Estratto distribuito da Biblet i 54A/4 QUADERNI dell’ ASPIRANTE AVVOCATO DIRITTO AMMINISTRATIVO MANUALE DI BASE PER LA PREPARAZIONE ALLA PROVA ORALE IV Edizione t IN APPENDICE GLI ARGOMENTI OGGETTO DI DOMANDA D’ESAME SIMONE EDIZIONI GIURIDICHE Estratto della pubblicazione Gruppo Editoriale Simone Estratto distribuito da Biblet Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet Tutti i diritti riservati Vietata la riproduzione anche parziale Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30) I Quaderni dell’aspirante Avvocato Altri titoli disponibili: Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. Vol. 54A/1Diritto del lavoro 54A/2Diritto costituzionale 54A/3Diritto penale 54A/5Diritto civile 54A/6Diritto commerciale 54A/7Diritto processuale penale 54A/8Diritto processuale civile 54A/9Diritto ecclesiastico 54A/10 Ordinamento e deontologia forense 54A/11Diritto comunitario 54A/12Diritto tributario 54A/13Diritto internazionale privato Coordinamento redazionale a cura del dott. Dario di Majo Revisione redazionale a cura della dott.ssa Anna D’Angelo e dell’avv. Beatrice Locoratolo Ha collaborato alla ricerca bibliografica la dott.ssa Alessandra Pedaci Finito di stampare nel mese di giugno 2012 dalla «Litografia Enzo Celebrano» - Via Campana, 234 - Pozzuoli - Napoli per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno Estratto della pubblicazione PREMESSA Già da prima che fossero istituiti i nuovi esami per procuratore, poi avvocato, le Edizioni Simone hanno preso a cuore le esigenze degli aspiranti avvocati pubblicando una serie di fortunati testi di preparazione agli esami. Si è posta attenzione ai volumi indirizzati alle prove orali in quanto, il candidato, all’atto della preparazione, già possiede le nozioni di base, e, quindi, necessita più che di testi istituzionali, di lavori sistematici e riassuntivi che gli consentano di «riorganizzare» le sue conoscenze in vista dell’esame. Ciò soprattutto in considerazione dei tempi di studio, sempre più stretti, e dei potenziali interlocutori che fondano le loro conoscenze sulla pratica professionale più che su un sapere accademico, modificando così l’ottica di inquadramento dei singoli istituti. Sulla base di tali convinzioni, e monitorando il sito e il forum di www. sarannoavvocati.it, i nostri autori hanno tenuto presente le indicazioni di quanti hanno superato con esito positivo le prove e, richiamandosi a Giustiniano, hanno tagliato «il troppo e il vano». Nasce così, dal ponderoso e già ben affermato volume collettaneo «L’esame di avvocato», un’ultima generazione di testi: i Quaderni per l’esame di avvocato. In particolare, i Quaderni di diritto amministrativo sono finalizzati a fornire una visione sistematica dell’intera materia, alla luce delle più recenti novità giurisprudenziali e legislative; tra queste ultime si segnalano i decreti cresci Italia (D.L. 1/2012, conv. in L. 27/2012) e semplifica Italia (D.L. 5/2012, conv. in L. 35/2012), rispondenti ad esigenze di liberalizzazione e semplificazione e attraverso i quali viene favorito l’esercizio delle attività d’impresa, con corrispondente «arretramento» dell’attività autorizzatoria della P.A. La novità dei Quaderni, rispetto ai manuali maggiori, è che la trattazione non si limita alla sola parte istituzionale, ma, seguendo un recente orientamento didattico riporta una corposa appendice che elenca gli argomenti dei quesiti potenzialmente oggetto di prova di esame. Anche i Quaderni, dunque, si giovano della esperienza Simone per offrire il prodotto «giusto» al momento «giusto». A proposito … anche il prezzo ci sembra «giusto» per la soddisfazione totale dei nostri lettori. Estratto della pubblicazione www.sarannoavvocati.it www.facebook.com/sarannavvocati La Community di praticanti avvocati più frequentata del Web! Entra nel sito www.sarannoavvocati.it, tantissimi contenuti sono già a tua disposizione per aiutarti a superare al meglio il tuo esame: news, normativa, consigli e stratagemmi per la prova scritta e orale, pareri e atti già assegnati, leggi e sentenze, siti di interesse e il nostro movimentatissimo forum. E in più….. Linea diretta con i Quaderni dell’Avvocato. 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Per individuare l’effettivo contenuto di tale branca del diritto pubblico, bisogna considerare che già tale espressione evoca due concetti, l’amministrare e la Pubblica Amministrazione, ove: — l’amministrare è il compito della P.A. e quindi l’oggetto del diritto e — la Pubblica Amministrazione è il soggetto del diritto. Sulla scorta di queste due direttive, la dottrina tradizionale definisce il diritto amministrativo come «quel corpo autonomo di norme che regolano l’organizzazione della pubblica amministrazione nonché l’azione da essa svolta con l’efficacia e il valore formale degli atti amministrativi e i rapporti nei quali essa interviene nella veste di autorità amministrativa» (SANDULLI). Quanto all’organizzazione, il diritto amministrativo detta le disposizioni per la creazione e per la strutturazione delle amministrazioni come pubblico potere; con riferimento all’attività, esso disciplina gli atti ed i rapporti delle pubbliche amministrazioni, caratterizzati dalla posizione non paritaria dell’amministrazione procedente nei confronti dei soggetti destinatari della sua azione (MALINCONICO). Fattore determinante per una esatta comprensione di ciò che costituisce il diritto amministrativo è dato dall’incidenza sull’ordinamento nazionale del diritto dell’Unione europea che, nel corso del tempo, ha consentito al primo di evolversi acquisendo nozioni e principi, tipici del secondo, che hanno profondamente innovato questa particolare branca del diritto sotto due punti di vista: da un lato, è stato modificato il concetto stesso di pubblica amministrazione, fino a ricomprendervi soggetti estranei al nostro ordinamento (come gli organismi di diritto pubblico, sui quali si v. infra, Cap. 4, Sezione Prima, Sezione Prima, par. 7), e dall’altro lato è lo stesso diritto amministrativo, nella sua totalità, che è stato investito di tali e tante innovazioni che derivano la loro legittimità dalle modificazioni che tale diritto sovranazionale apporta a quello proprio degli Stati membri. Dall’insieme di tutte queste «variabili» risulta evidente che preliminare allo studio del diritto amministrativo è, da un lato, l’esatta individuazione dell’oggetto dell’attività di amministrazione pubblica e, dall’altro, dei soggetti riconducibili alla nozione di pubblica amministrazione, volgendo sempre lo sguardo alle disposizioni dell’ordinamento europeo. Estratto distribuito da Biblet 6 Capitolo Primo 2. L’attività di amministrazione pubblica come realizzazione dell’«interesse altrui» Con il termine «amministrare» si indica, in generale, la gestione di «qualcosa» per la realizzazione di interessi, perseguibili da qualsiasi soggetto giuridico, indipendentemente dalla sua natura pubblica o privata. Non si tratta, dunque, di una nozione giuridica (CASETTA). Quando l’attività è svolta da soggetti privati, per conto proprio o per conto altrui (si pensi ad un amministratore di condominio), questi decidono liberamente, nei limiti di ciò che è considerato lecito dall’ordinamento giuridico, l’interesse che intendono perseguire in ossequio al principio dell’autonomia privata. La disciplina di tale attività è, quindi, rinvenibile nel diritto privato. Invece, quando l’attività è posta in essere da un soggetto pubblico, questi non agisce per la realizzazione di un interesse proprio, ma sempre per il perseguimento di un interesse diverso (altrui). In particolare, a differenza di quella privata, l’attività di amministrazione pubblica è caratterizzata dal perseguimento di un interesse riconducibile, non a persone determinate, ma, all’intera collettività: il cd. interesse pubblico. L’individuazione dell’interesse da perseguire, inoltre, non è rimesso alla discrezionalità del soggetto pubblico agente, ma è predeterminato in sede politica e attribuito a quest’ultimo dal legislatore. E proprio tali peculiarità consentono di considerare l’attività di amministrazione pubblica, o attività amministrativa, come attività vincolata nel fine da perseguire e di cura concreta degli interessi pubblici (cd. funzione amministrativa, sulla quale v. infra Cap. 6, Sezione Prima, par. 1). Come è stato osservato in dottrina, «l’esercizio concreto dell’attività amministrativa ha come momento a monte la rete delle norme giuridiche che guidano l’azione, come momento a valle la possibilità del sindacato giurisdizionale, a tutela degli interessi sacrificati: normazione, amministrazione e giurisdizione sono, in questo senso, tre momenti di una sequenza collegata, i quali nel loro insieme formano l’oggetto del diritto amministrativo» (FALCON). 3. Il diritto amministrativo come diritto della Pubblica Amministrazione A)Profili generali Dal punto di vista soggettivo è stato osservato che l’attività amministrativa «è svolta da diverse persone giuridiche, organi ed apparati ai quali è affidato il compito di curare i diversi interessi pubblici: ed a tali persone giuridiche, organi ed apparati diamo il nome di pubbliche amministrazioni» (FALCON). Anche in tal caso, è bene precisare, però, che nessun soggetto può autodefinirsi come pubblica amministrazione, essendo questa potestà definitoria riservata esclusivamente al legislatore. La circostanza che il legislatore abbia fornito alcune definizioni di P.A. circoscritte a singoli settori del diritto (come in materia di pubblico impiego o di appalti pubblici) e che non sia invece Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet Il diritto amministrativo tra diritto interno e diritto dell’Unione europea 7 riscontrabile nel nostro ordinamento una generica definizione di pubblica amministrazione spiega il fatto che si tratta di un concetto complesso e dai contorni non specificamente definiti. A ciò si aggiunga che, in virtù del processo di integrazione con l’ordinamento europeo, tale nozione travalica i confini dell’ordinamento nazionale per acquisire connotazioni e peculiarità frutto dell’evoluzione propria del diritto europeo. È possibile, infatti, distinguere due nozioni di pubblica amministrazione, quella nazionale e quella di matrice europea: tutti i soggetti riconducibili alle dette nozioni, seppur su piani diversi, interagiscono tra loro per la realizzazione delle finalità pubblicistiche stabilite dal legislatore, sia europeo che nazionale. B)La nozione italiana di P.A. Per sopperire alla mancanza, nel nostro ordinamento, di una nozione unitaria e generalmente valida di pubblica amministrazione, la dottrina ha elaborato due distinte teorie, quella oggettiva e quella soggettiva che, mettendo in rilievo aspetti diversi dello stesso fenomeno, sono entrambe valide e, pertanto, devono essere intese non in termini di mera contrapposizione ma di complementarietà. Da un lato, infatti, ciò che rileva ai fini del diritto è l’amministrazione-attività, ossia l’attività amministrativa regolata da norme giuridiche e svolta per la soddisfazione di interessi pubblici, che realizza il concetto di amministrazione in senso oggettivo (CASETTA); accanto a questa, e a completamento di questa, si deve porre attenzione all’aspetto dell’organizzazione amministrativa, che configura l’amministrazione in senso soggettivo: secondo i sostenitori di tale concezione, sarebbero pubbliche amministrazioni solo le persone giuridiche pubbliche e gli organi che hanno competenza alla cura degli interessi pubblici. Come osservato dalla dottrina più moderna, le nozioni di pubblica amministrazione, in senso soggettivo ed oggettivo, «sono peraltro intimamente connesse, in quanto non è possibile tracciare un quadro sicuro delle attività propriamente amministrative senza definire i soggetti deputati a svolgere attività amministrativa e viceversa» (BELLOMO). C)La nozione europea di P.A. Con l’espressione amministrazione europea si intende l’insieme degli organismi e delle istituzioni dell’Unione europea cui è affidato il compito di svolgere attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi (CASETTA). Invero, con lo sviluppo del processo di integrazione europea, il tradizionale sistema dualistico di amministrazioni — europeo e nazionale — è venuto attenuandosi, lasciando sempre più spazio alla formazione di un’amministrazione europea integrata, intesa come un sistema complesso di amministrazioni — europee, nazionali ed a composizione mista — che concorrono a costitui- re quella che è stata definita come «amministrazione comune dell’ordinamento europeo» (CHITI). La difficoltà di individuare una pubblica amministrazione europea è legata alla mancanza nell’ordinamento dell’Unione di una chiara ripartizione delle funzioni tra le istituzioni. Ad oggi, può affermarsi che, sostanzialmente, l’esecutivo viene individuato nella Commissione europea, la quale agisce con l’ausilio di altri organismi (Agenzie esecutive; Comitati e Agenzie europee). Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet 8 Capitolo Primo 4. Perché un diritto della Pubblica Amministrazione? Una legislazione amministrativa non esiste in tutti gli ordinamenti. Ci sono ordinamenti, come quelli anglosassoni, in cui la P.A. agisce alla stregua di un qualunque privato, utilizza gli stessi moduli di azione ed è assoggettata alle regole del diritto privato. Nel nostro ordinamento, invece, la situazione è un po’ diversa e, soprattutto in considerazione di precedenti ideologie, si è resa necessaria una legislazione ad hoc, confluita, appunto, nel diritto amministrativo. In passato, infatti, la pubblica amministrazione è sempre stata vista come un soggetto che, proprio perché preposto alla cura interessi pubblici e dotato di una speciale supremazia sulla collettività, era quasi intoccabile ed agiva ponendosi ad un livello superiore rispetto ai soggetti destinatari della sua azione: quasi come se in nome dell’interesse pubblico tutto fosse lecito. La P.A. agiva sempre d’imperio, come autorità pubblica distaccata noncurante degli interessi dei privati. Molto forte era quindi l’esigenza di predisporre un diritto specifico che regolamentasse l’esercizio del potere amministrativo. Questa visione era confortata, ad esempio, dalla configurazione del processo amministrativo. Questo nasce come un giudizio sull’atto, teso esclusivamente a garantire al privato una tutela demolitoria, ossia di annullamento del provvedimento lesivo, laddove la P.A. fosse incorsa in qualche vizio idoneo ad inficiare la legittimità dello stesso. Oggi le cose sono molto cambiate sia sul piano sostanziale che processuale. Sicuramente le numerose riforme intervenute hanno scalfito quell’idea di intangibilità della pubblica amministrazione, che quindi si è avvicinata al cittadino. E se al cittadino sono assicurati una serie di istituti giuridici che gli garantiscono di dialogare con l’amministrazione, senza subire passivamente la sua azione, all’amministrazione si sono imposti una serie di obblighi finalizzati a rendere trasparente la sua attività. Ciò che si deve sottolineare è che oggi la P.A. può perseguire i propri fini istituzionali in modi diversi: può agire come un privato, adoperando strumenti privatistici (in primis il contratto) e assoggettandosi alle regole del diritto privato oppure può agire utilizzando la propria capacità di diritto pubblico, che le consente perseguire gli interessi pubblici mediante atti unilaterali, anche imponendo, seppure con le dovute garanzie, la propria volontà ai destinatari della sua azione. Ad esempio: si consideri l’ipotesi che la P.A. voglia costruire una scuola in un Comune. A tal fine, può procedere in due modi: o stipulare un normale contratto di compravendita con il proprietario del suolo, oppure agire d’autorità, attivando la procedura espropriativa. Ecco allora che il diritto amministrativo disciplina l’organizzazione e l’azione della P.A. laddove questa interviene come autorità amministrativa e, quindi, come potere pubblico che persegue gli interessi della collettività attraverso lo strumento del provvedimento. Estratto distribuito da Biblet Il diritto amministrativo tra diritto interno e diritto dell’Unione europea 9 5. I caratteri del diritto amministrativo nazionale Il diritto amministrativo presenta i seguenti caratteri: a) è diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui uno dei soggetti è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (la P.A.), nell’esercizio di potestà amministrative; b) è un diritto autonomo: in quanto si giova di propri principi e proprie regole, diversi da quelli delle altre branche del diritto; c) è un diritto comune: in quanto si rivolge genericamente a tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento; d) è un diritto ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti, inglobando o escludendo alcuni settori della propria gestione. La circostanza che si tratta di un diritto ad oggetto variabile spiega il ruolo determinante della giurisprudenza amministrativa nella corretta applicazione dei principi che governano la materia, affinchè sia possibile verificare l’effettivo e corretto perseguimento dell’interesse pubblico individuato dal legislatore. 6. Il diritto amministrativo europeo A)Profili generali Con l’espressione «diritto amministrativo europeo» si fa riferimento a quel fenomeno per cui, prendendo le mosse dal processo di integrazione giuridica fra i due ordinamenti — quello nazionale e quello europeo —, viene a determinarsi il distacco del diritto amministrativo dalla referenza statuale acclarando, in tal modo, la innegabile tendenza verso la europeizzazione del diritto amministrativo. In particolare, costituisce il diritto amministrativo europeo quel complesso di norme di matrice europeistica (soprattutto direttive e regolamenti) che incide, modificandola, sulla disciplina dell’attività amministrativa degli Stati membri. Come osservato da accreditata dottrina (CASETTA) è, però, necessario fare un distinguo in relazione all’applicazione della normativa europea. Se con l’espressione diritto amministrativo comunitario (oggi europeo) si intende il complesso di regole comuni ai vari diritti amministrativi degli Stati membri, prodotte da fonti comunitarie prevalenti sul diritto interno, esso esprime il fenomeno dell’integrazione tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale, con prevalenza del primo sul secondo (sui rapporti tra i due ordinamenti, si veda l’ordinanza n. 103/2008 con la quale la Corte costituzionale ha ribadito che l’ordinamento comunitario è un ordinamento giuridico autonomo integrato e coordinato con quello interno e che, ratificando i Trattati comunitari, l’Italia è entrata a far parte dell’ordinamento comunitario ed ha contestualmente trasferito, in base all’art. 11 Cost., l’esercizio di poteri anche normativi (statali, regionali o delle Province autonome) nei settori definiti dai Trattati medesimi); nell’ipotesi, invece, in cui il diritto amministrativo dell’UE sia mediato dal diritto interno di recepimento, allora quest’ultimo costituisce parametro di legittimità dell’attività amministrativa, anche se simile a quello di altri Stati, in quanto attuativo della stessa disciplina: si tratta, dunque, di diritto amministrativo interno. Sull’argomento, una precisazione è quanto mai necessaria, in relazione al fatto che la fonte principale del diritto dell’Unione europea è rappresentata dalle disposizioni contenute nei Trattati, così come nel tempo modificati. Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel 1992 si era ingenerata una situazione di possibile confusione dovuta alla presenza, nell’ordinamento comunitario, di due soggetti, la Comunità europea e l’Unione europea, e di 10 Capitolo Primo due Trattati fondamentali: quello istitutivo della Comunità (TCE), risalente al 1957, e quello istitutivo dell’Unione, (TUE), appunto, del 1992. Conseguenza di tale situazione era anche l’utilizzo, in modo indistinto, delle locuzioni diritto comunitario e diritto europeo. Da ultimo, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, la confusione tra la denominazione di Unione europea (UE) e quella di Comunità europea (CE) è cessata. I Trattati oggi in vigore sono due ed hanno lo stesso valore giuridico: il TUE, Trattato sull’Unione europea, ed il TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che ha sostituito, il (vecchio) TCE; il soggetto giuridico di riferimento è uno solo: l’Unione europea. In sostanza, la vecchia Comunità europea è assorbita dall’Unione europea ed il termine Comunità è sostituito con quello di Unione. Conseguentemente, oggi è corretto parlare solo di diritto europeo o diritto dell’Unione europea. B)L’incidenza del diritto amministrativo europeo sul diritto amministrativo nazionale Secondo autorevole dottrina (CASSESE), il diritto amministrativo europeo influenza il diritto amministrativo nazionale sotto molteplici aspetti. Ad esempio: da un lato, il diritto amministrativo dell’Unione stabilisce i principi ai quali l’ordinamento statale deve attenersi (ad es: «chi inquina paga») e detta i modelli procedimentali che i diritti amministrativi nazionali devono osservare (ad es.: la necessità di gare aperte o ristrette per la scelta dei contraenti affinché non vi siano discriminazioni a danno di soggetti appartenenti ad ordinamenti statali diversi rispetto a chi stipula il contratto); dall’altro talvolta «subordina» l’amministrazione nazionale, trasformandola in esecutrice di quella europea. Sotto un diverso punto di vista si deve ricordare il fenomeno della convergenza di principi generali, istituti giuridici e modelli procedimentali dei diritti amministrativi degli Stati membri dell’Unione europea, che rappresenta, sulla scorta dell’attività di impulso del legislatore europeo, la base comune per l’armonizzazione delle diverse legislazioni nazionali. Tale interazione «orizzontale», come definita da accreditata dottrina (CHITI), si accompagna ad una interazione «verticale» del diritto amministrativo europeo, di talchè interi settori del diritto amministrativo sono appunto disciplinati dal diritto amministrativo dell’Unione che detta i principi generali della materia, le specifiche regole dell’azione amministrativa, gli strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale (si pensi, ad esempio, alla disciplina in materia di appalti pubblici, ambiente, regolamentazione dei mercati). La disciplina europea, dunque, «è il frutto composto dell’autonoma elaborazione della Comunità e dell’influenza dei diritti amministrativi nazionali, in tal modo favorendo vieppiù la circolazione di soluzioni ed istituti giuridici e la formazione di nuovi principi ad origine mista» (CHITI). Tale processo di interazione tra i due ordinamenti spiega perché è necessario includere tra le fonti del diritto amministrativo anche gli atti normativi di origine europea (sui quali, v. infra, Cap. 2, par. 3). Estratto della pubblicazione Capitolo Secondo.................................. Le fonti del diritto amministrativo 1. Classificazione delle fonti A)Profili generali Si qualificano fonti del diritto tutti «gli atti e/o i fatti produttivi di diritto, ovvero gli atti che contengono norme giuridiche e i mezzi attraverso i quali il diritto viene portato a conoscenza dei cittadini appartenenti ad uno stesso ordinamento» (BELLOMO). Una prima importante distinzione che è alla base del sistema delle fonti del diritto è quella tra fonti-atto e fonti-fatto. Mentre con la prima espressione si fa riferimento a «tutti gli atti volontari universalmente riconosciuti come capaci di porre norme vincolanti», con la locuzione fonti-fatto il rimando è a «tutti quei comportamenti riconosciuti dal corpo sociale come giuridicamente vincolanti (consuetudine), nonché gli atti di produzione normativa esterni al nostro ordinamento (trattati internazionali, atti comunitari)» (BELLOMO). Per procedere alla classificazione delle fonti, uno dei criteri utilizzabili è quello che fa riferimento ai centri istituzionali di produzione delle fonti-atto presenti nel sistema costituzionale od operanti nello stesso. Preliminarmente si osserva che il moltiplicarsi dei «centri di produzione del diritto» ha indotto la dottrina a configurare, nel nostro ordinamento, un sistema mutilivello di fonti. Sulla base di tale criterio è possibile distinguere fra: — la Costituzione e le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, che si pongono al vertice ordinatore delle fonti del diritto riconosciute dal nostro ordinamento; — le fonti di matrice europeistica, vale a dire i trattati istitutivi, i regolamenti, le direttive e le decisioni. Si tratta di atti che, una volta immessi nel nostro ordinamento, occupano una posizione di preminenza rispetto alla legislazione ordinaria statale e regionale e, sotto certi aspetti, anche costituzionale; — le fonti dell’ordinamento statale. Vi rientrano le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi), il referendum abrogativo e i regolamenti interni degli organi costituzionali (interna corporis); ad un gradino inferiore si pongono i regolamenti dell’esecutivo, che non possono porsi in contrasto con le fonti legislative ordinarie; — le fonti regionali. In questo caso il riferimento è agli Statuti regionali (per i quali, dopo la riforma della L. cost. 1/1999, si è parlato addirittura di fonti paracostituzionali), alle leggi regionali e ai regolamenti regionali; — le fonti locali, vale a dire gli Statuti comunali e provinciali e i regolamenti approvati dagli stessi enti; Estratto della pubblicazione 12 Capitolo Secondo — le fonti esterne all’ordinamento costituzionale, vale a dire quelle che vengono recepite nell’ordinamento costituzionale italiano in virtù dell’appartenenza del nostro Paese alla Comunità internazionale. Differenze In ragione della pluralità delle fonti di diritto, un’altra importante classificazione è quella tra fonti primarie e fonti secondarie fondata sulla gerarchia esistente tra le stesse. A queste si aggiungono le fonti atipiche. Costituiscono fonti primarie, dopo le fonti di rango costituzionale e quelle dell’Unione europea, le leggi ordinarie, gli atti aventi forza di legge, le leggi regionali e gli Statuti delle Regioni ordinarie approvati con legge della Repubblica; è fonte atipica del diritto «ogni fonte primaria a competenza specializzata, che presenta variazioni rispetto ai concetti di «forza» e «valore» della legge» (BELLOMO), ad esempio, le sentenze della Corte costituzionale e il referendum abrogativo; sono fonti secondarie del diritto quelle norme «espressione del potere normativo dello Stato e degli altri enti pubblici, che si collocano in posizione subordinata alle fonti primarie, essendo dotate di forza giuridica attiva e passiva minore»: esse, come osservato da tale autorevole voce dottrinaria, «sono atti soggettivamente amministrativi e oggettivamente normativi» e rappresentano le cd. fonti specifiche del diritto amministrativo, posto che sono lo strumento normativo tipico che orienta l’azione della P.A. Rientrano in tale categoria, i regolamenti (statali, comunali e provinciali) e gli Statuti degli enti territoriali. Oltre a quelle menzionate, esistono altre tipologie di atti, la cui inclusione tra le fonti secondarie è molto discussa, stante la loro peculiare natura giuridica, che le colloca in una posizione intermedia tra gli atti normativi e gli atti amministrativi generali (sui quali v. infra). Tra le fonti secondarie dubbie si annoverano: i bandi militari, i provvedimenti prezzo e i tariffari, i piani regolatori generali e le Carte dei servizi pubblici. B)Rapporti tra le fonti del diritto La pluralità di fonti esistente negli ordinamenti giuridici più progrediti presuppone delle regole che disciplinino le relazioni fra esse, per evitare che si intralcino a vicenda. I rapporti tra le fonti possono regolarsi secondo i seguenti criteri: a) cronologico, che si applica quando due norme confliggenti sono poste da fonti dello stesso tipo. In tal caso, alla norma precedente viene preferita quella successiva secondo il principio lex posterior derogat legi priori; b) gerarchico, quando le norme confliggenti provengono da fonti diverse. Nel nostro ordinamento, infatti, le fonti si collocano a livelli diversi, per cui le norme successive poste da fonti di rango inferiore, che siano in contrasto con norme provenienti da fonti di rango superiore, sono invalide e soggette ad annullamento (come è previsto per le leggi e gli atti ad esse equiparati dall’art. 136 Cost.) o a disapplicazione (come è tenuto a fare il giudice ordinario con i regolamenti governativi in contrasto con la legge); c) specialità, che si applica quando la stessa materia è disciplinata da due norme, una generale e una speciale: in tal caso, quest’ultima prevale sulla prima anche nell’ipotesi in cui la norma generale sia successiva nel tempo. In genere questo criterio si esprime con il brocardo latino lex specialis derogat generali, vale a dire che la norma dettata specificatamente per un caso Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet Le fonti del diritto amministrativo 13 particolare prevale sulla norma di carattere generale, la quale non ha capacità abrogante sulla speciale; d) di competenza, che può presentarsi in due forme diverse: — può esserci una separazione di competenza, fondata sulla diversità di oggetti regolabili o di ambito territoriale, oppure su entrambi gli elementi (un esempio è dato dai regolamenti parlamentari, cui la Costituzione riserva in via esclusiva la disciplina dell’organizzazione interna delle Camere); — in altri casi la Costituzione mostra di preferire, per la disciplina di una particolare materia, una fonte piuttosto che un’altra, senza impedire a quest’ultima di regolarla fino a quando la fonte preferita non abbia provveduto ad introdurre la propria disciplina. 2. Le fonti costituzionali A)La Costituzione La Costituzione è la legge fondamentale di un Paese, l’atto che delinea le sue caratteristiche essenziali, descrive i valori e i principi che ne sono alla base, stabilisce l’organizzazione politica su cui si regge. La Costituzione può essere: — scritta, se si presenta come un documento redatto in forma solenne da un organismo appositamente convocato; — non scritta, se non esiste un testo di riferimento, ma il funzionamento delle istituzioni si fonda su una serie di consuetudini e su testi che affrontano solamente alcuni aspetti; — ottriata, se viene unilateralmente concessa dal sovrano, come è accaduto per la nostra previgente Costituzione, lo Statuto Albertino; — votata, se viene adottata da un organo democraticamente eletto o viene comunque approvata dal corpo elettorale (ad esempio attraverso un plebiscito, come accadde per la Costituzione della Repubblica francese); — flessibile, quando può essere modificata dagli ordinari strumenti legislativi senza che sia richiesto un procedimento particolare; — rigida, quando è assolutamente immodificabile oppure è modificabile solo attraverso un procedimento aggravato rispetto a quello ordinario, se non altro in quanto richiede una maggioranza più ampia; — breve o corta, quando contiene soltanto le norme sull’organizzazione fondamentale dello Stato e alcuni diritti di libertà; — lunga, quando riconosce, accanto alle libertà civili, i diritti politici ed economici ed enuncia i valori e principi cui deve ispirarsi l’azione dei pubblici poteri. La nostra Costituzione è scritta, votata, rigida e lunga. B)Le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali L’art. 138 della Costituzione disciplina il procedimento di formazione di un peculiare tipo di leggi, denominate appunto leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali. Sono leggi di revisione quelle leggi che incidono sul testo costituzionale, modificando, sostituendo o abrogando le disposizioni in esso contenute. 14 Capitolo Secondo Per altre leggi costituzionali, invece, si intendono: a) tutte quelle leggi che sono espressamente definite come tali dalla Costituzione (ad esempio, negli artt. 132 e 137); b) tutte quelle leggi che si limitano soltanto a derogare ad una norma costituzionale, senza modificarla in via definitiva (ad esempio, la L. cost. 1/1993); c) ogni altra legge che il Parlamento voglia approvare col procedimento aggravato previsto dall’art. 138. 3. Le fonti del diritto europeo A)Gli atti giuridici dell’Unione europea: in particolare, regolamenti, direttive e decisioni I più importanti atti normativi dell’Unione, in grado di incidere sull’attività degli Stati membri, in quanto giuridicamente vincolanti per gli stessi, sono i regolamenti, le direttive e le decisioni. A questi atti vincolanti se ne affiancano altri, che però non sono vincolanti per i loro destinatari: si tratta delle raccomandazioni e dei pareri. I regolamenti, in particolare, sono definiti dall’art. 288 del TFUE, ex art. 249 del TCE, come atti a portata generale, obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Caratteristiche fondamentali del regolamento, dunque, sono: — portata generale: il regolamento è destinato a produrre i propri effetti nei confronti di un numero indeterminato e indeterminabile di destinatari (Stati membri, persone fisiche e giuridiche operanti all’interno degli stessi) e le sue prescrizioni recano il carattere dell’astrattezza; — carattere obbligatorio in tutti i suoi elementi: tale requisito sta ad indicare che le norme che esso pone in essere sono destinate a disciplinare la materia e vanno osservate come tali dai destinatari. Detta caratteristica non implica quella della completezza, in quanto il regolamento ben può necessitare di atti esecutivi adottabili da qualsiasi autorità competente, sia nazionale che dell’Unione; — diretta applicabilità in ciascuno Stato membro: tutti i regolamenti dispiegano automaticamente i loro effetti negli Stati membri al pari delle leggi nazionali (senza bisogno quindi di atti di recepimento) e sono idonei a conferire diritti e ad imporre obblighi ai singoli Stati, ai loro organi ed ai privati. Entrano in vigore decorsi 20 gg. dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea o dopo il diverso termine stabilito. Le direttive, invece, a differenza dei regolamenti, sempre ai sensi dell’art. 288 TFUE, ex art. 249 TCE, vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, senza incidere sulla competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi necessari a raggiungere detto risultato. In primo luogo, dunque, le direttive non hanno portata generale, ma hanno come destinatari gli Stati membri. In secondo luogo, le direttive non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in quanto impongono un’obbligazione di risultato (MONACO), lasciando liberi gli Stati di adottare le misure dagli stessi ritenute opportune. Infine, per quanto riguarda l’efficacia, le direttive non sono direttamente applicabili nel momento in cui sono adottate dalle istituzioni (in ciò differenziandosi dai regolamenti); esse hanno un’efficacia mediata nel senso che Estratto della pubblicazione Le fonti del diritto amministrativo 15 creano diritti ed obblighi per i singoli soltanto in seguito all’adozione, da parte dei singoli Stati membri, degli atti con cui vengono recepiti. Tale caratteristica va, però, interpretata alla luce dell’ormai consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, che, a determinate condizioni, ammette una efficacia immediata alla direttiva, in particolare nell’ipotesi in cui lo Stato membro non abbia provveduto a recepirla entro il termine stabilito. La giurisprudenza europea ha, infatti, riconosciuto alla direttiva dettagliata (o self-executing) la capacità di produrre effetti diretti negli ordinamenti interni se e nelle parti in cui ponga obblighi precisi ed incondizionati a carico dello Stato, creando a favore degli amministrati veri e propri diritti soggettivi che compete ai giudici nazionali salvaguardare. Quanto alle decisioni, l’art. 288 TFUE, che ha sostituito la precedente definizione di cui all’art. 249 TCE, reca una significativa innovazione gravida di conseguenze importanti sullo sviluppo del sistema normativo europeo. Le decisioni, tradizionalmente, si distinguono per essere atti indirizzati a destinatari determinati, e in questo senso sono parificate ad atti sostanzialmente amministrativi. Questo loro carattere individuante viene, invece, stemperato dalla definizione di decisione offerta dalla citata disposizione. Stabilendo che «la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi», la norma stigmatizza che questo atto può assumere due forme: la prima, indirizzata a destinatari determinati e corrispondente alla decisione tipica ex art. 249 TCE; la seconda, di tipo indeterminato. Lo sdoppiamento della nozione di «decisione» ha un’influenza anche sul contenuto di questi atti e sul rapporto intrattenuto con gli altri strumenti giuridici. Secondo l’art. 297 TFUE, solo le decisioni che designano i destinatari sono atti legislativi; quelle senza destinatari non lo sono. La dissociazione trova conferma anche nel diverso trattamento a cui sono sottoposti i due atti per le modalità di entrata in vigore. Difatti, le decisioni che non designano i destinatari sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale, mentre le decisioni che designano i destinatari sono notificate agli stessi e hanno efficacia in virtù di tale notificazione. B)L’esecuzione degli obblighi comunitari Uno strumento indispensabile per adattare l’ordinamento interno agli atti delle istituzioni è rappresentato dalla legge comunitaria annuale, originariamente prevista dalla L. 86/1989 (cd. legge La Pergola) e poi disciplinata dalla L. 11/2005 (cd. legge Buttiglione), come modificata dalla L. 96/2010. È una legge annuale con cui si provvede alla ricognizione degli atti dell’Unione europea da recepire nell’ordinamento interno e si procede alla definizione delle opportune procedure per l’adattamento dell’ordinamento nazionale. Si tratta di un provvedimento normativo previsto agli artt. 8 e 9 della L. 11/2005, laddove si impone al Governo di presentare annualmente alle Camere, entro il 31 gennaio, un disegno di legge in grado di disciplinare le modalità di attuazione della normativa dell’Unione europea nell’ordinamento italiano. Tale disegno deve recare la dicitura «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee», completata dall’indicazione «legge comunitaria» seguita dall’anno di riferimento. Estratto distribuito da Biblet 16 Capitolo Secondo Con la legge comunitaria si provvede soprattutto a dare attuazione alle direttive. Strumenti di monitoraggio sul processo di integrazione europea Nel nostro diritto nazionale il Parlamento può monitorare — e quindi valutare — il costante processo di integrazione europea attraverso le Relazioni annuali che il Governo gli deve presentare. L’art. 15, L. 11/2005, sostituito dalla L. 96/2010, prevede due tipi di relazioni. Una prima relazione, che deve essere presentata entro il 31 dicembre di ogni anno, deve indicare: a) gli orientamenti e le priorità che il Governo intende perseguire nell’anno successivo con riferimento agli sviluppi del processo dì integrazione europea, ai profili istituzionali e a ciascuna politica dell’Unione europea; b) gli orientamenti che il Governo ha assunto o intende assumere in merito a specifici progetti di atti normativi dell’Unione, a documenti di consultazione ovvero ad atti preordinati alla loro formazione; c) le strategie di comunicazione del Governo in merito all’attività dell’Unione europea e alla partecipazione italiana alla stessa. Con la seconda relazione, che deve essere presentata entro il 31 gennaio di ogni anno, l’esecutivo deve relazionare sui principali temi relativi alle politiche europee. In particolare, tra gli altri: sugli sviluppi del processo di integrazione europea, registrati nell’anno di riferimento, con specifico riguardo alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea nonchè alle relazioni esterne della stessa, alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell’Unione; sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea con l’esposizione dei principi e delle linee caratterizzanti la politica italiana nei lavori preparatori e nelle fasi negoziali preliminari agli atti legislativi dell’Unione; sulla partecipazione dell’Italia all’attività delle istituzioni per la realizzazione delle principali politiche settoriali. Anche le Regioni sono tenute a dare esecuzione agli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. L’intervento delle Regioni all’attività normativa europea ha trovato una sua compiuta disciplina con l’approvazione della L. cost. 18-10-2001, n. 3. In particolare, l’art. 117, comma 5, Cost. positivizza i tre principi che disciplinano la partecipazione delle Regioni nella formazione e nell’attuazione della normativa dell’Unione europea, cioè: — la previsione di una loro partecipazione nella cd. fase ascendente del diritto europeo, vale a dire all’iter procedurale che porta all’adozione da parte delle istituzioni dell’Unione di determinati atti; — la previsione di una loro partecipazione nella cd. fase discendente del diritto europeo, vale a dire nel momento in cui diventa necessario dare attuazione nel nostro Stato agli atti normativi di matrice europea ed in particolare in quelle materie in cui è prevista una potestà legislativa delle Regioni. I poteri delle Regioni nell’attuazione del diritto europeo sono ora compiutamente disciplinati dalla L. 11/2005 e, nello specifico, dall’art. 16, il quale precisa che le Regioni e le Province autonome: — nelle materie di propria competenza (piena o residuale) possono dare immediata attuazione alle direttive, senza alcuna limitazione; — anche nelle materie di competenza concorrente possono dare immediata attuazione alle direttive, ma, necessariamente, devono essere rispettati i principi fondamentali non derogabili individuati nella legge comunitaria. Estratto distribuito da Biblet Le fonti del diritto amministrativo 17 In ipotesi di immediato recepimento, qualora la legge regionale già emanata sia in contrasto con i principi fondamentali stabiliti nella legge comunitaria vi è una prevalenza di questi ultimi sulle disposizioni regionali (che potrebbe anche costringere le Regioni a modificare la legge già approvata); — la previsione di una legge organica da parte dello Stato che disciplini sia le modalità di esercizio della potestà legislativa per l’attuazione della normativa comunitaria che il relativo potere di intervento sostitutivo. Quest’ultimo, inteso come facoltà per gli organi statali di adempiere direttamente ad obblighi che normalmente sono di competenza degli organi regionali e che da questi non sono rispettati, trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 120 della Costituzione, secondo il quale «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto…della normativa comunitaria». 4. Le leggi ordinarie dello Stato Per leggi ordinarie si intendono gli atti deliberati dal Parlamento secondo il procedimento disciplinato, nelle sue linee essenziali, dagli artt. 70 e ss. della Costituzione e, più ampiamente, dai regolamenti parlamentari. L’appartenenza al tipo legge ordinaria comporta l’assoggettamento a un regime giuridico peculiare, sintetizzato dall’espressione forza o valore di legge. In particolare la legge: a) è idonea a modificare o abrogare, nell’ambito della sua competenza, qualsivoglia disposizione vigente, fatta eccezione per quelle di rango costituzionale; b) è in grado di resistere all’abrogazione e alla modificazione da parte di fonti ad essa subordinate; c) può essere soggetta al controllo di conformità alla Costituzione e alle altre disposizioni di rango costituzionale soltanto da parte della Corte costituzionale; d) può essere sottoposta a referendum abrogativo ex articolo 75 Cost. Differenze Con riferimento alla «legge» è possibile operare la seguente distinzione: — per leggi in senso formale si intendono quegli atti deliberati dalle due Camere o dagli altri organi cui è costituzionalmente attribuita la funzione legislativa (Consigli regionali e Consigli provinciali di Trento e Bolzano) secondo il procedimento disciplinato dagli artt. 70 e ss. Cost., dai regolamenti parlamentari, dagli Statuti regionali e dai regolamenti dei Consigli regionali e provinciali; — per leggi in senso materiale, invece, si intendono tutti gli atti a contenuto normativo, indipendentemente dagli organi che li pongono in essere e quale che sia il procedimento della loro formazione (anche gli atti aventi forza di legge del Governo rientrano in questa categoria). La dottrina ha delineato anche la figura delle leggi meramente formali che, pur essendo rivestite della forma di legge, non hanno contenuto normativo, non sono in grado, cioè, di innovare il diritto oggettivo. Rientrano in tale categoria le leggi di approvazione del rendiconto consuntivo. La Costituzione e le altre leggi costituzionali possono riservare determinate materie o oggetti alla legge. In un regime a Costituzione rigida ciò rappresenta un limite per lo stesso legislatore che: a) non può consentire a fonti di rango secondario (in pratica i regolamenti dell’esecutivo) di intervenire nella disciplina di queste materie, se non in modo assai marginale; b) deve regolare compiutamente i settori da disciplinare in modo da limitare la discrezionalità delle autorità amministrative e giurisdizionali chiamate a concretizzare il dettato legislativo. Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet 18 Capitolo Secondo Le riserve, infatti, si distinguono in: — riserve assolute, che escludono la possibilità di determinare certe materie con fonti di grado secondario, lasciando tale determinazione solo alla legge o a atti aventi forza di legge; — riserve relative, in base alle quali l’intervento della legge è previsto solo per definire le caratteristiche fondamentali della disciplina, lasciando spazio alle fonti secondarie di intervenire per definirla compiutamente; — riserve di legge costituzionale, quando la materia è affidata a leggi costituzionali (ad es.: artt. 71, 116, 132, 137 comma 1, Cost.). In tal caso la riserva è sempre assoluta. 5. Gli atti aventi forza di legge: i decreti legislativi e i decreti-legge I decreti legislativi delegati sono atti aventi forza di legge emessi dal Governo sulla base di una legge-delega del Parlamento. Tale legge-delega deve, in base all’art. 76 Cost., contenere: — i principi ed i criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi; — il limite di tempo entro il quale il Governo deve legiferare; — l’oggetto «definito» del decreto. Nulla vieta che le Camere impongano al Governo anche altri limiti oltre quelli inderogabili previsti dalla Costituzione. Di regola, il Parlamento ricorre a tale delega quando la materia da disciplinare richiede un certo grado di specializzazione, oppure quando la disciplina da introdurre necessita di essere trattata in modo unitario ed omogeneo. È bene chiarire che ciò che viene delegato al Governo non è il potere legislativo, bensì il solo suo esercizio. I decreti-legge, invece, sono disciplinati dall’art. 77 Cost., in base al quale, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo può, sotto la sua responsabilità, adottare provvedimenti provvisori con forza di legge, ma il giorno stesso deve presentarsi alle Camere per la conversione. Queste ultime, anche se sciolte, vengono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. Presupposto indefettibile affinché il Governo possa legittimamente emettere decreti-legge è la ricorrenza di una situazione di necessità ed urgenza per far fronte alla quale si renda necessario un intervento tempestivo. Tale situazione potrebbe essere determinata da un fatto naturale, come un terremoto o un’alluvione, ma potrebbe trattarsi anche di «un vuoto legislativo causato da una sentenza della Corte costituzionale che richieda di essere colmato» (MARTINES). In base all’articolo 77 Cost., il decreto-legge deve essere convertito in legge entro 60 giorni o perde la sua efficacia sin dall’inizio (ex tunc). Anche quando il decreto non viene convertito, il legislatore ordinario può intervenire a disciplinare i rapporti sorti sulla sua base attraverso una apposita legge di sanatoria o convalida. Le fonti del diritto amministrativo 19 6. La cd. legge-provvedimento o atto amministrativo legificato A)Nozione L’uso dell’espressione atto amministrativo legificato (o legge-provvedimento) ricorre per qualificare quegli atti normativi che, «essendo approvati dalle Camere secondo le procedure di formazione della legge hanno perciò la forma della legge, ma non hanno della legge il tipico contenuto genuinamente normativo, ossia generale ed astratto» (Guastini). Lo stesso dicasi per le leggi regionali che attribuiscono dignità legislativa a statuizioni concrete di carattere amministrativo (ad es., sono tali le leggi regionali che realizzano la variazione della circoscrizione territoriale dei Comuni ovvero ne dispongono la variazione della denominazione: cfr. Corte cost., 9-2-2011, n. 36). Trattasi, in definitiva, di leggi che, anziché limitarsi a prevedere i casi da regolare, provvedono concretamente su casi e rapporti specifici, attraendo nella propria sfera di disciplina materie e oggetti normalmente affidati all’attività amministrativa. La peculiarità delle leggi provvedimento risiede, dunque, nella difficoltà di conciliare due aspetti contrastanti: il valore di legge (e quindi la caratterizzazione lato sensu politica) da una parte e l’effettività della tutela giurisdizionale, garantita agli atti amministrativi, dall’altra. B)La compatibilità costituzionale delle leggi-provvedimento La questione della compatibilità costituzionale delle cd. leggi-provvedimento è stata fortemente dibattuta fin dall’inizio della storia repubblicana. Specificamente investita della questione, la Consulta ha riconosciuto l’ammissibilità di tale categoria di atti normativi sulla base del duplice rilievo dell’insussistenza di una riserva di amministrazione, in quanto la Costituzione non garantisce ai pubblici poteri l’esclusività delle pertinenti attribuzioni gestorie, e dell’inconfigurabilità per il legislatore di limiti diversi da quello — formale — dell’osservanza del procedimento di formazione delle leggi, posto che la Costituzione omette di prescrivere il contenuto sostanziale ed i caratteri essenziali dei precetti legislativi (Corte cost., 25-5-1957, nn. 59 e 60; 21-3-1989, n. 143; 24-2-1995, n. 63; 21-7-1995, n. 347). Secondo la ricostruzione concettuale dell’istituto operata dalla Corte, il valore ed il regime giuridico della legge derivano unicamente dalla sua qualificazione formale e prescindono dalla natura generale ed astratta delle disposizioni in essa contenute. Corollario di tale impostazione è che la legge, qualunque sia il suo contenuto materiale, soggiace al regime di valore suo proprio, di talchè la sua validità può essere scrutinata solo dalla Corte costituzionale, così come solo dal medesimo organo possono essere eliminati i suoi effetti. Inoltre, onde evitare che la legge-provvedimento si atteggi a strumento di elusione o minorazione della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza della Corte costituzionale rimarca la necessità di un sindacato di ragionevolezza più stretto e penetrante in confronto a quello praticato per le leggi generali Estratto distribuito da Biblet 20 Capitolo Secondo e astratte, con riferimento alle specifiche peculiarità del caso (cfr. Corte cost. nn. 153/1997, n. 2/1997 e 429/2002). Da ultimo, una ricognizione sulle leggi-provvedimento è stata effettuata dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza 22-7-2010, n. 270. Con la detta decisione i giudici, dopo aver riaffermato la legittimità di tali particolari tipi di leggi, hanno ribadito che «la legittimità di questo tipo di leggi va, in particolare, «valutata in relazione al loro specifico contenuto» (sentenze n. 137 del 2009, n. 267 del 2007 e n. 492 del 1995) e devono risultare i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione (sentenza n. 137 del 2009). Peraltro, poiché la motivazione non inerisce agli atti legislativi (sentenza n. 12 del 2006), è sufficiente che detti criteri, gli interessi oggetto di tutela e la ratio della norma siano desumibili dalla norma stessa, anche in via interpretativa, in base agli ordinari strumenti ermeneutici, fermo restando che il sindacato di questa Corte sulla eventuale irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore «non può spingersi fino a considerare la consistenza degli elementi di fatto posti a base della scelta medesima» (sentenze n. 347 del 1995 e n. 66 del 1992)». 7. I regolamenti A)Nozione e fondamento L’art. 14 del D.P.R. 24-11-1971, n. 1199, in materia di ricorsi amministrativi, definisce i regolamenti come «atti amministrativi generali a contenuto normativo». I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, poiché emanati da organi amministrativi (cioè Governo, enti locali territoriali, enti autarchici, ed in certi casi anche da organi della P.A.), ma aventi forza normativa, in quanto contenenti norme idonee ad innovare l’ordinamento giuridico, con i caratteri di generalità ed astrattezza; in questo risiede la differenza tra tali regolamenti e quelli adottabili dagli enti di diritto privato. Il fondamento della potestà regolamentare è riposto nella legge: gli organi amministrativi possono emanare regolamenti solo quando una legge attribuisca loro tale potere. Principale norma attributiva del potere regolamentare è data dall’art. 17 L. 400/1988, che funge da clausola generale. B)Limiti alla potestà regolamentare I regolamenti non possono: a) derogare o contrastare con la Costituzione, né con i principi in essa contenuti; b) derogare né contrastare con le leggi ordinarie, salvo che sia una legge ad attribuire loro il potere, in un determinato settore e per un determinato caso, di innovare anche nell’ordine legislativo (delegificando la materia); c) regolamentare le materie riservate dalla Costituzione alla legge ordinaria o costituzionale (riserva assoluta di legge); d) derogare al principio di irretroattività della legge (la legge, invece, può derogarvi, in quanto tale principio è sancito dall’art. 11 disp. prel. al codice civile e, dunque, da una fonte di pari efficacia); e) contenere sanzioni penali, per il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.); f) i regolamenti emanati da autorità inferiori non possono mai contrastare con i regolamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori; g) regolamentare istituti fondamentali dell’ordinamento. Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet Le fonti del diritto amministrativo 21 C)Classificazione 1)A seconda dei soggetti pubblici che li emanano, i regolamenti si distinguono in: — statali, se vengono emanati da organi dello Stato; i regolamenti statali, a loro volta si distinguono in: — governativi, se deliberati dal Governo; — ministeriali, se emanati da singoli componenti del Governo, o dal suo Presidente; — non governativi, se emanati da autorità amministrative inferiori (Prefetto, comandante di porto etc.). Tali regolamenti, a differenza di quelli governativi, hanno portata settoriale e la loro efficacia è limitata al territorio nella cui sfera ha competenza l’autorità che li ha emanati; — non statali, se vengono emanati dagli enti territoriali, quali Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane (v. infra parr. 8 e 9). Possono anche essere emanati da altri enti, quali Ordini e Collegi professionali, Camere di commercio, industria e artigianato. La potestà regolamentare è attribuita anche alle autorità amministrative indipendenti (sulle quali v. infra Cap. 4, Sezione Seconda, par. 7). 2)A seconda del contenuto i regolamenti governativi, in particolare, si distinguono in: a) regolamenti di esecuzione: necessari per curare l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti europei. L’emanazione di tale tipologia di regolamento risulta indispensabile allorquando le norme di rango primario, per la loro formulazione astratta o particolarmente tecnica, necessitano di norme di dettaglio o esplicative; b) regolamenti integrativi: operano in materie coperte dalla sola riserva relativa di legge e sono finalizzati ad attuare altre disposizioni mediante un’opera di integrazione delle stesse, con discreta libertà di manovra; c) regolamenti indipendenti: destinati a disciplinare, nel rispetto delle norme di grado superiore, le materie attribuite in proprio (dalla legge) alla competenza della P.A. (cioè non coperte da riserva di legge). Detti regolamenti presuppongono una legge che attribuisca alla P.A. la generale competenza ad emanare norme in una determinata materia (es.: regolamenti di polizia veterinaria, in materia di igiene pubblica); d) regolamenti di organizzazione: erano previsti dall’art. 1, L. 100/1926, e riguardavano l’organizzazione degli uffici amministrativi. Anche se l’art. 97 Cost. stabilisce che l’organizzazione dei pubblici uffici deve essere disposta con legge (riserva relativa di legge), tuttavia ciò non importa una soppressione, ma solo una limitazione della potestà della P.A. in materia di organizzazione: il principio di cui all’art. 97 Cost., infatti, rappresenta una semplice regola direttiva in ordine al contenuto delle norme di organizzazione di natura regolamentare; Estratto della pubblicazione Estratto distribuito da Biblet 22 Capitolo Secondo e) regolamenti delegati o autorizzati, detti anche regolamenti di delegificazione (art. 17, comma 2), che sono emanati in base ad apposite leggi che autorizzano i regolamenti ad introdurre una determinata disciplina di una specifica materia che andrà a sostituire quella di rango legislativo che, pertanto, si ha per abrogata dal momento dell’entrata in vigore di quella regolamentare. Tale procedimento di delegificazione non è ammesso nelle materie coperte da riserva assoluta di legge; f) regolamenti di riordino (art. 17, comma 4ter, introdotto dall’art. 5, L. 69/2009), con i quali si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete. Ciò ai fini di una migliore conoscenza delle fonti normative secondarie. L’art. 11 L. 11/2005 (legge comunitaria annuale), infine, prevede i regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie. In base a tale disposizione, la legge comunitaria annuale (con la quale si realizza il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario) può autorizzare il Governo ad attuare le direttive comunitarie mediante regolamento, purché si versi in materie già disciplinate con legge ma non coperte da riserva assoluta. Differenze Una importante distinzione soprattutto per le ripercussioni sul sistema delle fonti del diritto è quella tra regolamenti esterni e regolamenti interni. I regolamenti esterni sono espressione del potere di supremazia di cui l’esecutivo dispone verso tutti i cittadini e chiunque altro si trovi nel territorio dello Stato. Sono fonti del diritto, e la loro violazione costituisce violazione di legge, sanzionabile in sede giurisdizionale; i regolamenti interni, invece, regolano l’organizzazione interna di un organo o di un ente, obbligando solo coloro che fanno parte dell’ufficio, organo, od ente. Sono espressioni del potere di auto-organizzazione dell’ente o dell’organo stesso, perciò non sono fonti del diritto e la loro violazione non costituisce vizio dell’atto emanato dall’organo o ente, salvo casi eccezionali. D)Impugnabilità dei regolamenti La problematica dell’impugnazione in sede giurisdizionale dei regolamenti amministrativi è strettamente collegata alla peculiare natura giuridica degli stessi: i regolamenti, infatti, come detto in precedenza, sono atti formalmente amministrativi ma aventi forza normativa, in quanto contrassegnati dai caratteri della generalità ed astrattezza, tipici delle norme giuridiche. La questione più dibattuta ha riguardato proprio la possibilità di esperire un’impugnativa autonoma nell’ordinario termine decadenziale (60 giorni) previsto per adire il giudice amministrativo: se la natura di atto amministrativo indurrebbe ad una simile prospettazione, l’inidoneità del regolamento a produrre una lesione immediata della sfera giuridica altrui, imporrebbe, invece, una soluzione diversa per cui lo stesso andrebbe impugnato solo congiuntamente al relativo provvedimento d’attuazione. Estratto della pubblicazione Le fonti del diritto amministrativo 23 Sulla questione, la dottrina (GAROFOLI-FERRARI, BELLOMO) distingue tra: — i regolamenti volizioni-preliminari, i quali, regolamentando solo la condotta dell’amministrazione, sono insuscettibili di produrre autonome lesioni nella sfera giuridica altrui e, di conseguenza, non devono formare oggetto di impugnativa autonoma nel termine decadenziale. Per questi, quindi, vale il principio della doppia impugnativa, del regolamento e dell’atto esecutivo congiuntamente; — i regolamenti volizioni-azioni, che, in quanto contenenti disposizioni immediatamente lesive della sfera giuridica dei privati, devono essere immediatamente impugnati, con decorrenza del termine dal giorno della pubblicazione del regolamento nella Gazzetta Ufficiale. Connessa a tale questione è, poi, quella relativa alla possibilità che il regolamento amministrativo, posta la sua natura di fonte del diritto, possa essere disapplicato dall’autorità giurisdizionale, anche in difetto di autonoma impugnativa. Quanto al potere di cognizione del giudice ordinario, la questione non si pone, considerato che ai sensi dell’art. 5 L. 2248/1865, All. E. (cd. legge sul contenzioso amministrativo – L.A.C.) il G.O. ha il potere di conoscere del regolamento in via incidentale e di disapplicarlo, con effetti limitati al giudizio. Più problematica è la questione della disapplicazione del regolamento da parte del giudice amministrativo. Da una parte, infatti, un simile potere di disapplicazione contrasterebbe con il carattere impugnatorio del processo amministrativo ed inoltre nemmeno è prevista, per il G.A., una previsione dello stesso tenore di quella dell’art. 5 L.A.C.; dall’altra parte, invece, si potrebbe affermare che il potere di disapplicare il regolamento amministrativo illegittimo discende immediatamente dal sistema delle fonti del diritto e dal principio iuris novit curia che impone al giudice della cognizione l’esame complessivo del quadro normativo e l’applicazione della norma di diritto prevalente (cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 30-6-2011, n. 708). Nel processo amministrativo, quindi, nel caso di impugnativa del solo provvedimento amministrativo che presuppone un regolamento illegittimo (non autonomamente impugnato), si è distinto il caso in cui il provvedimento sia adottato conformemente a legge ed in contrasto con il regolamento illegittimo (cd. rapporto di simpatia), per cui si avrà vera e propria disapplicazione di quest’ultimo, da quello in cui il provvedimento amministrativo sia attuativo di un regolamento illegittimo (cd. rapporto di antipatia) e si avrà annullamento del provvedimento attuativo. Per quanto riguarda gli effetti della pronuncia di annullamento di un regolamento amministrativo illegittimo, viene de plano che la stessa, in considerazione della portata generale ed astratta dei regolamenti, produca effetti erga omnes (in tal senso, Cass., sez I, 22-5-2009, n. 11920). 8. Le fonti regionali Come si è visto, l’attuale sistema delle fonti risulta caratterizzato dalla presenza di numerosi centri di produzione normativa. Tra questi rientrano le Regioni, alle quali la Costituzione attribuisce il potere di darsi una disciplina che regola la propria organizzazione ed il proprio funzionamento attraverso l’approvazione dello Statuto (autonomia statutaria), il potere di emanare atti, quali le leggi regionali, capaci di innovare il diritto oggettivo (autonomia legislativa) e il potere di darvi esecuzione attraverso l’approvazione di regolamenti e atti amministrativi regionali (autonomia amministrativa). Estratto distribuito da Biblet 24 Capitolo Secondo A)Gli Statuti regionali La principale fonte dell’ordinamento regionale è costituita dallo Statuto, atto con il quale l’ente disciplina la propria organizzazione ed il proprio funzionamento per tutte le attività non regolate direttamente dalla Costituzione. È possibile distinguere tra: a) gli Statuti delle 5 Regioni speciali (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia), che hanno forma e sostanza di leggi costituzionali: non sono, cioè, espressione di autonomia, pur costituendo la base dell’ordinamento regionale. Tali leggi hanno un ambito territoriale limitato e sono in grado di derogare alla Costituzione, purché ciò sia necessario per garantire alle Regioni forme e condizioni particolari di autonomia (art. 116 Cost.); b) gli Statuti delle Regioni ordinarie. Si tratta di atti che, ai sensi dell’art. 123 Cost., hanno la natura di leggi regionali rinforzate: essi, infatti, devono essere approvati e modificati dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Lo Statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo Statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. B)Le leggi regionali La Costituzione attribuisce alla Regione la potestà di adottare atti aventi valore di legge ordinaria nelle materie indicate dall’art. 117 e con un’efficacia limitata al solo territorio regionale. Alla luce della nuova formulazione dell’art. 117 Cost., in seguito alle modifiche apportate dalla L. cost. 3/2001, la potestà legislativa delle Regioni può essere: — bipartita o concorrente. In questo caso «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato» (art. 117, comma 3, Cost.). Nelle materie indicate, infatti, le leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dal legislatore statale; — residuale o esclusiva. L’art. 117 Cost. è strutturato nel senso di fornire un primo elenco di materie di esclusiva competenza statale, cui fa seguito un elenco di materie in cui vi è una potestà legislativa concorrente (Stato e Regioni). Infine, il legislatore costituzionale ha previsto che per tutte le materie non indicate in questi due elenchi spetta alle Regioni una potestà legislativa residuale, in virtù della quale queste ultime possono legiferare in assenza di vincoli derivanti da leggi statali (si potrebbe parlare in questo caso di leggi primarie a competenza territoriale limitata). Gli unici limiti all’esercizio di tale potestà legislativa sono costituiti dal rispetto delle dispo- Estratto della pubblicazione