RASSEGNA SU AZIONI ESECUTIVE E PARTECIPAZIONI IN SOCIETA’ DI PERSONE E S.R.L. Sommario: 1. Premessa 2. Creditori della società ed azioni esecutive: titolo esecutivo formato verso la società ed efficacia di esso nei confronti dei soci 3. Creditori della società ed azioni esecutive: il beneficio di escussione 4. Creditori particolari del socio ed azioni esecutive: generalità 5. Gli atti conservativi sulla quota di liquidazione del socio 6. Il pignoramento della quota nelle società di persone 7. Il sequestro giudiziario della quota di società di persone 8. Pignoramento della quota di s.r.l.: forma 9. Opponibilità al pignoramento degli atti di alienazione della quota di s.r.l. 10. Opponibilità al pignoramento delle pronunce giudiziali 11. Espropriazione della quota di s.r.l.: le clausole limitative della trasferibilità 12. Il sequestro giudiziario della quota di s.r.l. 1. Premessa La materia societaria si è arricchita di recente di notevoli modifiche nella disciplina delle società di capitali, di sensibile incidenza anche sul regime delle azioni esecutive. In particolare con la norma sull’espropriazione delle quote di s.r.l. si è introdotto un sistema di pignoramento sostanzialmente nuovo, avente per oggetto il bene immateriale costituito dalla partecipazione societaria. A ciò si accosta la valorizzazione del registro delle imprese come sistema di ausilio alla regolamentazione anche della circolazione delle partecipazioni ed al loro vincolo in sede esecutiva. Ed in qualche misura tali innovazioni, come si vedrà di seguito, possono essere adoperate anche per risolvere alcune questioni nell’ambito delle società di persone. Al contempo persistono, in materia di esecuzione forzata e società di persone, alcune tradizionali questioni, sulle quali, di seguito, si tenta una rassegna ragionata. 2. Creditori della società ed azioni esecutive: titolo esecutivo formato verso la società ed efficacia di esso nei confronti dei soci La particolarità della società di persone, per quanto attiene alle azioni contro il socio per debiti della società, si manifesta già con riferimento all’efficacia soggettiva del titolo esecutivo. Fermo restando che in sede di cognizione è possibile ottenere la formazione del titolo anche contro i soci (la cosa sarà analizzata più in dettaglio con riferimento alla disciplina del beneficio di escussione), costituisce assunto del tutto prevalente nella giurisprudenza della Suprema Corte, quello in merito alla diretta efficacia verso i soci illimitatamente responsabili del titolo esecutivo formato contro la società1. L’unica pronuncia discordante 2, in tempi recenti, fonda le proprie valutazioni sulla natura solidale che lega l’obbligo dei soci e quello della società, per quindi affermare che la sentenza resa tra il creditore ed uno dei debitori in solido, non può avere effetto, come da regola generale in materia di obbligazioni solidali (art. 1306 c.c.), nei riguardi degli altri coobbligati. 1 Cass. 17 gennaio 2003 n. 613, in Arch. civ., 2003, 637; Cass. 14 giugno 1999 n. 5884; Cass. 8 agosto 1997 n. 7353 (relativa a società di fatto); Cass. 6 novembre 1956 n. 4152, in Giur. it., 1957, I, 1, 10 (relativa a società irregolare) ; Cass. 24 giugno 1954, in Giur. it., 1955, I, 1, 675; nella giurisprudenza di merito, App. Milano 29 novembre 2002, in Riv. giur. lavoro e previd., 2003, 429. 2 Cass. 13 luglio 1995 n. 7650 cui va aggiunta, sebbene in un ipotesi particolare, Cass. 14 marzo 2001 n. 3658, sulla quale si veda la nota 7 che segue . 1 In realtà la spiegazione che deriva dalla più recente giurisprudenza favorevole all’estensione dell’efficacia del titolo verso i soci, muove da una diversa prospettiva argomentativa. A parte la dubbia questione sull’effettiva sussistenza di solidarietà tra società e soci (e non solo tra i soci)3, il punto non attiene tanto al meccanismo funzionale dell’obbligazione con riferimento alla plurisoggettività di essa dal lato passivo, quanto piuttosto ai rapporti intersoggettivi tra società e socio illimitatamente responsabile. In tale ambito si è rilevato che, sotto il profilo sostanziale, il socio illimitatamente responsabile è assoggettato in modo permanente agli effetti degli atti che gli amministratori compiono 4: dunque “la posizione del socio è permanentemente dipendente da quella della società, nel senso che qualunque obbligo sociale, in qualunque modo sorto, fa nascere nel socio l’obbligo corrispondente” 5. La dipendenza permanente sotto il profilo sostanziale trova poi disciplina, sotto il versante dell’efficacia del titolo esecutivo, nel caso che è specificamente regolato dall’art. 477 c.p.c., laddove si sancisce l’efficacia verso gli eredi del titolo esecutivo formato contro il defunto. La norma è ritenuta espressione di un principio generale e come tale se ne postula l’applicazione in tutti i casi, tra cui quello in esame, nei quali appunto, sotto il profilo sostanziale, sussiste un vincolo di dipendenza stabile tra la situazione di un soggetto (società) e quella di altri soggetti (soci illimitatamente responsabili)6. Con la conseguenza che il titolo esecutivo formato contro la società dispiega dunque efficacia contro i soci7. Peraltro l’azione esecutiva va condotta contro il socio ed in suo pieno contraddittorio, e ciò fino (art. 477 c.p.c.) dalla notifica di titolo e precetto 8. L’azione esecutiva si regge quindi, in tali casi, oltre che sull’esistenza ed efficacia del titolo esecutivo contro la società, sull’effettiva sussistenza della posizione di socio illimitatamente responsabile in capo a chi sia aggredito dall’espropriazione forzata stessa: detto in altre parole, il diritto a procedere ad esecuzione forzata ha, come fatti costitutivi, l’esistenza ed efficacia del titolo e la posizione di socio illimitatamente responsabile della persona che venga raggiunta dall’azione espropriativa9. 3 sul punto, anche sotto il profilo processuale, cfr. Luiso, L’esecuzione ultra partes, Milano, 1984, 320, con ampi richiami, secondo cui la solidarietà correrebbe solo tra i soci e non tra soci e società. 4 Secondo Galgano, Le società di persone, cit., 247, l’estensione della responsabilità opera anche per i fatti illeciti dell’amministratore che si imputano alla società. In giurisprudenza l’estensione alla società di persone e quindi la responsabilità dei soci per i fatti illeciti dell’amministratore è affermata, con riferimento ai fatti colposi, da Cass. 14 maggio 1998 n. 4768 e da Cass. 14 ottobre 1991 n. 10814; quest’ultima decisione esclude invece la responsabilità dei soci per i fatti dolosi dell’amministratore. 5 Luiso, L’esecuzione ultra partes, cit., 318. 6 Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2000, 39 e Cass. 14 giugno 1999 n. 5884. 7 secondo Cass. 14 marzo 2001 n. 3658 la regola sopra esaminata non potrebbe operare con riferimento al socio occulto e ciò sia per l’impossibilità di estendere in sede di esecuzione individuale le regole di cui all’art. 147 l. fall. sia per la natura solidale della responsabilità, tale per cui la pronuncia contro la società non potrebbe avere effetto contro il coobbligato in solido, secondo le regole generali di tale forma di responsabilità (e in parte qua la pronuncia si discosta dall’orientamento prevalente, aderendo alla posizione minoritaria sopra indicata). In senso analogo, ma senza particolari motivazione, con riferimento al socio occulto, si esprime Galgano, Le società di persone, cit. 244. Richiama invece l’art. 147 l. fall. come elemento di conferma degli assunti in merito all’estensione degli effetti del titolo contro i soci illimitatamente responsabili, individuati sulla base dell’affermazione del procedente, Luiso, L’esecuzione ultra partes, cit., 331. In merito al rilievo del recesso del socio rispetto alla questione in esame, si veda ancora Luiso L’esecuzione ultra partes, cit., 325 ss. 8 Cass. 14 giugno 1999 n. 5884; analogamente Ferri, Delle società, in Commentario al cod. civ. Scialoja Branca, Bologna Roma, 1968, 190 ss. 9 si pone in proposito, per le società in accomandita semplice, il problema di stabilire se la responsabilità degli accomandanti abbia rilevanza esterna, nel senso che essi possano essere aggrediti personalmente, pur se nei limiti del valore della quota o se, viceversa, essi rispondano solo attraverso il rischio della responsabilità societaria e dunque attraverso i beni conferiti, nei limiti degli obblighi assunti per la partecipazione societaria. Sul punto, nel primo senso, Galgano, Le società di persone, cit., 375 e Di Sabato, La società in accomandita semplice, in Trattato Rescigno, vol. XVI, Torino, 1985, 166, dove anche una ricostruzione delle varie posizioni e cenni sulla possibilità del creditore della 2 La direzione soggettiva dell’esecuzione viene peraltro prescelta, inevitabilmente, dal creditore procedente, che di propria iniziativa indicherà la persona che ritiene responsabile per l’obbligo portato dal titolo formato contro la società 10 Ovviamente al socio sarà consentito far valere in sede di opposizione all’esecuzione il difetto di tale propria qualità e l’onere della prova dell’esistenza della qualità di socio in capo all’esecutato grava sul creditore, quale conseguenza del trattarsi di un fatto costitutivo del suo diritto a procedere. E si deve osservare che, a presidio della posizione del debitore che sia ingiustamente minacciato dall’azione esecutiva altrui, ricorre ormai certamente, secondo la recente evoluzione giurisprudenziale in materia, anche l’azione inibitoria del pignoramento ex art. 700 c.p.c. 11 Iniziata l’esecuzione la tutela è invece rimessa ai rimedi sospensivi (art. 624 c.p.c.), fermo restando che l’incauto procedere del creditore può comportare responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 secondo comma c.p.c. 3. Creditori della società ed azioni esecutive: il beneficio di escussione Non dissimile da quella testé esaminata è l’operatività processuale del beneficio di escussione. L’assetto sostanziale dell’istituto in materia societaria è noto. Nell’ambito delle società semplici il socio è destinatario diretto dell’azione esecutiva, salvo che indichi i beni societari su cui il creditore possa “agevolmente” soddisfarsi12; l’esistenza e la concreta indicazione di beni societari facilmente aggredibili opera dunque come fatto impeditivo dell’esecuzione forzata contro il socio. Nella collettiva e nella s.a.s., il socio illimitatamente responsabile non può invece essere aggredito se non previa escussione del patrimonio sociale (artt. 2304 c.c. e 2318 c.c.): la previa escussione (o la sua impossibilità, secondo quanto si dirà di seguito) agisce perciò in questo caso come fatto costitutivo del diritto a procedere ad esecuzione forzata. Peraltro il beneficio di escussione, secondo costante orientamento della giurisprudenza, opera solo in sede esecutiva. Non è dunque impedito, al creditore, di procedere in sede di cognizione onde ottenere la formazione del titolo verso il singolo socio illimitatamente responsabile13. Ciò significa tuttavia che, non sussistendo alcun controllo giudiziale preventivo di ammissibilità dell’azione esecutiva, l’inizio dell’espropriazione è rimesso comunque all’impulso del solo creditore, che da sé afferma (esplicitamente o implicitamente) l’esistenza del fatto costitutivo relativo all’infruttuosità o all’impossibilità della previa escussione del patrimonio societario. Ne deriva che le questioni sul rispetto o meno del beneficio in esame sono necessariamente trattate attraverso l’opposizione all’esecuzione e dunque fin dall’opposizione a precetto, se del caso corredata anche da azione inibitoria del pignoramento ex art. 700 c.p.c. Anche in questo caso il società di agire nel caso in surrogatoria contro la società e l’accomandante, per il recupero alla garanzia patrimoniale dei conferimenti che fossero in ipotesi ancora da eseguire. 10 Luiso L’esecuzione ultra partes, cit., 1984, 378 ss.; del resto il fatto in sé che si ipotizzi la possibilità di una esecuzione nei riguardi di parti non indicate nel titolo esecutivo, rende inevitabile che sia colui che voglia utilizzare il titolo ad individuare i soggetti passivi dell’esecuzione. Ritiene Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2000, 40 che i sistemi di difesa esistenti in sede esecutiva, garantendo comunque il contraddittorio a chi sia esecutato, siano tali da non far dubitare della legittimità costituzionale dell’impostazione data, in quanto il terzo non è mai vincolato dalle affermazioni dell’esecutante. Cfr. anche Tarzia, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 2002, 335, dove la considerazione che, con riferimento all’esecuzione forzata, è rispettato il giusto processo “davanti a giudice” dal fatto che sia garantito l’intervento del giudice su ogni incidente che insorga e necessiti di decisione, cosa che è appunto assicurata, anche in un caso come quello di specie, dal sistema delle opposizioni. 11 Cass. 23 febbraio 2000 n. 2051, in Foro it., 2000, I, 1834. 12 si deve dunque trattare, dato l’avverbio utilizzato dalla norma, non di un qualsiasi cespite patrimoniale societario, ma di “beni di pronta e facile convertibilità in una somma di denaro” (così Galgano, Le società di persone, cit. 1972, 245). 13 Cass. 16 aprile 2003 n. 6048; Cass. 8 novembre 2002 n. 15700; Cass. 26 novembre 1999 n. 13183; Cass. 12 aprile 1994 n. 3399; Cass. 26 giugno 1992 n. 8011, tutte conformi ed altresì univoche nel precisare che il creditore può procedere direttamente ad iscrivere ipoteca contro il socio in forza del titolo così ottenuto. 3 sistema di garanzia dell’esecutato si completa poi con la fattispecie di responsabilità aggravata ex art. 96 secondo comma c.p.c. Dal punto di vista processuale, a fronte dell’opposizione altrui (il mancato rispetto del beneficio di escussione non è rilevabile d’ufficio14, il che è in qualche misura conseguenza logica dell’assetto procedurale sopra descritto), il creditore procedente resta tuttavia onerato della prova di avere infruttuosamente esperito l’escussione su beni societari o della prova (parimenti idonea, per costante orientamento giurisprudenziale, ad assolvere il creditore da ogni onere di ulteriori attese o tentativi 15) dell’impossibilità di tale esecuzione. La dimostrazione dell’infruttuosa escussione non presenta di per sé particolari problemi: si tratta di comprovare l’esperimento senza risultati di una o più azioni esecutive. La prova dell’impossibilità di escussione del patrimonio societario è viceversa argomento più delicato. In linea di massima non appare corretto formulare in proposito principi generali: trattandosi di questione strettamente di merito, essa andrà valutata caso per caso. Alcuni aspetti giustificano peraltro qualche approfondimento. Intanto si deve dire che, trattandosi sostanzialmente di prova di un fatto negativo (inesistenza di beni societari utili all’aggressione esecutiva) essa non può che essere raggiunta, al solito, attraverso la dimostrazione di fatti positivi da cui desumere il fatto negativo stesso. In proposito si è ritenuto che non sia ad esempio sufficiente la prova della dichiarazione di fallimento della società, in quanto ciò non attesta di per sé l’incapienza, per il singolo creditore, del patrimonio sociale, dovendosi dimostrare di non potersi soddisfare sul patrimonio attraverso la procedura concorsuale 16. L’assunto, in sé condivisibile, non va peraltro enfatizzato oltre misura. Si tratta, anche in questo caso, di questione di prova rispetto all’impossibilità di soddisfazione del credito individuale: essa effettivamente non può essere data solo dimostrando il fallimento della società, visto che anche i fallimenti pagano i creditori. Né si tratta, per il creditore che voglia agire contro il singolo socio, di attendere l’esito dell’esecuzione concorsuale, bastando, più limitatamente, comprovare lo stato patrimoniale del fallimento, attraverso ad esempio la relazione del curatore o l’inventario o copia dello stato passivo etc. Altra questione può essere quella in merito al rilievo del silenzio del socio, in sede di opposizione all’esecuzione, rispetto ai beni societari utili alla soddisfazione del creditore. Di per sé il socio, secondo l’assetto delle rispettive posizioni come sopra ricostruito, può limitarsi ad eccepire la violazione del beneficio di escussione, restando a carico del creditore dimostrare di avere escusso il patrimonio societario o che vi è impossibilità di un’utile escussione. Si deve in proposito valutare se possa avere rilievo anche la mancata indicazione dei beni aggredibili, da parte del socio esecutato. Il punto è che non deve trasformarsi, attraverso il meccanismo processuale, il regime di responsabilità della s.n.c. o della società in accomandita semplice nel regime di responsabilità della società semplice; nella società semplice il socio, per sottrarsi all’azione esecutiva, ha l’onere di parlare, indicando i beni utili alla soddisfazione del creditore e tale onere è doppiamente qualificato: non basta infatti asserire l’esistenza di beni aggredibili, in quanto tali beni devono concretame nte esistere e devono altresì essere idonei ad una agevole soddisfazione del creditore (art. 2268 c.c.). Nel processo in cui si discuta invece del rispetto del beneficio di escussione rispetto al socio di s.n.c. e di s.a.s., il silenzio del socio aggredito, rispetto all’esistenza di beni societari su cui il creditore possa soddisfarsi, è di per sé neutro e di per sé solo non può bastare al creditore per assolvere ai propri oneri probatori. 14 Cass. 11 giugno 1987 n. 5106 Cass. 8 luglio 1983 n. 4606, in Giur.it., 1983, I, 1, 1616, ed in Giust. civ., 1984, I, 441, con nota di Di Chio, Insufficienza del patrimonio sociale e responsabilità dei soci nelle società di persone; analogamente, nella giurisprudenza di merito, Trib. Bologna 4 ottobre 1983, in Giur. Comm., 1984, 423; Trib. Napoli 23 maggio 1983, in Diritto e giurisprudenza, 1984, 689; Trib. Bologna 18 dicembre 1990, in Giur. Comm., 1992, 299 16 Cass. 20 settembre 1984 n. 4810, in Il diritto fallimentare, 1984, 929. 15 4 La cosa tuttavia non esclude che, dal punto di vista meramente istruttorio, anche tale silenzio possa contribuire a formare, quale elemento indiziario ed insieme ad altri riscontri (si pensi ad esempio alla già avvenuta liquidazione del patrimonio societario, alla negatività di visure immobiliari su beni societari, alla sussistenza di protesti a carico dell’ente etc.), quell’impalcatura presuntiva su cui ruota l’onere della prova del creditore procedente. Sotto il profilo procedurale, una volta chiarita la dinamica operativa dell’istituto, va infine esaminata la particolare questione concernente la possibilità, per il creditore della società, di aggredire con sequestro conservativo i beni del socio illimitatamente responsabile. Secondo l’unico precedente giurisprudenziale noto 17, il beneficio di escussione potrebbe operare soltanto in sede esecutiva vera e propria e non nell’ambito della procedura cautelare di sequestro; né potrebbe assimilarsi il sequestro all’atto di inizio dell’esecuzione forzata. Quindi, ammesso il sequestro conservativo, spetterebbe poi al socio, una volta convertitosi il sequestro in pignoramento, proporre opposizione all’esecuzione. L’assunto desta qualche perplessità. L’art. 671 c.p.c. ammette il sequestro conservativo di beni del debitore “nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento”. Orbene, secondo quanto detto in precedenza, il diritto a procedere ad esecuzione forzata contro il socio ha, come fatti costitutivi, non solo l’esistenza del titolo esecutivo e la qualità di socio di chi venga aggredito, ma anche l’infruttuosità o l’impossibilità di un’azione esecutiva sui beni societari. Ciò significa che la legge permette il pignoramento solo qualora ricorrano anche tali ultimi specifici presupposti. E’ ben vero che la struttura procedurale dell’azione esecutiva consente al creditore di meramente affermare, in via implicita od espressa, l’esistenza di tali presupposti, e quindi di procedere a pignoramento senza alcun previo accertamento giudiziale rispetto ad essi. Va però detto che il pignoramento è da considerare legittimo (e dunque permesso dalla legge, secondo la dizione di cui all’art. 671 c.c.) solo ove tali requisiti (che costituiscono veri e propri fatti costitutivi del diritto a procedere ad esecuzione forzata) effettivamente sussistano. Ne deriva che anche il sequestro può essere autorizzato solo se risultino sussistere, con accertamento da svolgere secondo le regole proprie della cognizione sommaria cautelare, i requisiti di preventiva escussione o di impossibilità della stessa che si sono più sopra esaminati. Del resto, mentre l’azione esecutiva, per sua struttura, non ammette verifiche preventive di ammissibilità da parte del giudice, il sequestro è sottoposto ad una specifica procedura autorizzatoria, nell’ambito della quale vanno ovviamente valutati tutti gli elementi che debbono ricorrere per consentire la misura cautelare conservativa e, tra questi, anche il rispetto delle regole sul beneficio di escussione, trattandosi di uno dei fatti costitutivi del diritto del creditore a procedere a pignoramento e quindi, ex art. 671 ultimo inciso, anche a sequestro conservativo (fermo restando che la questione, non essendo rilevabile d’ufficio, anche in sede cautelare va analizzata solo se eccepita). 4. Creditori particolari del socio ed azioni esecutive: generalità La partecipazione societaria, in quanto potenzialmente dotata di un valore economico positivo, costituisce voce del patrimonio del singolo socio. Si deve dunque verificare come si atteggi, rispetto ad essa ed alla luce del fenomeno giuridico societario, l’attuazione della regola generale di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui il “debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. La partecipazione societaria, da questo punto di vista, viene in considerazione sotto almeno tre profili. 17 App. Perugia 11 luglio 1984, inedita. 5 Essa rileva infatti come fondamento del diritto alla percezione degli utili societari e del diritto, in caso di scioglimento del rapporto sociale, ad una quota del risultato positivo delle operazioni di liquidazione. Infine tale partecipazione, quale bene imma teriale cui afferiscono diritti vari nell’ambito della gestione societaria18, costituisce, anche di per sé sola, un valore patrimoniale. Sotto il profilo della percezione degli utili, la struttura delle società di persone non presenta nessuna difficoltà rispetto all’aggressione da parte dei creditori del socio. L’art. 2270 primo comma c.c. ammette de plano la possibilità per il creditore particolare del socio di “far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore” e dunque di procedere al sequestro conservativo o al pignoramento di essi. Si tratta di norma che trova applicazione per tutte le forme di società di persone e rispetto alla quale sono evidenti anche le forme da seguire in sede esecutiva. Poiché il diritto agli utili è un diritto che il socio ha verso la società e poiché vi è autonomia soggettiva tra società e socio, si tratta di dare lineare corso ad un’ordinaria espropriazione presso terzi. Le questioni divengono assai più complesse con riferimento agli altri due valori patrimoniali sopra individuati, ovverosia rispetto alla quota di liquidazione ed alla quota di partecipazione in sé considerata. 5. Gli atti conservativi sulla quota di liquidazione del socio Affrontando dapprima le questioni che riguardano la quota di liquidazione, la disciplina, anche in questo caso comune a tutte le forme di società personali, è dettata ancora dall’art. 2270 primo comma c.c., laddove si afferma che il creditore personale del socio può, rispetto a tale quota, “compiere atti conservativi”. La quota di liquidazione è, come detto, un importo patrimoniale che deriva al socio al momento dello scioglimento del rapporto societario. Lo scioglimento del rapporto societario può poi aversi, rispetto al singolo socio, o perché si verifica una fattispecie che comporta la perdita della qualità di socio in capo soltanto a lui (artt. 2284 ss. c.c.) o perché la società viene sciolta e dunque ciascun socio ha diritto a ricevere qualcosa di quanto rimasto. Per quanto qui interessa e sempre a livello di mera esegesi delle norme, ciò che rileva, rispetto ai creditori del singolo socio, è la possibilità stessa di far produrre le fattispecie da cui scaturisce il diritto a percepire la quota di liquidazione. La cosa trova, da questo punto di vista, una disciplina differenziata nei diversi tipi di società di persone. Nella società semplice (art. 2270 secondo comma c.c.) il creditore del socio ha la facoltà, “se gli altri beni sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti” di chiedere in ogni tempo alla società la liquidazione della quota e dunque in sostanza lo scioglimento del rapporto rispetto al singolo socio (che si trasforma in causa di scioglimento della società, se questa deliberi in tal senso, come conseguenza dell’azione del terzo: art. 2270 secondo comma ultima parte). Nella collettiva e nella s.a.s. tale facoltà è invece esclusa dall’art. 2305 c.c. e ciò a maggiore garanzia della autonomia dell’ente, obiettivamente scossa dalla facoltà dei creditori del socio di scomporre, nei casi sopra visti, la compagine della società semplice. E’ invece prevista la facoltà per il creditore particolare del socio di s.n.c. e di s.a.s. di fare opposizione alla proroga della società, entro tre mesi dall’iscrizione di tale proroga nel registro delle imprese, onde ottenere, per tale via, la liquidazione della quota del proprio debitore e quindi soddisfarsi su di essa. In caso di proroga tacita, la facoltà si converte in quella di far liquidare de plano la quota, ai sensi dell’art. 2270 secondo comma c.c. sopra esaminato 19. 18 Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087. se la durata della società è a tempo indeterminato il rischio è che la quota non venga mai, di fatto, liquidata, il che, ove non siano possibili misure revocatorie, consente in sostanza al debitore di “sottrarsi al principio di responsabilità”: così Conte, Atti conservativi ex art. 2270 c.c. e sequestro conservativo, in Giur. it., 2000, I, 1, 301, con 19 6 Ciò premesso, si osserva peraltro che, in ogni caso, le procedure di liquidazione della quota, siano esse di natura fisiologica (cessazione naturale del rapporto societario rispetto al singolo socio o scioglimento della società) o siano esse coattive (liquidazione della quota, nella società semplice, come effetto dell’azione del creditore o, nella s.n.c. e nella s.a.s., come effetto dell’opposizione alla proroga o della proroga tacita del rapporto societario) comportano in ogni caso tempi di attesa, potenzialmente anche molto lunghi. Da qui il rilievo che assume il disposto dell’art. 2270 primo comma c.c., laddove ammette, come detto, il creditore del socio a procedere ad atti conservativi sulla quota di liquidazione. Il problema è quello in merito alle forme in cui tali atti conservativi possano essere attuati e quello in merito agli effetti ottenibili attraverso essi. La questione di fondo è data dal fatto che, secondo quanto si è appena detto, il credito del socio ad un qualcosa, come effetto dello scioglimento del rapporto societario, può essere incerto sia per quanto attiene all’ an debeatur (in ipotesi potrebbe doversi attendere la scadenza della società o, ove questa sia a tempo indeterminato, il verificarsi del fatto futuro e incerto dello scioglimento volontario della compagine o del recesso del socio interessato), sia per quanto attiene al quantum debeatur. Su tali premesse, la vexata quaestio riguarda la possibilità che gli “atti conservativi” sfocino in pignoramento: e, in caso positivo, vi è da stabilire quale sia la procedura per determinare se il credito esiste e in quale momento la misura cautelare sfoci appunto in pignoramento vero e proprio. Le soluzioni prospettate sono plurime. Secondo una prima ricostruzione 20 gli “atti conservativi” cui fa riferimento l’art. 2270 primo comma c.c. avrebbero natura di sequestro conservativo, che andrebbe attuato nelle forme del sequestro presso terzi, ma con una duplice dichiarazione da rendere, una prima volta, all’udienza di citazione, limitatamente alla declaratoria di sussistenza del rapporto societario e di eventuali vincoli preesistenti, ed una seconda volta in esito alle operazioni di liquidazione, quando e se esse abbiano luogo. Se poi il creditore del socio fosse già ab origine munito di titolo esecutivo o se ne fosse munito nelle more della procedura di sequestro, la procedura potrebbe, in esito alla seconda dichiarazione, sfociare in pignoramento vero e proprio, con portata satisfattiva in dipendenza dei successivi atti di assegnazione del ricavato. In base ad una seconda ricostruzione, sarebbe possibile, ab origine anche il pignoramento della quota di liquidazione, rientrando tale figura tra i possibili “atti conservativi” rispetto alla soddisfazione del credito del terzo. Il pignoramento viene poi ricostruito come tale da concludersi in una unica dichiarazione del terzo 21 e con la susseguente cessione 22 o assegnazione della situazione di aspettativa rispetto alla quota di liquidazione, ovviamente, in caso di assegnazione, con effetto pro solvendo. In alternativa si propone 23 il pignoramento con doppia dichiarazione, di cui la prima resa immediatamente e la seconda da rinviare in esito alla liquidazione della quota, nel frattempo sottoposta al vincolo. la susseguente osservazione in merito ad una possibile incostituzionalità dell’art. 2305 c.c., per disparità di trattamento e lesione del diritto di difesa, rispetto all’ipotesi di cui all’art. 2270 secondo comma c.c. dettata per la società semplice. La questione, più che sulla disparità di trattamento in sé (che potrebbe anche essere spiegare da una qualche ragione organizzativa del sistema societario) sembra doversi concentrare, non senza fondatezza, sulla lesione del diritto di difesa, visto che si impedisce sostanzialmente al creditore del socio di esperire fruttuose azioni esecutive su un cespite patrimoniale che potrebbe anche, in ipotesi, essere l’unico. Del resto, una volta caducato l’art. 2305 c.c., automatica sarebbe l’applicazione dell’art. 2270 secondo comma c.c., in forza del rinvio di cui all’art. 2293 c.c. 20 Trib. Roma 16 aprile 1951, in Foro it., 1952, 1291, con nota favorevole di Ruperto, Gli atti conservativi di cui all’art. 2270 c.c. ed il sequestro a favore del socio nelle società personali 21 App. Milano 4 dicembre 1970, in Foro Padano, 1971, I, 508. Cfr., anche, per analoga questione in materia di cooperative. Trib. Napoli 15 febbraio 1991 n. 2706, in Diritto e giurisprudenza, 1992, 254, con nota di Scarpa. 22 Grasso, L’espropriazione della quota, Milano, 1957, 134 ss. fa riferimento, costruendo tale ipotesi, ad una sorta di emptio spei. 23 Trib. Monza 8 maggio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 673. 7 Una terza ricostruzione prospetta viceversa l’inquadramento della fattispecie in esame in una cautela atipica, da attuare nelle forme di cui all’art. 700 c.p.c.24 Si avrebbe quindi un primo provvedimento cautelare, nel contraddittorio di socio e società, con cui a quest’ultima sarebbe ordinato di comunicare al creditore, quando avvenisse, lo scioglimento della società e di mantenere a disposizione, per un dato lasso di tempo da tale comunicazione, le relative somme. La procedura di merito avrebbe poi come oggetto, per un verso, l’accertamento del diritto del credito verso il socio e l’accertamento del rapporto societario. Per altro verso, essa dovrebbe essere finalizzata alla declaratoria dell’esistenza del diritto, nei confronti della società (quale terza debitrice eventuale della quota di liquidazione), ad ottenere il pagamento della quota relativa al socio debitore25. La pluralità di ipotesi prospettate impone qualche approfondimento. Quanto alla prima ricostruzione, si osserva che la ripartizione del procedimento di sequestro in due fasi, ciascuna caratterizzata da una diversa dichiarazione del terzo, non trova fondamento alcuno nel diritto positivo. Del resto la natura meramente eventuale della maturazione di una quota liquidabile, non consente neppure di ipotizzare una qualche forma coerente di coordinamento tra l’una e l’altra dichiarazione così come rende inspiegabile, secondo le categorie processuali note, la quiescenza che la procedura di sequestro manifesterebbe tra la prima dichiarazione e la seconda. Quanto alla ricostruzione impostata lungo le linee della procedura ex art. 700 c.p.c., è stato osservato come essa non consenta di ottenere l’effetto di rendere opponibile a terzi di buona fede un’eventuale cessione delle quote, dato che il provvedimento d’urgenza non rientra nella categoria degli atti che sono suscettibili di opporre vincoli a terzi26. Del resto, anche l’ipotetica sentenza che scaturirebbe dal giudizio di merito non avrebbe e non potrebbe mai avere, per come intesa da tale ricostruzione, un effetto identico a quello di una cessione di credito e dunque non sarebbe opponibile, dal punto di vista del diritto sostanziale, al successivo cessionario del credito in questione. Parimenti, il giudicato formatosi nel giudizio di merito predetto, in favore del creditore che avesse proceduto nel senso indicato, non sarebbe opponibile al terzo cessionario della quota di liquidazione, in quanto soggetto estraneo al processo in cui quel decisum si sarebbe determinato. L’intera operazione potrebbe anche avere, di fatto, l’effetto di rendere più difficile, al terzo eventuale cessionario del credito, la riscossione della quota di liquidazione a ceduta e ciò in quanto la società potrebbe far constare, a tale terzo, di essere stata dichiarata tenuta a pagare la quota ad altra persona, allorquando essa fosse maturata. Siffatta opposizione non potrebbe però che cedere a fronte di un’accorta difesa del cessionario che facesse rilevare l’inopponibilità sostanziale nei suoi confronti dell’operazione e del giudicato reso inter alios. Seriamente dubbio è poi che la misura in esame possa essere eseguita attraverso iscrizione al registro delle imprese. Non si tratta infatti di atto funzionale al pignoramento della quota, ma solo al futuro pignoramento del credito costituito dalla quota di liquidazione. 24 Schermi, Gli “atti conservativi” che il creditore particolare del socio di una società di persone può compiere sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione: individuazione della misura cautelare, in Giust. civ., 1977, 144 e Salafia, Sulla impignorabilità della quota sociale da parte del creditore particolare del socio, in Giust. civ., 1994, I, 2629 e, in giurisprudenza, Trib. Ravenna 12 aprile 1994, in Giust. civ., 1994, I, 2625 e Foro it., 1995, I, 1051 (in cui peraltro la questione è affrontata insieme a quella sul pignoramento della quota durante societate) nonché Pret. Civitanova Marche 6 marzo 1993, in Foro it., 1994, I, 2287 ed in Giur. comm., 1995, II, 895, con nota di Franceschi. Peraltro mette conto osservare che, in entrambi i precedenti giurisprudenziali di cui sopra, non si è trattato di provvedimenti in cui sia stata accolta una domanda cautelare formulata ex art. 700 c.p.c., ma sia stata viceversa dichiarata invalida la procedura di pignoramento della quota di liquidazione, esprimendosi, come sostanziale obiter dictum, la convinzione dell’esperibilità della procedura cautelare in esame nel testo. 25 così, espressamente, Salafia, op. cit., 2631 26 in questo senso, Conte, Atti conservativi ex art. 2270 c.c. e sequestro conservativo, cit., 299. 8 Dunque non può parlarsi di incidenza, anche solo potenziale, sull’attività societaria (durante societate gli atti conservativi in esame non producono alcun effetto all’interno della compagine societaria), in quanto gli effetti si producono casomai a società sciolta. Ne consegue che non possono avere corso neppure quelle interpretazioni estensive 27 che ammettono, pur in mancanza di previsione espressa di legge, la iscrivibilità nel registro delle imprese degli atti che incidono sull’organizzazione societaria. In definitiva, la complessa procedura finirebbe per mancare proprio sotto il profilo che dovrebbe qualificarla, ovverosia dal punto di vista dell’effetto “conservativo” nei confronti di eventuali cessioni a terzi del cespite patrimoniale considerato. Anche l’ipotesi di ammettere il pignoramento della quota di liquidazione della società non appare convincente. Intanto, una volta ammesso il pignoramento, va consequenzialmente ammessa anche l’assegnazione o vendita della situazione giuridica che è oggetto della procedura espropriativa. Orbene, l’esistenza di una partecipazione societaria produce, rispetto al diritto a percepire la quota di liquidazione di tale partecipazione, una mera aspettativa, condizionata al fatto futuro e incerto del verificarsi delle condizioni che consentono lo scioglimento del rapporto societario e del permanere, in quel momento, di valori societari da ripartire. Quindi, per ammettere il pignoramento, come forma di attuazione delle garanzie dettate dall’art. 2270 c.c. in favore del creditore del socio, dovrebbe affermarsi che sia pignorabile anche una mera situazione di aspettativa e dunque non un credito attuale. Su questo profilo si appuntano le maggiori critiche di chi disconosce fondamento a tale ipotesi. Il rilievo principale in proposito attiene al fatto che oggetto del pignoramento sarebbe, in tale prospettiva, una situazione rispetto alla quale potrebbe essere incerta, al momento dell’esecuzione, la capacità satisfattiva. In sostanza, si afferma che si assoggetterebbe a pignoramento un credito soltanto possibile, oltre i limiti in cui la giurisprudenza ammette il pignoramento di crediti futuri o eventuali28. L’adesione a tale critica certamente impedirebbe di riconoscere ammissibilità al pignoramento. Peraltro, ove si ritenesse che oggetto di pignoramento possa essere anche una mera aspettativa29, la norma in esame finirebbe per restare sostanzialmente priva di significato precettivo, in quanto costituirebbe il mero riconoscimento di una facoltà già esistente in generale nell’ordinamento. Ove si consideri poi che il creditore del socio potrebbe anche in ipotesi già essere munito di titolo esecutivo, il riconoscimento espresso della facoltà di compiere “atti conservativi”, sarebbe cosa davvero inutile. Il dettato normativo dell’art. 2270 c.c. fornisce viceversa la netta impressione che gli “atti conservativi” ivi considerati costituiscano una figura cautelare a sé stante, propria dell’ambito societario ma con funzione del tutto analoga, nei limiti della compatibilità, a quella del sequestro conservativo ordinario. Tale misura va infatti caratterizzata come mero vincolo giuridico, inidoneo a trasformarsi in atto satisfattivo fino a che, quanto meno relativamente al socio interessato, non si determini lo scioglimento del rapporto societario. 27 cfr. gli s critti citati alla nota 41. Schermi, Gli “atti conservativi”, cit., 148 ss. 29 nella giurisprudenza, oltre a decisioni che tentano di delimitare l’ampiezza delle situazioni future pignorabili, si reperiscono massime in cui il riferimento va anche a “crediti illiquidi e condizionati, costituenti una mera spes” (Cass. 22 ottobre 1963 n. 2803). Il punto è che, una volta aperta il varco verso situazioni future, il passo verso il riconoscere anche situazioni meno certe, quali le aspettative come oggetto di pignoramento, è breve e sempre più difficile è stabilire, con criteri sicuri, il limite tra ciò che può essere oggetto di pignoramento e di ciò che non può esserlo. 28 9 Al contempo, carattere peculiare della figura è quello di rendere sostanzialmente impossibile parlare di custodia del bene sequestrato, in quanto oggetto del vincolo non è la quota in sé (che, come tale, potrebbe anche porre problemi di custodia o gestione temporanea), ma la futura liquidazione di tale quota (che è una mera aspettativa, destinata semmai a trasformarsi in un diritto di credito, ma non in un bene mobile immateriale quale è la quota). In sostanza si tratta di misura cautelare conservativa ma tale da rispettare al massimo l’autonomia patrimoniale della società ed il suo normale funzionamento 30. La specialità della cautela deriva dunque dal particolare humus sostanziale su cui la misura è destinata ad operare31. La ricostruzione della relativa disciplina non può, peraltro, che procedere ricercando forme cautelari simili che siano compiutamente regolate nell’ordinamento, onde trarne le norme applicabili. Non utili, almeno in via diretta, sono invece le norme sul nuovo processo societario. Esse, è vero, conoscono provvedimenti cautelari cui non segue necessariamente il processo di merito e che dunque restano attivi, con i propri effetti, fino a che non sopravvenga una situazione o una statuizione ulteriore che li renda inoperanti o che vi si sostituisca. La previsione (art. 23 delle norme sul processo societario) riguarda però soltanto i provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito e, dunque, non le misure di carattere conservativo32. La prospettiva logica fornita in tal senso dalla riforma è però di un certo significato nel momento in cui si debba trovare soluzione al problema di una misura cautelare necessariamente destinata a durare nel tempo, pur in assenza di un giudizio di merito cui essa rigorosamente acceda (già si è detto che chi ricorre per gli atti conservativi in esame potrebbe già essere munito di titolo esecutivo) o di un provvedimento di condanna che possa servire, attraverso il pignoramento, a trasformare la misura cautelare in vera misura satisfattiva. Ed allora, procedendo alla ricostruzione positiva dell’istituto in esame, va intanto definita la sua qualificazione giuridica. Si tratta certamente di mezzo di preservazione della garanzia patrimoniale, in quanto mirato alla salvaguardia del “creditore particolare del socio” (e dunque di un creditore per somme di denaro) mediante “atti conservativi”. Orbene i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (Libro sesto, titolo terzo, capo V del codice civile) operano sostanzialmente attraverso il triplice meccanismo della sostituzione al debitore inerente (azioni surrogatorie), della ritrattazione mediante pronuncia giudiziale degli effetti di atti pregiudizievoli (azioni revocatorie) oppure attraverso la “conservazione” del patrimonio del debitore rispetto ad eventuali atti dispositivi di esso (sequestro conservativo). Non vi è dubbio che la misura in esame rientri, data la sua natura come sopra individuata, nella categoria degli atti di carattere conservativo33. A fronte della necessità di trovare una disciplina per gli effetti e la procedura da applicare alla misura conservativa in esame, non si può perciò che fare riferimento, per analogia legis, alla normativa sostanziale e processuale del sequestro conservativo, visto che la norma specifica (art. 2270 c.c.) non contiene disposti specifici in tal senso. L’ipotesi di cui all’art. 2270 c.c. va in definitiva qualificata come forma di sequestro conservativo, tale da determinare, come l’ipotesi generale disciplinata agli artt. 2905 ss. c.c., la 30 per il rilievo sul fatto che gli atti conservativi in esame, comunque si connotino, non possono alterare l’autonomia amministrativa e decisionale della società, cfr. Salafia, Sulla impignorabilità, cit., 2631. 31 sarebbe altresì interessante, ma la cosa esula dai limiti del presente lavoro, verificare la tesi sostenuta nel testo alla luce di altre ipotesi in cui la normativa societaria consente di procedere ad atti conservativi, proprio in presenza di patrimoni destinati: cfr. ad es. l’art. 2447 decies comma quinto c.c., sulle “azioni conservative” consentite ai creditori della società sui ben strumentali funzionali all’operazione di finanziamento destinato ad uno specifico affare. 32 cfr. Amadei Soldati, Il processo societario, Milano, 2003, 101. 33 cfr. Trib. Monza 5 dicembre 2000, in Giur. Comm., 2001, II, 63, secondo cui il pignoramento è inammissibile e la misura va nella sostanza affiancata, pur nella propria individualità, al sequestro conservativo. 10 inefficacia relativa degli atti di disposizione, in conformità alle regole stabilite per il pignoramento (art. 2906 c.c.). Dal punto di vista processuale, l’analogia con la figura tipica del sequestro conservativo consente di ritenere comuni i presupposti cautelari tipici (timore di perdere la garanzia del credito), nonché le modalità procedurali, fatta eccezione per i profili rispetto ai quali la fattispecie speciale in esame denota particolarità non compatibili con la disciplina generale del sequestro conservativo. In particolare, non può esservi compatibilità, tra la disciplina ordinaria del sequestro e gli atti conservativi sulla quota di liquidazione, per quanto attiene alla necessità di conversione del sequestro in pignoramento una volta ottenuto il titolo esecutivo. Non troveranno quindi applicazione gli artt. 686 c.p.c. e 156 disp. att. c.p.c. Infatti, la connaturata incertezza temporale rispetto al momento in cui sarà possibile l’aggressione del bene del debitore, rende in sostanza incerto quando il patrimonio del debitore potrà essere concretamente aggredito per trarne soddisfazione. Ed anzi, si è già osservato come la peculiarità della cautela in esame sia data anche dal fatto che il creditore potrebbe anche essere già munito di titolo esecutivo verso il socio. Ciò premesso, può allora dirsi che la misura in esame, essendo assimilabile al sequestro, potrà essere concessa ove ricorrano i presupposti cautelari di cui all’art. 670 c.p.c. La procedura per la concessione dovrà poi essere quella di cui agli artt. 669 bis ss. c.p.c., in quanto compatibili (applicabili anche per il disposto dell’art. 669 quaterdecies c.p.c.) e il sequestro sarà attuato nelle forme di cui agli artt. 670 ss. c.c. Sotto il profilo dinamico, una volta esaurita la fase cautelare, seguirà, ove non preesista titolo esecutivo, il giudizio di merito (sul credito) e viceversa, qualora già preesista titolo esecutivo, non dovrà procedersi al giudizio di merito. Sotto il profilo esecutivo la misura, avendo ad oggetto un credito eventuale verso la società, andrà invece attuata nelle forme del sequestro presso terzi. Poiché non può esservi obbligo di conversione in pignoramento, per le ragioni sopra dette, la cautela resterà in vita come tale, con effetto conservativo, fino a quando non sia possibile il pignoramento ed il creditore del socio non vi proceda, anche questa volta nelle forme presso terzi. Al contempo, al socio che abbia per altra via onorato il debito o che per qualunque ragione non debba più pagare, potrà riconoscersi il diritto di agire per far accertare il venire meno dei presupposti per la permanenza della misura cautelare e ciò, qualora il creditore fosse munito di titolo esecutivo, attraverso le forme della cognizione ordinaria di accertamento negativo, oppure, in caso contrario, attraverso una mera richiesta di revoca o modifica del sequestro ai sensi dell’art. 669 decies c.p.c. 6. Il pignoramento della quota nelle società di persone La quota di partecipazione ad una società di persone, in sé considerata, è considerata, di massima, bene non pignorabile, alla luce dell’intuitus personae che caratterizza la partecipazione alla compagine societaria34. Dal punto di vista normativo, poiché il trasferimento della quota comporta la modifica della compagine soggettiva (voluta nell’atto costitutivo e caratterizzata, per norma generale, dalla scelta personale e fiduciaria rispetto ai singoli soci), esso resta assoggettato alla necessità di consenso unanime dei soci ai sensi dell’art. 2252 c.c., cosa che rende impossibile l’esecuzione forzata. Recentemente la Suprema Corte 35 ha tuttavia ammesso il pignoramento delle quote per il caso in cui l’atto costitutivo preveda la loro trasferibilità, salva la necessità di salvaguardare gli eventuali 34 Galgano, Le società di persone, cit., 265; Ferrara Corsi, L’imprenditore e le società, Milano, 1984, 326 Cass. 7 novembre 2002 n. 15605, in Giur. It., 2003, I, 1, 1866, pronuncia intervenuta a chiudere una vicenda giudiziaria che aveva visto un decisione di primo grado favorevole alla pignorabilità (Trib. Milano 19 dicembre 1996, in Giur.It., 1997, 510, con nota di Jorio) e quindi una sentenza di appello di segno contrario (App. Milano 23 marzo 1999, 35 11 patti di prelazione parimenti contenuti nel contratto sociale. In sostanza il fatto in sé di avere ab origine previsto la trasferibilità delle quote, fa ritenere che l’intuitus personae, nel singolo caso, passi in secondo piano e dunque si possa procedere a pignoramento 36. Si pone peraltro il problema della forma attraverso cui attuare un siffatto pignoramento. Le soluzioni prospettabili paiono sostanzialmente due. La prima è quella del pignoramento presso terzi che potrebbe essere fondata sull’analogia rispetto al regime del pignoramento della quota di s.r.l. come di regola attuato prima della recente riforma del diritto societario37. La seconda ipotesi che si potrebbe prospettare, fa invece riferimento proprio al nuovo regime del pignoramento di quota di s.r.l. E’ ormai appurato, come si è detto, che la quota di partecipazione ha natura di bene mobile immateriale38. Poiché il codice di rito non prevede alcuna forma specifica per il pignoramento di tali beni, non appare azzardato sostenere che si possa fare riferimento analogico alla nuova disciplina della s.r.l. (integrata dalle norme generali sul pignorame nto e dalle norme sul pignoramento presso il debitore), come modello unitario per l’esecuzione su partecipazioni societarie, ove non siano linearmente applicabili le ordinarie norme sul pignoramento mobiliare o presso terzi. Si tratterebbe dunque di procedere mediante atto notificato al socio ed alla società, su cui poi si fonderebbe l’intera procedura esecutiva, fino alla vendita. In effetti la prima ipotesi (pignoramento presso terzi) desta qualche perplessità sotto il profilo della effettiva coerenza logica rispetto all’istituto processuale utilizzato, visto che la quota di partecipazione non costituisce a rigore, durante societate, un debito della società verso il socio. L’accoglimento della seconda ipotesi consentirebbe invece di superare tale distorsione dello strumento della procedura presso terzi ed al contempo di adeguare il pignoramento in esame all’ipotesi più simile tra quelle normativamente regolate. Il punto fondamentale, rispetto alla tesi dell’estensione del pignoramento nelle forme cartolari previste per la s.r.l., pare essere quello in merito al regime di iscrizione nel registro delle imprese dei trasferimenti di quota di società di persone. La circostanza sembra di importanza decisiva in quanto tutte le forme di pignoramento sono regolate in modo da essere fondate sulla seria possibilità, attraverso esse, di colpire beni che effettivamente appartengono del debitore. Così, il pignoramento mobiliare si attua di regola presso i luoghi ove il debitore abita sul presupposto che in quei luoghi si trovano le cose che egli possiede e che dunque possano presumersi sue; il pignoramento presso terzi si attua in modo tale da consentire, o per riconoscimento del terzo o per effetto di accertamento giudiziale a cognizione piena, che davvero una cosa in detenzione del terzo o il credito staggito spettino al debitore esecutato; il pignoramento immobiliare si basa a propria volta sulla solida garanzia delle risultanze dei registri di Conservatoria. Orbene, se effettivamente si potesse concludere che il trasferimento di quota va iscritto, sarebbe ragionevole ritenere che sia legittima anche l’estensione analogica del pignoramento in forma analoghe a quelle previste per la s.r.l., visto che, fino a prova contraria, quanto emerge dal in Giur.it., 2000, I, 1, 295 ed in Vita Notarile, 2000, 388), poi cassata dalla Suprema Corte. In dottrina, in senso favorevole, cfr. Rivolta, La partecipazione sociale, Milano, 1964, 375. 36 non sembra invece che a tale ipotesi possa essere riportata quella espressamente regolata dall’art. 2322 secondo comma c.c., visto che la procedura esecutiva non ha gli strumenti per ottenere coattivamente una delibera favorevole al trasferimento. Questione diversa e tutta da discutere è se si possa ammettere una delibera preventiva ai sensi dell’art. 2322 secondo comma c.c., assunta a prescindere dalla persona del potenziale acquirente della quota ed iscritta a registro delle imprese, e se, una volta assunta tale delibera, si possa parlare di quota trasferibile e dunque assoggettabile a pignoramento. 37 Cass. 4 aprile 1997 n. 2926 e Cass. 1 ottobre 1997 n. 9577, in Foro it., 1999, I, 1615 con nota di Rossi; Cass. 14 aprile 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101; Cass. 11 luglio 1962 n. 1835. 38 Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087 12 registro delle imprese in merito all’appartenenza della quota, va ritenuto fare fede rispetto alla spettanza della quota stessa al debitore (art. 2193 c.c.). La base di tale forma di pignoramento sarebbe dunque in tal modo certamente assai più solida di quanto potrebbe ottenersi, ipotizzando l’attuazione nelle forme presso terzi, da una dichiarazione giudiziale della società o dall’accertamento giudiziale (in contraddittorio del socio e della società) della spettanza al debitore della quota, ovverosia di fatti tutti che non possono certo fare stato verso i terzi effettivi proprietari. In proposito, va rilevato che l’art. 2300 c.c. prevede l’iscrizione, per l’opponibilità ai terzi, delle modifiche dell’ “atto costitutivo”. Si tratta dunque di stabilire se la cessione volontaria della quota societaria determini modificazione dell’atto costitutivo o meno. Non vi è dubbio che si tratti di modifica (soggettiva) del contratto sociale, ma si potrebbe sostenere che la cessione volontaria della quota non costituisca modifica dell’atto costitutivo, proprio perché sarebbe lo stesso atto costitutivo a prevederne, a priori, la possibilità. Si dovrebbe dunque parlare di mero negozio di attuazione di una possibilità prevista nell’atto costitutivo e non di modifica dello stesso. La tesi tuttavia non convince. Lo scopo della pubblicità rispetto all’atto costitutivo non è quello di assicurare la mera conoscenza del documento in sé, ma dei dati che l’art. 2295 c.c. richiede emergano da esso. E l’importanza dei dati soggettivi dei soci, nelle società di persone, non necessità di particolari spiegazioni, dato il regime della responsabilità per i debiti societari39. Pertanto la modifica sostanziale di quei dati, sia che essa provenga da una delibera unanime di modifica dell’atto costitutivo, sia che derivi da una modifica scaturente da un meccanismo diverso, comunque previsto dalla legge o dall’atto costitutivo, va ritenuta soggetta ad iscrizione 40 per l’opponibilità ai terzi 41. La tesi sull’esecuzione del pignoramento nelle forme speciali in esame appare dunque preferibile. Altra questione è invece quella relativa al regime di opponibilità ai terzi del pignoramento in questione. Anche in questo caso il problema è del tutto analogo a quello che si poneva, per le quote di s.r.l., prima delle recenti riforme. Intanto è necessaria una premessa. 39 sul punto si può osservare come il mutamento del nominativo dei soci non possa essere ritenuto una modifica del contratto nella società per azioni, laddove la quota, salve limitate eccezioni temporali, è destinata per natura a circolare. Si deve poi tenere conto che la legge nella s.p.a. disciplina le modificazioni sotto forma di modificazioni dello statuto (sezione X, art. 2436 ss. c.c.). Dunque, fermo restando l’atto costitutivo (che è l’espressione del contratto originario di società e che, come tale, è alla fin fine immutabile), “non sono modificazioni statutarie, nella società per azioni, i mutamenti che incidono sul n. 1 dell’art. 2328” (così, espressamente, Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Francesco Galgano, Padova, 2003, 358). 40 in questo senso, sebbene in via del tutto incidentale, cfr. anche Conte, Atti conservativi ex art. 2270 c.c. e sequestro conservativo, cit., 300. 41 è ad esempio pacifico che il recesso del socio, che di per sé non costituisce modifica dell’atto costitutivo, ma solo del rapporto societario, in attuazione dei patti originari (art. 2285 secondo comma) o della legge (art. 2285 primo comma) vada iscritta (Trib. Padova 19 novembre 1996; Trib. Arezzo 19 gennaio 1999, tutte in Il registro delle imprese nella giurisprudenza, Atti del convegno di Sassari 5-6 novembre 1999, 172 ss.) . Semmai il problema è quello di stabilire se il socio receduto sia legittimato ad ottenere l’iscrizione (in senso favorevole, Trib. Rimini 8 maggio 1997; in senso contrario, sul presupposto che chi è receduto non è neppure più socio, Trib. Arezzo 19 gennaio 1999 e Trib. Vicenza 25 maggio 1998, dovendosi, secondo quest’ultima pronuncia, procedere a dare impulso alla procedura di cui all’art. 2190 c.c.: tutte le pronunce menzionate sono reperibili in Il registro delle imprese nella giurisprudenza, cit., 172 ss.). A prescindere dalla questione in merito al recesso, certamente, se l’iscrizione sul registro delle imprese del trasferimento, è, come si sostiene di seguito nel testo, dato di rilievo per la circolazione della quota e l’opponibilità al pignoramento, è ben difficile negare all’acquirente – che tra l’altro sarebbe già socio – legittimazione alla richiesta di iscrizione: legittimazione che, stante la necessità di non figurare ulteriormente come socio (con tutto quanto ne deriva in punto di responsabilità) è parimenti difficile disconoscere all’alienante. 13 Se si ritiene, come ormai appare pacifico in giurisprudenza, che la quota di partecipazione alla s.n.c. regolare o alla s.a.s. siano beni mobili immateriali, sembra comunque da escludere che possa avere rilievo, per gli acquisti successivi al pignoramento, il disposto dell’art. 2913 ultima parte c.c. Il bene immateriale, quando non si esprima attraverso riscontri concreti (come ad es. le onde elettromagnetiche che vengono recepite e trasformate in suoni o immagini) ma solo si manifesti attraverso l’esercizio dei diritti che da esso derivano, non appare suscettibile di possesso42 e dunque, di acquisto a titolo originario nelle forme di cui all’art. 1153 c.c. Dunque, prescelta tale strada, ogni acquisto successivo al pignoramento non potrebbe mai essere opposto alla procedura. Resta tuttavia il problema di stabilire quale sia il regime rispetto all’opponibilità del pignoramento agli acquisti anteriori ad esso. Qui è decisivo stabilire se si ritenga che il bene immateriale costituito dalla quota di società di persone sia da considerare bene mobile iscritto in un pubblico registro e se il relativo pignoramento possa essere fatto risultare sul registro delle imprese o meno. La natura di bene mobile registrato va affermata, essendo comprovato, sulla base di quanto sopra detto, che il trasferimento della quota soggiace al regime dell’iscrizione sul registro delle imprese. Per ogni ulteriore approfondimento in proposito si rinvia a quanto sarà di seguito precisato con riferimento alla quota di s.r.l. Quanto al pignoramento, qualora esso non fosse ritenuto iscrivibile sul registro delle imprese, il regime dell’opponibilità ai terzi resterebbe assoggettato alla disciplina dell’art. 2914 n. 4 e dunque al criterio della data certa. Non potrebbe infatti trovare mai applicazione l’art. 2914 n. 1, in quanto se il pignoramento non è iscritto, manca uno dei termini di comparazione per valutare l’anteriorità. Sarebbero perciò opponibili al pignoramento le cessioni di quota effettuate con atto di data certa anteriore al pignoramento, a prescindere dal fatto che, prima del pignoramento, fossero state o meno iscritte. E’ evidente che la conclusione è tale da rendere oggettivamente meno certi gli esiti della procedura esecutiva. Infatti, ai sensi dell’art. 2919 c.c., l’atto di data certa sarebbe in tal caso opponibile, così come lo è al pignorante, anche all’acquirente ed all’assegnatario in sede di vendita forzata (salvo, per l’assegnazione, l’eventuale regime beneficiato di all’art. 2926 c.c.). Dunque la procedura resterebbe esposta a gravi rischi, dapprima, di fruttuosa opposizione di terzo e, successivamente, di evizione a danno del cessionario. Vi è però da dire che, una volta affermata la sottoposizione del trasferimento della quota alla disciplina pubblicitaria del registro delle imprese, potrebbe aver corso quell’interpretazione 43, secondo cui l’obbligo di iscrizione andrebbe esteso ad ogni atto, correlato alla titolarità della quota, che incida sull’esercizio dei diritti all’interno della società e sull’organizzazione della stessa, caratteristiche di cui certamente è dotato il pignoramento, visto che con esso la quota passa necessariamente da un regime di libertà ad un regime di custodia (il che può comportare un diverso assetto nell’esercizio dei diritti all’interno della società, in relazione alla quota interessata). E da qui potrebbe quindi ricostruirsi il sistema, in modo analogo a quanto concernente la s.r.l., come basato sul regime di opponibilità dei beni mobili registrati (art. 2914 n. 1 c.c.): sul punto 42 sul punto, per approfondimenti, seppure con riferimento alla materia delle azioni dematerializzate, cfr. Cian, Dematerializzazione degli strumenti finanziari e “possesso” della registrazione in conto, in Banca borsa e tit. credito, 2002, 176. In senso critico sulla possibilità di possedere le quote di una s.r.l. , si è pronunciato anche Chiarloni, Il pignoramento di quote di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite iscrizione nel registro delle imprese, in Giur.it., 1995, IV, 160; in senso favorevole al possesso di quota, da esercitare attraverso l’iscrizione a libro soci, cfr. invece Cass. 12 dicembre 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101; in senso contrario, Trib. Torino 27 agosto 1992, in Giur. it., 1993, II, 585, con nota di Sanzo, Conflitto tra creditore pignoratizio ed acquirente di quota di società a responsabilità limitata: brevi riflessioni su una fattispecie particolare. In senso favorevole al possesso di mezzi finanziari dematerializzati, Tribunale di Milano 26 marzo 2001, in Banca borsa e tit. credito, 2002, 160. 43 cfr. Speranzin, Registro delle imprese e trasferimento di quota della s.r.l.: questioni ancora non (del tutto) risolte, in Giur. Comm., 2001, II, 635 e Marasà Ibba, Il registro delle imprese, Torino, 1997, 98. 14 peraltro, tutt’altro che pacifico anche in tema di s.r.l., si rinvia alla trattazione che in proposito viene svolta di seguito per la società a responsabilità limitata. Nel caso si ritenesse impraticabile una tale strada interpretativa ed al contempo si accogliesse la tesi secondo cui la quota di s.r.l., nei rapporti con il pignoramento, soggiaccia alla disciplina dell’art. 2914 n. 1 c.c., si potrebbe invece ipotizzare una questione di legittimità costituzionale, basata sulla disparità di trattamento tra due situazioni (pignoramento quota di società di persone liberamente trasferibile e pignoramento di quota di s.r.l.) che, pur essendo assai simili, troverebbero una diversa regolamentazione sotto il profilo dell’opponibilità del pignoramento ai terzi: con violazione congiunta, pertanto, degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Per quanto attiene ai rapporti tra pignoramento e domande giudiziali, nonché tra clausole di prelazione e pignoramento, si rinvia alla trattazione del tema che viene fatta di seguito per la s.r.l., rispetto alla quale non sussistono sostanziali differenze. 7. Il sequestro giudiziario della quota di società di persone Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte 44, la quota di partecipazione a società di persone può essere assoggettata a sequestro giudiziario. Sul presupposto che la quota abbia natura di bene immateriale, cui afferisce una fascia di situazioni giuridiche soggettive diverse e tra loro correlate (diritti, obblighi, aspettative etc.), si è affermata la natura di bene mobile di essa, ai sensi dell’art. 812 ultimo comma c.c. 45 e dunque si è ritenuto che la stessa, come qualunque bene mobile, possa essere sottoposta alla misura cautelare in esame, purché ricorra “una qualunque azione che implichi statuizione sulla proprietà” (o comunque sulla sua titolarità)46. La Cassazione ha osservato in particolare47 che i dubbi dottrinali e giurisprudenziali sul limite al sequestro costituito dall’operatività del contratto sociale in regime di intuitus personae, non sono in effetti fondati. Viceversa, rileva la Corte, la misura cautelare costituisce proprio elemento di garanzia del rispetto del patto di fiducia originario, risultando essa funzionale ad assicurare che, alla fine della controversia sulla titolarità della quota, essa pervenga, senza alterazioni cagionate dalla pendenza della lite, proprio a colui che ha diritto ad esserne riconosciuto titolare. Più che di custodia, precisano ancora i giudici di legittimità, si determina una fattispecie tipica di “gestione temporanea” (art. 670 n. 1 ultima parte c.p.c.) del bene che è oggetto di lite (anche se ciò non sembra possa escludere che l’esecuzione del sequestro si svolga con l’ausilio di custode). Ciò che la Suprema Corte non risolve sono invece le questioni relative alle modalità esecutive di tale misura cautelare. Sul punto è intanto necessaria una premessa. Se la quota è un bene immateriale, non potendosi parlare di possesso di essa48, la causa di merito che la riguarda non potrà che avere portata dichiarativa della proprietà e, al più, la condanna, per la parte cui la quota non risulti spettare, ad astenersi dall’esercizio delle prerogative di socio ed a permettere l’esercizio di esse da parte dell’avente diritto. In sostanza la decisione di merito non potrà avere (salvo profili secondari che non necessariamente ricorrono, come la eventuale consegna di documenti o atti relativi alla partecipazione societaria) un contenuto positivo di condanna ad operazioni di consegna o rilascio rispetto al bene (quota) in sé e per sé considerato . Analogamente il sequestro giudiziario, che è misura finalizzata alla gestione della cosa, ma che non può certamente eccedere i limiti entro i quali potrà avere corso la pronuncia di merito cui 44 Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087. Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, cit. 46 Cass. 10 novembre 1992 n. 12087, cit. 47 Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, cit. 48 cfr. gli autori citati alla nota 42. 45 15 esso è funzionale, altro non determinerà che l’immissione del custode nell’esercizio dei diritti propri del socio. Ciò premesso, si comprende chiaramente come le norme sull’esecuzione per consegna richiamate dall’art. 677 c.p.c., quale disciplina utile all’attuazione del sequestro giudiziario, trovino applicazione sostanzialmente limitata (del resto il rinvio dell’art. 677 c.p.c. ad esse è contenuto espressamente con la clausola di compatibilità), perché l’effetto della misura cautelare non consiste in uno spossessamento materiale, ma solo nell’immissione del custode, ad opera dell’ufficiale giudiziario, nell’esercizio dei diritti spettanti a chi sia socio e ciò nell’interesse di chi spetterà. In buona parte il provvedimento giudiziale è in sostanza da eseguire attraverso il mero verbale di immissione del custode nel possesso delle funzioni 49. Il che, in una con il provvedimento giudiziale di nomina (contenuto già nell’atto di autorizzazione al sequestro: art. 676 c.p.c.) basta a legittimare il custode all’esercizio dei diritti verso la società, la quale non può certamente disconoscere l’efficacia del provvedimento, trattandosi di atto che rispetto ad essa non dispiega effetti diretti, ma che certamente sottrae ai contendenti ogni diritto di esercizio in proprio delle facoltà inerenti alla veste di soci. 8. Pignoramento della quota di s.r.l.: forma Il pignoramento di quota di s.r.l., fonte per decenni di questioni di poco soddisfacente soluzione 50, ha infine trovato disciplina espressa con la recente riforma del diritto societario. Il tema ha come logica premessa l’esposizione del regime di trasferimento volontario delle quote. Non sembra che l’art. 2470 c.c. abbia inteso stabilire un regime di forma scritta ad substantiam per l’atto di cessione di quota. Di una previsione di forma a pena di nullità non vi è traccia e la sottoscrizione autenticata è prevista al solo fine procedere all’iscrizione sul registro delle imprese51. Si tratta di una chiara previsione di forma ad regularitatem, finalizzata ad ottenere gli effetti di opponibilità che derivano dall’iscrizione sul registro delle imprese e dalla conseguente iscrizione sul libro dei soci. Inter partes la cessione di quote ha quindi effetto con la mera manifestazione del consenso. Nel conflitto tra più subacquirenti vige la regola (art. 2470 terzo comma c.c.) per cui prevale chi per primo abbia iscritto in buona fede (che, come per regola generale, si presume ex art. 1147 c.c.), anche se il titolo sia di data posteriore. Verso la società (con riferimento all’esercizio dei diritti amministrativi e patrimoniali) il trasferimento ha invece effetto con l’iscrizione nel libro dei soci che la parte ha peraltro diritto di ottenere sulla mera esibizione dei documenti legittimanti, corredati dell’annotazione di avvenuto deposito presso il registro delle imprese. Il pignoramento delle quote si esegue, ai sensi dell’art. 2471 c.c., mediante atto notificato al debitore ed alla società e successiva iscrizione di esso nel registro delle imprese: tale atto, come per regola generale, dovrà inoltre contenere l’ingiunzione ex art. 492 c.p.c. nei confronti del debitore. Gli amministratori, in esito alla notifica alla società, procedono quindi “senza indugio”, all’annotazione nel libro dei soci. 49 se peraltro si accede alla tesi sull’iscrivibilità nel registro delle imprese, di tutti gli atti che hanno effetti sull’organizzazione ed il funzionamento della società, in quanto funzionali a questioni sul trasferimento di essa (ed il sequestro giudiziario per lo più interverrà quando tra più parti si controverte sulla spettanza della quota), l’atto dovrebbe venire pubblicizzato, stanti anche gli effetti sull’esercizio dei diritti (art. 2471 bis e 2352 c.c.). 50 sul tema, cfr. Chiarloni, Il pignoramento di quote di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite iscrizione nel registro delle imprese, cit., 154 ss.; Bonsignori, Gli effetti del pignoramento, in Commentario Schlesinger al codice civile, Milano, 2000, 86. 51 Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 481. 16 E’ noto come, in precedenza, si ritenesse che il pignoramento delle quote dovesse rivestire le forme del pignoramento presso terzi 52. Ed è parimenti nota la sostanziale natura convenzionale o residuale di tale ricostruzione 53, apparendo sostanzialmente incongruo individuare la quota, durante societate, come oggetto di un credito o di un diritto di restituzione verso la società. La riforma consente di superare il punto critico, eliminando ogni necessità di fare riferimento alla procedura presso terzi. Va intanto ribadita la premessa, poco sopra ricordata, secondo cui la società non è, con riferimento alla quota e fino a che non si giunga allo scioglimento dell’ente (ma quest’ultimo eventuale aspetto qui non interessa) terza debitrice dei propri soci. Orbene il codice di rito, allorquando disciplina il pignoramento “presso il debitore” non intende significare che esso riguardi soltanto cose che siano fisicamente nella casa o in altri luoghi appartenenti al debitore stesso (art. 513 primo comma c.p.c.). L’ipotesi si estende infatti, espressamente, ai beni che si trovino altrove ma di cui il debitore possa liberamente disporre (salvo l’aggravio procedurale della previa autorizzazione giudiziale ex art. 513 comma terzo) ed anche a beni che siano in possesso di terzi, purché questi ne consentano l’esibizione (art. 513 ultimo comma). Se ne desume che il pignoramento sia da qualificare come presso il debitore, tutte le volte in cui non sia necessario accertare l’esistenza o meno di diritti espropriabili del debitore verso il terzo (accertamento che poi segue mediante la dichiarazione formale del terzo ex art. 547 c.p.c. o attraverso la verifica giudiziale ex art. 548 c.p.c. dei diritti del debitore vero il terzo). Orbene, nel caso di beni immateriali, quali le quote di s.r.l., è evidente che la disponibilità per il debitore, rispetto all’esercizio del diritto di proprietà, non viene neppure intermediata in alcun modo dal terzo. Si tratta dunque di pignoramento presso il debitore di cosa immateriale, la cui disciplina è arricchita dalle norme speciali di cui all’art. 2471 c.c. e che, per il resto, soggiace alle regole di cui agli art. 513 ss c.p.c., ovviamente in quanto sussista compatibilità rispetto alle menzionate regole speciali. Non vi è perciò necessità alcuna di dichiarazioni di terzo. Del resto, a fondamento di ciò sta anche il fatto che, rispetto alla spettanza del bene al debitore, si può fare affidamento su quanto risultante dal registro delle imprese. E’ chiaro, dalla struttura della norma, che gli effetti del pignoramento si producono tutti mediante gli incombenti di notifica e di pubblicazione sul registro delle imprese. In analogia al sistema del tutto simile del pignoramento immobiliare, si può ritenere che il pignoramento, per il debitore, esista già con la notifica nei suoi confronti, con rilevanza di ciò per quanto attiene al rispetto dei termini interni alla procedura esecutiva (rispetto del termine di efficacia del precetto; decorso del termine per l’istanza di vendita) 54. L’iscrizione sul registro delle imprese è invece il momento da cui il pignoramento assume efficacia nei confronti dei terzi. Legittimati a procedere a tale iscrizione, sempre in analogia a quanto prevista per la procedura immobiliare, sono da considerare sia l’ufficiale giudiziario, sia la parte creditrice. L’iscrizione a libro soci ha invece la funzione di adempiere ad una forma tipica di pubblicità interna alla compagine sociale, utile a portare i soci a specifica conoscenza del fatto (è infatti evidente che, per i singoli soci, l’iscrizione sul libro societario è forma di conoscenza più intensa di quanto possa derivare sia dalla pubblicazione sul registro delle imprese, sia dalla notifica alla società, che, essendo ricevuta dai rappresentanti, potrebbe restare ignota ai soci). In analogia a 52 Cass. 14 aprile 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101; Cass. 11 luglio 1962 n. 1835. “in mancanza di meglio” afferma, criticamente, Bonsignori, Gli effetti del pignoramento, op. loc. cit.; “per esclusione di ogni altra forma esecutiva” si legge in Briolini, L’attuazione del pignoramento e dei sequestri di azioni nominative, in Banca borsa e tit. credito, 2001, I, 180. 54 in materia immobiliare, cfr. Cass. 27 marzo 1965 n. 525, in Riv. diritto processuale, 1966, 320, con nota di Tarzia. 53 17 quanto previsto dall’art. 2470 primo comma c.c. per il trasferimento volontario della quota, si può invece ritenere che l’iscrizione condizioni l’esercizio dei diritti societari in capo al custode. La custodia della quota (per la nomina del custode valgono le regole ordinarie di cui all’art. 521 c.p.c.) e l’esercizio dei relativi diritti societari sono disciplinati dall’art. 2471 bis c.c. che rinvia, con riferimento al sequestro, all’art. 2352 c.c. La norma, va ritenuta sostanzialmente applicabile anche al caso di pignoramento della quota. Infatti la formulazione generica della disposizione non autorizza a limitarne l’applicazione all’ipotesi di sequestro giudiziario, di talché, una volta ritenuta l’applicabilità al sequestro conservativo, va ovviamente ritenuto, data la sovrapposizione di forme ed effetti tra sequestro conservativo e pignoramento, che essa operi anche in caso di pignoramento, appunto, della quota 55. In sostanza al custode spetta il diritto di voto, nonché ogni altro diritto amministrativo (art. 2352 primo e ultimo comma). Il pignoramento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2352, 2442 e 2481 ter c.c., si estende sulla quota, anche ove essa aumenti di consistenza per effetto di una delibera di imputazione di riserve od altri fondi a capitale56. Si deve poi ritenere che i frutti della quota, ovverosia gli utili, dopo il pignoramento, vadano a comporre la somma ricavata ai sensi dell’art. 509 c.p.c.57 Per i frutti maturati prima del pignoramento e non riscossi va invece promosso autonoma procedura presso terzi. Una volta eseguito il pignoramento, si procederà, previa istanza di parte creditrice, alla fase di autorizzazione alla vendita, il tutto secondo le regole ordinarie. Appare in ogni caso opportuno che il giudice verifichi presso il registro delle imprese l’effettiva spettanza al debitore delle quote secondo il regime delle iscrizioni, la quale cosa potrà avvenire in una con la perizia di stima del valore delle quote, sostanzialmente necessaria, data la natura del bene 58. Nel caso in cui la quota sia in comproprietà (art. 2468 ultimo comma c.c.), troveranno altresì applicazione le norme di cui agli art. 599 ss. c.p.c. La separazione in natura è cosa in sé priva di senso, dunque non si potrà che procedere alla vendita della quota indivisa o allo scioglimento della comunione. 9. Opponibilità al pignoramento degli atti di alienazione della quota di s.r.l. La riforma del diritto societario, mentre dedica una norma, sopra richiamata, alla disciplina del conflitto tra successive alienazioni della stessa quota, non contiene nulla di espresso in merito al rapporto tra il pignoramento della quota e gli atti di disposizione di essa. Le possibilità sono plurime. Una prima opzione di fondo è quella di definire se il conflitto in esame sia da risolvere sulla base degli artt. 2913 c.c. e 2914 c.c., oppure sulla base della regola di cui all’art. 2193 c.c. Ove quest’ultima norma fosse intesa anche quale disciplina del potenziale conflitto tra diritti, da essa si trarrebbe la regola per cui il pignoramento prevarrebbe sull’atto di cessione della quota da 55 Salanitro, I vincoli sulle quote di società a responsabilità limitata, in Banca borsa e tit. credito, 2004, 11. la decisione di procedere ad aumento di capitale mediante nuovi conferimenti spetta al socio, ai sensi dell’art. 2352 c.c.: poiché la quota del socio si esprime come proporzione sul totale del capitale (art. 2468 c.c.) sembra potersi concludere che in tal caso il pignoramento si espanda automaticamente sulla nuova dimensione quantitativa della quota. Il che porta ad affermare che una tale ipotesi sia ben rara, non essendo così frequente che il debitore provveda ad incrementare con investimenti propri il valore dei beni staggiti, rispetto ai quali potrebbe anche non esercitare alcuna facoltà gestoria, ove custode sia stato nominato un terzo. 57 Cass. 9 dicembre 1992 n. 13109 precisa altresì che, in caso di sopravvenuta liquidazione della società, il pignoramento della quota si converte in pignoramento della quota spettante in sede di liquidazione. 58 appare difficile, anche se non in assoluto impossibile, che possa trovare applicazione la disciplina sulla piccola espropriazione mobiliare, data la difficoltà, per l’ufficiale giudiziario, anche se munito di stimatore, di procedere a valutazione immediata della quota. 56 18 parte del debitore, purché iscritto per primo e nell’ignoranza incolpevole della preesistenza di una cessione della quota stessa non ancora iscritta. Prevarrebbe invece, de plano, la cessione iscritta prima del pignoramento, salvo doversi verificare che cosa accada nell’ipotesi in cui il cessionario abbia iscritto il proprio atto dopo le notifiche relative al pignoramento, ma prima dell’iscrizione di questo: in questo caso potrebbe effettivamente richiedersi, per la prevalenza del cessionario, un coefficiente soggettivo di buona fede da parte sua rispetto alla preesistenza del pignoramento. L’ipotesi in merito all’applicazione dell’art. 2193 c.c. come norma di disciplina sui conflitti di diritti è peraltro assai controversa59. Già la circostanza che la norma (art. 2193 c.c.) si riferisca a “fatti”, rende dubbio che essa sia stata posta a regolare il conflitto tra gli effetti di atti (atto di pignoramento e atto di alienazione; atti di alienazione della medesima quota) e non, piuttosto, a disciplinare la sola conoscenza in capo ai terzi di quanto iscritto (o non iscritto) sul registro, per effetti, correlati a tale conoscenza, dettati da altre norme (nel senso che, quando una norma preveda come requisito, a determinati fini, la conoscenza di un dato ed esso, pur dovendolo, non sia stato iscritto, non si può opporre lo stesso al terzo, salvo che si provi che egli sapeva della circostanza interessata). La tesi è ora avvalorata dal fatto che il legislatore (art. 2470 terzo comma c.c.) ha regolato espressamente proprio una delle ipotesi tipiche in cui l’art. 2193 c.c. avrebbe potuto trovare applicazione, ovverosia la doppia alienazione di quote di s.r.l. Orbene, se l’art. 2193 fosse norma idonea a risolvere anche i conflitti tra diritti, non vi sarebbe stata necessità di una norma ad hoc. Tanto più che la norma richiamata detta criteri poi non così dissimili da quelli che avrebbero trovato applicazione sulla base del solo disposto dell’art. 2193 c.c. Abbandonando perciò il campo dell’art. 2193 c.c. e riportando la questione alla sede, decisamente più tipica, degli artt. 2913 ss. c.c., le opzioni restano ancora plurime. Preliminare, anche da questo punto di vista è dirimere una questione di fondo. E’ ormai sostanzialmente pacifico che la quota abbia natura di bene mobile immateriale60. Non è pacifico se si tratti di bene mobile iscritto in pubblico registro o di bene immobile non iscritto in pubblico registro61. Se si opti per la seconda tesi, resta da stabilire se si tratti di bene suscettibile di possesso in senso tecnico62, da esercitare attraverso l’iscrizione a libro soci, o meno. Qualora si ritenga la quota suscettibile di possesso, nei termini sopra detti, dopo l’iscrizione del pignoramento non si potrebbe mai avere un acquisto di buona fede, perché tale coefficiente soggettivo sarebbe escluso iuris et de iure, una volta iscritto il pignoramento, dall’art. 2193 secondo comma c.c. L’acquisizione del possesso anteriormente all’iscrizione del pignoramento o la presenza di un atto di cessione di data certa, potrebbero invece rendere opponibili al pignoramento, seppure iscritto, le alienazioni della quota anteriori a tale iscrizione. Il dubbio tuttavia che la quota sia bene suscettibile di possesso (e non di mero esercizio dei diritti che derivano dalla sua proprietà) è forte. Ritenendo la quota un bene mobile immateriale insuscettibile di possesso, ma qualificabile come di natura non registrata, le alienazioni successive al pignoramento non sarebbero ancora mai 59 cfr., per un riepilogo ragionato delle posizioni, cfr. Marasà Ibba, Il registro delle imprese, 1997, 226 ss; in specifico, con riferimento alla materia in esame delle quote di s.r.l., cfr. Speranzin, Registro delle imprese e trasferimento di quota della s.r.l.: questioni ancora non (del tutto) risolte, in Giur. Comm., 2001, II, 635. 60 Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087. 61 escluderebbe la natura di bene iscritto in pubblico registro Cass. 14 aprile 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101, la quale però non fa testo, in quanto relativa ad un epoca in cui non era prevista l’iscrizione dei trasferimenti di quota sul registro delle imprese. Non sono decisive, in senso contrario, perché non si esprimono sul punto, limitandosi a richiamare solo la natura di bene immateriale, le citate Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087; in senso favorevole alla natura di bene mobile registrato, Chiarloni, Il pignoramento di quote di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite iscrizione nel registro delle imprese, cit., 162 e Pret. Carpi 6 novembre 1995, in Giur.it, 1996, I, 2, 10; in senso contrario, Revigliono, Il trasferimento della quota di società a responsabilità limitata. Il regime legale, Milano, 1996, 160 ss. 62 in questo senso, la citata Cass. 14 aprile 1986 n. 7409; per le posizioni critiche, cfr. la nota 42 che precede. 19 opponibili (art. 2913 c.c.) perché non si potrebbe mai verificare la fattispecie di acquisto in buona fede sulla base del possesso; le alienazioni anteriori lo sarebbero alla sola condizione della certezza di data anteriore rispetto al pignoramento stesso (art. 2914 n. 4 c.c.). Il punto è che la tesi della natura, per la quota, di bene mobile non registrato non appare poi così convincente. L’art. 815 c.c. qualifica come beni mobili registrati quelli iscritti in pubblici registri. Ora, che il registro delle imprese sia un pubblico registro, è certo. Dal combinato disposto dell’art. 2463 n. 6 c.c. e dall’art. 2330 c.c. (applicabile per il rinvio dell’art. 2463 ultimo comma c.c.) si desume poi che le quote sono iscritte, quale parte dell’iscrizione dell’atto costitutivo: e che l’iscrizione riguardi anche le quote in sé considerate è attestato dal fatto che vi sono eventi successivi che le riguardano, come il pignoramento, i quali, pur non costituendo in nessun modo modifica dell’atto costitutivo, neppure sotto il profilo della composizione della compagine societaria, vanno purtuttavia iscritti. Se ne conclude che la quota è bene assoggettato di per sé al regime dell’iscrizione, laddove il fatto di venire originariamente iscritta in una con l’atto costitutivo (e di cessare con l’atto di scioglimento della società) altro non è che conseguenza dell’inserirsi di essa nella dinamica contrattuale societaria e di scaturire (e cessare) con essa. Se dunque si attribuisce preferenza alla tesi che ravvisa nella quota di s.r.l. un bene mobile registrato 63, la disciplina dei rapporti tra cessioni e pignoramento, è ancora diversa ed ancora una volta si danno due opzioni. In tutti i casi, ai sensi dell’art. 2913 c.c., ancora una volta è certo che nessuna cessione successiva all’iscrizione del pignoramento potrebbe mai prevalere. Il problema riguarda invece la disciplina delle alienazioni anteriori al pignoramento. L’art. 2914 n. 1 fa riferimento ai beni mobili registrati, ma richiama, come forma di definizione del conflitto, la trascrizione, mentre per le quote l’incombente pubblicitario è l’iscrizione. Ne potrebbe conseguire che la disciplina da applicare sia quella dell’art. 2914 n. 4 c.c.; infatti, stante l’inidoneità della quota al possesso in senso tecnico (oltre che l’estraneità del tema del possesso, in via generale, per i beni mobili iscritti in pubblici registri), ne risulterebbe come regola di disciplina del conflitto solo quella sulla data certa dell’atto, rispetto all’iscrizione del pignoramento sul registro delle imprese. Nel primo caso (applicazione dell’art. 2914 n. 1 c.c.) è evidente che ne resterebbe assicurata una maggiore certezza per il pignoramento (esso sarebbe destinato a buona sorte ogni qual volta al momento dell’iscrizione le quote risultassero intestate al debitore). Nel secondo caso (applicazione del criterio della data certa), ne risulterebbe più tutelata la circolazione volontaria delle quote. In proposito la ratio della riforma appare decisamente mirata a fornire di elementi di certezza alla procedura di pignoramento di quote, a fronte di decenni di dubbi e difficoltà nel determinare le forme del pignoramento e le regole dell’opponibilità di esso ai terzi acquirenti dal debitore. Ora non è verosimile che, nel muovere verso tale maggiore certezza degli effetti del pignoramento, si sia scelta la strada, viceversa, di dare migliore certezza alle cessioni volontarie. Infatti, se il criterio di prevalenza, rispetto al pignoramento, fosse quello della data certa, a prescindere dall’iscrizione dell’atto di chi acquisti dal debitore, la tutela sarebbe stata data essenzialmente ai cessionari della quota i quali, prima di acquistare, potrebbero avere contezza della preesistenza o meno di pignoramenti opponibili (che sono solo quelli iscritti), mentre altrettanto non potrebbe dirsi per il pignorante, al quale potrebbe opporsi, anche a distanza di tempo, la preesistenza di un atto di data certa non iscritto al momento del pignoramento e purtuttavia prevalente. 63 Trib. Milano 28 marzo 2000, in Giur. it., 2000, 2109. 20 Oltre a ciò, va osservato che il legislatore, come espresso nella relazione governativa con riferimento alla norma sul conflitto tra più acquirenti per atto volontario, ha manifestamente precisato di non essere interessato ad una tutela particolarmente forte della circolazione volontaria delle quote (tanto da esprimere l’intento manifesto di evitare l’introduzione di una disciplina che almeno non fosse migliore, sotto il profilo delle regole di circolazione, di quella dei titoli azionari), proprio perché la quota costituisce “posizione giuridica non tipicamente destinata alla circolazione”. Orbene, ove si tenga conto di tale combinarsi di intenzioni, appare ragionevole ritenere che la scelta del legislatore sia quella di dare prevalenza alla certezza del pignoramento (dando quindi prevalenza alla quota come valore patrimoniale, più che come cosa “tipicamente destinata alla circolazione”) e che dunque il regime del conflitto in esame sia da intendersi quello di cui all’art. 2914 n. 1 c.c. 64 e non quello della data certa, scolorando il dato terminologico (trascrizione in luogo di iscrizione) a quello di mera indicazione del regime pubblicitario che, secondo la disciplina propria di ciascun bene, la legge ritenga applicabile. 10. Opponibilità al pignoramento delle pronunce giudiziali Parimenti delicata si presenta la questione in merito al rapporto tra pignoramento e domande giudiziali riguardanti le quote. L’art. 2915 secondo comma c.c., nel disciplinare i rapporti tra domande giudiziali e pignoramento, stabilisce che le azioni per le quali la legge, con riferimento all’efficacia verso i terzi, “richiede la trascrizione” non abbiano effetto se trascritte dopo il pignoramento. In proposito, una norma che richieda espressamente, al fine di rendere efficaci verso i terzi le domande relative a quote di s.r.l., oggettivamente non esiste. Una prima pronuncia 65 (assunta nella contigua materia relativa agli effetti della trascrizione della domanda giudiziale nei riguardi di chi abbia acquisito diritti da colui nei cui confronti tale domanda giudiziale sia stata dispiegata) ha concluso per l’estensione alle quote di s.r.l. anche del regime di trascrizione delle domande giudiziali previsto in materia immobiliare. Il principio di tassatività delle iscrizioni sul registro delle imprese, sostiene il Tribunale di Milano, andrebbe colmato con la regola di completezza che parimenti informa la disciplina della pubblicità dei fatti di impresa. La pubblicità andrebbe poi estesa, per fini di completamento della previsione che richiede la pubblicità dell’atto di trasferimento, ad ogni “forma che preluda ad una vicenda giuridica destinata ad incidere sul titolo del trasferimento” e ciò alla luce dell’asserito intento normativo di creare un sistema in tutto e per tutto analogo a quello della trascrizione immobiliare. Tale interpretazione richiama poi, a proprio fondamento, il regime di trascrizione previsto per brevetti e marchi e sottolinea come le norme degli artt. 2696 e 2695 secondo comma c.c. possano essere intese come tali da rinviare globalmente al sistema della trascrizione immobiliare, quale disciplina di completamento per il regime della pubblicità relativa ai mobili registrati, ove previsto. L’assunto, se trasferito nell’ambito del conflitto tra pignoramento della quota e domande giudiziali potenzialmente di effetto retroattivo che gravino sulla medesima quota, consentirebbe di completare la tutela su un versante rispetto al quale le procedure espropriative potrebbero in taluni casi risultare spiazzate dagli effetti di azioni munite di efficacia retroattiva. Infatti, ogni qual volta vi sia un’azione giudiziale dotata di effetti retroattivi, la mancanza di una disciplina sulla trascrizione (o iscrizione) che renda il pignoramento insensibile a tali effetti, potrebbe determinare il rischio che il titolo del debitore venga caducato, con susseguente rischio di caducazione anche del pignoramento, in quanto eseguito su beni che si accertino non essere più del debitore stesso. 64 in questo senso, Chiarloni, Il pignoramento di quote di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite iscrizione nel registro delle imprese, cit., 162 65 Trib. Milano 8 marzo 2001, in Giur. comm., 2001, II, 635. 21 E’ ben vero che il pignorante, essendo terzo, rispetto al processo tra le parti in cui si accertasse l’inefficacia del trasferimento al debitore del bene, potrebbe ancora spendere ogni propria difesa, anche sotto il profilo dell’eventuale dolo ai suoi danni: ma è evidente la ben più grave difficoltà, rispetto al regime di salvaguardia assicurato dalle regole sulla trascrizione secondo le regole immobiliari. Resta dubbio che le formulazioni normative richiamate dalla pronuncia in esame siano tali da consentire di raggiungere in via interpretativa i risultati sperati. Nessuna norma, come detto, prevede l’iscrizione delle domande giudiziali sul registro delle imprese e tanto meno vi è una disciplina degli effetti di tale iscrizione rispetto ai terzi. L’art. 2696 c.c. rinvia, per la trascrizione relativa a beni mobili registrati diversi da navi, aeromobili e autoveicoli, alle “disposizioni delle leggi che li riguardano”: ma le norme sul registro delle imprese mai fanno menzione di tali iscrizioni e la ricerca interpretativa, se non si voglia violare il limite della tassatività, non può procedere attraverso il percorso analogico (e dunque il richiamo a brevetti e marchi non può essere utile). L’art. 2695 secondo comma c.c. rinvia poi alla trascrizione immobiliare come normativa di integrazione della disciplina su navi, aeromobili e autoveicoli, peraltro limitatamente alle forme ed alle modalità (art. 2695 primo comma c.c. e non agli effetti della trascrizione stessa), e non come regola generale suppletiva volta ad estendere il regime della trascrizione immobiliare ad ogni bene mobile registrato, risultando preliminare la necessità, implicita nell’art. 2696, che, per gli effetti della trascrizione, vi sia una disciplina normativa nella legge che riguarda ciascun bene mobile registrato diverso da quelli espressamente regolati dagli artt. 2683 ss. c.c. Altra strada percorribile potrebbe essere quella del richiamo alla domanda giudiziale come atto che vada iscritto in quanto potenzialmente tale da incidere su di un trasferimento iscritto nel registro delle imprese e sulla futura titolarità giuridica delle partecipazioni societarie considerate. Già si è detto, trattando del pignoramento di quote della s.n.c. o della s.a.s. trasferibili a terzi, che l’ipotesi della iscrivibilità del sequestro o del pignoramento, per quanto espressamente non previste, sono positivamente sostenibili, in quanto tali atti sono già in grado di determinare, in conseguenza della sottoposizione a custodia della quota, un’alterazione nell’esercizio delle prerogative sociali. Nel caso in esame il passaggio sarebbe ulteriore, in quanto la domanda giudiziale è sempre e solo in via potenziale che determina effetti sull’assetto societario: infatti anche se alla domanda stessa associasse il sequestro giudiziario della quota, sarebbe appunto alla misura cautelare che si assocerebbe (con l’assunzione della custodia) l’interferenza rispetto all’operatività sociale, mentre l’esistenza in sé della domanda e del processo di merito non incide sull’organizzazione societaria. La conclusione in merito alla iscrivibilità della domanda giudiziale resta dunque effettivamente dubbia. Se si assumesse comunque la soluzione positiva, dovrebbe però ancora stabilirsi come siano regolati gli effetti dell’iscrizione rispetto al pignoramento, in quanto sarebbero disponibili, anche in questo caso, i due diversi regimi di cui all’art. 2193 c.c. e 2915 c.c. In questa sede non resta peraltro che richiamare le considerazioni, assolutamente analoghe, già svolte al paragrafo che precede con riferimento al rapporto tra il pignoramento ed il trasferimento volontario della quota, in esito alle quali si concluse per il prevalere della normativa tipica del pignoramento di cui agli art. 2912 ss. c.c. Se viceversa si dovesse concludere per la non iscrivibilità delle domande giudiziali, le domande dotate di efficacia retroattiva potrebbero pregiudicare il pignoramento. A meno di non voler rimettere, i rapporti tra il creditore pignorante e le parti del contratto riguardante la quota i cui effetti possano essere retroattivamente rimossi, alla disciplina sostanziale degli effetti di ciascuna figura di pronuncia giudiziale (risoluzione; nullità; annullamento del contratto; rivendicazione etc.) sulla validità ed efficacia verso i terzi del trasferimento contrattuale poi caducato. 22 Peraltro la cosa è assai dubbia (in quanto le norme contrattuali sono dettate avendo come riferimento gli atti dispositivi del diritto e non il pignoramento) e presenta serie difficoltà di adattamento. Infatti, mentre l’art. 1458 secondo comma c.c., per la risoluzione, fa genericamente salvi i diritti acquistati dai terzi (e dunque anche gli effetti del pignoramento potrebbero essere così regolati), l’art. 1415 c.c., in tema di simulazione, richiama i diritti acquistati “dal” titolare apparente (ed è difficile, per il pignoramento, parlare di diritti acquisiti “da” qualcuno) ed ancora gli artt. 1445 (annullamento) e 2901 (azione revocatoria) c.c., ricollegano la salvezza ad eventuali acquisti a titolo oneroso e dunque ad una qualificazione basata su caratteri (la gratuità o l’onerosità) disomogenei rispetto alla natura (di vincolo) del pignoramento. 11. Espropriazione della quota di s.r.l.: le clausole limitative della trasferibilità Capitolo a sé, nell’ambito dell’espropriazione della quota, rivestono le questioni sull’interferire di essa con le clausole societarie limitative della circolazione delle quote stesse. Dal punto di vista procedurale la presenza di limiti alla libera trasferibilità delle quote comporta la necessità di tentare un previo accordo tra creditore, debitore e società sulla vendita, ovverosia sulla possibilità di tentare una cessione in forme stragiudiziali, sotto il vincolo del pignoramento, della quota stessa e per valori che siano condivisi tra le parti. Si tratta di accordo che potrà venire cercato (o formalizzato, se già raggiunto prima) in sede di udienza di autorizzazione della vendita della quota. Nel caso in cui sia mancato tale accordo la vendita ha luogo all’incanto, ma la società può presentare entro dieci giorni dall’aggiudicazione (che a tale fine va dunque comunicata alla società) un altro acquirente che offra lo stesso prezzo. La disciplina in esame è chiaramente diretta a disciplinare le clausole limitative alla libera trasferibilità poste nell’interesse della società (ad esempio, clausole di gradimento). Ci si deve chiedere peraltro se tale procedura trovi applicazione anche in caso di divieto assoluto di trasferimento previsto nell’atto costitutivo. La dottrina, sul punto, è divisa66. In proposito si può rilevare che la clausola di intrasferibilità assoluta determinerebbe, per volontà delle parti, una deroga alla regola sulla responsabilità patrimoniale del debitore. L’art. 2740 c.c. consente alla legge di prevedere limiti alla responsabilità patrimoniale del debitore (e tali sono, come si è visto, i limiti che derivano dalla struttura delle società di persone). E’ ben vero che la legge, non vietando l’assunzione di clausole di tal fatta sulla base dell’autonomia negoziale dei soci, introduce essa stessa una possibile deroga alla responsabilità patrimoniale generale e che dunque sarebbe rispettato il disposto normativo di cui all’art. 2740 secondo comma c.c. L’art. 2469 c.c. (che consente all’atto costitutivo di disporre in senso contrario alla libera trasferibilità) va però letto in concomitanza con l’art. 2471 terzo comma c.c. (che proprio per il caso di non libera trasferibilità sancisce la particolare procedura sopra descritta). Anche dal punto di vista testuale la derogabilità volontaria della disciplina sulla responsabilità patrimoniale non è pertanto priva di limiti, costituiti dal fatto che, a fronte dell’espropriazione forzata, ogni vincolo volontario si traduce in regole di favore per la società rispetto ai modi di vendita (cessione senza incanto e per valori concordati) e nella possibilità, anche dopo la vendita con incanto, di recuperare la quota a persona da essa indicata (presentazione di altro acquirente al medesimo prezzo). Pertanto, afferendo la garanzia patrimoniale generica alla stessa possibilità concreta di soddisfare i diritti di crediti e dunque, in ultima analisi, al diritto di difesa costituzionalmente garantito, si deve accedere all’interpretazione secondo cui anche i limiti di assoluta intrasferibilità, 66 in senso contrario alla possibilità di procedere a pignoramento, Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 483 e Ferrara Corsi, L’imprenditore e le società, cit., 620; in senso favorevole, Cottino, Diritto commerciale. Le società, 1999, 600. 23 pattiziamente imposti con l’atto costitutivo, non siano in grado di impedire l’espropriazione forzata e la conseguente vendita, in quella sede, delle quote 67. Altra questione è invece quella che riguarda i limiti al trasferimento delle quote che fossero imposti dall’atto costitutivo nell’interesse dei soci, ovverosia i vincoli correlati ai patti di prelazione. La Suprema Corte 68 ha chiaramente distinto tale tipologia di vincoli, dai limiti alla trasferibilità previsti nel solo interesse della società, per concludere che la particolare procedura di cui all’art. 2471 c.c. (all’epoca, art. 2480 c.c.) non trova applicazione con riferimento ai patti di prelazione. In proposito si può quindi ritenere che, in presenza di un patto di prelazione, sia il Giudice dell’esecuzione a poter garantire il rispetto di tali vincoli, semplicemente disponendo, nel provvedimento relativo alla vendita, che l’aggiudicazione resti sospesa nel lasso necessario a verificare se vi sia istanza di acquisto, secondo i tempi e con le modalità previste dal contratto (ma con gli adattamenti del caso all’andamento della procedura esecutiva), al medesimo prezzo raggiunto in sede di vendita giudiziale. Ovviamente, per le comunicazione del caso ai titolari della prelazione, non potranno che fare fede le risultanza del registro delle imprese. 12. Il sequestro giudiziario della quota di s.r.l. Secondo quanto ormai precisato espressamente dalla Suprema Corte 69 è ammesso il sequestro giudiziario di quote di s.r.l.70 Le questioni che si pongono, sotto il profilo delle forme di esecuzione, sono sostanzialmente identiche a quelle sopra esaminate al paragrafo 7 con riferimento alla quota di società di persone 71. Si rinvia dunque a quanto detto in quella sede. L’esercizio della custodia invece assimila l’ipotesi del sequestro giudiziario a quella del sequestro conservativo e dunque per essa si rinvia alle considerazioni svolte al paragrafo 7 che precede. 67 dunque l’art. 2471 c.c. va inteso come norma legale di superamento del vincolo imposto con il contratto originario. In tal senso essa costituirebbe, al contempo, direttamente attuazione dell’art. 2740 primo comma c.c. ed escluderebbe che si possa ravvisare, nel caso in esame, un’ipotesi di sottrazione, per disposto di legge (rectius per volontà delle parti in attuazione di una facoltà non vietata dalla legge), dei beni (quota) alla garanzia patrimoniale dei creditori. Una volta così interpretate le norme, sarebbe superfluo il richiamo all’art. 2915 primo comma c.c. (opponibilità al creditore pignorante dei vincoli trascritti prima del pignoramento), sulla cui base la dottrina (Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 483, nota 6) fonda l’assunto sulla non espropriabilità, in tali casi, della quota (in quanto il contratto societario che prevede tale limite sarebbe iscritto comunque prima del pignoramento). Infatti, se l’art. 2471 c.c. è previsto proprio per superare ogni vincolo di indisponibilità, è evidente che esso, anche se esistente, non potrebbe operare. 68 Cass. 3 aprile 1991 n. 3482 69 peraltro la pronuncia della Suprema Corte in esame ipotizza la possibilità che il patto di prelazione, in alcuni casi, possa essere posto non solo nell’interesse dei soci, ma anche della società, come forma particolare di clausola di gradimento. La Cassazione ammette in sostanza che in tali ipotesi, da verificare sulla base dell’interpretazione contrattuale, possa avere corso la procedura disegnata dal codice civile. 70 sul tema, cfr. Muscolo, Società di capitali e sequestro giudiziario di partecipazioni sociali e di azienda, in Le società, 2000, 25 ss. 24