CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
Relazione
Rel. n. 121
Roma, 23 novembre 2007
Oggetto: CORTE COSTITUZIONALE - SINDACATO DI LEGITTIMITÀ
COSTITUZIONALE - GIUDIZIO INCIDENTALE - DECISIONI ACCOGLIMENTO (ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE) - EFFETTI Rapporti non ancora esauriti - Applicabilità - Fattispecie in tema di
determinazione dell’indennità di espropriazione.
CORTE COSTITUZIONALE - SINDACATO DI LEGITTIMITÀ
COSTITUZIONALE - GIUDIZIO INCIDENTALE - DECISIONI ACCOGLIMENTO (ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE) - EFFETTI Rapporti non ancora esauriti - Applicabilità - Fattispecie in tema di
risarcimento del danno da occupazione appropriativa.
CORTE COSTITUZIONALE - SINDACATO DI LEGITTIMITÀ
COSTITUZIONALE - GIUDIZIO INCIDENTALE - DECISIONI ACCOGLIMENTO (ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE) - EFFETTI Rapporti non ancora esauriti - Applicabilità - Procedimenti amministrativi per
la determinazione dell’indennità di espropriazione.
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) PROCEDIMENTO
LIQUIDAZIONE
DELL’INDENNITÀ
DETERMINAZIONE (STIMA) - IN GENERE - Criteri di determinazione
dell’indennità - Sopravvenuta incostituzionalità della norma di riferimento Applicabilità ai rapporti pendenti - Limiti.
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITA’) OCCUPAZIONE TEMPORANEA E D’URGENZA - RISARCIMENTO
DEL DANNO - Occupazione appropriativa - Criteri di quantificazione del
danno - Sopravvenuta incostituzionalità della norma di riferimento Applicabilità ai giudizi in corso non definiti con sentenza passata in giudicato
- Portata.
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) PROCEDIMENTO - LIQUIDAZIONE DELL’INDENNITÀ - ACCORDI
AMICHEVOLI - Cessione volontaria del bene espropriando - Criteri di
determinazione del prezzo - Necessità - Sopravvenuta incostituzionalità della
norma di riferimento - Caducazione del contratto - Esclusione.
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) PROCEDIMENTO
LIQUIDAZIONE
DELL’INDENNITÀ
DETERMINAZIONE (STIMA) - IN GENERE - Criteri di determinazione
dell’indennità - Sopravvenuta incostituzionalità della norma di riferimento Rapporti pendenti - Criterio indennitario applicabile - Valore venale Applicabilità.
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Gli effetti delle sentenze di incostituzionalità n. 348 e n. 349 del 2007 sui giudizi
pendenti in materia espropriativa
SOMMARIO:
1.- Premessa.
2.- Ambito di incidenza temporale delle dichiarazioni di illegittimità
costituzionale.
3.- Ambito di incidenza oggettivo delle dichiarazioni di illegittimità
costituzionale.
4.- I criteri applicabili dopo le dichiarazioni d’incostituzionalità.
1.- Premessa.
1.1.- Non è la prima volta che in tema di determinazione dell’indennità
espropriativa si è chiamati ad affrontare le conseguenze di vicende inerenti alla
disciplina legale dell’istituto, vuoi per l’approvazione di nuove regolamentazioni, vuoi,
come oggi, in seguito a dichiarazioni di illegittimità costituzionale: sul tema si è quindi
sviluppato un consistente nucleo di principi, di cui vale la pena riprendere le trame,
pur tenendo conto della peculiarità dell’esito ultimo della vicenda, che ha portato alla
dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 5-bis d.l. n. 333/92, conv. in l. n. 359/92.
Ci s’intende riferire non tanto ai travagliati antefatti delle due sentenze del
24.10.2007 della Corte costituzionale, nn. 348 e 349, costituiti dalle pronunce sul tema
della Corte europea dei diritti, nella scettica accoglienza ricevuta dalla Suprema Corte
italiana – il che richiedeva comunque un opportuno pronunciamento della Corte
costituzionale sul tema della gerarchia delle fonti – ma soprattutto al tipo di sentenze
che è stato reso, in riferimento sia ai precedenti, contrari, della stessa Consulta (nel
senso della infondatezza delle questioni riguardanti la stessa norma), sia al parametro
costituzionale utilizzato. Anche il problema residuo della disciplina applicabile si
colora ora in modo diverso dalle esperienze passate, posto che il rassicurante approdo
al suppletivo criterio del prezzo di mercato parrebbe ora meno agevole, atteso il
tenore delle motivazioni inequivocabilmente svolte dalla Corte sul concetto
costituzionale di indennità.
La ricognizione sulle ricadute della sentenza riguardo ai rapporti pendenti, inoltre,
si carica di valenze diverse a seconda se ci si riferisca ai giudizi in corso, per la
determinazione dell’indennità o per la liquidazione del danno da occupazione
appropriativa (essendone limite di incidenza l’avvenuto passaggio in giudicato), o ai
procedimenti espropriativi iniziati sotto la vigenza dell’art. 5-bis, o dell’art. 37 t.u.
espropriazioni, in cui gli enti esproprianti, in grado di confidare sulla definitività delle
pregresse fasi amministrative, si trovano esposti al ripensamento dei soggetti
espropriandi sull’ammontare dell’indennità, anche quando l’importo sia stato oggetto
di accordi amichevoli.
3
Le due sentenze, inoltre, pur caratterizzate dallo stesso nucleo argomentativi,
attengono a questioni diverse, l’indennità (sent. 348) ed il risarcimento (sent. 349).
Sicché il problema va frammentato in vari poli, dall’incidenza delle sentenze su tali
rispettivi problemi (per la n. 348 anche in riferimento ai procedimenti amministrativi
in corso; il risarcimento, di cui alla sent. 349, è invece sempre vicenda postuma), al
concetto di pendenza (che ovviamente non coincide con quello di pendenza
processuale, dato che, per richiamare un esempio grossolano, può essere ancora in
discussione la titolarità passiva degli obblighi indennitario o risarcitorio, ma non più la
misura di indennità e risarcimento), al criterio applicabile dopo il tramonto della semisomma, all’interrogativo non ozioso di una residua applicabilità nel tempo della norma
illegittima, attesa la vicenda costituzionale attraverso a quale è maturata la
dichiarazione d’incostituzionalità.
2.- Ambito di incidenza temporale delle dichiarazioni di illegittimità
costituzionale.
2.1.- Questa ricognizione muove dall’analisi della questione in ordine all’efficacia
retroattiva delle due sentenze, ovvero fino a che punto per i rapporti relativi alla
determinazione dell’indennità, o della liquidazione del danno per occupazione
illegittima, debba considerarsi che le norme dichiarate incostituzionali, siano del tutto
inapplicabili.
E’ pur vero che la lettura dell’art. 136 Cost., in base al quale “la norma cessa di
avere efficacia del giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, deve essere
integrata dal disposto dell’art. 30, terzo comma, l. 11.3.1953 n. 87, per la quale “le
norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno
successivo alla pubblicazione della decisione”. Soccorre a tal proposito il richiamo alle
categorie dell’abrogazione, per cui una disposizione non esiste da un certo momento
in poi, mentre per il periodo precedente deve darglisi applicazione, e
dell’annullamento, che nasce dall’accertamento di un vizio della legge, di un contrasto
con le norme gerarchicamente superiori, che causa l’invalidità della legge in questione,
e, com’è noto, ha effetto ex tunc.
La sentenza ha valore costitutivo, nel senso che benché il contrasto con la
Costituzione sia certamente sorto in precedenza, è solo con la sentenza che esso è
accertato e la legge viene invalidata: i rapporti sorti in precedenza sulla base di quella
legge non cadono automaticamente, come non cadono gli atti amministrativi che la
presuppongono (ma che possono essere annullati a seguito d’impugnazione).
La sentenza d’illegittimità, tuttavia, si traduce in un ordine rivolto ai soggetti
dell’applicazione (giudici e amministrazione), di non applicare più la norma illegittima:
ciò significa che gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano solo i
rapporti che sorgono in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non
si tratti di rapporti esauriti.
La conferma della necessità di disapplicare la legge dichiarata incostituzionale, con
riferimento ai rapporti pendenti, proviene dall’art. 1 l. cost. 9.2.1948, n. 1, in base al
quale la Corte costituzionale è investita della questione dal giudice, indirettamente, nel
corso di un giudizio: la perdita di efficacia va intesa dunque nel senso che dal giorno
4
successivo alla pubblicazione della sentenza la legge non può più trovare applicazione,
proprio in riferimento al giudizio a quo. Diversamente, non avrebbe senso che pur
avendola un giudice sollevata in riferimento ad un fatto specifico, egli fosse tenuto ad
applicarla nonostante la Corte l’abbia dichiarata illegittima.
2.2.- Circa l’estensione oggettiva degli effetti della pronuncia di accoglimento, si
suole dire che essa non riguarda i rapporti esauriti, ma incide sui rapporti pendenti.
L’esaurimento o la pendenza vanno logicamente commisurati alla data della
pubblicazione della sentenza, che per il giudice chiamato all’applicazione delle norme,
è quella della Raccolta ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale
(art. 29 l. n. 53/87). Collegato al problema dell’estensione oggettiva, è quello della
prescrizione o decadenza nell’esercizio di un’attività o di un diritto, su cui la norma
dichiarata incostituzionale aveva incidenza.
Il concetto di “rapporto esaurito” è riferito alle situazioni giuridiche che possono
dirsi ormai esaurite, consolidate ed intangibili, allorché i rapporti tra le parti siano stati
già definiti anteriormente alla pronuncia di illegittimità costituzionale per effetto, sia di
giudicato, sia di atti amministrativi non più impugnabili, sia di atti negoziali rilevanti
sul piano sostanziale o processuale, nonostante l’inefficacia della norma dichiarata
incostituzionale. La Cassazione ha, in particolare, chiarito che “se la dichiarazione di
illegittimità costituzionale ha effetto retroattivo, nel senso che la dichiarazione
illegittima non può essere applicata né come norma per la disciplina dei rapporti
ancora in corso o da costituire, né come regola di giudizio dei rapporti esauriti,
tuttavia, la circostanza che quella disposizione abbia di fatto operato nell’ordinamento
giuridico comporta che essa ha prodotto effetti irreversibili, perché essi hanno inciso
su rapporti esauriti a causa della mancanza o della inutilizzabilità di strumenti idonei a
rimetterli in discussione ovvero a causa della impossibilità giuridica o logica di valutare
diversamente, a posteriori, comportamenti che devono essere esaminati alla stregua
della situazione normativa esistente al momento in cui si verificano”1.
I concetti di giudicato, intangibile alla disapplicazione della norma, e di rapporto
esaurito, vengono anche esaminati dalla giurisprudenza maturata proprio in
riferimento alle sentenze di incostituzionalità – e alle nuove normative varate nel
corso del tempo – che hanno caratterizzato la travagliata vicenda dell’indennizzo
espropriativo. Il problema è stato analizzato sia nell’immediatezza di sentenze
dichiarative dell’illegittimità dei criteri vigenti per il risarcimento2 e per l’indennità,
ritenuti penalizzanti per i proprietari3, sia dopo l’entrata in vigore di nuove normative
varate allo specifico scopo di porre rimedio alle situazioni di vuoto per la precedente
dichiarazione d’incostituzionalità (che vuoto, come detto, non era, a causa della
reviviscenza del valore venale), le quali hanno sempre avuto cura di precisare la
propria diretta applicabilità ai rapporti pendenti: così l’art. 5-bis d.l. n. 333/92, conv. in
l. n. 359/92, al comma 6 dichiara l’applicabilità delle disposizioni contestuali “in tutti i
1
Cass. 18-12-1984, n. 6626, rv. 438172.
Corte cost. 2-11-1996, n. 396.
3
Corte cost., sent. n. 5/80 e n. 223/83, in cui venne riesumato il criterio previgente del giusto prezzo in una libera
contrattazione di compravendita, di cui all’immediato precedente legislativo delle norme dichiarate incostituzionali,
l’art. 39 l. 2359/1865.
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5
casi in cui non siano stati determinati in via definitiva il prezzo, l’entità dell’indennizzo
o il risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore” della stessa legge di
conversione n. 359/92; analogamente il comma 7-bis dello stesso art. 5-bis, come
introdotto dall’art. 3, co. 65, l. n. 662/96, recita che le disposizioni sulla liquidazione
del danno da occupazione appropriativa “si applicano anche ai procedimenti in corso
non definiti con sentenza passata in giudicato”.
2.3.- L’art. 5-bis era sopravvissuto a precedenti verifiche di legittimità4, come pure
il comma 7-bis5. Di ciò la Corte dà ampiamente conto, giustificando il proprio
revirement in virtù della necessaria relatività della valutazione circa l’adeguatezza
dell’indennità, con riguardo al contesto storico-economico ed al contesto istituzionale.
I tempi sono cambiati, i problemi di equilibrio della finanza pubblica permangono, ma
la sfavorevole congiuntura economica che aveva giustificato la manovra finanziaria
correttiva dell’estate del 1992, non può andare avanti all’infinito. Alla dichiarata
provvisorietà del 5-bis, cui la Consulta6 aveva un po’ ammiccato, limitandosi ad un
ritocco marginale sulla disciplina del 40%, è ora subentrato il palese intendimento di
rendere la disciplina definitiva, con l’art. 37, che dell’art. 5-bis è gemmazione.
Si tratta dunque di una illegittimità costituzionale “sopravvenuta”. Questa è una
tipologia ben nota alla dottrina costituzionalistica, coniata soprattutto in riferimento a
sentenze di accoglimento in cui sia la Corte a disporre in ordine agli effetti temporali
delle sue pronunce, stabilendo direttamente il momento da cui essi dovessero
prodursi.
La conformità o difformità della singola norma rispetto al parametro
costituzionale non resta insensibile alla dimensione diacronica. Si tratta comunque di
indirizzo giurisprudenziale non esente da critiche, giacché in questo modo la Corte
finisce per autoattribuirsi un potere nell’esercizio del quale possono facilmente giocare
valutazioni di ordine sostanziale, non strettamente legate alla logica del processo
costituzionale, con il rischio di determinare disparità di trattamento non sempre
giustificabili7.
La necessità di introdurre temperamenti alla definitiva inefficacia delle norme
sfavorevolmente sindacate, può essere suggerito dall’attuazione del principio di
gradualità nell’attuazione dei principi costituzionali, o perché la Corte si sente
chiamata a compiere un bilanciamento tra valori costituzionali dei quali nessuno può
essere interamente sacrificato, ma che possono importare reciproca compromissione,
talora anche di ordine temporale8. Ma questo non è avvenuto con le sentenze nn. 348
e 349, che a parte dar atto della precedente vicenda costituzionale delle norme, non
introducono limitazioni espresse all’inefficacia delle stesse.
2.4.- Si può però anche dare che il contrasto della norma con i precetti
costituzionali sorga solo successivamente all’entrata in vigore della norma stessa (a
4
Corte cost. 16.6.1993, n. 283., ord. n. 414 e sent. n. 442/93.
Corte cost. 30.4.1999, n. 148.
6
Corte cost. 16.6.1993, n. 283.
7
F. POLITI, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, Padova, 1997, 277.
8
Si citano come esemplari di questa tecnica, Corte cost. n. 218 del 1994, n. 50 del 1989, n. 398 del 1989, n. 266 del
1988, n. 501 del 1988.
5
6
causa di intervenute modificazioni nel quadro delle nome interposte, o nel tessuto
normativo in genere, o per l’incidenza di altri fattori strutturali con essa comunque
interagenti). In tal caso il ripristino della legalità non richiederebbe il sacrificio assoluto
della norma (e dei rapporti in essa ricompresi) anche per il periodo precedente a
quello in cui si è venuta a determinare la situazione di contrasto tra norma e fonte
costituzionale, perché diversamente la retrodatazione dell’effetto della declaratoria di
illegittimità “andrebbe contraddittoriamente a colpire una norma legittima”9.
E su questo possiamo riflettere, posto che la sent. 348 spiega chiaramente (punto
5.4) che “l’art. 1 del I prot. CEDU è stato oggetto di progressiva focalizzazione
interpretativa da parte della Corte di Strasburgo, che ha attribuito alla disposizione un
contenuto ed una portata ritenuti dalla stessa Corte incompatibili con la disciplina
italiana dell’indennità di espropriazione”. E’ in esito ad una lunga evoluzione
giurisprudenziale che la Grande Chambre, con la decisione del 29.3.2006, ha fissato
alcuni principi generali, al cospetto dei quali i criteri di calcolo dell’indennità di
espropriazione previsti dalla legge italiana porterebbero alla corresponsione di una
somma largamente inferiore al valore di mercato.
Sicché la persistenza della norma nel periodo antecedente avrebbe una sua
giustificazione, politica e costituzionale.
Ma c’è di più: il parametro utilizzato dalla Corte per dichiarare l’illegittimità della
norma è recente. L’art. 117 Cost. è stato modificato nel testo attuale dall’art. 8 l.cost.
n. 3/01, pubblicato in G.U. 24 ottobre 2001, n. 248. La Corte di cassazione ebbe
consapevolmente a denunciare la disciplina indennitaria, per contrasto con due
parametri, quelli di cui agli artt. 111 e 117 Cost., che non esistevano al momento delle
precedenti (favorevoli) verifiche costituzionali della stessa (compiute in base agli att. 3,
24, 42 Cost.).
Quale potrebbe essere la conseguenza di questa riflessione. Che la norma sarebbe
incostituzionale solo dal momento in cui è nato il parametro (art. 117 Cost.;
l’assorbimento dell’altra questione ha esentato la Corte dal sindacato alla luce dell’art.
111) alla quale ora è stata commisurata in modo sfavorevole, che poi è quello che
consente di dare rilevanza costituzionale al contrasto con la CEDU, per l’omessa
osservanza da parte dello Stato degli obblighi che gli derivano dalle convenzioni
internazionali. La riprova di ciò è che in precedenza la norma era stata giudicata
conforme alla Costituzione.
Il risultato sarebbe che a seconda della data di nascita del rapporto di credito (dal
decreto di esproprio per l’indennità, dall’occupazione appropriativa per il
risarcimento), se anteriore o posteriore all’entrata in vigore della riforma del titolo V
della Costituzione (3 novembre 2001, dopo la vacatio legis dalla pubblicazione in G.U.),
la norma resterebbe applicabile ai rapporti non definiti.
E’ stata affermata in dottrina una naturale limitazione dell’efficacia retroattiva della
decisione d’incostituzionalità ove questa sia originata da una causa non esistente al
momento della sua entrata in vigore della legge. Si prenda l’esempio dell’entrata in
9
M.R. MORELLI, Incostituzionalità sopravvenuta (anche “a ridosso di precedenti pronunce monitorie, per
successiva inerzia del legislatore”), in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con
riferimento alle esperienze straniere, Milano, 1988, 183.
7
vigore di una nuova Costituzione, frutto dell’esercizio del potere costituente, e
condizione di validità sostanziale di tutte le leggi.
L’art. 282 della Cost. portoghese, ad esempio, afferma che nel caso di illegittimità
costituzionale di una legge per violazione di una norma costituzionale posteriore, gli
effetti della sentenza di accoglimento si producono solo dal momento dell’entrata in
vigore del parametro costituzionale. Si è osservato che “la medesima soluzione, pur in
mancanza di analoga disposizione, sembra agevolmente prospettabile nel sistema
italiano10. In tal caso parrebbe maggiormente appropriato l’accostamento al concetto
di abrogazione, che a quello d’invalidità.
2.5.- La Corte di cassazione ha affermato che gli effetti della dichiarazione di
illegittimità costituzionale avente ad oggetto una legge o un atto avente forza di legge
anteriore all’entrata in vigore della Costituzione, possono retroagire anche oltre il 1
gennaio 194811. Il problema si è posto relativamente alle conseguenze della
dichiarazione d’incostuzionalità delle norme che non prevedevano l’acquisto della
cittadinanza per il figlio di madre cittadina12 e la perdita automatica della cittadinanza
della donna che sposava uno straniero13. Nonostante la prassi amministrativa e la
stessa giurisprudenza avesse limitato la possibilità di far valere gli effetti delle dette
dichiarazioni d’incostituzionalità a coloro che fossero nati o che si fossero sposati
dopo quella data, la Cassazione ha cambiato orientamento, anche se appare
determinante il riferimento allo status di figlio anziché al fatto storico della nascita, nel
primo caso, e allo status di moglie, piuttosto che al momento del matrimonio, nel
secondo caso; sembra che tutte le volte in cui l’ordinamento alteri il complesso delle
situazioni soggettive riconducibili ad uno status, aggiungendo o sottraendo dirottino
doveri, ciò vale per tutti coloro che si trovano in quello status, indipendentemente dal
momento in cui l’abbiano acquisito.
La Cassazione ha però espresso anche un orientamento limitativo, rispetto al
passato14. Proprio in riferimento alla previsione di perdita automatica della
cittadinanza della donna che ha sposato lo straniero, le SS.UU. hanno osservato che
non è cittadino italiano chi prima della Cost. era nato da una madre che per aver
sposato uno straniero, aveva perduto la cittadinanza: nel caso di matrimonio contratto
prima del 1948, la perdita della cittadinanza deve intendersi validamente verificatasi,
senza che la sentenza della Corte cost. possa validamente incidere, se non nel senso
che la donna ha il diritto di riacquistare la cittadinanza ove lo voglia. Ma la sentenza è
stata criticata sotto il profilo che cittadinanza e filiazione non sono situazioni
giuridiche soggettive, ma posizioni soggettive, qualificate status, che esprimono la
condizione giuridica attribuita al singolo per la sua appartenenza al gruppo, sicché
rispetto agli status non può parlarsi di prescrizione o decadenza, non avendo alcun
senso parlare in tal caso di esercizio o di disponibilità di essi (art. 2934 c.c.). In altre
10
M. RUOTOLO, La dimensione temporale dell’invalidità della legge, Padova, 2000, 181.
Vedi le sentenze Cass. 10.7.1996, n. 6297, rv. 498474; 18.11.1996, n. 10086, rv. 500609; 22.11.2000, n. 15062,
rv. 541998.
12
Corte cost. 9.2.1983, n. 30.
13
Corte cost. n. 87/75.
14
Cass. 27.11.1998, n. 12061, rv. 521180; 19.2.2004, n. 3331, rv. 570305.
11
8
parole per le questioni relative agli status non sono predicabili le vicende estintive
riconducibili all’esaurimento dei rapporti15.
2.6.- Se si voglia ricercare nel testo della motivazione della sentenza qualche
indizio utile a risolvere il problema, non sembra possano farsi emergere elementi
decisivi: se da un lato, infatti, il punto 6.2 della sent. 349 dice che “non c’è dubbio,
pertanto, alla base del quadro complessivo delle norme costituzionali e degli
orientamenti di questa Corte, che il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cost., ha
colmato una lacuna e che, in armonia con la Costituzione di altri paesi europei, si
collega, a prescindere dalla sua collocazione sistematica nella Carta costituzionale, al
quadro dei principi che espressamente già garantivano a livello primario l’osservanza
di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato”, il che potrebbe orientare il
giudizio, mediante la sottolineatura della sopravvenienza della incostituzionalità, verso
una limitazione dell’inefficacia nel tempo, dall’altro sembra suonare in modo (non si
sa quanto consapevolmente) dirimente il punto 6 della sent. 348, ove si ribadisce,
richiamandosi l’art. 30 l. n. 87/53, che essa non può avere più alcuna applicazione dal
giorno successivo alla pubblicazione della sentenza stessa.
Ma a parte tale ultima risolutiva indicazione – che peraltro serve a rendere
superfluo il sindacato alla luce dell’art. 111 Cost., per l’entrata in vigore dell’art. 5-bis a
giudizi iniziati, dato che, sembra osservare la Corte, quella norma è come se non fosse
mai esistita – forse è il caso di darsi una giustificazione teoricamente soddisfacente alla
ormai assoluta e definitiva disapplicazione dell’art. 5-bis.
Le indicazioni ricavabili dalla vicenda dello status di cittadinanza paiono in realtà
difficilmente utilizzabili nella questione in esame, giacché lì si era impostato il
problema sotto il profilo dell’esaurimento del rapporto, che all’entrata in vigore della
Costituzione non avrebbe potuto più risentire di una nuova valutazione di conformità
costituzionale quanto alla sua disciplina giuridica. Qui è diverso, giacché è pacifico che
i rapporti (di credito) di cui ci occupiamo sono pendenti, e non può dirsi che su di essi
non possa incidere una nuova disciplina (o una sopravvenuta assenza di essa) sol
perché da un certo momento essi non sono conformi a Costituzione: ciò che conta è
che per le vicende più varie l’indennità non è stata corrisposta, ed è ora, al momento
della definitiva liquidazione, che deve esser commisurata la congruità dell’attribuzione.
Anche perché è ora, a seguito della fondamentale acquisizione della coscienza di dover
dare esecuzione agli obblighi internazionali, che la sistemazione dei rapporti
economici tra le parti, per definizione soggetta alle fluttuazioni legislative, si porrebbe
al di fuori dei canoni dell’ordinamento.
E ancora, se anche pare difficile che il giudice di legittimità sia stato sfiorato dal
problema che ne occupa (come non lo furono i rimettenti, che forse avrebbero
dovuto spendersi maggiormente nella motivazione sulla rilevanza riguardo ai
parametri invocati), pare consentito aggiungere, per quanto possa valere, un
argumentum a contrario. Portando a compimento la riflessione sulle pregresse favorevoli
prognosi in ordine alla costituzionalità della norma, allora giustificata per la sua
provvisorietà, ben avrebbe potuto la Consulta salvare l’art. 5-bis, come capitolo
15
F. POLITI, Del perché la Cassazione continua a ritenere efficaci norme (già dichiarate) incostituzionali, Giur.
Cost., 1999, 1374.
9
concluso di una vicenda destinata a completarsi in occasione di successive denunce,
stavolta localizzate sull’art. 37 t.u., che perpetua l’inadeguatezza dell’indennità,
limitandosi a dare al legislatore un monito incondizionato ad intervenire su
quest’ultima norma. Che non l’abbia fatto, anzi, che abbia sentito la necessità di
indirizzare comunque il legislatore a colmare la lacuna che si viene a creare anche per
il passato, significa che non ha per niente preso in considerazione l’ipotesi di una
incostituzionalità dell’art. 5-bis, limitata nel tempo.
2.7.- Si riconosce da tempo che il principio tempus regit actum, regolante la
successione nel tempo delle leggi processuali, non è riferibile alla dichiarazione di
illegittimità costituzionale, che, non essendo una forma di abrogazione della legge, ma
una conseguenza della sua invalidità originaria, ha efficacia retroattiva, nel senso che
investe anche situazioni processuali precedenti alla sentenza di abrogazione – salve
l’avvenuta formazione del giudicato e la presenza di preclusioni processuali già
verificatesi – in omaggio al principio enunciato dagli art. 136 cost. e 30 l. 11.3.1953 n.
8716. Sicché in presenza di una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di
una disposizione normativa l’interprete non ha il potere di verificare, caso per caso, se
questa abbia – o meno – efficacia retroattiva; contemporaneamente è irrilevante, al
fine di escludere la retroattività degli effetti di una tale pronuncia, la circostanza che in
precedenza la stessa Corte abbia ritenuto non fondata una questione identica (o
analoga) a quella successivamente ritenuta fondata; perché una norma successiva al 1º
gennaio 1948 e dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale
cessi di avere efficacia da un momento diverso rispetto a quello indicato dall’art. 136
cost. e, quindi, sia priva di efficacia retroattiva, è indispensabile una statuizione ad hoc
della stessa Corte, sul rilievo che la stessa, in armonia con la Costituzione al momento
della sua promulgazione, si è posta in contrasto con questa solo in un momento
successivo, senza che sia consentito all’interprete correggere o modificare le
statuizioni della Corte17.
3.- Ambito di incidenza oggettivo delle dichiarazioni di illegittimità
costituzionale.
3.1.- Volendo allora esaminare, riguardo ai procedimenti pendenti in cassazione,
l’incidenza delle sentenze di illegittimità costituzionale, il dettame fondamentale è che
sia tuttora in discussione la misura dell’indennità, siccome fino ad oggi regolata
dall’art. 5-bis, come della misura del risarcimento, siccome regolata dal comma 7-bis
dello stesso art. 5-bis.
Secondo i principi generali, l’efficacia retroattiva della detta pronuncia
d’incostituzionalità trova un limite in quei casi concreti in cui si siano determinate
situazioni giuridiche consolidate ed intangibili (il cui accertamento positivo preclude
l’esame della questione su cui incide la dichiarazione d’incostituzionalità), come nei
casi di rapporti già definiti, anteriormente alla pronuncia d’illegittimità costituzionale,
16
17
Cass. 10-05-2006, n. 10761, rv. 591042.
Cass. 28-07-2005, n. 15809, rv. 583232.
10
in base a giudicato e ad atti amministrativi non più impugnabili o ad altri atti o fatti,
come la prescrizione, di cui siano esauriti gli effetti e che siano rilevanti, sul piano
sostanziale e processuale, nonostante l’inefficacia delle norme dichiarate
incostituzionali18.
Ove si ritenga la controversia sulla misura dell’indennità o del risarcimento ancora
in corso, e sempre che l’applicazione del decisum costituzionale vada a vantaggio di chi
ricorre, in via principale o incidentale, dovrà procedersi alla cassazione della sentenza,
con rinvio per una nuova rideterminazione. In ordine all’indicazione di nuovi criteri
applicabili, si dirà oltre.
Pur se non si tratta, a stretto rigore, di ipotesi di ius superveniens (anzi, almeno per
l’indennità, viene a verificarsi un vuoto di disciplina legislativa), è utilmente esplorabile
la giurisprudenza prodotta riguardo allo ius superveniens in materia indennitaria e
risarcitoria, che è stato ritenuto applicabile in tutti i giudizi non definiti con sentenza
passata in giudicato, e quindi anche nei giudizi pendenti in sede di legittimità19, o in
sede di appello20.
Fin dal pronunciamento delle Sezioni unite del 199421, infatti, si ritenne che non
potendosi formare giudicato interno sulla questione della normativa applicabile ad un
rapporto, ed essendo la determinazione dell’indennità di espropriazione connessa a
criteri a fattispecie complessa, in cui è impossibile la separazione tra profili di fatto e
di diritto, la disciplina posta dall’art. 5-bis l. 8 agosto 1992 n. 359 era applicabile ex
officio in cassazione, anche se i motivi di impugnazione attenessero genericamente al
quantum dell’indennità, senza investire l’individuazione della legge regolatrice del
rapporto espropriativo.
3.2.- Il contendere deve tuttavia avere attinenza con la misura dell’indennità o con
la liquidazione del danno, intesi in senso ampio.
Deve trattarsi, in primo luogo, di persistente contestazione in ordine alla
valutazione di suoli edificatori: nessuna incidenza hanno avuto le recenti sentenze
d’incostituzionalità riguardo ai suoli agricoli, né sotto il profilo indennitario, restando
applicabile il criterio dell’art. 16 l. n. 865/71, del valore agricolo medio (cui rinvia l’art.
5-bis, comma 4, non interessato dalla dichiarazione d’incostituzionalità della sent. n.
348), né sotto quello risarcitorio, in cui ci si richiama al criterio giurisprudenziale del
valore agricolo di mercato22. Il principio va logicamente applicato alle aree non
classificabili come edificabili, alle quali, vocazione agricola a parte, sia riservato il
trattamento di cui all’art. 5-bis, comma 4.
Non è necessario vi sia contestazione specifica sull’applicabilità o meno della
legge, emanata o abrogata, purché sia in contestazione la quantificazione, in concreto,
dell’indennità, e ciò in quanto il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente
alla stima è l’indennità liquidata nella misura di legge, non già il criterio legale per la
sua determinazione, in ordine al quale il giudice non incontra limiti nella domanda,
18
Cass. 1-12-1986, n. 7109, rv. 449190.
Cass. 26-05-2006, n. 12625, rv. 589498; 2-9-1998, n. 8706, rv. 518556; 26-8-1998, n. 8490, rv. 518392.
20
Cass. 26-03-2004, n. 6072, rv. 571571: “il mero gravame sull’an o sul quantum del risarcimento dei danni non
esclude che il giudice d’appello debba applicare d’ufficio i citati nuovi criteri”.
21
Cass. 22-11-1994, n. 9872, rv. 488759.
22
Che per definizione non è edificatorio: Cass. 6-10-2005, n. 19511, rv. 583573; 12-6-1998, n. 5893, rv. 516431.
19
11
senza che per questo sia configurabile violazione alcuna del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato23: in ordine all’individuazione del criterio
legale di stima non è concepibile la formazione di un giudicato autonomo24 – così
come la pronunzia sulla legge applicabile al rapporto controverso non può costituire
giudicato autonomo rispetto a quello sul rapporto – né l’acquiescenza allo stesso; né
potendo considerarsi «nuova» la relativa questione, atteso che il giudice, nella ricerca
dei criteri legali, non incontra, nei limiti della domanda, alcun vincolo derivante dalle
deduzioni delle parti e che nella complessa fattispecie dell’indennità espropriativa non
è possibile separare i profili di fatto da quelli di diritto (Cass. 27-05-1995, n. 5907).
Analogamente, in tema di risarcimento del danno da occupazione appropriativa, si
è affermato che correttamente la corte di appello, investita della impugnazione dei
criteri con i quali i primi giudici abbiano liquidato il risarcimento del danno dovuto da
una amministrazione comunale ai proprietari dei terreni oggetto di occupazione
acquisitiva perfezionatasi in epoca antecedente alla data del 30 settembre 1996, aveva
quantificato detto risarcimento in base allo ius superveniens, di cui al comma 65 dell’art.
3 l. 23 dicembre 1996 n. 66225.
La norma dichiarata incostituzionale, può essere disapplicata nel giudizio di
cassazione, ove l’impugnazione sia stata proposta dal soggetto a cui favore giova la
nuova realtà normativa, ovvero, il proprietario: sul tema si è ritenuto al contrario
inapplicabile nel giudizio di appello lo ius superveniens, costituito dall’art. 5 bis, comma
7-bis, l. 8 agosto 1992 n. 359, come introdotto dall’art. 3, comma 65, l. n. 662 del 1996,
qualora, non avendo l’ente espropriante proposto gravame sulla quantificazione del
danno, il relativo punto della sentenza di primo grado sia da considerare passato in
giudicato26, dovendosi ritenere che l’ente pubblico abbia fatto acquiescenza alla
sentenza27.
3.3.- L’ipotesi più scontata di applicabilità di una disciplina sopravvenuta in corso
di giudizio, è quella in cui sia oggetto di contestazione, in sede di ricorso per
cassazione, la sopravvenuta violazione di norme di diritto per effetto della
determinazione legislativa dei nuovi criteri, entrati in vigore dopo la pubblicazione
della sentenza impugnata28. Il criterio di cui allo ius superveniens, nei giudizi pendenti
avanti alla Corte di cassazione, si applica anche ove i motivi di ricorso, presentato
prima della modifica, investissero direttamente la legge regolatrice dell’indennizzo29.
I nuovi criteri di liquidazione del danno da occupazione appropriativa, introdotti
dal comma 7-bis dell’art. 5-bis l. n. 359/92, sono entrati in vigore dal 1 gennaio 1997
(art. 6, comma 3, l. 662/96), e vanno applicati anche se la normativa è sopravvenuta
dopo la deliberazione in camera di consiglio, che è atto privo di rilevanza giuridica
esterna, e prima della pubblicazione, che invece segna il momento di giuridica
esistenza della sentenza civile (esclusi i casi in cui vi è obbligo di lettura del dispositivo
23
Cass. 15-10-2002, n. 14664, rv. 557923.
Cass. 21-12-2000, n. 16061, rv. 542834.
25
Cass. 19-04-2002, n. 5728, rv. 553881.
26
Cass. 7-09-1999, n. 9484, rv. 529710.
27
Cass. 18-7-1996, n. 6480, rv. 498617.
28
Cass. 28-08-2000, n. 11224, rv. 539795.
29
Cass. 7-03-1997, n. 2091, rv. 502893, con specifico riguardo al conguaglio del prezzo di cessione volontaria.
24
12
in udienza)30: il principio è ovviamente applicabile anche nell’attualità, ove le sentenze
d’incostituzionalità siano state pubblicate nell’intervallo tra camera di consiglio e
pubblicazione della sentenza.
Il principio secondo il quale la esistenza dello ius superveniens è rilevabile, anche di
ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, trova applicazione, in sede di legittimità,
solo in caso di sopravvenienza della nuova disciplina rispetto alla data di proposizione
del ricorso per cassazione e non, invece, nel caso in cui essa sia intervenuta prima
della notifica del gravame e senza che, in esso, siano formulate specifiche censure in
ordine al contrasto delle norme di diritto applicate dai giudici di merito con la nuova
regolamentazione del rapporto in contestazione: in tema di liquidazione dell’indennità
di occupazione, ad esempio, si ritenne che l’applicabilità dei criteri dettati dall’art. 5 bis
l. 359/92 è da escludere tutte le volte in cui il ricorso per cassazione risulti notificato
successivamente all’entrata in vigore della detta legge e non contenga alcuna, specifica
censura relativa alla mancata applicazione della nuova disciplina in sede di merito31:
allo stesso modo si deve argomentare ove il proprietario, successivamente alla
pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale, abbia notificato ricorso per
cassazione senza chiedere la disapplicazione delle norme annullate. Il ricorso dovrà
essere dichiarato inammissibile, non essendo più vigente la disciplina di riferimento
invocata dal ricorrente.
3.4.- Qualche incertezza pare da cogliere in relazione alle ipotesi in cui lo ius
superveniens si collochi dopo il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva che
abbia stabilito non solo sull’an ma anche sui criteri del quantum, nel senso che abbia
indicato i criteri di legge da seguire nel prosieguo della causa, che dunque ha solo una
funzione applicativa: la ragione d’intangibilità del criterio indicato è stata giustificata –
si trattava nella specie sentenza che accertando l’obbligo di risarcimento da
occupazione appropriativa, lo aveva commisurato al valore venale, e l’ente
espropriante non aveva proposto specifico gravame sulla quantificazione del danno –
nel senso che la sentenza parziale si è in concreto pronunciata anche sul pregiudizio
sofferto dal proprietario dell’immobile in conseguenza della condotta illecita
dell’amministrazione espropriante, commisurandolo alla diminuzione patrimoniale
corrispondente al valore, ad una certa data, del bene sottrattogli, sicché l’oggetto della
decisione definitiva è circoscritto alla valutazione del bene, da incasellare nel criterio
già oggettivato32: proprio in riferimento al rapporto tra decisione parziale e definitiva,
l’applicabilità delle norme sopraggiunte è viceversa stata affermata in sede di
quantificazione finale dell’indennità di esproprio, pur se la sentenza di condanna
generica non fosse stata impugnata33.
Quest’ultimo principio è stato applicato al giudizio di rinvio riassunto dopo la
cassazione della sentenza che abbia fatto applicazione dei criteri di determinazione in
precedenza vigenti34.
30
Cass. 21-12-1999, n. 14357, rv. 532409.
Cass. 7-03-1998, n. 2542, rv. 513451.
32
Cass. 28-02-2006, n. 4395, rv. 587080; 11-6-2004, n. 11098, rv. 573571.
33
Cass. 21-12-2000, n. 16061, rv. 542834, cit.; 7-3-1997, n. 2091, rv. 502893, cit.
34
Cass. 10-02-2006, n. 2993, rv. 586955; 24-6-1989, n. 3093, rv. 463220, in cui, annullata dalla Cassazione
sentenza che aveva indennizzato a valore venale, con rinvio per l’applicazione del sopravvenuto art. 16 l. n. 865/71,
31
13
3.5.- Della dichiarazione d’incostituzionalità deve tenersi conto anche ove sia
pendente il giudizio in tema d’indennità di occupazione, che, com’è noto, se
preordinata alla successiva espropriazione suoli a vocazione edificatoria, è
determinabile in misura corrispondente ad una percentuale, legittimamente riferibile al
saggio degli interessi legali, della indennità che sarebbe dovuta per l’espropriazione
dell’area occupata35: sicché cadendo il sistema di calcolo dell’indennità espropriativa,
cade necessariamente anche il sistema di calcolo dell’indennità di occupazione.
Affinché non ricorra una preclusione da giudicato all’applicazione dello ius
superveniens è sufficiente che sia in discussione l’an o il quantum dell’indennità o del
risarcimento, sotto qualsiasi profilo. Venendo ad esaminare più direttamente la
casistica circa la persistenza della contestazione sulla misura dell’indennità o del
risarcimento, si danno i seguenti casi:
- la contestazione sulla qualità, agricola o edificatoria, del fondo impedisce il
passaggio in giudicato della sentenza di primo grado sul quantum del
risarcimento con conseguente obbligo per il giudice d’appello, pur
confermando l’accertamento sulla natura del fondo, di procedere
all’applicazione d’ufficio di una norma cogente e retroattiva36;
- è in contestazione l’ammontare del risarcimento quando la lite concerna la
fissazione del valore venale del fondo, che costituisce pur sempre il parametro
base di commisurazione del danno37;
- è in contestazione l’ammontare dell’indennità di asservimento, le cui
componenti, come noto, sono da codificare in moneta indennitaria, con
l’applicazione dell’art. 5-bis alle varie voci 38;
- va considerata pendente anche la questione di indennizzo per l’espropriazione
parziale di terreni edificatori, in cui si lamenti la mancata considerazione della
perdita di valore del residuo: il deprezzamento che abbiano subìto le parti
residue del bene espropriato, è da considerare voce ricompresa nell’indennità di
espropriazione, che per definizione riguarda l’intera diminuzione patrimoniale
subìta dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, sicché l’indennità va
considerata ad ogni effetto unica39, anche ove il giudice abbia ritenuto, in nome
del principio di effettività, di adottare un criterio di stima algebrico (valore
negativo del decremento del residuo aggiunto al valore positivo della parte
espropriata) piuttosto che di stima differenziale (valore postea sottratto al valore
antea)40.
il giudice di rinvio, in relazione alla successiva dichiarazione d’incostituzionalità di tali criteri, nonché di quelli
analoghi reintrodotti in via provvisoria dalla l. 29 luglio 1980, n. 385 – sentenze della Corte costituzionale n. 5 del
1980 e n. 223 del 1983 –, era tenuto a liquidare l’indennità secondo il parametro generale del prezzo di mercato di
cui agli art. 39 segg., l. 25 giugno 1865, n. 2359.
35
Cass. 16-11-2000, n. 14856, rv. 541771; nel t.u., art. 50.
36
Cass. 11-10-1999, n. 11382, rv. 530579.
37
Cass. 17-01-1998, n. 363, rv. 511641.
38
Cass. 14-6-2000, n. 8097, rv. 537578.
39
Cass. 4-06-2004, n. 10634, rv. 573378.
40
Cass. 21.5.2007, n. 11782, rv. 597759.
14
Diversamente, si sono ritenute al di fuori della persistenza della determinazione di
indennità e del danno, le seguenti ipotesi:
- allorché oggetto del ricorso sia soltanto la legittimazione passiva riguardo
all’esperita azione di risarcimento41;
- pretesa rilevanza estintiva della pretesa risarcitoria di un decreto di
espropriazione in sanatoria42;
- spettanza del maggior danno per il colpevole ritardo nel pagamento
dell’indennità43;
- questione dell’estensione del suolo oggetto di occupazione appropriativa44.
3.6.- E’ anche da considerare che la determinazione dell’indennizzo si presta ad
essere relativizzata nelle varie componenti del calcolo indennitario, in cui possono
avere ingresso anche discipline diverse, o concorrenti, rispetto all’art. 5-bis, comma 1 o
comma 7-bis.
La permanente contestazione sul modo di determinare l’indennità, o di liquidare il
danno, non deve far perdere di vista che la questione scaturisce dall’impossibilità di
applicare una norma dichiarata incostituzionale, e che l’eventuale giudicato sulla
determinazione, per quanto possa essere ampio l’ambito della contestazione, non può
che avere riferimento all’applicazione di quella norma.
Sicché se quanto risulta non più dibattuto (o mai dibattuto) nel corso del processo
resta insensibile alla pronuncia di incostituzionalità45, pare doversi predicare
l’intangibilità dell’indennità determinata, pur se sia pendente un’impugnazione, ove
questa abbia ad oggetto l’applicazione dell’art. 16 del d.l. n. 504 del 1992, il quale
prevede la riduzione dell’indennità di espropriazione nel caso in cui il proprietario
avesse dichiarato, ai fini dell’imposta comunale sugli immobili, un valore del fondo da
espropriare inferiore all’indennità. Sia nell’ipotesi in cui è il Comune a dolersi della
mancata applicazione del meccanismo correttivo della norma (non essendo in tal caso
migliorabile a favore del proprietario la determinazione effettuata secondo l’art. 5-bis),
sia ove il proprietario censuri un’applicazione al di fuori delle ipotesi stabilite dalla
legge (ad es., mancata dichiarazione ai fini Ici o applicazione d’ufficio da parte del
giudice), la pendenza del giudizio, che non ha ad oggetto l’art. 5-bis, non autorizza a
vanificare la determinazione secondo il criterio della semisomma. Ove invece fosse in
contestazione la concreta applicabilità della riduzione nel confronto tra dichiarazione
Ici e indennità ai sensi dell’art. 5-bis, il venir meno di quest’ultimo parametro di
riferimento, rimetterebbe in gioco la questione.
3.7.- Qualche considerazione in più va riservata alla liquidazione del danno da
occupazione illegittima, in cui convergono, sul mutamento di disciplina inerente la
dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 5-bis, comma 7-bis, ulteriori nodi
problematici costituiti dal sopravvenire del t.u. espropriazioni, con la norma
41
Cass. 17-12-1998, n. 12631, 521721.
Cass. 13-5-1997, n. 4182, rv. 504254.
43
Cass. 10-11-1993, n. 11100, rv. 484264.
44
Cass. 26.6.1996, n. 5915, rv. 498304.
45
Cass. 11-01-2006, n. 394, rv. 585549.
42
15
transitoria dell’art. 55, da un lato (di cui è sorprendente che non si sia provveduto ad
una declaratoria d’incostituzionalità consequenziale, parallelamente a quanto operato
per l’art. 37), e con l’applicabilità dell’istituto dell’acquisizione sanante (art. 43), non
disgiunti dalla complicazione ingenerata dall’applicazione criteri di riparto delle
giurisdizioni.
La sentenza incide sulle liti relative alle sole occupazioni illegittime di suoli «per
causa di pubblica utilità», talché, nei casi in cui non è configurabile l’occupazione
appropriativa, per mancanza di valida dichiarazione di pubblica utilità, il proprietario
che agendo per il risarcimento abdichi implicitamente alla proprietà, ha comunque
diritto al valore venale del bene46: e la richiesta risarcitoria va rivolta al giudice
ordinario47.
Intanto va chiarito che la sentenza n. 349 del 2007 non risolve il problema
dell’occupazione appropriativa in sé, siccome censurata dalla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti, in quanto contraria al diritto al rispetto dei propri beni.
Non è stata in particolare discussa la problematica del carattere istantaneo o
illecito del fenomeno appropriativo, e neppure il termine di prescrizione: aspetti per i
quali, dunque, è applicabile la giurisprudenza elaborata negli ultimi anni. La sentenza
n. 349 ha solo dichiarato l’incostituzionalità della misura del risarcimento
commisurato al comma 7-bis, affermando che al vantaggio riveniente
all’amministrazione di avvalersi di un modo di acquisto della proprietà derivante da
fatto illecito, non si può cumulare l’ulteriore vantaggio dello sconto sull’obbligo
risarcitorio, che dunque va adempiuto secondo criteri d’integralità (prezzo di mercato
del bene), al momento della consumazione dell’illecito. Sicché poco importa, a questo
punto, che l’occupazione sia scaduta prima o dopo il 30.9.1996, o che il giudizio
risarcitorio fosse già pendente al 1°.1.1997 (come esige l’art. 55 t.u.), perché se di
occupazione appropriativa si tratta, essa deve essere compensata a valore di mercato:
il che, sotto questo profilo, semplifica le cose. Sempre che, con riguardo ai giudizi non
definiti, la controversia sulla misura del dovuto sia ancora pendente, secondo i
parametri di valutazione dello svolgimento processuale cui si è fatto cenno.
E’ da chiedersi se sul tema degli effetti della pronuncia d’incostituzionalità del
risarcimento da occupazione appropriativa possa incidere l’eventuale avvenuta
emissione postuma dell’atto di acquisizione.
Tanto per cominciare, è da verificare l’attribuibilità ad essa di un effetto
legalmente acquisitivo della proprietà del bene.
Riguardo all’occupazione usurpativa, alla scelta abdicativa della proprietà, da parte
del privato “usurpato” nel momento in cui egli si sia determinato all’azione
risarcitoria, consegue la perdita della proprietà48, di modo che l’eventuale acquisto di
essa da parte dell’autorità avviene per occupazione di una res nullius49, e a tale
momento, anteriore al formale atto di acquisizione, andrebbe fatto risalire, sia perché,
comunque, l’acquisizione potrebbe esser avvenuta in precedenza, per usucapione
ventennale.
46
Cass. 16-07-1997, n. 6515, rv. 506046.
Cass. 13-2-2007, n. 3043, rv. 594294; 19-4-2007, n. 9322, rv. 596970; 13-6-2006, n. 13659, rv. 589535.
48
Cass. 30-1-2001, n. 1266, rv. 543535; 28-3-2001, n. 4451, rv. 545228; 12-12-2001, n. 15687, rv. 551065.
49
Cass. 18-2-2000, n. 1814, rv. 534014.
47
16
Riguardo all’occupazione appropriativa, in cui il danno è configurato
nell’impossibilità di restituzione del bene per via della sua radicale trasformazione (dal
che l’acquisizione in proprietà alla mano pubblica), è l’irrilevante che
l’amministrazione proceda con decreto di acquisizione, che, se concepito dalla legge
come modo di acquisto postumo della proprietà di terreni comunque utilizzati a fini
pubblici (come testualmente prevede l’art. 43, comma 2, lett. e), non può essere
applicato ove il passaggio di proprietà sia già avvenuto.
La ricostruzione sistematica della normativa muove dalla dichiarata inapplicabilità
delle disposizioni del t.u. (senza esclusione, quindi, dell’art. 43, in base al disposto
dell’art. 57, per i progetti per i quali fosse già intervenuta la dichiarazione di pubblica
utilità alla data di entrata in vigore dello stesso t.u.), ma anche dalla specifica
regolamentazione dei fatti anteriori, nel corpus normativo, in cui si riproducono (art.
55) le modalità di liquidazione del danno da occupazione appropriativa, di cui all’art. 5
bis, comma 7 bis, d.l. n. 333 del 1992 conv. in l. n. 359 del 1992, come introdotto
dall’art. 3, comma 65, l. 662 del 1996 (che si abrogava, ma solo dall’entrata in vigore,
ratione temporis, del t.u. – art. 58, nn. 133 e 136 – contemporaneamente all’entrata in
vigore del nuovo sistema imperniato sull’atto di acquisizione e sul risarcimento
integrale).
Sicché non appare convincente la ricostruzione della giurisprudenza
amministrativa50, sull’applicabilità retroattiva dell’art. 4351.
Non può continuare a dirsi che l’istituto occupazione appropriativa è alla stregua
di un’invenzione giurisprudenziale, disconoscendo l’avvenuta presa d’atto del
fenomeno a livello legislativo – con l’art. 55 t.u., in continuità con il comma 7-bis
dell’art. 5-bis d.l. n. 333/92 e prima ancora con l’art. 3 l. 27 ottobre 1988 n. 458 – di
cui ci si possa sbarazzare in via interpretativa in nome di una soggettivistica
applicazione dei principi ispirati alla Convenzione europea dei diritti: non solo perché
– ora finalmente è chiaro – al giudice non è consentito disapplicare le norme
dell’ordinamento, ma anche perché proprio la giustificazione alla tesi dell’applicabilità
retroattiva dell’art. 43 t.u., spesso relazionata all’esigenza di radiare dall’ordinamento
un monstrum, quello dell’occupazione appropriativa, occasione di reiterate condanne
dello Stato italiano da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, non può far
dimenticare che nel precludere la restituzione di un bene occupato in assoluta via di
fatto, l’istituto dell’acquisizione sanante mal si concilia con i principi di cui all’art. 1,
all. I, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come la stessa Corte di
Strasburgo non ha mancato di sottolineare52. Il che anzi potrebbe indurre a qualche
dubbio di legittimità costituzionale del nuovo istituto, alla luce della riconosciuta
natura delle disposizioni della Convenzione, come norme interposte nel sindacato di
legittimità (sentenza n. 348 del 2007). E ancora, la stessa Corte costituzionale53 ha
avuto modo di osservare che mentre è plausibile l’applicabilità ante tempus dell’art. 53
t.u., in quanto norma processuale, non così per l’art. 43, che è norma di diritto
sostanziale.
50
Cons. Stato, ad. plen., 29-4-2005, n. 2, Foro it., 2006, III, 71.
Esclusa da Cass. 15-9-2005, n. 18239, rv. 582762.
52
Corte europea dei diritti dell’uomo 17 maggio 2005, Scordino c. Italia.
53
Nella sentenza n. 191/06.
51
17
Se poi la nuova disposizione possa venir utilizzata dalle amministrazioni al fine
della trascrizione (come testualmente previsto dall’art. 43, comma 2, lett. f), questa è
vicenda che si pone come successiva e autonoma rispetto all’azione risarcitoria
concernente non l’acquisto della proprietà alla mano pubblica, ma il danno per il
proprietario consistente nella definitiva inutilizzabilità del bene e nella conseguente
perdita: riguardo alla quale la giurisdizione, almeno per le azioni promosse prima della
l. n. 205/00, è del giudice ordinario54.
Una cosa è certa: che nel giudizio per il risarcimento del danno da occupazione
appropriativa occorre tener conto – in seguito alla sentenza n. 349 – del venir meno
della disciplina del risarcimento regolamentato, secondo le modalità cui sopra si è
fatto cenno, senza che l’emanato decreto di acquisizione possa avere la minima
rilevanza, tanto meno sulla liquidazione del danno.
3.8.- Della sopravvenuta incostituzionalità dell’art. 5-bis in tema di indennità, e
della necessità di rideterminarne l’importo, nell’ambito di giudizi pendenti in cui sulla
quantificazione non sia da ritenere intervenuto il giudicato, riguarda anche le ipotesi di
cessione volontaria. La pendenza concerne ancora oggi ipotesi di cessione intervenute
nella vigenza della legge 29.7.1980, n. 385, riguardo alle quali i proprietari – una volta
che quella legge fu dichiarata incostituzionale – agirono per il riconoscimento del
conguaglio da commisurare al criterio del valore venale ricavabile dall’art. 39 l. n.
2359/1865, che ridiventava applicabile. In dette cause si è ritenuto applicabile l’art. 5bis55, ed ora, se ancora non definite, sempre che sia il proprietario ad aver impugnato
la sentenza di merito, occorrerà procedere ad una nuova determinazione, in base al
criterio che si riterrà applicabile.
Si pone il problema se a seguito di una cessione volontaria, stipulata sul
presupposto dell’applicabilità dell’art. 5-bis, e mai contestata, il cedente possa agire, nei
termini della prescrizione, facendo valere l’invalidità del contratto per essere stato il
prezzo fissato in base a parametri non più legali.
Ad oggi si è ritenuto, in situazione analoga a quella determinatesi con la
dichiarazione d’incostituzionalità di un criterio penalizzante per il proprietario
cedente, che ove la cessione volontaria del bene contenga la determinazione del
prezzo sulla base del criterio dell’”acconto salvo conguaglio”, secondo i parametri
indennitari provvisori di cui alla legge n. 385/80, già dichiarati costituzionalmente
illegittimi56 al momento della stipulazione della cessione, la pattuizione invalida sul
prezzo viene automaticamente sostituita, a norma dell’art. 1419, secondo comma, cod.
civ., con il precetto ricavabile dal criterio legale, ossia con il criterio del valore di
mercato, di cui all’art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 235957. L’affermazione è stata
spinta ulteriormente fino a riconoscersi l’invalidità della clausola convenzionale di
previsione di un prezzo diverso, commisurato ad una normativa abrogata, non solo
qualora i parametri legali, cui le parti si siano riferite, siano stati in seguito dichiarati
incostituzionali, ma a maggior ragione allorché al momento della cessione detti
54
Cass. 2.7.2007, n. 14955, rv. 597365; 27.6.2007, n. 14794, rv. 597825.
Cass. 22-11-2006, n. 24857, rv. 593008.
56
Corte cost., sentenza n. 223 del 1983.
57
Cass. 13.9.2006, n. 19656, rv. 592135.
55
18
parametri non fossero più vigenti, con la conseguenza che la pattuizione invalida sul
prezzo viene automaticamente sostituita con il precetto detraibile dal criterio legale,
non essendo sufficiente, ai fini della qualificazione dell’operazione in termini di mero
negozio di diritto privato per un corrispettivo definitivamente determinato e in
suscettibile di integrazioni successive, il mero profilo della eventuale mancata
previsione del diritto al conguaglio del prezzo di cessione58.
L’affermazione è probabilmente eccessiva, posto che la mancata previsione da
parte dei contraenti di qualsiasi meccanismo di adeguamento cui agganciare eventuali
modifiche nei criteri di determinazione, impedisce ogni intento di revisione o
integrazione dell’accordo. Sicché esattamente si è affermato che l’inserzione
automatica del precetto retraibile dal criterio legale si giustifica grazie alla previsione
contrattuale di un’integrazione nella eventualità del sopravvenire di nuove regole
sull’indennità di espropriazione, e l’indeterminabilità del prezzo è esclusa atteso che il
relativo patto non introduce elementi di incertezza nel corrispettivo convenuto, ma si
esaurisce nella costituzione di un credito aggiuntivo del cedente, per il caso in cui i
mutamenti della disciplina normativa, incluso l’art. 5-bis l. n. 359 del 1992, comportino
un quantum dell’indennità di espropriazione superiore all’ammontare di quel
corrispettivo59.
Al quesito sopra posto deve quindi, ragionevolmente, darsi risposta negativa,
giacché il limite di incidenza della declaratoria d’incostituzionalità è costituito dai
rapporti esauriti, e, in riferimento a vicende sostanziali mai interessate da strascichi
giurisdizionali, è da fare utile richiamo al concetto di esaurimento degli effetti dell’atto
o contratto privato. Sicché è difficile immaginare un’azione di annullamento (o di
nullità) della cessione volontaria che abbia prodotto interamente il suo effetto di
trasferimento della proprietà, e di cui sia stato interamente corrisposto il prezzo.
L’atto negoziale con il quale i ricorrenti hanno accettato l’indennità di
espropriazione offerta conserva la sua validità, anche se è venuta meno la norma
giuridica vigente nel momento in cui essi si erano determinati a compierlo60.
3.9.- Si pone anche il problema della eventuale intangibilità degli accordi,
intervenuti nel corso della procedura amministrativa, sull’ammontare dell’indennità.
Intanto, sul piano meramente procedurale, della prosecuzione del procedimento
ablatorio ove sorgano contestazioni sul subprocedimento di determinazione
indennitaria eventualmente concluso, o eventuali revoche di “condivisioni” sulla
misura dell’indennità provvisoria (art. 20, comma 5, t.u.), si può osservare che a
differenza della sentenza n. 283/93, in virtù della quale, al fine di porre l’espropriato
in condizione di affrancarsi dalla decurtazione del 40%, si configurò un onere
dell’espropriante di riformulare l’offerta commisurata ai nuovi criteri, la pronuncia di
incostituzionalità contenuta nella sent. n. 348 non induce a postulare adempimento
alcuno da parte delle amministrazioni esproprianti. Tanto più che non risulta neppure
più utilizzabile il correttivo dell’importo dell’indennità, commisurato allo scarto di un
ottavo tra l’indennità offerta e quella definitiva, ai fini di una decurtazione non più
58
Cass. 23-11-2004, n. 22105, rv. 578800.
Cass. 5-07-2000, n. 8969, rv. 538237.
60
Cass. 18-12-1984, n. 6626, rv. 438172, cit.
59
19
praticabile (art. 37 comma 2). E nemmeno sembra potersi far artificiosamente rivivere
un frammento del sistema al fine di configurare una decurtazione del 40% del valore
venale che l’amministrazione ritenesse di offrire in modo postumo.
L’esaurimento in via amministrativa del subprocedimento di determinazione
indennitaria, sia pure secondo i criteri abrogati, legittima l’amministrazione a
procedere ugualmente all’emanazione del decreto di esproprio, che all’esistenza della
prima è condizionato. Va detto che se la determinazione provvisoria dell’indennità –
con il conseguente pagamento o deposito a seconda se vi sia stata condivisione o
meno – è condizione dell’ablazione del bene, non lo è la determinazione esatta, e che
l’atto amministrativo esiste ed è efficace, finché non venga rimosso, ed è il
presupposto per l’utile prosecuzione della procedura.
Sembra potersi enunciare la regola – enunciata in sede di applicazione dell’art. 12,
secondo comma, l. 22 ottobre 1971, n. 865 – secondo cui l’accordo sull’indennità
espropriativa in seguito ad accettazione, da parte dell’espropriando, dell’ammontare
offerto dall’espropriante, configura un contratto di natura pubblicistica i cui effetti
non vengono meno né in caso di revoca dell’accettazione61, se la revoca non sia
accettata dall’espropriante, né in caso di ritardo nel pagamento dell’indennità o nella
pronuncia del decreto di espropriazione, non incidendo tali eventi sulla possibilità di
un utile perfezionamento della procedura, ma potendo solo dar luogo, in presenza di
altri presupposti, al risarcimento dei danni per il ritardo nella percezione
dell’indennità62. Tanto più che della dichiarazione di adesione alla misura
dell’indennità
determinata
dall’espropriante,
è
prevista
l’irrevocabilità.
All’espropriando è semmai consentito di revocare un precedente rifiuto, ma non al
contrario di sottrarsi all’obbligo cui si sia volontariamente assoggettato63.
E’ pur vero che la condivisione sull’indennità è solo il presupposto per la
conclusione della procedura ablatoria, prevedibilmente con la cessione volontaria, o in
mancanza con il decreto di esproprio: ché anzi la vicenda istituzionale in esame
conferisce attualità all’ipotesi, prevista dai commi 11 e 12 dell’art. 20 t.u., di una
conclusione autoritativa del procedimento, malgrado la condivisione dell’indennità.
Diverso il caso in cui l’espropriando non abbia condiviso, e l’indennità sia stata
depositata, o anche determinata in via definitiva in base all’art. 21. In tal caso il
rapporto, anche sotto il profilo strettamente procedimentale, non è esaurito.
Il proprietario può anche avere accettato l’indennità dopo la sua determinazione
definitiva, nel termine (dilatorio) di gg. 30 (art. 21 comma 12) dalla comunicazione del
deposito della relazione peritale di stima (art. 27, comma 1 e 2, t.u.), dopo di che
l’espropriante ne autorizza il pagamento o, se non c’è stata accettazione, ne ordina il
deposito.
In tutti i casi in cui non vi sia stata condivisione dell’indennità provvisoria (art. 20,
comma 5), e nemmeno accettazione dell’indennità definitiva (art. 21, comma 12), il
proprietario può contestare la determinazione amministrativa, nel termine di
decadenza per l’opposizione alla stima (art. 54).
61
Cass. 29-4-1989, n. 2048, rv. 462630.
Cass. 20-4-1994, n. 3770, rv. 486304.
63
Cass. 29-7-2005, n. 15950, rv. 583718.
62
20
A questo punto, la contestazione, quali possano essere state le ragioni di mancata
condivisione o accettazione delle determinazioni amministrative, può ben riguardare
anche il solo criterio legislativo applicabile. La facoltà di chiedere la determinazione
giudiziale appare però esclusa, ove la declaratoria d’incostituzionalità sia intervenuta
quando il termine per l’opposizione era già scaduto.
E’ appena il caso di aggiungere che la condivisione o l’accettazione restano senza
effetto ove la procedura non approdi al suo atto terminale. Già in passato si è detto
che l’accordo amichevole sull’ammontare dell’indennità di esproprio non comporta
una cessione volontaria del bene, sicché è sempre necessario il completamento del
procedimento al fine del passaggio della proprietà del bene dall’espropriato
all’espropriante; tale accordo viene altresì a caducarsi ed a perdere efficacia, qualora il
procedimento non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di
esproprio64.
La tesi contraria, incline a ravvisare una possibilità di rendere inoperanti gli
accordi sull’indennità, intervenuti nel corso del procedimento, potrebbe far riflettere
sulla circostanza che i passaggi procedurali dell’espropriazione, miranti all’effetto di
pubblico interesse, che è l’acquisizione del bene al fine della realizzazione dell’opera di
pubblica utilità, non hanno autonoma rilevanza nella produzione di effetti, e la
rispettiva efficacia è analizzabile solo in funzione della conclusione del procedimento.
L’opportunità data ai proprietari di acconsentire alla determinazione
amministrativa dell’indennità, è concepita dalla legge non certo in funzione della
miglior tutela del diritto soggettivo, ma nell’economia di un’utile e rapida conclusione
del procedimento di acquisizione del bene necessario all’uso pubblicistico.
Per la tutela di diritti soggettivi, non sarebbero ammesse decadenze di ordine
amministrativo: tanto più che all’incontro tra l’interesse dello Stato all’acquisizione
coattiva del bene, e del diritto del proprietario, pur soggetto ad affievolimento per via
della “funzione sociale” costituzionalmente caratterizzante il diritto dominicale (art.
42, secondo comma, Cost.), v’è che il diritto può bensì essere sacrificato, ma che esso
si converte nel diritto all’indennizzo: e questo non può corrispondere altro che alla
previsione normativa vigente nel momento in cui si verifica l’atto finale della vicenda,
ovvero il decreto di esproprio.
Nessuna rilevanza definitiva, dunque, potrebbe darsi ad eventuali manifestazioni
di volontà intermedie, prestate dal privato nel corso della procedura, sul presupposto
della vigenza di una norma, l’art. 37 t.u., che è stata bandita dall’ordinamento.
L’estensione oggettiva degli effetti della pronuncia d’incostituzionalità, deve essere
contemperata alla disciplina della prescrizione e della decadenza nell’esercizio di
attività o di diritti.
La soluzione da dare al problema della rivedibilità dei criteri d’indennizzo
espropriativo, eventualmente consolidati all’interno del subprocedimento
amministrativo di determinazione dell’indennità, va dunque relazionata al regime di
contestabilità della stessa, nell’ambito dello strumento ad hoc, predisposto
dall’ordinamento in favore dell’espropriato (e degli altri soggetti dell’espropriazione),
cioè alle condizioni di ammissibilità dell’opposizione alla stima, prevista dall’art. 54 t.u.
64
Cons. Stato, sez. IV, 23-9-2004, n. 6245, Dir. e giur., 2006, 309, con nota di GHIONNI.
21
L’opposizione può essere proposta entro gg. 30 dal deposito della relazione di
stima definitiva: la condizione è comunque che l’indennità non sia stata accettata o
concordata, poiché in tal caso la misura dell’indennità diviene definitiva e non più
contestabile, e resta precluso il ricorso al rimedio della sua determinazione giudiziale
attraverso la proposizione dell’opposizione alla stima, di cui dovrebbe esser dichiarata
l’inammissibilità. Rimane beninteso salva la possibilità di intentare un ordinario
giudizio di cognizione dinanzi al giudice di primo grado diretto a contestare la validità
dell’accordo circa la misura dell’indennità, per farne accertare l’eventuale nullità,
annullabilità o rescindibilità65: ma non sembra che la circostanza sopravvenuta della
dichiarazione di incostituzionalità possa integrare a posteriori il difetto di un elemento
essenziale del contratto, o un vizio della volontà, ed essendosi al di fuori dei
presupposti di configurabilità della risoluzione per impossibilità sopravvenuta,
eccessiva onerosità, rescissione per lesione. La presupposizione potrebbe essere
invocata al fine di una dichiarazione di nullità del contratto di cessione per mancanza
di causa o risoluzione, in quanto concluso sulla base di un presupposto oggettivo,
comune ad entrambe le parti (espropriante ed espropriando) ma rimasto inespresso,
costituito dall’esistenza di criteri legali di determinazione dell’indennità di esproprio
per le aree edificabili, successivamente venuti meno per effetto della dichiarazione di
incostituzionalità degli stessi.
Si rinviene in proposito una sentenza del Tribunale di Trieste che – chiamato a
pronunciarsi sui riflessi della decisione della Corte Costituzionale 19.7.1983, n. 223 su
di una cessione volontaria, stipulata ai sensi dell’art. 12 della legge n. 865/71, nella
quale erano state richiamate, ai fini della determinazione del corrispettivo, le norme
della legge n. 385/80, dichiarate costituzionalmente illegittime con la predetta
sentenza della Consulta – ha escluso possa invocarsi la presupposizione, non potendo
riconoscersi il diritto del privato di liberarsi dagli effetti di un atto negoziale del tutto
esaurito, richiamando l’istituto della presupposizione, in ogni caso di sopravvenuto
mutamento della situazione presupposta, con gravi conseguenze per la certezza del
diritto e per la stabilità dei rapporti giuridici già conclusi66.
Le conclusioni che precedono67 non possono essere infirmate dalla constatazione
che l’art. 54 t.u. consente l’azione di determinazione dell’indennità al di fuori della
logica impugnatoria della stima amministrativa: l’ultima parte del comma 1 dell’art. 54,
infatti (“comunque può chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità”),
parrebbe abilitare l’espropriato ad invocare l’intervento del giudice, a tutela dei propri
diritti, senza alcun collegamento con la vicenda amministrativa. In realtà l’ultima parte
del comma 1 va riferita all’ipotesi in cui non vi sia stata determinazione
amministrativa, per avere il decreto di esproprio preceduto la stima definitiva, e non
potendosi d’altro canto precludere all’espropriato – in applicazione dei principi
costituzionali: Corte cost. n. 67/90 – il ricorso al giudice prima e indipendentemente
dalla stima amministrativa. Ma l’azione in giudizio è comunque soggetta al regime
delle preclusioni stabilite dal comma 2 dell’art. 54, e se il termine di decadenza è
65
Cass. 13-9-2006, n. 19671, rv. 592142.
Tribunale Trieste, 24-7-1985, Giust. civ., 1986, I, 242, con nota di O. DANESE.
67
Dette conclusioni collimano con l’opinione di M. BORGO, nella relazione tenuta al Convegno nazionale “Aree
edificabili: quale indennità di esproprio”, organizzato dalla rivista Esproprionline, Montegrotto, 22.11.2007.
66
22
scaduto, o se è intervenuto accordo sull’indennità, l’eventuale domanda dovrebbe
essere dichiarata inammissibile. A meno che non si pensi di denunciare la disciplina
così sistematicamente ricostruita, per violazione degli artt. 3, 24, 42 Cost. Senza di che
non sembra possano esservi spazi per un’applicazione diversa degli effetti della
sentenza d’incostituzionalità, che, secondo i principi, trova la barriera dell’esaurimento
dei rapporti, secondo il regime delle decadenze cui è subordinato per l’esercizio dei
diritti.
4.- I criteri applicabili dopo le dichiarazioni d’incostituzionalità.
4.1.- I precedenti più recenti, cui sopra si è fatto riferimento, in tema di ius
superveniens nella regolamentazione dell’indennità espropriativa e della misura del
risarcimento da occupazione illegittima, hanno riguardato la positiva apposizione di
una nuova disciplina, che anche in virtù dell’ampia previsione di applicabilità, alle
cause in corso, dei nuovi criteri, ha consentito di risolvere le questioni con costante
riferimento al concetto di pendenza o esaurimento del rapporto, e, in ultima analisi,
per quanto riguarda le controversie ancora in corso, al giudicato e alla sua estensione
oggettiva.
Si apre ora una diversa problematica, sulla disciplina apprestabile all’indennizzo
delle aree di cui si inizi ora una procedura espropriativa, o per le quali la doverosa
ritrattazione di quanto statuito ai sensi dell’art. 5-bis d.l. n. 333/92, conv. in l. n.
359/92, postula che la domanda delle parti in giudizio, di determinazione
dell’indennità espropriativa, sia soddisfatta mercé l’applicazione di un criterio che deve
pur esistere, e che il giudice deve applicare.
4.2.- Dalla problematica è esente il capitolo, concernente l’occupazione
appropriativa, aperto dalla sentenza n. 349, ove, come già precisato, non si è esaminata
la compatibilità dell’in sé dell’istituto, anche alla luce delle norme Convenzionali, ma
solo la congruità, ritenuta inadeguata, della disciplina di liquidazione del danno. La
risposta sul quid della disciplina applicabile scaturisce immediatamente dal dispositivo
della sentenza impugnata, che dichiarando illegittima la norma derogatoria ai principi
generali in materia di liquidazione del fatto illecito, ripristina automaticamente i
principi generali della responsabilità extracontrattuale (artt. 2043 ss., in particolare
2056 c.c.).
Nella motivazione della sentenza, poi, si trovano ampie considerazioni sulla
necessità che il danno nell’occupazione appropriativa sia commisurato all’effettivo
pregiudizio, cui conduce una valutazione di equo bilanciamento tra l’ammissibilità di
un modo di acquisto della proprietà per fatto illecito, e l’interesse del proprietario ad
una rifusione superiore all’indennità in modo apprezzabilmente significativo: il che
non può che coincidere, anche in base alle indicazioni della Corte europea dei diritti
dell’uomo, con il valore venale.
Ove si provveda alla cassazione della sentenza che abbia liquidato il danno
applicando il comma 7-bis dell’art. 5-bis, il giudice di rinvio procederà alla liquidazione
in base ai criteri ordinari: la non necessità di ulteriori accertamenti di fatto, per essere
il valore base, quale componente della formula divenuta inapplicabile, già determinato
23
in causa e incontestato, ben potrà indurre la Corte, in applicazione dell’art. 384,
secondo comma, ult. parte, c.p.c., alla decisione della causa nel merito.
4.3.- Per l’indennità di espropriazione si verifica un vuoto di disciplina legislativa.
In passato, all’indomani delle sentenze degli anni ‘80 che in nome di un’indennità
doverosamente agganciata alle caratteristiche oggettive del bene, dichiararono
l’illegittimità di quei criteri che, sulla base di una diversa concezione dello ius aedificandi
come scorporato dal diritto di proprietà, non si fece altro che postulare la reviviscenza
del criterio fondamentale che le leggi istitutive di quei criteri riduttivi avevano
abrogato per incompatibilità. Sicché, fermo restando che per i suoli ontologicamente
agricoli continuava ad applicarsi l’art. 16 l. n. 865/71, per quelli edificatori si poteva
ripiegare sul vecchio criterio del giusto prezzo nella libera contrattazione di
compravendita, di cui all’art. 39 della l. n. 2359/1865, emblema di una concezione
liberale dello Stato, suppletivamente reso applicabile, anche se durato un decennio,
fino all’entrata in vigore dell’art. 5-bis.
Il ripristino tecnico del criterio del valor venale potrebbe non essere possibile. Ad
una reviviscenza dell’art. 39, giustificata dall’inapplicabilità dell’art. 5-bis che
implicitamente l’aveva abrogato, si opporrebbe la circostanza che esso è stato
testualmente abrogato, con tutto il corpus normativo di cui faceva parte, dall’art. 58, n. 1
t.u. espropriazioni. L’abrogazione risale ormai all’entrata in vigore del t.u., dal
1.7.2003, e di fronte ad un’abrogazione testuale, parrebbe problematica un’operazione
logica analoga a quella compiuta negli anni ‘80.
4.4.- Non è pensabile che questo stato di impasse possa essere tollerato a lungo dal
legislatore, nella constatazione della pratica impossibilità di dar corso a nuove
espropriazioni, in cui l’emanazione del decreto conclusivo mancherebbe di uno dei
presupposti, quello della determinazione almeno provvisoria dell’indennità.
Giacciono progetti di legge di iniziativa parlamentare: si conosce il progetto di
legge n. 3078 (Zeller ed altri: “Modifica all’articolo 37 del testo unico di cui al decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 327, in materia di indennità nel caso di esproprio di
un’area edificabile”), all’esame della Camera in prima lettura, ove è stato assegnato alla
VIII Commissione Ambiente l’11 ottobre 2007.
L’articolo 1 della proposta modifica i commi 1 e 2 dell’articolo 37 del t.u.
espropriazioni, al fine – si legge nella relazione – di adeguarli a quanto stabilito dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La nuova formulazione del
comma 1 stabilisce che l’indennità di esproprio di un’area edificabile per pubblica
utilità è pari al valore venale del bene. Il nuovo comma 2 contempla l’ipotesi di
esproprio per l’attuazione di riforme economico-sociali e stabilisce un indennizzo
ridotto del 25% rispetto al valore venale del bene: la Corte europea – dice ancora la
relazione alla presentazione del progetto – ha ritenuto eccessive le riduzioni previste
dalla legge vigente, anche in considerazione delle imposte dirette che gravano
sull’espropriato.
L’articolo 2 della presente proposta di legge stabilisce, infine, che l’entrata in
vigore delle disposizioni in oggetto avvenga il giorno successivo a quello della
pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale e che le stesse si applicano a tutte le
24
procedure di esproprio in cui il decreto di stima sia comunicato al proprietario
successivamente alla medesima data di entrata in vigore.
Non è dato prevedere le chances di approvazione, tanto meno i tempi, del progetto
Zeller. Non è campato in aria ritenere che una previsione a scopo di tampone possa
esser inserita in sede di approvazione nella legge finanziaria, ove non si ritenga di
ricorrere alla decretazione d’urgenza (l’art. 5-bis venne introdotto in sede di
conversione di decreto correttivo della finanza pubblica).
4.5.- La sentenza n. 349 non offre i criteri idonei a mettere il giudice in grado di
formulare di un criterio indennitario, i cui parametri siano ricostruibili alla stregua
dell’ordinamento. La Corte costituzionale avalla la possibilità di introduzione di regimi
differenziati d’indennizzo, a seconda che si tratti di “singoli espropri per finalità
limitate”, o di “piani di esproprio volti a rendere possibili interventi programmati di
riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale”.
A ciò si aggiunga che nella verifica della conformità alla Costituzione delle norme
assunte come interposte nel giudizio di costituzionalità dell’art. 5-bis, ricavabili dalla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo secondo l’interpretazione della Corte di
Strasburgo, si è riaffermato “che il legislatore non ha il dovere di commisurare
integralmente l’indennità di espropriazione al valore ablato”. I livelli troppo elevati di
spesa che un ricorso generalizzato al criterio del valore venale determinerebbe, non
sarebbero giustificabili alla luce degli artt. 42, secondo comma, e 2 Cost., ovvero della
funzione sociale della proprietà e del dovere di solidarietà economica e sociale che
grava su tutti i cittadini.
Lascia intendere, però, la Corte, che tale effetto non conseguirebbe, ove si
destinasse una riparazione più consistente per gli espropri “isolati”.
Il giudice non è in grado di percorrere tali, oltremodo generiche, linee guida, e
formulare criteri che appartengono esclusivamente alla discrezionalità del legislatore.
4.6.- Sembra però che in via interinale, e nell’attesa sperabilmente breve di una
nuova disciplina indennitaria, il giudice possa far riferimento al valore venale. Che non
è il ristoro garantito dalla Costituzione, ma che comunque non è contrario ad essa.
L’applicazione diretta dei dettami della Corte europea, la quale peraltro rivendica il
primato del valore venale con maggior larghezza applicativa della Corte costituzionale,
con l’unico limite di rivolgimenti istituzionali, appare suppletivamente ammissibile, ora
che non si rinviene più l’ostacolo insuperabile della disapplicazione di una norma
interna.
L’inadeguatezza del trattamento indennitario assicurato dall’art. 5 bis l. 359/92, è
stata da ultimo ribadita da
Nella sentenza della Grande Chambre, del 29.3.2006, Scordino c. Italia, senza mezzi
termini ha sancito che per l’espropriazione per fini di pubblica utilità, solo un
indennizzo integrale può essere considerato come ragionevole in rapporto al valore
del bene. In via generale, solo nel contesto di particolari e contingenti riforme
economiche e sociali, o di programmi di politica economica, o di mutamenti di regimi
costituzionali, è eccezionalmente tollerabile un rimborso all’espropriato inferiore al
valore di mercato.
25
In precedenza, la condizione di adeguatezza dell’indennità era collegata
all’esigenza che il diritto al rispetto dei beni debba assicurare un giusto equilibrio tra le
esigenze di interesse generale, e gli imperativi di salvaguardia dei diritti dell’individuo68,
il che — come la stessa sentenza Scordino del 17 maggio 2005 ribadisce — non
comporta che l’indennizzo debba necessariamente corrispondere al valore di
mercato69, anche se in altra occasione di stabiliva che solo un indennizzo pari al valore
del bene può essere ragionevolmente rapportato al sacrificio imposto, ma «questa
regola non è senza eccezioni», come nel caso in cui l’apprensione dei beni privati sia
stata disposta al fine di attuare mutamenti del sistema costituzionale del paese, di tale
rilevanza quale il passaggio, in Grecia, dalla monarchia alla repubblica70.
Il richiamo all’indennità, quale condizione economica di ammissibilità della
deprivazione coatta del diritto, è prevista non solo dall’art. 42, terzo comma, Cost.,
che però non ne qualifica i connotati, ma anche dall’art. 834 c.c., il quale prevede che
debba essere “giusta”: l’evocazione di un tal requisito di congruità, che in assenza di
indicazioni legislative (in presenza di un criterio di determinazione, invece, è giusta
l’indennità riconosciuta dalla legge) evoca categorie del diritto naturale, accosta
inevitabilmente l’interprete alla Convenzione dei diritti e delle libertà fondamentali,
con i suoi protocolli addizionali, nella esplicitazione che il diritto al rispetto dei propri
beni ha ricevuto nell’elaborazione dell’interprete privilegiato di essa, la Corte europea,
nella prerogativa che i recenti arresti della Corte costituzionale hanno riconosciuto ad
essa.
Alla corrispondenza della giusta indennità con il valore di mercato avvia anche la
disciplina in tema di determinazione del prezzo della vendita (art. 1474 c.c.), che al di
là della scontata obiezione di estraneità della disciplina dei contratti a prestazioni
corrispettive alla sfera dei modi di acquisto coattivo (peraltro a titolo originario) della
proprietà, regola il prezzo in una fase postuma, in cui il sinallagma resta sullo sfondo,
come antecedente, e dove ciò che rileva è che il giusto prezzo (terzo comma) –
inoperanti i criteri dell’atto di autorità, che per definizione manca, e della pratica di
vendita del titolare del bene, che è espropriato e non libero venditore (primo comma)
– è quello di mercato (secondo comma).
Per non dire, in un intento puntiglioso di ricostruzione sistematica del sistema
normativo, che l’art. 5-bis, era applicabile all’espropriazione dei suoli necessari alla
realizzazione delle opere approvate prima che l’art. 37 t.u. entrasse in vigore, grazie
alla salvezza che lo stesso t.u., all’art. 57, garantiva riguardo alle vicende espropriative
iniziate entro il 30 giugno 2003. Venuto meno l’art. 5-bis, quale “normativa vigente a
quella data”, non poteva che riemergere il vecchio art. 39 l. n. 2359/1865, la cui
abrogazione, per l’art. 58 n. 1, come quella del 5-bis, per il n. 133 dello stesso, faceva
comunque salvo quanto previsto dal comma 1 dell’art. 57. E se il valore venale può
riemergere ancora, tra le pieghe dell’art. 57, sulle ceneri del 5-bis che l’aveva reso
incompatibile, ma di cui era l’immediato precedente – come a suo tempo sulle ceneri
dell’art. 16 l. n. 865/71 – la clausola di salvezza all’abrogazione è prevalente. Con il
risultato che non vi sarebbe neppure la remora del disagio da parte del giudice di
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Corte eur. diritti dell’uomo 23 settembre 1982, Sporrong e Lonnroth c. Svezia.
Così le sentenze 21 febbraio 1986, James c. Regno unito; 9 dicembre 1994, Le saints monastères c. Grecia.
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Corte eur. diritti dell’uomo 28 novembre 2002, Koumantos c. Grecia.
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distinguere, come la Corte costituzionale ha suggerito all’iniziativa legislativa, tra
“espropri singoli” e “piani di esproprio volti a rendere possibile interventi
programmati di riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale”.
(Red. Stefano Benini)
Il direttore
(Giovanni Canzio)
27
RIFERIMENTI NORMATIVI
Cost., artt. 3, 24, 42, 111, 117, 136
Art. 1 del I prot. CEDU
Art. 29, 30 l. 11.3.1953 n. 87
Art. 1 l.cost. 9.2.1948, n. 1
Art. 1 l. 29.7.1980, n. 385
Art. 5-bis d.l. 11.7.1992, n.333/92, conv. in l. 8.8.1992, n. 359
Artt. 20, 21, 27, 37, 43, 45, 55, 57, 58 d.p.r. 8.6.2001, n. 327
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI
Corte cost. 24-10-2007 nn. 348 e 349
Corte cost. 25-1-1980, n. 5
Corte cost. 19-7-1983, n. 223
Corte cost. 16-6-1993, n. 283
Corte cost. 2-11-1996, n. 396
Corte cost. 30-4-1999, n. 148
Cass. 18-12-1984,
Cass. 1-12-1986,
Cass. 29-4-1989,
Cass. 24-6-1989,
Cass. 10-11-1993,
Cass. 20-4-1994,
Cass. 22-11-1994,
Cass. 26.6.1996,
Cass. 10.7.1996,
Cass. 18-7-1996,
Cass. 18.11.1996,
Cass. 7-03-1997,
Cass. 13-5-1997,
Cass. 16-07-1997,
Cass. 17-01-1998,
Cass. 7-03-1998,
Cass. 12-6-1998,
Cass. 26-8-1998,
Cass. 2-9-1998,
Cass. 27.11.1998,
Cass. 17-12-1998,
Cass. 7-09-1999,
Cass. 11-10-1999,
Cass. 21-12-1999,
Cass. 18-2-2000,
Cass. 14-6-2000,
Cass. 5-07-2000,
Cass. 28-08-2000,
Cass. 16-11-2000,
Cass. 22.11.2000,
Cass. 21-12-2000,
Cass. 30-1-2001,
Cass. 28-3-2001,
Cass. 12-12-2001,
Cass. 19-04-2002,
n. 6626,
n. 7109,
n. 2048,
n. 3093,
n. 11100,
n. 3770,
n. 9872,
n. 5915,
n. 6297,
n. 6480,
n. 10086,
n. 2091,
n. 4182,
n. 6515,
n. 363,
n. 2542,
n. 5893,
n. 8490,
n. 8706,
n. 12061,
n. 12631,
n. 9484,
n. 11382,
n. 14357,
n. 1814,
n. 8097,
n. 8969,
n. 11224,
n. 14856,
n. 15062,
n. 16061,
n. 1266,
n. 4451,
n. 15687,
n. 5728,
rv. 438172
rv. 449190
rv. 462630
rv. 463220
rv. 484264
rv. 486304
rv. 488759
rv. 498304
rv. 498474
rv. 498617
rv. 500609
rv. 502893
rv. 504254
rv. 506046
rv. 511641
rv. 513451
rv. 516431
rv. 518392
rv. 518556
rv. 521180
rv.521721
rv. 529710
rv. 530579
rv. 532409
rv. 534014
rv. 537578
rv. 538237
rv. 539795
rv. 541771
rv. 541998
rv. 542834
rv. 543535
rv. 545228
rv. 551065
rv. 553881
28
Cass. 15-10-2002,
Cass. 19-2-2004,
Cass. 4-06-2004,
Cass. 11-6-2004,
Cass. 23-11-2004,
Cass. 28-07-2005,
Cass. 29-7-2005,
Cass. 15-9-2005,
Cass. 6-10-2005,
Cass. 11-01-2006,
Cass. 10-02-2006,
Cass. 28-02-2006,
Cass. 10-05-2006,
Cass. 26-05-2006,
Cass. 13-6-2006,
Cass. 13.9.2006,
Cass. 13-9-2006,
Cass. 22-11-2006,
Cass. 13-2-2007,
Cass. 19-4-2007,
Cass. 21-5-2007,
Cass. 27-6-2007,
Cass. 2.7.2007,
n. 14664,
n. 3331,
n. 10634,
n. 11098,
n. 22105,
n. 15809,
n. 15950,
n. 18239,
n. 19511,
n. 394,
n. 2993,
n. 4395,
n. 10761,
n. 12625,
n. 13659,
n. 19656,
n. 19671,
n. 24857,
n. 3043,
n. 9322,
n. 11782,
n. 14794,
n. 14955,
rv. 557923
rv. 570305
rv. 573378
rv. 573571
rv. 578800
rv. 583232
rv. 583718
rv. 582762
rv. 583573
rv. 585549
rv. 586955
rv. 587080
rv. 591042
rv. 589498
rv. 589535
rv. 592135
rv. 592142
rv. 593008
rv. 594294
rv. 596970
rv. 597759
rv. 597825
rv. 597365
Tribunale Trieste, 24-7-1985
Cons. Stato, sez. IV, 23-9-2004, n. 6245
Cons. Stato, ad. plen., 29-4-2005, n. 2
Corte eur. diritti dell’uomo 23 settembre 1982, Sporrong e Lonnroth c. Svezia.
Corte eur. diritti dell’uomo 21 febbraio 1986, James c. Regno unito
Corte eur. diritti dell’uomo 9 dicembre 1994, Le saints monastères c. Grecia.
Corte eur. diritti dell’uomo 28 novembre 2002, Koumantos c. Grecia.
Corte eur. diritti dell’uomo 17 maggio 2005, Scordino c. Italia
Corte eur. diritti dell’uomo, Grande Chambre, del 29.3.2006, Scordino c. Italia
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