rassegna su azioni esecutive e partecipazioni in societa` di

RASSEGNA SU AZIONI ESECUTIVE E PARTECIPAZIONI IN SOCIETA’
DI PERSONE E S.R.L.
Sommario: 1. Premessa 2. Creditori della società ed azioni esecutive: titolo esecutivo formato verso la società ed
efficacia di esso nei confronti dei soci 3. Creditori della società ed azioni esecutive: il beneficio di escussione 4.
Creditori particolari del socio ed azioni esecutive: generalità 5. Gli atti conservativi sulla quota di liquidazione del socio
6. Il pignoramento della quota nelle società di persone 7. Il sequestro giudiziario della quota di società di persone 8.
Pignoramento della quota di s.r.l.: forma 9. Opponibilità al pignoramento degli atti di alienazione della quota di s.r.l. 10.
Opponibilità al pignoramento delle pronunce giudiziali 11. Espropriazione della quota di s.r.l.: le clausole limitative
della trasferibilità 12. Il sequestro giudiziario della quota di s.r.l.
1. Premessa
La materia societaria si è arricchita di recente di notevoli modifiche nella disciplina delle
società di capitali, di sensibile incidenza anche sul regime delle azioni esecutive.
In particolare con la norma sull’espropriazione delle quote di s.r.l. si è introdotto un sistema di
pignoramento sostanzialmente nuovo, avente per oggetto il bene immateriale costituito dalla
partecipazione societaria. A ciò si accosta la valorizzazione del registro delle imprese come sistema
di ausilio alla regolamentazione anche della circolazione delle partecipazioni ed al loro vincolo in
sede esecutiva.
Ed in qualche misura tali innovazioni, come si vedrà di seguito, possono essere adoperate
anche per risolvere alcune questioni nell’ambito delle società di persone.
Al contempo persistono, in materia di esecuzione forzata e società di persone, alcune
tradizionali questioni, sulle quali, di seguito, si tenta una rassegna ragionata.
2. Creditori della società ed azioni esecutive: titolo esecutivo formato verso la società ed efficacia
di esso nei confronti dei soci
La particolarità della società di persone, per quanto attiene alle azioni contro il socio per debiti
della società, si manifesta già con riferimento all’efficacia soggettiva del titolo esecutivo.
Fermo restando che in sede di cognizione è possibile ottenere la formazione del titolo anche
contro i soci (la cosa sarà analizzata più in dettaglio con riferimento alla disciplina del beneficio di
escussione), costituisce assunto del tutto prevalente nella giurisprudenza della Suprema Corte,
quello in merito alla diretta efficacia verso i soci illimitatamente responsabili del titolo esecutivo
formato contro la società1.
L’unica pronuncia discordante 2, in tempi recenti, fonda le proprie valutazioni sulla natura
solidale che lega l’obbligo dei soci e quello della società, per quindi affermare che la sentenza resa
tra il creditore ed uno dei debitori in solido, non può avere effetto, come da regola generale in
materia di obbligazioni solidali (art. 1306 c.c.), nei riguardi degli altri coobbligati.
1
Cass. 17 gennaio 2003 n. 613, in Arch. civ., 2003, 637; Cass. 14 giugno 1999 n. 5884; Cass. 8 agosto 1997 n.
7353 (relativa a società di fatto); Cass. 6 novembre 1956 n. 4152, in Giur. it., 1957, I, 1, 10 (relativa a società
irregolare) ; Cass. 24 giugno 1954, in Giur. it., 1955, I, 1, 675; nella giurisprudenza di merito, App. Milano 29
novembre 2002, in Riv. giur. lavoro e previd., 2003, 429.
2
Cass. 13 luglio 1995 n. 7650 cui va aggiunta, sebbene in un ipotesi particolare, Cass. 14 marzo 2001 n. 3658,
sulla quale si veda la nota 7 che segue .
1
In realtà la spiegazione che deriva dalla più recente giurisprudenza favorevole all’estensione
dell’efficacia del titolo verso i soci, muove da una diversa prospettiva argomentativa.
A parte la dubbia questione sull’effettiva sussistenza di solidarietà tra società e soci (e non
solo tra i soci)3, il punto non attiene tanto al meccanismo funzionale dell’obbligazione con
riferimento alla plurisoggettività di essa dal lato passivo, quanto piuttosto ai rapporti intersoggettivi
tra società e socio illimitatamente responsabile.
In tale ambito si è rilevato che, sotto il profilo sostanziale, il socio illimitatamente
responsabile è assoggettato in modo permanente agli effetti degli atti che gli amministratori
compiono 4: dunque “la posizione del socio è permanentemente dipendente da quella della società,
nel senso che qualunque obbligo sociale, in qualunque modo sorto, fa nascere nel socio l’obbligo
corrispondente” 5.
La dipendenza permanente sotto il profilo sostanziale trova poi disciplina, sotto il versante
dell’efficacia del titolo esecutivo, nel caso che è specificamente regolato dall’art. 477 c.p.c.,
laddove si sancisce l’efficacia verso gli eredi del titolo esecutivo formato contro il defunto.
La norma è ritenuta espressione di un principio generale e come tale se ne postula
l’applicazione in tutti i casi, tra cui quello in esame, nei quali appunto, sotto il profilo sostanziale,
sussiste un vincolo di dipendenza stabile tra la situazione di un soggetto (società) e quella di altri
soggetti (soci illimitatamente responsabili)6.
Con la conseguenza che il titolo esecutivo formato contro la società dispiega dunque efficacia
contro i soci7. Peraltro l’azione esecutiva va condotta contro il socio ed in suo pieno contraddittorio,
e ciò fino (art. 477 c.p.c.) dalla notifica di titolo e precetto 8.
L’azione esecutiva si regge quindi, in tali casi, oltre che sull’esistenza ed efficacia del titolo
esecutivo contro la società, sull’effettiva sussistenza della posizione di socio illimitatamente
responsabile in capo a chi sia aggredito dall’espropriazione forzata stessa: detto in altre parole, il
diritto a procedere ad esecuzione forzata ha, come fatti costitutivi, l’esistenza ed efficacia del titolo
e la posizione di socio illimitatamente responsabile della persona che venga raggiunta dall’azione
espropriativa9.
3
sul punto, anche sotto il profilo processuale, cfr. Luiso, L’esecuzione ultra partes, Milano, 1984, 320, con ampi
richiami, secondo cui la solidarietà correrebbe solo tra i soci e non tra soci e società.
4
Secondo Galgano, Le società di persone, cit., 247, l’estensione della responsabilità opera anche per i fatti
illeciti dell’amministratore che si imputano alla società. In giurisprudenza l’estensione alla società di persone e quindi la
responsabilità dei soci per i fatti illeciti dell’amministratore è affermata, con riferimento ai fatti colposi, da Cass. 14
maggio 1998 n. 4768 e da Cass. 14 ottobre 1991 n. 10814; quest’ultima decisione esclude invece la responsabilità dei
soci per i fatti dolosi dell’amministratore.
5
Luiso, L’esecuzione ultra partes, cit., 318.
6
Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2000, 39 e Cass. 14 giugno 1999 n. 5884.
7
secondo Cass. 14 marzo 2001 n. 3658 la regola sopra esaminata non potrebbe operare con riferimento al socio
occulto e ciò sia per l’impossibilità di estendere in sede di esecuzione individuale le regole di cui all’art. 147 l. fall. sia
per la natura solidale della responsabilità, tale per cui la pronuncia contro la società non potrebbe avere effetto contro il
coobbligato in solido, secondo le regole generali di tale forma di responsabilità (e in parte qua la pronuncia si discosta
dall’orientamento prevalente, aderendo alla posizione minoritaria sopra indicata). In senso analogo, ma senza particolari
motivazione, con riferimento al socio occulto, si esprime Galgano, Le società di persone, cit. 244. Richiama invece
l’art. 147 l. fall. come elemento di conferma degli assunti in merito all’estensione degli effetti del titolo contro i soci
illimitatamente responsabili, individuati sulla base dell’affermazione del procedente, Luiso, L’esecuzione ultra partes,
cit., 331. In merito al rilievo del recesso del socio rispetto alla questione in esame, si veda ancora Luiso L’esecuzione
ultra partes, cit., 325 ss.
8
Cass. 14 giugno 1999 n. 5884; analogamente Ferri, Delle società, in Commentario al cod. civ. Scialoja Branca,
Bologna Roma, 1968, 190 ss.
9
si pone in proposito, per le società in accomandita semplice, il problema di stabilire se la responsabilità degli
accomandanti abbia rilevanza esterna, nel senso che essi possano essere aggrediti personalmente, pur se nei limiti del
valore della quota o se, viceversa, essi rispondano solo attraverso il rischio della responsabilità societaria e dunque
attraverso i beni conferiti, nei limiti degli obblighi assunti per la partecipazione societaria. Sul punto, nel primo senso,
Galgano, Le società di persone, cit., 375 e Di Sabato, La società in accomandita semplice, in Trattato Rescigno, vol.
XVI, Torino, 1985, 166, dove anche una ricostruzione delle varie posizioni e cenni sulla possibilità del creditore della
2
La direzione soggettiva dell’esecuzione viene peraltro prescelta, inevitabilmente, dal creditore
procedente, che di propria iniziativa indicherà la persona che ritiene responsabile per l’obbligo
portato dal titolo formato contro la società 10
Ovviamente al socio sarà consentito far valere in sede di opposizione all’esecuzione il difetto
di tale propria qualità e l’onere della prova dell’esistenza della qualità di socio in capo all’esecutato
grava sul creditore, quale conseguenza del trattarsi di un fatto costitutivo del suo diritto a procedere.
E si deve osservare che, a presidio della posizione del debitore che sia ingiustamente
minacciato dall’azione esecutiva altrui, ricorre ormai certamente, secondo la recente evoluzione
giurisprudenziale in materia, anche l’azione inibitoria del pignoramento ex art. 700 c.p.c. 11
Iniziata l’esecuzione la tutela è invece rimessa ai rimedi sospensivi (art. 624 c.p.c.), fermo
restando che l’incauto procedere del creditore può comportare responsabilità aggravata ai sensi
dell’art. 96 secondo comma c.p.c.
3. Creditori della società ed azioni esecutive: il beneficio di escussione
Non dissimile da quella testé esaminata è l’operatività processuale del beneficio di escussione.
L’assetto sostanziale dell’istituto in materia societaria è noto.
Nell’ambito delle società semplici il socio è destinatario diretto dell’azione esecutiva, salvo
che indichi i beni societari su cui il creditore possa “agevolmente” soddisfarsi12; l’esistenza e la
concreta indicazione di beni societari facilmente aggredibili opera dunque come fatto impeditivo
dell’esecuzione forzata contro il socio.
Nella collettiva e nella s.a.s., il socio illimitatamente responsabile non può invece essere
aggredito se non previa escussione del patrimonio sociale (artt. 2304 c.c. e 2318 c.c.): la previa
escussione (o la sua impossibilità, secondo quanto si dirà di seguito) agisce perciò in questo caso
come fatto costitutivo del diritto a procedere ad esecuzione forzata.
Peraltro il beneficio di escussione, secondo costante orientamento della giurisprudenza, opera
solo in sede esecutiva. Non è dunque impedito, al creditore, di procedere in sede di cognizione onde
ottenere la formazione del titolo verso il singolo socio illimitatamente responsabile13.
Ciò significa tuttavia che, non sussistendo alcun controllo giudiziale preventivo di
ammissibilità dell’azione esecutiva, l’inizio dell’espropriazione è rimesso comunque all’impulso del
solo creditore, che da sé afferma (esplicitamente o implicitamente) l’esistenza del fatto costitutivo
relativo all’infruttuosità o all’impossibilità della previa escussione del patrimonio societario.
Ne deriva che le questioni sul rispetto o meno del beneficio in esame sono necessariamente
trattate attraverso l’opposizione all’esecuzione e dunque fin dall’opposizione a precetto, se del caso
corredata anche da azione inibitoria del pignoramento ex art. 700 c.p.c. Anche in questo caso il
società di agire nel caso in surrogatoria contro la società e l’accomandante, per il recupero alla garanzia patrimoniale dei
conferimenti che fossero in ipotesi ancora da eseguire.
10
Luiso L’esecuzione ultra partes, cit., 1984, 378 ss.; del resto il fatto in sé che si ipotizzi la possibilità di una
esecuzione nei riguardi di parti non indicate nel titolo esecutivo, rende inevitabile che sia colui che voglia utilizzare il
titolo ad individuare i soggetti passivi dell’esecuzione. Ritiene Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2000, 40
che i sistemi di difesa esistenti in sede esecutiva, garantendo comunque il contraddittorio a chi sia esecutato, siano tali
da non far dubitare della legittimità costituzionale dell’impostazione data, in quanto il terzo non è mai vincolato dalle
affermazioni dell’esecutante. Cfr. anche Tarzia, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 2002, 335, dove la
considerazione che, con riferimento all’esecuzione forzata, è rispettato il giusto processo “davanti a giudice” dal fatto
che sia garantito l’intervento del giudice su ogni incidente che insorga e necessiti di decisione, cosa che è appunto
assicurata, anche in un caso come quello di specie, dal sistema delle opposizioni.
11
Cass. 23 febbraio 2000 n. 2051, in Foro it., 2000, I, 1834.
12
si deve dunque trattare, dato l’avverbio utilizzato dalla norma, non di un qualsiasi cespite patrimoniale
societario, ma di “beni di pronta e facile convertibilità in una somma di denaro” (così Galgano, Le società di persone,
cit. 1972, 245).
13
Cass. 16 aprile 2003 n. 6048; Cass. 8 novembre 2002 n. 15700; Cass. 26 novembre 1999 n. 13183; Cass. 12
aprile 1994 n. 3399; Cass. 26 giugno 1992 n. 8011, tutte conformi ed altresì univoche nel precisare che il creditore può
procedere direttamente ad iscrivere ipoteca contro il socio in forza del titolo così ottenuto.
3
sistema di garanzia dell’esecutato si completa poi con la fattispecie di responsabilità aggravata ex
art. 96 secondo comma c.p.c.
Dal punto di vista processuale, a fronte dell’opposizione altrui (il mancato rispetto del
beneficio di escussione non è rilevabile d’ufficio14, il che è in qualche misura conseguenza logica
dell’assetto procedurale sopra descritto), il creditore procedente resta tuttavia onerato della prova di
avere infruttuosamente esperito l’escussione su beni societari o della prova (parimenti idonea, per
costante orientamento giurisprudenziale, ad assolvere il creditore da ogni onere di ulteriori attese o
tentativi 15) dell’impossibilità di tale esecuzione.
La dimostrazione dell’infruttuosa escussione non presenta di per sé particolari problemi: si
tratta di comprovare l’esperimento senza risultati di una o più azioni esecutive.
La prova dell’impossibilità di escussione del patrimonio societario è viceversa argomento più
delicato.
In linea di massima non appare corretto formulare in proposito principi generali: trattandosi di
questione strettamente di merito, essa andrà valutata caso per caso.
Alcuni aspetti giustificano peraltro qualche approfondimento.
Intanto si deve dire che, trattandosi sostanzialmente di prova di un fatto negativo (inesistenza
di beni societari utili all’aggressione esecutiva) essa non può che essere raggiunta, al solito,
attraverso la dimostrazione di fatti positivi da cui desumere il fatto negativo stesso.
In proposito si è ritenuto che non sia ad esempio sufficiente la prova della dichiarazione di
fallimento della società, in quanto ciò non attesta di per sé l’incapienza, per il singolo creditore, del
patrimonio sociale, dovendosi dimostrare di non potersi soddisfare sul patrimonio attraverso la
procedura concorsuale 16. L’assunto, in sé condivisibile, non va peraltro enfatizzato oltre misura. Si
tratta, anche in questo caso, di questione di prova rispetto all’impossibilità di soddisfazione del
credito individuale: essa effettivamente non può essere data solo dimostrando il fallimento della
società, visto che anche i fallimenti pagano i creditori. Né si tratta, per il creditore che voglia agire
contro il singolo socio, di attendere l’esito dell’esecuzione concorsuale, bastando, più
limitatamente, comprovare lo stato patrimoniale del fallimento, attraverso ad esempio la relazione
del curatore o l’inventario o copia dello stato passivo etc.
Altra questione può essere quella in merito al rilievo del silenzio del socio, in sede di
opposizione all’esecuzione, rispetto ai beni societari utili alla soddisfazione del creditore.
Di per sé il socio, secondo l’assetto delle rispettive posizioni come sopra ricostruito, può
limitarsi ad eccepire la violazione del beneficio di escussione, restando a carico del creditore
dimostrare di avere escusso il patrimonio societario o che vi è impossibilità di un’utile escussione.
Si deve in proposito valutare se possa avere rilievo anche la mancata indicazione dei beni
aggredibili, da parte del socio esecutato.
Il punto è che non deve trasformarsi, attraverso il meccanismo processuale, il regime di
responsabilità della s.n.c. o della società in accomandita semplice nel regime di responsabilità della
società semplice; nella società semplice il socio, per sottrarsi all’azione esecutiva, ha l’onere di
parlare, indicando i beni utili alla soddisfazione del creditore e tale onere è doppiamente qualificato:
non basta infatti asserire l’esistenza di beni aggredibili, in quanto tali beni devono concretame nte
esistere e devono altresì essere idonei ad una agevole soddisfazione del creditore (art. 2268 c.c.).
Nel processo in cui si discuta invece del rispetto del beneficio di escussione rispetto al socio di
s.n.c. e di s.a.s., il silenzio del socio aggredito, rispetto all’esistenza di beni societari su cui il
creditore possa soddisfarsi, è di per sé neutro e di per sé solo non può bastare al creditore per
assolvere ai propri oneri probatori.
14
Cass. 11 giugno 1987 n. 5106
Cass. 8 luglio 1983 n. 4606, in Giur.it., 1983, I, 1, 1616, ed in Giust. civ., 1984, I, 441, con nota di Di Chio,
Insufficienza del patrimonio sociale e responsabilità dei soci nelle società di persone; analogamente, nella
giurisprudenza di merito, Trib. Bologna 4 ottobre 1983, in Giur. Comm., 1984, 423; Trib. Napoli 23 maggio 1983, in
Diritto e giurisprudenza, 1984, 689; Trib. Bologna 18 dicembre 1990, in Giur. Comm., 1992, 299
16
Cass. 20 settembre 1984 n. 4810, in Il diritto fallimentare, 1984, 929.
15
4
La cosa tuttavia non esclude che, dal punto di vista meramente istruttorio, anche tale silenzio
possa contribuire a formare, quale elemento indiziario ed insieme ad altri riscontri (si pensi ad
esempio alla già avvenuta liquidazione del patrimonio societario, alla negatività di visure
immobiliari su beni societari, alla sussistenza di protesti a carico dell’ente etc.), quell’impalcatura
presuntiva su cui ruota l’onere della prova del creditore procedente.
Sotto il profilo procedurale, una volta chiarita la dinamica operativa dell’istituto, va infine
esaminata la particolare questione concernente la possibilità, per il creditore della società, di
aggredire con sequestro conservativo i beni del socio illimitatamente responsabile.
Secondo l’unico precedente giurisprudenziale noto 17, il beneficio di escussione potrebbe
operare soltanto in sede esecutiva vera e propria e non nell’ambito della procedura cautelare di
sequestro; né potrebbe assimilarsi il sequestro all’atto di inizio dell’esecuzione forzata. Quindi,
ammesso il sequestro conservativo, spetterebbe poi al socio, una volta convertitosi il sequestro in
pignoramento, proporre opposizione all’esecuzione.
L’assunto desta qualche perplessità.
L’art. 671 c.p.c. ammette il sequestro conservativo di beni del debitore “nei limiti in cui la
legge ne permette il pignoramento”.
Orbene, secondo quanto detto in precedenza, il diritto a procedere ad esecuzione forzata
contro il socio ha, come fatti costitutivi, non solo l’esistenza del titolo esecutivo e la qualità di socio
di chi venga aggredito, ma anche l’infruttuosità o l’impossibilità di un’azione esecutiva sui beni
societari.
Ciò significa che la legge permette il pignoramento solo qualora ricorrano anche tali ultimi
specifici presupposti.
E’ ben vero che la struttura procedurale dell’azione esecutiva consente al creditore di
meramente affermare, in via implicita od espressa, l’esistenza di tali presupposti, e quindi di
procedere a pignoramento senza alcun previo accertamento giudiziale rispetto ad essi.
Va però detto che il pignoramento è da considerare legittimo (e dunque permesso dalla legge,
secondo la dizione di cui all’art. 671 c.c.) solo ove tali requisiti (che costituiscono veri e propri fatti
costitutivi del diritto a procedere ad esecuzione forzata) effettivamente sussistano.
Ne deriva che anche il sequestro può essere autorizzato solo se risultino sussistere, con
accertamento da svolgere secondo le regole proprie della cognizione sommaria cautelare, i requisiti
di preventiva escussione o di impossibilità della stessa che si sono più sopra esaminati.
Del resto, mentre l’azione esecutiva, per sua struttura, non ammette verifiche preventive di
ammissibilità da parte del giudice, il sequestro è sottoposto ad una specifica procedura
autorizzatoria, nell’ambito della quale vanno ovviamente valutati tutti gli elementi che debbono
ricorrere per consentire la misura cautelare conservativa e, tra questi, anche il rispetto delle regole
sul beneficio di escussione, trattandosi di uno dei fatti costitutivi del diritto del creditore a procedere
a pignoramento e quindi, ex art. 671 ultimo inciso, anche a sequestro conservativo (fermo restando
che la questione, non essendo rilevabile d’ufficio, anche in sede cautelare va analizzata solo se
eccepita).
4. Creditori particolari del socio ed azioni esecutive: generalità
La partecipazione societaria, in quanto potenzialmente dotata di un valore economico positivo,
costituisce voce del patrimonio del singolo socio.
Si deve dunque verificare come si atteggi, rispetto ad essa ed alla luce del fenomeno giuridico
societario, l’attuazione della regola generale di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui il “debitore
risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
La partecipazione societaria, da questo punto di vista, viene in considerazione sotto almeno tre
profili.
17
App. Perugia 11 luglio 1984, inedita.
5
Essa rileva infatti come fondamento del diritto alla percezione degli utili societari e del diritto,
in caso di scioglimento del rapporto sociale, ad una quota del risultato positivo delle operazioni di
liquidazione. Infine tale partecipazione, quale bene imma teriale cui afferiscono diritti vari
nell’ambito della gestione societaria18, costituisce, anche di per sé sola, un valore patrimoniale.
Sotto il profilo della percezione degli utili, la struttura delle società di persone non presenta
nessuna difficoltà rispetto all’aggressione da parte dei creditori del socio.
L’art. 2270 primo comma c.c. ammette de plano la possibilità per il creditore particolare del
socio di “far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore” e dunque di procedere al sequestro
conservativo o al pignoramento di essi. Si tratta di norma che trova applicazione per tutte le forme
di società di persone e rispetto alla quale sono evidenti anche le forme da seguire in sede esecutiva.
Poiché il diritto agli utili è un diritto che il socio ha verso la società e poiché vi è autonomia
soggettiva tra società e socio, si tratta di dare lineare corso ad un’ordinaria espropriazione presso
terzi.
Le questioni divengono assai più complesse con riferimento agli altri due valori patrimoniali
sopra individuati, ovverosia rispetto alla quota di liquidazione ed alla quota di partecipazione in sé
considerata.
5. Gli atti conservativi sulla quota di liquidazione del socio
Affrontando dapprima le questioni che riguardano la quota di liquidazione, la disciplina,
anche in questo caso comune a tutte le forme di società personali, è dettata ancora dall’art. 2270
primo comma c.c., laddove si afferma che il creditore personale del socio può, rispetto a tale quota,
“compiere atti conservativi”.
La quota di liquidazione è, come detto, un importo patrimoniale che deriva al socio al
momento dello scioglimento del rapporto societario.
Lo scioglimento del rapporto societario può poi aversi, rispetto al singolo socio, o perché si
verifica una fattispecie che comporta la perdita della qualità di socio in capo soltanto a lui (artt.
2284 ss. c.c.) o perché la società viene sciolta e dunque ciascun socio ha diritto a ricevere qualcosa
di quanto rimasto.
Per quanto qui interessa e sempre a livello di mera esegesi delle norme, ciò che rileva, rispetto
ai creditori del singolo socio, è la possibilità stessa di far produrre le fattispecie da cui scaturisce il
diritto a percepire la quota di liquidazione.
La cosa trova, da questo punto di vista, una disciplina differenziata nei diversi tipi di società di
persone.
Nella società semplice (art. 2270 secondo comma c.c.) il creditore del socio ha la facoltà, “se
gli altri beni sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti” di chiedere in ogni tempo alla società la
liquidazione della quota e dunque in sostanza lo scioglimento del rapporto rispetto al singolo socio
(che si trasforma in causa di scioglimento della società, se questa deliberi in tal senso, come
conseguenza dell’azione del terzo: art. 2270 secondo comma ultima parte).
Nella collettiva e nella s.a.s. tale facoltà è invece esclusa dall’art. 2305 c.c. e ciò a maggiore
garanzia della autonomia dell’ente, obiettivamente scossa dalla facoltà dei creditori del socio di
scomporre, nei casi sopra visti, la compagine della società semplice.
E’ invece prevista la facoltà per il creditore particolare del socio di s.n.c. e di s.a.s. di fare
opposizione alla proroga della società, entro tre mesi dall’iscrizione di tale proroga nel registro delle
imprese, onde ottenere, per tale via, la liquidazione della quota del proprio debitore e quindi
soddisfarsi su di essa. In caso di proroga tacita, la facoltà si converte in quella di far liquidare de
plano la quota, ai sensi dell’art. 2270 secondo comma c.c. sopra esaminato 19.
18
Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087.
se la durata della società è a tempo indeterminato il rischio è che la quota non venga mai, di fatto, liquidata, il
che, ove non siano possibili misure revocatorie, consente in sostanza al debitore di “sottrarsi al principio di
responsabilità”: così Conte, Atti conservativi ex art. 2270 c.c. e sequestro conservativo, in Giur. it., 2000, I, 1, 301, con
19
6
Ciò premesso, si osserva peraltro che, in ogni caso, le procedure di liquidazione della quota,
siano esse di natura fisiologica (cessazione naturale del rapporto societario rispetto al singolo socio
o scioglimento della società) o siano esse coattive (liquidazione della quota, nella società semplice,
come effetto dell’azione del creditore o, nella s.n.c. e nella s.a.s., come effetto dell’opposizione alla
proroga o della proroga tacita del rapporto societario) comportano in ogni caso tempi di attesa,
potenzialmente anche molto lunghi.
Da qui il rilievo che assume il disposto dell’art. 2270 primo comma c.c., laddove ammette,
come detto, il creditore del socio a procedere ad atti conservativi sulla quota di liquidazione.
Il problema è quello in merito alle forme in cui tali atti conservativi possano essere attuati e
quello in merito agli effetti ottenibili attraverso essi.
La questione di fondo è data dal fatto che, secondo quanto si è appena detto, il credito del
socio ad un qualcosa, come effetto dello scioglimento del rapporto societario, può essere incerto sia
per quanto attiene all’ an debeatur (in ipotesi potrebbe doversi attendere la scadenza della società o,
ove questa sia a tempo indeterminato, il verificarsi del fatto futuro e incerto dello scioglimento
volontario della compagine o del recesso del socio interessato), sia per quanto attiene al quantum
debeatur.
Su tali premesse, la vexata quaestio riguarda la possibilità che gli “atti conservativi” sfocino in
pignoramento: e, in caso positivo, vi è da stabilire quale sia la procedura per determinare se il
credito esiste e in quale momento la misura cautelare sfoci appunto in pignoramento vero e proprio.
Le soluzioni prospettate sono plurime.
Secondo una prima ricostruzione 20 gli “atti conservativi” cui fa riferimento l’art. 2270 primo
comma c.c. avrebbero natura di sequestro conservativo, che andrebbe attuato nelle forme del
sequestro presso terzi, ma con una duplice dichiarazione da rendere, una prima volta, all’udienza di
citazione, limitatamente alla declaratoria di sussistenza del rapporto societario e di eventuali vincoli
preesistenti, ed una seconda volta in esito alle operazioni di liquidazione, quando e se esse abbiano
luogo. Se poi il creditore del socio fosse già ab origine munito di titolo esecutivo o se ne fosse
munito nelle more della procedura di sequestro, la procedura potrebbe, in esito alla seconda
dichiarazione, sfociare in pignoramento vero e proprio, con portata satisfattiva in dipendenza dei
successivi atti di assegnazione del ricavato.
In base ad una seconda ricostruzione, sarebbe possibile, ab origine anche il pignoramento
della quota di liquidazione, rientrando tale figura tra i possibili “atti conservativi” rispetto alla
soddisfazione del credito del terzo. Il pignoramento viene poi ricostruito come tale da concludersi in
una unica dichiarazione del terzo 21 e con la susseguente cessione 22 o assegnazione della situazione
di aspettativa rispetto alla quota di liquidazione, ovviamente, in caso di assegnazione, con effetto
pro solvendo. In alternativa si propone 23 il pignoramento con doppia dichiarazione, di cui la prima
resa immediatamente e la seconda da rinviare in esito alla liquidazione della quota, nel frattempo
sottoposta al vincolo.
la susseguente osservazione in merito ad una possibile incostituzionalità dell’art. 2305 c.c., per disparità di trattamento e
lesione del diritto di difesa, rispetto all’ipotesi di cui all’art. 2270 secondo comma c.c. dettata per la società semplice.
La questione, più che sulla disparità di trattamento in sé (che potrebbe anche essere spiegare da una qualche ragione
organizzativa del sistema societario) sembra doversi concentrare, non senza fondatezza, sulla lesione del diritto di
difesa, visto che si impedisce sostanzialmente al creditore del socio di esperire fruttuose azioni esecutive su un cespite
patrimoniale che potrebbe anche, in ipotesi, essere l’unico. Del resto, una volta caducato l’art. 2305 c.c., automatica
sarebbe l’applicazione dell’art. 2270 secondo comma c.c., in forza del rinvio di cui all’art. 2293 c.c.
20
Trib. Roma 16 aprile 1951, in Foro it., 1952, 1291, con nota favorevole di Ruperto, Gli atti conservativi di cui
all’art. 2270 c.c. ed il sequestro a favore del socio nelle società personali
21
App. Milano 4 dicembre 1970, in Foro Padano, 1971, I, 508. Cfr., anche, per analoga questione in materia di
cooperative. Trib. Napoli 15 febbraio 1991 n. 2706, in Diritto e giurisprudenza, 1992, 254, con nota di Scarpa.
22
Grasso, L’espropriazione della quota, Milano, 1957, 134 ss. fa riferimento, costruendo tale ipotesi, ad una
sorta di emptio spei.
23
Trib. Monza 8 maggio 2000, in Giur. comm., 2001, II, 673.
7
Una terza ricostruzione prospetta viceversa l’inquadramento della fattispecie in esame in una
cautela atipica, da attuare nelle forme di cui all’art. 700 c.p.c.24 Si avrebbe quindi un primo
provvedimento cautelare, nel contraddittorio di socio e società, con cui a quest’ultima sarebbe
ordinato di comunicare al creditore, quando avvenisse, lo scioglimento della società e di mantenere
a disposizione, per un dato lasso di tempo da tale comunicazione, le relative somme. La procedura
di merito avrebbe poi come oggetto, per un verso, l’accertamento del diritto del credito verso il
socio e l’accertamento del rapporto societario. Per altro verso, essa dovrebbe essere finalizzata alla
declaratoria dell’esistenza del diritto, nei confronti della società (quale terza debitrice eventuale
della quota di liquidazione), ad ottenere il pagamento della quota relativa al socio debitore25.
La pluralità di ipotesi prospettate impone qualche approfondimento.
Quanto alla prima ricostruzione, si osserva che la ripartizione del procedimento di sequestro in
due fasi, ciascuna caratterizzata da una diversa dichiarazione del terzo, non trova fondamento
alcuno nel diritto positivo. Del resto la natura meramente eventuale della maturazione di una quota
liquidabile, non consente neppure di ipotizzare una qualche forma coerente di coordinamento tra
l’una e l’altra dichiarazione così come rende inspiegabile, secondo le categorie processuali note, la
quiescenza che la procedura di sequestro manifesterebbe tra la prima dichiarazione e la seconda.
Quanto alla ricostruzione impostata lungo le linee della procedura ex art. 700 c.p.c., è stato
osservato come essa non consenta di ottenere l’effetto di rendere opponibile a terzi di buona fede
un’eventuale cessione delle quote, dato che il provvedimento d’urgenza non rientra nella categoria
degli atti che sono suscettibili di opporre vincoli a terzi26.
Del resto, anche l’ipotetica sentenza che scaturirebbe dal giudizio di merito non avrebbe e non
potrebbe mai avere, per come intesa da tale ricostruzione, un effetto identico a quello di una
cessione di credito e dunque non sarebbe opponibile, dal punto di vista del diritto sostanziale, al
successivo cessionario del credito in questione. Parimenti, il giudicato formatosi nel giudizio di
merito predetto, in favore del creditore che avesse proceduto nel senso indicato, non sarebbe
opponibile al terzo cessionario della quota di liquidazione, in quanto soggetto estraneo al processo
in cui quel decisum si sarebbe determinato.
L’intera operazione potrebbe anche avere, di fatto, l’effetto di rendere più difficile, al terzo
eventuale cessionario del credito, la riscossione della quota di liquidazione a ceduta e ciò in quanto
la società potrebbe far constare, a tale terzo, di essere stata dichiarata tenuta a pagare la quota ad
altra persona, allorquando essa fosse maturata.
Siffatta opposizione non potrebbe però che cedere a fronte di un’accorta difesa del cessionario
che facesse rilevare l’inopponibilità sostanziale nei suoi confronti dell’operazione e del giudicato
reso inter alios.
Seriamente dubbio è poi che la misura in esame possa essere eseguita attraverso iscrizione al
registro delle imprese.
Non si tratta infatti di atto funzionale al pignoramento della quota, ma solo al futuro
pignoramento del credito costituito dalla quota di liquidazione.
24
Schermi, Gli “atti conservativi” che il creditore particolare del socio di una società di persone può compiere
sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione: individuazione della misura cautelare, in Giust. civ., 1977, 144
e Salafia, Sulla impignorabilità della quota sociale da parte del creditore particolare del socio, in Giust. civ., 1994, I,
2629 e, in giurisprudenza, Trib. Ravenna 12 aprile 1994, in Giust. civ., 1994, I, 2625 e Foro it., 1995, I, 1051 (in cui
peraltro la questione è affrontata insieme a quella sul pignoramento della quota durante societate) nonché Pret.
Civitanova Marche 6 marzo 1993, in Foro it., 1994, I, 2287 ed in Giur. comm., 1995, II, 895, con nota di Franceschi.
Peraltro mette conto osservare che, in entrambi i precedenti giurisprudenziali di cui sopra, non si è trattato di
provvedimenti in cui sia stata accolta una domanda cautelare formulata ex art. 700 c.p.c., ma sia stata viceversa
dichiarata invalida la procedura di pignoramento della quota di liquidazione, esprimendosi, come sostanziale obiter
dictum, la convinzione dell’esperibilità della procedura cautelare in esame nel testo.
25
così, espressamente, Salafia, op. cit., 2631
26
in questo senso, Conte, Atti conservativi ex art. 2270 c.c. e sequestro conservativo, cit., 299.
8
Dunque non può parlarsi di incidenza, anche solo potenziale, sull’attività societaria (durante
societate gli atti conservativi in esame non producono alcun effetto all’interno della compagine
societaria), in quanto gli effetti si producono casomai a società sciolta.
Ne consegue che non possono avere corso neppure quelle interpretazioni estensive 27 che
ammettono, pur in mancanza di previsione espressa di legge, la iscrivibilità nel registro delle
imprese degli atti che incidono sull’organizzazione societaria.
In definitiva, la complessa procedura finirebbe per mancare proprio sotto il profilo che
dovrebbe qualificarla, ovverosia dal punto di vista dell’effetto “conservativo” nei confronti di
eventuali cessioni a terzi del cespite patrimoniale considerato.
Anche l’ipotesi di ammettere il pignoramento della quota di liquidazione della società non
appare convincente.
Intanto, una volta ammesso il pignoramento, va consequenzialmente ammessa anche
l’assegnazione o vendita della situazione giuridica che è oggetto della procedura espropriativa.
Orbene, l’esistenza di una partecipazione societaria produce, rispetto al diritto a percepire la
quota di liquidazione di tale partecipazione, una mera aspettativa, condizionata al fatto futuro e
incerto del verificarsi delle condizioni che consentono lo scioglimento del rapporto societario e del
permanere, in quel momento, di valori societari da ripartire.
Quindi, per ammettere il pignoramento, come forma di attuazione delle garanzie dettate
dall’art. 2270 c.c. in favore del creditore del socio, dovrebbe affermarsi che sia pignorabile anche
una mera situazione di aspettativa e dunque non un credito attuale.
Su questo profilo si appuntano le maggiori critiche di chi disconosce fondamento a tale
ipotesi.
Il rilievo principale in proposito attiene al fatto che oggetto del pignoramento sarebbe, in tale
prospettiva, una situazione rispetto alla quale potrebbe essere incerta, al momento dell’esecuzione,
la capacità satisfattiva. In sostanza, si afferma che si assoggetterebbe a pignoramento un credito
soltanto possibile, oltre i limiti in cui la giurisprudenza ammette il pignoramento di crediti futuri o
eventuali28.
L’adesione a tale critica certamente impedirebbe di riconoscere ammissibilità al
pignoramento.
Peraltro, ove si ritenesse che oggetto di pignoramento possa essere anche una mera
aspettativa29, la norma in esame finirebbe per restare sostanzialmente priva di significato precettivo,
in quanto costituirebbe il mero riconoscimento di una facoltà già esistente in generale
nell’ordinamento.
Ove si consideri poi che il creditore del socio potrebbe anche in ipotesi già essere munito di
titolo esecutivo, il riconoscimento espresso della facoltà di compiere “atti conservativi”, sarebbe
cosa davvero inutile.
Il dettato normativo dell’art. 2270 c.c. fornisce viceversa la netta impressione che gli “atti
conservativi” ivi considerati costituiscano una figura cautelare a sé stante, propria dell’ambito
societario ma con funzione del tutto analoga, nei limiti della compatibilità, a quella del sequestro
conservativo ordinario.
Tale misura va infatti caratterizzata come mero vincolo giuridico, inidoneo a trasformarsi in
atto satisfattivo fino a che, quanto meno relativamente al socio interessato, non si determini lo
scioglimento del rapporto societario.
27
cfr. gli s critti citati alla nota 41.
Schermi, Gli “atti conservativi”, cit., 148 ss.
29
nella giurisprudenza, oltre a decisioni che tentano di delimitare l’ampiezza delle situazioni future pignorabili,
si reperiscono massime in cui il riferimento va anche a “crediti illiquidi e condizionati, costituenti una mera spes” (Cass.
22 ottobre 1963 n. 2803). Il punto è che, una volta aperta il varco verso situazioni future, il passo verso il riconoscere
anche situazioni meno certe, quali le aspettative come oggetto di pignoramento, è breve e sempre più difficile è
stabilire, con criteri sicuri, il limite tra ciò che può essere oggetto di pignoramento e di ciò che non può esserlo.
28
9
Al contempo, carattere peculiare della figura è quello di rendere sostanzialmente impossibile
parlare di custodia del bene sequestrato, in quanto oggetto del vincolo non è la quota in sé (che,
come tale, potrebbe anche porre problemi di custodia o gestione temporanea), ma la futura
liquidazione di tale quota (che è una mera aspettativa, destinata semmai a trasformarsi in un diritto
di credito, ma non in un bene mobile immateriale quale è la quota).
In sostanza si tratta di misura cautelare conservativa ma tale da rispettare al massimo
l’autonomia patrimoniale della società ed il suo normale funzionamento 30. La specialità della
cautela deriva dunque dal particolare humus sostanziale su cui la misura è destinata ad operare31.
La ricostruzione della relativa disciplina non può, peraltro, che procedere ricercando forme
cautelari simili che siano compiutamente regolate nell’ordinamento, onde trarne le norme
applicabili.
Non utili, almeno in via diretta, sono invece le norme sul nuovo processo societario.
Esse, è vero, conoscono provvedimenti cautelari cui non segue necessariamente il processo di
merito e che dunque restano attivi, con i propri effetti, fino a che non sopravvenga una situazione o
una statuizione ulteriore che li renda inoperanti o che vi si sostituisca.
La previsione (art. 23 delle norme sul processo societario) riguarda però soltanto i
provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito e, dunque, non le misure di
carattere conservativo32.
La prospettiva logica fornita in tal senso dalla riforma è però di un certo significato nel
momento in cui si debba trovare soluzione al problema di una misura cautelare necessariamente
destinata a durare nel tempo, pur in assenza di un giudizio di merito cui essa rigorosamente acceda
(già si è detto che chi ricorre per gli atti conservativi in esame potrebbe già essere munito di titolo
esecutivo) o di un provvedimento di condanna che possa servire, attraverso il pignoramento, a
trasformare la misura cautelare in vera misura satisfattiva.
Ed allora, procedendo alla ricostruzione positiva dell’istituto in esame, va intanto definita la
sua qualificazione giuridica.
Si tratta certamente di mezzo di preservazione della garanzia patrimoniale, in quanto mirato
alla salvaguardia del “creditore particolare del socio” (e dunque di un creditore per somme di
denaro) mediante “atti conservativi”.
Orbene i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (Libro sesto, titolo terzo, capo V
del codice civile) operano sostanzialmente attraverso il triplice meccanismo della sostituzione al
debitore inerente (azioni surrogatorie), della ritrattazione mediante pronuncia giudiziale degli effetti
di atti pregiudizievoli (azioni revocatorie) oppure attraverso la “conservazione” del patrimonio del
debitore rispetto ad eventuali atti dispositivi di esso (sequestro conservativo).
Non vi è dubbio che la misura in esame rientri, data la sua natura come sopra individuata,
nella categoria degli atti di carattere conservativo33.
A fronte della necessità di trovare una disciplina per gli effetti e la procedura da applicare alla
misura conservativa in esame, non si può perciò che fare riferimento, per analogia legis, alla
normativa sostanziale e processuale del sequestro conservativo, visto che la norma specifica (art.
2270 c.c.) non contiene disposti specifici in tal senso.
L’ipotesi di cui all’art. 2270 c.c. va in definitiva qualificata come forma di sequestro
conservativo, tale da determinare, come l’ipotesi generale disciplinata agli artt. 2905 ss. c.c., la
30
per il rilievo sul fatto che gli atti conservativi in esame, comunque si connotino, non possono alterare
l’autonomia amministrativa e decisionale della società, cfr. Salafia, Sulla impignorabilità, cit., 2631.
31
sarebbe altresì interessante, ma la cosa esula dai limiti del presente lavoro, verificare la tesi sostenuta nel testo
alla luce di altre ipotesi in cui la normativa societaria consente di procedere ad atti conservativi, proprio in presenza di
patrimoni destinati: cfr. ad es. l’art. 2447 decies comma quinto c.c., sulle “azioni conservative” consentite ai creditori
della società sui ben strumentali funzionali all’operazione di finanziamento destinato ad uno specifico affare.
32
cfr. Amadei Soldati, Il processo societario, Milano, 2003, 101.
33
cfr. Trib. Monza 5 dicembre 2000, in Giur. Comm., 2001, II, 63, secondo cui il pignoramento è inammissibile
e la misura va nella sostanza affiancata, pur nella propria individualità, al sequestro conservativo.
10
inefficacia relativa degli atti di disposizione, in conformità alle regole stabilite per il pignoramento
(art. 2906 c.c.).
Dal punto di vista processuale, l’analogia con la figura tipica del sequestro conservativo
consente di ritenere comuni i presupposti cautelari tipici (timore di perdere la garanzia del credito),
nonché le modalità procedurali, fatta eccezione per i profili rispetto ai quali la fattispecie speciale in
esame denota particolarità non compatibili con la disciplina generale del sequestro conservativo.
In particolare, non può esservi compatibilità, tra la disciplina ordinaria del sequestro e gli atti
conservativi sulla quota di liquidazione, per quanto attiene alla necessità di conversione del
sequestro in pignoramento una volta ottenuto il titolo esecutivo. Non troveranno quindi
applicazione gli artt. 686 c.p.c. e 156 disp. att. c.p.c.
Infatti, la connaturata incertezza temporale rispetto al momento in cui sarà possibile
l’aggressione del bene del debitore, rende in sostanza incerto quando il patrimonio del debitore
potrà essere concretamente aggredito per trarne soddisfazione. Ed anzi, si è già osservato come la
peculiarità della cautela in esame sia data anche dal fatto che il creditore potrebbe anche essere già
munito di titolo esecutivo verso il socio.
Ciò premesso, può allora dirsi che la misura in esame, essendo assimilabile al sequestro, potrà
essere concessa ove ricorrano i presupposti cautelari di cui all’art. 670 c.p.c. La procedura per la
concessione dovrà poi essere quella di cui agli artt. 669 bis ss. c.p.c., in quanto compatibili
(applicabili anche per il disposto dell’art. 669 quaterdecies c.p.c.) e il sequestro sarà attuato nelle
forme di cui agli artt. 670 ss. c.c.
Sotto il profilo dinamico, una volta esaurita la fase cautelare, seguirà, ove non preesista titolo
esecutivo, il giudizio di merito (sul credito) e viceversa, qualora già preesista titolo esecutivo, non
dovrà procedersi al giudizio di merito.
Sotto il profilo esecutivo la misura, avendo ad oggetto un credito eventuale verso la società,
andrà invece attuata nelle forme del sequestro presso terzi.
Poiché non può esservi obbligo di conversione in pignoramento, per le ragioni sopra dette, la
cautela resterà in vita come tale, con effetto conservativo, fino a quando non sia possibile il
pignoramento ed il creditore del socio non vi proceda, anche questa volta nelle forme presso terzi.
Al contempo, al socio che abbia per altra via onorato il debito o che per qualunque ragione
non debba più pagare, potrà riconoscersi il diritto di agire per far accertare il venire meno dei
presupposti per la permanenza della misura cautelare e ciò, qualora il creditore fosse munito di
titolo esecutivo, attraverso le forme della cognizione ordinaria di accertamento negativo, oppure, in
caso contrario, attraverso una mera richiesta di revoca o modifica del sequestro ai sensi dell’art. 669
decies c.p.c.
6. Il pignoramento della quota nelle società di persone
La quota di partecipazione ad una società di persone, in sé considerata, è considerata, di
massima, bene non pignorabile, alla luce dell’intuitus personae che caratterizza la partecipazione
alla compagine societaria34.
Dal punto di vista normativo, poiché il trasferimento della quota comporta la modifica della
compagine soggettiva (voluta nell’atto costitutivo e caratterizzata, per norma generale, dalla scelta
personale e fiduciaria rispetto ai singoli soci), esso resta assoggettato alla necessità di consenso
unanime dei soci ai sensi dell’art. 2252 c.c., cosa che rende impossibile l’esecuzione forzata.
Recentemente la Suprema Corte 35 ha tuttavia ammesso il pignoramento delle quote per il caso
in cui l’atto costitutivo preveda la loro trasferibilità, salva la necessità di salvaguardare gli eventuali
34
Galgano, Le società di persone, cit., 265; Ferrara Corsi, L’imprenditore e le società, Milano, 1984, 326
Cass. 7 novembre 2002 n. 15605, in Giur. It., 2003, I, 1, 1866, pronuncia intervenuta a chiudere una vicenda
giudiziaria che aveva visto un decisione di primo grado favorevole alla pignorabilità (Trib. Milano 19 dicembre 1996, in
Giur.It., 1997, 510, con nota di Jorio) e quindi una sentenza di appello di segno contrario (App. Milano 23 marzo 1999,
35
11
patti di prelazione parimenti contenuti nel contratto sociale. In sostanza il fatto in sé di avere ab
origine previsto la trasferibilità delle quote, fa ritenere che l’intuitus personae, nel singolo caso,
passi in secondo piano e dunque si possa procedere a pignoramento 36.
Si pone peraltro il problema della forma attraverso cui attuare un siffatto pignoramento.
Le soluzioni prospettabili paiono sostanzialmente due.
La prima è quella del pignoramento presso terzi che potrebbe essere fondata sull’analogia
rispetto al regime del pignoramento della quota di s.r.l. come di regola attuato prima della recente
riforma del diritto societario37.
La seconda ipotesi che si potrebbe prospettare, fa invece riferimento proprio al nuovo regime
del pignoramento di quota di s.r.l.
E’ ormai appurato, come si è detto, che la quota di partecipazione ha natura di bene mobile
immateriale38.
Poiché il codice di rito non prevede alcuna forma specifica per il pignoramento di tali beni,
non appare azzardato sostenere che si possa fare riferimento analogico alla nuova disciplina della
s.r.l. (integrata dalle norme generali sul pignorame nto e dalle norme sul pignoramento presso il
debitore), come modello unitario per l’esecuzione su partecipazioni societarie, ove non siano
linearmente applicabili le ordinarie norme sul pignoramento mobiliare o presso terzi.
Si tratterebbe dunque di procedere mediante atto notificato al socio ed alla società, su cui poi
si fonderebbe l’intera procedura esecutiva, fino alla vendita.
In effetti la prima ipotesi (pignoramento presso terzi) desta qualche perplessità sotto il profilo
della effettiva coerenza logica rispetto all’istituto processuale utilizzato, visto che la quota di
partecipazione non costituisce a rigore, durante societate, un debito della società verso il socio.
L’accoglimento della seconda ipotesi consentirebbe invece di superare tale distorsione dello
strumento della procedura presso terzi ed al contempo di adeguare il pignoramento in esame
all’ipotesi più simile tra quelle normativamente regolate.
Il punto fondamentale, rispetto alla tesi dell’estensione del pignoramento nelle forme cartolari
previste per la s.r.l., pare essere quello in merito al regime di iscrizione nel registro delle imprese
dei trasferimenti di quota di società di persone.
La circostanza sembra di importanza decisiva in quanto tutte le forme di pignoramento sono
regolate in modo da essere fondate sulla seria possibilità, attraverso esse, di colpire beni che
effettivamente appartengono del debitore. Così, il pignoramento mobiliare si attua di regola presso i
luoghi ove il debitore abita sul presupposto che in quei luoghi si trovano le cose che egli possiede e
che dunque possano presumersi sue; il pignoramento presso terzi si attua in modo tale da consentire,
o per riconoscimento del terzo o per effetto di accertamento giudiziale a cognizione piena, che
davvero una cosa in detenzione del terzo o il credito staggito spettino al debitore esecutato; il
pignoramento immobiliare si basa a propria volta sulla solida garanzia delle risultanze dei registri di
Conservatoria.
Orbene, se effettivamente si potesse concludere che il trasferimento di quota va iscritto,
sarebbe ragionevole ritenere che sia legittima anche l’estensione analogica del pignoramento in
forma analoghe a quelle previste per la s.r.l., visto che, fino a prova contraria, quanto emerge dal
in Giur.it., 2000, I, 1, 295 ed in Vita Notarile, 2000, 388), poi cassata dalla Suprema Corte. In dottrina, in senso
favorevole, cfr. Rivolta, La partecipazione sociale, Milano, 1964, 375.
36
non sembra invece che a tale ipotesi possa essere riportata quella espressamente regolata dall’art. 2322
secondo comma c.c., visto che la procedura esecutiva non ha gli strumenti per ottenere coattivamente una delibera
favorevole al trasferimento. Questione diversa e tutta da discutere è se si possa ammettere una delibera preventiva ai
sensi dell’art. 2322 secondo comma c.c., assunta a prescindere dalla persona del potenziale acquirente della quota ed
iscritta a registro delle imprese, e se, una volta assunta tale delibera, si possa parlare di quota trasferibile e dunque
assoggettabile a pignoramento.
37
Cass. 4 aprile 1997 n. 2926 e Cass. 1 ottobre 1997 n. 9577, in Foro it., 1999, I, 1615 con nota di Rossi; Cass.
14 aprile 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101; Cass. 11 luglio 1962 n. 1835.
38
Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087
12
registro delle imprese in merito all’appartenenza della quota, va ritenuto fare fede rispetto alla
spettanza della quota stessa al debitore (art. 2193 c.c.).
La base di tale forma di pignoramento sarebbe dunque in tal modo certamente assai più solida
di quanto potrebbe ottenersi, ipotizzando l’attuazione nelle forme presso terzi, da una dichiarazione
giudiziale della società o dall’accertamento giudiziale (in contraddittorio del socio e della società)
della spettanza al debitore della quota, ovverosia di fatti tutti che non possono certo fare stato verso
i terzi effettivi proprietari.
In proposito, va rilevato che l’art. 2300 c.c. prevede l’iscrizione, per l’opponibilità ai terzi,
delle modifiche dell’ “atto costitutivo”.
Si tratta dunque di stabilire se la cessione volontaria della quota societaria determini
modificazione dell’atto costitutivo o meno.
Non vi è dubbio che si tratti di modifica (soggettiva) del contratto sociale, ma si potrebbe
sostenere che la cessione volontaria della quota non costituisca modifica dell’atto costitutivo,
proprio perché sarebbe lo stesso atto costitutivo a prevederne, a priori, la possibilità. Si dovrebbe
dunque parlare di mero negozio di attuazione di una possibilità prevista nell’atto costitutivo e non di
modifica dello stesso.
La tesi tuttavia non convince.
Lo scopo della pubblicità rispetto all’atto costitutivo non è quello di assicurare la mera
conoscenza del documento in sé, ma dei dati che l’art. 2295 c.c. richiede emergano da esso.
E l’importanza dei dati soggettivi dei soci, nelle società di persone, non necessità di particolari
spiegazioni, dato il regime della responsabilità per i debiti societari39.
Pertanto la modifica sostanziale di quei dati, sia che essa provenga da una delibera unanime di
modifica dell’atto costitutivo, sia che derivi da una modifica scaturente da un meccanismo diverso,
comunque previsto dalla legge o dall’atto costitutivo, va ritenuta soggetta ad iscrizione 40 per
l’opponibilità ai terzi 41.
La tesi sull’esecuzione del pignoramento nelle forme speciali in esame appare dunque
preferibile.
Altra questione è invece quella relativa al regime di opponibilità ai terzi del pignoramento in
questione.
Anche in questo caso il problema è del tutto analogo a quello che si poneva, per le quote di
s.r.l., prima delle recenti riforme.
Intanto è necessaria una premessa.
39
sul punto si può osservare come il mutamento del nominativo dei soci non possa essere ritenuto una modifica
del contratto nella società per azioni, laddove la quota, salve limitate eccezioni temporali, è destinata per natura a
circolare. Si deve poi tenere conto che la legge nella s.p.a. disciplina le modificazioni sotto forma di modificazioni dello
statuto (sezione X, art. 2436 ss. c.c.). Dunque, fermo restando l’atto costitutivo (che è l’espressione del contratto
originario di società e che, come tale, è alla fin fine immutabile), “non sono modificazioni statutarie, nella società per
azioni, i mutamenti che incidono sul n. 1 dell’art. 2328” (così, espressamente, Galgano, Il nuovo diritto societario, in
Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Francesco Galgano, Padova, 2003, 358).
40
in questo senso, sebbene in via del tutto incidentale, cfr. anche Conte, Atti conservativi ex art. 2270 c.c. e
sequestro conservativo, cit., 300.
41
è ad esempio pacifico che il recesso del socio, che di per sé non costituisce modifica dell’atto costitutivo, ma
solo del rapporto societario, in attuazione dei patti originari (art. 2285 secondo comma) o della legge (art. 2285 primo
comma) vada iscritta (Trib. Padova 19 novembre 1996; Trib. Arezzo 19 gennaio 1999, tutte in Il registro delle imprese
nella giurisprudenza, Atti del convegno di Sassari 5-6 novembre 1999, 172 ss.) . Semmai il problema è quello di
stabilire se il socio receduto sia legittimato ad ottenere l’iscrizione (in senso favorevole, Trib. Rimini 8 maggio 1997; in
senso contrario, sul presupposto che chi è receduto non è neppure più socio, Trib. Arezzo 19 gennaio 1999 e Trib.
Vicenza 25 maggio 1998, dovendosi, secondo quest’ultima pronuncia, procedere a dare impulso alla procedura di cui
all’art. 2190 c.c.: tutte le pronunce menzionate sono reperibili in Il registro delle imprese nella giurisprudenza, cit., 172
ss.). A prescindere dalla questione in merito al recesso, certamente, se l’iscrizione sul registro delle imprese del
trasferimento, è, come si sostiene di seguito nel testo, dato di rilievo per la circolazione della quota e l’opponibilità al
pignoramento, è ben difficile negare all’acquirente – che tra l’altro sarebbe già socio – legittimazione alla richiesta di
iscrizione: legittimazione che, stante la necessità di non figurare ulteriormente come socio (con tutto quanto ne deriva in
punto di responsabilità) è parimenti difficile disconoscere all’alienante.
13
Se si ritiene, come ormai appare pacifico in giurisprudenza, che la quota di partecipazione alla
s.n.c. regolare o alla s.a.s. siano beni mobili immateriali, sembra comunque da escludere che possa
avere rilievo, per gli acquisti successivi al pignoramento, il disposto dell’art. 2913 ultima parte c.c.
Il bene immateriale, quando non si esprima attraverso riscontri concreti (come ad es. le onde
elettromagnetiche che vengono recepite e trasformate in suoni o immagini) ma solo si manifesti
attraverso l’esercizio dei diritti che da esso derivano, non appare suscettibile di possesso42 e dunque,
di acquisto a titolo originario nelle forme di cui all’art. 1153 c.c.
Dunque, prescelta tale strada, ogni acquisto successivo al pignoramento non potrebbe mai
essere opposto alla procedura.
Resta tuttavia il problema di stabilire quale sia il regime rispetto all’opponibilità del
pignoramento agli acquisti anteriori ad esso.
Qui è decisivo stabilire se si ritenga che il bene immateriale costituito dalla quota di società di
persone sia da considerare bene mobile iscritto in un pubblico registro e se il relativo pignoramento
possa essere fatto risultare sul registro delle imprese o meno.
La natura di bene mobile registrato va affermata, essendo comprovato, sulla base di quanto
sopra detto, che il trasferimento della quota soggiace al regime dell’iscrizione sul registro delle
imprese. Per ogni ulteriore approfondimento in proposito si rinvia a quanto sarà di seguito precisato
con riferimento alla quota di s.r.l.
Quanto al pignoramento, qualora esso non fosse ritenuto iscrivibile sul registro delle imprese,
il regime dell’opponibilità ai terzi resterebbe assoggettato alla disciplina dell’art. 2914 n. 4 e dunque
al criterio della data certa. Non potrebbe infatti trovare mai applicazione l’art. 2914 n. 1, in quanto
se il pignoramento non è iscritto, manca uno dei termini di comparazione per valutare l’anteriorità.
Sarebbero perciò opponibili al pignoramento le cessioni di quota effettuate con atto di data
certa anteriore al pignoramento, a prescindere dal fatto che, prima del pignoramento, fossero state o
meno iscritte.
E’ evidente che la conclusione è tale da rendere oggettivamente meno certi gli esiti della
procedura esecutiva. Infatti, ai sensi dell’art. 2919 c.c., l’atto di data certa sarebbe in tal caso
opponibile, così come lo è al pignorante, anche all’acquirente ed all’assegnatario in sede di vendita
forzata (salvo, per l’assegnazione, l’eventuale regime beneficiato di all’art. 2926 c.c.). Dunque la
procedura resterebbe esposta a gravi rischi, dapprima, di fruttuosa opposizione di terzo e,
successivamente, di evizione a danno del cessionario.
Vi è però da dire che, una volta affermata la sottoposizione del trasferimento della quota alla
disciplina pubblicitaria del registro delle imprese, potrebbe aver corso quell’interpretazione 43,
secondo cui l’obbligo di iscrizione andrebbe esteso ad ogni atto, correlato alla titolarità della quota,
che incida sull’esercizio dei diritti all’interno della società e sull’organizzazione della stessa,
caratteristiche di cui certamente è dotato il pignoramento, visto che con esso la quota passa
necessariamente da un regime di libertà ad un regime di custodia (il che può comportare un diverso
assetto nell’esercizio dei diritti all’interno della società, in relazione alla quota interessata).
E da qui potrebbe quindi ricostruirsi il sistema, in modo analogo a quanto concernente la s.r.l.,
come basato sul regime di opponibilità dei beni mobili registrati (art. 2914 n. 1 c.c.): sul punto
42
sul punto, per approfondimenti, seppure con riferimento alla materia delle azioni dematerializzate, cfr. Cian,
Dematerializzazione degli strumenti finanziari e “possesso” della registrazione in conto, in Banca borsa e tit. credito,
2002, 176. In senso critico sulla possibilità di possedere le quote di una s.r.l. , si è pronunciato anche Chiarloni, Il
pignoramento di quote di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite iscrizione nel registro delle imprese, in
Giur.it., 1995, IV, 160; in senso favorevole al possesso di quota, da esercitare attraverso l’iscrizione a libro soci, cfr.
invece Cass. 12 dicembre 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101; in senso contrario, Trib. Torino 27 agosto 1992, in
Giur. it., 1993, II, 585, con nota di Sanzo, Conflitto tra creditore pignoratizio ed acquirente di quota di società a
responsabilità limitata: brevi riflessioni su una fattispecie particolare. In senso favorevole al possesso di mezzi
finanziari dematerializzati, Tribunale di Milano 26 marzo 2001, in Banca borsa e tit. credito, 2002, 160.
43
cfr. Speranzin, Registro delle imprese e trasferimento di quota della s.r.l.: questioni ancora non (del tutto)
risolte, in Giur. Comm., 2001, II, 635 e Marasà Ibba, Il registro delle imprese, Torino, 1997, 98.
14
peraltro, tutt’altro che pacifico anche in tema di s.r.l., si rinvia alla trattazione che in proposito viene
svolta di seguito per la società a responsabilità limitata.
Nel caso si ritenesse impraticabile una tale strada interpretativa ed al contempo si accogliesse
la tesi secondo cui la quota di s.r.l., nei rapporti con il pignoramento, soggiaccia alla disciplina
dell’art. 2914 n. 1 c.c., si potrebbe invece ipotizzare una questione di legittimità costituzionale,
basata sulla disparità di trattamento tra due situazioni (pignoramento quota di società di persone
liberamente trasferibile e pignoramento di quota di s.r.l.) che, pur essendo assai simili, troverebbero
una diversa regolamentazione sotto il profilo dell’opponibilità del pignoramento ai terzi: con
violazione congiunta, pertanto, degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Per quanto attiene ai rapporti tra pignoramento e domande giudiziali, nonché tra clausole di
prelazione e pignoramento, si rinvia alla trattazione del tema che viene fatta di seguito per la s.r.l.,
rispetto alla quale non sussistono sostanziali differenze.
7. Il sequestro giudiziario della quota di società di persone
Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte 44, la quota di partecipazione a
società di persone può essere assoggettata a sequestro giudiziario.
Sul presupposto che la quota abbia natura di bene immateriale, cui afferisce una fascia di
situazioni giuridiche soggettive diverse e tra loro correlate (diritti, obblighi, aspettative etc.), si è
affermata la natura di bene mobile di essa, ai sensi dell’art. 812 ultimo comma c.c. 45 e dunque si è
ritenuto che la stessa, come qualunque bene mobile, possa essere sottoposta alla misura cautelare in
esame, purché ricorra “una qualunque azione che implichi statuizione sulla proprietà” (o comunque
sulla sua titolarità)46.
La Cassazione ha osservato in particolare47 che i dubbi dottrinali e giurisprudenziali sul limite
al sequestro costituito dall’operatività del contratto sociale in regime di intuitus personae, non sono
in effetti fondati.
Viceversa, rileva la Corte, la misura cautelare costituisce proprio elemento di garanzia del
rispetto del patto di fiducia originario, risultando essa funzionale ad assicurare che, alla fine della
controversia sulla titolarità della quota, essa pervenga, senza alterazioni cagionate dalla pendenza
della lite, proprio a colui che ha diritto ad esserne riconosciuto titolare.
Più che di custodia, precisano ancora i giudici di legittimità, si determina una fattispecie tipica
di “gestione temporanea” (art. 670 n. 1 ultima parte c.p.c.) del bene che è oggetto di lite (anche se
ciò non sembra possa escludere che l’esecuzione del sequestro si svolga con l’ausilio di custode).
Ciò che la Suprema Corte non risolve sono invece le questioni relative alle modalità esecutive
di tale misura cautelare.
Sul punto è intanto necessaria una premessa.
Se la quota è un bene immateriale, non potendosi parlare di possesso di essa48, la causa di
merito che la riguarda non potrà che avere portata dichiarativa della proprietà e, al più, la condanna,
per la parte cui la quota non risulti spettare, ad astenersi dall’esercizio delle prerogative di socio ed
a permettere l’esercizio di esse da parte dell’avente diritto.
In sostanza la decisione di merito non potrà avere (salvo profili secondari che non
necessariamente ricorrono, come la eventuale consegna di documenti o atti relativi alla
partecipazione societaria) un contenuto positivo di condanna ad operazioni di consegna o rilascio
rispetto al bene (quota) in sé e per sé considerato .
Analogamente il sequestro giudiziario, che è misura finalizzata alla gestione della cosa, ma
che non può certamente eccedere i limiti entro i quali potrà avere corso la pronuncia di merito cui
44
Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087.
Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, cit.
46
Cass. 10 novembre 1992 n. 12087, cit.
47
Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, cit.
48
cfr. gli autori citati alla nota 42.
45
15
esso è funzionale, altro non determinerà che l’immissione del custode nell’esercizio dei diritti propri
del socio.
Ciò premesso, si comprende chiaramente come le norme sull’esecuzione per consegna
richiamate dall’art. 677 c.p.c., quale disciplina utile all’attuazione del sequestro giudiziario, trovino
applicazione sostanzialmente limitata (del resto il rinvio dell’art. 677 c.p.c. ad esse è contenuto
espressamente con la clausola di compatibilità), perché l’effetto della misura cautelare non consiste
in uno spossessamento materiale, ma solo nell’immissione del custode, ad opera dell’ufficiale
giudiziario, nell’esercizio dei diritti spettanti a chi sia socio e ciò nell’interesse di chi spetterà.
In buona parte il provvedimento giudiziale è in sostanza da eseguire attraverso il mero verbale
di immissione del custode nel possesso delle funzioni 49.
Il che, in una con il provvedimento giudiziale di nomina (contenuto già nell’atto di
autorizzazione al sequestro: art. 676 c.p.c.) basta a legittimare il custode all’esercizio dei diritti
verso la società, la quale non può certamente disconoscere l’efficacia del provvedimento, trattandosi
di atto che rispetto ad essa non dispiega effetti diretti, ma che certamente sottrae ai contendenti ogni
diritto di esercizio in proprio delle facoltà inerenti alla veste di soci.
8. Pignoramento della quota di s.r.l.: forma
Il pignoramento di quota di s.r.l., fonte per decenni di questioni di poco soddisfacente
soluzione 50, ha infine trovato disciplina espressa con la recente riforma del diritto societario.
Il tema ha come logica premessa l’esposizione del regime di trasferimento volontario delle
quote.
Non sembra che l’art. 2470 c.c. abbia inteso stabilire un regime di forma scritta ad
substantiam per l’atto di cessione di quota. Di una previsione di forma a pena di nullità non vi è
traccia e la sottoscrizione autenticata è prevista al solo fine procedere all’iscrizione sul registro delle
imprese51.
Si tratta di una chiara previsione di forma ad regularitatem, finalizzata ad ottenere gli effetti
di opponibilità che derivano dall’iscrizione sul registro delle imprese e dalla conseguente iscrizione
sul libro dei soci.
Inter partes la cessione di quote ha quindi effetto con la mera manifestazione del consenso.
Nel conflitto tra più subacquirenti vige la regola (art. 2470 terzo comma c.c.) per cui prevale
chi per primo abbia iscritto in buona fede (che, come per regola generale, si presume ex art. 1147
c.c.), anche se il titolo sia di data posteriore.
Verso la società (con riferimento all’esercizio dei diritti amministrativi e patrimoniali) il
trasferimento ha invece effetto con l’iscrizione nel libro dei soci che la parte ha peraltro diritto di
ottenere sulla mera esibizione dei documenti legittimanti, corredati dell’annotazione di avvenuto
deposito presso il registro delle imprese.
Il pignoramento delle quote si esegue, ai sensi dell’art. 2471 c.c., mediante atto notificato al
debitore ed alla società e successiva iscrizione di esso nel registro delle imprese: tale atto, come per
regola generale, dovrà inoltre contenere l’ingiunzione ex art. 492 c.p.c. nei confronti del debitore.
Gli amministratori, in esito alla notifica alla società, procedono quindi “senza indugio”,
all’annotazione nel libro dei soci.
49
se peraltro si accede alla tesi sull’iscrivibilità nel registro delle imprese, di tutti gli atti che hanno effetti
sull’organizzazione ed il funzionamento della società, in quanto funzionali a questioni sul trasferimento di essa (ed il
sequestro giudiziario per lo più interverrà quando tra più parti si controverte sulla spettanza della quota), l’atto dovrebbe
venire pubblicizzato, stanti anche gli effetti sull’esercizio dei diritti (art. 2471 bis e 2352 c.c.).
50
sul tema, cfr. Chiarloni, Il pignoramento di quote di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite
iscrizione nel registro delle imprese, cit., 154 ss.; Bonsignori, Gli effetti del pignoramento, in Commentario Schlesinger
al codice civile, Milano, 2000, 86.
51
Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 481.
16
E’ noto come, in precedenza, si ritenesse che il pignoramento delle quote dovesse rivestire le
forme del pignoramento presso terzi 52. Ed è parimenti nota la sostanziale natura convenzionale o
residuale di tale ricostruzione 53, apparendo sostanzialmente incongruo individuare la quota, durante
societate, come oggetto di un credito o di un diritto di restituzione verso la società.
La riforma consente di superare il punto critico, eliminando ogni necessità di fare riferimento
alla procedura presso terzi.
Va intanto ribadita la premessa, poco sopra ricordata, secondo cui la società non è, con
riferimento alla quota e fino a che non si giunga allo scioglimento dell’ente (ma quest’ultimo
eventuale aspetto qui non interessa) terza debitrice dei propri soci.
Orbene il codice di rito, allorquando disciplina il pignoramento “presso il debitore” non
intende significare che esso riguardi soltanto cose che siano fisicamente nella casa o in altri luoghi
appartenenti al debitore stesso (art. 513 primo comma c.p.c.). L’ipotesi si estende infatti,
espressamente, ai beni che si trovino altrove ma di cui il debitore possa liberamente disporre (salvo
l’aggravio procedurale della previa autorizzazione giudiziale ex art. 513 comma terzo) ed anche a
beni che siano in possesso di terzi, purché questi ne consentano l’esibizione (art. 513 ultimo
comma).
Se ne desume che il pignoramento sia da qualificare come presso il debitore, tutte le volte in
cui non sia necessario accertare l’esistenza o meno di diritti espropriabili del debitore verso il terzo
(accertamento che poi segue mediante la dichiarazione formale del terzo ex art. 547 c.p.c. o
attraverso la verifica giudiziale ex art. 548 c.p.c. dei diritti del debitore vero il terzo).
Orbene, nel caso di beni immateriali, quali le quote di s.r.l., è evidente che la disponibilità per
il debitore, rispetto all’esercizio del diritto di proprietà, non viene neppure intermediata in alcun
modo dal terzo.
Si tratta dunque di pignoramento presso il debitore di cosa immateriale, la cui disciplina è
arricchita dalle norme speciali di cui all’art. 2471 c.c. e che, per il resto, soggiace alle regole di cui
agli art. 513 ss c.p.c., ovviamente in quanto sussista compatibilità rispetto alle menzionate regole
speciali.
Non vi è perciò necessità alcuna di dichiarazioni di terzo. Del resto, a fondamento di ciò sta
anche il fatto che, rispetto alla spettanza del bene al debitore, si può fare affidamento su quanto
risultante dal registro delle imprese.
E’ chiaro, dalla struttura della norma, che gli effetti del pignoramento si producono tutti
mediante gli incombenti di notifica e di pubblicazione sul registro delle imprese. In analogia al
sistema del tutto simile del pignoramento immobiliare, si può ritenere che il pignoramento, per il
debitore, esista già con la notifica nei suoi confronti, con rilevanza di ciò per quanto attiene al
rispetto dei termini interni alla procedura esecutiva (rispetto del termine di efficacia del precetto;
decorso del termine per l’istanza di vendita) 54.
L’iscrizione sul registro delle imprese è invece il momento da cui il pignoramento assume
efficacia nei confronti dei terzi.
Legittimati a procedere a tale iscrizione, sempre in analogia a quanto prevista per la procedura
immobiliare, sono da considerare sia l’ufficiale giudiziario, sia la parte creditrice.
L’iscrizione a libro soci ha invece la funzione di adempiere ad una forma tipica di pubblicità
interna alla compagine sociale, utile a portare i soci a specifica conoscenza del fatto (è infatti
evidente che, per i singoli soci, l’iscrizione sul libro societario è forma di conoscenza più intensa di
quanto possa derivare sia dalla pubblicazione sul registro delle imprese, sia dalla notifica alla
società, che, essendo ricevuta dai rappresentanti, potrebbe restare ignota ai soci). In analogia a
52
Cass. 14 aprile 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I, 1101; Cass. 11 luglio 1962 n. 1835.
“in mancanza di meglio” afferma, criticamente, Bonsignori, Gli effetti del pignoramento, op. loc. cit.; “per
esclusione di ogni altra forma esecutiva” si legge in Briolini, L’attuazione del pignoramento e dei sequestri di azioni
nominative, in Banca borsa e tit. credito, 2001, I, 180.
54
in materia immobiliare, cfr. Cass. 27 marzo 1965 n. 525, in Riv. diritto processuale, 1966, 320, con nota di
Tarzia.
53
17
quanto previsto dall’art. 2470 primo comma c.c. per il trasferimento volontario della quota, si può
invece ritenere che l’iscrizione condizioni l’esercizio dei diritti societari in capo al custode.
La custodia della quota (per la nomina del custode valgono le regole ordinarie di cui all’art.
521 c.p.c.) e l’esercizio dei relativi diritti societari sono disciplinati dall’art. 2471 bis c.c. che rinvia,
con riferimento al sequestro, all’art. 2352 c.c.
La norma, va ritenuta sostanzialmente applicabile anche al caso di pignoramento della quota.
Infatti la formulazione generica della disposizione non autorizza a limitarne l’applicazione
all’ipotesi di sequestro giudiziario, di talché, una volta ritenuta l’applicabilità al sequestro
conservativo, va ovviamente ritenuto, data la sovrapposizione di forme ed effetti tra sequestro
conservativo e pignoramento, che essa operi anche in caso di pignoramento, appunto, della quota 55.
In sostanza al custode spetta il diritto di voto, nonché ogni altro diritto amministrativo (art.
2352 primo e ultimo comma).
Il pignoramento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2352, 2442 e 2481 ter c.c., si
estende sulla quota, anche ove essa aumenti di consistenza per effetto di una delibera di
imputazione di riserve od altri fondi a capitale56.
Si deve poi ritenere che i frutti della quota, ovverosia gli utili, dopo il pignoramento, vadano a
comporre la somma ricavata ai sensi dell’art. 509 c.p.c.57
Per i frutti maturati prima del pignoramento e non riscossi va invece promosso autonoma
procedura presso terzi.
Una volta eseguito il pignoramento, si procederà, previa istanza di parte creditrice, alla fase di
autorizzazione alla vendita, il tutto secondo le regole ordinarie.
Appare in ogni caso opportuno che il giudice verifichi presso il registro delle imprese
l’effettiva spettanza al debitore delle quote secondo il regime delle iscrizioni, la quale cosa potrà
avvenire in una con la perizia di stima del valore delle quote, sostanzialmente necessaria, data la
natura del bene 58.
Nel caso in cui la quota sia in comproprietà (art. 2468 ultimo comma c.c.), troveranno altresì
applicazione le norme di cui agli art. 599 ss. c.p.c. La separazione in natura è cosa in sé priva di
senso, dunque non si potrà che procedere alla vendita della quota indivisa o allo scioglimento della
comunione.
9. Opponibilità al pignoramento degli atti di alienazione della quota di s.r.l.
La riforma del diritto societario, mentre dedica una norma, sopra richiamata, alla disciplina
del conflitto tra successive alienazioni della stessa quota, non contiene nulla di espresso in merito al
rapporto tra il pignoramento della quota e gli atti di disposizione di essa.
Le possibilità sono plurime.
Una prima opzione di fondo è quella di definire se il conflitto in esame sia da risolvere sulla
base degli artt. 2913 c.c. e 2914 c.c., oppure sulla base della regola di cui all’art. 2193 c.c.
Ove quest’ultima norma fosse intesa anche quale disciplina del potenziale conflitto tra diritti,
da essa si trarrebbe la regola per cui il pignoramento prevarrebbe sull’atto di cessione della quota da
55
Salanitro, I vincoli sulle quote di società a responsabilità limitata, in Banca borsa e tit. credito, 2004, 11.
la decisione di procedere ad aumento di capitale mediante nuovi conferimenti spetta al socio, ai sensi dell’art.
2352 c.c.: poiché la quota del socio si esprime come proporzione sul totale del capitale (art. 2468 c.c.) sembra potersi
concludere che in tal caso il pignoramento si espanda automaticamente sulla nuova dimensione quantitativa della quota.
Il che porta ad affermare che una tale ipotesi sia ben rara, non essendo così frequente che il debitore provveda ad
incrementare con investimenti propri il valore dei beni staggiti, rispetto ai quali potrebbe anche non esercitare alcuna
facoltà gestoria, ove custode sia stato nominato un terzo.
57
Cass. 9 dicembre 1992 n. 13109 precisa altresì che, in caso di sopravvenuta liquidazione della società, il
pignoramento della quota si converte in pignoramento della quota spettante in sede di liquidazione.
58
appare difficile, anche se non in assoluto impossibile, che possa trovare applicazione la disciplina sulla piccola
espropriazione mobiliare, data la difficoltà, per l’ufficiale giudiziario, anche se munito di stimatore, di procedere a
valutazione immediata della quota.
56
18
parte del debitore, purché iscritto per primo e nell’ignoranza incolpevole della preesistenza di una
cessione della quota stessa non ancora iscritta. Prevarrebbe invece, de plano, la cessione iscritta
prima del pignoramento, salvo doversi verificare che cosa accada nell’ipotesi in cui il cessionario
abbia iscritto il proprio atto dopo le notifiche relative al pignoramento, ma prima dell’iscrizione di
questo: in questo caso potrebbe effettivamente richiedersi, per la prevalenza del cessionario, un
coefficiente soggettivo di buona fede da parte sua rispetto alla preesistenza del pignoramento.
L’ipotesi in merito all’applicazione dell’art. 2193 c.c. come norma di disciplina sui conflitti di
diritti è peraltro assai controversa59.
Già la circostanza che la norma (art. 2193 c.c.) si riferisca a “fatti”, rende dubbio che essa sia
stata posta a regolare il conflitto tra gli effetti di atti (atto di pignoramento e atto di alienazione; atti
di alienazione della medesima quota) e non, piuttosto, a disciplinare la sola conoscenza in capo ai
terzi di quanto iscritto (o non iscritto) sul registro, per effetti, correlati a tale conoscenza, dettati da
altre norme (nel senso che, quando una norma preveda come requisito, a determinati fini, la
conoscenza di un dato ed esso, pur dovendolo, non sia stato iscritto, non si può opporre lo stesso al
terzo, salvo che si provi che egli sapeva della circostanza interessata).
La tesi è ora avvalorata dal fatto che il legislatore (art. 2470 terzo comma c.c.) ha regolato
espressamente proprio una delle ipotesi tipiche in cui l’art. 2193 c.c. avrebbe potuto trovare
applicazione, ovverosia la doppia alienazione di quote di s.r.l. Orbene, se l’art. 2193 fosse norma
idonea a risolvere anche i conflitti tra diritti, non vi sarebbe stata necessità di una norma ad hoc.
Tanto più che la norma richiamata detta criteri poi non così dissimili da quelli che avrebbero trovato
applicazione sulla base del solo disposto dell’art. 2193 c.c.
Abbandonando perciò il campo dell’art. 2193 c.c. e riportando la questione alla sede,
decisamente più tipica, degli artt. 2913 ss. c.c., le opzioni restano ancora plurime.
Preliminare, anche da questo punto di vista è dirimere una questione di fondo.
E’ ormai sostanzialmente pacifico che la quota abbia natura di bene mobile immateriale60.
Non è pacifico se si tratti di bene mobile iscritto in pubblico registro o di bene immobile non
iscritto in pubblico registro61.
Se si opti per la seconda tesi, resta da stabilire se si tratti di bene suscettibile di possesso in
senso tecnico62, da esercitare attraverso l’iscrizione a libro soci, o meno.
Qualora si ritenga la quota suscettibile di possesso, nei termini sopra detti, dopo l’iscrizione
del pignoramento non si potrebbe mai avere un acquisto di buona fede, perché tale coefficiente
soggettivo sarebbe escluso iuris et de iure, una volta iscritto il pignoramento, dall’art. 2193 secondo
comma c.c. L’acquisizione del possesso anteriormente all’iscrizione del pignoramento o la presenza
di un atto di cessione di data certa, potrebbero invece rendere opponibili al pignoramento, seppure
iscritto, le alienazioni della quota anteriori a tale iscrizione.
Il dubbio tuttavia che la quota sia bene suscettibile di possesso (e non di mero esercizio dei
diritti che derivano dalla sua proprietà) è forte.
Ritenendo la quota un bene mobile immateriale insuscettibile di possesso, ma qualificabile
come di natura non registrata, le alienazioni successive al pignoramento non sarebbero ancora mai
59
cfr., per un riepilogo ragionato delle posizioni, cfr. Marasà Ibba, Il registro delle imprese, 1997, 226 ss; in
specifico, con riferimento alla materia in esame delle quote di s.r.l., cfr. Speranzin, Registro delle imprese e
trasferimento di quota della s.r.l.: questioni ancora non (del tutto) risolte, in Giur. Comm., 2001, II, 635.
60
Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10 novembre 1992 n. 12087.
61
escluderebbe la natura di bene iscritto in pubblico registro Cass. 14 aprile 1986 n. 7409, in Foro it., 1987, I,
1101, la quale però non fa testo, in quanto relativa ad un epoca in cui non era prevista l’iscrizione dei trasferimenti di
quota sul registro delle imprese. Non sono decisive, in senso contrario, perché non si esprimono sul punto, limitandosi a
richiamare solo la natura di bene immateriale, le citate Cass. 30 gennaio 1997 n. 934, in Foro it., 1997, I, 277 e Cass. 10
novembre 1992 n. 12087; in senso favorevole alla natura di bene mobile registrato, Chiarloni, Il pignoramento di quote
di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite iscrizione nel registro delle imprese, cit., 162 e Pret. Carpi 6
novembre 1995, in Giur.it, 1996, I, 2, 10; in senso contrario, Revigliono, Il trasferimento della quota di società a
responsabilità limitata. Il regime legale, Milano, 1996, 160 ss.
62
in questo senso, la citata Cass. 14 aprile 1986 n. 7409; per le posizioni critiche, cfr. la nota 42 che precede.
19
opponibili (art. 2913 c.c.) perché non si potrebbe mai verificare la fattispecie di acquisto in buona
fede sulla base del possesso; le alienazioni anteriori lo sarebbero alla sola condizione della certezza
di data anteriore rispetto al pignoramento stesso (art. 2914 n. 4 c.c.).
Il punto è che la tesi della natura, per la quota, di bene mobile non registrato non appare poi
così convincente.
L’art. 815 c.c. qualifica come beni mobili registrati quelli iscritti in pubblici registri.
Ora, che il registro delle imprese sia un pubblico registro, è certo.
Dal combinato disposto dell’art. 2463 n. 6 c.c. e dall’art. 2330 c.c. (applicabile per il rinvio
dell’art. 2463 ultimo comma c.c.) si desume poi che le quote sono iscritte, quale parte
dell’iscrizione dell’atto costitutivo: e che l’iscrizione riguardi anche le quote in sé considerate è
attestato dal fatto che vi sono eventi successivi che le riguardano, come il pignoramento, i quali, pur
non costituendo in nessun modo modifica dell’atto costitutivo, neppure sotto il profilo della
composizione della compagine societaria, vanno purtuttavia iscritti.
Se ne conclude che la quota è bene assoggettato di per sé al regime dell’iscrizione, laddove il
fatto di venire originariamente iscritta in una con l’atto costitutivo (e di cessare con l’atto di
scioglimento della società) altro non è che conseguenza dell’inserirsi di essa nella dinamica
contrattuale societaria e di scaturire (e cessare) con essa.
Se dunque si attribuisce preferenza alla tesi che ravvisa nella quota di s.r.l. un bene mobile
registrato 63, la disciplina dei rapporti tra cessioni e pignoramento, è ancora diversa ed ancora una
volta si danno due opzioni.
In tutti i casi, ai sensi dell’art. 2913 c.c., ancora una volta è certo che nessuna cessione
successiva all’iscrizione del pignoramento potrebbe mai prevalere.
Il problema riguarda invece la disciplina delle alienazioni anteriori al pignoramento.
L’art. 2914 n. 1 fa riferimento ai beni mobili registrati, ma richiama, come forma di
definizione del conflitto, la trascrizione, mentre per le quote l’incombente pubblicitario è
l’iscrizione.
Ne potrebbe conseguire che la disciplina da applicare sia quella dell’art. 2914 n. 4 c.c.; infatti,
stante l’inidoneità della quota al possesso in senso tecnico (oltre che l’estraneità del tema del
possesso, in via generale, per i beni mobili iscritti in pubblici registri), ne risulterebbe come regola
di disciplina del conflitto solo quella sulla data certa dell’atto, rispetto all’iscrizione del
pignoramento sul registro delle imprese.
Nel primo caso (applicazione dell’art. 2914 n. 1 c.c.) è evidente che ne resterebbe assicurata
una maggiore certezza per il pignoramento (esso sarebbe destinato a buona sorte ogni qual volta al
momento dell’iscrizione le quote risultassero intestate al debitore).
Nel secondo caso (applicazione del criterio della data certa), ne risulterebbe più tutelata la
circolazione volontaria delle quote.
In proposito la ratio della riforma appare decisamente mirata a fornire di elementi di certezza
alla procedura di pignoramento di quote, a fronte di decenni di dubbi e difficoltà nel determinare le
forme del pignoramento e le regole dell’opponibilità di esso ai terzi acquirenti dal debitore.
Ora non è verosimile che, nel muovere verso tale maggiore certezza degli effetti del
pignoramento, si sia scelta la strada, viceversa, di dare migliore certezza alle cessioni volontarie.
Infatti, se il criterio di prevalenza, rispetto al pignoramento, fosse quello della data certa, a
prescindere dall’iscrizione dell’atto di chi acquisti dal debitore, la tutela sarebbe stata data
essenzialmente ai cessionari della quota i quali, prima di acquistare, potrebbero avere contezza della
preesistenza o meno di pignoramenti opponibili (che sono solo quelli iscritti), mentre altrettanto non
potrebbe dirsi per il pignorante, al quale potrebbe opporsi, anche a distanza di tempo, la
preesistenza di un atto di data certa non iscritto al momento del pignoramento e purtuttavia
prevalente.
63
Trib. Milano 28 marzo 2000, in Giur. it., 2000, 2109.
20
Oltre a ciò, va osservato che il legislatore, come espresso nella relazione governativa con
riferimento alla norma sul conflitto tra più acquirenti per atto volontario, ha manifestamente
precisato di non essere interessato ad una tutela particolarmente forte della circolazione volontaria
delle quote (tanto da esprimere l’intento manifesto di evitare l’introduzione di una disciplina che
almeno non fosse migliore, sotto il profilo delle regole di circolazione, di quella dei titoli azionari),
proprio perché la quota costituisce “posizione giuridica non tipicamente destinata alla circolazione”.
Orbene, ove si tenga conto di tale combinarsi di intenzioni, appare ragionevole ritenere che la
scelta del legislatore sia quella di dare prevalenza alla certezza del pignoramento (dando quindi
prevalenza alla quota come valore patrimoniale, più che come cosa “tipicamente destinata alla
circolazione”) e che dunque il regime del conflitto in esame sia da intendersi quello di cui all’art.
2914 n. 1 c.c. 64 e non quello della data certa, scolorando il dato terminologico (trascrizione in luogo
di iscrizione) a quello di mera indicazione del regime pubblicitario che, secondo la disciplina
propria di ciascun bene, la legge ritenga applicabile.
10. Opponibilità al pignoramento delle pronunce giudiziali
Parimenti delicata si presenta la questione in merito al rapporto tra pignoramento e domande
giudiziali riguardanti le quote.
L’art. 2915 secondo comma c.c., nel disciplinare i rapporti tra domande giudiziali e
pignoramento, stabilisce che le azioni per le quali la legge, con riferimento all’efficacia verso i terzi,
“richiede la trascrizione” non abbiano effetto se trascritte dopo il pignoramento.
In proposito, una norma che richieda espressamente, al fine di rendere efficaci verso i terzi le
domande relative a quote di s.r.l., oggettivamente non esiste.
Una prima pronuncia 65 (assunta nella contigua materia relativa agli effetti della trascrizione
della domanda giudiziale nei riguardi di chi abbia acquisito diritti da colui nei cui confronti tale
domanda giudiziale sia stata dispiegata) ha concluso per l’estensione alle quote di s.r.l. anche del
regime di trascrizione delle domande giudiziali previsto in materia immobiliare.
Il principio di tassatività delle iscrizioni sul registro delle imprese, sostiene il Tribunale di
Milano, andrebbe colmato con la regola di completezza che parimenti informa la disciplina della
pubblicità dei fatti di impresa. La pubblicità andrebbe poi estesa, per fini di completamento della
previsione che richiede la pubblicità dell’atto di trasferimento, ad ogni “forma che preluda ad una
vicenda giuridica destinata ad incidere sul titolo del trasferimento” e ciò alla luce dell’asserito
intento normativo di creare un sistema in tutto e per tutto analogo a quello della trascrizione
immobiliare. Tale interpretazione richiama poi, a proprio fondamento, il regime di trascrizione
previsto per brevetti e marchi e sottolinea come le norme degli artt. 2696 e 2695 secondo comma
c.c. possano essere intese come tali da rinviare globalmente al sistema della trascrizione
immobiliare, quale disciplina di completamento per il regime della pubblicità relativa ai mobili
registrati, ove previsto.
L’assunto, se trasferito nell’ambito del conflitto tra pignoramento della quota e domande
giudiziali potenzialmente di effetto retroattivo che gravino sulla medesima quota, consentirebbe di
completare la tutela su un versante rispetto al quale le procedure espropriative potrebbero in taluni
casi risultare spiazzate dagli effetti di azioni munite di efficacia retroattiva.
Infatti, ogni qual volta vi sia un’azione giudiziale dotata di effetti retroattivi, la mancanza di
una disciplina sulla trascrizione (o iscrizione) che renda il pignoramento insensibile a tali effetti,
potrebbe determinare il rischio che il titolo del debitore venga caducato, con susseguente rischio di
caducazione anche del pignoramento, in quanto eseguito su beni che si accertino non essere più del
debitore stesso.
64
in questo senso, Chiarloni, Il pignoramento di quote di società a responsabilità limitata si esegue ora tramite
iscrizione nel registro delle imprese, cit., 162
65
Trib. Milano 8 marzo 2001, in Giur. comm., 2001, II, 635.
21
E’ ben vero che il pignorante, essendo terzo, rispetto al processo tra le parti in cui si accertasse
l’inefficacia del trasferimento al debitore del bene, potrebbe ancora spendere ogni propria difesa,
anche sotto il profilo dell’eventuale dolo ai suoi danni: ma è evidente la ben più grave difficoltà,
rispetto al regime di salvaguardia assicurato dalle regole sulla trascrizione secondo le regole
immobiliari.
Resta dubbio che le formulazioni normative richiamate dalla pronuncia in esame siano tali da
consentire di raggiungere in via interpretativa i risultati sperati.
Nessuna norma, come detto, prevede l’iscrizione delle domande giudiziali sul registro delle
imprese e tanto meno vi è una disciplina degli effetti di tale iscrizione rispetto ai terzi. L’art. 2696
c.c. rinvia, per la trascrizione relativa a beni mobili registrati diversi da navi, aeromobili e
autoveicoli, alle “disposizioni delle leggi che li riguardano”: ma le norme sul registro delle imprese
mai fanno menzione di tali iscrizioni e la ricerca interpretativa, se non si voglia violare il limite
della tassatività, non può procedere attraverso il percorso analogico (e dunque il richiamo a brevetti
e marchi non può essere utile). L’art. 2695 secondo comma c.c. rinvia poi alla trascrizione
immobiliare come normativa di integrazione della disciplina su navi, aeromobili e autoveicoli,
peraltro limitatamente alle forme ed alle modalità (art. 2695 primo comma c.c. e non agli effetti
della trascrizione stessa), e non come regola generale suppletiva volta ad estendere il regime della
trascrizione immobiliare ad ogni bene mobile registrato, risultando preliminare la necessità,
implicita nell’art. 2696, che, per gli effetti della trascrizione, vi sia una disciplina normativa nella
legge che riguarda ciascun bene mobile registrato diverso da quelli espressamente regolati dagli artt.
2683 ss. c.c.
Altra strada percorribile potrebbe essere quella del richiamo alla domanda giudiziale come
atto che vada iscritto in quanto potenzialmente tale da incidere su di un trasferimento iscritto nel
registro delle imprese e sulla futura titolarità giuridica delle partecipazioni societarie considerate.
Già si è detto, trattando del pignoramento di quote della s.n.c. o della s.a.s. trasferibili a terzi,
che l’ipotesi della iscrivibilità del sequestro o del pignoramento, per quanto espressamente non
previste, sono positivamente sostenibili, in quanto tali atti sono già in grado di determinare, in
conseguenza della sottoposizione a custodia della quota, un’alterazione nell’esercizio delle
prerogative sociali.
Nel caso in esame il passaggio sarebbe ulteriore, in quanto la domanda giudiziale è sempre e
solo in via potenziale che determina effetti sull’assetto societario: infatti anche se alla domanda
stessa associasse il sequestro giudiziario della quota, sarebbe appunto alla misura cautelare che si
assocerebbe (con l’assunzione della custodia) l’interferenza rispetto all’operatività sociale, mentre
l’esistenza in sé della domanda e del processo di merito non incide sull’organizzazione societaria.
La conclusione in merito alla iscrivibilità della domanda giudiziale resta dunque
effettivamente dubbia.
Se si assumesse comunque la soluzione positiva, dovrebbe però ancora stabilirsi come siano
regolati gli effetti dell’iscrizione rispetto al pignoramento, in quanto sarebbero disponibili, anche in
questo caso, i due diversi regimi di cui all’art. 2193 c.c. e 2915 c.c.
In questa sede non resta peraltro che richiamare le considerazioni, assolutamente analoghe, già
svolte al paragrafo che precede con riferimento al rapporto tra il pignoramento ed il trasferimento
volontario della quota, in esito alle quali si concluse per il prevalere della normativa tipica del
pignoramento di cui agli art. 2912 ss. c.c.
Se viceversa si dovesse concludere per la non iscrivibilità delle domande giudiziali, le
domande dotate di efficacia retroattiva potrebbero pregiudicare il pignoramento.
A meno di non voler rimettere, i rapporti tra il creditore pignorante e le parti del contratto
riguardante la quota i cui effetti possano essere retroattivamente rimossi, alla disciplina sostanziale
degli effetti di ciascuna figura di pronuncia giudiziale (risoluzione; nullità; annullamento del
contratto; rivendicazione etc.) sulla validità ed efficacia verso i terzi del trasferimento contrattuale
poi caducato.
22
Peraltro la cosa è assai dubbia (in quanto le norme contrattuali sono dettate avendo come
riferimento gli atti dispositivi del diritto e non il pignoramento) e presenta serie difficoltà di
adattamento. Infatti, mentre l’art. 1458 secondo comma c.c., per la risoluzione, fa genericamente
salvi i diritti acquistati dai terzi (e dunque anche gli effetti del pignoramento potrebbero essere così
regolati), l’art. 1415 c.c., in tema di simulazione, richiama i diritti acquistati “dal” titolare apparente
(ed è difficile, per il pignoramento, parlare di diritti acquisiti “da” qualcuno) ed ancora gli artt.
1445 (annullamento) e 2901 (azione revocatoria) c.c., ricollegano la salvezza ad eventuali acquisti a
titolo oneroso e dunque ad una qualificazione basata su caratteri (la gratuità o l’onerosità)
disomogenei rispetto alla natura (di vincolo) del pignoramento.
11. Espropriazione della quota di s.r.l.: le clausole limitative della trasferibilità
Capitolo a sé, nell’ambito dell’espropriazione della quota, rivestono le questioni
sull’interferire di essa con le clausole societarie limitative della circolazione delle quote stesse.
Dal punto di vista procedurale la presenza di limiti alla libera trasferibilità delle quote
comporta la necessità di tentare un previo accordo tra creditore, debitore e società sulla vendita,
ovverosia sulla possibilità di tentare una cessione in forme stragiudiziali, sotto il vincolo del
pignoramento, della quota stessa e per valori che siano condivisi tra le parti. Si tratta di accordo che
potrà venire cercato (o formalizzato, se già raggiunto prima) in sede di udienza di autorizzazione
della vendita della quota.
Nel caso in cui sia mancato tale accordo la vendita ha luogo all’incanto, ma la società può
presentare entro dieci giorni dall’aggiudicazione (che a tale fine va dunque comunicata alla società)
un altro acquirente che offra lo stesso prezzo.
La disciplina in esame è chiaramente diretta a disciplinare le clausole limitative alla libera
trasferibilità poste nell’interesse della società (ad esempio, clausole di gradimento).
Ci si deve chiedere peraltro se tale procedura trovi applicazione anche in caso di divieto
assoluto di trasferimento previsto nell’atto costitutivo.
La dottrina, sul punto, è divisa66.
In proposito si può rilevare che la clausola di intrasferibilità assoluta determinerebbe, per
volontà delle parti, una deroga alla regola sulla responsabilità patrimoniale del debitore.
L’art. 2740 c.c. consente alla legge di prevedere limiti alla responsabilità patrimoniale del
debitore (e tali sono, come si è visto, i limiti che derivano dalla struttura delle società di persone).
E’ ben vero che la legge, non vietando l’assunzione di clausole di tal fatta sulla base
dell’autonomia negoziale dei soci, introduce essa stessa una possibile deroga alla responsabilità
patrimoniale generale e che dunque sarebbe rispettato il disposto normativo di cui all’art. 2740
secondo comma c.c.
L’art. 2469 c.c. (che consente all’atto costitutivo di disporre in senso contrario alla libera
trasferibilità) va però letto in concomitanza con l’art. 2471 terzo comma c.c. (che proprio per il caso
di non libera trasferibilità sancisce la particolare procedura sopra descritta).
Anche dal punto di vista testuale la derogabilità volontaria della disciplina sulla responsabilità
patrimoniale non è pertanto priva di limiti, costituiti dal fatto che, a fronte dell’espropriazione
forzata, ogni vincolo volontario si traduce in regole di favore per la società rispetto ai modi di
vendita (cessione senza incanto e per valori concordati) e nella possibilità, anche dopo la vendita
con incanto, di recuperare la quota a persona da essa indicata (presentazione di altro acquirente al
medesimo prezzo).
Pertanto, afferendo la garanzia patrimoniale generica alla stessa possibilità concreta di
soddisfare i diritti di crediti e dunque, in ultima analisi, al diritto di difesa costituzionalmente
garantito, si deve accedere all’interpretazione secondo cui anche i limiti di assoluta intrasferibilità,
66
in senso contrario alla possibilità di procedere a pignoramento, Galgano, Il nuovo diritto societario, cit., 483 e
Ferrara Corsi, L’imprenditore e le società, cit., 620; in senso favorevole, Cottino, Diritto commerciale. Le società, 1999,
600.
23
pattiziamente imposti con l’atto costitutivo, non siano in grado di impedire l’espropriazione forzata
e la conseguente vendita, in quella sede, delle quote 67.
Altra questione è invece quella che riguarda i limiti al trasferimento delle quote che fossero
imposti dall’atto costitutivo nell’interesse dei soci, ovverosia i vincoli correlati ai patti di
prelazione.
La Suprema Corte 68 ha chiaramente distinto tale tipologia di vincoli, dai limiti alla
trasferibilità previsti nel solo interesse della società, per concludere che la particolare procedura di
cui all’art. 2471 c.c. (all’epoca, art. 2480 c.c.) non trova applicazione con riferimento ai patti di
prelazione.
In proposito si può quindi ritenere che, in presenza di un patto di prelazione, sia il Giudice
dell’esecuzione a poter garantire il rispetto di tali vincoli, semplicemente disponendo, nel
provvedimento relativo alla vendita, che l’aggiudicazione resti sospesa nel lasso necessario a
verificare se vi sia istanza di acquisto, secondo i tempi e con le modalità previste dal contratto (ma
con gli adattamenti del caso all’andamento della procedura esecutiva), al medesimo prezzo
raggiunto in sede di vendita giudiziale. Ovviamente, per le comunicazione del caso ai titolari della
prelazione, non potranno che fare fede le risultanza del registro delle imprese.
12. Il sequestro giudiziario della quota di s.r.l.
Secondo quanto ormai precisato espressamente dalla Suprema Corte 69 è ammesso il sequestro
giudiziario di quote di s.r.l.70
Le questioni che si pongono, sotto il profilo delle forme di esecuzione, sono sostanzialmente
identiche a quelle sopra esaminate al paragrafo 7 con riferimento alla quota di società di persone 71.
Si rinvia dunque a quanto detto in quella sede.
L’esercizio della custodia invece assimila l’ipotesi del sequestro giudiziario a quella del
sequestro conservativo e dunque per essa si rinvia alle considerazioni svolte al paragrafo 7 che
precede.
67
dunque l’art. 2471 c.c. va inteso come norma legale di superamento del vincolo imposto con il contratto
originario. In tal senso essa costituirebbe, al contempo, direttamente attuazione dell’art. 2740 primo comma c.c. ed
escluderebbe che si possa ravvisare, nel caso in esame, un’ipotesi di sottrazione, per disposto di legge (rectius per
volontà delle parti in attuazione di una facoltà non vietata dalla legge), dei beni (quota) alla garanzia patrimoniale dei
creditori. Una volta così interpretate le norme, sarebbe superfluo il richiamo all’art. 2915 primo comma c.c.
(opponibilità al creditore pignorante dei vincoli trascritti prima del pignoramento), sulla cui base la dottrina (Galgano, Il
nuovo diritto societario, cit., 483, nota 6) fonda l’assunto sulla non espropriabilità, in tali casi, della quota (in quanto il
contratto societario che prevede tale limite sarebbe iscritto comunque prima del pignoramento). Infatti, se l’art. 2471
c.c. è previsto proprio per superare ogni vincolo di indisponibilità, è evidente che esso, anche se esistente, non potrebbe
operare.
68
Cass. 3 aprile 1991 n. 3482
69
peraltro la pronuncia della Suprema Corte in esame ipotizza la possibilità che il patto di prelazione, in alcuni
casi, possa essere posto non solo nell’interesse dei soci, ma anche della società, come forma particolare di clausola di
gradimento. La Cassazione ammette in sostanza che in tali ipotesi, da verificare sulla base dell’interpretazione
contrattuale, possa avere corso la procedura disegnata dal codice civile.
70
sul tema, cfr. Muscolo, Società di capitali e sequestro giudiziario di partecipazioni sociali e di azienda, in Le
società, 2000, 25 ss.
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