CENNI DI OCEANOGRAFIA GENERALE Le differenze di temperatura dovute alla diversa esposizione ai raggi solari, i movimenti del pianeta nello spazio, e quello delle masse d’aria sulla sua superficie, producono i principali movimenti di masse d'acqua superficiali degli oceani. Tali movimenti possono essere raggruppati in 5 grandi circolazioni intertropicali (2, ruotanti in senso orario nell’emisfero boreale, e 3, in senso antiorario, nell’emisfero australe) che si rendono responsabili del trasferimento di calore tra la fascia intertropicale e le latitudini più elevate. Tale circolazione di acqua è in qualche modo condizionata dalla presenza dei continenti e per questo non appare perfettamente sovrapponibile alla circolazione atmosferica. Non va trascurato, però, che le masse d’acqua oceaniche sono soggette alle stesse “forzanti” (rotazione della Terra, differenze di temperatura) che dirigono i movimenti dell’atmosfera, alle loro stesse caratteristiche fisiche (ad es., la densità, che dipende da temperatura e salinità), e che la comprensione dei movimenti orizzontali non può prescindere dalla consapevolezza dell’esistenza di movimenti verticali che avvengono nello spessore stesso degli oceani. Su piccola scala, la nostra, le forze di attrito sono così grandi da mascherare gli effetti della rotazione della Terra. Su grande scala (quella alla quale operano i maggiori processi dinamici degli oceani) la rotazione terrestre diviene apprezzabile ed importante. Per evitare di fare continuamente riferimento ad un sistema rotante (che non riusciamo ad accettare immediatamente perché non ne percepiamo gli effetti alla nostra scala di azione) dobbiamo accettare di farci guidare da una serie di leggi. Dando per scontato che le masse d’acqua possano muoversi spinte dai venti, o dalla forza di gravità (= in discesa) da punti “elevati” (corrispondenti a basse pressioni atmosferiche) a punti “bassi” (corrispondenti a punti di alta pressione atmosferica), non dobbiamo dimenticare che esiste, su larga scala, la forza di Coriolis. Questa è proporzionale alla velocità di qualsiasi oggetto in movimento sulla superficie terrestre e alla sua posizione (cioè alla latitudine, in dipendenza del seno trigonometrico di questa). La forza di Coriolis è diretta perpendicolarmente alla direzione di moto; nell’emisfero settentrionale essa è diretta alla destra della direzione di moto. Pertanto, quando una differenza di pressione indurrà un trasferimento di masse d’acqua, “in discesa”, verso i punti meno elevati, questo movimento sarà deviato verso destra dalla forza di Coriolis. La forza di Coriolis smetterà di deviare verso destra il moto quando risulterà bilanciata dalla forza dovuta al gradiente di pressione (in pratica, non potrà “costringere” il moto, deviandolo, ad andare “in salita”). Ciò che ne risulta è un movimento che fluisce parallelo alle curve di livello e che prende il nome di flusso geostrofico. Il flusso geostrofico, pertanto, dirige le masse d’acqua in modo non del tutto scontato per chi non ricorda di dover tener conto della forza di Coriolis. Il flusso geostrofico, come detto, è il risultato dell’equilibrio che si instaura tra forza di gravità e forza di Coriolis. Nelle acque oceaniche superficiali, la forza orizzontale di gravità dipende dalla pendenza 57 della superficie stessa (dovuta a masse d’acqua di diversa altezza) ed è diretta verso le aree “più in basso”. Il flusso geostrofico tende, pertanto, a fluire lungo i contorni topografici del livello del mare, e la direzione di tale flusso è tale che le quote alte rimangono sempre sulla destra (nell’emisfero settentrionale). Su grande scala, nell’oceano aperto, ovunque vi sia un gradiente di gravità, troveremo un flusso geostrofico associato. Un flusso non bilanciato, tenderà ad essere deviato dalla forza di Coriolis, che agisce in direzione opposta a quella della forza orizzontale di gravità. Per applicazioni di grande scala spazio-temporale, ciascun campo di flusso oceanico può essere descritto come risultante dalla combinazione di due semplici componenti: il flusso geostrofico ed il trasporto di Eckman. Il trasporto di Eckman rappresenta flussi di masse d’acqua in conseguenza dell’azione esercitata, non dalla forza di gravità, ma dai venti. Questo flusso di masse d’acqua è il risultato dell’equilibrio che si instaura tra la direzione della forza di Coriolis e quella dei venti che agiscono sulla superficie degli oceani. Dal momento che la forza di Coriolis è sempre perpendicolare alla direzione del moto, essa verrà contrastata ed equilibrata dai venti solo per quelle direzioni di movimento (di acqua) che siano perpendicolari alla direzione di quelli. Il movimento che si produce non nel verso delle forze evidenti in azione ma perpendicolarmente ad esse, pur “normale” su grande scala, ci disorienta a causa della nostra condizione di testimoni diretti di fenomeni di “piccola scala”. In conclusione, il trasporto di Eckman è diretto a 90° sulla destra della direzione dei venti predominanti nell’emisfero settentrionale, e il flusso geostrofico segue i contorni topografici dei “rilievi” della superficie marina, mantenendo le quote elevate a destra, nell’emisfero settentrionale. Negli oceani, a causa di questi movimenti di masse d'acqua, esisteranno punti in cui due correnti si incontrano (convergenze) o, viceversa, punti da cui le correnti si allontanano (divergenze). Nel primo caso, l'accumulo di masse d'acqua in un'unica area produce una elevazione altimentrica della superficie e il conseguente affondamento di tali masse d'acqua; nel secondo caso si avranno risalite di acqua (upwelling) dagli strati più profondi. Quando le correnti di divergenza operano su tratti di mare molto profondi, le risalite riportano in superficie nutrienti disciolti da grandi profondità che rendono particolarmente fertili le aree superficiali dove vivono gli organismi in grado di utilizzare tali sostanze. Queste situazioni sono, in genere, più comuni sui bordi orientali degli oceani a livello tropicale (corrente della California, corrente delle Canarie, nell’emisfero boreale; corrente del Perù, corrente del Benguela, nell’emisfero australe). In queste aree costiere, venti persistenti diretti verso l’equatore, producono allontanamento, su larga scala, di acque superficiali dalle coste verso il largo (verso destra nell’emisfero boreale, e verso sinistra in quello australe). L’allontanamento delle acque superficiali viene bilanciato dal richiamo di acque sottostanti che, quando provengono da grandi profondità, portano con sé un grande carico di nutrienti inutilizzati (perché alle grandi profondità manca la luce e di conseguenza i produttori), oltre che la loro temperatura caratteristicamente bassa, finendo per influenzare pesantemente il clima e l’economia dei paesi costieri interessati. Nella corrente della California, la massima risalita di acque profonde si ha d’estate e le 58 conseguenze sul clima sono notorie (…l’inverno più freddo che mi ricordi fu un’estate a San Francisco… M. Twain). Dal punto di vista della risalita di nutrienti, le regioni di upwelling sono tra le più produttive del mondo. Esse (circa lo 0,1 % della superficie oceanica totale) producono il 50% della biomassa oggetto di pesca in tutto il mondo, e accolgono e sostengono le più grandi popolazioni di uccelli e mammiferi marini (che si nutrono di pesce). Nelle regioni e nelle stagioni di upwelling (circa attorno ai tropici), i venti spirano costantemente verso l’equatore. Di conseguenza, il trasporto di Eckman (diretto a 90° dal verso del vento) sposta masse d’acqua verso il largo che vengono rimpiazzate dalla risalita di acque profonde (soprattutto lungo i margini continentali privi di piattaforma sommersa). Altre aree di upwelling sono riconoscibili lungo le coste dei continenti, meno intense e famose di quelle descritte, ma ugualmente riconducibili agli stessi principi. La morfologia del margine continentale è anche responsabile della formazione di momentanee risalite. Ad esempio, lungo il margine occidentale della Corrente del Golfo, nel Nord Atlantico (ed in generale in tutte le correnti dirette verso i poli lungo i bordi occidentali degli oceani), il bordo del Nord America produce un effetto “attrito” sulla parte della corrente che lo lambisce, rallentandola e determinando, localmente, variazioni della forza di Coriolis tali che le acque più al largo, in pratica, risultano più in basso di quelle verso la costa che, di conseguenza, prendono a “scendere” allontanandosi dalla costa verso il largo. Il verso della forza di Coriolis, e la corrispondente direzione del trasporto di Eckman che dipende dalla direzione dei venti, si ribaltano una volta oltrepassato l’equatore. Questo brusco passaggio rende l’equatore assimilabile ad una linea di costa e influisce sulla circolazione delle masse d’acqua allo stesso modo. Così dal lato boreale dell’equatore il trasporto di Eckman sarà diretto prevalentemente a Nord, mentre dal lato australe lo stesso trasporto sarà diretto a Sud. Ciò produce un abbassamento della superficie del mare lungo l’equatore che viene rimpiazzato dalla risalita di acque profonde. Queste aree di upwelling equatoriale sono responsabili dei livelli di produzione, qui riscontrati, molto più elevati delle aree limitrofe più a Nord o più a Sud. Un altro effetto che provoca risalita di acque profonde, fredde e ricche, è indipendente dall’effetto “bordo” e si realizza in oceano aperto. Nelle aree cicloniche, i venti spirano ruotando attorno a centri di bassa pressione atmosferica in senso antiorario, nell’emisfero boreale. Il trasporto di Eckman, diretto a 90° rispetto alla direzione dei venti, sposta acqua all’esterno di questi vortici, al centro dei quali, pertanto, si realizzano le condizioni per la risalita di acque profonde in sostituzione di quelle spostate. Al contrario, nelle celle anticicloniche si produrrà un richiamo di acqua che tenderà ad affondare. Circolazioni cicloniche, su scala più piccola, si formano anche lungo i margini orientali dei continenti interessati da correnti dirette verso i poli (ad es., corrente del Golfo, e Kuroshio). L’attrito determinato dalla presenza dei margini continentali produce piccoli vortici ciclonici (diretti in senso antiorario nell’emisfero boreale) lungo i margini occidentali delle correnti, e la formazione di piccole aree di risalita. 59 Per tenere sempre conto anche degli effetti sul clima della Terra di questi movimenti, non va dimenticato che le aree di divergenza, sul bordo orientale dei continenti e da questi provocate, convogliano acqua calda tropicale verso N e rispettivamente verso S, rendendosi, con questo, responsabili della distribuzione di calore verso latitudini distanti dall’equatore. All’incirca verso i 35° di lat. (Nord e Sud) queste correnti calde si riallontanano dalle coste continentali per riattraversare l’oceano e chiudere le grandi circolazioni oceaniche ritornando verso l’equatore a livello dei bordi occidentali dei continenti dirimpettai. Durante il riattraversamento dell’oceano, però, l’acqua in esse contenute si raffredda, per cui le aree di convergenza delle acque oceaniche verso l’equatore, al largo dei bordi occidentali dei continenti, tendono a restringere le aree “climaticamente tropicali” attorno all’equatore. Dal momento che la temperatura dell’acqua oceanica condiziona la temperatura dell’aria che le sta sopra, la situazione oceanografica si trasferisce facilmente a quella atmosferica e influenza, in questo modo, l’esistenza e/o le dimensioni delle aree di bassa/alta pressione, che dalla temperatura sono principalmente governate. Alle basse latitudini (cioè attorno all’equatore di circa 30°) i margini occidentali degli oceani (quelli prossimi ai bordi orientali dei continenti) saranno, pertanto, sovrastati da ampie aree di bassa pressione (aria calda che ascende) e, viceversa, i margini orientali degli oceani saranno interessati dall’avvicinamento di aree di alta pressione verso l’equatore, sia da N che da S. Questo finisce per accentuare la forza dei venti (alisei) che qui spirano verso l’equatore deviati verso W dalla forza di Coriolis. Alle latitudini intermedie (tra i 30 e i 60° circa), si ha un’ampia area temperata di transizione fra l’ ecoregione oceanica tropicale e quella polare. In queste latitudini i venti spirano soprattutto verso W, ma l’area è fondamentalmente di transizione e il regime e la direzione dei venti principali risulta molto variabile da un punto all’altro. La presenza dei continenti, soprattutto nell’emisfero boreale, impone modificazioni e correzioni di rotta alle principali correnti, provincializzando ulteriormente le grandi circolazioni. Le grandi circolazioni oceaniche tropicali tendono ad alternarsi a grandi circolazioni temperate nell’emisfero boreale (dirette in senso inverso alle prime). Nell’emisfero australe l’assenza di masse continentali consente la realizzazione di una grande circolazione oceanica circumplanetaria attorno all’Antartide. La circolazione oceanica, come quella atmosferica, è complicata dalla tridimensionalità del sistema: le masse d'acqua che giungono ai poli si raffreddano e, anche perdendo acqua dolce sotto forma di ghiaccio, divengono dense al punto di cominciare ad affondare (il massimo valore di densità dell’acqua pura è a 4°C). Questo affondamento richiama acqua in superficie da latitudini inferiori e mette in moto una circolazione termoalina che vede scorrere l’acqua fredda e salata, affondata in prossimità dei poli, verso l'equatore lungo i fondali profondi degli oceani. Le acque fredde che scorrono in profondità, possono risalire in superficie a livello delle aree di divergenza, dove masse d’acqua si allontanano dal bordo occidentale dei continenti (aree di upwelling) L’insolazione, la latitudine, la presenza dei continenti, pur essendo responsabili del diverso riscaldamento delle aree, non sono direttamente 60 responsabili del loro grado di piovosità. La piovosità di un’area, infatti, è fortemente condizionata dal grado di saturazione di umidità dell’aria che dipende dalla azione che la temperatura esercita sulle masse d’acqua oceanica (una data temperatura riuscirà a far evaporare più acqua da un oceano già caldo, che non da uno freddo). Per questo motivo, lungo le coste occidentali dei continenti, ad entrambi i tropici, si trovano deserti: le temperature tropicali di queste aree non sono sufficienti a far evaporare acqua dalle masse d’acqua fredda (4 – 8 °C) che risalgono da grandi profondità (aree di upwelling), e la direzione dei venti predominanti, in queste aree, muove le masse d’aria dalle aree continentali al largo. Le condizioni climatiche influenzano pesantemente la distribuzione e la circolazione delle masse d'acqua (o viceversa). Nel Pacifico equatoriale periodicamente (ogni 3-4 anni) si verifica un’amplificazione del fenomeno denominato EL NIÑO che porta, normalmente nel periodo di Natale, acqua insolitamente calda verso le coste occidentali dell'America meridionale sospendendo temporaneamente l'upwelling presente nella zona. Gli alisei spingono aria, e masse d'acqua, normalmente verso NW a partire da un'area del Pacifico Sud-tropicale a E (a livello dell'isola di Pasqua), e verso SW a partire da un'altra area di alta pressione presente al largo delle coste della California-Messico (Pacifico Nord-tropicale ad E). Questi venti si incontrano a livello delle coste equadoriane ed insieme dirigono verso W le acque oceaniche superficiali in direzione di una bassa pressione che si trova localizzata a livello dell'Indonesia o dell’Australia (a seconda della stagione). Qui l'aria che ha attraversato tutto il Pacifico caricandosi di umidità, si espande e, raggiunte quote elevate, condensa restituendo l'acqua sotto forma di pioggia. Quindi fa ritorno verso oriente a chiudere questa circolazione (questa circolazione chiusa si estende nel senso della longitudine e non in quello della latitudine come abbiamo visto accadere nella schematizzazione della circolazione atmosferica tropicale). Periodicamente (ogni 3-4 anni) accade che la bassa pressione indonesiana si colma, e quella alta del pacifico S-orientale si svuota di quel tanto da consentire una permanenza delle masse d'acqua calda lungo le coste dell’America Meridionale, anche dopo il loro normale arrivo “natalizio”. Quest'acqua (calda) arriva così ad occupare tutta la fascia equatoriale dall'Indonesia all’ Ecuador determinando una temporanea sospensione del fenomeno di risalita di acque profonde (fredde) lungo le coste S-americane. Contemporaneamente, in Indonesia, con l’annullamento della bassa pressione si ha un inaridimento del clima con mancanza di piogge per mesi, mentre in Sud America le temperature dell’aria riescono a far evaporare acqua dall’oceano (ora più caldo) determinando forti precipitazioni in aree normalmente asciutte. El Niño è un fenomeno meteoclimatico di tale complessità e tanto grande da non essere stato ancora del tutto compreso. Oltre ad essere responsabile della formazione dei cicloni nell'area indonesiana, sembra che possano essergli attribuiti anche fenomeni riflessi in aree più lontane, come gli inverni particolarmente freddi in America Settentrionale ed in Europa. 61 In effetti, in conseguenza della bassa pressione e dell’attrazione delle masse d’aria, normalmente a livello dell’Indonesia, si ha un innalzamento del livello del mare in questo punto e la formazione di una onda, “in discesa”, che si propaga a 2-3 m/sec lungo l’equatore verso E (onda di Kelvin ) e verso W (una coppia di onde di Rossby, a velocità dimezzata rispetto alla prima). Queste “onde” si definiscono geofisiche ed esistono in conseguenza dell’assenza di attrito su qualsiasi movimento oscillatorio negli strati superficiali dell’oceano. Entrambi i tipi di onda, una volta incontrati i bordi continentali, piegano verso N e S e, in parte, vengono anche riflesse e tornano indietro. Pare che la durata dell’anomalia climatica (el Niño) dipenda dalle interazioni che derivano da queste onde che si propagano avanti, indietro e lungo i bordi del Pacifico. Semplifichiamo l’oceano ad una massa d’acqua a due strati, con uno strato superiore, attivo, al di sopra di uno strato sottostante, inerte, di maggiore densità. Il flusso nello strato superiore è di tipo geostrofico, parallelo alle linee di livello della superficie del mare. La superficie intermedia ai due strati verrà distorta in conseguenza delle variazioni di livello della superficie esterna. Il dinamismo delle formazioni di convergenze e divergenze, in superficie, si trasmetterà, amplificato, all’interfaccia tra i due strati, producendo movimenti oscillatori che si propagheranno senza attrito apprezzabile. Il gradiente esistente nella forza di Coriolis a seconda della latitudine è responsabile della formazione delle onde di Rossby. Quando si verifica una depressione a livello della superficie del mare, il flusso geostrofico che viene indotto attorno a questo minimo sarà diretto in senso antiorario. Lungo il tratto IN direzione “polare” di questa circolazione il flusso andrà incontro ad una decelerazione, che produce un accumulo dell’acqua con un aumento di livello. Questo “alto” topografico scivolerà verso il “basso” presente al centro del minimo. Dall’altro lato della circolazione (quello diretto verso l’equatore) il flusso, accelerando, produrrà sottrazione di acqua e manterrà basso il suo livello. Complessivamente, pertanto, si formerà un moto di riempimento progressivo, diretto a W, che si propagherà come un’onda fino ad incontrare un margine continentale. Nel caso di valori massimi di livello del mare, la circolazione sarà invertita, ma il risultato sarà analogo con lo spostamento dei massimi (e dell’onda di svuotamento ad essi associata) verso W. A causa delle diverse velocità ottenibili a diverse distanze dall’equatore, un’onda di Rossby a 30° lat attraverserà tutto il Pacifico in 10 anni; a 15° lat impiegherà circa 2 anni, e solo 7 mesi in prossimità dell’equatore. Alla fine, qualsiasi onda di Rossby incontrerà un margine continentale. La circolazione ciclonica (antioraria) attorno ad un minimo impatterà la costa dal lato polare e se ne distanzierà dal lato equatoriale. Ciò produce un accumulo (innalzamento di livello) dal lato polare ed un conseguente scivolamento delle acque verso l’equatore. Anche i massimi e le circolazioni anticicloniche (orarie) si propagheranno verso l’equatore per accumulo, in questa direzione, dell’acqua sottratta dal verso polare. Questo tipo di onda, catturata dalla costa continentale, è un’onda di Kelvin e viaggia sempre mantenendo la costa sulla sua destra, nell’emisfero boreale. Quando due onde di Kelvin costiere raggiungono, da Nord e da Sud, l’equatore, si produce un’onda equatoriale che si dirige verso E. Nel caso di un minimo di livello sull’equatore, avremo la sua 62 metà boreale circondata da una circolazione antioraria, e la sua metà australe circondata da una circolazione oraria. Entrambe le circolazioni tenderanno a sottrarre acqua ad E, quindi a spostare il minimo in quella direzione. Allo stesso modo, per un massimo di livello, avremo che le due emicircolazioni sposteranno masse d’acqua ad E determinando uno spostamento del livello massimo in quella direzione. Quindi, un’onda costiera di Kelvin che giunga all’equatore viaggiando lungo il bordo occidentale di un oceano, si propagherà verso E come onda equatoriale di Kelvin fino a imbattersi in un bordo continentale dove si dividerà in due onde costiere, ciascuna diretta verso il proprio polo. La comprensione del fenomeno ENSO (El Niño Southern Oscillation) passa, dunque, dalla conoscenza dei moti dell’atmosfera e, contemporaneamente, da quella dei moti delle masse d’acqua. Wyrtki (1975) propose che una pausa nella circolazione degli alisei consente la distruzione del monte d’acqua da questi sorretto nel lato occidentale del Pacifico. Il conseguente scivolamento di acqua all’indietro, verso S, si traduce in un’onda di Kelvin verso E che abbassa il termoclino al suo passaggio ed annulla, lungo il suo percorso, l’upwelling equatoriale. Questo spinge le condizioni di mare caldo verso E, smantellando la circolazione (celle di Walker) atmosferica e portando tutto il sistema in una fase “calda”. Quando l’onda equatoriale di Kelvin raggiunge il Sud America viene “catturata” dalla costa e si propaga verso i poli in entrambe le direzioni abbassando il termoclino lungo il suo cammino ed influenzando (= riscaldando) anche il clima delle regioni lontane dall’equatore. Lo spostamento verso E delle masse calde e delle ascensioni atmosferiche (= basse pressioni atmosferiche) produce una insolita organizzazione dei venti equatoriali che prendono a spirare verso E. Questo produce un anomalo trasporto di Eckman verso l’equatore con corrispondenti anomale risalite di acqua a latitudini relativamente elevate. In queste aree (di raffreddamento) si originano onde di Rossby dirette verso W che, incontrando il margine continentale, si suddividono in onde costiere di Kelvin che tornano verso E dopo essersi sommate all’equatore. Questa ultima onda è composta di acque relativamente fredde (formatesi dalle risalite anomale che hanno originato le onde di Rossby) che vanno ad annullare l’effetto del Niño sulle coste dell’America Meridionale. Per l'Atlantico non sono noti fenomeni ricorrenti del tipo di el Niño, almeno con la stessa frequenza. In verità anomalie piovose in Namibia sono state registrate ad intervalli di tempo più lunghi (l’ultima nel 1984 subito dopo l’ENSO Pacifico particolarmente intenso del 1982-83). Sono invece note variazioni meteo-oceanografiche con conseguenze notevoli sulla struttura ecologica e, di conseguenza, sulle attività umane (pesca) che su di esse si basano. Sia il ciclo di Russell (1973) che l' anomalia salina registrata nel Nord Atlantico nel 1961-81, potrebbero essere due aspetti di un fenomeno più generale che ha visto, nell'ultimo secolo, variare l'organizzazione ecologica dell'oceano Atlantico tra la Groenlandia meridionale e l'Europa. Inoltre, la desertificazione in atto della fascia subsahariana del Sahel è stata attribuita ad una complessa modificazione della circolazione oceanica tropicale tra Africa e S-America. 63 Infine, alcune testimonianze raccolte solo di recente hanno evidenziato come le oscillazioni latitudinali dei confini tra le grandi circolazioni dell’oceano Atlantico possono aver influito sull’innesco o la risoluzione di grandi variazioni climatiche come quelle accadute durante i periodi glaciali. L'influenza della grande circolazione oceanica sul clima della Terra è evidente soprattutto nell'Europa settentrionale dove la cessione di calore da parte delle masse d'acqua oceaniche si rende responsabile della mitigazione del clima di un'area altrimenti in zona "fredda" (dal punto di vista latitudinale). Secondo alcuni le masse d'acqua responsabili di questo fenomeno sono quelle superficiali che giungono dal Golfo del Messico (corrente del Golfo). Altri invece ritengono di attribuire il fenomeno allo strato intermedio (a circa -800 m) di acque relativamente calde (intorno ai 10° C) che a livello del NordAtlantico passano in superficie, al di sopra di quelle che, fredde e dense, sprofondano. Una volta in superficie anche queste acque intermedie si raffreddano (= cedono calore) fino a circa 1° C. Proprio nel Nord-Atlantico si forma la maggior parte delle acque fredde e profonde di tutto il pianeta. L'acqua che qui si raffredda diviene più densa; e appesantendosi sprofonda e scorre verso l'equatore alle profondità dei fondali oceanici (circa 4000 m) proseguendo poi verso S per risalire a livello della circolazione periantartica superficiale in sostituzione dell’acqua fredda che (anche a livello dell’Antartide, nei pressi del mare di Weddell) si forma, e di qui di nuovo riaffondare dirigendosi verso gli altri bacini oceanici. Questa dipendenza della circolazione profonda oceanica dalle acque che si formano in N-Atlantico è probabilmente corresponsabile dell'amplificazione su scala planetaria di qualsiasi mutamento climatico che dovesse interessare l'emisfero settentrionale. Le fasi glaciali della storia della Terra quasi sicuramente hanno compreso una variazione iniziale della grande circolazione oceanica che ha avuto le sue ripercussioni sul clima globale. Dato che, con ogni probabilità, attualmente è il clima delle regioni boreali ad innescare o meno un periodo glaciale, gli effetti di un raffreddamento nell'emisfero boreale possono essere trasferiti abbastanza velocemente anche all'emisfero australe mediante l'interruzione, o la variazione, delle grandi circolazioni profonde che originano nel NordAtlantico. D’altronde l'interdipendenza clima-circolazione oceanica è ben valutabile con il fenomeno el Niño, o con l'effetto mitigante che le acque oceaniche Atlantiche esercitano sull'Europa settentrionale. Un grande periodo glaciale verificatosi intorno a 300 milioni di anni fa (Carbonifero) ha visto l’inizio dell’accumulo di ghiaccio all’emisfero Sud che allora accoglieva la maggior parte delle terre emerse. Il ruolo della circolazione oceanica, comunque, è sempre stato associato a quello dei continenti dal momento che la disposizione mutevole delle terre emerse ha diretto il flusso di acque calde tropicali più o meno abbondantemente verso latitudini elevate trasferendo calore alle regioni più vicine ai poli. Più in dettaglio, pare che l’oceano sia l’indiziato principale delle repentine variazioni climatiche di periodo breve (circa 1.000 anni) verificatesi durante 64 fasi climatiche più ampie (100.000 anni). Mentre per queste rimane verosimile l’ipotesi di Milankovic, per le prime pare proprio che il flusso termoalino oceanico possa essere ritenuto responsabile. Analisi condotte su carote di ghiaccio o di sedimenti oceanici profondi hanno dimostrato che la temperatura nel Nord Atlantico è variata anche di 7-8 °C in periodi non “influenzati” dalla presenza umana (ad es. nel Dryas di 12.500 anni fa). Il ritiro della calotta glaciale Nord Americana e Nord Atlantica che era in corso alla fine dell’ultima glaciazione (Würm) diede origine ad una grande quantità di acqua dolce, meno densa di quella marina, che finì, in breve tempo, per bloccare lo stesso flusso termoalino (l’acqua del Nord Atlantico non riuscì più ad “affondare”), inducendo una re-glaciazione. In parallelo, è stato accertato che sia variata anche la concentrazione di CO2 atmosferica, con una diminuzione in favore del raffreddamento repentino. Per quanto questo fenomeno sia a carico di un “gas” atmosferico, non possiamo escludere anche in questo caso una responsabilità dell’oceano dal momento che proprio l’idrosfera può sottrarre o aggiungere CO2 all’atmosfera in modo cospicuo. La diminuzione di questo gas-serra, poi, determina l’abbassamento della quantità di vapore acqueo in atmosfera che a sua volta si traduce con un ulteriore abbassamento della temperatura. Ma il blocco del flusso termoalino dell’oceano prevede anche il blocco delle risalite di acque profonde, e con queste dei nutrienti ed il conseguente abbattimento della produttività fitoplanctonica delle acque superficiali. Questo fatto significa un abbassamento drastico dell’uso di CO2 per la fotosintesi che, di conseguenza, riprende ad aumentare, a riscaldare il sistema, ad indurre maggiore evaporazione e conseguente aumento di temperatura e, con lo scioglimento dei ghiacci, il ri-avvio del flusso termoalino e il trasporto del calore sempre più a Nord. Nella complicazione di questo modello c’è un ruolo anche delle acque medio-profonde del Mediterraneo (comprese fra –200 e –350 m) che, sia pure più calde di quelle atlantiche, sono più salate ed in uscita costante dal Mediterraneo. Questo flusso va, dunque ad alimentare il trasporto di acqua densa, profonda, verso il polo Sud o alternativamente, quello di acqua calda verso Nord, contribuendo a sostenere o, volta per volta, stemperare gli effetti del blocco o del ri-avvio del flusso termoalino. Quale sia l’uovo e quale la gallina, in questo ciclo (cioè cosa comincia prima) è difficile stabilirlo. Va infine ricordato che i movimenti del mare non si limitano solo a quelli, appena descritti, di grande scala geografica, ma ne comprendono anche tutta una serie "locale" che forse ha meno importanza dal punto di vista della distribuzione degli organismi viventi ma può essere ugualmente importante dal punti di vista ecologico. Le maree, ad esempio, possono influenzare l'insediamento del benthos dell' infralitorale dove sono ampie (fino a circa 20 m di escursione verticale giornaliera), ma non avere alcun effetto apprezzabile laddove, come in gran parte del Mar Mediterraneo, la loro escursione è sempre contenuta. 65 66 IL BACINO DEL MEDITERRANEO; GEOMORFOLOGIA, CLIMA ED OCEANOGRAFIA Il mar Mediterraneo è attualmente il mare interno più vasto della Terra (2,967 milioni di Km2 ) e rappresenta il residuo più occidentale della Tetide, un oceano che un tempo divideva l'Eurasia dalla Gondwana. E' un mare che si estende per la maggior parte nel senso della longitudine (per circa 45°, da 10° long W a 35° long E) tra i 46° ed i 31° di latitudine N, stretto dall'Europa a N, dall'Africa a S, e dall'Asia ad E. A causa della scarsa estensione in senso latitudinale le regioni che lo costeggiano presentano una serie di caratteristiche climatiche abbastanza uniformi che lo rendono un'area biogeografica caratteristica. Il bacino del Mediterraneo vero e proprio (circa 3,8 milioni di Km3 di acqua) comunica ad W con l'oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra (13 Km di ampiezza minima con una soglia a –350 m), a SE con il Mar Rosso attraverso il canale di Suez (artificiale), e a NE con il Mar Nero attraverso il sistema Dardanelli-Bosforo (larghezza minima 1,5 Km, con soglia a -81 m). La sinuosità soprattutto delle coste europee concorre alla identificazione di una serie di mari locali tra i quali i meglio delimitati e caratterizzati sono sicuramente il mar Tirreno, il mar Adriatico, ed il mar Egeo. Lo sviluppo costiero si estende per circa 46.000 Km, ed altri 18.000 Km di costa derivano delle oltre 5.000 isole che vi sono distribuite (7.780 Km riguardano l’Italia: 4.875 Km per la penisola e 2.901 Km per le isole). La profondità media del mar Mediterraneo è stata stimata a -1635 m (media degli oceani della Terra = -3800 m) con il 13% dei fondali oltre i 3000 m di profondità (76% per gli oceani). La massima profondità misurata è di 5121 m a largo dell’isola di Sapienza in Grecia (massima profondità oceanica = -11.200 m, fossa delle Marianne, Oceano Pacifico). L'intero bacino viene classicamente suddiviso in una porzione occidentale (da Gibilterra al canale di Sicilia, profondità media, -1615 m) ed in una orientale (dal canale di Sicilia alla costa palestinese, profondità media, -1650 m) separate dalla soglia del canale di Sicilia (-400 m), e le due porzioni presentano alcune differenze non dovute alla loro disposizione longitudinale ma piuttosto al fatto che la porzione occidentale è più a Nord di quella orientale. In effetti la porzione occidentale patisce una minore evaporazione ed è più influenzata dall'ingresso di acque atlantiche. La porzione orientale si estende in una fascia climatica subtropicale ed è sostanzialmente più confinata. Un discorso a parte va fatto per il mar Adriatico che si spinge, dal canale d'Otranto, fino a circa 46° lat N. Pur rientrando nella porzione orientale del Mediterraneo se ne distingue nettamente per il relativamente grande apporto di acqua dolce fluviale, la scarsa profondità (solo 30-50 m a N di Ancona) e la minore "termofilia" che fanno della sua porzione settentrionale un ambiente a facies "Nord-Atlantica". A causa della posizione in una fascia climatica temperato-calda il Mediterraneo è soggetto ad una forte evaporazione, stimata in 2,9 Km3 di 67 acqua all'anno (pari a -1000 mm pioggia annui) solo parzialmente bilanciata dalle precipitazioni atmosferiche dirette (310 mm/anno) ed indirette (190 mm/anno) che vi giungono attraverso i fiumi. Questo produce un dislivello con l'oceano Atlantico (dove il bilancio è neutro) che, pertanto, immette un flusso continuo di acqua nel Mediterraneo a livello di Gibilterra. Questa corrente (superficiale) in entrata è facilmente misurabile lungo le coste africane fino alla Tunisia dove subisce una prima diramazione. Un ramo procede verso il Mediterraneo orientale, uno origina un circuito Sardo-Balearico ed uno il circuito Tirrenico. Ramificazioni centrifughe di questo circuito finiscono nel mar Ligure e di qui nel golfo del Leone dove, raffreddandosi, l'acqua sprofonda e origina il flusso di acqua intermedia (a circa -200 m) in uscita da Gibilterra. La corrente che, non deviata a livello della Tunisia, si dirige verso il bacino orientale si mantiene prossima alla costa africana, arriva a lambire il delta del Nilo e, dopo aver ripiegato a N lungo le coste palestino-libanesi, torna indietro insinuandosi nel mar Egeo e nel mar Adriatico dove determina delle circolazioni locali. La circolazione delle masse d’acqua, nel Mediterraneo, non è stabile nel tempo. Per un certo periodo il mar Egeo era il sito in cui si formava l’acqua profonda che proseguiva verso W per formare la corrente in uscita da Gibilterra. Da qualche anno le acque fredde e profonde si stanno formando in Adriatico, grazie anche ad un aumento di salinità. Contemporaneamente, variazioni a carico dell’acqua nel bacino di Levante, formano acqua densa (più salata) ma calda che entra, attraverso il canale di Sicilia nel Tirreno ove si stabilisce intorno ai 2000 m di profondità (t = 12.95 °C nel 1975; t = 13.35 °C nel 1999) A causa della piccola comunicazione esistente con l'oceano, anche le condizioni fisiche del Mediterraneo divengono caratteristiche. La salinità è simile a quella dell'Atlantico (36 o /oo ) solo nella porzione più occidentale (mare di Alboran), mentre man mano che ci si spinge verso oriente si alza progressivamente fino a 39-40 o /oo al largo delle coste libanesi. Poli di acqua diluita sono riconoscibili a livello del delta del Nilo, dello stretto dei Dardanelli (il mar Nero ha una salinità del 18-22 o /oo ) e dell'Adriatico settentrionale. La temperatura delle acque superficiali, anche d'inverno, non va mai al di sotto dei 12° C per cui non esiste, nel Mediterraneo, acqua più densa di quella a tale temperatura. Ne consegue che le acque profonde del bacino hanno temperature medie non inferiori a 12° C, ben al di sopra del valore medio degli oceani della Terra (2-4° C) con logiche conseguenze anche sul tipo di vita che vi è ospitata. La soglia di Gibilterra, ricordiamo, è tale da impedire una diretta circolazione tra le acque profonde atlantiche e mediterranee. Recentemente (1983-1993) in alcuni punti del bacino orientale sono state scoperte delle "buche" (avvallamenti tettonici) contenenti acque sovrassalate e calde (brine). Queste buche sono tutte intorno ai 3300 m di profondità e si sono presentate agli strumenti totalmente anossiche. La temperatura massima registrata è stata di 18° C (buca "Urania", 1993) e la salinità massima registrata è stata di 320 o /oo (buca "Bannock", 1985). La interpretazione di questi dati è tutt'ora in corso. La mancanza di ossigeno disciolto consente elevate concentrazioni di idrogeno solforato e di ammonio. Non è ancora stata condotta alcuna esplorazione biologica di tali fosse. 68 Il mar Nero è un bacino "tributario" del Mediterraneo e da questo dipende completamente pur distinguendosene per diverse caratteristiche. Ha una superficie di 423.300 Km2 per un volume complessivo di 538.000 3 Km con una profondità media di -1272 m ed una massima di -2212 m. Comunica col Mediterraneo attraverso il sistema Bosforo-Dardanelli molto limitato sia in larghezza che in profondità (soglia del Bosforo = -81 m), per cui mantiene una propria specificità. Essendo collocato geograficamente nella fascia temperata, ha un bilancio idrico positivo: sia un minore tasso di evaporazione che un maggior apporto di acque dolci fluviali ne contengono la salinità fino a 18-22 o /oo facendone il bacino di acqua salmastra più grande della Terra. A causa dell'isolamento le sue acque profonde ristagnano e sono tipicamente anossiche a partire dai -150 -200 m, per cui il 90 % dei suoi fondali è detto “azoico” per l’assenza di macrofauna. Il mare d'Azov è un bacino "tributario" del mar Nero con cui comunica attraverso lo stretto di Kertch. Ha una superficie di 37.860 Km2 ed un volume di 320 Km3 con una profondità media di soli -8 m ed una massima di -14 m. La salinità media era intorno ai 10 o /oo prima della costruzione di uno sbarramento sul fiume Don nel 1952; oggi si aggira attorno ai 14 o /oo . Tipicamente d’estate il fondale può essere interessato da fenomeni di ipossia (conseguente a elevate produzioni algali) seguiti da mortalità massive di benthos che possono arrivare ad interessare anche il 90 % dell’intero bacino. 69 70