DIRITTO AMMINISTRATIVO

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i
54A/4
QUADERNI dell’ ASPIRANTE
AVVOCATO
DIRITTO
AMMINISTRATIVO
MANUALE DI BASE
PER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE
IV Edizione
t IN APPENDICE GLI ARGOMENTI
OGGETTO DI DOMANDA D’ESAME
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
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Gruppo Editoriale Simone
Š
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Estratto della pubblicazione
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I Quaderni dell’aspirante Avvocato
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54A/1Diritto del lavoro
54A/2Diritto costituzionale
54A/3Diritto penale
54A/5Diritto civile
54A/6Diritto commerciale
54A/7Diritto processuale penale
54A/8Diritto processuale civile
54A/9Diritto ecclesiastico
54A/10 Ordinamento e deontologia forense
54A/11Diritto comunitario
54A/12Diritto tributario
54A/13Diritto internazionale privato
Coordinamento redazionale a cura del dott. Dario di Majo
Revisione redazionale a cura
della dott.ssa Anna D’Angelo e dell’avv. Beatrice Locoratolo
Ha collaborato alla ricerca bibliografica
la dott.ssa Alessandra Pedaci
Finito di stampare nel mese di giugno 2012
dalla «Litografia Enzo Celebrano» - Via Campana, 234 - Pozzuoli - Napoli
per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
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PREMESSA
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avvocati pubblicando una serie di fortunati testi di preparazione agli esami.
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consentano di «riorganizzare» le sue conoscenze in vista dell’esame.
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professionale più che su un sapere accademico, modificando così l’ottica di
inquadramento dei singoli istituti.
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Capitolo Primo....................................
Il diritto amministrativo tra diritto interno e
diritto dell’Unione europea
1. Il diritto amministrativo: Esegesi di una nozione
Usualmente, quando si parla di diritto amministrativo si è soliti affermare
che si tratta della disciplina giuridica della Pubblica Amministrazione.
Per individuare l’effettivo contenuto di tale branca del diritto pubblico, bisogna considerare che già tale espressione evoca due concetti, l’amministrare
e la Pubblica Amministrazione, ove:
— l’amministrare è il compito della P.A. e quindi l’oggetto del diritto e
— la Pubblica Amministrazione è il soggetto del diritto.
Sulla scorta di queste due direttive, la dottrina tradizionale definisce il diritto
amministrativo come «quel corpo autonomo di norme che regolano l’organizzazione della pubblica amministrazione nonché l’azione da essa svolta
con l’efficacia e il valore formale degli atti amministrativi e i rapporti nei
quali essa interviene nella veste di autorità amministrativa» (SANDULLI).
Quanto all’organizzazione, il diritto amministrativo detta le disposizioni per la creazione e per
la strutturazione delle amministrazioni come pubblico potere; con riferimento all’attività, esso
disciplina gli atti ed i rapporti delle pubbliche amministrazioni, caratterizzati dalla posizione
non paritaria dell’amministrazione procedente nei confronti dei soggetti destinatari della sua
azione (MALINCONICO).
Fattore determinante per una esatta comprensione di ciò che costituisce
il diritto amministrativo è dato dall’incidenza sull’ordinamento nazionale
del diritto dell’Unione europea che, nel corso del tempo, ha consentito al
primo di evolversi acquisendo nozioni e principi, tipici del secondo, che hanno
profondamente innovato questa particolare branca del diritto sotto due punti
di vista: da un lato, è stato modificato il concetto stesso di pubblica amministrazione, fino a ricomprendervi soggetti estranei al nostro ordinamento
(come gli organismi di diritto pubblico, sui quali si v. infra, Cap. 4, Sezione
Prima, Sezione Prima, par. 7), e dall’altro lato è lo stesso diritto amministrativo,
nella sua totalità, che è stato investito di tali e tante innovazioni che derivano
la loro legittimità dalle modificazioni che tale diritto sovranazionale apporta
a quello proprio degli Stati membri.
Dall’insieme di tutte queste «variabili» risulta evidente che preliminare allo
studio del diritto amministrativo è, da un lato, l’esatta individuazione dell’oggetto dell’attività di amministrazione pubblica e, dall’altro, dei soggetti
riconducibili alla nozione di pubblica amministrazione, volgendo sempre lo
sguardo alle disposizioni dell’ordinamento europeo.
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Capitolo Primo
2. L’attività di amministrazione pubblica come realizzazione dell’«interesse altrui»
Con il termine «amministrare» si indica, in generale, la gestione di «qualcosa» per la realizzazione di interessi, perseguibili da qualsiasi soggetto giuridico,
indipendentemente dalla sua natura pubblica o privata. Non si tratta, dunque,
di una nozione giuridica (CASETTA).
Quando l’attività è svolta da soggetti privati, per conto proprio o per
conto altrui (si pensi ad un amministratore di condominio), questi decidono liberamente, nei limiti di ciò che è considerato lecito dall’ordinamento
giuridico, l’interesse che intendono perseguire in ossequio al principio
dell’autonomia privata. La disciplina di tale attività è, quindi, rinvenibile
nel diritto privato.
Invece, quando l’attività è posta in essere da un soggetto pubblico, questi
non agisce per la realizzazione di un interesse proprio, ma sempre per il perseguimento di un interesse diverso (altrui).
In particolare, a differenza di quella privata, l’attività di amministrazione
pubblica è caratterizzata dal perseguimento di un interesse riconducibile, non
a persone determinate, ma, all’intera collettività: il cd. interesse pubblico.
L’individuazione dell’interesse da perseguire, inoltre, non è rimesso alla discrezionalità del soggetto pubblico agente, ma è predeterminato in sede politica
e attribuito a quest’ultimo dal legislatore.
E proprio tali peculiarità consentono di considerare l’attività di amministrazione pubblica, o attività amministrativa, come attività vincolata nel
fine da perseguire e di cura concreta degli interessi pubblici (cd. funzione
amministrativa, sulla quale v. infra Cap. 6, Sezione Prima, par. 1).
Come è stato osservato in dottrina, «l’esercizio concreto dell’attività amministrativa ha come
momento a monte la rete delle norme giuridiche che guidano l’azione, come momento a valle la
possibilità del sindacato giurisdizionale, a tutela degli interessi sacrificati: normazione, amministrazione e giurisdizione sono, in questo senso, tre momenti di una sequenza collegata, i quali nel
loro insieme formano l’oggetto del diritto amministrativo» (FALCON).
3. Il diritto amministrativo come diritto della Pubblica
Amministrazione
A)Profili generali
Dal punto di vista soggettivo è stato osservato che l’attività amministrativa
«è svolta da diverse persone giuridiche, organi ed apparati ai quali è affidato
il compito di curare i diversi interessi pubblici: ed a tali persone giuridiche,
organi ed apparati diamo il nome di pubbliche amministrazioni» (FALCON).
Anche in tal caso, è bene precisare, però, che nessun soggetto può autodefinirsi come pubblica amministrazione, essendo questa potestà definitoria
riservata esclusivamente al legislatore.
La circostanza che il legislatore abbia fornito alcune definizioni di P.A. circoscritte a singoli
settori del diritto (come in materia di pubblico impiego o di appalti pubblici) e che non sia invece
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Il diritto amministrativo tra diritto interno e diritto dell’Unione europea
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riscontrabile nel nostro ordinamento una generica definizione di pubblica amministrazione spiega
il fatto che si tratta di un concetto complesso e dai contorni non specificamente definiti.
A ciò si aggiunga che, in virtù del processo di integrazione con l’ordinamento
europeo, tale nozione travalica i confini dell’ordinamento nazionale per acquisire connotazioni e peculiarità frutto dell’evoluzione propria del diritto europeo.
È possibile, infatti, distinguere due nozioni di pubblica amministrazione,
quella nazionale e quella di matrice europea: tutti i soggetti riconducibili alle
dette nozioni, seppur su piani diversi, interagiscono tra loro per la realizzazione
delle finalità pubblicistiche stabilite dal legislatore, sia europeo che nazionale.
B)La nozione italiana di P.A.
Per sopperire alla mancanza, nel nostro ordinamento, di una nozione unitaria e generalmente valida di pubblica amministrazione, la dottrina ha elaborato
due distinte teorie, quella oggettiva e quella soggettiva che, mettendo in rilievo
aspetti diversi dello stesso fenomeno, sono entrambe valide e, pertanto, devono
essere intese non in termini di mera contrapposizione ma di complementarietà.
Da un lato, infatti, ciò che rileva ai fini del diritto è l’amministrazione-attività, ossia l’attività amministrativa regolata da norme giuridiche e svolta per la
soddisfazione di interessi pubblici, che realizza il concetto di amministrazione
in senso oggettivo (CASETTA); accanto a questa, e a completamento di questa,
si deve porre attenzione all’aspetto dell’organizzazione amministrativa, che
configura l’amministrazione in senso soggettivo: secondo i sostenitori di tale
concezione, sarebbero pubbliche amministrazioni solo le persone giuridiche
pubbliche e gli organi che hanno competenza alla cura degli interessi pubblici.
Come osservato dalla dottrina più moderna, le nozioni di pubblica amministrazione, in senso
soggettivo ed oggettivo, «sono peraltro intimamente connesse, in quanto non è possibile tracciare
un quadro sicuro delle attività propriamente amministrative senza definire i soggetti deputati a
svolgere attività amministrativa e viceversa» (BELLOMO).
C)La nozione europea di P.A.
Con l’espressione amministrazione europea si intende l’insieme degli
organismi e delle istituzioni dell’Unione europea cui è affidato il compito di svolgere attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti
amministrativi (CASETTA).
Invero, con lo sviluppo del processo di integrazione europea, il tradizionale
sistema dualistico di amministrazioni — europeo e nazionale — è venuto attenuandosi, lasciando sempre più spazio alla formazione di un’amministrazione
europea integrata, intesa come un sistema complesso di amministrazioni —
europee, nazionali ed a composizione mista — che concorrono a costitui- re
quella che è stata definita come «amministrazione comune dell’ordinamento
europeo» (CHITI).
La difficoltà di individuare una pubblica amministrazione europea è legata alla mancanza
nell’ordinamento dell’Unione di una chiara ripartizione delle funzioni tra le istituzioni. Ad oggi,
può affermarsi che, sostanzialmente, l’esecutivo viene individuato nella Commissione europea,
la quale agisce con l’ausilio di altri organismi (Agenzie esecutive; Comitati e Agenzie europee).
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Capitolo Primo
4. Perché un diritto della Pubblica Amministrazione?
Una legislazione amministrativa non esiste in tutti gli ordinamenti.
Ci sono ordinamenti, come quelli anglosassoni, in cui la P.A. agisce alla
stregua di un qualunque privato, utilizza gli stessi moduli di azione ed è assoggettata alle regole del diritto privato.
Nel nostro ordinamento, invece, la situazione è un po’ diversa e, soprattutto
in considerazione di precedenti ideologie, si è resa necessaria una legislazione
ad hoc, confluita, appunto, nel diritto amministrativo.
In passato, infatti, la pubblica amministrazione è sempre stata vista
come un soggetto che, proprio perché preposto alla cura interessi pubblici
e dotato di una speciale supremazia sulla collettività, era quasi intoccabile
ed agiva ponendosi ad un livello superiore rispetto ai soggetti destinatari
della sua azione: quasi come se in nome dell’interesse pubblico tutto fosse
lecito. La P.A. agiva sempre d’imperio, come autorità pubblica distaccata
noncurante degli interessi dei privati. Molto forte era quindi l’esigenza
di predisporre un diritto specifico che regolamentasse l’esercizio del potere
amministrativo.
Questa visione era confortata, ad esempio, dalla configurazione del processo amministrativo.
Questo nasce come un giudizio sull’atto, teso esclusivamente a garantire al privato una tutela
demolitoria, ossia di annullamento del provvedimento lesivo, laddove la P.A. fosse incorsa in
qualche vizio idoneo ad inficiare la legittimità dello stesso.
Oggi le cose sono molto cambiate sia sul piano sostanziale che processuale. Sicuramente le numerose riforme intervenute hanno scalfito quell’idea di
intangibilità della pubblica amministrazione, che quindi si è avvicinata al
cittadino. E se al cittadino sono assicurati una serie di istituti giuridici che gli
garantiscono di dialogare con l’amministrazione, senza subire passivamente la
sua azione, all’amministrazione si sono imposti una serie di obblighi finalizzati
a rendere trasparente la sua attività.
Ciò che si deve sottolineare è che oggi la P.A. può perseguire i propri fini
istituzionali in modi diversi: può agire come un privato, adoperando strumenti
privatistici (in primis il contratto) e assoggettandosi alle regole del diritto privato oppure può agire utilizzando la propria capacità di diritto pubblico, che
le consente perseguire gli interessi pubblici mediante atti unilaterali, anche
imponendo, seppure con le dovute garanzie, la propria volontà ai destinatari
della sua azione.
Ad esempio: si consideri l’ipotesi che la P.A. voglia costruire una scuola in un Comune. A tal
fine, può procedere in due modi: o stipulare un normale contratto di compravendita con il proprietario del suolo, oppure agire d’autorità, attivando la procedura espropriativa.
Ecco allora che il diritto amministrativo disciplina l’organizzazione e
l’azione della P.A. laddove questa interviene come autorità amministrativa e,
quindi, come potere pubblico che persegue gli interessi della collettività
attraverso lo strumento del provvedimento.
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Il diritto amministrativo tra diritto interno e diritto dell’Unione europea
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5. I caratteri del diritto amministrativo nazionale
Il diritto amministrativo presenta i seguenti caratteri:
a) è diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui
uno dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (la P.A.), nell’esercizio
di potestà amministrative;
b) è un diritto autonomo: in quanto si giova di propri principi e proprie regole, diversi da quelli
delle altre branche del diritto;
c) è un diritto comune: in quanto si rivolge genericamente a tutti i soggetti che fanno parte
dell’ordinamento;
d) è un diritto ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti,
inglobando o escludendo alcuni settori della propria gestione.
La circostanza che si tratta di un diritto ad oggetto variabile spiega il ruolo determinante
della giurisprudenza amministrativa nella corretta applicazione dei principi che governano la
materia, affinchè sia possibile verificare l’effettivo e corretto perseguimento dell’interesse pubblico
individuato dal legislatore.
6. Il diritto amministrativo europeo
A)Profili generali
Con l’espressione «diritto amministrativo europeo» si fa riferimento a quel
fenomeno per cui, prendendo le mosse dal processo di integrazione giuridica fra
i due ordinamenti — quello nazionale e quello europeo —, viene a determinarsi il
distacco del diritto amministrativo dalla referenza statuale acclarando, in tal modo,
la innegabile tendenza verso la europeizzazione del diritto amministrativo.
In particolare, costituisce il diritto amministrativo europeo quel complesso di
norme di matrice europeistica (soprattutto direttive e regolamenti) che incide,
modificandola, sulla disciplina dell’attività amministrativa degli Stati membri.
Come osservato da accreditata dottrina (CASETTA) è, però, necessario fare un distinguo in
relazione all’applicazione della normativa europea. Se con l’espressione diritto amministrativo
comunitario (oggi europeo) si intende il complesso di regole comuni ai vari diritti amministrativi
degli Stati membri, prodotte da fonti comunitarie prevalenti sul diritto interno, esso esprime il
fenomeno dell’integrazione tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale, con
prevalenza del primo sul secondo (sui rapporti tra i due ordinamenti, si veda l’ordinanza n.
103/2008 con la quale la Corte costituzionale ha ribadito che l’ordinamento comunitario è un
ordinamento giuridico autonomo integrato e coordinato con quello interno e che, ratificando i Trattati comunitari, l’Italia è entrata a far parte dell’ordinamento comunitario ed ha contestualmente
trasferito, in base all’art. 11 Cost., l’esercizio di poteri anche normativi (statali, regionali o delle
Province autonome) nei settori definiti dai Trattati medesimi); nell’ipotesi, invece, in cui il diritto
amministrativo dell’UE sia mediato dal diritto interno di recepimento, allora quest’ultimo costituisce
parametro di legittimità dell’attività amministrativa, anche se simile a quello di altri Stati,
in quanto attuativo della stessa disciplina: si tratta, dunque, di diritto amministrativo interno.
Sull’argomento, una precisazione è quanto mai necessaria, in relazione al
fatto che la fonte principale del diritto dell’Unione europea è rappresentata
dalle disposizioni contenute nei Trattati, così come nel tempo modificati.
Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel 1992 si era ingenerata
una situazione di possibile confusione dovuta alla presenza, nell’ordinamento
comunitario, di due soggetti, la Comunità europea e l’Unione europea, e di
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Capitolo Primo
due Trattati fondamentali: quello istitutivo della Comunità (TCE), risalente al
1957, e quello istitutivo dell’Unione, (TUE), appunto, del 1992.
Conseguenza di tale situazione era anche l’utilizzo, in modo indistinto, delle
locuzioni diritto comunitario e diritto europeo.
Da ultimo, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre
2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, la confusione tra la denominazione
di Unione europea (UE) e quella di Comunità europea (CE) è cessata. I Trattati oggi in vigore sono due ed hanno lo stesso valore giuridico: il TUE, Trattato
sull’Unione europea, ed il TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea, che ha sostituito, il (vecchio) TCE; il soggetto giuridico di riferimento è
uno solo: l’Unione europea. In sostanza, la vecchia Comunità europea è assorbita
dall’Unione europea ed il termine Comunità è sostituito con quello di Unione.
Conseguentemente, oggi è corretto parlare solo di diritto europeo o diritto
dell’Unione europea.
B)L’incidenza del diritto amministrativo europeo sul diritto amministrativo nazionale
Secondo autorevole dottrina (CASSESE), il diritto amministrativo europeo
influenza il diritto amministrativo nazionale sotto molteplici aspetti.
Ad esempio: da un lato, il diritto amministrativo dell’Unione stabilisce i principi ai quali l’ordinamento statale deve attenersi (ad es: «chi inquina paga») e detta
i modelli procedimentali che i diritti amministrativi nazionali devono osservare
(ad es.: la necessità di gare aperte o ristrette per la scelta dei contraenti affinché
non vi siano discriminazioni a danno di soggetti appartenenti ad ordinamenti
statali diversi rispetto a chi stipula il contratto); dall’altro talvolta «subordina»
l’amministrazione nazionale, trasformandola in esecutrice di quella europea.
Sotto un diverso punto di vista si deve ricordare il fenomeno della convergenza di principi generali, istituti giuridici e modelli procedimentali
dei diritti amministrativi degli Stati membri dell’Unione europea, che
rappresenta, sulla scorta dell’attività di impulso del legislatore europeo, la base
comune per l’armonizzazione delle diverse legislazioni nazionali.
Tale interazione «orizzontale», come definita da accreditata dottrina (CHITI), si accompagna ad una interazione «verticale» del diritto amministrativo
europeo, di talchè interi settori del diritto amministrativo sono appunto disciplinati dal diritto amministrativo dell’Unione che detta i principi generali
della materia, le specifiche regole dell’azione amministrativa, gli strumenti di
tutela amministrativa e giurisdizionale (si pensi, ad esempio, alla disciplina in
materia di appalti pubblici, ambiente, regolamentazione dei mercati).
La disciplina europea, dunque, «è il frutto composto dell’autonoma elaborazione della Comunità e dell’influenza dei diritti amministrativi nazionali, in
tal modo favorendo vieppiù la circolazione di soluzioni ed istituti giuridici e la
formazione di nuovi principi ad origine mista» (CHITI).
Tale processo di interazione tra i due ordinamenti spiega perché è necessario includere tra le fonti del diritto amministrativo anche gli atti normativi
di origine europea (sui quali, v. infra, Cap. 2, par. 3).
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Capitolo Secondo..................................
Le fonti del diritto amministrativo
1. Classificazione delle fonti
A)Profili generali
Si qualificano fonti del diritto tutti «gli atti e/o i fatti produttivi di diritto,
ovvero gli atti che contengono norme giuridiche e i mezzi attraverso i quali
il diritto viene portato a conoscenza dei cittadini appartenenti ad uno stesso
ordinamento» (BELLOMO).
Una prima importante distinzione che è alla base del sistema delle fonti del diritto è quella
tra fonti-atto e fonti-fatto.
Mentre con la prima espressione si fa riferimento a «tutti gli atti volontari universalmente
riconosciuti come capaci di porre norme vincolanti», con la locuzione fonti-fatto il rimando
è a «tutti quei comportamenti riconosciuti dal corpo sociale come giuridicamente vincolanti
(consuetudine), nonché gli atti di produzione normativa esterni al nostro ordinamento (trattati
internazionali, atti comunitari)» (BELLOMO).
Per procedere alla classificazione delle fonti, uno dei criteri utilizzabili è
quello che fa riferimento ai centri istituzionali di produzione delle fonti-atto
presenti nel sistema costituzionale od operanti nello stesso. Preliminarmente
si osserva che il moltiplicarsi dei «centri di produzione del diritto» ha indotto
la dottrina a configurare, nel nostro ordinamento, un sistema mutilivello
di fonti.
Sulla base di tale criterio è possibile distinguere fra:
— la Costituzione e le leggi costituzionali e di revisione costituzionale,
che si pongono al vertice ordinatore delle fonti del diritto riconosciute dal
nostro ordinamento;
— le fonti di matrice europeistica, vale a dire i trattati istitutivi, i regolamenti, le direttive e le decisioni. Si tratta di atti che, una volta immessi
nel nostro ordinamento, occupano una posizione di preminenza rispetto
alla legislazione ordinaria statale e regionale e, sotto certi aspetti, anche
costituzionale;
— le fonti dell’ordinamento statale. Vi rientrano le leggi ordinarie e gli atti
aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi), il referendum abrogativo e i regolamenti interni degli organi costituzionali (interna corporis);
ad un gradino inferiore si pongono i regolamenti dell’esecutivo, che non
possono porsi in contrasto con le fonti legislative ordinarie;
— le fonti regionali. In questo caso il riferimento è agli Statuti regionali (per i
quali, dopo la riforma della L. cost. 1/1999, si è parlato addirittura di fonti
paracostituzionali), alle leggi regionali e ai regolamenti regionali;
— le fonti locali, vale a dire gli Statuti comunali e provinciali e i regolamenti
approvati dagli stessi enti;
Estratto della pubblicazione
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Capitolo Secondo
— le fonti esterne all’ordinamento costituzionale, vale a dire quelle che
vengono recepite nell’ordinamento costituzionale italiano in virtù dell’appartenenza del nostro Paese alla Comunità internazionale.
Differenze
In ragione della pluralità delle fonti di diritto, un’altra importante classificazione è quella tra
fonti primarie e fonti secondarie fondata sulla gerarchia esistente tra le stesse. A queste si
aggiungono le fonti atipiche.
Costituiscono fonti primarie, dopo le fonti di rango costituzionale e quelle dell’Unione europea, le leggi ordinarie, gli atti aventi forza di legge, le leggi regionali e gli Statuti delle Regioni
ordinarie approvati con legge della Repubblica; è fonte atipica del diritto «ogni fonte primaria
a competenza specializzata, che presenta variazioni rispetto ai concetti di «forza» e «valore»
della legge» (BELLOMO), ad esempio, le sentenze della Corte costituzionale e il referendum
abrogativo; sono fonti secondarie del diritto quelle norme «espressione del potere normativo dello Stato e degli altri enti pubblici, che si collocano in posizione subordinata alle fonti
primarie, essendo dotate di forza giuridica attiva e passiva minore»: esse, come osservato da
tale autorevole voce dottrinaria, «sono atti soggettivamente amministrativi e oggettivamente
normativi» e rappresentano le cd. fonti specifiche del diritto amministrativo, posto che
sono lo strumento normativo tipico che orienta l’azione della P.A. Rientrano in tale categoria,
i regolamenti (statali, comunali e provinciali) e gli Statuti degli enti territoriali.
Oltre a quelle menzionate, esistono altre tipologie di atti, la cui inclusione tra le fonti secondarie è molto discussa, stante la loro peculiare natura giuridica, che le colloca in una posizione
intermedia tra gli atti normativi e gli atti amministrativi generali (sui quali v. infra). Tra le fonti
secondarie dubbie si annoverano: i bandi militari, i provvedimenti prezzo e i tariffari, i piani
regolatori generali e le Carte dei servizi pubblici.
B)Rapporti tra le fonti del diritto
La pluralità di fonti esistente negli ordinamenti giuridici più progrediti
presuppone delle regole che disciplinino le relazioni fra esse, per evitare che
si intralcino a vicenda.
I rapporti tra le fonti possono regolarsi secondo i seguenti criteri:
a) cronologico, che si applica quando due norme confliggenti sono poste da
fonti dello stesso tipo. In tal caso, alla norma precedente viene preferita
quella successiva secondo il principio lex posterior derogat legi priori;
b) gerarchico, quando le norme confliggenti provengono da fonti diverse.
Nel nostro ordinamento, infatti, le fonti si collocano a livelli diversi, per
cui le norme successive poste da fonti di rango inferiore, che siano in
contrasto con norme provenienti da fonti di rango superiore, sono invalide e soggette ad annullamento (come è previsto per le leggi e gli atti ad
esse equiparati dall’art. 136 Cost.) o a disapplicazione (come è tenuto a
fare il giudice ordinario con i regolamenti governativi in contrasto con
la legge);
c) specialità, che si applica quando la stessa materia è disciplinata da due
norme, una generale e una speciale: in tal caso, quest’ultima prevale sulla
prima anche nell’ipotesi in cui la norma generale sia successiva nel tempo. In
genere questo criterio si esprime con il brocardo latino lex specialis derogat
generali, vale a dire che la norma dettata specificatamente per un caso
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Le fonti del diritto amministrativo
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particolare prevale sulla norma di carattere generale, la quale non ha
capacità abrogante sulla speciale;
d) di competenza, che può presentarsi in due forme diverse:
— può esserci una separazione di competenza, fondata sulla diversità di oggetti regolabili o di ambito territoriale, oppure su entrambi gli elementi
(un esempio è dato dai regolamenti parlamentari, cui la Costituzione
riserva in via esclusiva la disciplina dell’organizzazione interna delle
Camere);
— in altri casi la Costituzione mostra di preferire, per la disciplina di una
particolare materia, una fonte piuttosto che un’altra, senza impedire
a quest’ultima di regolarla fino a quando la fonte preferita non abbia
provveduto ad introdurre la propria disciplina.
2. Le fonti costituzionali
A)La Costituzione
La Costituzione è la legge fondamentale di un Paese, l’atto che delinea
le sue caratteristiche essenziali, descrive i valori e i principi che ne sono
alla base, stabilisce l’organizzazione politica su cui si regge.
La Costituzione può essere:
— scritta, se si presenta come un documento redatto in forma solenne da un organismo appositamente convocato;
— non scritta, se non esiste un testo di riferimento, ma il funzionamento delle istituzioni si
fonda su una serie di consuetudini e su testi che affrontano solamente alcuni aspetti;
— ottriata, se viene unilateralmente concessa dal sovrano, come è accaduto per la nostra previgente Costituzione, lo Statuto Albertino;
— votata, se viene adottata da un organo democraticamente eletto o viene comunque approvata
dal corpo elettorale (ad esempio attraverso un plebiscito, come accadde per la Costituzione
della Repubblica francese);
— flessibile, quando può essere modificata dagli ordinari strumenti legislativi senza che sia
richiesto un procedimento particolare;
— rigida, quando è assolutamente immodificabile oppure è modificabile solo attraverso un
procedimento aggravato rispetto a quello ordinario, se non altro in quanto richiede una maggioranza più ampia;
— breve o corta, quando contiene soltanto le norme sull’organizzazione fondamentale dello
Stato e alcuni diritti di libertà;
— lunga, quando riconosce, accanto alle libertà civili, i diritti politici ed economici ed enuncia
i valori e principi cui deve ispirarsi l’azione dei pubblici poteri.
La nostra Costituzione è scritta, votata, rigida e lunga.
B)Le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali
L’art. 138 della Costituzione disciplina il procedimento di formazione di un
peculiare tipo di leggi, denominate appunto leggi di revisione costituzionale
e leggi costituzionali.
Sono leggi di revisione quelle leggi che incidono sul testo costituzionale, modificando, sostituendo o abrogando le disposizioni in esso contenute.
14
Capitolo Secondo
Per altre leggi costituzionali, invece, si intendono:
a) tutte quelle leggi che sono espressamente definite come tali dalla Costituzione (ad esempio,
negli artt. 132 e 137);
b) tutte quelle leggi che si limitano soltanto a derogare ad una norma costituzionale, senza
modificarla in via definitiva (ad esempio, la L. cost. 1/1993);
c) ogni altra legge che il Parlamento voglia approvare col procedimento aggravato previsto
dall’art. 138.
3. Le fonti del diritto europeo
A)Gli atti giuridici dell’Unione europea: in particolare, regolamenti,
direttive e decisioni
I più importanti atti normativi dell’Unione, in grado di incidere sull’attività
degli Stati membri, in quanto giuridicamente vincolanti per gli stessi, sono
i regolamenti, le direttive e le decisioni.
A questi atti vincolanti se ne affiancano altri, che però non sono vincolanti
per i loro destinatari: si tratta delle raccomandazioni e dei pareri.
I regolamenti, in particolare, sono definiti dall’art. 288 del TFUE, ex art. 249
del TCE, come atti a portata generale, obbligatori in tutti i loro elementi
e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri.
Caratteristiche fondamentali del regolamento, dunque, sono:
— portata generale: il regolamento è destinato a produrre i propri effetti nei confronti di un numero indeterminato e indeterminabile di destinatari (Stati membri, persone fisiche e giuridiche
operanti all’interno degli stessi) e le sue prescrizioni recano il carattere dell’astrattezza;
— carattere obbligatorio in tutti i suoi elementi: tale requisito sta ad indicare che le norme che
esso pone in essere sono destinate a disciplinare la materia e vanno osservate come tali dai
destinatari. Detta caratteristica non implica quella della completezza, in quanto il regolamento
ben può necessitare di atti esecutivi adottabili da qualsiasi autorità competente, sia nazionale
che dell’Unione;
— diretta applicabilità in ciascuno Stato membro: tutti i regolamenti dispiegano automaticamente i loro effetti negli Stati membri al pari delle leggi nazionali (senza bisogno quindi di
atti di recepimento) e sono idonei a conferire diritti e ad imporre obblighi ai singoli Stati, ai
loro organi ed ai privati. Entrano in vigore decorsi 20 gg. dalla pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale dell’Unione europea o dopo il diverso termine stabilito.
Le direttive, invece, a differenza dei regolamenti, sempre ai sensi dell’art.
288 TFUE, ex art. 249 TCE, vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per
quanto riguarda il risultato da raggiungere, senza incidere sulla competenza
degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi necessari a raggiungere
detto risultato.
In primo luogo, dunque, le direttive non hanno portata generale, ma hanno
come destinatari gli Stati membri.
In secondo luogo, le direttive non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in quanto impongono un’obbligazione di risultato (MONACO), lasciando
liberi gli Stati di adottare le misure dagli stessi ritenute opportune.
Infine, per quanto riguarda l’efficacia, le direttive non sono direttamente
applicabili nel momento in cui sono adottate dalle istituzioni (in ciò differenziandosi dai regolamenti); esse hanno un’efficacia mediata nel senso che
Estratto della pubblicazione
Le fonti del diritto amministrativo
15
creano diritti ed obblighi per i singoli soltanto in seguito all’adozione, da parte
dei singoli Stati membri, degli atti con cui vengono recepiti.
Tale caratteristica va, però, interpretata alla luce dell’ormai consolidata giurisprudenza della
Corte di giustizia, che, a determinate condizioni, ammette una efficacia immediata alla direttiva, in particolare nell’ipotesi in cui lo Stato membro non abbia provveduto a recepirla entro il
termine stabilito.
La giurisprudenza europea ha, infatti, riconosciuto alla direttiva dettagliata (o self-executing)
la capacità di produrre effetti diretti negli ordinamenti interni se e nelle parti in cui ponga
obblighi precisi ed incondizionati a carico dello Stato, creando a favore degli amministrati veri e
propri diritti soggettivi che compete ai giudici nazionali salvaguardare.
Quanto alle decisioni, l’art. 288 TFUE, che ha sostituito la precedente
definizione di cui all’art. 249 TCE, reca una significativa innovazione gravida
di conseguenze importanti sullo sviluppo del sistema normativo europeo. Le
decisioni, tradizionalmente, si distinguono per essere atti indirizzati a destinatari determinati, e in questo senso sono parificate ad atti sostanzialmente
amministrativi. Questo loro carattere individuante viene, invece, stemperato
dalla definizione di decisione offerta dalla citata disposizione. Stabilendo che
«la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è
obbligatoria soltanto nei confronti di questi», la norma stigmatizza che questo
atto può assumere due forme: la prima, indirizzata a destinatari determinati e corrispondente alla decisione tipica ex art. 249 TCE; la seconda, di tipo
indeterminato.
Lo sdoppiamento della nozione di «decisione» ha un’influenza anche sul contenuto di questi
atti e sul rapporto intrattenuto con gli altri strumenti giuridici. Secondo l’art. 297 TFUE, solo le
decisioni che designano i destinatari sono atti legislativi; quelle senza destinatari non lo
sono. La dissociazione trova conferma anche nel diverso trattamento a cui sono sottoposti i due
atti per le modalità di entrata in vigore. Difatti, le decisioni che non designano i destinatari sono
pubblicate nella Gazzetta ufficiale, mentre le decisioni che designano i destinatari sono notificate
agli stessi e hanno efficacia in virtù di tale notificazione.
B)L’esecuzione degli obblighi comunitari
Uno strumento indispensabile per adattare l’ordinamento interno agli atti
delle istituzioni è rappresentato dalla legge comunitaria annuale, originariamente prevista dalla L. 86/1989 (cd. legge La Pergola) e poi disciplinata dalla
L. 11/2005 (cd. legge Buttiglione), come modificata dalla L. 96/2010.
È una legge annuale con cui si provvede alla ricognizione degli atti
dell’Unione europea da recepire nell’ordinamento interno e si procede
alla definizione delle opportune procedure per l’adattamento dell’ordinamento nazionale.
Si tratta di un provvedimento normativo previsto agli artt. 8 e 9 della L.
11/2005, laddove si impone al Governo di presentare annualmente alle Camere,
entro il 31 gennaio, un disegno di legge in grado di disciplinare le modalità
di attuazione della normativa dell’Unione europea nell’ordinamento italiano.
Tale disegno deve recare la dicitura «Disposizioni per l’adempimento degli
obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee», completata dall’indicazione «legge comunitaria» seguita dall’anno di riferimento.
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16
Capitolo Secondo
Con la legge comunitaria si provvede soprattutto a dare attuazione alle
direttive.
Strumenti di monitoraggio sul processo di integrazione europea
Nel nostro diritto nazionale il Parlamento può monitorare — e quindi valutare — il costante processo di integrazione europea attraverso le Relazioni annuali che il Governo gli deve presentare.
L’art. 15, L. 11/2005, sostituito dalla L. 96/2010, prevede due tipi di relazioni.
Una prima relazione, che deve essere presentata entro il 31 dicembre di ogni anno, deve indicare: a) gli orientamenti e le priorità che il Governo intende perseguire nell’anno successivo
con riferimento agli sviluppi del processo dì integrazione europea, ai profili istituzionali e a
ciascuna politica dell’Unione europea; b) gli orientamenti che il Governo ha assunto o intende
assumere in merito a specifici progetti di atti normativi dell’Unione, a documenti di consultazione ovvero ad atti preordinati alla loro formazione; c) le strategie di comunicazione del
Governo in merito all’attività dell’Unione europea e alla partecipazione italiana alla stessa.
Con la seconda relazione, che deve essere presentata entro il 31 gennaio di ogni anno, l’esecutivo deve relazionare sui principali temi relativi alle politiche europee. In particolare, tra gli
altri: sugli sviluppi del processo di integrazione europea, registrati nell’anno di riferimento,
con specifico riguardo alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune
dell’Unione europea nonchè alle relazioni esterne della stessa, alla cooperazione nei settori
della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell’Unione;
sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea con l’esposizione
dei principi e delle linee caratterizzanti la politica italiana nei lavori preparatori e nelle fasi
negoziali preliminari agli atti legislativi dell’Unione; sulla partecipazione dell’Italia all’attività
delle istituzioni per la realizzazione delle principali politiche settoriali.
Anche le Regioni sono tenute a dare esecuzione agli obblighi derivanti dalla
partecipazione dell’Italia all’Unione europea.
L’intervento delle Regioni all’attività normativa europea ha trovato una
sua compiuta disciplina con l’approvazione della L. cost. 18-10-2001, n. 3.
In particolare, l’art. 117, comma 5, Cost. positivizza i tre principi che disciplinano la partecipazione delle Regioni nella formazione e nell’attuazione
della normativa dell’Unione europea, cioè:
— la previsione di una loro partecipazione nella cd. fase ascendente del diritto
europeo, vale a dire all’iter procedurale che porta all’adozione da parte delle
istituzioni dell’Unione di determinati atti;
— la previsione di una loro partecipazione nella cd. fase discendente del
diritto europeo, vale a dire nel momento in cui diventa necessario dare
attuazione nel nostro Stato agli atti normativi di matrice europea ed in
particolare in quelle materie in cui è prevista una potestà legislativa delle
Regioni.
I poteri delle Regioni nell’attuazione del diritto europeo sono ora compiutamente disciplinati
dalla L. 11/2005 e, nello specifico, dall’art. 16, il quale precisa che le Regioni e le Province
autonome:
— nelle materie di propria competenza (piena o residuale) possono dare immediata
attuazione alle direttive, senza alcuna limitazione;
— anche nelle materie di competenza concorrente possono dare immediata attuazione
alle direttive, ma, necessariamente, devono essere rispettati i principi fondamentali non
derogabili individuati nella legge comunitaria.
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Le fonti del diritto amministrativo
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In ipotesi di immediato recepimento, qualora la legge regionale già emanata sia in contrasto con i principi fondamentali stabiliti nella legge comunitaria vi è una prevalenza
di questi ultimi sulle disposizioni regionali (che potrebbe anche costringere le Regioni a
modificare la legge già approvata);
— la previsione di una legge organica da parte dello Stato che disciplini sia
le modalità di esercizio della potestà legislativa per l’attuazione della normativa comunitaria che il relativo potere di intervento sostitutivo.
Quest’ultimo, inteso come facoltà per gli organi statali di adempiere direttamente ad obblighi che normalmente sono di competenza degli organi regionali e che da questi non sono
rispettati, trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 120 della Costituzione, secondo il
quale «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province
e dei Comuni nel caso di mancato rispetto…della normativa comunitaria».
4. Le leggi ordinarie dello Stato
Per leggi ordinarie si intendono gli atti deliberati dal Parlamento secondo
il procedimento disciplinato, nelle sue linee essenziali, dagli artt. 70 e ss. della
Costituzione e, più ampiamente, dai regolamenti parlamentari.
L’appartenenza al tipo legge ordinaria comporta l’assoggettamento a un regime giuridico peculiare, sintetizzato dall’espressione forza o valore di legge.
In particolare la legge:
a) è idonea a modificare o abrogare, nell’ambito della sua competenza, qualsivoglia disposizione
vigente, fatta eccezione per quelle di rango costituzionale;
b) è in grado di resistere all’abrogazione e alla modificazione da parte di fonti ad essa subordinate;
c) può essere soggetta al controllo di conformità alla Costituzione e alle altre disposizioni di
rango costituzionale soltanto da parte della Corte costituzionale;
d) può essere sottoposta a referendum abrogativo ex articolo 75 Cost.
Differenze
Con riferimento alla «legge» è possibile operare la seguente distinzione:
— per leggi in senso formale si intendono quegli atti deliberati dalle due Camere o dagli
altri organi cui è costituzionalmente attribuita la funzione legislativa (Consigli regionali e
Consigli provinciali di Trento e Bolzano) secondo il procedimento disciplinato dagli artt.
70 e ss. Cost., dai regolamenti parlamentari, dagli Statuti regionali e dai regolamenti dei
Consigli regionali e provinciali;
— per leggi in senso materiale, invece, si intendono tutti gli atti a contenuto normativo,
indipendentemente dagli organi che li pongono in essere e quale che sia il procedimento
della loro formazione (anche gli atti aventi forza di legge del Governo rientrano in questa
categoria).
La dottrina ha delineato anche la figura delle leggi meramente formali che, pur essendo rivestite della forma di legge, non hanno contenuto normativo, non sono in grado, cioè, di innovare
il diritto oggettivo. Rientrano in tale categoria le leggi di approvazione del rendiconto consuntivo.
La Costituzione e le altre leggi costituzionali possono riservare determinate materie o oggetti
alla legge. In un regime a Costituzione rigida ciò rappresenta un limite per lo stesso legislatore
che: a) non può consentire a fonti di rango secondario (in pratica i regolamenti dell’esecutivo) di
intervenire nella disciplina di queste materie, se non in modo assai marginale; b) deve regolare
compiutamente i settori da disciplinare in modo da limitare la discrezionalità delle autorità amministrative e giurisdizionali chiamate a concretizzare il dettato legislativo.
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18
Capitolo Secondo
Le riserve, infatti, si distinguono in:
— riserve assolute, che escludono la possibilità di determinare certe materie con fonti di grado
secondario, lasciando tale determinazione solo alla legge o a atti aventi forza di legge;
— riserve relative, in base alle quali l’intervento della legge è previsto solo per definire le caratteristiche fondamentali della disciplina, lasciando spazio alle fonti secondarie di intervenire
per definirla compiutamente;
— riserve di legge costituzionale, quando la materia è affidata a leggi costituzionali (ad es.:
artt. 71, 116, 132, 137 comma 1, Cost.). In tal caso la riserva è sempre assoluta.
5. Gli atti aventi forza di legge: i decreti legislativi e i
decreti-legge
I decreti legislativi delegati sono atti aventi forza di legge emessi dal
Governo sulla base di una legge-delega del Parlamento.
Tale legge-delega deve, in base all’art. 76 Cost., contenere:
— i principi ed i criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi;
— il limite di tempo entro il quale il Governo deve legiferare;
— l’oggetto «definito» del decreto.
Nulla vieta che le Camere impongano al Governo anche altri limiti oltre quelli inderogabili
previsti dalla Costituzione.
Di regola, il Parlamento ricorre a tale delega quando la materia da disciplinare richiede un
certo grado di specializzazione, oppure quando la disciplina da introdurre necessita di essere
trattata in modo unitario ed omogeneo.
È bene chiarire che ciò che viene delegato al Governo non è il potere legislativo, bensì il solo
suo esercizio.
I decreti-legge, invece, sono disciplinati dall’art. 77 Cost., in base al
quale, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo può, sotto la
sua responsabilità, adottare provvedimenti provvisori con forza di legge,
ma il giorno stesso deve presentarsi alle Camere per la conversione. Queste
ultime, anche se sciolte, vengono appositamente convocate e si riuniscono
entro cinque giorni.
Presupposto indefettibile affinché il Governo possa legittimamente emettere decreti-legge è la
ricorrenza di una situazione di necessità ed urgenza per far fronte alla quale si renda necessario
un intervento tempestivo.
Tale situazione potrebbe essere determinata da un fatto naturale, come un terremoto o un’alluvione, ma potrebbe trattarsi anche di «un vuoto legislativo causato da una sentenza della Corte
costituzionale che richieda di essere colmato» (MARTINES).
In base all’articolo 77 Cost., il decreto-legge deve essere convertito in legge entro 60 giorni o
perde la sua efficacia sin dall’inizio (ex tunc).
Anche quando il decreto non viene convertito, il legislatore ordinario può intervenire a disciplinare i rapporti sorti sulla sua base attraverso una apposita legge di sanatoria o convalida.
Le fonti del diritto amministrativo
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6. La cd. legge-provvedimento o atto amministrativo legificato
A)Nozione
L’uso dell’espressione atto amministrativo legificato (o legge-provvedimento) ricorre per qualificare quegli atti normativi che, «essendo approvati
dalle Camere secondo le procedure di formazione della legge hanno perciò la
forma della legge, ma non hanno della legge il tipico contenuto genuinamente
normativo, ossia generale ed astratto» (Guastini). Lo stesso dicasi per le
leggi regionali che attribuiscono dignità legislativa a statuizioni concrete di
carattere amministrativo (ad es., sono tali le leggi regionali che realizzano la
variazione della circoscrizione territoriale dei Comuni ovvero ne dispongono
la variazione della denominazione: cfr. Corte cost., 9-2-2011, n. 36).
Trattasi, in definitiva, di leggi che, anziché limitarsi a prevedere i casi da
regolare, provvedono concretamente su casi e rapporti specifici, attraendo
nella propria sfera di disciplina materie e oggetti normalmente affidati all’attività amministrativa.
La peculiarità delle leggi provvedimento risiede, dunque, nella difficoltà di conciliare due
aspetti contrastanti: il valore di legge (e quindi la caratterizzazione lato sensu politica) da una
parte e l’effettività della tutela giurisdizionale, garantita agli atti amministrativi, dall’altra.
B)La compatibilità costituzionale delle leggi-provvedimento
La questione della compatibilità costituzionale delle cd. leggi-provvedimento è stata fortemente dibattuta fin dall’inizio della storia repubblicana.
Specificamente investita della questione, la Consulta ha riconosciuto l’ammissibilità di tale categoria di atti normativi sulla base del duplice rilievo dell’insussistenza di una riserva di amministrazione, in quanto la Costituzione
non garantisce ai pubblici poteri l’esclusività delle pertinenti attribuzioni
gestorie, e dell’inconfigurabilità per il legislatore di limiti diversi da quello — formale — dell’osservanza del procedimento di formazione delle leggi,
posto che la Costituzione omette di prescrivere il contenuto sostanziale ed i
caratteri essenziali dei precetti legislativi (Corte cost., 25-5-1957, nn. 59 e 60;
21-3-1989, n. 143; 24-2-1995, n. 63; 21-7-1995, n. 347).
Secondo la ricostruzione concettuale dell’istituto operata dalla Corte,
il valore ed il regime giuridico della legge derivano unicamente dalla sua
qualificazione formale e prescindono dalla natura generale ed astratta delle
disposizioni in essa contenute.
Corollario di tale impostazione è che la legge, qualunque sia il suo contenuto
materiale, soggiace al regime di valore suo proprio, di talchè la sua validità
può essere scrutinata solo dalla Corte costituzionale, così come solo dal
medesimo organo possono essere eliminati i suoi effetti.
Inoltre, onde evitare che la legge-provvedimento si atteggi a strumento di
elusione o minorazione della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza della
Corte costituzionale rimarca la necessità di un sindacato di ragionevolezza
più stretto e penetrante in confronto a quello praticato per le leggi generali
Estratto distribuito da Biblet
20
Capitolo Secondo
e astratte, con riferimento alle specifiche peculiarità del caso (cfr. Corte cost.
nn. 153/1997, n. 2/1997 e 429/2002).
Da ultimo, una ricognizione sulle leggi-provvedimento è stata effettuata dalla stessa Corte
costituzionale con la sentenza 22-7-2010, n. 270.
Con la detta decisione i giudici, dopo aver riaffermato la legittimità di tali particolari tipi di leggi,
hanno ribadito che «la legittimità di questo tipo di leggi va, in particolare, «valutata in relazione
al loro specifico contenuto» (sentenze n. 137 del 2009, n. 267 del 2007 e n. 492 del 1995) e devono
risultare i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione
(sentenza n. 137 del 2009). Peraltro, poiché la motivazione non inerisce agli atti legislativi (sentenza
n. 12 del 2006), è sufficiente che detti criteri, gli interessi oggetto di tutela e la ratio della norma
siano desumibili dalla norma stessa, anche in via interpretativa, in base agli ordinari strumenti
ermeneutici, fermo restando che il sindacato di questa Corte sulla eventuale irragionevolezza della
scelta compiuta dal legislatore «non può spingersi fino a considerare la consistenza degli elementi
di fatto posti a base della scelta medesima» (sentenze n. 347 del 1995 e n. 66 del 1992)».
7. I regolamenti
A)Nozione e fondamento
L’art. 14 del D.P.R. 24-11-1971, n. 1199, in materia di ricorsi amministrativi, definisce i regolamenti come «atti amministrativi generali a contenuto
normativo».
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da
organi amministrativi (cioè Governo, enti locali territoriali, enti autarchici, ed
in certi casi anche da organi della P.A.), ma aventi forza normativa, in quanto
contenenti norme idonee ad innovare l’ordinamento giuridico, con i caratteri
di generalità ed astrattezza; in questo risiede la differenza tra tali regolamenti
e quelli adottabili dagli enti di diritto privato.
Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi
amministrativi possono emanare regolamenti solo quando una legge attribuisca loro tale potere.
Principale norma attributiva del potere regolamentare è data dall’art. 17
L. 400/1988, che funge da clausola generale.
B)Limiti alla potestà regolamentare
I regolamenti non possono:
a) derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti;
b) derogare né contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere,
in un determinato settore e per un determinato caso, di innovare anche nell’ordine legislativo
(delegificando la materia);
c) regolamentare le materie riservate dalla Costituzione alla legge ordinaria o costituzionale (riserva
assoluta di legge);
d) derogare al principio di irretroattività della legge (la legge, invece, può derogarvi, in quanto
tale principio è sancito dall’art. 11 disp. prel. al codice civile e, dunque, da una fonte di pari
efficacia);
e) contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.);
f) i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i regolamenti
emanati da autorità gerarchicamente superiori;
g) regolamentare istituti fondamentali dell’ordinamento.
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Le fonti del diritto amministrativo
21
C)Classificazione
1)A seconda dei soggetti pubblici che li emanano, i regolamenti si distinguono in:
— statali, se vengono emanati da organi dello Stato; i regolamenti statali,
a loro volta si distinguono in:
— governativi, se deliberati dal Governo;
— ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo, o dal
suo Presidente;
— non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori
(Prefetto, comandante di porto etc.). Tali regolamenti, a differenza
di quelli governativi, hanno portata settoriale e la loro efficacia è
limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l’autorità che li
ha emanati;
— non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni,
Province, Comuni e Città metropolitane (v. infra parr. 8 e 9). Possono
anche essere emanati da altri enti, quali Ordini e Collegi professionali,
Camere di commercio, industria e artigianato. La potestà regolamentare
è attribuita anche alle autorità amministrative indipendenti (sulle quali
v. infra Cap. 4, Sezione Seconda, par. 7).
2)A seconda del contenuto i regolamenti governativi, in particolare, si distinguono in:
a) regolamenti di esecuzione: necessari per curare l’esecuzione delle leggi
e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti europei. L’emanazione di
tale tipologia di regolamento risulta indispensabile allorquando le norme
di rango primario, per la loro formulazione astratta o particolarmente
tecnica, necessitano di norme di dettaglio o esplicative;
b) regolamenti integrativi: operano in materie coperte dalla sola riserva
relativa di legge e sono finalizzati ad attuare altre disposizioni mediante
un’opera di integrazione delle stesse, con discreta libertà di manovra;
c) regolamenti indipendenti: destinati a disciplinare, nel rispetto delle
norme di grado superiore, le materie attribuite in proprio (dalla legge)
alla competenza della P.A. (cioè non coperte da riserva di legge). Detti
regolamenti presuppongono una legge che attribuisca alla P.A. la generale competenza ad emanare norme in una determinata materia (es.:
regolamenti di polizia veterinaria, in materia di igiene pubblica);
d) regolamenti di organizzazione: erano previsti dall’art. 1, L. 100/1926, e
riguardavano l’organizzazione degli uffici amministrativi. Anche se l’art.
97 Cost. stabilisce che l’organizzazione dei pubblici uffici deve essere
disposta con legge (riserva relativa di legge), tuttavia ciò non importa
una soppressione, ma solo una limitazione della potestà della P.A. in
materia di organizzazione: il principio di cui all’art. 97 Cost., infatti,
rappresenta una semplice regola direttiva in ordine al contenuto delle
norme di organizzazione di natura regolamentare;
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22
Capitolo Secondo
e) regolamenti delegati o autorizzati, detti anche regolamenti di delegificazione (art. 17, comma 2), che sono emanati in base ad apposite leggi
che autorizzano i regolamenti ad introdurre una determinata disciplina
di una specifica materia che andrà a sostituire quella di rango legislativo
che, pertanto, si ha per abrogata dal momento dell’entrata in vigore di
quella regolamentare.
Tale procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie coperte
da riserva assoluta di legge;
f) regolamenti di riordino (art. 17, comma 4ter, introdotto dall’art. 5, L.
69/2009), con i quali si provvede al periodico riordino delle disposizioni
regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto
di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno
esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo
o sono comunque obsolete. Ciò ai fini di una migliore conoscenza delle
fonti normative secondarie.
L’art. 11 L. 11/2005 (legge comunitaria annuale), infine, prevede i regolamenti di attuazione
delle direttive comunitarie. In base a tale disposizione, la legge comunitaria annuale (con la
quale si realizza il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario) può
autorizzare il Governo ad attuare le direttive comunitarie mediante regolamento, purché si versi
in materie già disciplinate con legge ma non coperte da riserva assoluta.
Differenze
Una importante distinzione soprattutto per le ripercussioni sul sistema delle fonti del diritto
è quella tra regolamenti esterni e regolamenti interni.
I regolamenti esterni sono espressione del potere di supremazia di cui l’esecutivo dispone verso
tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel territorio dello Stato. Sono fonti del diritto, e la
loro violazione costituisce violazione di legge, sanzionabile in sede giurisdizionale; i regolamenti
interni, invece, regolano l’organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo
coloro che fanno parte dell’ufficio, organo, od ente. Sono espressioni del potere di auto-organizzazione dell’ente o dell’organo stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro violazione
non costituisce vizio dell’atto emanato dall’organo o ente, salvo casi eccezionali.
D)Impugnabilità dei regolamenti
La problematica dell’impugnazione in sede giurisdizionale dei regolamenti amministrativi è strettamente collegata alla peculiare natura giuridica
degli stessi: i regolamenti, infatti, come detto in precedenza, sono atti formalmente amministrativi ma aventi forza normativa, in quanto contrassegnati dai
caratteri della generalità ed astrattezza, tipici delle norme giuridiche.
La questione più dibattuta ha riguardato proprio la possibilità di esperire
un’impugnativa autonoma nell’ordinario termine decadenziale (60 giorni)
previsto per adire il giudice amministrativo: se la natura di atto amministrativo indurrebbe ad una simile prospettazione, l’inidoneità del regolamento
a produrre una lesione immediata della sfera giuridica altrui, imporrebbe,
invece, una soluzione diversa per cui lo stesso andrebbe impugnato solo congiuntamente al relativo provvedimento d’attuazione.
Estratto della pubblicazione
Le fonti del diritto amministrativo
23
Sulla questione, la dottrina (GAROFOLI-FERRARI, BELLOMO) distingue tra:
— i regolamenti volizioni-preliminari, i quali, regolamentando solo la condotta dell’amministrazione, sono insuscettibili di produrre autonome lesioni
nella sfera giuridica altrui e, di conseguenza, non devono formare oggetto
di impugnativa autonoma nel termine decadenziale. Per questi, quindi, vale
il principio della doppia impugnativa, del regolamento e dell’atto esecutivo
congiuntamente;
— i regolamenti volizioni-azioni, che, in quanto contenenti disposizioni
immediatamente lesive della sfera giuridica dei privati, devono essere
immediatamente impugnati, con decorrenza del termine dal giorno della
pubblicazione del regolamento nella Gazzetta Ufficiale.
Connessa a tale questione è, poi, quella relativa alla possibilità che il regolamento amministrativo, posta la sua natura di fonte del diritto, possa essere disapplicato dall’autorità giurisdizionale, anche in difetto di autonoma impugnativa.
Quanto al potere di cognizione del giudice ordinario, la questione non si pone, considerato
che ai sensi dell’art. 5 L. 2248/1865, All. E. (cd. legge sul contenzioso amministrativo – L.A.C.)
il G.O. ha il potere di conoscere del regolamento in via incidentale e di disapplicarlo, con effetti
limitati al giudizio.
Più problematica è la questione della disapplicazione del regolamento da parte del giudice
amministrativo. Da una parte, infatti, un simile potere di disapplicazione contrasterebbe con il
carattere impugnatorio del processo amministrativo ed inoltre nemmeno è prevista, per il G.A.,
una previsione dello stesso tenore di quella dell’art. 5 L.A.C.; dall’altra parte, invece, si potrebbe
affermare che il potere di disapplicare il regolamento amministrativo illegittimo discende immediatamente dal sistema delle fonti del diritto e dal principio iuris novit curia che impone al
giudice della cognizione l’esame complessivo del quadro normativo e l’applicazione della norma
di diritto prevalente (cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 30-6-2011, n. 708).
Nel processo amministrativo, quindi, nel caso di impugnativa del solo provvedimento amministrativo che presuppone un regolamento illegittimo (non autonomamente impugnato), si è
distinto il caso in cui il provvedimento sia adottato conformemente a legge ed in contrasto con il
regolamento illegittimo (cd. rapporto di simpatia), per cui si avrà vera e propria disapplicazione
di quest’ultimo, da quello in cui il provvedimento amministrativo sia attuativo di un regolamento
illegittimo (cd. rapporto di antipatia) e si avrà annullamento del provvedimento attuativo.
Per quanto riguarda gli effetti della pronuncia di annullamento di un regolamento amministrativo illegittimo, viene de plano che la stessa, in considerazione della portata generale ed astratta dei regolamenti, produca effetti
erga omnes (in tal senso, Cass., sez I, 22-5-2009, n. 11920).
8. Le fonti regionali
Come si è visto, l’attuale sistema delle fonti risulta caratterizzato dalla
presenza di numerosi centri di produzione normativa. Tra questi rientrano le
Regioni, alle quali la Costituzione attribuisce il potere di darsi una disciplina
che regola la propria organizzazione ed il proprio funzionamento attraverso
l’approvazione dello Statuto (autonomia statutaria), il potere di emanare
atti, quali le leggi regionali, capaci di innovare il diritto oggettivo (autonomia
legislativa) e il potere di darvi esecuzione attraverso l’approvazione di regolamenti e atti amministrativi regionali (autonomia amministrativa).
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Capitolo Secondo
A)Gli Statuti regionali
La principale fonte dell’ordinamento regionale è costituita dallo Statuto,
atto con il quale l’ente disciplina la propria organizzazione ed il proprio funzionamento per tutte le attività non regolate direttamente dalla Costituzione.
È possibile distinguere tra:
a) gli Statuti delle 5 Regioni speciali (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia), che hanno forma e sostanza di leggi
costituzionali: non sono, cioè, espressione di autonomia, pur costituendo
la base dell’ordinamento regionale.
Tali leggi hanno un ambito territoriale limitato e sono in grado di derogare
alla Costituzione, purché ciò sia necessario per garantire alle Regioni forme
e condizioni particolari di autonomia (art. 116 Cost.);
b) gli Statuti delle Regioni ordinarie. Si tratta di atti che, ai sensi dell’art.
123 Cost., hanno la natura di leggi regionali rinforzate: essi, infatti, devono
essere approvati e modificati dal Consiglio regionale con legge approvata a
maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Lo Statuto è sottoposto
a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne
faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto
dei componenti il Consiglio regionale. Lo Statuto sottoposto a referendum
non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.
B)Le leggi regionali
La Costituzione attribuisce alla Regione la potestà di adottare atti aventi
valore di legge ordinaria nelle materie indicate dall’art. 117 e con un’efficacia
limitata al solo territorio regionale.
Alla luce della nuova formulazione dell’art. 117 Cost., in seguito alle modifiche apportate dalla L. cost. 3/2001, la potestà legislativa delle Regioni può
essere:
— bipartita o concorrente. In questo caso «spetta alle Regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato» (art. 117, comma 3, Cost.). Nelle materie
indicate, infatti, le leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati
dal legislatore statale;
— residuale o esclusiva. L’art. 117 Cost. è strutturato nel senso di fornire
un primo elenco di materie di esclusiva competenza statale, cui fa seguito
un elenco di materie in cui vi è una potestà legislativa concorrente (Stato
e Regioni). Infine, il legislatore costituzionale ha previsto che per tutte le
materie non indicate in questi due elenchi spetta alle Regioni una potestà
legislativa residuale, in virtù della quale queste ultime possono legiferare
in assenza di vincoli derivanti da leggi statali (si potrebbe parlare in questo caso di leggi primarie a competenza territoriale limitata). Gli unici limiti
all’esercizio di tale potestà legislativa sono costituiti dal rispetto delle dispo-
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