Λds = −4dUdV + sin U − V dΩ2 . (3.11.8) Possiamo ora aggiungere “questi punti ad infinito”. Tenendo in conto della e > V, e questi punti sono restrizione V ( e = −π U 2 e=π V 2 ) ( ⇔ u → −∞ v→∞ ) ( ⇔ r→∞ t finito 39 ) infinito spaziale, i0 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild ( e = ±π U 2 π e V=± ) ( ⇔ u → ±∞ e = −π U 2 |f V| = π ) ( ⇔ |f U | 6= − π2 e=π V 2 t → ±∞ ) u → −∞ ( ⇔ ) infinito temporale, i± r finito ) ⇔ vfinito 2 ( ( ⇔ v → ±∞ 2 ( ) ufinito ) v→∞ ⇔ r→∞ t → −∞ r + t finito r→∞ t→∞ r − t finito I− I+ Lo spaziotempo di Minkowski è, quindi, incorporato nel nuovo spaziotempo con metrica de s2 con frontiera in Λ = 0. Introduciamo ora due nuove coordinate, τ e χ, definite da e +U e, χ=V e −U e. τ=V (3.11.9) In tali coordinate riscriviamo la metrica de s2 come de s2 = Λds2 = −dτ 2 + dχ2 + sin2 χdΩ2 Λ = cos τ + cos χ . (3.11.10) (3.11.11) χ è una variabile angolare definita sempre a meno di 2π. Se non ci sono altre restrizioni sul campo di variabilità di τ e χ, allora la metrica de s2 è quella dell’universo statico di Einstein(E.S.U.), con topologia R(tempo) × S3 (spazio). La 2-sfera con χ costante (χ 6= 0, π) ha raggio | sin χ|. Se rappresentiamo ogni 2-sfera con χ costante come un punto l’E.S.U può essere disegnato come un cilindro. 40 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild Lo spaziotempo di Minkowski è conforme alla “regione triangolare” − π < τ < π, 0 ≤ χ < π (3.11.12) Appiattiamo il cilindro per avere il diagramma di Carter-Penrose dello spaziotempo di Minkowski, dove ogni punto rappresenta una 2-sfera, eccetto i punti in r = 0 e i0 , i± . 41 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild 3.12 Singolarità nude La singolarità in r = 0 che si presenta nel collasso a simmetria sferica è nascosta, cioè nessun segnale da essa può uscire per raggiungere la regione I + . Questo in generale non è vero, invece, per lo spaziotempo di Kruskal dal momento che un segnale da r = 0 nella soluzione di buco bianco può raggiungere la regione I + . In quest’ultimo caso la singolarità è detta essere nuda. Un altro esempio di singolarità nuda si ottiene ponendo M < 0 nella soluzione di Schwarzschild 2| M | 2 2 | M | −1 2 ds2 = − 1 + dt + 1 + dr + r2 sin2 θdφ2 + dθ 2 . r r (3.12.1) Questa particolare soluzione risolve le equazioni di Einstein per cui a priori non dovremmo escluderla. Il diagramma di Carter-Penrose corrispondente è il seguente: 42 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild Nessuno di questi esempi risulta rilevante per il collasso gravitazionale. Potremmo considerare, invece, la formazione di una singolarità nuda in seguito ad un collasso a simmetria sferica. Il corrispondente diagramma di Carter-Penrose è 43 Capitolo 3. Buco Nero di Schwarzschild In realtà neanche questa eventualità può essere presa in considerazione perché è necessario avere M > 0. Rimane la possibilità che una singolarità nuda si formi a seguito di un collasso non a simmetria sferica. Se questo accadesse il futuro cesserebbe di essere prevedibile da condizioni iniziali date su una qualche ipersuperficie di tipo spazio (Σ nel diagramma sopra). Questo portò Penrose a suggerire la Congettura di Censura Cosmica. “Singolarità nude non possono formarsi in seguito ad un collasso gravitazionale in uno spaziotempo asintoticamente piatto che è non singolare su una qualche ipersuperficie iniziale di tipo spazio (superficie di Cauchy)”. 44 Capitolo 4 Buchi Neri Carichi In questo capitolo generalizzeremo la soluzione di Schwarzschild al caso di buchi neri massivi e carichi e ne studieremo le relative implicazioni. 4.1 Soluzione di Reissner-Nordstrom Consideriamo l’azione di Einstein-Maxwell 1 S= 16πG Z d4 x p − g R − Fµν F µν . (4.1.1) L’inusuale normalizzazione del termine di Maxwell implica che l’intensità della forza di Coulomb che si esercita tra due cariche Q1 e Q2 separate da una distanza r (grande) in uno spazio piatto è G | Q1 || Q2 | . r (4.1.2) Le equazioni di Einstein-Maxwell nel vuoto sono (cfr. (2.2.6) e (2.3.5)) Gµν = 2 Fµλ Fν λ 1 ρσ − gµν Fρσ F 4 ∇µ F µν = 0 , (4.1.3) (4.1.4) Queste equazioni ammettono soluzione a simmetria sferica. Tale soluzione è la 45 Capitolo 4. Buchi Neri Carichi soluzione di Reissner-Nordstrom (che generalizza la soluzione di Schwarzschild) −1 2M Q2 2M Q2 2 dr2 + r2 sin2 θdφ2 + dθ 2 . ds = − 1 − + 2 dt + 1 − + 2 r r r r (4.1.5) Q A = dt , Fµν = ∂µ Aν − ∂ν Aµ . (4.1.6) r Il parametro Q è la carica del buco nero. La metrica di Reissner-Nordstrom può anche essere scritta come 2 ds2 = − ∆ 2 r2 2 dt + dr + r2 dΩ2 , ∆ r2 (4.1.7) dove ∆ = r2 − 2Mr + Q2 = (r − r− )(r − r+ ) con r± , non necessariamente reali, dati da p r ± = M ± M 2 − Q2 . (4.1.8) (4.1.9) In generale si devono considerare tre casi. A questo problema sono dedicate le tre prossime sezioni. 4.2 Singolarità nude in RN Come primo caso consideriamo quello per cui M < Q. ∆ non ha radici reali e quindi non esiste un orizzonte. La singolarità in r = 0 risulta essere nuda. Questo caso è simile al caso già citato in cui M < 0 nella metrica di Schwarzschild. In accordo con la congettura di censura cosmica un caso simile non può verificarsi in seguito ad un collasso gravitazionale. A conferma di quanto abbiamo appena detto, consideriamo il caso di un guscio di materia con carica Q e raggio R nella teoria Newtoniana della gravitazione incorporando però: 1. equivalenza della massa inerziale con l’energia totale, dalla relatività speciale, 2. equivalenza fra massa inerziale e massa gravitazionale, dalla relatività generale. 46 Capitolo 4. Buchi Neri Carichi GQ2 GM2 − . (4.2.1) R R Tale legge esprime sostanzialmente il difetto di massa per un oggetto carico. Infatti il primo termine corrisponde all’energia totale, il secondo è la massa a riposo dell’oggetto, mentre il terzo e il quarto sono rispettivamente l’energia potenziale Coulombiana e gravitazionale. M = M0 + Questa è un’equazione quadratica in M. L’unica soluzione sensata dell’equazione è 1 i 1 h 2 2 2 2 M( R) = R + 4GM0 R + 4G Q −R . (4.2.2) 2G Il guscio subirà il collasso solo se M decresce con R. Calcoliamo quindi dM G ( M 2 − Q2 ) = . dR 2MGR + R2 (4.2.3) Dall’ultima relazione si vede che il collasso avviene solo se M > | Q|, come ci aspettavamo. Vediamo ora cosa succede ad M se facciamo il limite R → 0. Facendo tale limite nella (4.2.2) si ottiene che M → | Q| , indipendentemente da M0 . (4.2.4) La relatività generale risolve, dunque, il problema della self-energia infinita nell’elettromagnetismo classico per una particella puntiforme. Una particella puntiforme diventa un buco nero estremo di Reissner-Nordstrom (caso (iii)). Osservazione L’elettrone ha M | Q|, dato che l’attrazione gravitazionale è nettamente inferiore alla repulsione elettrostatica. Tuttavia l’elettrone è un oggetto intrinsecamente quantistico, dato che la sua lunghezza Compton è molto maggiore del suo raggio di Schwarzschild. I limiti di applicabilità della relatività generale prevedono, invece, che Lunghezza Compton h̄/Mc h̄c = = 2 1, 2 Raggio di Schwarzschild MG/c M G cioè M h̄c 12 (4.2.5) ≡ M p (Massa di Planck) . (4.2.6) G L’ultima relazione è in generale soddisfatta da ogni oggetto macroscopico, ma 47 Capitolo 4. Buchi Neri Carichi non da particelle elementari. 4.3 Coordinate di Kruskal in RN Come secondo caso consideriamo quello per cui M > | Q|. ∆ si annulla in r = r+ e in r = r− reali. La metrica risulta quindi singolare, ma, come vedremo fra breve, queste sono singolarità coordinate. Per vedere quanto abbiamo detto procediamo esattamente come nel caso di r = 2M nella metrica di Schwarzschild. Definiamo la coordinata r ∗ in base a dr ∗ = r2 dr dr = ∆ 1 − 2M r + Q2 r2 . (4.3.1) In particolare, risulta che 1 1 |r − r + | |r − r − | + , r =r+ ln ln 2κ+ r+ 2κ− r− ∗ dove κ± è dato da κ± = r± − r∓ . 2 2r± (4.3.2) (4.3.3) Introduciamo ora le coordinate radiali nulle u, v come prima v = t + r∗ , u = t − r∗ . (4.3.4) La metrica di Reissner-Nordstrom può essere, quindi, riscritta nelle coordinate di Eddington-Finkelstein entranti (v, r, θ, φ) ds2 = − ∆ 2 dv + 2dvdr + r2 dΩ2 . r2 (4.3.5) Queste coordinate sono non singolari ovunque eccetto per r = 0. Quindi le singolarità che si incontrano per ∆ = 0 nella metrica di Reissner-Nordstrom sono singolarità coordinate. Le ipersuperfici che si trovano imponendo r = costante sono nulle quando grr = r∆2 = 0, cioè quando ∆ = 0. Questo, in particolare mostra come r = r± siano ipersuperfici nulle, N± . Proposizione 4.3.1. Le ipersuperfici nulle N± della metrica di Reissner-Nordstrom ∂ sono orizzonti di Killing del campo vettoriale di Killing ∂v (estensione di ∂t∂ in coordinate 48 Capitolo 4. Buchi Neri Carichi di Reissner-Nordstrom) con gravità superficiale κ± . Dimostrazione. I vettori normali a N± sono l± = f ± ∂ ∂ vr ∂ +g = f± g ∂r ∂v ∂v rr (4.3.6) (notare che grr = 0 su N± e gvr = 1) per qualche funzione arbitraria f ± che ν ∇ l µ = 0, cioè tale che l sia tangente a possiamo scegliere in modo che l± ν ± qualche curva parametrizzata in modo affine. In particolare si vede che ∂ = f ±−1 l± . ∂v (4.3.7) ∂ L’ultima relazione mostra come N± siano orizzonti di Killing di ∂v . Quest’ultimo, infatti, è un campo vettoriale di Killing perché la metrica in coordinate di Eddington-Finkelstein è indipendente da v. Dimostriamo ora che la gravità superficiale su N± è data proprio da κ± . A tal proposito calcoliamo 1 kν ∇ν kr = Γr vv = − grr gvv ,r = 0 , su N± 2 1 ∂∆ 1 kν ∇ν kv = Γv vv = − gvr gvv ,r = 2 2 2r ∂r 1 = (r± − r∓ ) su N± 2 2r± = κ± . (4.3.8) (4.3.9) Quindi, in particolare, kν ∇ν kµ = κ± kµ (4.3.10) Siccome k = ∂t∂ in coordinate statiche si ha che k2 → −1 per r → ∞. Possiamo quindi identificare κ± con la gravità superficiale di N± . Introduciamo ora un nuovo insieme di coordinate definito dalle equazioni U ± = − e −κ ± u , V = e κ ± v . 49 (4.3.11) Capitolo 4. Buchi Neri Carichi Scegliendo dapprima i segni superiori, l’espressione della metrica in queste coordinate è κκ+ −1 −2κ+ r r e r r + − − − ds2 = − 2 dU + dV + + r2 dΩ2 , (4.3.12) r − r− r2 κ+ dove r è dato implicitamente in funzione di U + e V + dalla formula r − r r − r + − U + V + = −e2κ+ r r+ r− κ+ κ− . (4.3.13) La metrica espressa in queste coordinate copre quattro regioni della massima estensione analitica della metrica di Reissner-Nordstrom, Questo sistema di coordinate non copre la regione r ≤ r− dal momento che la metrica ha una singolarità in r = r− , e, inoltre, risulta che il prodotto U + V + in tale regione non è più reale. Tuttavia possiamo introdurre un sistema di coordinate in cui la suddetta regione non risulti singolari. Consideriamo, quindi, il sistema di coordinata definito dalla (4.3.11), scegliendo, stavolta, i segni inferiori. La metrica, riscritta in queste coordinate, diventa dunque r+ r− e−2κ− r r+ ds2 = − 2 r+ − r r2 κ− κ− κ + −1 50 dU − dV − + r2 dΩ2 . (4.3.14) Capitolo 4. Buchi Neri Carichi In questo caso, invece, la dipendenza di r da U − V − è data implicitamente da − − U V = −e −2κ− r r − r r − r − + r− r+ κ− κ+ . (4.3.15) Questa metrica copre quattro regioni intorno a U − = 0 e V − = 0. La regione II è la stessa regione II coperta dalle coordinate (U + , V + ). Le altre regioni, invece, sono nuove. Le regioni V e VI contengono la singolarità in r = 0, che è di tipo tempo: la normale a r = costante è di tipo spazio per ∆ > 0, come ad esempio in r < r− . Sappiamo che la regione II del diagramma è connessa con uno spaziotempo esterno nel passato (le regioni I, III, IV) e, quindi, per invarianza per riflessione temporale, la regione III’ deve essere connessa ad un’altra regione esterna (regioni I’, II’ e IV’). 51 Capitolo 4. Buchi Neri Carichi Le regioni I’ e IV’ costituiscono un nuovo spaziotempo esterno asintoticamente piatto. Continuando in questo modo si possono trovare infinite regioni del genere. Collasso a simmetria sferica di un buco nero carico Consideriamo una “palla di polvere” (senza pressione) sferica per cui ogni particella di polvere ha un rapporto carica/massa dato da γ= Q , |γ| < 1 M (4.3.16) dove Q è la carica elettrica totale e M la massa totale. La metrica fuori dalla palla di polvere è quella di Reissner-Nordstrom con M > Q. La traiettoria di una particella sulla superficie è la stessa di una particella, con rapporto massa/carica dato proprio da γ, che cade radialmente verso il centro nello spaziotempo di Reissner-Nordstrom. La traiettoria, in generale, non seguirà un moto geodetico a causa della repulsione elettrostatica. Non è difficile vedere che la traiettoria di un punto sulla superficie obbedisce all’equazione1 dr dτ 2 = e2 − Ve f f , dove Ve f f = 1 − (1 − eγ2 ) 1 vedi Problema 2 in Appendice 52 2M Q2 + (1 − γ2 ) 2 r r (4.3.17) (4.3.18) Capitolo 4. Buchi Neri Carichi r0 = 1 − γ2 Q2 γ2 (1 − γ2 ) = M. 1 − eγ2 M 1 − eγ2 (4.3.19) Il collasso viene quindi arrestato dalla repulsione elettrostatica. Tutte le curve di tipo tempo che entrano nella regione r < r+ sono costrette a entrare nella regione r < r− , cosi che il “rimbalzo” avvenga nella regione V. La particella di polvere quindi entra nella regione III’, esplode come un buco bianco nella regione I’ e può così ricominciare il collasso. Tutto ciò è illustrato nel seguente diagramma di Carter-Penrose L’esistenza di “tunnel” che permettono di raggiungere altri “universi” è alquanto bizzarra. Dobbiamo, infatti, considerare che l’esistenza di questi tunnel dipende in modo molto sensibile dalle simmetrie assunte nello spaziotempo 53 Capitolo 4. Buchi Neri Carichi di Reissner-Nordstrom, staticità e simmetria sferica. Queste simmetrie non risultano essere esatte nella realtà e ogni piccola perturbazione ha un effetto drammatico nella struttura interna del buco nero. I tunnel sono instabili e non compaiono nella realtà fisica. 4.4 Buchi Neri estremi di RN Come terzo e ultimo caso consideriamo quello per cui M = Q. Un corpo siffatto è chiamato buco nero estremo di Reissner-Nordstrom. In questo caso l’espressione della metrica è data da M 2 2 dr2 2 2 ds2 = − 1 − dt + + r dΩ . M 2 r 1− r (4.4.1) In questa metrica si incontra una singolarità in r = M che, come vedremo, è una singolarità dovuta al sistema di coordinate. Introduciamo quindi la coordinata di Regge-Wheeler r − M M2 ∗ − (4.4.2) r = r + 2M ln M r−M che implica la seguente relazione per i differenziali dr ∗ = dr . 1− M r (4.4.3) Introduciamo le coordinate entranti di Eddington-Finkelstein come sopra. L’espressione dell’intervallo diventa, quindi, M 2 2 dv + 2dvdr + r2 dΩ2 . ds2 = − 1 − r (4.4.4) Questa metrica è non singolare sull’ipersuperficie nulla r = M. Seguendo un ragionamento analogo a quello visto prima, si può dimostrare che r = M è un ∂ orizzonte di Killing del campo vettoriale di Killing ∂v con gravità superficiale nulla. È importante notare che, siccome k è un vettore di tipo nullo su r = M, ma di tipo tempo altrove, la regione II scompare e la regione I porta direttamente alla regione V. 54 Capitolo 5 Buchi Neri Rotanti In questo capitolo ci proponiamo di studiare quei buchi neri che, oltre alla massa e alla carica, posseggono anche un momento angolare. In particolare studieremo la soluzione di Kerr e le relative implicazioni. 5.1 Teoremi di unicità Definizione 5.1.1. Uno spaziotempo asintoticamente piatto è stazionario se e solo se esiste un campo vettoriale di Killing, k, che è di tipo tempo a ∞. Osservazione 5.1.1. In generale, è possibile normalizzare k in modo che a infinito k → −1. Fuori da un possibile orizzonte k = ∂t∂ , dove t è il tempo coordinata. La forma generale dell’intervallo di uno spaziotempo stazionario, quindi, assume la forma ds2 = gtt (~x )dt2 + 2gti (~x )dtdxi + gij (~x )dxi dx j . (5.1.1) Uno spaziotempo stazionario, inoltre, è detto statico se è invariante per inversione temporale. Questo equivale a richiedere che gti = 0. La metrica, in questo caso, diventa ds2 = gtt (~x )dt2 + gij (~x )dxi dx j . (5.1.2) Definizione 5.1.2. Uno spaziotempo asintoticamente piatto è detto essere simmetrico rispetto a un asse se esiste un campo vettoriale di Killing m (campo vettoriale di Killing “assiale”) che è di tipo spazio a ∞ e le cui orbite sono chiuse. 55 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti Possiamo scegliere un sistema di coordinate tale che m= ∂ ∂φ (5.1.3) dove φ è una coordinata che ha un intervallo di variabilità di 2π, in modo 2 che mr2 → 1 per r → ∞. Così, come per k, esiste una naturale scelta per la normalizzazione per un campo vettoriale di Killing assiale in uno spaziotempo asintoticamente piatto. Teorema 5.1.1 (Birkhoff). Il teorema di Birkhoff afferma che ogni soluzione di vuoto a simmetria sferica è statica. Osservazione 5.1.2. Il fatto che ogni soluzione di vuoto a simmetria sferica sia statica implica effettivamente che sia di Schwarzschild. Osservazione 5.1.3. Una generalizzazione di questo teorema ad un sistema di Einstein-Maxwell mostra che l’unica soluzione a simmetria sferica sia di Reissner-Nordstrom. Supponiamo ora di sapere solamente che la metrica esterna ad una stella sia statica. Sfortunatamente non sappiamo ancora se si tratta di uno spaziotempo a simmetria sferica. Per questo problema esiste però un teorema, Teorema 5.1.2 (Israel). Il teorema di Israel afferma che ogni spaziotempo asintoticamente piatto, statico e nel vuoto, che è non singolare al di fuori e su un orizzonte degli eventi, è di Schwarzschild. Tuttavia riveste un ruolo ben più importante il seguente teorema Teorema 5.1.3 (Carter-Robinson). Uno spaziotempo stazionario asintoticamente piatto e simmetrico rispetto a un asse nel vuoto che è non singolare al di fuori e su un orizzonte degli eventi fa parte della famiglia a due parametri di Kerr. I parametri sono la massa M e il momento angolare J. L’assunzione della simmetria rispetto a un asse è stata mostrata essere non necessaria. Per cui risulta, effettivamente, che la stazionarietà implica la simmetria assiale di una soluzione (Hawking, Wald). Questi tre teoremi possono essere generalizzati per le equazioni di vuoto di Einstein-Maxwell. Il risultato è che lo spaziotempo di un buco nero stazionario può dipende solo da tre parametri: si dice che il buco nero faccia parte della 56 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti famiglia a tre parametri di Kerr-Newman. In coordinate di Boyer-Lindquist (BL) la metrica di Kerr-Newman è ds2 = − + (∆ − a2 sin2 θ ) 2 (r 2 + a2 − ∆ ) dt − 2a sin2 θ dtdφ Σ Σ ! (r2 + a2 )2 − ∆a2 sin2 θ Σ sin2 θ dφ2 + dr2 + Σ dθ 2 , Σ ∆ (5.1.4) dove Σ = r2 + a2 cos2 θ (5.1.5) ∆ = r2 − 2Mr + a2 + e2 . (5.1.6) I tre parametri sono M, a ed e. Il parametro a è legato al momento angolare dalla relazione J a= , (5.1.7) M dove J è il momento angolare totale, mentre p e = Q2 + P2 , (5.1.8) dove Q e P sono le cariche di monopolo elettrica e magnetica, rispettivamente. La 1-forma di Maxwell, invece, è data da Qr dt − a sin2 θdφ − P cos θ adt − (r2 + a2 )dφ . (5.1.9) A= Σ Osservazione 5.1.4. Quando a = 0 la soluzione di Kerr-Newman si riduce alla soluzione di Reissner-Nordstrom. Osservazione 5.1.5. Facendo l’inversione φ → −φ cambia anche il segno di a, possiamo quindi scegliere a ≥ 0 senza perdita di generalità. Osservazione 5.1.6. La soluzione di Kerr-Newman ha le isometrie discrete t → −t e φ → −φ. 5.2 Soluzione di Kerr La soluzione di Kerr si ottiene dalla soluzione di Kerr-Newman ponendo e = 0. In particolare risulta che ∆ = r2 − 2Mr + a2 , (5.2.1) 57 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti mentre la Σ rimane invariata. La metrica di Kerr, in coordinate di Boyer-Lindquist ha singolarità coordinate in 1. θ = 0 2. ∆ = 0. Riscriviamo ∆ come ∆ = (r − r+ )(r − r− ) , dove r± = M ± p M 2 − a2 . (5.2.2) (5.2.3) Anche in questo caso dobbiamo considerare tre casi che saranno presentati nelle prossime sezioni. 5.3 Singolarità nude nella metrica di Kerr Consideriamo dapprima il caso M2 < a2 . ∆ non ha radici reali e quindi non ci sono singolarità per r = r± . La metrica ha ancora una singolarità di coordinate in θ = 0. Più significativa invece è la singolarità in Σ = 0 che, invece, è una vera singolarità dello spaziotempo. Tale singolarità si trova per i valori di r e θ dati da r = 0, θ = π . 2 (5.3.1) La natura di questa singolarità può essere discussa introducendo le coordinate di Kerr-Schild (et, x, y, z) (che, inoltre, rimuovono la singolarità in θ = 0). Queste sono definite da Z r 2 + a2 et = dt + dr − r (5.3.2) ∆ h Z a i x + iy = (r + ia) sin θ exp i dφ + dr (5.3.3) ∆ z = r cos θ (5.3.4) che implicano che r = r ( x, y, z) sia data implicitamente da r 4 − ( x 2 + y2 + z2 − a2 )r 2 − a2 z2 = 0 . 58 (5.3.5) Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti In queste coordinate la metrica assume la forma ds2 = −det2 + dx2 + dy2 + dz2 i2 2Mr3 h r ( xdx + ydy) − a( xdy − ydx ) zdz et ; + 4 + d + r r 2 + a2 r + a2 z2 (5.3.6) quest’ultima mostra chiaramente che lo spaziotempo è piatto quando M = 0 Le superfici con et e r costanti sono ellissoidi confocali che degenerano per r = 0 nel disco z = 0, x2 + y2 ≤ a2 . La regione del grafico con θ = π2 corrisponde al contorno del disco x2 + y2 = a2 . Si vede così che la singolarità di curvatura si presenta sul bordo del disco. In generale r non deve essere necessariamente maggiore di zero. Lo spaziotempo può essere continuato analiticamente attraverso il disco in un’ altra regione asintoticamente piatta con r < 0. Struttura Causale Dal momento che il sistema gode di simmetria assiale abbiamo bisogno di un diagramma tridimensionale per studiare la struttura causale dello spaziotempo. Tuttavia le sottovarietà con θ = 0, π2 sono totalmente geodetiche, cioè se una geodetica è inizialmente tangente alla sottovarietà essa rimarrà tale durante tutto il moto. Possiamo così dare i diagrammi di Carter-Penrose per queste sottovarietà. 59 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti Per θ = π2 ogni punto del diagramma rappresenta un cerchio (si ha infatti che 0 ≤ φ < 2π). Ogni geodetica radiale entrante urterà la singolarità ad anello in r = 0, che è chiaramente nuda. Per θ = 0, invece, si considerano solo geodetiche sull’asse di simmetria. Geodetiche radiali nulle passano attraverso il disco in r = 0 e finiscono nella regione r < 0. Possiamo riassumere i due diagrammi in uno solo Tuttavia lo spaziotempo risulta non avere senso fisico. Consideriamo, infatti, 60 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti la norma del campo vettoriale di Killing m = 2 m = gφφ Poniamo ora r a r2 = a sin θ 1 + 2 a 2 ! 2 ∂ ∂φ Ma2 + r = δ (piccolo) e consideriamo θ = π 2 2 sin4 θ 1+ a2 r2 cos2 θ ! . (5.3.7) + δ. Risulta allora Ma + O(δ) , per δ 1 δ < 0 per piccoli valori negativi di δ m2 = a2 + Si vede così che m diventa un vettore di tipo tempo vicino alla singolarità ad anello nella regione r < 0; inoltre le orbite di m sono chiuse. Lo spaziotempo così costruito ammette curve di tipo tempo chiuse. In generale ciò non è possibile perché si violerebbe il principio di causalità. Tuttavia dobbiamo ricordarci che stiamo considerando uno spaziotempo con singolarità nuda e, in virtù del principio di censura cosmica, una tale eventualità non può verificarsi a seguito di un collasso gravitazionale. 5.4 Coordinate di EF in Kerr e buchi neri estremi Consideriamo ora il caso M2 > a2 . Sotto questa condizione si ha ancora una singolarità ad anello, però la metrica (espressa in coordinate BL) è singolare in r = r+ e r = r− . Queste, come vedremo, sono singolarità dovute alla scelta del sistema di coordinate. Introduciamo le coordinate v e χ definite rispetto alle vecchie variabili da dv = dt + r 2 − a2 dr ∆ (5.4.1) a dr . (5.4.2) ∆ Si può, quindi, riscrivere la metrica di Kerr nelle coordinate (v, r, θ, χ), analoghe dχ = dφ + 61 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti alle coordinate di Eddington-Finkelstein per la metrica si Schwarzschild ∆ − a2 sin2 θ 2 2a sin2 θ (r2 + a2 − ∆) dv + 2dv dr − dvdχ Σ Σ 2 (r + a2 )2 − ∆a2 sin2 θ − 2a sin2 θ dχ dr + sin2 θdχ2 + Σdθ 2 . Σ ds2 = − (5.4.3) La metrica è ora non singolare in ∆ = 0. Questo dimostra che le singolarità in r = r± della metrica, scritta in coordinate di BL, sono singolarità coordinate. Proposizione 5.4.1. Le ipersuperfici r = r± sono orizzonti di Killing dei campi vettoriali di Killing a m, (5.4.4) ξ± = k + 2 r ± + a2 con gravità superficiale data da κ± = r± − r∓ 2 + a2 ) 2(r ± (5.4.5) Dimostrazione. Siano N± le ipersuperfici r = r± . I vettori normali, valutati su N± , sono l± = f ± gµr ∂µ , per qualche funzione non nulla f ± ! ! 2 + a2 r± a ∂ ∂ + 2 =− 2 f± ∂v r± r± + a2 cos2 θ + a2 ∂χ In particolare risulta che ξ± = ∂ a ∂ + 2 . 2 ∂v r± + a ∂χ (5.4.6) Per prima cosa notiamo che 2 l± ∝ gvv + 2a r 2 + a2 gvχ + a2 r 2 + a2 gχχ per cui N± sono ipersuperfici nulle. Dato che ξ ± N± ∆ =0 =0 (5.4.7) ∝ l± , tali ipersuperfici sono effettivamente orizzonti di Killing di ξ ± . ν ∇ ξ µ . Calcolando tale prodotto si trova l’espressione Rimane da calcolare ξ ± ν per κ± . 62 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti Questi risultati possono essere utilizzati per trovare coordinate del tipo di Kruskal e ottenere la massima estensione analitica della metrica di KerrNewman. Anche in questo caso si ha un reticolo infinito di regioni isometriche. Velocità angolare dell’orizzonte L’orizzonte degli eventi è un orizzonte di Killing di ξ = k + ΩH m , dove ΩH = In coordinate per cui k = J a p = . 2 + a2 r+ 2M M2 + M4 − J 2 ∂ ∂t em= ∂ ∂φ (5.4.8) (5.4.9) si ha che ξ µ ∂µ (φ − Ω H t) = 0 , (5.4.10) cioè φ = Ω H t + costante su orbite di ξ, mentre φ rimane costante su orbite di k. Le particelle che si muovono su orbite di ξ ruotano con velocità angolare Ω H relativamente a particelle statiche, quelle sulle orbite di k, e quindi relative ad un sistema stazionario a infinito. Siccome le geodetiche nulle generatrici dell’orizzonte seguono le orbite di ξ si ha che il buco nero ruota con velocità angolare Ω H . Buchi neri estremi Prendiamo ora il caso di M2 = a2 . Questa soluzione è chiamata buco nero estremo di Kerr. In questo caso si ha un orizzonte di Killing in r = M con gravità superficiale κ = 0 e campo vettoriale di Killing a ξ = k + ΩH m , ΩH = . (5.4.11) 2M 63 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti 5.5 Ergosfera Nonostante k sia un vettore di tipo tempo a infinito non è necessario che sia tale ovunque al di fuori dell’orizzonte. Nello spaziotempo di Kerr 2Mr ∆ − a2 sin2 θ k2 = gtt = − =− 1− 2 Σ r + a2 cos2 θ ! (5.5.1) e, quindi, k è di tipo di tempo se r2 + a2 cos2 θ − 2Mr > 0 . (5.5.2) Per M2 > a2 l’ultima relazione implica che, perché k sia di tipo tempo, deve essere p r > M + M2 − a2 cos2 θ . (5.5.3) La frontiera di quest’ultima regione, cioè l’ipersuperficie r=M+ p M2 − a2 cos2 θ , (5.5.4) è chiamata ergosfera. L’ergosfera si incontra con l’orizzonte degli eventi quando θ = 0 o π, per tutti i restanti valori di θ giace completamente fuori. Quindi k diventa un vettore di tipo spazio in una certa regione al di fuori dell’orizzonte. Questa regione è chiamata ergoregione. 64 Capitolo 5. Buchi Neri Rotanti 5.6 Processo Penrose Supponiamo di avere una particella che si avvicini ad un buco nero di Kerr lungo una geodetica. Chiameremo p il suo quadrimpulso. Possiamo identificare l’energia della particella come una costante del moto data da E = −p · k . (5.6.1) Supponiamo ora che la particella decada in altre due particelle, una delle quali finisce nel buco nero mentre l’altra, invece, scappa a infinito. Dalla conservazione dell’energia si ha che E2 = E − E1 , (5.6.2) dove E1 e E2 sono, rispettivamente, l’energia della prima e della seconda particella ottenute dal decadimento. Normalmente si ha che E1 > 0, in modo che E2 < E, ma, dato che l’energia della prima particella è data da E1 = − p1 · k , (5.6.3) non necessariamente si ha che E1 > 0, dal momento che che nella ergoregione k è di tipo spazio. Quindi, se il decadimento avviene nella ergoregione, dobbiamo necessariamente avere E2 > E. È stata quindi estratta energia dal buco nero. Il processo di estrazione di energia dal buco nero è chiamato processo Penrose. 65 Appendice A Esempi svolti A.1 Problema 1 Trovare i raggi delle orbite circolari per una particella nel campo di un buco nero di Schwarzschild. Svolgimento Risolviamo il problema non partendo dall’equazione del moto (2.1.1), ma utilizzando la teoria di Hamilton-Jacobi. In relatività ristretta l’equazione di Hamilton-Jacobi per una particella di massa m è data da gµν ∂S ∂S + m2 = 0 , µ ν ∂x ∂x (A.1.1) dove S è l’azione della particella. In virtù del Principio di minimo accoppiamento gravitazionale l’equazione rimane tale anche in relatività generale e, in questo caso, la metrica è quella di Schwarzschild. Innanzitutto sappiamo che il problema è a simmetria centrale e, come tale, avviene su un piano. Scegliamo per semplicità il piano θ = π2 . L’equazione diventa 2M 1− r −1 ∂S ∂t 2 2M − 1− r ∂S ∂r 2 1 − 2 r ∂S ∂φ 2 − m2 = 0 . (A.1.2) Scegliamo l’azione della forma S = − Et + Lφ + Sr (r ) , 66 (A.1.3) Appendice A. Esempi svolti dove E e L sono costanti del moto che corrispondono all’energia e al momento angolare della particella. Sostituendo quest’ultima nell’equazione di HamiltonJacobi si trova che Sr ( r ) = Z " E2 1 − 2M r −2 − m2 + L2 r2 1− 2M r −1 # 12 dr . (A.1.4) La dipendenza r = r (t) si trova, secondo le regole generali della teoria di ∂S Hamilton-Jacobi, ponendo ∂E = costante. Da ciò si trova t= E M Z 1− 2M r −1 " E2 M2 − 1+ L2 m2 r 2 1− 2M r #− 21 dr (A.1.5) o, in forma differenziale, 2M 1− r −1 12 dr 1 2 L2 2M 2 . = E −m 1+ 2 2 1− dt E r m r (A.1.6) Definiamo l’“energia potenziale efficace” V (r ) la funzione V (r ) = m 2M 1− r L2 1+ 2 2 m r −1 2M 1− r 12 , (A.1.7) 12 dr 1 2 2 = E − V (r ) . dt E (A.1.8) La condizione E > V (r ) definisce quindi le regioni ammissibili del moto come in meccanica non relativistica. Le orbite circolari si trovano imponendo V 0 (r ) = 0 e E = V (r ). La prima di queste due condizioni dà r r1,2 L2 12m2 M2 = 1± 1− . 2M 4m2 M2 L2 (A.1.9) Studiando il segno di V 0 (r ) si trova che il segno superiore in r1,2 si riferisce alle orbite circolari stabili (minimo di V (r )). In particolare risulta che l’orbita 67 Appendice A. Esempi svolti circolare stabile più vicina al centro è quella per cui r = 6M , A.2 L= √ r 12 mM , E= 8 m. 9 (A.1.10) Problema 2 L’azione per una particella di massa m e carica q è S= Z 1 −1 µ ν 1 2 µ dλ e ẋ ẋ gµν ( x ) − m e − q ẋ Aµ ( x ) , 2 2 (A.2.1) dove Aµ ( x ) è il quadripotenziale del campo elettromagnetico. Si può mostrare che se Lξ Aµ = ξ ν ∂ν Aµ + (∂µ ξ ν ) Aν = 0 (A.2.2) per un campo vettoriale di Killing ξ, allora S è invariante, al primo ordine in ξ, sotto la trasformazione x µ → x µ + αξ µ ( x ). Verificare che la la corrispondente carica di Noether associata − ξ µ (muµ − qAµ ) , (A.2.3) dove uµ è la quadrivelocità della particella, è una costante del moto. Verificare, inoltre, per la soluzione di Reissner-Nordstrom nel vuoto, con massa totale M e carica totale Q, che Lξ A = 0 per k = ∂t∂ e, quindi dedurre, per m 6= 0, che 2M Q2 + 1− r r dt qQ =e− , dτ m r (A.2.4) dove τ è il tempo proprio della particella e e è l’energia per unità di massa. Mostrare che la traiettoria r (t) di una particella massiva con momento angolare nullo soddisfa dr dτ 2 2 2 qQ 2M Q q = ( e − 1) + 1 − e + 2 −1 2 . mM r r r 2 (A.2.5) Svolgimento Abbiamo visto che per un problema del genere le equazioni di Einstein- 68 Appendice A. Esempi svolti Maxwell sono, nel vuoto, 1 Gµν = 2 Fµλ Fν λ − gµν Fρσ F ρσ , 4 (A.2.6) ∇µ F µν = 0 , (A.2.7) che ammettono soluzione data dalle (4.1.5), (4.1.6). Inoltre la particella risente della forza di Lorentz Duµ = qF µν uν . (A.2.8) m dλ Definendo la carica di Noether CN CN = −ξ µ (muµ − qAµ ) (A.2.9) si ha che dCN = 0, (A.2.10) dλ in virtù delle (A.2.2), (A.2.8) e delle proprietà di simmetria dei vettori di Killing. Il quadripotenziale del campo elettromagnetico di RN è dato da A= Non è difficile vedere che, per k = Q dt . r (A.2.11) ∂Aµ = 0. ∂t (A.2.12) ∂ ∂t , Lk Aµ = Dall’ultima relazione si ha che la carica di Noether, associata a k, è data da 2M Q2 dt qQ CN = m 1 − + 2 + , (A.2.13) r dτ r r mentre, lontano dal buco nero, la stessa relazione dà CN = me . Per cui risulta che 2M Q2 1− + r r 69 dt qQ =e− . dτ m r (A.2.14) (A.2.15) Appendice A. Esempi svolti Partendo, ora, dalla metrica (4.1.5) si ha che per un moto puramente radiale 2M Q2 −1 2 2M Q2 2 dr . ds2 = −dτ 2 = − 1 − + 2 dt + 1 − + 2 r r r r (A.2.16) Ponendo ora r = r (t) si ha, dopo semplici passaggi, 2M Q2 ṙ = 1 − + r r 2 2 2M Q2 + 1− 1− r r qQ e− mr −2 . (A.2.17) Effettuando ora il cambio di variabili dr dτ dr = dt dτ dt si trova dr dτ 2 = qQ e− mr 2 2M Q2 − 1− + 2 r r (A.2.18) , (A.2.19) che, rimescolata, dà dr dτ 2 2 2 Q qQ 2M q = ( e − 1) + 1 − e + 2 −1 2 . mM r r r 2 70 (A.2.20) Bibliografia [1] S.W. Hawking e G.F.R. 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