Storie di Mi chiamo Noemi Giustri, ho 27 anni e questa è la mia prima esperienza carceraria. Sono stata arrestata il 5 maggio scorso, a seguito di uno scippo. Purtroppo per me, il mio complice è riuscì a fuggire, così io restai l’unica imputata (reato con lesioni e ricettazione, visto che io e il mio complice eravamo in possesso di un ciclomotore rubato; tutti e tre gli articoli mi sono stati dati in concorso). Ho fatto il processo di primo grado per rito abbreviato e sono stata condannata a due anni e sei mesi di reclusione. Mi trovo alla Casa a Custodia Attenuata Femminile di Empoli dal 5 agosto 2003. Qui mi sono adattata subito all’ambiente e alle compagne. Le mie giornate sono organizzate fra lavoro (mattina) e corsi e studi (pomeriggio). So che se mi trovo in carcere è perché stavo vivendo una realtà diversa, distorta. Da tossicodipendente. La tossicodipendenza giorno dopo giorno mi stava annientando. Mi ero isolata da tutto e da tutti e assumere sostanze stupefacenti era diventato il mio primo pensiero; volevo invece che il primo pensiero di ogni mia giornata fosse rivolto alla vita, ma così non è stato: la dipendenza, per me, era troppo forte per permettermi di vedere altro. Ho iniziato a usare l’eroina a 25 anni. Dopo varie sventure sono caduta in questo vizio diabolico, in un periodo alquanto nero della mia vita passata. Me ne sono andata dalla casa dei miei genitori a 18 anni, per seguire quello che credevo fosse l’uomo della mia vita. Quanto mi sbagliavo! Nei sette anni di convivenza con Giancarlo ne ho passate tante, forse troppe. A 21 anni sono rimasi incinta del mio primo figlio, che oggi ha sette anni e vive con la famiglia adottiva in Toscana. Quando conobbi Giancarlo studiavo in una scuola privata per conseguire il diploma di assistente sociosanitario, che poi mi avrebbe permesso di entrare alla scuola infermieri. Inoltre lavoravo come pr (pubbliche relazioni) per una discoteca di Firenze. Andai a vivere con Giancarlo prima presso amici e poi in una camera in affitto, che pagavo con i soldi guadagnati con il lavoro di pr per la discoteca. Iniziai anche ad occuparmi della gestione della pubblicità per alcune ditte, tra le quali una nota radio fiorentina. Guadagnavo abbastanza bene da permettere al mio compagno di non lavorare. Dopo un anno e mezzo di convivenza, rimasi incinta. La mia famiglia non volle aiutarmi, quella di Giancarlo non poteva. Andai in una casa famiglia in Toscana, con mio figlio. Ero ingenua, ma anche desiderosa e bisognosa di avere un punto di riferimento, che trovavo nel mio compagno (anche se poi non lo era). Dopo cinque giorni che ero nella casa famiglia, lui mi telefonò e mi intimò di raggiungerlo: se non lo avessi fatto sarebbe partito per Sarno (Salerno), il suo paese di origine. Stupidamente, ingenuamente, corsi dall’uomo che consideravo il mio grande amore. Il bambino restò alla casa. Mi maledico per aver anteposto un uomo a mio figlio, sangue del mio sangue. Iniziò per me un periodo strano, irreale. Non mi rendevo conto che ero stata l’artefice di un gesto disumano. Non avevo più un impiego e così iniziai a fare colletta alla stazione. Per un po’ di tempo andò abbastanza bene; certo, riuscivo a far fronte ai bisogni primari miei e del mio compagno, ma spesso mi trovai a dover dormire nelle sale d’attesa della stazione o nei vagoni in deposito. 8 Preferisco non spiegare come, ma mi trovai ad esercitare la prostituzione. Avevo bruciato tutto ciò che avevo di umano, andando contro i miei stessi principi. Non avevo più stima di me, non avevo orgoglio, ma soprattutto volevo o credevo di amare solo il mio compagno e non me stessa. Nel marzo del ’97 rimasi incinta la seconda volta. Avendo subito un taglio cesareo e per la paura di perdere anche quel figlio, abortii. Nel giugno dell’anno successivo rimasi incinta per la terza volta. Fortunatamente trovai lavoro in un’agenzia pubblicitaria di un conoscente, che mi diede anche un alloggio. A febbraio del ’99 mio padre prese in affitto per me un bilocale a Empoli, mi comperò tutto l’occorrente per la bambina e provvide al mantenimento mio, del mio compagno e di mia figlia. Questo per due mesi, dopo i quali trovò anche un impiego al mio compagno. Mia figlia è stata ed è tuttora per me la cosa più bella al mondo, l’unica che io abbia amato veramente: oramai sono due anni che non la vedo e non ne ho notizie. Purtroppo, un giorno mi suonarono alla porta due poliziotti e due assistenti sociali, con in mano un decreto di allontanamento della bambina da me e Giancarlo. La bambina venne affidata all’Istituto degli Innocenti dove, dopo tanto lottare, sono riuscita a raggiungerla. Dopo undici mesi che la bambina era in quell’istituto ci fu un’udienza, a seguito della quale fu resa adottabile. Mi cadde il mondo da sotto i piedi. Avevo perso la bambina, la seconda creatura che avevo messo al mondo. Ero sola, non mi interessava più niente. Ero senza un alloggio, senza un lavoro e… sola. Iniziai di nuovo a prostituirmi e per cercare di non pensare cominciai a fumare eroina con amici e compagni di sventura. Una sera ero nella macchina di un amico femminiello e di un altro ragazzo. Il femminiello, Andrea, usava la roba da quasi dieci anni e se la iniettava. L’altro ragazzo, non tossicodipendente, si fece fare da Andrea un piccolo schizzo. Io non avevo gli attrezzi per fumare l’eroina, così quando vidi che Andrea scioglieva insieme alla sua busta anche la mia, dicendomi Noemi, domani ti restituisco i soldi, presi una decisione. Volevo provare anch’io le sensazioni che si hanno facendosi in vena, così Andrea mi fece il primo buco della mia vita. Per tre giorni stetti sempre con lui e con il suo amico. Era un continuo bucarsi. Una notte, io e Andrea restammo soli e lui mi invitò a trascorrere qualche giorno a casa sua. Fu un’esperienza che non dimenticherò. Al piano inferiore c’era la cucina, fuori uso, con il frigo staccato, un tavolo sgangherato e un’unica sedia in legno, semidistrutta. Al piano superiore una stanza con un letto matrimoniale (i lenzuoli e la trapunta erano sempre, perennemente, i soliti, sudici e logori), la corrente era staccata e qua e là c’erano candele accese. Nel bagno non funzionava l’acqua, era pieno di mosche e moscerini per la sporcizia. Sulle pareti del bagno una quantità infinita di schizzi di sangue. Dopo aver vissuto quella realtà, ero sicura che mai e poi mai avrei fatto la stessa fine. Ahimé, l’ho fatta! n.b.: ora ho la possibilità di riscattarmi creandomi una nuova esistenza, sana e umana! Storie di Mi chiamo Federica, vengo da Foligno in provincia di Perugia, la mia condanna (provvisoria) è di quattro anni e sei mesi, sempre per reati legati alle sostanze stupefacenti. Ho una bambina di dieci anni, di nome Erika, sono venuta qui a Empoli per darle una madre migliore e per riallacciare i rapporti con lei; qui mi stanno aiutando molto per questo. Finora ho avuto ottimi risultati, mi stanno dando davvero una mano, non posso ancora chiamare né vedere Erika, ma presto potrò scriverle e questo è già un primo passo. So che la strada è lunga, e in salita, perché ancora devo rimettere a posto delle cose in me stessa e durante questo percorso spero di smussare i lati negativi del mio carattere, che si è formato sulla base del mio passato. All’inizio odiavo i tossici, mi facevo solo le canne, ero una di quelle il cui motto era fai l’amore sotto le stelle, fatti una canna ragazza ribelle ma non bucare mai la tua pelle… Un giorno, entrando in casa del mio migliore amico all’improvviso, lo vidi che si bucava. Mi chiese di stringergli il braccio; io lo feci dopodiché me ne andai, me ne andai veramente e non gli parlai più per due anni. Ero fidanzata in casa e il mio ragazzo faceva il militare a Foligno, dove abitavamo entrambi. Ogni sera era sempre più esaurito e decisi di lasciarlo per non logorare il rapporto. Ma ci soffrivo tantissimo, così una sera andai dal mio ex migliore amico per chiedergli di farmi una sola volta. Lì è cominciato il calvario. Si comincia sempre con una schifosa “sola volta”. Poi ho conosciuto il padre di mia figlia, il quale era contrario all’eroina, ma era cocainomane e fumava. Con lui smisi e quando rimasi incinta smisi proprio con tutto. Mia figlia fu la forza per quel miracolo… Purtroppo a volte le sofferenze incombono. La botta finale fu la morte del mio convivente e io mi persi ancora di più, compiendo reati non solo per la droga ma anche per mantenere lo stile di vita che lui mi offriva. Avevo profumi di tutte le marche, abiti firmati, anelli bellissimi. Il tutto poi si è trasformato in un cumulo di reati per i quali sono qui. Sono ancora all’inizio, devo cambiare le mie modalità, scrollarmi di dosso lo stile del carcere ordinario dove ho passato tanto tempo: cinque anni. Ho 31 anni, ma a volte scherzo e gioco come una bambina. Ho sempre la battuta pronta, a volte non mi rendo conto di esagerare e c’è chi mi prende sul serio… La mia possibilità di riscatto e cambiamento si chiama Erika: è lei il mio percorso. Insieme cresceremo e forse un giorno potrò raccontarle tante cose e tenerla lontana da quello che io ho passato. Un buon Natale a tutti, soprattutto a te, piccolina, con una carezza che ti arriverà con un soffio di vento. Ti voglio bene, la tua mamma. di Mi chiamo Anna, sono di Roma, sono arrivata a Empoli da Rebibbia, dove ho trascorso gli ultimi sei mesi. Sono una persona molto riservata, non racconterò molto della mia vita, anche perché dovrei scrivere un intero libro. Adesso sono a metà di questa storia alla quale non so dare un titolo. Forse, potrebbe essere “Alla ricerca della libertà”, perché tutto mi ha portato la vita fuori che la libertà. Cosa significa per me questa parola? Significa non dovermi sottomettere a regimi, non dover dire sempre di sì perché gli agenti hanno sempre ragione. In questa carcerazione sembro molto più tranquilla, ma dentro di me forse più arrabbiata. Perché? Perché a 48 anni portati bene (senza modestia) devo scontare la bellezza di sette anni provvisori, infatti mi devono ancora arrivare altri definitivi. In tutta questa brutta storia c’è un capitolo molto luminoso e caldo. E’ mio figlio, che non mi ha mai abbandonato e che io amo più della mia vita, forse è anche grazie a lui che continuo a lottare e sono venuta a Empoli per fare un percorso di recupero, cosa che non avrei potuto fare a Rebibbia. Lui viene puntuale tre volte al mese e mi rende molto felice, nonostante sappia che per lui è un sacrificio venire da Roma, ma l’amore per la mamma non conosce distanze. E per fortuna è un ragazzo serio, un vero tesoro, perché per me è anche un amico sul quale posso contare. Credo con queste parole di aver fatto capire chi sono, ma il bello deve ancora venire visto che anch’io, alla mia età, qualcosa devo ancora cambiare e il cammino è lungo. 9 Storie di Sono tornata! Eccomi di nuovo tra voi. Sono stata via per tre mesi e mezzo, non in permesso premio ma in affidamento in comunità. E’ stata una bella esperienza. L’inserimento l’ho fatto alla comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini ed è stata una esperienza bellissima. Conoscevo tutti, ero amica di tutti e mi sentivo come a casa. Il responsabile, che si chiama Gerry, mi ha dato affetto come un vero padre, che io non ho mai avuto, e mi ricordo sempre delle sue battutine che mi facevano ridere. Ho conosciuto le sue bellissime tre figlie e la moglie Stefania, che è una persona meravigliosa, e lo devo ringraziare per tutto il bene che mi ha fatto, anche se qualsiasi ringraziamento non sarà mai sufficiente per ricompensarlo. Anche gli altri due operatori, Teo e Mirco, con cui facevo i colloqui individuali e con cui parlavo liberamente della mia vita (cosa che non potevo fare nel gruppo) mi sono stati molto vicini, con consigli che mi sono stati molto preziosi. Grazie Mirco e Teo (non vi ho dimenticato, vi voglio bene). Sono molto affezionata a tutti loro e me li ricordo con affetto, li rivedrei tanto 10 volentieri, mi farebbe un immenso piacere riabbracciarli. In questa situazione, in cui mi sentivo proprio come a casa mia, ho fatto una cavolata e loro, giustamente, hanno dovuto fare il loro lavoro. Sono stata spostata in un altro istituto dove non mi sono trovata bene e sono andata in depressione. Mi mancava tutta la comunità di Rimini e la mia permanenza in questa nuova comunità è stata un disastro di cui non ho voglia di parlarne perché mi ha deluso profondamente. A un cer to punto non ho più retto e me ne sono andata. Sapendo che avevo una condanna da scontare di quattro anni mi sono rivolta al mio SerT per di rientrare nel carcere del Pozzale. Ci sono riuscita e con il loro aiuto mi sono costituita con la mia assistente sociale e l’affidataria di mio figlio direttamente presso la Casa Circondariale di Empoli. Qui sto bene, lavoro, mi aiutano anche psicologicamente e non mi sento tanto in carcere come nell’ordinario. Qui ci sono tanti corsi e facendo le cose le giornate passano. Vorrei inoltre salutare Dino e tutti i ragazzi dell’accoglienza Centro Crisi. BUON NATALE e FELICE ANNO NUOVO a tutti. Un saluto par ticolare alla mia principessa Rosanna e al mio principe Daigor, i miei figli, le persone a cui voglio più bene al mondo. Siete sempre nei miei pensieri e nel mio cuore. Voi siete ciò che mi dà la forza di andare avanti e con il vostro aiuto riusciremo a ricongiungerci. BUON NATALE figli miei e FELICE ANNO NUOVO anche a Giovanna, Eva, suo marito Iacopo, Laura, Carlo e alla bambina piccola che porterà tanta felicità. Sono rinchiuso in una cella, penso sempre ai miei cari provo a chiedere, a me stesso, il motivo della mia carcerazione mi risponde il mio inconscio con una voce convinta, mi chiedo chi me lo ha fatto fare di cacciarmi nei guai! IO personalmente dico, che, se ho scelto questa strada, fatta di insidie e sbagli, devo essere anche cosciente di dover scontare la pena che ho preso. Però se hai vicino persone giuste, quelli che ti aiutano tanto moralmente, la carcerazione allevia di molto la sofferenza. (Questa è la poesia scritta dal mio Ivan, Roberta) Storie di Guardo le stelle e dedico un pensiero a tutte le persone a cui voglio bene… Le stelle sono state sempre vicine a me in questa esperienza lunga e sofferta. All’inizio ricordo che dal mio letto potevo osservare con attenzione la notte e ogni sua piccola luce. Nella mia immaginazione le univo e parlavo loro come se potessero rispondermi. Un giorno, fuori, avrei potuto contarle. Non mi hanno mai risposto e così ho capito che sarebbe passato molto tempo. Così è stato, molto tempo è passato, quasi cinque anni, nei quali ho cambiato di posto cinque volte. Mio padre in quel periodo se ne andò per sempre, senza un saluto, una carezza. Ho reagito molto male e nelle notti d’inverno, senza nemmeno curarmi del freddo, guardavo le stelle e mi ostinavo a parlare con loro, volevo che mio padre fosse con me. Una notte vidi una stella bellissima e piansi, piansi tantissimo e tra le lacrime decisi che quella era la stella di mio padre, e gliela dedicai. Recentemente ho cominciato a usufruire di permessi, il primo era di giorno, e potei veder splendere solo il solo. In quello successivo ho potuto apprezzare le stelle; cercavo quella del mio babbo, ma non la trovavo più… Una notte, rientrando con una persona a cui tengo molto, dopo aver visto a teatro “Il gabbiano” di Anton Cechov, la vidi, all’improvviso. Rimasi in silenzio e capii, sentii, che mio padre era con me, che era felice perché io lo ero. Amo il teatro come amo la stella di Davide che è il mio Messia (sono ebrea). Fra qualche mese sarò libera e dovunque andrò seguirò la mia stella. Lotterò per la passione che nutro per il teatro, mi impegnerò per crescere ed essere migliore di quello che il cielo aveva destinato per me. Anche se forse non brillerò come i miei fratelli, so bene che il mio babbo riuscirà a vedere la mia piccola luce mentre seguo i miei ideali, mi impegnerò nel teatro e accanto a me ci saranno la mia stella e il mio sole. dante, urla di esseri che non rispondono. Estranea in un mondo di estranei, sento messaggi che scuotono la mia sofferenza, la mia solitudine. di È mattina. Non so esattamente che ore sono. Anzi, non lo so proprio. Ormai le mie sensazioni le vivo a livello di subconscio. Proprio così. Sono sveglia ma è come se dormissi tutto il tempo! Vivo in un mondo tutto mio, mondo di fantasia, sogni, illusioni. Intorno a me tutto quello che mi circonda sembra positivo. Sembra. Ma non lo è. Non lo è perché è tutto falso, effimero! Però… come sarebbe bello! Poter vivere per sempre con le persone che ami, vederle stare bene e scoprire che in quel mondo la morte non esiste! poter vivere per sempre! Sento che sto affondando in un mare di solitudine. Tutti mi dicono che, ora che ho toccato il fondo, posso soltanto risalire. Ma vedo che non è così. Ogni minuto che passa mi sento cadere, cadere… e non mi fermo! Sono circondata da molte persone, ma allo stesso tempo, è come se non ci fosse nessuno. Sono sola con me stessa. Non riesco a dominare le paure, non riesco a parlare di ciò che ho dentro nemmeno con le persone alle quali voglio bene e delle quali mi fido ciecamente. C’è qualcosa… qualcosa che mi blocca! Avevo fatto piccoli passi avanti. Adesso ne faccio uno avanti e uno indietro! Sono dentro una caduta inarrestabile. Spesso il mio cervello si stacca dal corpo. Rimango bloccata in una posizione, mentre la mia mente si stacca dal corpo. Il mio sguardo si perde nel vuoto, divento assente. Immagini passano davanti ai miei occhi: sono i riflessi della mia anima che gioca con la mia immaginazione. Difficile descrivere il mio stato d’animo di questo momento. Troppi pensieri mi frullano per il cervello, positivi…negativi…..Sto cercando di credere in questa casa attenuata, nelle possibilità che può darmi, ma soprattutto nelle difese che per ora sono scontate: fino al 9 maggio sono al sicuro. I problemi cominceranno all’uscita da quel maledetto cancello! Sto pensando a cosa significa il carcere. È un circuito chiuso dove ognuno di noi paga le proprie sofferenze, i propri sbagli. Fra di noi esistono persone colpevoli o innocenti! Fra noi ci si aiuta a dimenticare, ma io proprio non ci riesco! Lacrime, dolore, amarezze… è il pensiero fisso della nostra mente. Il pensiero negativo per assoluto. Ma ce n’è uno positivo: tornare a comunicare con il mondo esterno sperando che le persone ci ascoltino e ci tendano una mano, fino ad incrociare la nostra… quelle che abbiamo già teso per metà o almeno per quel poco di cui siamo capaci. Il loro aiuto ci servirà…sarà indispensabile per poterci riportare nel mondo della realtà. Quella realtà che noi non abbiamo mai vissuto troppo presi nella ricerca dello “sballo”. Ci riporteranno… per una vita serena e un domani migliore. Ma la mia paura è che il mio domani sarà peggiore di ieri! Ho scoperto il giardino dei miei segreti, rinchiusi nell’animo. Ci sono fiori e colori di ogni colore. In un angolo del giardino c’è un enorme groviglio di rovi: la falsità e l’ignoranza dell’umanità. Poi, intorno la bellezza dei quattro elementi! Il sole che illumina con la sua grande luce l’ignoranza che cerca di nascondersi! Il mare che con le sue onde adi rate pulisce la sporcizia che ci ricopre! Il vento che con il suo potente soffio spazza via l’ipocrisia che ci assale! Ma poi c’è il fuoco che arde in mille cuori, alimentati da altri cento e mille e più cuori, che porta la gente a conoscere l’ardore…l’unica cosa che può accompagnarsi all’Amore! Attorno a me solo desolazione e cancelli. Restare qui, immobili come manichini seduti dietro una vetrina. Restare qui e nel cuore l’attesa di una lontana libertà… I muri. I soliti e squallidi muri. Quanta tristezza nell’anima. E la povertà di uno sguardo visto in uno specchio rotto, nell’ombra. E quel finto silenzio della notte! Quei passi lenti accompagnati dall’ormai insopportabile sferragliare di chiavi, ti entrano nella mente… e per sempre ti rimarranno scolpiti nell’anima! Soltanto ricordi e un pensiero fisso… aver perduto in un attimo una vita intera!” 11 Storie di Quando dopo tanti anni si racconta la propria esperienza di vita, la propria storia, grazie a strumenti come i giornali del carcere, che permettono di farsi conoscere all’esterno (quell’esterno che non sempre crede nel recupero e nella riabilitazione dell’individuo), arriva il momento più importante al quale tanto hai pensato ma del quale hai sempre avuto paura: l’attesa di un figlio. Dopo tanti anni, il carcere sensazioni e stimoli che normalmente si vivono in una coppia. E’ vero che dietro quelle mura la mancanza dell’amore, delle coccole, delle attenzioni, è immensa, ma poi finisce che ti abitui e con il passare degli anni non ti domandi più come sarà la prima notte d’amore. Quando i cancelli si aprono, vorresti trovare la persona della tua vita. I dolori del passato, i ricordi degli amori perduti sono lì e non sempre ti consentono di fidarti subito. Così inizia la ricerca. I momenti di solitudine non si contano più. Vorresti amare e sentirti amata. Non conosci nessuno nella nuova città che ti ha dato l’opportunità di riscatto e vorresti qualcuno accanto. Ma sei felice lo stesso. Al mattino ti svegli in una “casa” che non è tua ma tanto utile all’inizio della tua nuova vita e con un sorriso arrivi sul posto di lavoro, che ti dà le prime regole fondamentali per riprendere a familiarizzare con il mondo. Giorno dopo giorno cresci in quell’ufficio, insieme a persone che non conoscono la vita in carcere, che imparano a conoscere la tua personalità, che ti guardano domandandosi se ce la farai o se sarai un altro ennesimo fallimento della società. Il tempo passa, la fiducia cresce. “Qualcuno” ti osserva da lontano e sente che ce la puoi fare. All’inizio un nuovo lavoro crea difficoltà, soprattutto se arrivi da periodi di lunga inattività. Giorno dopo giorno impari dagli altri e da una semplice scommessa nasce un grande progetto di vita. Da quell’inizio in solitudine di cui parlavo prima sono trascorsi tre anni. Anni in cui ho imparato a vivere insieme agli altri. Oggi sono moglie, donna e futura mamma. Sì, una mamma. Mamma. Una grande parola che riempie il cuore. Una figura insostituibile che ho fatto piangere per troppi anni, che ha combattu12 to, invano, una battaglia per il mio recupero sentendosi sconfitta, annientata. Colei che oggi piange di gioia, nel vedermi finalmente VIVA. Mia madre non ha mai avuto amici, né amiche. La mia famiglia ha vissuto la mia storia in silenzio e con un po’ di vergogna. Hanno provato a chiedere aiuto in quei lunghi anni, ma non sempre con successo. Alla fine anche un genitore si trova solo di fronte al fatto compiuto: la tossicodipendenza prima, il carcere dopo. Con mia madre ho sempre avuto un rapporto conflittuale. Gelosa fin da piccola, sentivo il bisogno di averla tutta per me, ma senza parlarle dei veri cambiamenti che sentivo dentro. Nessuno avrebbe mai immaginato di vedermi dentro un carcere, né di entrarci dentro per farmi visita, di essere perquisiti, di conoscere il personale penitenziario. Con mia madre ho diviso i momenti drammatici della tossicodipendenza, che ricordiamo e sui quali è necessario continuare a costruire il futuro. Mio figlio sta per nascere, manca un mese e poco più e con la mia famiglia vivo un momento magico, intenso, nel quale vorrei recuperare quel tempo in cui siamo stati lontani. Un figlio che ri-torna alla vita dopo un lungo periodo di ombre è una gioia infinita. Quando leggo di genitori disperati, che non sanno più a chi rivolgersi per essere aiutati, ricordo quello che hanno tentato di fare i miei senza ottenere nulla, sperando solo in un arresto inteso come unica soluzione di salvezza. Adesso, dopo tutto il percorso fatto, con i miei vivo un rapporto di scambio, più maturo, sincero. Accanto a mia madre, mio padre. Un padre davvero. Forse non sempre presente a casa per ragioni di lavoro, ma che ci ha dato tutto quello che ha potuto, con la convinzione che non fosse mai abbastanza. Un padre che con profonda commozione mi ha accompagnato all’altare il 2 agosto scorso. Un padre che in quel breve tratto all’interno della chiesa, mi stringeva, camminando piano, pensando a chi eravamo e a che cosa il presente ci stava dando: un figlio per me, un nipotino per lui che non pensava arrivasse mai. Quando mi ha lasciata tra le mani di mio marito, ho capito che la mia vita stava davvero cambiando. Le lacrime hanno attraversato il mio volto. La tossicodipendenza non si sconfigge con le parole, con le repressioni, con le chiusure. E’ un male difficile da debellare, soprattutto se non si ha più fiducia in noi stessi e soprattutto se gli altri continuano a non averne in te, anche dopo un grande lavoro fatto. Il tossicodipendente fa paura. E’ un delinquente comunque. Ogni sostanza che assume ha la sua “bellezza”. Sai che ti uccide, ma quando la usi non lo senti, non ti vedi, Storie non ci pensi. In quel momento… tu stai bene. Per questo i giovani di oggi non si sentono “tossicodipendenti” perché usano pasticche, acidi, e quanti altri miscugli sintetici che a loro avviso non danno assuefazione, né astinenza fisica, sentendosi in dovere di giudicare l’eroinomane che nonostante i 40 anni è sempre lì, fuori dalla porta del Ser.T ad attendere l’orario della somministrazione del metadone. Credo che questo modo di agire sia una pericolosa leggerezza. Gli effetti del “sintetico” durano negli anni e rimanere “assente” di fronte alla realtà è una conseguenza. Il carcere, la tossicodipendenza, la criminalità, essere omosessuale, sembrano temi che a lungo andare stancano, si ripetono, perché si pensa di sapere tutto e ci regaliamo il libero arbitrio di occuparci di altre cose. Ci sono persone che quando trovano in un giornale ar ticoli sulla droga, sulla situazione della carceri, passano alla pagina successiva. Non guardano, non si interessano, passano oltre. Sottovalutano, non percepiscono la sofferenza di un essere umano. Ma le persone che hanno sbagliato sono cittadini del mondo. Sono uomini, donne, padri, madri e hanno bisogno di strumenti per cambiare la loro vita. Mio figlio, Emanuele, che nascerà alla fine di dicembre, è la risposta più grande alla volontà di condurre una vita normale, insieme agli altri. Diventare mamma è donare tutta te stessa alla famiglia che stai creando e io più che mai credo in tutto quello che ho fatto per arrivare a questo momento, senza mai poter dimenticare quello che gli “empolesi” mi hanno dato per arrivare a questo punto. La città di Empoli, l’attuale Amministrazione comunale mi ha dato una chance che non ho rifiutato e che mi sta permettendo di essere un’altra donna. di E’ accaduto proprio a me. Una giornalista della Rai ha letto un mio articolo pubblicato sul sito Internet www.vita.it e mi ha contattata per sapere se fossi stata disponibile a essere intervistata, in diretta, nella trasmissione condotta tutti i giorni da Fabrizio Frizzi, “Piazza Grande”. Meraviglia. Stupore. Paura. Un susseguirsi di emozioni forti, impalpabili. Non so a che cosa pensavo in quel momento in cui questa collega mi parlava. Un secondo di riflessione e poi la decisione: va bene, cosa devo fare? Raccontare la mia storia di vita, pubblicamente, anche senza scendere nei particolari è un’esperienza che non avevo ancora provato. Sicuramente il nostro giornale ci aiuta a parlare di noi, ma farlo davanti alle telecamere, in diretta, non è uno scherzo. Giovedì 20 novembre 2003 sono partita per Roma insieme a mio marito. Giunti nell’albergo che la Rai mette a disposizione per gli ospiti, ci sembrava ancora impossibile che la mattina dopo sarei entrata in quegli studi a parlare di me e del progetto di reinserimento che ho seguito. Dopo una carinissima cena, abbiamo camminato per le vie di Roma, approfittando di una serata mite e tranquilla. Al ritorno, un dolce sonno ci ha abbracciati e come d’incanto siamo arrivati al mattino. Agitazione al risveglio? No, è arrivata successivamente. Ci siamo recati alla Rai ed entrare in quel cortile adiacente la grande struttura era già emozionante. Poi è arrivata la giornalista che mi ha contattata. Una persona semplice e molto sensibile. Ci ha introdotti nei lunghi ingressi degli studi, fino ai camerini e lì è iniziata la preparazione. Abbiamo letto l’intervista, le domande; un lavoro che ho ripetuto anche con gli autori che sono rimasti molto soddisfatti e che hanno voluto che spiegassi bene, anche se in poco tempo, il progetto di reinserimento. Alle 12,20 mi chiamano per mettermi il microfono. Mio marito era felice. Sono stata accompagnata tra il pubblico. Una breve attesa che sembrava non finire mai. Tanto caldo. Luci grandissime. Eccolo che arriva. Fabrizio Frizzi. Mi stringe la mano con un sorriso. Il cuore batte forte, il piccolo che porto in grembo scalcia, magari si domanda dove l’ho portato. Subito dopo inizia l’intervista. Avevo timore di sbagliare a parlare, di non coniugare bene i verbi, di diventare di mille colori ed invece è andato tutto bene. Frizzi mi ha messo a mio agio fin dal primo istante e guardandolo fisso negli occhi non ho perso la concentrazione e ho cercato di raccontare il più possibile quella che è una storia di vita partita male ma che oggi ha un lieto fine: la nascita di un bambino. Spero che la mia testimonianza sia servita a qualcuno; che sia stata di aiuto a coloro che ancora non credono o non vogliono credere. Nell’occasione, ringrazio Fabrizio Frizzi, Antonella la giornalista, gli autori, le truccatrici e parrucchiere per la gentilezza e l’accoglienza ricevute. Come ho già scritto in altri miei pezzi, i percorsi, le scelte di cambiamento, non vanno criticati, derisi, né giudicati. Le difficoltà si a ff rontano con la lucidità. Personalmente non mi nasconderò più dietro alle sostanze. Riuscirci dipende solo da noi, dalla nostra volontà di saper ascoltare e raccogliere dagli altri. Se non ci riusciamo è perché, in fondo, non lo vogliamo. Non sono diventata la brava alunna che ha imparato la lezione. Ho solo saputo scegliere la mia strada. Mi sono affidata, con tanta fatica e coraggio, come una figlia, ed è su questa strada che continuerò a camminare con mio figlio e mio marito. Buon Natale a tutti voi. 13 Storie di Dopo il fallimento in comunità ebbi un periodo di disintossicazione di una settimana circa. Fu allora che decisi di tornare a Empoli (dalla comunità ero scappata sei volte e nei modi più inconsueti). Quando sono tornata a Empoli ho avuto uno choc. Già non stavo molto bene per i medicinali che avevo preso, la gente era tutta cambiata, in maggioranza erano straniere e solo due italiane che conoscevo, le altre due le ho conosciute dopo. Premetto che non sono mai stata razzista, sono cresciuta con ideali di uguaglianza; mio padre ha amici messicani, cubani, americani, argentini e a volte le sue cene sono alquanto multietniche. Ma fuori è un’altra cosa, quindi non è un fatto di razza, ma era proprio l’aria diversa che si respirava: ognuno con mentalità e tradizioni differenti, quindi dovevo andare con i piedi di piombo (anche se mi succede con tutti quelli che non conosco). Mi aprirono una cella che sembrava abbandonata e mi diedero tutto l’occorrente per pulirla. Posai i sacchi a terra, con desolazione, mi sedetti sul materasso di gommapiuma e mi misi a piangere: per il fallimento, per la situazione in cui mi trovavo. avevo voglia di scappare, era estate e il sole splendeva tra le sbarre. Non potevo fuggire, ma poi, da cosa sarei fuggita? Dopo poco salii in seconda sezione, dove ero stata prima, e mi capitò proprio la cella dove mi trovavo prima di andare in comunità. Nel mezzo della parete c’era ancora disegnata in oro la stella di Davide, con dentro un pentagramma e una luna crescente accanto. Non parlavo mai, piangevo spesso perché mio padre e mio fratello erano rimasti molto male della mia fuga. Solo dopo nove mesi mio fratello è venuto a trovarmi, poi mio padre. Mi sentivo a disagio, muta, mi sembrava di aver preso un acido e osser vavo tutto, fissavo tutto come se fossi traumatizzata e mi rintanavo in cella, non riuscivo più a scrivere, a ridere, a parlare. Ero un vegetale. Finché arrivo la persona che mi ha aiutato tanto in quel momento terribile: Paola. Iniziò con il farmi uscire di cella per fare danzaterapia con lei; con lei ho ricominciato a parlare, ad accennare i primi sorrisi. Paola è di una dolcezza infinita, è una persona splendida e generosa. Le ho voluto subito bene; il suo sorriso era terapeutico, mi riempiva di attenzioni portandomi anche il caffè la mattina con un buongiorno topo!. Questo è l’ultimo Natale che passiamo insieme in carcere; non dimenticherò mai le nostre interminabili chiacchierate, le lotte con i cuscini, il solletico, le cure di bellezza fatte insieme, le risate da piegarsi in due. Ricordo che una volta eravamo in biblioteca e c’era il mappamondo. Tu mi facesti vedere la tua città, Bogotà, e io con il dito cercai la mia Firenze ed esclamai: “L’oceano ci divide!”. Paola mi guardò sorridendo e mi disse: “Macché, siamo vicine, a due passi”. Ringrazio Paola di vero cuore per gli abbracci quando sentivo il bisogno d’affetto, per il bacino della buonanotte come fossi 14 una bimba, per il maglione che mi ha regalato quando avevo freddo e non mi avevano ancora por tato i vestiti invernali, per tutte le attenzioni che ha avuto per me. Non la dimenticherò: è la sorella che non ho mai avuto e se mi sono ripresa lo devo a lei. Buonanotte Peter, che il tuo Abramo di benedica e ti porti tutto l’amore d cui hai bisogno… Buon Natale, con l’augurio che il tuo legame si consolidi; sarò lieta di farti da testimone e questa volta speriamo che sia maschio, visto che hai già due bimbe. Hasta pronto piolin, te quiero mucho. Tua toposorellina Valentina di Ciao ragazze, come sapete, questo Natale è l’ultimo che trascorrerò dietro le sbarre. Vi voglio bene, vi ricorderò sempre come le mie compagne di sventura, con le quali – tutte insieme – abbiamo cercato di costruire armonia e serenità, con ottimismo qualsiasi fosse il nostro percorso. Giorni prima del mio arrivo, a Empoli è tornata Valentina Servissi. Per me, all’epoca, era come le altre. Piano piano, tra me e lei è nato un legame fortissimo, una vera amicizia, tanto che ci chiamano sorelline: dove ci sono io c’è anche lei. Mi fa male il cuore a lasciarla qui, anche se sarà dentro il mio cuore sempre. Sorellina, grazie per tutto, per sopportarmi, per offrimi il tuo cuore. Per tutte le volte che abbiamo litigato e fatto pace, per essere come sei. La mia nonna, la mia mamma e tutta la mia famiglia ti hanno adottato… la nostra amicizia non ha frontiere. Ti voglio un bene immenso! Spero che i prossimi Natali li trascorreremo di nuovo insieme, così i nostri sogni diventeranno realtà: “una bella famiglia, perché già tu appartieni a noi. Buon Natale Valentina”. Storie di I miei ultimi tre mesi di vita non hanno niente a che vedere con quella che definirei "normalità". Ho vissuto un’esperienza per me assolutamente lontana da quella che era, ed è tuttora, la mia vita quotidiana, fatta di comodità, cer tezze, per quanto si possa ad oggi parlare di cer tezze, e comunque di qualcosa di conosciuto. Tutto inizia dalla mia voglia di fare qualcosa per qualcuno, me stessa compresa, dalla mia voglia di dare concretezza a quelle parole che tante volte diciamo, o sentiamo dire, ma che raramente diventano fatti. E’ stato cosÏ che sono par tita per il Messico e più esattamente per lo stato del Michoacan. Sono andata là per lavorare come volontaria nell’ambito di progetti, realizzati da un'associazione di volontariato che si chiama "Vive Mexico", basati principalmente sullo scambio interculturale. E’ stata una vera e propria avventura. Ho vissuto, per tre mesi, come una una abitante di quei luoghi, sono chiaramente stata fuori da ogni rotta turistica, ed ho conosciuto realtà quotidiane dalle quali ho tratto profondi insegnamenti. Mi è capitato di vivere in paesini di 500 persone dove alla base dell'esistenza c'era solo l'indispensabile.... e mi sono accorta sempre più di quante cose super flue abbiamo noi, "grassi occidentali", quanti bisogni indotti regolano le nostre esistenze senza che mai ci si fermi a pensare a cosa realmente è impor tante per la vita. Quello che da noi è scontato - la luce, l'acqua, il bagno - lì è una conquista. Ho vissuto in condizioni "semiselvatiche" sentendo in me l'alternarsi di diversi momenti emotivi. All'inizio era tutto bello, un po' la novità, un po' il fatto che questo viaggio era la realizzazione di un mio desiderio che nutrivo da anni, mi sembrava tutto facile, tutto positivo. Da una par te è anche vero, sotto alcuni aspetti la gente gode di possibilità di vita migliori, o perlomeno più vicine all'orologio biologico di ogni essere umano, rispetto a noi che, da quest'altra par te del mondo, non facciamo altro che correre come topi ingabbiati dalle nostre ricerche effimere, e siamo sempre più infelici. E’ vero anche che la gente è solidale e pronta al sorriso, un sorriso luminoso pieno di calore, che ti fa sentire di non essere sola. Come è vero che in quella parte del mondo esiste una natura meravigliosa, grandiosa, fatta di enormi boschi, immense montagne e lunghissime e solitarie spiagge con tramonti dai colori mozzafiato. Sono rimasta affascinata da tutto questo, ma poi ho girato lo sguardo. Ho visto la faccia violenta del Messico, fatta di una violenza quotidiana, una violenza che deriva dall'ignoranza e che per questo è più crudele che mai. Ho visto bambini abbandonati a se stessi, li ho visti con i loro occhi grandi e giocosi, ma al tempo stesso occhi appar tenenti ad adulti, occhi di una infanzia di cui ormai è stata irrevocabilmente decretata la fine. Ho visto il lavoro di pochi ostacolato da molti in nome di un conservatorismo maniacale o di interessi personali. Ho visto famiglie unite sì, ma unite dal bisogno derivante dalla pover tà, non da un’esigenza d'amore. Ho visto tanto e non ho visto niente, semplicemente ho conosciuto qualcosa di diverso, ho preso quello che mi ser viva ed ho lasciato ciò che non mi piaceva e per il quale non potevo fare niente, ma ho guardato tutto. Alla fine è stata un esperienza meravigliosa nella quale ho avuto la possibilità di mettermi a fuoco, di crescere, di conoscere tantissime belle persone e confrontarmi con loro. E’ tutto per me, una volta di più la conferma della nostra incredibile fortuna per eccellenza: la fortuna di vivere, di esserci ed addirittura avere la possibilità di scegliere, che non ovunque è scontata e garantita. Quindi torno, più for te di prima, più ricca di prima e con tanta voglia di lavorare per iniziare a costruire qualcosa, dando una voce in più a chi è già stanco di distruggere. Adriana Rossini ha concluso il periodo di detenzione nella Casa a Custodia Attenuata di Empoli. A lei i nostri migliori auguri per una nuova vita piena di gioie e soddisfazioni. 15