EMATOLOGIA 1 direttori della collana Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati IL LINFOMA DI HODGKIN Vittorina Zagonel, Antonio Pinto Divisione di Oncologia Medica e Unità Operativa Leucemie Centro di Riferimento Oncologico Istituto Nazionale di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Aviano 4 EMATOLOGIA DIRETTORI DELLA COLLANA Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università “La Sapienza” Roma ACCADEMIA NAZIONALE DI MEDICINA Forum per la Formazione Biomedica DIREZIONE SCIENTIFICA Luigi Frati - Leonardo Santi DIREZIONE DIDATTICA Stefania Ledda REDAZIONE P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova Tel. 010/5458611 - Fax 010/541761 COORDINAMENTO EDITORIALE Gabriella Allavena IMPAGINAZIONE Giorgio Prestinenzi PROMOZIONE Luisa Baggiani PROGETTO GRAFICO Firma Service - C.so Dogali, 3a - 16136 Genova STAMPA Leonard - Via Corfù, 12 - 37100 Verona © 1997 Forum Service Editore s.c.a r.l. Via Corsica, 2/6 - 16128 Genova Distributore unico per l’Italia: Del Porto S.p.A. - Via Meucci, 17 - 43015 Noceto (PR) Tel. 0521/620544 - Fax 0521/627977 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa senza il permesso scritto dell'editore Dedicato a Gianni Bonadonna, oncologo medico italiano, il cui impegno professionale ha significativamente contribuito ai moderni successi terapeutici nel linfoma di Hodgkin Gli Autori ringraziano la d.ssa Roberta Merighi per l’assistenza secretariale e l’elaborazione grafica INDICE INTRODUZIONE 1 EPIDEMIOLOGIA 2 ETIOLOGIA 3 CRITERI PER LA DIAGNOSI ISTOPATOLOGICA 4 BIOPATOLOGIA 5 APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE CON LINFOMA DI HODGKIN 6 LA STRATEGIA TERAPEUTICA 7 LINFOMA DI HODGKIN IN ETÀ PEDIATRICA 8 LINFOMA DI HODGKIN IN ETÀ AVANZATA 9 LINFOMA DI HODGKIN IN PAZIENTI PORTATORI DI INFEZIONE DA HIV 10 LINFOMA DI HODGKIN IN GRAVIDANZA 11 COMPLICANZE A LUNGO TERMINE DELLA TERAPIA 12 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 13 APPENDICE: regimi di polichemioterapia correntemente utilizzati 14 BIBLIOGRAFIA GENERALE 15 LE DIAPOSITIVE ABBREVIAZIONI ABMT APC BM clg CM D DL DPP IV EBV G-CSF GM-CSF HIV IFN Ig IgH IL J LH LHPLN LMP-1 LIF MDR MHC MIBI NK PB PCR PDGF PET PL REAL RMN RS SCFR slg SN TAC TCR TfR TGF-b TNF V trapianto autologo di midollo osseo antigen presenting cell midollo osseo immunoglobuline citoplasmatiche cellularità mista diversità deplezione linfocitaria dipeptidilpeptidasi IV Epstein-Barr virus granulocyte colony-stimulating factor granulocyte macrophage colony-stimulating factor human immunodeficiency virus interferone immunoglobulina catene pesanti delle immunoglobuline interleuchina giunzione linfoma di Hodgkin linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria nodulare latent membrane protein-1 leukemia inhibitory factor multidrug resistance sistema maggiore di istocompatibilità metossibutilisonitrile cellula natural killer sangue periferico polymerase chain reaction platelet derived growth factor tomografia ad emissione di positroni predominanza linfocitaria Revised European American Lymphoma risonanza magnetica nucleare Reed-Sternberg recettore per lo Stem Cell Factor immunoglobuline di superficie sclerosi nodulare tomografia assiale computerizzata recettore delle cellule T recettore per la transferrina transforming growth factor b tumor necrosis factor variabile 1 INTRODUZIONE I risultati terapeutici conseguiti nel linfoma di Hodgkin (LH) costituiscono uno dei principali successi della moderna medicina oncologica, e la maggior parte dei pazienti, che oggi si ammala di tale linfoma, può ragionevolmente sperare in una guarigione (1). Nonostante ciò, alcune problematiche restano aperte ed in particolare: 1. le conoscenze sull'eziologia, origine cellulare e patogenesi di tale linfoma, che risultano ancora non completamente chiarite; 2. le conseguenze a lungo termine del trattamento radio e/o chemioterapico che limitano la qualità e quantità di vita dei pazienti; 3. l'approccio terapeutico ottimale per i pazienti refrattari o con ricaduta precoce. Su questi fronti si sta freneticamente lavorando in tutto il mondo. Da un lato per conoscere i meccanismi patogenetici alla base di un linfoma così "strano" il cui tessuto tumorale è costituito da poche cellule neoplastiche, le cellule di Reed-Sternberg (RS), "immerse" in un contesto (background) eterogeneo di popolazioni cellulari di accompagnamento (linfociti, eosinofili, neutrofili, etc.), e che appaiono avere un ruolo biologico, non ancora del tutto chiaro, nello sviluppo della neoplasia. Dall'altro, attraverso la messa a punto di nuovi programmi terapeutici e di studi clinici controllati, si cerca di mantenere un elevato livello di efficacia clinica a fronte di una minore tossicità, precoce e tardiva, e di sperimentare strategie ottimali per il controllo delle recidive precoci e dei casi refrattari. Per ottenere tali risultati è necessaria un'accurata stadiazione clinico-prognostica, allo scopo di inserire ciascun paziente in un programma terapeutico differenziato in rapporto all'età, allo stadio ed ai fattori prognostici. Infine, con l'accrescersi delle conoscenze biologiche sul LH, cominciano a prospettarsi nuove strategie per la terapia innovativa di tale linfoma attraverso il blocco immunologico delle cellule di RS (targeting), e l'interruzione delle vie di interazione (network) di queste ultime con le popolazioni reattive, che ne controllano la proliferazione. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 1 2 EPIDEMIOLOGIA Frequenza per 100.000 Il LH è un'affezione maligna non comune. In Europa e negli Stati Uniti l'incidenza annuale è di circa 2.4-4 casi per 100.000 persone nel picco di incidenza a 25 anni, e di circa 5-7 casi per 100.000 nel secondo picco in età avanzata (2). Poiché nei paesi industrializzati la popolazione di età superiore ai 65 anni sarà nel 2000 numericamente superiore alla popolazione di età inferiore a 30 anni, è presumibile che prevarranno i pazienti affetti da LH in età avanzata. Nei paesi in via di sviluppo la malattia è meno frequente. Negli ultimi 20-30 anni l'incidenza è leggermente aumentata, mentre la mortalità è in progressiva diminuzione (Figura 1). Secondo l'ipotesi di Mac Mahon, la distribuzione di incidenze in una curva bimodale fa supporre che in realtà nel LH si celino più malattie, con eziologie diverse. Mac Mahon ha individuato tre gruppi di età, pazienti da 0 a 14 anni, pazienti tra i 25 e i 34 anni e pazienti di età superiore a 50 anni, e ha ipotizzato, per il gruppo di pazienti giovani-adulti, una eziologia di tipo infettivo (3). In realtà, la curva bimodale (Figura 1) rappresenta la somma di due curve, una prima determinata dall'incidenza del LH a varietà sclerosi nodulare (SN), che prevale nei giovani adulti sia in Europa che negli Stati Uniti, ed una seconda Figura 1 • Incidenza e mortalità del linfoma di Hodgkin curva, determinata in rapporto all’età dalle altre varietà istologiche del LH (cellularità mista, deplezione 7 linfocitaria, predomi6 nanza linfocitaria), che Incidenza sono meno frequenti. 5 Quest'ultima curva 4 manifesta un andamento che aumenta in 3 Mortalità rapporto diretto con 2 l'età della popolazio1 ne, mostrando quindi un profilo (pattern) di 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 incidenza simile a quello dei linfomi nonEtà Hodgkin. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 3 L'incidenza del LH prevale nel sesso maschile, con un rapporto maschi:femmine di circa 2:1. Maggiormente a rischio di sviluppare un LH (varietà SN) in età giovane-adulta sarebbero i bambini delle classi sociali più elevate. Studi condotti su gemelli monozigoti, evidenziano anche una componente genetica nello sviluppo del LH, la cui penetranza sembra però molto bassa (4). In particolare, la variabilità di alcuni loci degli antigeni di classe II del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC), comporterebbero un aumentato rischio di sviluppare un LH (varietà SN) (4). E 4 M A T O L O G I A 3 ETIOLOGIA Una probabile etiologia di tipo infettivo del LH è stata ipotizzata sulla base di dati clinici, epidemiologici, sierologici e di tipo molecolare. In particolare, il coinvolgimento del virus di Epstein-Barr (EBV) è stato inizialmente suggerito dal maggior rischio dei pazienti con mononucleosi infettiva, EBV-correlata, di sviluppare il LH, e dalla presenza nei pazienti con LH di elevati titoli anticorpali contro specifiche proteine virali (5). Più recentemente, è stata dimostrata la presenza di proteine EBV-correlate e di RNA e/o DNA virale, nei tessuti linfonodali coinvolti da LH e nelle stesse cellule di RS in circa il 40% dei casi di LH (5, 6). La presenza di proteine e/o sequenze virali EBV è particolarmente frequente nel LH che insorge nei bambini, negli anziani (7), e nei pazienti portatori di infezione da HIV (8), e risulta correlata prevalentemente al sottotipo istologico a cellularità mista (CM). In tali casi il genoma dell'EBV, talvolta in configurazione clonale, è stato evidenziato nelle cellule di RS. Ciò nonostante, rimane tuttora da chiarire se, nei casi di LH EBV-associati, il virus rappresenti un semplice "passeggero silente" o possa piuttosto essere implicato nella trasformazione neoplastica dei progenitori delle cellule di RS. A tale riguardo é interessante sottolineare come la proteina LMP-1, codificata dal virus di EB, e dimostrata in alcuni casi a livello delle cellule di RS, sia in grado di trasmettere segnali proliferativi utilizzando gli stessi mediatori intracellulari (NF-kB e TRAF3) che sono implicati nel signalling da parte delle molecole CD30 e CD40 (9), due importanti antigeni di membrana tipicamente espressi ad alta densità dalle cellule di RS (10). In altre parole, l'iperespressione della proteina virale LMP-1 nelle cellule di RS, potrebbe produrre effetti biologici simili a quelli derivanti dall'attivazione delle molecole CD30 e CD40, da parte dei loro ligandi (L) specifici CD30L e CD40L. Inoltre, anche se la proteina virale LMP-1 rappresenta un tipico target per la risposta citolitica CD8+ , tale risposta è in genere assente nei casi di LH LMP-1 + . Quanto lo stato di immunodeficienza, tipico dei soggetti con LH (vedi oltre) e la mancata espressione degli antigeni di istocompatibilità di classe I da parte delle cellule di RS (11), possano contribuire alla inefficace risposta immune contro l'EBV, rimane da chiarire. Comunque sia il deficit immunitario dei pazienti con LH, potrebbe semplicemente favorire la replicazione dell'EBV nei tessuti coinvolti dal linfoma, portando alcuni studiosi ad escludere un ruolo patogenetico del virus nel LH. L'ipotesi più accreditata dai sostenitori della "teoria virale" è invece che, in soggetti con deficit della risposta immunitaria, il virus di EB, attraverso un meccani- I L L I N F O M A D I H O D G K I N 5 smo LMP-1-mediato, possa stimolare la proliferazione, prima policlonale e poi monoclonale, di elementi linfoidi immaturi progenitori della cellula di RS, e che il network di citochine prodotte dalle cellule di RS, e dalle popolazioni reattive di accompagnamento (vedi oltre), possa in seguito contribuire alla inibizione dell'immunità locale EBV-specifica, ed alla ulteriore progressione della malattia (4, 5, 11). E' tuttavia possibile che la malattia rappresenti la risposta finale comune a diversi eventi patologici quali infezioni virali, agenti ambientali e reazioni geneticamente determinate dall'ospite. E 6 M A T O L O G I A 4 CRITERI PER LA DIAGNOSI ISTOPATOLOGICA I prerequisiti per la diagnosi istopatologica di LH prevedono un prelievo bioptico adeguato, come quello rappresentato da un intero linfonodo (biopsia escissionale), ed un allestimento corretto dei preparati istologici. L'ago aspirato con ago sottile e la biopsia con cutting needle non forniscono diagnosi di facile formulazione e attendibilità. Infatti, sebbene in mani esperte l'accuratezza diagnostica sia di circa il 90%, la classificazione dei sottotipi di LH può essere determinata, con tale metodica, solo in circa il 60% dei casi (12). La diagnosi di LH, in mani esperte e attraverso l'uso combinato delle tecniche istopatologiche ed immunoistochimiche, non comporta in genere difficoltà. In tutto il mondo viene utilizzata la classificazione in quattro categorie istopatologiche identificate nel 1965 nella conferenza di Rye: sclerosi nodulare (SN), cellularità mista (CM), deplezione linfocitaria (DL) e predominanza linfocitaria (PL). La classificazione REAL (Revised European American Lymphoma Classification), presentata recentemente dal gruppo internazionale per lo studio dei linfomi (13), include e mantiene le categorie di Rye (SN, CM, DL, PL), che costituiscono il LH cosidetto "classico", tenendo invece distinta la varietà nodulare del LH a PL (LHPLN), come entità clinico-patologica autonoma (13-15). La varietà a PL di tipo diffuso, che presenta cellule di RS, fenotipicamente e morfologicamente più affini alle cellule tumorali del LH classico che alle varianti L&H (lymphocytic and/or histiocytic cellule “pop corn”)del LHPLN, è stata considerata a parte nella classificazione REAL, ed inserita, nell'ambito del LH classico, come “provisional entity” sotto la definizione di “lymphocyte-rich classical HD” (13). La varietà SN è di gran lunga la più frequente ed interessa circa l'80% dei pazienti, mentre il sottotipo a DL è molto raro, con l'esclusione del LH che insorge nei pazienti portatori di infezione da HIV, in cui tale sottotipo viene molto frequentemente diagnosticato (8). La varietà PLN manifesta un solo picco di incidenza nella quarta decade di età ed appare chiaramente distinta da un punto di vista immunologico e biologico (13-15). I pazienti con LH di tipo PLN si presentano molto frequentemente con malattia limitata (stadio I) ed il coinvolgimento mediastinico è generalmente inusuale (16, 17). Questi pazienti, inoltre, I L L I N F O M A D I H O D G K I N 7 recidivano frequentemente e, spesso, tardivamente, sebbene ciò non comporti una cattiva prognosi (17). Tali caratteristiche cliniche, oltre ai peculiari aspetti immunofenotipici ed immunogenotipici (vedi oltre), fanno oggi ritenere che il LHPLN sia biologicamente assimilabile ad un linfoma a cellule B di probabile derivazione centro-follicolare (13-15, 17). IL LHPLN resta comunque distinto dai linfomi non-Hodgkin, a partenza dal centro del follicolo, per l'assenza del tipico riarrangiamento del gene bcl-2 (17). Pur se possono insorgere a volte dei problemi di diagnosi differenziale con il linfoma anaplastico a grandi cellule CD30+ e con il linfoma a cellule B mediastinico con sclerosi, l'utilizzo combinato delle metodiche immunoistochimiche e di biologia molecolare, assieme alle più recenti acquisizioni circa il fenotipo "comune" delle cellule di RS (vedi oltre), consente una diagnosi certa nella stragrande maggioranza dei casi. I notevoli successi della moderna terapia hanno comunque drammaticamente ridotto il valore prognostico del sottotipo istologico nel LH, tanto che, in una recente analisi della casistica di Stanford, che comprende oltre 1000 pazienti trattati dal 1981, non è stata osservata alcuna differenza significativa nella sopravvivenza dei pazienti con LH a varietà SN o CM (1). E 8 M A T O L O G I A 5 BIOPATOLOGIA Il LH presenta caratteristiche biologiche, istoFigura 2 • Sir Thomas Hodgkin patologiche e cliniche uniche tra i linfomi umani. L'aspetto istopatologico classico del LH è infatti caratterizzato dal sovvertimento completo della microarchitettura linfonodale e dalla presenza di tipiche cellule multinucleate, cellule di RS, e/o delle loro varianti mononucleate, cellule di Hodgkin (H), frammiste ad un imponente ed eterogenea popolazione cellulare reattiva (non neoplastica), costituita da linfociti T e B, eosinofili, granulociti, monocito/macrofagi, istiociti, fibroblasti e plasmacellule (16, 17). In particolare, la ridottissima presenza delle cellule di RS e loro varianti, che rappresentano in genere solo l'1-2% della cellularità 1798 - 1866 complessiva nei linfonodi coinvolti dal LH (16), ha reso molto difficili e complesse le ricerche sull'origine cellulare e patogenesi di questo linfoma. A seguito della storica identificazione del LH come entità clinica autonoma da parte di Sir Thomas Hodgkin (Figura 2) nel 1832, e della mirabile descrizione e categorizzazione citologica delle cellule di RS ad opera di Dorothy Reed che, nel 1902, aveva già morfologicamente evidenziato gli stretti rapporti tra cellule neoplastiche e componente cellulare reattiva (Figura 3), alcuni interrogativi hanno strenuamente impegnato i ricercatori convolti nello studio di questo linfoma: 1. il lineage di appartenenza e derivazione delle cellule di RS; 2. la natura clonale delle cellule neoplastiche del LH; 3. il significato biologico delle popolazioni cellulari reattive e le loro interazioni con le cellule di RS; 4. i rapporti tra biologia del LH e manifestazioni cliniche; 5. i rapporti tra LH e sistema immunitario. 5.1 ORIGINE CELLULARE, FENOTIPO E CLONALITÀ DELLE CELLULE DI REED STERNBERG L'origine cellulare e l'identificazione della controparte normale delle cellule di RS, rimane a tutt'oggi enigmatica e, nel corso degli anni, le cellule I L L I N F O M A D I H O D G K I N 9 di RS sono state di volta in volta correlate a praticamente tutte le cellule del sistema linfoemopoietico come linfociti T e B, monocito/macrofagi, cellule mieloidi, cellule istiocitarie e cellule dendritiche. I numerosi studi immunofenotipici condotti negli ultimi dieci anni, sebbene con risultati a volte contrastanti, hanno contribuito a definire comunque il fenotipo "comune" delle cellule di RS e varianti (H) del LH classico (varietà SN, CM e DL) (Tabella 1). Esso appare caratterizzato dalla costante presenza degli antigeni CD30, CD40 e HLADR, dalla frequentissima espressione della molecola CD15 e dalla mancanza degli antigeni CD45 ed EMA e di marcatori fenotipici correlati al lineage monocito/macrofagico (18-20). Molto più eterogenea e contrastante tra i diversi studi appare invece la presenza di antigeni correlati alle cellule di derivazione linfocitaria B e T. In generale, le cellule di RS classiche possono esprimere antigeni associati alla linea B (CD19, CD20, CD22, CD23, CD79a) in una percentuale variabile dal 5 al 30% dei casi anche se, in alcuni studi, uno o più di tali antigeni (pan B) sono stati dimostrati in oltre l'80% dei casi (18-21). Tali discrepanze appaiono probabilmente legate al tipo di materiale diagnostico (sezioni paraffinate, sezioni al congelatore), al tipo di metodica di rivelazione, all'utilizzo di tecniche per antigen retrieval e all'uso di anticorpi diretti contro diversi epitopi della stessa molecola. La presenza degli antigeni pan B, CD20 e CD79a, appare comunque la più frequente in assoluto, ed in uno studio molto recente Isaacson e collaboratori hanno dimostrato che le cellule di RS esprimono il CD20, il CD79a, o entrambi questi antigeni, nel 60% (38/63) dei casi di LH classico (21). In una più ridotta frazione dei casi, 5-20%, le cellule neoplastiche esprimono invece antigeni T-linfocitari ed in particolare la molecola CD3 ed il T cell receptor (TCR)-b (22). Le cellule di RS classiche esprimono pure un vasto repertorio di recettori (R) per fattori di crescita e citochine (CD25-IL2Ra, CD122-IL2Rb, CD71-TfR, CD126IL6R, CD117-SCFR, CDw119-IFNgR, CD115-M-CSFR, IL-9R), molecole di adesione cellulare (CD54, CD58, CD44) e molecole a funzione co-stimolatoria per i linfociti T (B7-1/CD80, B7-2/CD86) (18-20, 23, 24). In base a questi studi è possibile dunque concludere che il fenotipo "comune" delle cellule di RS e loro varianti nel LH classico (SN, CM, DL) è il seguente: CD30 + , CD40 + , CD15 +/- , CD45 - , Figura 3 • Disegno originale di Dorothy Reed in cui vengono chiaramente definite le caratteristiche morfologiche delle cellule neoplastiche nel linfoma di Hodgkin ed i loro rapporti con le popolazioni reattive del tessuto linfonodale E 10 M A T O L O G I A Tabella 1 Caratteristiche fenotipiche delle cellule neoplastiche nei vari sottotipi istologici di linfoma di Hodgkin Sottotipo istologico Tipo di cellula neoplastica Assetto fenotipico Sclerosi nodulare H-RS* CD30+, CD40+, CD15+/–, CD45–, EMA–, CDw75+, Pan T–, Pan-B (CD20, CD79a)+/–, BB-4+, J chains–, EBV+ (40%), Ig (G/R), TCR (G) Cellularità mista H-RS ◆ CD30+, CD40+, CD15+/–, CD45–, EMA–, CDw75+, Pan T–/+, Pan-B (CD20, CD79a)+/–, BB-4+, J chains–, EBV+ (60%), Ig (G), TCR (G) Deplezione linfocitaria° H-RS ● CD30+, CD40+, CD15+/–, CD45–, EMA–, Pan T–, Pan-B (CD20, CD79a)–, BB-4+, J chains–, Ig (G), TCR (G) Predominanza linfocitaria “diffusa” (lymphocyte-rich classical Hodgkin’s disease)** H-RS ▲ CD30+, CD40+, CD15+/–, CD45–, EMA–, CDw75+, Pan T–, Pan-B (CD20, CD79a)+/–, J chains–, EBV+/–, Ig (G/R), TCR (G) L&H CD30–/+, CD40+, CD15–, CD45+, EMA+/–, CDw75+, Pan T–, Pan-B (CD19, CD20, CD22, CD79a)+, BB-4–, J chains+, EBV–, Ig (R/G), TCR (G) Hodgkin “classico” Predominanza linfocitaria Nodulare (H) varianti cellulari mononucleate; (RS) cellule di Reed-Sternberg “classiche”; (L&H), lymphocytic and/or histiocytic, cellule “popcorn”; (*), varianti “lacunari” delle cellule di RS classiche; ( ◆ ), cellule di RS “classiche” e rare cellule varianti “lacunari”; (● ), cellule di RS “classiche” e cellule varianti “sarcomatose”; ( ▲ ), rare cellule di RS “classiche” e rarissime varianti “lacu nari”; (EBV) presenza di genoma e/o proteine correlate al virus di Epstein Barr; (Ig), geni per le immunoglobuline; (TCR), T cell receptor; (G) configu razione germline; (R) configurazione riarrangiata; (°) questo sottotipo istologico è molto frequente nei pazienti anziani e nei soggetti HIV + ; (**) inserita nella REAL Classification come “provisional entity”. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 11 E M A -, a n t i g e n i p a n B ( C D 2 0 , C D 7 9 a )+/-, a n t i g e n i p a n T ( C D 3 , TCRb) -/+ , HLA-DR + , CD25 + , CD54 + , CD58 + , CD44 + , CD80 + , CD86 + (Tabella 1). E' bene tener presente comunque che in una frazione di casi, le cellule di RS CD30 + mancano completamente di antigeni correlati alle cellule di derivazione B e T, esprimendo un fenotipo null. Al contrario le cellule neoplastiche (cellule L&H) della varietà nodulare del LH a predominanza linfocitaria esprimono antigeni della linea B (CD40, CD20, CD19, CD22, CD75, CD79a) nella grande maggioranza dei casi (70-90%) e producono mRNA per le catene leggere k o l delle immunoglobuline in circa il 50% dei casi (Tabella 1). Il fenotipo delle cellule tumorali del LHPLN differisce inoltre da quello delle cellule di RS classiche in base alla rara espressione degli antigeni CD30 e CD15, al frequente riscontro degli antigeni CD45 ed EMA, ed alla presenza di catene J delle Ig (13-15). Il fenotipo "comune" delle cellule di RS del LH "classico" e delle cellule L&H è comparato nella Tabella 1. Sulla base di questi studi è stato proposto che mentre il LHPLN possa rappresentare un vero e proprio linfoma a cellule B, derivante da elementi correlati al centro germinativo, il LH classico origini da un raro precursore linfoide attivato e correlato al lineage B o, meno frequentemente, a quello T. L'analisi molecolare del riarrangiamento dei geni per le immunoglobuline e per il TCR, mediante Southern blotting e polymerase chain reaction (PCR), eseguite su linfonodi di pazienti con LH, ha dato risultati contrastanti ma, più recentemente, l'uso della tecnologia di single-cell microdissection ha fornito importanti nuove informazioni circa l'assetto genetico delle cellule di RS. Tale metodica consiste nel prelievo di singole cellule di RS CD30 + da sezioni istologiche al congelatore, attraverso l'uso di un micromanipolatore idraulico collegato a micropipette capillari. Attraverso analisi mediante PCR, diversi gruppi di ricercatori hanno dimostrato la presenza di riarrangementi clonali dei geni per le Ig e di ipermutazioni somatiche, spesso non produttive (crippling mutations), a carico dei geni codificanti le regioni variabili delle catene pesanti (VH) immunoglobuliniche, nel DNA ottenuto da singole cellule di RS CD30 + , esprimenti o meno antigeni B (CD20), isolate da linfonodi coinvolti da LH varietà SN e CM (11, 25-27). Anche in questo caso, comunque, il LH è apparso estremamente eterogeneo in quanto, nell'ambito degli stessi casi, non tutte le cellule di RS sono apparse clonali, e spesso è stata dimostrata la coesistenza di popolazioni policlonali e monoclonali di cellule di RS nei tessuti linfonodali dello stesso paziente. Solo in rari casi è stata identificata una popolazione monoclonale dominante di cellule tumorali (25-27). Inoltre, in un ulteriore studio, effettuato con metodiche similari, non sono stati evidenziati riarrangiamenti clonali per le Ig in cellule di RS isolate da 12 su 12 casi di LH classico (28). Nonostante queste discrepanze, ed in attesa di studi più estensivi, molti esperti sono oggi concordi nel ritenere E 12 M A T O L O G I A che, in una alta percentuale dei casi, le cellule di RS del LH classico possano originare da precursori cellulari di lineage B, in cui l'evento trasformante/immortalizzante sia insorto a livello di cellule pre-germinal center o, più frequentemente, post-germinal center, come indicato dalla presenza di crippling mutations. Tali precursori, per meccanismi ancora ignoti, e forse in parte legati alla infezione da EBV, sfuggirebbero alla morte apoptotica dando luogo dapprima ad una popolazione policlonale aberrante da cui emergerebbe, in fasi più tardive, una popolazione monoclonale dominante di cellule di RS. La putativa derivazione da elementi del lineage B ad uno stadio post-germinal center è pure sostenuta dalla recentissima dimostrazione che le cellule di RS, nelle varietà SN e CM del LH, ma non nella PLN, esprimono costantemente l'antigene B-B4 (sindecano-1), un marcatore tipico e ristretto delle plasmacellule normali e neoplastiche (29). Ulteriori studi, sulla configurazione dei geni per il TCR in cellule di RS isolate, saranno comunque necessari allo scopo di confermare od escludere che una frazione di LH classici possa essere invece correlata al compartimento T-cellulare. Per il LHPLN, studi molecolari su singola cellula hanno confermato il lineage B attraverso l'identificazione di riarrangiamenti per le regioni V delle catene pesanti Ig, che appaiono però policlonali nella grande maggioranza dei casi. Solo in corso di progressione verso un linfoma a grandi cellule diffuso, la popolazione tumorale è apparsa di derivazione monoclonale. 5.2 BIOPATOLOGIA DEL LINFOMA DI HODGKIN E RAPPORTI TRA CELLULE DI REED STERNBERG E LE POPOLAZIONI CELLULARI REATTIVE La presenza nei tessuti coinvolti da LH classico di una preponderante maggioranza di popolazioni cellulari non-neoplastiche (linfociti, eosinofili, monociti, neutrofili, plasmacellule, cellule stromali), che circondano le cellule di RS e spesso si rapportano direttamente ad esse, rappresenta la caratteristica istopatologica tipica del LH (16, 17). Tali cellule reattive, sono state finora considerate degli spettatori innocenti (innocent bystanders), reclutati e funzionalmente attivati dall'eterogeneo pool di citochine prodotte dalle cellule di RS, nell'ambito della reazione cellulare anomala tipica del LH. Negli ultimi anni invece diversi studi hanno suggerito, ed a volte formalmente dimostrato, che tali cellule reattive sono direttamente implicate nella regolazione proliferativa delle cellule di RS, attraverso specifiche strutture di membrana espresse da queste ultime. I risultati di I L L I N F O M A D I H O D G K I N 13 5 questi studi hanno infatti indicato che le cellule di RS producono grosse quantità di una serie eterogenea di citochine (IL-1, IL-6, IL-9, TNF, IL-5, IL-3, GM-CSF, TGF-b, M-CSF, IL-2, IL-4, etc.) (10, 23, 24). Tali citochine sono utilizzate dalle cellule tumorali come fattori di crescita autocrini (IL-9, IL-6) e per reclutare ed attivare funzionalmente le popolazioni cellulari reattive (linfociti T, eosinofili, neutrofili, istiociti, plasmacellule), che costituiscono la preponderante maggioranza della cellularità nei tessuti coinvolti da LH. Tali popolazioni cellulari reattive interagiscono direttamente con le cellule di RS, legandosi ad esse attraverso molecole di adesione ed altre strutture recettoriali di membrana (cell contact-dependent interaction), e producono a loro volta numerose citochine in grado di stimolare la proliferazione e l'attivazione funzionale delle cellule neoplastiche ( cytokinedependent interactions). Uno schema di tali interazioni e delle citochine coinvolte è illustrato nella Tabella 2 e nella Figura 4. In particolare, le cellule di RS esprimono in superfice una serie di recettori (CD30, CD40, 4-1BB, CD95/Fas) appartenenti alla superfamiglia del TNF ed il prodotto dell'oncogene c-kit (10, 23, 24, 30, 31). L'ingaggio di alcuni di tali recettori, da parte dei rispettivi ligandi (CD30L, CD40L, 4-1BBL) innesca segnali che stimolano la proliferazione e riducono la morte cellulare programmata (apoptosi) delle cellule di RS, mentre l'attivazione della molecola CD95 risulta nella loro estinzione apoptotica (10, 11, 24). Nei casi di LH classico (tipo non-PL), i linfociti che circondano le cellule di RS sono, nella stragrande maggior a n z a , l i n f o c i t i T a t t i v a t i C D 4 + a p p a r t e n e n t i a l s u b s e t C D 4 5 R 0 +/ CD45RB dim (11, 32), che mostrano un profilo citochinico di tipo Th2 e risultano funzionalmente attivate, ma anergiche (11). Le cellule T CD4+/CD45R0 + si legano direttamente, attraverso una serie di molecole di adesione (LFA-1, CD2, CD28), alle cellule di RS (fenomeno del rosettamento) che ne presentano gli appropriati contro-recettori (ICAM-1, LFA-3, HLA-DR, CD80, CD86). Le cellule T CD4+ /CD45R0 + attivate esprimono, in forma ancorata alla membrana, i ligandi per le molecole CD30 e CD40, presenti sulle cellule di RS, e attraverso tali ligandi (CD30L, CD40L) sono in grado di trasmettere segnali proliferativi ed antiapoptotici alle cellule neoplastiche (33-35). Più recentemente, è stato dimostrato che pure gli eosinofili esprimono i ligandi per il CD30 ed il CD40 e sono in grado di stimolare la crescita delle cellule di RS (36), mentre i neutrofili possono svolgere una funzione simile, ma utilizzando la sola via CD30/CD30L (34). Inoltre, le citochine rilasciate dalle cellule di RS sono in grado di aumentare l'espressione del CD30L e del CD40L sulle cellule T e sugli eosinofili, riducendo al contempo l'espressione del CD95L/FasL sulle stesse cellule. In base a questi dati appare dunque ipotizzabile che le cellule di RS reclutino cellule T CD4 + , eosinofili e neutrofili, attraverso il rilascio microambientale e sistemico di citochine, allo scopo di ottenere delle fonti cellulari di CD30L, CD40L ed altri fattori di crescita in grado di stimolarne la E 14 M A T O L O G I A Tabella 2 Effetti sulle cellule di RS di alcune citochine prodotte dalle popolazioni cellulari reattive nel microambiente del LH Popolazione cellulare reattiva Tipo di citochina prodotta Effetti biologici sulle cellule di RS Linfociti T (CD4+/CD45R0+) Neutrofili Eosinofili Monociti/macrofagi CD30L Stimolazione proliferativa, incremento della produzione autocrina di citochine, aumentata espressione di molecole di adesione (CD54) e di molecole costimolatorie (CD80, CD86), aumento della secrezione di CD30 solubile Linfociti T Eosinofili CD40L Stimolazione proliferativa, incremento della produzione autocrina di citochine, aumentata espressione di molecole di adesione (CD54) e di molecole costimolatorie (CD80, CD86), aumento della secrezione di CD30 solubile incremento della crescita clonogenica, riduzione della morte cellulare programmata, aumentata (rescue apoptotico), espressione della proteina bcl-2 Linfociti T IL-2 Aumento della produzione autocrina di IL-9 con conseguente stimolo proliferativo Linfociti T IL-9 Stimolazione proliferativa diretta Linfociti T Monociti/macrofagi M-CSF Stimolazione proliferativa Linfociti T Monociti/macrofagi Cellule stromali, fibroblasti TNF, LT-a Stimolazione proliferativa (?), attivazione cellulare, sintesi di citochine autocrine Linfociti T attivati Neutrofili Eosinofili CD95L Regolazione del processo di morte cellulare programmata Cellule stromali, Fibroblasti, endoteli SCF Stimolazione proliferativa, sintesi citochine autocrine (?) L: ligando; IL: interleuchina; M-CSF: macrophage-colony stimulating factor; TNF: tumor necrosis factor; LT-a: lymphotoxin-alfa; SCF: stem cell factor; RS: Reed-Sternberg Figura 4 • Il linfoma di Hodgkin è una neoplasia caratterizzata dalla secrezione disregolata di citochine. IL-2 IL-4 IL-6 IL-8 IL-1 IL-6 IL-8 IL-10 IL-12 IL-1 IL-3 IL-4 IL-9 IL-9 TNF LT-a IFN-g IL-9 TNF LT-a CD27L 4-1BBL N IL IL -1 IL- -2 TNF IL 7 LTIFN-9 CD3 a C 0 CDD40L L 95 ILL IL 1 IL- -6 TNF 9 LT TG -a F-b T IL-1 IL-8 TNF LT-a GM-CSF IL-6 IL-6 IL-8 CD30L TNF 6 IL- -8 IL 30L CD NF T EO GM-CSF 5 IL- CSF M G H-RS F TN -a 1 LT -b IL- -6 TGF IL -10 IL F TN -a L 1 LT B IL- -6 4-1B IL -10 IL B IL-2 IL-4 IL-6 GM-CSF IL-1 IL-8 TNF TNF IL-1 IL-13 IL-2 IL-14 IL-4 TNF IL-8 LT-a IL-10 IFN-g CD40L IL-4 IL-10 IL-12 TNF LT-a CD27L TNF LT-a IFN-g GM-CSF IL-1 IL-8 TNF M-CSF PDGF LIF IL IL -1 TN -6 TGF F PD -b LIF GF IL-1 IL-8 TNF CD30L IL IL -1 TN -6 F TNF TNF-b A IL-1 IL-9 TNF IL-1 IL-12 IL-6 IL-14 IL-10 TNF IL-1 IL-2 IL-4 IL-10 IL-13 TNF LT-a IFN-g MØ IL-1 IL-6 TNF Le cellule di Hodgkin-Reed Sternberg (H-RS) costituiscono meno dell’1% della massa tumorale totale e sono circondate da una preponderante maggioranza di cellule reattive non-neoplastiche, ed in particolare linfociti T (T), linfociti B (B), neutrofili (N), eosinofili (EO), cellule accessorie (A), tra cui cellule stromali e fibroblasti, e monociti/macrofagi (MÆ). Le cellule di H-RS interagiscono con le popolazioni reattive attraverso il contatto cellulare diretto ed il rilascio di fattori di crescita e citochine, che reclutano ed attivano funzionalmente i vari tipi cellulari. Le cellule reattive, a loro volta, producono una vasta serie di citochine solubili o presentano alle cellule tumorali citochine ancorate alla membrana. Il risultato di questo complesso network interattivo tra cellule di H-RS e le popolazioni cellulari reattive favorirebbe la proliferazione ed espansione delle cellule tumorali nel linfoma di Hodgkin. proliferazione (IL-1, IL-9, IL-6), riducendo al contempo l'espressione del CD95L sulle stesse cellule per evitarne gli effetti pro-apototici. Il risultato finale di questo network cellulare interattivo, sarebbe la crescita ed espansione delle cellule tumorali. Le cellule T CD8 + sono invece assenti o rarissime nei tessuti neoplastici, confermando l'assenza di una efficace risposta immunogenica di tipo citolitico contro le cellule di RS. Nei casi di LHPLN, i linfociti presenti nel tessuto neoplastico sono in genere cellule B e linfociti T a fenotipo CD4 + / CD57 + e la cui funzione è tuttora ignota (11). Sulla base di questi dati è quindi ragionevole presumere che l'interruzione delle vie di interazione (cross-talk) tra cellule di RS e E 16 M A T O L O G I A popolazioni cellulari reattive, con anticorpi monoclonali, antagonisti recettoriali e ligandi ricombinanti, possa rappresentare una importante strategia terapeutica innovativa per il controllo clinico e l'eradicazione del LH. 5.3 RAPPORTI TRA LA BIOLOGIA DEL LINFOMA DI HODGKIN E LA SINTOMATOLOGIA CLINICA La estensiva produzione e rilascio microambientale e sistemico di citochine da parte delle cellule di RS e delle popolazioni reattive, sostenuta dal complesso network interattivo sopradescritto, oltre a contribuire al mantenimento ed alla espansione della neoplasia, è probabilmente responsabile di molte manifestazioni cliniche ed istopatologiche tipiche del LH. Come indicato nella Tabella 3, sia i classici sintomi B (febbre, sudorazione, perdita di peso) che l'eosinofilia tessutale e periferica, il prurito generalizzato, la sclerosi tissutale, la moderata trombocitosi e le numerose anomalie delle funzioni immunitarie, sono state ricondotte alla anomala e disregolata produzione di citochine (IL-1, IL-6, TNF, IL-5, IL-3, TGF-b, M-CSF, IL-2, IL-4, etc.), i cui livelli, sierici e tessutali, sono frequentemente elevati nei pazienti con LH (10, 11, 23, 24). 5.4 MOLECOLE HODGKIN SOLUBILI NEL LINFOMA DI Le cellule di RS sono in grado di rilasciare, a livello microambientale e sistemico, forme solubili (s) di alcune molecole presenti a livello della loro membrana cellulare, ed in particolare sCD30, sCD95 e sCD54 (11, 23). Attraverso il rilascio di tali molecole, le cellule tumorali sono in grado di regolare ulteriormente, il network cellulare che sottende la loro proliferazione, e di indurre una ulteriore depressione della risposta immunitaria tumore-specifica. Ad esempio, è stato dimostrato che le cellule di RS, che pur esprimono elevati livelli di superfice del recettore CD95/Fas, riescono a sfuggire all'induzione della morte apoptotica bloccando, attraverso il rilascio di sCD95, gli effetti funzionali del CD59L/FasL presentato dai linfociti T attivati ed altri effettori immuni. Elevati livelli sierici di sCD30, sCD54 e sCD95 sono infatti direttamente correlati agli stadi avanzati ed alla presenza di malattia in fase attiva, e vengono correntemente utilizzati come marker tumorali, per il monitoraggio clinico e terapeutico dei pazienti con LH (10, 11, 23, 24). 5 Correlazioni tra l’espressione ed il rilascio microambientale e/o sistemico di citochine e la sintomatologia clinica e le caratteristiche biologiche ed istopatologiche del LH Tabella 3 Tipo di citochina Manifestazioni cliniche e caratteristiche biopatologiche IL-6, IL-1, TNF, LT-a Sintomi B (febbre, sudorazione, perdita di peso, prurito) IL-5, IL-3, GM-CSF Eosinofilia tessutale e periferica, prurito generalizzato M-CSF Aumento della fosfatasi alcalina sierica IL-1, IL-6, IL-11, LIF, TNF Aumento delle proteine della fase acuta IL-4, IL-10, TGF-b Immunodeficienza acquisita, deficit dell’immunità cellulo-mediata IL-6, IL-11 Trombocitosi TGF-b, LIF, PDGF Sclerosi tessutale IL-6, IL-11, IL-13, TNF, LT-a, CD40L Plasmocitosi tessutale IL-1, IL-2, IL-6, IL-7, IL-9, TNF, LT-a, CD30L, CD40L, CD95L Interazione tra cellule di RS e cellule T, eosinofili, neutrofili, plasmacellule IL-8 Neutrofilia tessutale IL-4, IFN-g Formazione di cellule multinucleate IL-1, IL-6, IL-9, TNF, LT-a, M-CSF Fattori di crescita autocrini per le cellule di RS GM-CSF: granulocyte-macrophage-colony stimulating factor; TGF-b: transforming growth factor-b; LIF: leukemia inhibitory factor; PDGF: plateled-derived growth factor; L: ligando; LT-a: lymphotoxin-a; M-CSF: macrophagecolony stimulating factor; TNF: tumor necrosis factor 5.5 LINFOMA DI HODGKIN E SISTEMA IMMUNITARIO Una caratteristica tipica dei pazienti con LH, ed in particolare quelli con malattia attiva e/o stadio avanzato, è quella di mostrare un severo deficit acquisito dell'immunità cellulo-mediata; ciò a fronte della presenza, a livello del tessuto linfonodale coinvolto dal linfoma, di una imponente componente di T-linfociti funzionalmente e fenotipicamente attivati (11). Le anomalie della funzione immune, nei pazienti con LH, E 18 M A T O L O G I A consistono principalmente in una diminuzione consistente del rapporto CD4 + /CD8 + nel sangue periferico, una ridotta proliferazione antigenedipendente delle cellule T periferiche, una inefficace risposta alla coltura linfocitaria mista (mixed lymphocyte culture), una ridotta reazione di ipersensibilità ridardata ed una inefficace formazione di rosette E. Mentre la linfopenia periferica CD4 + è stata in parte spiegata con il reclutamento di questo subset linfocitario a livello dei tessuti coinvolti dal linfoma, dove rappresenta la preponderante maggioranza degli elementi reattivi, le basi biologiche del deficit nell'immunità cellulomediata appaiono non del tutto chiare. La produzione di TGF-b, IL-4 e IL-10, citochine ad azione immunosoppressiva, da parte delle cellule di RS e di alcune popolazioni reattive, e la mancata espressione degli antigeni MHC di classe I da parte delle cellule di RS, potrebbero comunque esserne in parte responsabili (11). La presenza di una innefficace risposta immune T-mediata nei pazienti con LH, appare comunque sorprendente tenuto conto che le cellule di RS esprimono ad alta densità le stesse molecole di adesione (CD54, CD58) e costimolatorie (HLA-DR, CD80, CD86, CD27L), che sono utilizzate dalle antigen presenting cells (APC) professionali (cellule dendritiche, monociti, etc.), per l'attivazione della risposta immune T cellulare. Il fenotipo APC-like delle cellule di RS è confermato dalla loro abilità di presentare antigeni esogeni alle cellule T, di stimolare reazioni miste linfocitarie allogeniche e di agire come vere e proprie cellule APC in modo HLA-DR-ristretto. Paradossalmente, inoltre, le cellule T dei pazienti con LH, una volta isolate da tessuti neoplastici, sono normalmente stimolate da APC autologhe o allogeniche (mismatched per gli antigeni HLA-DR), in assenza di stimoli antigenici esogeni. Ciò suggerisce che esse siano autoreattive, ed in grado di riconoscere epitopi comuni di classe II. Studi più recenti hanno poi indicato che, nei tessuti coinvolti da LH, le cellule CD4 + /CD45R0 + , pur presentando un fenotipo attivato (CD25 + /CD28 + /CD38 + /CD69 + /CD71 + /HLA-DR + ), non sono in grado di esprimere l'ectoenzima di superfice dipeptidilpeptidasi IV (DPPIV/CD26), anche in seguito ad attivazione in vitro, e mostrano un profilo citochinico tipo Th2 anomalo (IFNg + , IL-4 + , IL-2 – ) (11). E’ interessante sottolineare che la mancata espressione della DPPIV/CD26, e l'assetto citochinico anomalo tipo Th2 sopra descritto, sono associati con altre situazioni di immunodeficienza acquisita (infezione da HIV) e con condizioni di anergia funzionale delle cellule T. Questi dati confermano che l'interazione tra le cellule di RS e linfociti T, nei tessuti del LH, risulta nella generazione di una potente reazione immune T-dipendente, che appare però anergica e comunque inefficente sotto il profilo anti-tumorale, come pure indicato dalla mancata generazione di effettori CD8+ ad effetto citolitico. Nel LH, quindi, le cellule di RS agirebbero come potenti effettori APC, in grado di stimolare una imponente reazione cellulare ad opera I L L I N F O M A D I H O D G K I N 19 5 di linfociti T CD4 + anergici, che in base alla loro capacità di secernere alcune citochine tipo Th2, ed altre capacità funzionali peculiari (espressione del CD30L e del CD40L, ridotta densità di CD95L), contribuiscono alla presentazione istologica tipica di questo linfoma e sembrano regolare positivamente la crescita delle cellule tumorali, invece di eliminarle (10, 11, 23, 24, 35). In base agli studi più recenti è possibile concludere che i precursori delle cellule di RS del LH classico (varietà a SN e CM) possano essere identificati in cellule linfoidi aberranti, per lo più appartenenti al lineage B, immortalizzati a livello di elementi pre-germinal center o, più frequentemente, post-germinal center. Le cellule di RS sono in grado di reclutare ed attivare, attraverso un complesso network di citochine solubili e molecole di membrana, una serie di popolazioni cellulari non-neoplastiche (linfociti T, eosinofili, granulociti, plasmacellule, etc.), che costituiscono la preponderante cellularità nei tessuti coinvolti da LH. Le cellule di RS possono inoltre essere funzionalmente considerate come vere e proprie antigen presenting cells anomale, in grado di interagire con le cellule T ed altri elementi del sistema immune, stimolando la generazione di una intensa, ma inefficace, risposta immunitaria che, attraverso un complesso network di citochine ed interazioni cellulari contatto-dipendenti, non risulta nella eliminazione delle cellule tumorali ma, paradossalmente, ne sostiene la sopravvivenza ed espansione. Tale anomala risposta immunitaria e la liberazione sistemica e microambientale di citochine, sono alla base di molte delle manifestazioni cliniche tipiche di questo linfoma. Al contrario, il LHPLN rappresenta una entità clinicopatologica distinta, fenotipicamente e genotipicamente assimilabile ad un linfoma a cellule B di probabile derivazione dal centro germinativo, e associato a progressione verso un linfoma B a grandi cellule. Il ruolo dell'EBV e della proteina LMP-1 nell'immortalizzazione dei progenitori delle cellule di RS e, più in generale, nella patogenesi del LH, se pur fortemente suggerito da numerose evidenze biologiche ed epidemiologiche, non è a tutt’oggi definitivamente dimostrato. E 20 M A T O L O G I A APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE CON LINFOMA DI HODGKIN Uno staging accurato e l'individuazione dei fattori prognostici all'esordio di malattia sono la premessa essenziale ed irrinunciabile per fornire al paziente un trattamento ottimale in termini sia di risultati terapeutici, che di minori complicanze a lungo termine (1, 37). La classificazione proposta originariamente ad Ann Arbor è stata rivista e completata alla Conferenza di Cotswolds nel 1986 (38), e suddivide i pazienti in 4 stadi (Tabella 4, Figura 5). La classificazione in stadi, a prognosi via via peggiore, si basa sull'assunto che, generalmente, la diffusione della malattia avviene per contiguità, con passaggio da una stazione linfonodale all'altra, essendo inusuale il pattern di “salto di stazione” (skip areas), che è presente solo nel 10% dei pazienti. Ai fini della prognosi, secondo i più recenti risultati del gruppo di Stanford, rimangono in realtà validi solo due gruppi: stadi I-II-IIIA, e stadi IIIB e IV (1). L'attuale stadiazione, oltre ad una accurata anamnesi, per la valutazione dei sintomi sistemici, ed un attento esame obiettivo di tutte le stazioni linfonodali, prevede gli esami di routine ematochimica, la determinazione della VES, LDH, cupremia, fibrinogeno, RX standard del torace, ecocardiografia, spirometria con diffusione di O2 , la TAC del torace e addomino-pelvica, la linfografia, la scintigrafia con gallio 67 e la biopsia osteomidollare (39). La spirometria con diffusione di O 2 è particolarmente indicata nei pazienti che saranno sottoposti a radioterapia per malattia mediastinica, o a schemi di chemioterapia comprendenti la bleomicina. L'ecocardiografia, oltre ad essere utile nel determinare la funzionalità cardiaca di base (necessaria per eventuali trattamenti con antracicline), può essere un ulteriore strumento di valutazione in caso di infiltrazione del pericardio, o per valutare il residuo di massa mediastinica post-terapia (in particolare l'ecocardiografia transesofagea). La TAC del torace, addome e pelvi fa parte integrante degli esami di staging per il paziente affetto da LH. Infatti, a livello toracico, la semplice radiografia spesso sottostima il coinvolgimento da parte del LH. La TAC toracica, qualora adeguatamente eseguita con un buon contrasto per via endovenosa, offre informazioni sul tipo e sede dei linfonodi coinvolti e anche sull'eventuale coinvolgimento delle strutture limitrofe, pleura, pericardio, vasi e parete toracica (39). La valutazione dell'interessamento linfonodale alla TAC è essen- I L L I N F O M A D I H O D G K I N 21 6 Classificazione in stadi secondo Cotswolds Tabella 4 STADIO I Interessamento di una singola regione linfonodale o struttura linfoide (ad esempio milza, timo, anello di Waldeyer) STADIO II Interessamento di due o più regioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma (il mediastino, costituisce una singola sede, i linfonodi ilari un’altra sede). Il numero delle sedi anatomiche deve essere indicato da un suffisso (ad esempio II3) STADIO III Interessamento di regioni o strutture linfonodali da entrambi i lati del diaframma III1: con o senza adenopatie dell’ilo splenico, epatico e del tripode celiaco III2: con adenopatie para-aortiche, iliache, mesenteriche STADIO IV Interessamento di una o più sedi extralinfonodali la cui compromissione non sia quella designata come “E” “A” Assenza di segni sistemici “B” Presenza di segni sistemici (febbre > 38°C, sudorazione prevalentemente notturna, perdita di peso corporeo > 10% nei 6 mesi precedenti la diagnosi istologica) “X” Adenopatia massiva (bulky) intesa come: allargamento del mediastino > 1/3 o massa linfonodale > 10 cm Ø “E” Interessamento di una singola struttura extralinfonodale ma contigua o prossimale a una sede linfonodale coinvolta da malattia “SC” Stadio clinico “SP” Stadio patologico zialmente basata sulle dimensioni dei linfonodi. Nel LH, la probabilità di un coinvolgimento linfonodale a livello addominale è dell'ordine del 50% per linfonodi di dimensioni tra 1 e 3 cm di diametro, mentre per linfonodi di dimensioni maggiori le probabilità raggiungono il 75% (39, 40). Sfortunatamente, a livello addominale i linfonodi più frequentemente coinvolti dal LH all'esordio, sono quelli localizzati nella regione addominale alta (ilo splenico, ilo epatico e tripode celiaco). Tali linfonodi, che definiscono lo stadio III 1 , sono in genere difficilmente visua- E 22 M A T O L O G I A lizzati alla TAC, a causa della ridotta presenza di tessuto adiposo che li separa dalle strutture adiacenti. Per ciò che concerne la milza, la probabilità di un coinvolgimento splenico è del 20% con una TAC negativa, mentre i falsi positivi sono circa il 10% (39). La linfografia pedidia bilaI II terale rimane a tutt'oggi il metodo più idoneo per individuare linfonodi paraaortici, paracavali e pelvici, eventualmente interessati da malattia, anche se di dimensioni ancora nella norma. Quando positiva, essa assume un ruolo importante nell'individuare linfonodi eventualmenIII IV te da biopsiare in corso di laparotomia, nel definire l'eventuale campo radiante, e nel valutare la risposta ottenuta al trattamento. Un sovvertimento della struttura linfonodale, dovuta a sostituzione da parte di tessuto anomalo, è un segno abbastanza affidabile di coinvolgimento neoplastico, sebbene in circa il 12% dei casi possano verificarsi dei falsi reperti positivi alla linfografia. Pertanto, nel caso di positività per un linfonodo isolato potrebbe essere indicato il riscontro bioptico (39). La scintigrafia con gallio 67 è stata più recentemente introdotta nello staging del LH. La sensibilità di tale esame è dell'ordine dell'80% e la sua specificità, nell'individuare sedi di malattia all'esordio, appare di oltre il 96% (41). L'utilizzo di tale metodica, associata alle procedure di staging tradizionali, sembra comunque in grado di modificare l'approccio terapeutico alla diagnosi solo nel 7% dei pazienti (42). Tale esame appare invece di maggior rilevanza, dopo il trattamento, per una efficace valutazione quantitativa e qualitativa della malattia residua a livello mediastinico. In tali casi, la positività alla scintigrafia è indicativa, il più delle volte, di una reale persistenza di malattia, piuttosto che di una fibrosi post-terapia a lenta risoluzione (39). Pertanto il principale ruolo della scintigrafia con gallio 67, nel LH, è basato sulla sua la predittività nell'indicare pazienti poco responsivi ad un terapia, nel caso persista positività al tracciante dopo alcuni cicli di chemioterapia, o a fine terapia (39, 41, 42). La biopsia osteomidollare fa parte integrante delle indagini di staging Figura 5 • Rappresentazione schematica di alcuni esempi di stadi secondo Cotswolds I L L I N F O M A D I H O D G K I N 23 6 nel LH, sebbene risulti che, almeno in Inghilterra, oncologi ed ematologi utilizzino tale procedura in percentuale diversa (40% contro 75% rispettivamente) (43). Solo il 4-10% dei pazienti all'esordio di malattia manifesta un interessamento osteomidollare franco (44). In uno studio multivariato si è dimostrato che la probabilità di un interessamento osteomidollare correla con la presenza di sintomi B, valore di piastrine (rischio ridotto se maggiore di 150.000/mm 3 ), massa mediastinica (inversamente proporzionale), stadio clinico e livelli di emoglobina (se inferiore a 12 g/dl) (44). Poiché si tratta di un esame invasivo, sulla base degli studi sopra riportati, la biopsia osteomidollare può ragionevolmente essere risparmiata ai pazienti che all'esordio di malattia si presentano in stadio IA-IIA, senza alterazioni dell'emogramma. Così eseguita, la stadiazione clinico-radiologica non consente l'individuazione di localizzazioni sottodiaframmatiche che sfuggono alla TAC, linfografia e scintigrafia con gallio 67, e che sono presenti nel 25% circa dei pazienti in stadio clinico II (39). In questi casi lo staging laparotomico rimane il metodo più preciso per identificare lesioni occulte addominali. Nel tentativo di individuare foci occulti di malattia, evitando lo staging chirurgico, nuove procedure diagnostiche, ed in particolare la risonanza magnetica nucleare (RMN) e la tomografia ad emissione di positroni (PET), sono attualmente in corso di valutazione (45). Per ciò che attiene alla RMN essa si è dimostrata più sensibile rispetto alla TAC nell'individuare lesioni spleniche o localizzazioni ossee, ma meno specifica e pertanto associata a più falsi positivi. Poiché tale metodica visualizza però solo un'area limitata del corpo, trova indicazione solo per l'approfondimento diagnostico di aree clinicamente sospette, per esempio, per una migliore definizione di interessamento della parete toracica nelle masse mediastiniche. La RMN trova inoltre indicazione nella valutazione di masse residue post-terapia, per le quali sembra assumere un valore prognostico simile, se non addirittura maggiore, della scintigrafia con gallio 67. Più promettente sembra la PET total body che utilizza il marcatore 18 fluorodeossiglucosio, ed offre una possibilità unica di visualizzazione dell'attività metabolica nell'intero organismo. Poiché le modificazioni biochimiche correlate alla crescita linfomatosa insorgono prima che i cambiamenti morfologici si siano manifestati, la PET può potenzialmente evidenziare regressione o progressione tumorale prima che tale fenomeno si renda manifesto alla TAC o ad altre indagini strumentali. Essa trova particolare indicazione nello staging per l'individuazione di sedi sospette di malattia a distanza che, se confermate, potrebbero modificare il programma terapeutico, in particolare noduli splenici, lesioni ossee e lesioni extranodali (39, 45). Sia la RMN che la PET trovano al momento indicazione solo in casi selezionati, o nell'ambito di studi clinici prospettici, atti a confrontare E 24 M A T O L O G I A queste nuove metodiche con la TAC o la scintigrafia, per individuare il sito e le dimensioni di eventuali lesioni neoplastiche. E’ possibile che in futuro RMN e PET possanno sostituire lo staging laparotomico, in caso di sospetta malattia addominale, o la biopsia di masse persistenti dopo il trattamento (45). In aggiunta alla scintigrafia con gallio 67, altri agenti, quali il metossibutilisonitrile (MIBI) e il tallio, sono in corso di valutazione nello staging e follow-up del LH. In particolare la scintigrafia con MIBI (46), utilizzata in combinazione alla scintigrafia con gallio, può essere utile nel riconoscere la sensibilità delle lesioni neoplastiche agli agenti chemioterapici. Infatti tale marcatore utilizza, come pompa di efflusso sulla superficie cellulare, la stessa glicoproteina, p170, che è codificata dai geni del sistema cellulare implicato nella resistenza farmacologica (multidrug resistance, MDR). Pertanto una massa positiva al gallio e negativa al MIBI, indica, in genere, una lesione da LH che può risultare resistente ai farmaci sensibili al sistema MDR, quali antracicline, alcaloidi della vinca ed epipodofillotossine. In presenza invece di una massa positiva al MIBI, all'esordio di malattia, e persistentemente positiva nella fase post-chemioterapia e/o alla ricaduta, è possibile pensare ad un trattamento farmacologico utilizzando gli stessi farmaci chemioterapici. Pur essendo ancora in corso di valutazione, tale metodica sembra pertanto poter indirizzare la scelta ottimale della chemioterapia da utilizzare per la malattia residua post-trattamento e/o per la ricaduta. La scintigrafia con tallio sembra invece di utilità nella diagnostica differenziale tra presenza di LH ed infezione (39, 45). La positività al gallio e negatività al tallio, nel LH, sarebbe infatti più a favore di un processo flogistico (polmonite attinica, polmonite da Pneumocistis carinii), piuttosto che di una persistenza di malattia. Nel sospetto di lesioni ossee, la scintigrafia con tecnezio sembra avere una maggiore utilità rispetto al gallio 67 o, in alternativa, alla RMN o PET. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 25 6 7 LA STRATEGIA TERAPEUTICA Nonostante le basi della strategia terapeutica per il LH siano state definite da oltre 20 anni, non esiste a tutt'oggi unanimità sui programmi di chemio e radioterapia da utilizzare preferenzialmente in ogni specifico stadio di malattia. Spesso le casistiche non sono univoche e quindi sono difficilmente confrontabili, e ciò spiega perchè conclusioni accettabili universalmente siano ancora rare. L'approccio di stadiazione inoltre non è sempre univoco (USA: laparotomico, Europa: staging clinico). Alcune procedure che in passato erano considerate di routine, trovano oggi applicazioni più flessibili. In altre parole, come indicato da Bonadonna "in molti stadi di malattia vi è una scelta di trattamenti, piuttosto che un trattamento di scelta". Ciò si può anche evincere dalle linee guida proposte dal National Cancer Institute e disponibili "online" tramite Internet (OncoLink, Hypermedia PDQ project, [email protected].). La validità o meno di queste diverse opzioni terapeutiche dovrà essere interpretata sulla valutazione del rapporto costo-beneficio, per ciascun paziente. Due punti fondamentali devono essere considerati ai fini del risultato terapeutico: 1. le variabili più critiche nel trattamento rimangono la massa tumorale iniziale e la somministrazione di una dose intensity ottimale di chemioterapia; 2. la resistenza primaria del LH rimane il più grande ostacolo a qualunque terapia adeguatamente somministrata (47-49). Quanto verrà qui di seguito esposto, è frutto di una revisione della letteratura più recente, riferita soprattutto agli studi dei Centri che, a livello internazionale, hanno segnato, negli ultimi decenni, le principali tappe dei risultati terapeutici ottenuti nel LH. Lo sforzo è mirato a dare al lettore una visione, il più possibile semplice e fedele, di quanto emerge dalla letteratura, con specifiche indicazioni terapeutiche per la miglior pratica clinica quotidiana. Una visione riassuntiva delle attuali opzioni terapeutiche standard e dei loro risultati terapeutici, nei vari stadi del LH, è riportata nella Tabella 5. 7.1 TERAPIA DEGLI STADI INIZIALI La radioterapia è generalmente considerata il trattamento di scel- I L L I N F O M A D I H O D G K I N 27 Strategia terapeutica nei diversi stadi del linfoma di Hodgkin Tabella 5 Stadio Strategia Tasso di RC (%) SLM (a 5 anni) (%) Sopravvivenza globale (a 10 anni) (%) I RT (IF, MF, STNI) 100 80-85 >90 II RT (STNI, TNI) o CT o RT ➛ CT (se bulky) 85-100 75-85 80-90 IIIA RT o CT 90-95 75-85 IIIB CT (+ RT se bulky)* 80-85 65-70 70-80 IV CT 75-80 60-70 60-70 III1 85-90 III2 75-80 SLM, sopravvivenza libera da malattia; RC, remissione completa; RT, radioterapia; IF, involved field; MF, mantle field; STNI, subtotal nodal irradiation; CT, chemioterapia *come consolidamento nei casi con malattia bulky ta per i pazienti in stadio precoce (IA-IIA) di LH. Affinché il trattamento radioterapico sia appropriato è richiesta la disponibilità di un acceleratore lineare di moderna concezione ad alta energia (4-10 MeV), il disegno personalizzato dei campi di trattamento sulla configurazione anatomica del singolo paziente e sulla massa tumorale, la somministrazione di dosi tumoricide, il trattamento frazionato a campi contrapposti, la simulazione pre-trattamento ed una attenta verifica in corso di terapia mediante port-film (50). Si tratta di una radiografia eseguita al momento del trattamento radioterapico. Il fascio radiante, impregnando la lastra, disegna in positivo il contorno del campo radiante, e ciò permette un accurato controllo del profilo del campo che realmente si sta irradiando. Particolare attenzione va posta a ciascuno di questi aspetti tecnici del trattamento, allo scopo di ottenere il migliore risultato con i minori effetti collaterali. Quando somministrata secondo gli schemi convenzionali (total nodal irradiation o subtotal nodal irradiation) (Figura 6), la radioterapia determina un controllo permanente della malattia in oltre il 75% dei pazienti (1, 47, 51). Tale trattamento comporta però un E 28 M A T O L O G I A rischio tre volte maggiore di infarto del miocardio, ed un rischio aumentato di 0,5-1% per anno di secondi tumori, che non si riduce neanche a distanza di 20-30 anni dalla fine della terapia (52). Per contro, la laparotomia esplorativa con splenectomia, che deve essere eseguita in casi selezionati per confermare lo stadio clinico I o II, comporta Subtotal nodal Subtotal nodal + spleen un rischio dal 7 al 10% di mortalità per sepsi secondaria all'intervento, e, in base ad alcuni studi, aumenta il rischio di leucemie secondarie (53). Tali complicanze hanno indotto a considerare la chemioterapia in alternativa o in associazione alla radioterapia, Total nodal Total nodal + spleen anche nel controllo degli stadi iniziali del LH (54). Infatti il perfezionamento della terapia medica avvenuto negli ultimi anni, ha spostato la strategia terapeutica verso un più vasto impiego, anche negli stadi iniziali, dei trattamenti multidisciplinari (combined modality) attraverso la sequenza chemioterapia ➛ radioterapia a basse dosi e campi limitati, evitando così la laparotomia da stadiazione, ed una serie di sequele post-irradiazione (48). Dal momento che l'attuale strategia terapeutica è in grado di guarire circa l’80% dei pazienti in stadio I-II, l'obiettivo principale da porsi è quello di diminuire gli effetti tossici che incidono sulla qualità e quantità di vita del paziente. La diminuzione della tossicità può essere raggiunta attraverso una diminuzione delle dosi e dei campi di radioterapia, essendo la dose tumoricida compresa tra 36 e 44 Gy, mentre in associazione alla chemioterapia può essere limitata a 30-35 Gy (50, 55). Tutti gli studi randomizzati atti a dimostrare la superiorità dell'uno o dell'altro approccio nella terapia degli stadi precoci del LH hanno dimostrato una superiorità, peraltro non sempre statisticamente significativa, della chemioterapia sulla sopravvivenza libera da malattia, ma non sulla sopravvivenza globale (Tabella 6) (1, 55-60). Una recente metanalisi condotta su 23 studi, comprendenti globalmente 3000 pazienti, mirati a confrontare l'efficacia della radioterapia verso radioterapia più chemioterapia negli stadi iniziali del LH, ha confermato tali conclusioni (Tabella 6) (61). Quanto ciò sia dovuto all'efficacia Figura 6 • Rappresentazione schematica dei principali campi di radioterapia utilizzati nel linfoma di Hodgkin I L L I N F O M A D I H O D G K I N 29 7 Terapia degli stadi precoci: risultati della letteratura Tabella 6 Terapia Centro SLM Sopravvivenza globale Radioterapia (TNI o STNI) Controllo storico Stanford (Ref.1) (a 20 anni) 75% (a 20 anni) 68% metanalisi di 23 studi randomizzati (2999 pazienti) (Ref.56) (a 10 anni) 82.9% (P < 0.01) 53.9% 39.9% (a 10 anni) 78.9% (P = NS) 78.5% (P < 0.05) 73.9% (a 6 anni) 80% 75% (a 6 anni) 91% (P = NS) 92% (a 7 anni) 77% (P = NS) 70% (a 7 anni) 92% (P = NS) 91% (a 17 anni) 85% (P = 0.02) 64% (a 17 anni) 93% (P = 0.04) 76% (a 8 anni) 71% (P = NS) 70% (a 8 anni) 56% (P < 0.01) 93% RT+CT R EF RT IF 1) Maryland (MOPP vs EF+MOPP) (36 pts) (Ref.57) CT R CT+RT 2) GATLA (CVPP vs CVPP+IF+CVPP) (Ref.58) CT 1) NCI (MOPP vs RT (136 pts) (Ref.59) R RT 2) Italy (MOPP vs STNI) (89 pts) (Ref.60) SLM: sopravvivenza libera da malattia; RT: radioterapia; CT: chemioterapia; R: randomizzazione; TNI: total nodal irradiation; STNI: subtotal nodal irradiation; EF: extended field; IF: involved field della chemioterapia nel recuperare i pazienti che ricadono dopo sola radioterapia, non è noto anche perchè, almeno in parte, questo risultato dovrebbe essere controbilanciato dalle morti per secondo tumore che prevalgono nel gruppo trattato con sola radioterapia. Per contro, il follow-up di questi pazienti è troppo breve per sapere se, associando E 30 M A T O L O G I A la chemioterapia ad una radioterapia limitata, si sia raggiunto l'obiettivo di una minore tossicità a lungo termine. In ogni caso, per non incorrere in una diminuzione dei risultati terapeutici, è fondamentale scegliere, per ciascuno di questi pazienti, una strategia terapeutica che tenga conto non solo dello stadio ma anche dei fattori prognostici (Tabella 7) (62-65). Nell'ambito di tale separazione è infatti possibile Fattori prognostici nella malattia di Hodgkin stadio I-II Tabella 7 Categorie Molto favorevole (< 10% dei pazienti) Trattamento: RT Favorevole (75-80% dei pazienti) Trattamento: CT o RT Istituzioni Caratteristiche Stanford: (Ref.62) - stadio IA, donna - stadio IA, solo mediastino - stadio IA, maschio, PL* - stadio IIA, donna - età <27 anni con 1-3 sedi di malattia EORTC: (Ref.63) - stadio IA, donna - età < 40 anni - istologia *PL o ^SN - VES < 50, no sintomi B Harvard JCRT: (Ref.64) - stadio IA, donna - stadio IA, maschio, PL* - presentazione alta al collo Princess MH: (Ref.65) - stadio IA, presentazione alta al collo EORTC: pazienti che non entrano nel I e III gruppo Princess MH: - no sintomi B - età ² 50 anni - VES ² 40 - adenopatia < 10 cm Ø - istologia PL o SN EORTC: - età > 50 anni - sintomi B con VES > 30 - VES > 50 - mediastino bulky - 4 o più sedi di malattia Princess MH: pazienti che non entrano nel I e II gruppo Sfavorevole (10-15% dei pazienti) Trattamento: CT+RT (su eventuale bulky) * PL: prevalenza linfocitaria; ^SN: scleronodulare; RT: radioterapia; CT: chemioterapia distinguere tre gruppi di pazienti: quelli a prognosi molto favorevole, quelli con prognosi favorevole e quelli a prognosi sfavorevole (Tabella 7). Il gruppo a prognosi molto favorevole comprende le donne in stadio IA o IIA, di età inferiore a 26 anni ed i maschi in stadio IA con LH PL, tutti a localizzazione sovradiaframmatica e con meno di 4 sedi di malattia. Tali soggetti, che costituiscono circa il 10% dei pazienti in stadio iniziale, hanno una probabilità inferiore al 10% di avere localizzazioni addominali all'esordio. Questi pazienti possono quindi ragionevolmente evitare lo staging laparotomico ed essere avviati ad un trattamento radioterapico a campi limitati (mantle field), che offre il vantaggio di essere breve, non induce rischio di secondi tumori a livello addominale, e non compromette il potenziale recupero con chemioterapia in caso di ricaduta (51, 66, 67). Va sottolineato, comunque, che questo tipo di strategia offre sufficienti garanzie di guarigione solo nei casi che presentano le caratteristiche sopraesposte di prognosi molto favorevole. Questi pazienti, dato comunque il rischio, se pur modesto, di ricaduta addominale, vanno attentamente seguiti nel follow-up con TAC addomino-pelvica. Anche i pazienti in stadio patologico I-IIA, dopo staging laparotomico risultato negativo e senza malattia bulky, possono essere trattati con sola radioterapia a campi limitati, riservando la chemioterapia all'eventuale ricaduta (66, 67). I pazienti che, all'esordio di malattia, manifestano le caratteristiche prognostiche del gruppo sfavorevole (Tabella 7), vanno avviati ad un trattamento con uno schema di polichemioterapia, senza necessità di uno staging laparotomico, e successiva radioterapia di consolidamento in presenza di malattia bulky. La scintigrafia con gallio 67 può essere utile per indicare il numero di cicli di chemioterapia richiesto per il controllo locale della malattia mediastinica. Per i pazienti del gruppo intermedio che, all'esordio di malattia, presentano caratteristiche di prognosi favorevole (circa il 75-80% del totale), non c'è al momento unanimità di vedute sul miglior approccio terapeutico, vale a dire la radioterapia tradizionale, la chemioterapia, o l'associazione di chemio e radioterapia. L'inserimento di alcuni cicli di chemioterapia nel programma terapeutico, permette comunque di limitare i campi e ridurre i dosaggi del trattamento radioterapico, in modo da non superare i 40 Gy, dose correlata al rischio di insorgenza di tumori solidi (carcinomi della mammella, della tiroide e sarcomi) nel follow-up. Vanno evitati gli agenti alchilanti (regimi tipo MOPP) per il rischio di leucemia secondaria (2% rischio di leucemia acuta che peraltro si azzera 10 anni dopo il trattamento) e di infertilità. Il regime ABVD non causa infertilità e non appare leucemogeno, ma il 3% dei pazienti trattati con questo schema può andare incontro a fibrosi polmonare grave e mortale. I regimi ibridi tipo MOPP-ABV, o l'alternanza di cicli (MOPP/ABVD) dimezzano il rischio di infertilità degli agenti alchilanti, e non risultano associati ad un incrementato rischio di leucemia o fibrosi polmonare. Inoltre la dose cumulativa di antraciclina, E 32 M A T O L O G I A prevista nell'alternanza dei cicli, è inferiore alla dose minima consigliata per non incorrere in tossicità cardiaca a distanza (47, 48, 51). Tale approccio, per i pazienti negli stadi iniziali di LH, sembra essere il più vantaggioso anche se sono necessari altri anni di follow-up per valutare il reale vantaggio dell'inserimento della chemioterapia sulla tossicità a lungo termine. Sono in corso di valutazione schemi di polichemioterapia con l'uso di farmaci meno cardiotossici, quali per esempio il NOVP (novantrone, vincristina, vinblastina e prednisone) o di altri, con l'intento di diminuire la tossicità polmonare conseguente all'uso di bleomicina, quali l’EVA (etoposide, vinblastina, adriamicina). La splenectomia trova attualmente indicazione solo nei pazienti adulti in presenza di notevole splenomegalia, quando la radioterapia è programmata come primo intervento, onde evitare una eccessiva radioterapia al rene ed alla base polmonare di sinistra (48). In tali casi è consigliato sottoporre il paziente a vaccinazione antipneumococcica, prima possibile e comunque almeno 20 giorni prima dell'intervento di splenectomia, per permettere una adeguata produzione anticorpale (39). L’utilizzo della vaccinazione prima della splenectomia ha drasticamente diminuito il numero e la gravità delle infezioni batteriche da microorganismi capsulati (Hemophilus influentia tipo B, meningococco e pneumococco). Alcuni autori suggeriscono l’associazione con penicillina post-splenectomia in profilassi, per pazienti a maggior rischio (bambini), o per pazienti in cui la vaccinazione sia stata eseguita subito prima dell’intervento. La Commissione Nazionale Americana sulle indicazioni alla immunizzazione raccomanda che tutti i pazienti affetti da LH, siano essi avviati o no alla splenectomia, vengano sottoposti a vaccinazione antibatterica almeno una settimana prima dell’inizio del trattamento chemio o radioterapico. (Recommendations of the Advisory Committee of Immunization Practices: use of vaccines and immune globulins for persons with altered immunocompetence. Morbidity and Mortality Weekly Report 42 (RR-4): 1-18, 1993). Alcuni autori raccomandano inoltre una reimmunizzazione per tutti e tre i vaccini due anni dopo il completamento del trattamento, e per il vaccino pneumococcico ogni sei anni successivamente (39). In conclusione, radioterapia e chemioterapia risultano ugualmente efficaci nel controllo locale della malattia di Hodgkin, e pertanto possono essere ugualmente utilizzate nella buona pratica clinica corrente. La radioterapia rimane il trattamento di scelta nei pazienti in stadio limitato con fattori prognostici molto favorevoli, nei pazienti con malattia bulky, come consolidamento dopo la chemioterapia, e in caso di risposta parziale dopo chemioterapia. Per il gruppo intermedio a prognosi favorevole (Tabella 7), la chemioterapia ha dimostrato di avere uguale efficacia rispetto alla radioterapia, mentre la combinazione di chemio e radioterapia non sembra essere più vantaggiosa (Tabella 6). Schemi di poliche- I L L I N F O M A D I H O D G K I N 33 7 mioterapia non contenenti alchilanti o schemi di polichemioterapia alternante potrebbero costituire il trattamento di scelta in questi pazienti, evitando così lo staging laparotomico, e con la speranza di ottenere minori sequele a distanza, in particolare i tumori radioindotti. Infine la chemioterapia di combinazione appare il trattamento di scelta nei pazienti in stadio iniziale ma con fattori prognostici sfavorevoli all'esordio. 7.2 NORME PRECAUZIONALI PER I PAZIENTI IN STADIO INIZIALE Opportuna appare la criopreservazione dello sperma per pazienti giovani da sottoporre a chemioterapia alternata, con la consapevolezza, comunque, che circa un terzo dei pazienti manifesta già prima del trattamento una ipoazoospermia ed una ridotta mobilità degli spermatozoi. Per le pazienti di sesso femminile, appare invece opportuna una terapia ormonale atta a mantenere quiescente il sistema riproduttivo, onde ridurre i danni tossici da chemioterapia. I pazienti trattati con radioterapia a mantellina, se fumatori, devono essere scoraggiati dal perseverare nel fumo di sigaretta a causa del maggior rischio di tumore polmonare (68). Le donne trattate con lo stesso tipo di radioterapia, in età compresa tra i 20 e i 30 anni, vanno seguite con screening mammografici periodici, specie a partire dall'ottavo anno dalla fine del trattamento, a causa dell'incrementato rischio di tumore alla mammella (69). 7.3 TERAPIA DEGLI STADI AVANZATI Negli stadi avanzati di LH (III, IV) la chemioterapia di combinazione costituisce il trattamento di prima linea. Pur se l'argomento è stato oggetto di numerose controversie, i risultati di molti studi appaiono concordi nell'indicare che, nei pazienti in stadio avanzato, una terapia con schema ABVD protratta per 6-8 mesi, è di eguale efficacia rispetto ad uno schema che alterni MOPP ed ABVD per 12 mesi (o regimi ibridi MOPPABV), e che entrambe queste due prime opzioni offrono, in termini di sopravvivenza libera da malattia, risultati superiori allo schema MOPP tradizionale (70, 71). Tali studi hanno pure chiaramente posto in rilievo la grande efficacia terapeutica della doxorubicina, anche nel trattamento del LH. La superiorità terapeutica degli schemi contenenti doxorubicina, rispetto a regimi tipo MOPP, è stata ulteriormente confermata da un recente trial randomizzato, in cui il regime ChlVPP/EVA (chlorambucil, vinblastina, prednisone, procarbazina/etoposide, vincri- E 34 M A T O L O G I A stina, doxorubicina) è stato comparato allo schema MVPP (mecloretamina, vinblastina, procarbazina, prednisone), in gruppo di 423 pazienti in stadio avanzato e/o fattori prognostici sfavorevoli. Sia il tasso di remissioni complete (68% vs 55%) che la sopravvivenza libera da malattia a cinque anni (80% vs 66%), si sono dimostrate superiori per il regime ChlVPP/EVA (49). Al contrario, la mancanza di una univoca dimostrazione della superiorità degli schemi di polichemioterapia sequenziale a 6-8 farmaci, rispetto allo schema a 4 farmaci ABVD, ha fatto riconsiderare l'assunzione teorica che, nel LH, l'alternanza di più di quattro farmaci non-cross resistenti conferisca un vantaggio reale della probabilità di guarigione. In tale luce, il vantaggio degli schemi alternanti o ibridi, rispetto alla terapia MOPP, potrebbe quindi essere dovuto al fatto che l'intensità di dose ottimale viene più facilmente mantenuta in base alla ridotta presenza di tossicità sovrapposta tra un ciclo e quello successivo (47). Questi risultati confermano ulteriormente, quanto sostenuto da De Vita già nel 1987, e cioè che i risultati della MOPP (e di altri schemi terapeutici) sono strettamente correlati all'intensità di dose effettivamente somministrata dei singoli agenti chemioterapici. Esiste infatti una significativa differenza nella percentuale di remissioni complete, e nel rischio di recidiva tardiva, a seconda che la dose somministrata risulti maggiore o inferiore al 65% della dose prevista (72). Con la chemioterapia di combinazione tradizionale, circa l’80% dei pazienti ottiene una remissione completa e, a 5 anni, oltre il 60% dei pazienti persiste in remissione (Tabella 5). Appare quindi che, nei pazienti affetti da LH in stadio avanzato, è necessario ottenere il miglioramento di questi risultati terapeutici. L'analisi critica dei risultati terapeutici sopra esposti, e la revisione dell'ipotesi di Goldie e Coldman (73), hanno chiaramente posto l'accento sull'importanza della intensità di dose (dose intensity) e della quantità di dose (dose size) dei singoli agenti chemioterapici, per l'ottenimento rispettivamente della remissione completa e della guarigione nei pazienti affetti da neoplasie chemiosensibili, linfomi in particolare. Viceversa la dose cumulativa totale oltre un certo limite, e quindi il prolungamento della chemioterapia oltre due cicli dall'ottenimento della remissione completa, comporterebbe solo un aumento della tossicità cumulativa, e quindi delle sequele a lungo termine. Intensità e quantità di dose dei singoli agenti chemioterapici risulterebbero due elementi distinti, ed entrambi importanti, per l'ottenimento rispettivamente della remissione completa e della guarigione dei pazienti affetti da LH. Mentre una maggiore quantità di chemioterapico (dose size) consentirebbe l'eliminazione di un maggior numero di cellule tumorali potenzialmente chemioresistenti, una elevata intensità di dose (riciclo del chemioterapico a tempi più ravvicinati) eliminerebbe un maggior numero di cellule primariamente chemiosensibili, riducendo le possibilità di riparazione cellulare del danno indotto dai farmaci. Infatti, I L L I N F O M A D I H O D G K I N 35 7 se il quantitativo di farmaco somministrato è inefficace, a prevenire la resistenza o uccidere le cellule resistenti ab initio, esso continuerà a rimanere inefficace, indipendentemente dall'intensità con la quale tale dose viene somministrata. L'intensità di dose, somministrata al singolo paziente, sembra invece influenzare in modo preponderante la probabilità di ottenere la remissione completa, premessa per la guarigione. In base a questi elementi, le strategie tese a migliorare i risultati a lungo termine della terapia per il LH avanzato, si sono mosse nella direzione di migliorare la dose intensity, la dose size o entrambe. Hasenclever ha di recente sviluppato un modello matematico dallo studio retrospettivo di 750 pazienti affetti da LH, entrati nei protocolli del gruppo tedesco (74). Due osservazioni importanti emergono da questo studio: la prima è che circa il 20% dei pazienti sarebbe ugualmente guarito con la metà del trattamento chemioterapico eseguito, vale a dire con 4 cicli invece di 8. Ciò fa ragionevolmente pensare ad una eterogenea sensibilità dei pazienti affetti da LH agli agenti chemioterapici, per quanto risulti difficile individuare caratteristiche che identifichino tali pazienti a priori. Ciò rinforza il suggerimento di una ristadiazione dopo il 4˚ ciclo di chemioterapia, e il concetto che, qualora il paziente sia in remissione completa, è sufficiente consolidare la risposta con soli altri 2 cicli di chemioterapia. La seconda osservazione suggerisce che incrementando del 30% la dose di ciclofosfamide, adriamicina ed etoposide, il 10% in più dei pazienti sopravvive libero da malattia a 5 anni (74). In base ai dati di Hasenclever, ai fini della guarigione del LH avanzato, l'incremento della dose dei singoli agenti chemioterapici apparirebbe di maggiore efficacia rispetto all'ottenimento di una dose intensity superiore. Un esempio di dose escalation ci viene appunto dal gruppo tedesco che ha ideato il protocollo BEACOPP (bleomicina, etoposide, adriamicina, ciclofosfamide, vincristina, procarbazina, prednisone) escalated, in cui ciclofosfamide, adriamicina ed etoposide vengono somministrati con un incremento di dose del 30%, rispetto allo schema BEACOPP standard, mantenendo gli stessi intervalli di tempo tra un ciclo e l'altro, attraverso l'uso concomitante del G-CSF (74). Tale protocollo è attualmente in corso di valutazione in uno studio randomizzato, in confronto all'alternanza COPP/ABVD. Nella logica della intensificazione di dose, il gruppo di Stanford ha ideato un protocollo integrato chemio-radioterapico denominato Stanford V (Tabella 8). Tale protocollo prevede la somministrazione settimanale di chemioterapici per 12 settimane consecutive, seguita da radioterapia di consolidamento a dosi e volumi ridotti (36 Gy solo sul bulky iniziale inteso come massa > 5 cm di diametro) (75). Somministrato a 94 pazienti in stadio II bulky, III-IV, tale schema ha prodotto, a sei anni, il 93% di sopravvivenza globale e l'89% di sopravvivenza libera da malattia (75). In particolare è stata osservata una sopravvivenza libera da malattia del 100%, a sei anni, nei pazienti in stadio II bulky, 91% per gli stadi III e 78% per gli stadi IV (76). E 36 M A T O L O G I A Stanford V: confronto con MOPP-ABV Tabella 8 Farmaci Dose singola (mg/m2) Mostarda azotata Vinblastina Procarbazina Adriamicina Bleomicina Vincristina Etoposide Prednisone 6 Settimane Dose totale Totale 12 settimane MOPP-ABV (mg/m2) x8 cicli (mg/m2) 1, 5, 9 6 0 25 5 (U/m2) 1.4 60x2gg 40 18 48 1, 3, 5, 7, 9, 11 36 0 0 1, 3, 5, 7, 9, 11 150 2, 4, 6, 8, 10, 12 30 (U/m2) 2, 4, 6, 8, 10, 12 8.4 3, 7, 11 360 a dì alterni per 12 settimane 1680 48 5600 280 80 (U/m2) 11.2 0 2240 Nessuno dei pazienti è morto per tossicità, e comunque sono suggerite strette misure precauzionali di profilassi delle possibili infezioni (da Pneumocistis carinii, Herpes zoster, fungine) e della eventuale gastrite da steroidi. Come si può evincere dalla Tabella 8, lo schema Stanford V comporta, rispetto a 8 cicli del regime ibrido MOPP-ABV, un dimezzamento della dose di adriamicina, una riduzione del 65% delle dosi di bleomicina e mostarda azotata, mentre viene mantenuto il 65% della dose di vinblastina e viene lievemente ridotta la dose totale di cortisone. Viene inoltre eliminata la procarbazina ed inserito l'etoposide. Ciò dovrebbe determinare un notevole impatto sulla riduzione di sequele a lungo termine. Il vantaggio di un regime tipo Stanford V è la breve durata della chemioterapia (12 settimane), a confronto dei 6 o più mesi richiesti per un programma standard. Il breve periodo di trattamento permette un più rapido reinserimento dei pazienti nella vita quotidiana, con un impatto psicologico positivo (76). Sono peraltro necessari studi randomizzati, attualmente in corso, che confrontino i risultati del protocollo Stanford V con protocolli alternanti o ibridi, in termini di durata della risposta e sequele a lungo termine. Comunque, nei pazienti trattati con lo schema Stanford V, non sono stati rilevati fino ad oggi deficit della funzione riproduttiva (76). Anche se l'introduzione dell'etoposide potrebbe comportare un rischio di leucemie secondarie legate all'uso di inibitori della topoisomerasi, è da sottolineare che tale rischio è direttamente proporzionale alla dose di etoposide che, nello schema Stanford V, risulta inferiore alla dose cumulativa che conferisce il rischio leucemogeno. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 37 Un ulteriore approccio terapeutico innovativo, è quello sperimentato presso l'Istituto Tumori di Milano, che consiste nell'utilizzo di singoli agenti chemioterapici somministrati in maniera sequenziale ad un massimo dosaggio (77). Tale strategia, inizialmente utilizzata con successo come schema di salvataggio per i pazienti refrattari o precocemente ricaduti (77), rappresenta il tentativo di sfruttare al meglio il concetto teorico di dose size e dose intensity. In tale procedura non verrebbe però sfruttato al meglio l'effetto sinergico tra i chemioterapici, trattandosi di fatto di una mega monochemioterapia sequenziale. Sono a tutt'oggi noti i risultati preliminari in termini di remissioni complete di tale studio, che si assestano intorno al 75%, ma non sono ancora disponibili i risultati sulla sopravvivenza libera da malattia a lungo termine. Numerosi altri schemi di chemioterapia di combinazione sono stati sviluppati negli ultimi anni nel tentativo di evitare i farmaci più tossici, quali gli agenti alchilanti, la bleomicina o le antracicline. In particolare lo schema VBM (vinblastina, bleomicina e metotrexate) sviluppato a Stanford, si è dimostrato clinicamente attivo senza indurre sterilità né leucemie secondarie. Altri esempi sono rappresentati dallo schema ChlVPP/EVA, sopra ricordato, VEEP (vincristina, etoposide, epirubicina, prednisone), EVA (etoposide, vinblastina, doxorubicina). Tali regimi sono attualmente in via di valutazione in studi randomizzati nei confronti degli schemi chemioterapici più tradizionali (47, 49, 51). La probabile minor tossicità dei regimi di nuova concezione va comunque soppesata alla luce della loro reale attività clinica nel LH avanzato. Ad esempio, lo schema VEEP, adottato in 85 pazienti in stadio II-IV, è apparso in grado di evitare danni al sistema riproduttivo in oltre il 92% dei pazienti, e di ottenere risultati clinici, nell'intero gruppo di pazienti, comparabili a quelli di altri regimi di prima linea (89% di sopravvivenza globale e 62% di sopravvivenza libera da malattia, a cinque anni). Se però si analizzano separatamente i pazienti con malattia in stadio III e IV, la sopravvivenza libera da malattia, a cinque anni, si attesta intorno al 49%, dimostrando che tale regime non è, apparentemente, in grado di assicurare un controllo efficiente della malattia in stadio avanzato (49). 7 . 4 R U O L O D E L L A R A D I O T E R A P I A N E G L I S TA D I AVANZATI Il ruolo della radioterapia negli stadi avanzati del LH è un punto controverso (78-81). C'è accordo nel ritenere l'utilità della radioterapia in associazione alla chemioterapia nelle seguenti situazioni: a. nei pazienti che non raggiungono la remissione completa con la chemioterapia e che costituiscono il 10-30% dei pazienti in stadio avanzato; E 38 M A T O L O G I A b. nei pazienti che presentano interessamento mediastinico bulky, e che costituiscono il 20-30% dei pazienti; c. come terapia di salvataggio nei pazienti che ricadono dopo trattamento chemioterapico; d. come parte di un protocollo integrato (per esempio Stanford V); e. come componente di un programma di terapia mieloablativa. Per ciò che attiene i punti a, b e c, molti autori sono concordi nel ritenere che vi sia un miglioramento sia sulla sopravvivenza globale che sulla sopravvivenza libera da malattia con la combinazione chemioradioterapica. In particolare, nei pazienti ricaduti dopo oltre un anno dalla fine della precedente chemioterapia, il 65% ottiene una remissione completa e circa il 50% ottiene la guarigione con la sola radioterapia (81). Viceversa solo il 25% dei pazienti che ricadono entro un anno dalla fine della chemioterapia, ottegono una risposta alla radioterapia (81). Inoltre, se la ricaduta è limitata alle stazioni linfonodali, il 52% dei pazienti ottiene una remissione completa con radioterapia, mentre se la ricaduta è a livello extranodale, oltre che linfonodale, solo il 29% dei pazienti ottiene una risposta duratura (81). L'utilizzo della radioterapia come strategia primaria di salvataggio, pur se rappresenta un opzione da tener presente, non può essere considerato un approccio standard, poichè i risultati disponibili sono limitati a pochi pazienti. Inoltre essa va considerata una opzione da limitare ai pazienti che presentano fattori prognostici favorevoli ed in particolare ai soggetti ricaduti dopo un lungo intervallo libero da malattia (81). I risultati di un salvataggio con sola radioterapia, appaiono in questi pazienti (prognosi favorevole) superiori a quelli ottenibili con terapia mieloablativa (82). Non c'è invece al momento unanimità sull'utilizzo della radioterapia come consolidamento in tutti i pazienti in stadio avanzato. Da una recente metanalisi condotta da Leoffler per il gruppo internazionale dello studio sul LH, non sembra esserci un vantaggio sulla sopravvivenza per i pazienti trattati anche con radioterapia (78). Si è infatti dimostrato che la radioterapia diminuisce solo la frequenza di recidive, e pertanto, se consideriamo il rischio di secondi tumori dovuto all'associazione radio-chemioterapica, e di infarto del miocardio, la radioterapia non va consigliata come opzione routinaria nel trattamento del LH avanzato. 7.5 TERAPIA DELLA RICADUTA La strategia di salvataggio per i pazienti ricaduti rimane oggetto di controversia anche se appare chiaramente stabilito che essa deve essere disegnata sulle caratteristiche prognostiche del singolo pazien- I L L I N F O M A D I H O D G K I N 39 7 te. A tale riguardo è bene precisare che, alla luce delle attuali conoscenze, la prognosi dei pazienti ricaduti appare maggiormente influenzata dalla durata della prima remissione, più che dal tipo di strategia di salvataggio. In generale, solo il 30% dei pazienti che ricadono entro i primi 12 mesi di trattamento (early relapse) ottiene una seconda remissione completa, e meno del 15% ottiene una guarigione (83). Invece, i pazienti la cui remissione è durata più di dodici mesi (late relapse) possono essere recuperati con la chemioterapia di combinazione, probabilmente anche la stessa utilizzata in prima linea, ed ottenere una guarigione nel 25-45% dei casi (84). I pazienti con LH in stadio iniziale (I-II) alla diagnosi, ricaduti dopo trattamento con radioterapia convenzionale a campi estesi, hanno in genere una buona prognosi e possono essere recuperati con chemioterapia di combinazione. Per questi pazienti, infatti, la terapia con schemi tipo MOPP o ABVD, risulta, a dieci anni, in una sopravvivenza libera da malattia del 57-80% con una sopravvivenza globale tra il 58 e l'81% (85-87). Nei pazienti ricaduti dopo trattamento con chemioterapia MOPP, e che hanno mantenuto la remissione per più di un anno, è possibile, con schemi tipo ABVD, B-CAVe o EVA, ottenere una lunga sopravvivenza in circa il 40% dei casi. Inoltre, nei pazienti inizialmente trattati con lo schema MOPP e ricaduti dopo più di un anno, il gruppo dell'NCI ha ottenuto una sopravvivenza libera da ulteriori ricadute, a 10 anni, di circa il 45%, utilizzando come terapia di salvataggio lo stesso schema MOPP (47). Ciò ha fatto ipotizzare che, in una considerevole frazione di questi pazienti, la ricaduta sia dovuta alla somministrazione di una inadeguata dose intesity di terapia MOPP, più che ad una resistenza primaria del linfoma (47). Al contrario, nei pazienti ricaduti entro i primi dodici mesi dalla chemioterapia iniziale, i diversi schemi di salvataggio non ottengono, in genere, una lunga sopravvivenza in più del 11-15% dei casi. In generale, appare ragionevole trattare questi pazienti con ABVD, se primariamente sottoposti a schema MOPP, o viceversa, allo scopo di reindurre una seconda remissione completa, il che si ottiene in circa il 60% dei casi, e valutare successivamente, in base ai fattori prognostici, la possibilità di una terapia mieloablativa con rescue emopoietico autologo (vedi oltre). Per i pazienti che ricadono precocemente dopo uno schema alternante (MOPP/ABVD), è possibile utilizzare schemi di salvataggio tipo CEP (CCNU, etoposide, prednimustina), MIME (metil-GAG, ifosfamide, metotrexate, etoposide) o contenenti cisplatino (es. DHAP: desametazone, ARA-C, platino), considerare l'impiego della vinorelbina, da sola (30 mg/m 2 /settimana) o associata a ifosfamide o in schemi di combinazione tipo MINE (metil-GAG, ifosfamide, vinorelbina, etoposide), o valutare la possibilità di una terapia sub-mieloablativa con o senza rescue emopoietico (es. mini-BEAM). Esiste inoltre un piccolo sottogruppo di pazienti che, dopo terapia iniziale con schemi MOPP o ABVD, può mostrare una ricaduta linfonoda- E 40 M A T O L O G I A le limitata. In tali pazienti, dopo un re-staging accurato (compresa una eventuale laparotomia) che abbia confermato l'assenza di malattia disseminata, utilizzando la sola radioterapia a campi estesi (subtotal nodal o total nodal) o l'associazione di radioterapia a campi limitati (mantle field) e chemioterapia, si possono ottenere lunghe soppravvivenze in circa il 50% dei casi. Per i pazienti ricaduti precocemente con malattia estesa e/o altri fattori prognostici sfavorevoli, va seriamente considerata la possibilità di un salvataggio con chemioterapia mieloablativa e rescue emopoietico autologo (midollo o progenitori periferici). Con tali procedure (vedi oltre) appare possibile ottenere una sopravvivenza libera da malattia, a 3-4 anni, variabile dal 28 al 47% dei casi (88, 89). Come dimostrato da alcuni di questi studi, inoltre, la somministrazione di radioterapia (involved field) sull'eventuale residuo di malattia, dopo chemioterapia mieloablativa con rescue midollare, appare in grado di conferire un ulteriore vantaggio in termini di sopravvivenza libera da progressione. 7.6 RUOLO DELLA TERAPIA MIELOBLATIVA La chemioterapia mieloablativa o sub-mieloablativa seguita da reinfusione di progenitori emopoietici da midollo osseo o sangue periferico, sembra costituire oggigiorno l'approccio più promettente per i pazienti affetti da LH refrattario o precocemente ricaduto (49, 88). Esiste peraltro un solo studio randomizzato del gruppo inglese, che ha dimostrato la superiorità della megaterapia con rescue midollare rispetto alla terapia convenzionale (sopravvivenza libera da malattia del 53% a tre anni contro il 10%) nei pazienti refrattari o ricaduti (89). Tale procedura è gravata da una mortalità che persiste elevata (10-16% secondo i dati dell'European Bone Marrow Transplantation Registry). Particolarmente a rischio risultano i pazienti in seconda o terza ricaduta, con performance status scarso, ricaduti a livello mediastino-polmonare, e precedentemente trattati anche con radioterapia mediastinica. Per tali pazienti il rischio di mortalità raggiunge il 25%. I risultati globali sono molto influenzati dalla selezione dei pazienti. La durata delle remissioni ottenute con la terapia mieloablativa, è correlata all'ottenimento di una remissione completa indotta da una precedente chemioterapia di salvataggio convenzionale, mentre il rischio di mortalità durante la procedura trapiantologica appare legato alle condizioni generali del paziente prima del trattamento mieloablativo. Dal momento che la ricaduta post-radioterapia è facilmente controllabile con una terapia convenzionale, e così pure una ricaduta che compare dopo 12 mesi dalla fine della pregressa chemioterapia (che come prima ricordato può essere "recuperata" anche utilizzando lo stesso schema di chemioterapia iniziale), la terapia mieloablativa trova al momento indi- I L L I N F O M A D I H O D G K I N 41 7 cazione solo nei pazienti affetti da LH resistente, o che ricadono precocemente (<12 mesi) dopo chemioterapia, o in seconda e terza ricaduta (47, 49, 90). I dati attualmente disponibili in letteratura (Tabella 9), peraltro molto eterogenei, dimostrano che è possibile ottenere una percentuale di remissioni complete dal 46 all'80%, con una sopravvivenza libera da malattia a 3-4 anni, molto variabile (tra il Risultati di alcuni studi con chemioterapia ad alte dosi con rescue emopoietico autologo nel linfoma di Hodgkin refrattario o in ricaduta precoce Tabella 9 Ref. Pazienti Tipologia Regime Mortalità (%) SG (%) SLM (%) 88 85 REF/RIC TBI o CVB 13 75 58 a 2 anni 91 30 REF CVB±P 16 60 42 a 3.6 anni 92 62 REF/RIC CVB 0 NR 37 a 3.8 anni 77 25 REF/RIC HDS+TBI 4 54 48 a 6 anni SG: sopravvivenza globale; SLM: sopravvivenza libera da malattia; REF: pazienti refrattari; RIC: pazienti ricaduti; CVB: ciclofasfamide, BCNU, etoposide; TBI: total body irradiation; P: cisplatino; HDS: high dose sequential (ciclofosfamide, metotrexate, etoposide, melphalan) 27 ed il 47% secondo le varie casistiche) (91, 92). I fattori prognostici che influenzano il successo della terapia mieloablativa comprendono il performance status, più di 2 insuccessi alla precedente chemioterapia, presenza di malattia bulky, massa tumorale, precedente durata della malattia. A prognosi particolarmente sfavorevole risultano i pazienti di età inferiore a 15 anni e superiore ai 60 anni, mentre il sesso maschile sarebbe globalmente a prognosi più favorevole. Armitage segnala che circa il 50% dei pazienti trattati con terapia mieloablativa ricade precocemente e la mediana di sopravvivenza dei ricaduti è inferiore ad un anno (90). Rimane inoltre da chiarire se il tipo di chemioterapia utilizzata per reindurre la remissione, prima delle procedure trapiantologiche, possa influenzare l'esito a lungo termine della terapia mieloablativa. A tale riguardo, alcuni gruppi stanno esaminando l'utilizzo di schemi contenenti farmaci non inseriti nei classici protocolli per il LH, come il cisplatino, l'etoposide e l'ARA-C (DHAP, CVP). E 42 M A T O L O G I A L'utilizzo della radioterapia è piuttosto controverso. Il suo impiego sotto forma di irradiazione totale corporea (TBI), aumenta il rischio di tossicità polmonare acuta, spesso fatale, specialmente nei pazienti pretrattati a livello mediastinico con radioterapia convenzionale. Al contrario, l'aggiunta della radioterapia sulle sedi residue di malattia, non completamente eradicate dalla megaterapia di condizionamento, aumenta la percentuale di remissioni complete di circa il 10-20% (93). Anche il tipo di terapia mieloablativa utilizzata potrebbe costituire una variabile importante nel determinare l'esito finale della procedura. Ad esempio, il regime di condizionamento BEAM (BCNU, etoposide, AraC, melphalan) utilizzato prevalentemente in Europa, sembra essere meno tossico del regime CBV (ciclofosfamide, BCNU, VP16) americano, e anche più efficace nel controllo a lungo termine delle recidive (sopravvivenza libera da malattia a cinque anni del 45% contro il 30%, p<0.0001), per quanto le morti tossiche siano correlate alle condizioni dei pazienti avviati alla megaterapia. Anche per il LH si è dimostrato più vantaggioso, per il rescue ematologico, l'utilizzo di progenitori emopoietici autologhi da sangue periferico rispetto al classico espianto midollare. La mediana di recupero dei valori dei neutrofili (> di 0,5 x 10 9 /l) è risultata di 20 giorni per i pazienti sottoposti a reinfusione di midollo autologo, contro i 13 giorni per i pazienti reinfusi con progenitori da sangue periferico. Anche per le piastrine la ripresa è stata più veloce con l'utilizzo di progenitori del sangue periferico (mediana 16 giorni contro 30 giorni). L'utilizzo di procedure trapiantologiche di tipo allogenico, in pazienti con LH refrattario o ricaduti con fattori prognostici sfavorevoli, può ridurre l'incidenza delle ricadute post-trapianto, anche se tali benefici sono controbilanciati da una superiore tossicità (94, 95). Alcuni trial attualmente in corso inseriscono procedure trapiantologiche in pazienti a prognosi sfavorevole, come consolidamento di una remissione ottenuta con chemioterapia convenzionale. Particolarmente interessante appare uno studio italiano in cui i pazienti, in stadio avanzato e con fattori prognostici sfavorevoli (malattia bulky, malattia extranodale, elevati livelli di LDH, etc.), vengono randomizzati tra 8 cicli di MOPP/ABVD verso 4 cicli di MOPP/ABVD seguiti da terapia mieloablativa e rescue emopoietico autologo. In una analisi dei risultati (1983-1995) del suo studio pilota, il gruppo di Genova ha infatti evidenziato che il 77% dei pazienti con LH stadio IV ad alto rischio sottoposti a trapianto autologo (con condizionamento CVB o BEAM) dopo risposta completa a MOPP/ABVD, sopravvive in remissione completa a 86 mesi, contro il solo 33% dei pazienti che, pur avendo le stesse caratteristiche sfavorevoli, avevano, per motivi diversi, rifiutato il trapianto (96). L'utilizzo di tali procedure in prima linea in pazienti potenzialmente guariti, è da considerarsi con cautela e comunque ancora sperimentale, tenendo in conto anche i rischi di mortalità della proce- I L L I N F O M A D I H O D G K I N 43 7 dura e le tossicità a distanza, anche se sembra incontrare molto entusiasmo tra gli esperti (90). I risultati globali del trattamento dei pazienti affetti da LH con chemioterapia mieloablativa richiedono pertanto ulteriori conferme in studi randomizzati, e soprattutto, la definizione dell'impatto di tali procedure sulla sopravvivenza a lungo termine e sulla tossicità a distanza, richiede un follow-up più lungo. E 44 M A T O L O G I A 8 LINFOMA DI HODGKIN IN ETÀ PEDIATRICA La biologia, la storia naturale e la stadiazione nei bambini e negli adolescenti affetti da LH, non sono sostanzialmente differenti da quelli degli adulti, pur presentando il LH in età pediatrica alcune caratteristiche peculiari. Le varietà istologiche di più frequente riscontro sono la PL nei bambini, la CM nei pazienti di età inferiore ai 10 anni, e la SN in quelli tra 11 e 15 anni. Alla presentazione clinica in circa il 60% dei casi esiste interessamento del mediastino, mentre i segni sistemici sono presenti nel 20-30% dei pazienti. La laparotomia può identificare localizzazioni occulte (soprattutto spleniche) nel 20-30% dei casi pediatrici (97). La prognosi per ogni stadio è complessivamente migliore rispetto a quella degli adulti, e più del 95% dei bambini che oggi si ammalano di LH può essere guarito. Per raggiungere questi risultati, vista anche la rarità dei casi, è necessario che il paziente venga avviato ad un centro specialistico e seguito da un team multidisciplinare (pediatra, oncologo, radioterapista) con competenze specifiche nel settore, ed inserito in trial clinici controllati (97). Negli stadi I e II la radioterapia rimane lo strumento terapeutico più efficace, soprattutto se il sottotipo istologico è la PL e la malattia coinvolge stazioni linfonodali periferiche (regione cervicale alta o inguinocrurale). Negli altri casi è preferibile l'associazione chemio-radioterapica, poichè si è dimostrato che le sequele a lungo termine post-radioterapia sono maggiori nei bambini rispetto agli adulti, con relazione inversa rispetto all'età in cui viene effettuato il trattamento (98). Le sequele post-radioterapia sono strettamente correlate alla dose totale somministrata, all'estensione dei campi radianti ed al tipo di frazionamento del trattamento, e sono soprattutto rappresentate dal ridotto sviluppo dell'apparato muscolo-scheletrico, e da disfunzioni tiroidee (99). I versamenti pericardici e pleurici e la stenosi coronarica, rappresentano ulteriori complicanze, che possono verificarsi anche diversi anni dopo la fine dei trattamenti. Il trattamento combinato (polichemioterapia seguita da radioterapia a campi limitati) rappresenta oggi il trattamento di scelta, in grado di guarire circa l'85% dei pazienti, ed appare associato ad una minore incidenza di danno iatrogenico. Il trattamento radioterapico è, in genere, limitato alle sedi interessate di malattia, ed eseguito ad un dosaggio di 25-30 Gy. Vengono inoltre sperimentati schemi di chemioterapia I L L I N F O M A D I H O D G K I N 45 che, in pazienti selezionati, prevedono l'eliminazione degli alchilanti e delle antracicline. Particolarmente interessanti appaiono i risultati dei trial tedeschi con schemi polichemioterapici tipo OPPA (vincristina, prednisone, procarbazina, adriamicina) o COPP. La sostituzione della procarbazina con il VP-16 mantiene inalterata la risposta terapeutica e riduce il rischio iatrogenico di azoospermia (100). Nel LH in età pediatrica, le complicazioni iatrogeniche sono potenzialmente numerose. Le infezioni si possono manifestare nel 10-13% dei pazienti, e verificarsi anche molti anni dopo il termine della terapia. Le infezioni batteriche e virali (Herpes zoster) sono in rapporto all'intensità del trattamento, specie se di tipo combinato, ed incidono fino al 25% dei casi. Nei pazienti che vengono avviati alla splenectomia è opportuna la vaccinazione antipneumococcica, da eseguirsi almeno 15 giorni prima dell’intervento. Nei pazienti splenectomizzati è indicata terapia antibiotica a scopo profilattico. Nei pazienti con LH in età pediatrica le lunghe sopravvivenze e l'alta percentuale di guarigioni, ottenute con le attuali modalità di chemioradioterapia, sono purtroppo controbilanciate da una maggior incidenza e gravità delle sequele a lungo termine correlate a questi trattamenti, rispetto alla popolazione adulta. Da una recente analisi di oltre 1300 casi di LH in età pediatrica, trattati tra il 1986 ed il 1995, appare infatti che questi pazienti mostrano una probabilità del 6% a 15 anni di sviluppare un secondo tumore e che, mentre il rischio di leucemia raggiunge un plateau a 15 anni, il plateau per gli altri tumori non appare ancora raggiunto dopo 25 anni. In particolare il rischio stimato di sviluppare un carcinoma mammario a 40 anni, nelle pazienti trattate con radioterapia per LH in età pediatrica, è del 32% (1). E 46 M A T O L O G I A 9 LINFOMA DI HODGKIN IN ETÀ AVANZATA Il LH che insorge in età avanzata è attualmente di raro riscontro nella pratica clinica, ma sembra destinato ad aumentare nel prossimo futuro parallelamente alla crescita della popolazione generale di età superiore ai 65 anni. Esso presenta caratteristiche peculiari che determinano globalmente una peggior prognosi per questi pazienti. Nella casistica di Stanford solo il 29% dei pazienti di età superiore a 70 anni sopravvive a 5 anni. La ridotta sopravvivenza dei pazienti anziani è legata a due fattori: 1. le caratteristiche cliniche del LH che conferiscono una prognosi più sfavorevole (stadio avanzato, presenza di sintomi B, presentazione addominale, malattia bulky, interessamento extranodale, varietà CM) (102). Tali caratteristiche, e la frequente correlazione con l'EBV, accomunano il LH che insorge nell'anziano a quello che insorge in pazienti HIV + . Probabilmente lo stato di immunodeficienza legato all'età incide, analogamente all'immunodeficienza del paziente sieropositivo, nel favorire l'insorgenza di un LH con caratteristiche prognosticamente più sfavorevoli; 2. la scarsa tolleranza in età avanzata ad un trattamento aggressivo. Infatti, spesso non è possibile trattare questi pazienti con schemi polichemioterapici tradizionali a causa di patologie concomitanti frequenti negli anziani (cardiomiopatie, diabete, fibrosi polmonare, etc.) (102). Inoltre, la tossicità midollare secondaria all'utilizzo di regimi contenenti alchilanti (MOPP) è particolarmente grave negli anziani, che risultano anche più suscettibili al potenziale leucemogeno degli agenti alchilanti. Frequenti appaiono pure le complicanze infettive in corso di trattamento chemioterapico. Alcuni studi clinici sono attualmente in corso di valutazione per il trattamento ottimale del paziente anziano. Sono comunque da evitare gli agenti alchilanti. E' inoltre suggerito l'utilizzo di antracicline meno cardiotossiche e la sostituzione della vincristina con vindesina o epipodofillotossine. Particolarmente problematico può risultare l'utilizzo di cortisone in pazienti diabetici insulino-dipendenti, mentre l'utilizzo dei fattori di crescita emopoietici può aiutare a mantenere una dose intensity ottimale anche in questi pazienti (103). Nei soggetti anziani, infatti, l'uso dei fattori di crescita comporta una I L L I N F O M A D I H O D G K I N 47 buona protezione ematologica nella fasi iniziali di chemioterapia, ma l'efficacia degli stessi fattori, in termini di recupero ematologico, decresce progressivamente nei cicli successivi, a causa forse della ridotta riserva midollare di questi soggetti (103). Sembrerebbe quindi teoricamente più ragionevole adottare, nei pazienti anziani con LH, una strategia chemioterapica tipo Stanford V (eventualmente a dosi ridotte), piuttosto che l'alternanza di cicli di chemioterapia che si prolungano per molti mesi. Sulla base delle considerazioni precedentemente esposte, circa la correlazione tra dose size, dose intensity ed i risultati terapeutici nel LH, e tenendo presente che i pazienti anziani mostrano un elevato rischio di ricaduta precoce, l'approccio teoricamente ottimale sarebbe l'incremento della dose degli agenti chemioterapici. Ciò appare però estremamente difficile da realizzare, considerando che i pazienti anziani già tollerano difficilmente protocolli di chemioterapia a dosi convenzionali (102, 103). Comunque appare possibile aumentare la compliance dei pazienti anziani alla chemioterapia di combinazione, attraverso l'uso di farmaci protettivi della cardiotossicità (ICRF 187), ed agenti in grado di conferire una protezione multisistemica. Sicuramente un ruolo futuro, nei pazienti anziani con LH, potrebbe avere l'amifostina, farmaco capace di conferire uno specifico effetto protettivo sulla tossicità di molti agenti chemioterapici, a livello di vari organi e sistemi tra cui l'apparato cardiaco, il sistema emopoietico ed il rene (103). In futuro l'immunoterapia specifica, con anticorpi anti-CD30, antiCD40 e anti-CD40L, potrebbe aprire una nuova era per la terapia del LH in generale, e modificare sostanzialmente i risultati terapeutici, a tutt'oggi molto scadenti, per il LH che insorge nel paziente anziano (31). E 48 M A T O L O G I A LINFOMA DI HODGKIN IN PAZIENTI PORTATORI DI INFEZIONE DA HIV Il LH ha una presentazione atipica nei soggetti con infezione da HIV rispetto alla popolazione generale. I dati di letteratura indicano chiaramente alcune differenze clinico-patologiche all'esordio, un decorso della malattia più aggressivo ed una prognosi peggiore (8, 104). Il LH è molto più frequente nei tossicodipendenti rispetto ad altri gruppi di soggetti sieropositivi, probabilmente perché l'età mediana dei tossicodipendenti HIV + coincide con l'età del primo picco di incidenza del LH. Circa l'80% dei pazienti si presenta in stadio avanzato con sintomi sistemici, di cui sovente è difficile distinguere la genesi (neoplasia o infezione da HIV). Qualunque sia l'origine, i sintomi B sono presenti all'esordio in circa il 75% dei casi. L'interessamento extralinfonodale è frequente (60%) e prevale il coinvolgimento del midollo osseo (40%), fegato (30%), milza (35%), e sedi extranodali (5%). Spesso la malattia segue un pattern di diffusione atipico con interessamento di molte sedi e risparmio dei linfonodi mediastino-ilari, anche nella varietà SN (8). La varietà istologica più frequente è la CM (45%) e circa il 25% dei casi si presenta con DL, spesso associata ad un incremento delle cellule stromali e fibroistiocitoidi (104). Una associazione con l'EBV è presente in oltre il 75% dei casi, come dimostrato da tecniche di biologia molecolare e dalla presenza nei tessuti coinvolti, e nelle stesse cellule di RS, della proteina LMP-1. Alla diagnosi, il grado di immunodeficienza, indicato dal numero assoluto di linfociti CD4+ circolanti (mediana: 250/mm 3 ) e la pregressa diagnosi di AIDS (15%), suggerirebbero che il LH insorga in una fase precoce dell'infezione da HIV (8). In questi pazienti, i risultati clinici dei trattamenti chemioterapici tradizionali (MOPP o ABVD) sono inferiori a quelli ottenibili nella popolazione generale (remissione completa nel 50% dei pazienti) (8, 104, 105). La chemioterapia è poco tollerata, con particolare riferimento alla tossicità ematologica, il che spesso comporta una forzata riduzione delle dosi e ritardi nella somministrazione dei cicli successivi. Molto frequenti sono anche le infezioni opportunistiche in corso di trattamento chemioterapico. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 49 10 La sopravvivenza mediana è di 18 mesi; la causa di morte più frequente è legata alle infezioni opportunistiche e all'AIDS stessa. Il prolungamento della sopravvivenza in tali pazienti è quindi strettamente dipendente dalle possibilità di migliorare il controllo della concomitante infezione da HIV, oltre che dall'ottenimento di una remissione completa del LH. Da qui la necessità di studi clinici prospettici per stabilire strategie terapeutiche più efficaci in questo gruppo di pazienti. I nuovi approcci dovranno prevedere l'uso, concomitante alla chemioterapia, di farmaci per la profilassi delle infezioni opportunistiche e di fattori di crescita emopoietici, da associare ad una terapia antiretrovirale. E 50 M A T O L O G I A LINFOMA DI HODGKIN IN GRAVIDANZA 11 A causa della sua tipica insorgenza nei giovani adulti, non è infrequente il problema clinico di una paziente con LH in gravidanza. L'approccio terapeutico a questo tipo di pazienti, mirato ad ottenere il controllo della malattia cercando di minimizzare i rischi per il feto, deve tener conto comunque di una serie di variabili cliniche tra cui l'estensione della malattia (stadio precoce o avanzato), la fase clinica del linfoma (malattia sintomatica e/o in fase attiva), la fase della gravidanza (primo trimestre o gravidanza avanzata) e, non ultimi, i desideri e la volontà della paziente nei riguardi della sua malattia e della gravidanza. In generale, durante il primo trimestre di gravidanza, la proposta di un aborto terapeutico e l'istituzione del programma chemio-radioterap i c o p i ù o p p o r t u n o , a p p a r e u n a p p r o c c i o r a g i o n e v o l e . A l t e r n ativamente, in pazienti in stadio iniziale e malattia sovradiaframmatica non sintomatica (stadio I-IIA non bulky) e a lenta crescita, si potrebbe tentare di dilazionare la terapia ed indurre il parto precocemente. In caso di malattia iniziale sovradiaframmatica, a rapida crescita, è possibile invece istituire un trattamento radioterapico, previa opportuna schermatura della regione uterina (106-108). Anche se l'utilizzo della chemioterapia nelle fasi precoci della gravidanza comporta il rischio di malformazioni fetali congenite in circa un terzo dei casi, è opportuno segnalare che, in alcune casistiche, la somministrazione di schemi tipo ABVD, a donne nel primo trimestre di gravidanza, non ha comportato anomalie nei nascituri (109). Una accurata valutazione dei rischi/benefici va quindi discussa con la paziente, in caso di donne nel primo trimestre di gestazione, che richiedono assolutamente l'istituzione di una chemio-radioterapia (stadio IIB bulky o stadio più avanzato), e che sono comunque intenzionate a portare a termine la gravidanza. In donne che si trovino nella seconda metà della gravidanza, e che non richiedano una terapia immediata, appare ragionevole seguire la paziente con uno stretto follow-up, rimandando la terapia a dopo il parto, che dovrebbe comunque essere indotto precocemente, tra la 32 a e 36 a settimana. Se invece la situazione clinica e l'estensione della malattia (stadio avanzato e malattia sintomatica) richiedono comunque l'impiego della chemioterapia in donne in gravidanza avanzata, alcuni I L L I N F O M A D I H O D G K I N 51 Centri suggeriscono l'utilizzo della vinblastina come agente singolo (6 mg/m 2 con cadenza bisettimanale fino al parto), dal momento che non sono state riportate malformazioni fetali con tale farmaco, nella seconda metà della gravidanza (107). In generale, comunque, la chemioterapia di combinazione appare essere abbastanza scevra da rischi nella seconda metà della gravidanza, anche se va adottata solo in base ad una improcrastinabile necessità clinica. Può inoltre essere opportuno, nelle pazienti con massa mediastinica sintomatica e complicazioni respiratorie, eseguire alcune sedute di radioterapia prima del parto. Va pure considerata la terapia steroidea che, oltre ad una efficacia antitumorale, conferisce pure il vantaggio di accelerare la maturazione dell'apparato polmonare fetale, in vista dell'induzione di un parto pre-termine (108). E' bene comunque tener presente che, in ogni caso, le pazienti devono essere sottoposte ad un ciclo di chemioterapia a dosi piene, il prima possibile dopo il parto. E' pure importante sottolineare che la gravidanza, molto probabilmente, non influenza la prognosi del LH. Ciò appare dimostrato da uno studio in cui non sono state dimostrate differenze significative, nella sopravvivenza a 20 anni, tra donne in gravidanza e un gruppo di donne di controllo affette da LH e comparabili per età, stadio clinico e tipo di trattamento (107). Le conseguenze a lungo termine sulla progenie di donne sottoposte a chemioterapia per il LH durante la gravidanza, non sono invece del tutto chiarite. E 52 M A T O L O G I A COMPLICANZE A LUNGO 12 TERMINE DELLA TERAPIA Le complicanze a lungo termine della terapia del LH costituiscono l'altra faccia della medaglia dei risultati terapeutici. Infatti la terapia del LH è associata ad un elevato rischio di gravi sequele a distanza, tanto che a 15-20 anni dalla fine del trattamento, la mortalità cumulativa per secondi tumori appare maggiore di quella legata allo stesso linfoma (110). Gli entusiasmi degli anni '70 dovuti all'ottenimento di remissioni cliniche durature conseguite con la radio e chemioterapia, si sono rapidamente e progressivamente smorzati negli anni '80 per il susseguirsi di segnalazioni in letteratura di sequele più o meno gravi, che via via si evidenziavano nei pazienti sopravvissuti al LH. Tali sequele hanno avuto un forte impatto sia sulla qualità che sulla quantità di vita di questi pazienti (1). Nella Tabella 10 a titolo conoscitivo si è cercato di accorpare quanto noto dalla letteratura (110, 111). L'elenco probabilmente non è completo perchè non tutto forse è stato scritto, e perchè anche le procedure di più recente impiego non sono scevre da complicanze a lungo termine (sono stati di recente segnalati i primi casi di mielodisplasia post-trapianto). Lo sforzo degli anni '90 è quello di mantenere o migliorare i risultati terapeutici, cercando di migliorare non solo la sopravvivenza di questi pazienti ma anche la loro qualità di vita. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 53 Principali sequele nei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin Tabella 10 Tipo 1. 2. 3. Causa SISTEMA IMMUNITARIO Deficit dei linfociti T-CD4+ Ridotta produzione IgM RT, MOPP Splenectomia o RT splenica INFEZIONI Batteriche (polmoniti GRAM+, Pneumocystis carinii) Herpes virus Splenectomia e CT Splenectomia o RT splenica TIROIDE Ipotiroidismo Malattia di Graves Tiroiditi Tumori RT torace Uso di tecniche radiodiagnostiche nello staging e nel follow-up 4. SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO Pericardite RT Cardiomiopatie e Infarto del miocardio antracicline Malattia coronarica 5. POLMONE Polmonite attinica Fibrosi polmonare Ridotta capacità vitale 6. 7. RT RT, bleomicina adriamicina + RT RT TRATTO GASTROINTESTINALE Ulcera e gastrite Post-laparotomia Perforazioni Splenectomia CT, RT, cortisone SISTEMA RIPRODUTTIVO Azoospermia Amenorrea Infertilità Alchilanti RT Frequenza 50% a 20 anni totale 25-50% 11-50% 4% a 10 anni 4% a 10 anni 20% 10-15% 28% 100% 60% 8. MIELODISPLASIE E LEUCEMIE MOPP o MOPP-like - età avanzata - stadio avanzato - splenectomia o RT splenica 10% a 10 anni 9. LINFOMI NON-HODGKIN 5% 10. APPARATO SCHELETRICO Ritardo nello sviluppo del sistema muscolo-scheletrico Osteonecrosi asettica della testa del femore 11. TUMORI SOLIDI Polmone, mammella Tiroide Stomaco, melanoma Osso 54 M A T O L O G Cortisone RT Lomustina Procarbazina RT: radioterapia; CT: chemioterapia E RT I A 12-41% a 20 anni 13 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Il LH, pur essendo piuttosto raro nella popolazione generale, mantiene un forte impatto psicologico poiché è il tumore che insorge più frequentemente nella popolazione tra i 20 e i 30 anni, ed è guaribile in elevata percentuale. I trial clinici degli ultimi anni hanno permesso di raggiungere risultati insperati, e le attuali conoscenze biologiche aprono nuove prospettive terapeutiche molto entusiasmanti. Tutto ciò può rendere ottimisti i medici ed i pazienti, come sottolineato da Saul Rosenberg, che, a conclusione della sua lettura magistrale al VI Congresso Internazionale sui linfomi maligni (Lugano, giugno 1996), ha mostrato una immagine di cellule di RS "sorridenti" assieme ad una foto di gruppo della seconda generazione di bambini i cui nonni, affetti da LH, sono stati curati e guariti presso il Centro di Stanford. I L L I N F O M A D I H O D G K I N 55 APPENDICE 14 Regimi di polichemioterapia correntemente utilizzati Regimi di prima linea standard MOPP Mecloretamina Vincristina Procarbazina Prednisone* 6 1.4 100 40 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev po po giorni giorni giorni giorni 1e8 1e8 1-14 1-14 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni * Nei cicli 1 e 4 De Vita VT, et al., Ann Intern Med 73: 881-895, 1970 ABVD Adriamicina Bleomicina Vinblastina Dacarbazina 25 10 6 375 mg/m 2 U/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev ev ev giorni giorni giorni giorni 1 1 1 1 e e e e 15 15 15 15 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni Bonadonna G., et al., Cancer Treat Rep 61: 769-777, 1977 Santoro A., et al., Ann Intern Med 96: 139-143, 1982 MVPP Mecloretamina Vinblastina Procarbazina Prednisone 6 6 100 40 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev po po giorni giorni giorni giorni 1e8 1e8 1-14 1-14 Ripetere il ciclo ogni 42 giorni Sutcliffe SB, et al., Br J Med 1: 679-683, 1978 ChlVPP Clorambucil* Vinblastina* Procarbazina• Prednisone 6 6 100 40 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 po ev po po giorni giorni giorni giorni 1-14 1e8 1-14 1-14 * dose massima 10 mg • dose massima 150 mg Ripetere il ciclo ogni 4 settimane Dady PJ, et al., Br J Cancer 45: 851-859, 1982 BCVPP BCNU Ciclofosfamide 100 600 mg/m 2 mg/m 2 ev ev giorno 1 giorno 1 Vinblastina Procarbazina Procarbazina Prednisone 5 50 100 60 mg/m 2 mg mg mg ev po po po giorno giorno giorni giorni 1 1 2-10 1-10 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni Durant JR, et al., Cancer 42: 2102-2110, 1978 CVPP Ciclofosfamide Vinblastina Procarbazina Prednisone* 300 10 100 40 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev po po giorni giorni giorni giorni 1e8 1, 8, 15 1-15 1-15 * Nei cicli 1 e 4 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni Morgenfeld M, et al., Cancer 43: 1579-1586, 1979 VEEP Vincristina* Epirubicina Etoposide• Prednisone 1.4 50 100 100 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev ev po giorni giorno giorni giorni 1e8 1 1-4 1-8 * Dose massima 2 mg • In alternativa, l'etoposide può essere somministrato po alla dose di 200 mg/m 2 nei giorni 1-4 Ripetere il ciclo ogni 3 settimane Hill M, et al., J Clin Oncol 13: 387-395, 1995 Regimi di prima linea alternanti ed "ibridi" MOPP-ABVD Alternare ogni 4 settimane un ciclo di MOPP ed un ciclo di ABVD sino ad ottenimento della remissione completa. Dopo la remissione si somministrano altri due cicli totali. Il prednisone (40 mg/m 2 , va utilizzato nei cicli 1° e 4° dello schema MOPP). Bonadonna G, et al., Ann Intern Med 104: 739-746, 1986 MOPP/ABV "ibrido" Mecloretamina 6 Vincristina* 1.4 Procarbazina 100 Prednisone 40 Adriamicina 35 Bleomicina 10 Vinblastina 6 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 U/m 2 mg/m 2 ev ev po po ev ev ev giorno giorno giorni giorni giorno giorno giorno 1 1 1-7 1-14 8 8 8 * Dose massima 2 mg Ripetere il ciclo ogni 28 giorni Connors JM, Klimo P. Semin Hematol 24 (Suppl.1): 35-40, 1987 ChlVPP/EVA Clorambucil Vinblastina Procarbazina Prednisone Etoposide Vincristina Adriamicina 10 10 150 50 200 2 50 mg mg mg mg mg/m 2 mg mg/m 2 po ev po po ev ev ev giorni giorno giorni giorni giorno giorno giorno 1-7 1 1-7 1-7 8 8 8 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni Radford JA, et al., J Clin Oncol 13: 2379-2385, 1995 MA/MA (INT Milano, ibrido MOPP/ABVD) ev giorno Mecloretamina 6 mg/m 2 ev giorno Vincristina* 1.4 mg/m 2 po giorni Procarbazina 100 mg/m 2 po giorni Prednisone 40 mg/m 2 ev giorno Adriamicina 25 mg/m 2 ev giorno Bleomicina 10 U/m 2 ev giorno Vinblastina 6 mg/m 2 ev giorno Dacarbazina 375 mg/m 2 1 1 1-7 1-7 15 15 15 15 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni Viviani S, et al., Proc Am soc Clin Oncol 9: 254, 1990 Nuovi regimi di prima linea in sperimentazione clinica STANFORD V (trattamento integrato CT/RT) ev giorni 1 e 15 Adriamicina 25 mg/m 2 ev giorni 1 e 15 Vinblastina• 6 mg/m 2 ev giorno 1 Mecloretamina 6 mg/m 2 ev giorni 8 e 22 Vincristina•* 1.4 mg/m 2 ev giorni 8 e 22 Bleomicina 5 U/m 2 ev giorni 15 e 16 Etoposide 60 mg/m 2 40 mg/m 2 po a giorni alterni Prednisone ■ Ripetere il ciclo ogni 28 giorni (3 cicli completi in 12 settimane) • Riduzione della dose di vinblastina a 4 mg/m 2 e di vincristina a 1 mg/m 2 , al terzo ciclo nei pazienti di età superiore a 50 anni * Dose massima 2 mg ■ Riduzione di 10 mg dalla decima settimana in poi Profilassi giornaliera delle infezioni da Pneumocistis carinii con trimetoprimsulfametossazolo (Bactrim forte, due volte al giorno), dell'Herpes zooster con acyclovir (200 mg tre volte al giorno), delle mucositi fungine con ketoconazolo (200 mg al giorno) e della gastrite da steroidi con farmaci H2-bloccanti. Profilassi della costipazione indotta da vincristina e vinblastina. Aggiunta di GCSF (5 mg/Kg sc) nei giorni 3-13 e 16-26 di ogni ciclo, nei pazienti con tossicità ematologica grave, al fine di evitare ritardi e riduzioni di dose. Il regime Stanford V viene in genere seguito da RT di consolidamento sui siti iniziali di malattia bulky o su eventuale residuo di malattia. Bartlett NL et al., J Clin Oncol 13: 1080-1088, 1995 Horning SJ, et al. Ann Oncol 7 (Suppl. 4): S105-S108, 1996 BEACOPP "standard" Ciclofosfamide 650 Adriamicina 25 Etoposide 100 Procarbazina 100 Prednisone 40 Vincristina 2 Bleomicina 10 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 U/m 2 ev ev ev po po ev ev giorno giorno giorni giorni giorni giorno giorno 1 1 1-3 1-7 1-14 8 8 Diehl V, Ann Hematol 66 (3): 139-140, 1993 Hasenclever D, Ann Oncol 7 (Suppl 4): S95-S98, 1996 BEACOPP "escalated" Ciclofosfamide 1250 Adriamicina 35 Etoposide 200 Procarbazina 100 Prednisone 40 Vincristina 2 Bleomicina 10 G-CSF 5 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 U/m 2 mg/kg ev ev ev po po ev ev sc giorno 1 giorno 1 giorni 1-3 giorni 1-7 giorni 1-14 giorno 8 giorno 8 dal giorno+8 Ripetere il ciclo ogni 3 settimane Diehl V, Ann Hematol 66 (3): 139-140, 1993 Hasenclever D, Ann Oncol 7 (Suppl 4): S95-S98, 1996 Regimi da associare alla radioterapia per il trattamento di prima linea dei pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio precoce o a prognosi favorevole (I, II, IIIA) VBM Vinblastina Bleomicina Metotrexate 6 10 30 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev giorni ev giorni evgiorni 1e8 1e8 1e8 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni (somministrare sei cicli) Preceduto da RT involved field Horning SJ, et al., J Clin Oncol 6: 1822-1831, 1988 NOVP Mitoxantrone Vincristina Vinblastina Prednisone 10 1.4 6 100 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev ev po giorno 1 giorno 8 giorno1 giorni 1-5 Ripetere il ciclo ogni 21 giorni Tre cicli di NOVP sono seguiti nei pazienti in remissione completa da RT Hagemeister FB, et al., Ann Oncol 3 (Suppl.4): S87-S90, 1992 Regimi di seconda linea (salvataggio) ABVD per pazienti ricaduti alla MOPP e viceversa EVA Etoposide Vinblastina Adriamicina 100 6 50 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev ev giorni 1-3 giorno 1 giorno 1 Ripetere il ciclo ogni 28 giorni Canellos GP, et al., J Clin Oncol 13: 2005-2011, 1995 B-CAVe Bleomicina CCNU Adriamicina Vinblastina 5 100 60 5 U/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev po ev ev giorni giorno giorno giorno 1, 28, 35 1 1 1 Ripetere il ciclo ogni 6 settimane Harker EG, et al., Ann Intern Med 101: 440-446, 1984 CEP CCNU Etoposide Prednimustine 80 100 60 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 po po po giorno 1 giorni 1-5 giorni 1-5 Nessuna terapia dal giorno 6 al giorno 28 Ripetere il ciclo ogni 4 settimane Santoro A. et al., Semin Oncol 13 (Suppl. 1): 23-26, 1986 MIME Methyl-GAG Ifosfamide Metotrexate Etoposide 500 1 30 100 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev ev ev giorni giorni giorno giorni 1-14 1-5 3 1-3, ogni 3 settimane Hagemeister FB, et al., J Clin Oncol 5: 551-561, 1987 VINORELBINA (agente singolo) Vinorelbina 30 mg/m 2 ev ogni settimana Devizzi L et al., Ann Oncol 5: 817-820, 1994 Devizzi L. et al., Leuk Lymph 22: 409-414, 1966 VINORELBINA+ IFOSFAMIDE Vinorelbina 25 mg/m 2 Ifosfamide* 3 g/m 2 /giorno G-CSF 5 mg/giorno ev ic sc giorni 1 e 5 giorni 1-4 giorni 7-14 * integrato da terapia protettiva con MESNA Ripetere il ciclo ogni 3 settimane Devizzi L. et al., Leuk Lymph 22: 409-414, 1966 MINE Methyl-GAG Ifosfamide Vinorelbina 500 1500 15 mg/m 2 mg/m 2 mg/m 2 ev ev ev giorni giorni giorni 1e5 1-5 1e5 Etoposide 150 mg/m 2 Ripetere il ciclo ogni 4 settimane ev iorni 1-3 Fermè C. et al., Ann Oncol 6: 543-549, 1995 mini-BEAM BCNU Etoposide ARA-C* Melphalan 60 75 100 30 mg/m 2 ev mg/m 2 ev mg/m 2 (x 2) ev mg/m 2 ev giorno giorni giorni giorno 1 2-5 2-5 6 * ARA-C 100 mg/m 2 ogni 12 ore dal giorno 2 al giorno 5 Ripetere il ciclo ogni 4-6 settimane Colwill R, et al., J Clin Oncol 13: 396-402, 1995 DHAP Desametazone Cisplatino ARA-C* 40 100 2 mg ev mg/m 2 ic(24 hr) g/m 2 (x 2) ev giorni 1-4 giorno 1 giorno 2 * ARA-C 2 g/m 2 ogni 12 ore il giorno 2 (totale 4 g/m 2 ) Ripetere il ciclo ogni 3-4 settimane Velasquez WS, et al., Blood 71: 117-122, 1988 Abbreviazioni: ev, endovena; po, per os; ic, infusione continua, CT, chemioterapia; RT, radioterapia; ABVD adriamicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazina B-CAVe bleomicina, CCNU, adriamicina, vinblastina BEACOPP bleomicina, etoposide, adriamicina, ciclofosfamide, vincristina, procarbazina, prednisone, BCVPP BCNU, ciclofosfamide,vinblastina, procarbazina, prednisone CHLVPP clorambucil, vinblastina, procarbazina, prednisone CHLVPP/EVA clorambucil, vinblastina, procarbazina, prednisone etoposide, vincristina, adriamicina COPP CCNU, vincristina, procarbazina, prednisone CVPP ciclofosfamide, vinblastina, procarbazina, prednisone CEP CCNU, etoposide, prednimustine DHAP desametazone, alte dosi di ara-c, cisplatino EVA etoposide, vinblastina, adriamicina MA/MA mecloretamina, vincristina, procarbazina, prednisone adriamicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazina MIME methyl-GAG, ifosfamide, metotrexate, etoposide MINE methyl-GAG, ifosfamide, vinorelbina, etoposide MINI-BEAM BCNU, etoposide, ara-c, melphalan MOPP mecloretamina, vincristina, procarbazina, prednisone MOPP/ABV mecloretamina, vincristina, procarbazina, prednisone adriamicina, bleomicina,vinblastina MVPP mecloretamina, vinblastina, procarbazina, prednisone NOVP mitoxantrone, vincristina, vinblastina, prednisone VBM vinblastina, bleomicina, metotrexate VEEP vincristina, epirubicina, etoposide, prednisone STANFORD V adriamicina, vinblastina, mecloretamina, vincristina, bleomicina, etoposide, prednisone BIBLIOGRAFIA GENERALE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 15 Rosenberg SA, Ann Oncol 7: 555-560, 1996 Parkin DM, IARC Scientific Publications, p. 120, 1992 MacMahon B, Cancer Res 26: 1189-200, 1996 Jarrett RF et al., Ann Oncol 7(Suppl. 4): S5-S10, 1996 Niedobitek G et al., Ann Oncol 7 (Suppl. 4): S11-S17, 1996 Weiss LM et al., Adv Anatomic Pathol 3: 1-15, 1996 Jarrett RF et al., Clin Pathol 44: 844-848, 1991 Tirelli U et al., J Clin Oncol 13: 1758-1767, 1995 Eliopoulos AG et al., Oncogene 18: 2243-2254, 1996 Gruss HJ et al., Ann Oncol 7 (Suppl. 4): S19-S26, 1996 Gruss HJ et al., Immunol Today 1997, in press Butler JJ, Sem Diagn Pathol 9: 252-256, 1992 Harris NL et al., Blood 84: 1361-1392, 1994 Poppema S, Semin Diagn Pathol 9: 257-264,1992 Mason DY et al., Am J Surg Pathol 18: 526-530, 1994 Banks PM, Semin Oncol 17: 683-689, 1990 Kadin ME, Curr Opin Oncol 6: 456-463, 1994 Haluska FG et al., Blood 84: 1361-1392, 1994 Drexler HG, Leuk Lymphoma 8: 283-313, 1992 Drexler HG, Leuk Lymphoma 9: 1-25, 1993 Isaacson PG et al., Lancet 347: 481, 1996 Dallenbach FE et al., Lancet ii: 828-830, 1989 Gruss HJ et al., Crit Rev Oncogen 5: 473-538, 1994 Gruss HJ et al., Blood 85: 3378-3404, 1995 Hummel M et al., New Engl J Med 333: 901-906, 1995 Küppers R et al., Proc Natl Acad Sci(USA) 91: 10962-10966, 1994 Kanzler H et al., J Exp Med 184: 1495-1505, 1996 Roth J et al., Int J cancer 57: 799-804, 1994 Carbone A et al., Blood 1997, in press Pinto A et al., Blood 83: 785-792, 1994 Falini B et al., Blood 85: 1-14, 1995 Poppema S et al., Am J Pathol 135: 351-357, 1989 Gruss HJ et al., Blood 83: 2045-2056, 1994 Gruss HJ et al., Am J Pathol 149: 469-481, 1996 Carbone et al., Blood 85: 780-789, 1995 Pinto A et al., Blood 88: 3299-3305, 1996 Urba WJ et al, New Engl J Med 326: 678-687, 1993 I L L I N F O M A D I H O D G K I N 63 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 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