N u s.BHB[JOFEFMMq0SDIFTUSBEB$BNFSBEJ.BOUPWB icalmente Anno 9 - Numero 1 Gennaio 2013 STREGATA DALLA MUSICA Grandi interpreti Alexander Lonquich In arrivo Kremer, Carbonare e Albanese Un’alchimia ventennale Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova EDITORIALE di Andrea Zaniboni APPELLO DI MUTI: musica nei cuori dei nostri ragazzi Avrete letto o ascoltato, le scorse settimane, l’ennesimo appello di Riccardo Muti in difesa della musica e della cultura che rappresenta. Un appello esteso all’educazione, chiave di riscatto per i giovani, perché – egli ha detto – « abbiamo l’obbligo verso le nuove generazioni di avere amore, fiducia, orgoglio del nostro Paese e di sapere che non esiste solo “Và pensiero”, ma che esiste anche Palestrina, la grande scuola napoletana, la scuola veneta, la scuola romana, e che Mozart è venuto in Italia per essere riconosciuto come il genio che lui pensava di essere. Tutto questo dobbiamo riportarlo nella mente e nei cuori dei nostri ragazzi». Chiunque possegga il minimo senso dei bisogni spirituali che innervano una società cosiddetta civile, e che si evidenziano, per forza di cose, anche nella vita di tutti i giorni, non può che esser d’accordo con la riflessione di Muti; e sappiamo bene che la prima vera ed unica risposta a questo appello dovrebbe esser posta in atto nella scuola pubblica, con la stessa naturalezza e con la stessa serietà d’approccio che accompagnano lo studio della letteratura, della storia o delle lingue straniere. Ma poiché questa situazione ideale non si verificherà tanto presto, conoscendo i tempi lunghissimi delle modificazioni strutturali in Italia, allo stato attuale non restano che le intelligenti iniziative individuali. Ed è compito degli adulti preoccuparsi dei giovani, di attivarne le sensibilità, magari di sondar- ne attitudini ignote ponendoli a contatto con quella musica che può comunicare con il loro animo vergine. Uno studio di qualche anno fa affermava, dati alla mano, che il linguaggio musicale, anche quello artistico, sia, in potenza, alla portata di un gran numero di persone; ma che solo l’ambiente, l’educazione, le circostanze stimolanti conducano ad esiti realmente positivi, fino a quello che si definisce talento. E citando le notivolissime ed acclarate capacità violinistiche dei bimbi giapponesi e le abilità vocali dei ragazzi ungheresi – conquistate appunto con specifici metodi d’approccio – il ricercatore poneva il lettore davanti all’unica altra ipotesi di causa possibile, e cioè ammettere «una generosità della natura con queste popolazioni decisamente inspiegabile». Ovviamente nulla accade per caso, come ci ha insegnato anche Maria Montessori, e le risposte giuste stanno nel nome dei metodi: Suzuki per i giapponesi, Kodály per gli ungheresi. Qui, che fare? Non temere di considerare i giovani e giovanissimi sempre troppo immaturi per una seria esperienza d’ascolto. Tempo d’Orchestra ha inventato il ciclo di Madama DoRe – sul quale ci soffermiamo in questo numero - che è qualcosa di più di un sasso nello stagno: è una modalità d’approccio, uno stimolo vivace, un invito a riflettere su quanto sia facile provare empatia in teatro aprendosi al mondo dell’emozione ed alla scoperta di sé. Un piccolo, decisivo passo verso un’Italia migliore. La prima vera ed unica risposta al richiamo del celebre direttore d’orchestra dovrebbe esser posta in atto nella scuola pubblica Compito degli adulti preoccuparsi dei giovani, attivandone le sensibilità e ponendoli a contatto con quella musica che può comunicare con il loro animo vergine musicalmente 3 Gennaio-Febbraio 2013 SOMMARIO N 6 11 IN COPERTINA 7 Regina senza etichette Intervista a Sonia Bergamasco di Emanuele Salvato 9 L’anima antica nella musica nuova di Andrea Zaniboni 11 Raccontare con le sette note di Luca Ciammarughi I CONCERTI 14 18 13 Note da brividi Prossimamente a “Tempo d’Orchestra” 14 Alchimia ventennale Intervista ad Alexander Lonquich di Anna Barina 26 18 20 30 Stravinskij secondo Giuseppe Albanese d Valentina Pavesi 20 Sulle ali del jazz con Alessandro Carbonare di Giorgio Signoretti 26 33 Kremer, libertà e virtuosismi di Guido Mario Pavesi 28 Notte di note tra ninne nanne e sogni di Augusto Morselli IN ORCHESTRA N 30 usicalmente .BHB[JOFEFMMq0SDIFTUSBEB$BNFSBEJ.BOUPWB TIRATURA 4.000 copie DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni COORDINAMENTO EDITORIALE: Anna Barina GRAFICA: Elena Avanzini REDAZIONE: Valentina Pavesi HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Alice Bertolini, Simonetta Bitasi, Luca Ciammarughi, Claudio Fraccari, Guido Mario Pavesi, Emanuele Salvato, Luca Segalla, Giorgio Signoretti EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12 Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected] STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121. Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004 Chiuso in redazione il 21 dicembre 2012 4 musicalmente 31 Red carpet: l’inaugurazione di “Tempo d’Orchestra” edizione del ventennale Ocm in breve Tra festival e uscite discografiche 32 Un abbonato ogni quattro è under 18 33 Entusiasmo e amarcord Il successo della produzione Ocm con Antonio Ballista RUBRICHE 34 39 AMICI Parolenote, inedita prospettiva Associarsi per essere più forti MUSICA & ARTE Tiepolo e quella speciale sintonia con la musica di Paola Artoni 35 40 QUADERNO DI VIAGGIO Itinerario verdiano di Andrea Zaniboni 36 di Giorgio Signoretti COLONNA SONORA Bertolucci, orecchio da musicista 41 di Claudio Fraccari 37 LEGGERE Se è Beethoven a fare la storia di Simonetta Bitasi 42 GRAMMOFONO Il coraggio di un’orchestra di Michele Ballarini 38 ALTRA MUSICA Rock, cronista del XX secolo IN PLATEA Domeneghini, l’Ad che suona il sax di Alice Bertolini CD - DVD Katsaris, l’uomo capace di “divorare” il pianoforte di Luca Segalla Anna Barina Giornalista, musicologa e musicista, dopo il diploma in viola si laurea con il massimo dei voti e la lode in Scienze dell’Educazione ad indirizzo musicale all’Università di Trieste e in Beni Musicali e Musicologia all’Università di Venezia guidata da Quirino Principe e Giovanni Morelli. Collabora come critico musicale con il dorso di Verona del Corriere della Sera e scrive di musica per riviste nazionali. All’attività giornalistica affianca quella di ufficio stampa, comunicazione e pubbliche relazioni. Guido Mario Pavesi Emanuele Salvato Guido Mario Pavesi, la gioventù trascorsa in giro per l’Italia a suonare rock, come chitarrista della band di Don Backy, I Fuggiaschi, scrive oggi di musica classica per il quotidiano La Voce di Mantova. Nel mezzo un diploma in chitarra classica al Conservatorio di Mantova. Appassionato di letteratura, cinema e calcio, oltre che di musica – ca va sans dire – ha assistito a tutti e 8 i concerti di Gidon Kremer a Mantova. E a Musicalmente ne offre testimonianza. Emanuele Salvato nasce a Mantova nel ‘71. Nel ‘98 si laurea in Scienze Politiche. Giornalista professionista, attualmente cura le pagine degli Eventi presso il quotidiano la Voce di Mantova. Collabora con ilfattoquotidiano.it e Latinoamerica. Grazie all’Ass. Politiche Sociali della Prov. di Mantova, ha pubblicato Eroi Silenziosi, una panoramica sulla realtà del volontariato nella provincia virgiliana, Mantua me cepit-Migranti nella terra di Virgilio, dodici storie di immigrazione nel territorio mantovano; Sogni spezzati, dieci storie di ordinaria precarietà e Viaggio nella memoria – Diario dei viaggi d’istruzione nei campi di sterminio nazisti. Giorgio Signoretti Si avvicina al jazz a quattro anni attraverso l’ascolto di Sidney Bechet, Duke Ellington e Ella Fitzgerald e a undici viene folgorato dall’incontro con la musica di Miles Davis e di Bob Dylan. Fa parte di vari gruppi di rock, blues, e prog-jazz. Con Stefano Boccafoglia fonda la Scraps Orchestra e collabora con Paolo Fresu, Fausto Mesolella, Arturo Testa, Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia. musicalmente 5 IN COPERTINA Questione di TEMPO È la dimensione della musica: ne trasforma il significato in racconto. Non solo: in esso affonda le radici la produzione moderna, come attestano numerose opere del cartellone di “Tempo d’Orchestra” 6 musicalmente IN COPERTINA Regina senza etichette stregata dalla CLASSICA Non si può parlare di Sonia Bergamasco ed esaurire Sonia Bergamasco non è solo il discorso su di lei definendola semplicemente un’attrice. Sì, perché la questione è complessa e non cerun’attrice. Volto noto di teatro, to di lana caprina. Il suo volto è noto a teatro, ma ancinema e tv - come racconta che al cinema, per non parlare della televisione. Ha lavorato con Massimo Castri, Glauco Mauri, Carmelo in quest’intervista - deve la sua Bene, Marco Tullio Giordana, Giuseppe e Bernardo Bertolucci. «Giuseppe mi ha fatta esordire al cinema versatilità agli studi - sostiene - con L’amore probabilmente e con lui ho colladi pianoforte borato anche per Karenina a teatro. Con Bernardo ho lavorato nel suo di Emanuele Salvato Sonia Bergamasco (a sinistra, foto di Laura Pirandello) qui sotto con il cast e il regista, Bertolucci, del recente Io e te ultimo film, Io e te, nel quale interpreto il ruolo di una madre ottusa. Mi è piaciuto molto fare cinema con lui e credo che in pochi abbiano la sua padronanza del set». Ha instaurato proficue collaborazioni anche con il compositore Azio Corghi, mantovano d’adozione, con il quale ha lavorato in opere di musica contemporanea di altissimo livello come Donna Elvira, ma anche come Le due regine, ambizioso progetto per l’infanzia musicato da Corghi per Dario Moretti, del quale l’attrice sarà protagonista il prossimo 20 gennaio al Bibiena nell’ambito della rassegna “MadamaDoRe” inserita nel cartellone di Tempo d’Orchestra. Ma sarebbe sbagliato imporle esclusivamente etichette colte, perché per sua stessa ammissione si è «divertita molto» a recitare anche nella fiction di Rai Uno Tutti pazzi per amore diretta da Riccardo Milani. Non si sbaglia, invece, a ricondurre la sua estrema duttilità alla formazione musicale impartitale fin da piccola. Alla base di tutto, della sua estrema capacità di adattarsi a ruoli e situazioni diversi, ci sta proprio la musica. «La musica - spiega al telefono, mentre si prepara alla partenza per Mosca per una tournée con lo spettacolo Karenina Prove aperte di infelicità ispirato all’eroina di Tolstoj e scritto con Emanuele Trevi e Giuseppe Bertolucci - mi ha insegnato a mettermi in ascolto con tutte le arti. E questo vale per il teatro come per il cinema. La disciplina musicale mi ha aiutato a instaurare relazioni di qualità con registi, attori e spazi. L’ascolto che t’insegna la musica è fondamentale per i rapporti di lavoro, ma direi di vita in genere. La musica detta i tempi, dà il ritmo. Non mi fa sentire a disagio e annulla le differenze fra palcoscenico e set cinematografico». Sonia Bergamasco inizia a studiare pianoforte a cinque anni. A dieci viene ammessa al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, dove si diploma. «Un’esperienza formativa che mi ha fatto crescere e che mi ha insegnato ad appassionarmi alla musica», spiega l’attrice, che non a caso accosta il verbo insegnare a passione. Al Conservatorio, infatti, la sua strada di giovane pianista con gli occhi bene aperti sul mondo si incrocia con quella di Quirino Principe, insegnante di cui tutt’ora conserva un ricordo speciale. Dopo il diploma in pianoforte si fa strada in lei la voglia di approfondire l’arte della recitazione, di conoscere tutto sul teatro. «Proprio in quel periodo - dice - a Milano apriva i battenti la scuola di Teatro del Piccolo, diretta musicalmente 7 IN COPERTINA (foto Daverio) LE DUE REGINE Una fiaba musicale per bambini, un grande e ambizioso progetto per l’infanzia che unisce musica, canto, immagini e racconto. Questo in sintesi è Le due regine, performance nata dalla mente di Dario Moretti che per l’occasione si è avvalso della prestigiosa collaborazione del compositore Azio Corghi. Sonia Bergamasco interpreta la Serenata K. 525 (Eine Kleine Nachtmusik) di Mozart, nella rilettura di Corghi. Il canto, il racconto e le melodie sono accompagnati dalle immagini, create in tempo reale: l’artista è in scena con pennelli e colori per dipingere dal vivo la storia, che viene proiettata su un fondale bianco. Il testo musicato racconta di un paese incantato dove due regine vivono in pace. Una sola cosa le divide, la passione per la musica: Regina Rossa ama il ritmo e Regina Blu ama la melodia. Da non perdere, domenica 20 gennaio (ore 11) al Bibiena di Mantova. da Giorgio Strehler. Lessi il bando e mi iscrissi. Fu un’esperienza intensa, dove imparai molto sul teatro e sull’arte del recitare. Maestri come Marise Flach, Lidia Stix, lo stesso Strehler mi hanno fornito una preparazione fondamentale per quello che poi sarebbe diventato il mio mestiere». Il rapporto con la musica, però, non s’interrompe. Anzi. «Lavorando molto sulla voce - spiega - mi è tornata utile la formazione musicale. Nella classe di canto, diretta dalla soprano Lidia Stix, ho cercato un repertorio per voce di attore cantante che fosse adatto a me e mi sono ritrovata fra le mani il non certo facile Pierrot Lunaire che già avevo studiato al Conservatorio e che SchÖnberg aveva scritto proprio per un’attrice». Anche Strehler si accorge di lei e la vuole prima nel grandioso progetto Faust, dove tutti gli allievi vengono utilizzati nelle scene di massa, poi nell’Arlecchino dei Giovani, che segna il suo debutto a teatro. L’esperienza del Piccolo finisce più o meno lì. Ne iniziano altri con maestri del calibro di Glauco Mauri, con il quale lavora nel Riccardo II, Massimo Castri e Carmelo Bene. Con quest’ultimo la collaborazione si fa intensa e sfocia nel Pinocchio che il maestro rifà per il teatro e la televisione nel 1998. Sonia Bergamasco interpreta il ruolo della fatina. Molto importante per il suo lavoro, almeno a giudicare dal calore con cui ne parla, è l’incontro con Gabriella Bartolomei, personaggio molto noto nel teatro di ricerca che le insegna a utilizzare nel migliore dei modi la sua voce molto particolare. Tutto questo sta alla base dei successivi lavori di Sonia Bergamasco sulla poesia e la musica contemporanea. In questo solco rientra anche l’esperienza con Azio Corghi: «La mia frequentazione con Azio Corghi - dice - inizia nel 2001, quando fu lui stesso a chiedermi di fare l’assistente per la sua classe di composizione all’Accademia Chigiana. Accettai subito pur non avendo esperienza. Sapevo sarebbe stato un percorso impegnativo e faticoso. Ma ero certa, allo stesso tempo, che si sarebbe trattato di un esame importante, che mi avrebbe arricchita in un campo, come quello della composizione e della scrittura, fondamentale per i miei futuri lavori. E così è stato. Grazie a Corghi nasce, fra le altre cose, la collaborazione con Dario Moretti ne Le due regine, che per la prima volta porta in scena al teatro Bibiena nel 2006: «Conservo ancora un ricordo luminoso del teatro - spiega l’attrice - senza dubbio uno dei più affascinanti d’Italia. Sono lieta di tornarvi ancora con Le due regine, un esperimento di teatro-musica per l’infanzia in cui ci metto corpo e voce che, insieme con i disegni di Moretti e le musiche di Mozart (la Serenata K.525 Eine kleine Nachtmusik) rilette da Azio Corghi, vanno a formare un impasto artistico molto vivo». 8 musicalmente “L’ascolto che t’insegna la musica è fondamentale, direi, per la vita. La musica detta i tempi, dà ritmo, non fa sentire a disagio e annulla le differenza fra palcoscenico e set cinematografico” “Il Bibiena è uno dei teatri più affascinanti d’Italia e sono lieta di tornare con Le due regine, spettacolo in cui metto voce e corpo e che grazie ai disegni di Moretti e alle musiche di Corghi si rivela un impasto molto vivo” IN COPERTINA La storia dell’arte musicale permea, anche in forme invisibili, il nostro presente, sempre e ovunque Si usa dire, convenzionalmente e con sintesi anche eccessiva, che la musica contemporanea, quella che nasce oggi, ogni giorno che passa, nella mente di compositori d’ogni specie, guardi avanti, verso la sperimentazione, l’ignoto, l’immaginazione libera e ardita; e che sia proiettata in un futuro indistinto tutto da scoprire, con un linguaggio persino accettabilmente astruso, indipendente ed inedito. Musica dell’anima e del cervello, musica da decifrare o da ascoltare con gusto. Ma a ben vedere la storia ed il passato emergono spesso, ora sotto la veste dell’azione polemica di un fare ribelle e innovatore, ora nella veste di un confronto che assume le sembianze dell’esercizio ricreativo, od ancora nel segno dell’omaggio affettuoso ad una memoria amata ed irripetibile, o semplicemente e casualmente scoperta. In fin dei conti ogni giovane maestro segue il principio base di qualunque scuola, quando affronta ed attraversa la fase della propria faticosa e talora sofferta formazione: studia il passato e, nel caso del musicista, esplora attraverso l’esercizio pratico ed analitico l’opera altrui, vicina o lontana nel tempo, con lo scopo di trarne insegnamenti, testimonianze, esempi. E come logica conseguenza sviluppa una capacità critica, una facoltà di giudizio che lo pone in viva relazione con un prodotto artistico che non è inteso soltanto come traccia, ma piuttosto come messaggio, microcosmo, simbolo di una filosofia creativa e di una lettura del mondo. Non casualmente è accaduto, nei tempi più antichi come in quelli più recenti - anzi forse più di Andrea Zaniboni incisivamente in quelli recenti - Anima antica nella musica NUOVA L’ammirazione di Mozart per Bach è alla base di sue trascrizioni. Chopin lascia il segno su Rachmaninov e Ravel. E il favore per Rameau influenza Debussy. Una storia di filiazioni musicalmente 9 IN COPERTINA CORGHI: “MOZART MESSAGGERO D’AMORE PER LA VITA” Azio Corghi, compositore di fama, firma la musiche per Le due regine, la fiaba che il prossimo 20 gennaio (ore 11) andrà in scena al teatro Bibiena di Mantova per il ciclo “Madama DoRe”. Si è volentieri concesso per soddisfare qualche nostra curiosità. Ci si immagina che anche lei, come tutti, abbia avuto delle passioni giovanili per la musica esistente. Quali erano i suoi compositori preferiti? «I miei primi interessi si sono legati all’essere stato pianista, quindi ho amato le musiche che suonavo, di Stravinskij, Prokof’ev. Poi sono approdato alla classe di composizione di Bruno Bettinelli, e lì ho assorbito la scuola viennese ed in particolare quella berghiana. Successivamente, quando ho avvicinato il teatro musicale, il rapporto con le voci, attraverso Gargantua e la collaborazione con Saramago, è emerso l’interesse per Messiaen. E ancora: ho scoperto Ligeti, quando l’ho studiato per insegnarlo. I compositori, più cercano l’evoluzione e più cercano il nuovo. Nel mio caso rivisitare la storia si è sempre legato ad un processo di conoscenza di me stesso, figlio di padre emiliano e di madre piemontese. E Mazapegul, composizione del 1985 nella quale calano canti popolari emiliani, è la ricerca di un’identità di appartenenza, da cui discende la possibilità di capire il mondo ed accettarne le diversità». Che legami ci sono – se ci sono – fra la sua attività di revisore e quella di compositore? Gli approfondimenti scientifici e di ricerca hanno suggerito valutazioni inedite delle musiche e degli autori di cui s’è occupato? «Quando collaboravo con Ricordi come correttore di bozze, ricordo che mi occupai di Vivaldi e del suo salmo Beatus Vir; poi dopo altre esperienze approdai, con gli incoraggiamenti di Philip Gossett, all’impegnativa revisione critica de L’Italiana in Algeri di Rossini. Lavorai direttamente sulle pagine di Rossini e fu una scoperta ed una emozione perché egli emerse per me come grande compositore e non solo come artigiano; con le sue intuizioni, il senso del tempo del teatro, le simmetrie tra i vari numeri dell’opera. Questo ha dato origine ad un rispetto, ad una presenza che ritrovo in me ancora oggi». Anche il passato affiora, con Mozart, ne Le due Regine, la fiaba musicale che vedremo ed ascolteremo a Mantova. Si va alla ricerca del senso di stupefazione che coglie l’ascoltatore comune davanti a Mozart o si tratta di un rapporto per così che le librerie dei musicisti si siano arricchite di elementi non strettamente connessi alla pura tecnica ed al sapere del comporre, se è vero che, come ricorda Carli Ballola, «opere di Kant, Goethe, Lessing, Molière e Tasso furono trovate nella biblioteca di Mozart» e che l’ampiezza degli interessi culturali contraddistinse molte altre personalità, da Jacopo Peri a Benedetto Marcello, da Monteverdi a Beethoven, per non parlare di romantici come Schumann, Berlioz e Liszt e poi di Richard Strauss e di moltissime personalità del Novecento e dei tempi nostri, sempre più poliedricamente istruite, sempre più coinvolte (e questo è un fatto positivo, ça va sans dire) nei grandi temi che attengono l’universale progresso civile. Con questo, significando che il rapporto del singolo artista con la storia a lui precedente (oltre che contemporanea), si è caricato in misura crescente e persino prepotente in certi casi, di significati non strettamente musicali, finanche sociali e politici; dunque configurando sguardi destinati non tanto a manifestare sentimentalismi nostalgici di tipo emotivo, ma a stabilire consonanze intellettuali, chiarire vicinanze estetiche, restituire riflessioni filtrate in forma di nuove opere, abbeverate all’antico ma non per questo meno attuali. L’ammirazione di Mozart per Bach, espressa tanto chiaramente nelle sue lettere, fa comprendere meglio 10 musicalmente Corghi (foto Masotti) dire meccanico con il materiale sonoro? «Quello con Dario Moretti, cui si deve l’idea pittorica, è stato un incontro bellissimo, ed il lavoro che ne è scaturito ha colto un successo anche internazionale che non immaginavamo. La componente musicale ha trovato radice nella valorizzazione di quel fattore che usualmente si considera in coda agli altri, cioè il “timbro”, per me particolarmente importante in un titolo dedicato ai bambini. Mozart, che nella vicenda che si racconta è un folletto vestito di giallo, è colui che trova l’armonia, spegne i contrasti, conquista la pienezza musicale. Musica per tutto il corpo, messaggio di amore per la vita». (a.z.) la motivazione che regge le sue trascrizioni per archi di una scelta di “fughe”; probabile poi avere idee più chiare sull’origine delle Variazioni per violoncello e pianoforte che Beethoven scrisse su tema di Haendel, nel momento in cui si prende nota del fatto che il maestro tedesco giunse a possedere, sul finire della sua vita, tutta la produzione a stampa dell’illustre e ammirato predecessore. Per non parlare dell’influenza esercitata da Chopin su Rachmaninov e Ravel, o il favore di Debussy per Rameau (quando scriveva della «sottile eleganza che questa musica sempre mantiene senza cadere mai nella leziosità né in contorcimenti di ambigua leggiadrìa»), emergente in quell’Hommage che conclude la prima serie delle Images pianistiche. Ma potremmo andare anche oltre: al Respighi che guarda all’Est e al Nord oltre che alle radici lontane e popolari della propria terra; o a Stravinskij, che in un camaleontico agire trova una miriade di padri più e meno necessari. Musica come storia di filiazioni, dunque? Se il creare è un atto consapevole sul piano intellettuale ed ideale, oltre che emozionale, non c’è dubbio. La storia dell’arte musicale permea, anche in forme invisibili, il nostro presente, sempre e ovunque. Talora rimane celata, ma spesso emerge da lontananze inimmaginabili per ricordarci una forza di cambiamento che, nelle giuste mani, si rivela intatta. IN COPERTINA Musorgskj fece di un sabba di streghe, qui dipinto da Goya, il tema del poema sinfonico La notte di S. Giovanni sul Monte Calvo RACCONTARE con le sette note Nella tradizione occidentale la musica è spesso espressione di sentimenti, descrizione o narrazione. Non semplice riflesso di se stessa, ma metafora o allegoria: essa rimanda a qualcosa o racconta qualcosa, a condizione che l’ascoltatore abbia i codici per decifrare correttamente il messaggio di Luca Ciammarughi Nel suo celebre trattato del 1854 sul “Bello Musicale”, Eduard Hanslick sostenne che nella musica il suono “è scopo a se stesso”: la musica, quindi, non rimanderebbe a nient’altro che a sé, in quanto arte asemantica intraducibile nel linguaggio ordinario. L’affermazione di Hanslick, ponendosi dalla parte della musica “assoluta” (quella di Brahms, nello specifico) e contro la musica a programma e il wagnerismo, tracciò un solco tanto profondo da avere ripercussioni su tutto il Novecento. L’esempio strettamente musicale che il viennese utilizzò per dare concretezza alla sua tesi fu, in verità, non così probante: riferendosi all’aria J’ai perdu mon Eurydice di Gluck, che corrisponde drammaturgicamente a un momento di disperazione del personaggio di Orfeo, Hanslick sottolinea come l’aria avrebbe potuto adattarsi perfettamente anche a un testo di significato opposto quale J’ai trouvé mon Eurydice (in cui il protagonista ritrova la sua amata invece di perderla). La musica, quindi, non racconterebbe nulla di preciso e soprattutto non sarebbe espressione di alcuno specifico sentimento. L’esempio di Hanslick non è probante per due motivi: innanzitutto perché l’espressione della malinconia settecentesca si caratterizza talvolta con toni vagamente elegiaci in tonalità maggiore; in secondo luogo, perché spesso il momento dell’aria non è un momento rilevante dal punto di vista drammaturgico. Naturalmente, ciò è valido anche per parte dell’Ottocento: chi mai direbbe che l’apparentemente soave O rendetemi la speme, ne I Puritani di Bellini, sia la rappresentazione musicale della follia di Elvira? Questi sono, però, casi speciali, la cui forza sta proprio nel capovolgere un cliché musicale e nel rinunciare a una “teoria degli affetti” univoca. In generale, si può dire che nella tradizione occidentale la musica, al contrario di ciò che afferma Hanslick, sia spesso espressione di sentimenti, descrizione o racconto. La musica non è solo parnassianamente un riflesso di se stessa, ma spesso metafora o allegoria di altro da sé: essa rimanda a qualcosa o racconta qualcosa, a patto che l’ascoltatore abbia i codici per decifrare il messaggio semantico che il compositore ha voluto mandare. Franz Schubert, nella Vienna della Restaurazione, affermava che con la musica egli poteva dire tutto ciò che la censura gli impediva di dire a parole: non solo i suoi Lieder, ma anche la musica strumentale parlava agli amici come se si trattasse di un musicalmente 11 IN COPERTINA discorso. Di più: proprio perché la musica non significa apparentemente niente, essa significa tutto. In ogni uomo, all’ascolto della musica, subentra la tentazione di attribuire al discorso musicale un significato: e, poiché la dimensione in cui la musica si muove è il Tempo, questo significato tenderà a farsi racconto. Ciò vale non solo per la musica a programma, ma anche per quei brani strumentali in cui si stratifica una tradizione immaginifica interpretativa. Quando Alfred Cortot commenta il primo Improvviso di Chopin assimilandone l’inizio a un delicato frusciar di foglie, egli crea una scena arbitraria, eppure convincente. Se è vero, d’altra parte, che molti Poemi Sinfonici ottocenteschi si pongono come proposito una sequenza di eventi (pensiamo a Una notte sul Monte Calvo di Mussorgskij, in cui si succedono la riunione di streghe, il corteo di Satana, la messa nera e il sabba), non è automatico che in questa musica cosiddetta “a programma” la dimensione narrativa sia più evidente che in musica che nasce apparentemente come “assoluta”. Il Poema dell’estasi di Scrjabin, ad esempio, pur assumendo come programma l’esaltazione spiritualistica di una sorta di superuomo nietzscheano, è uno dei brani meno descrittivi nella storia della musica. E a volte proprio nei Poemi Sinfonici si nascondono ambiguità: un brano come Pacific 231 di Honegger, che quasi tutti gli ascoltatori interpretano come resa musicale del frastuono di una locomotiva, fu descritto in realtà dallo stesso compositore come la “traduzione di un’impressione visiva”. Al contrario, quando Schubert cita il tema del viandante, con il suo estenuato passo dattilico, in brani di musica non puramente descrittiva come l’ultima Sonata per pianoforte, la citazione musicale delinea una situazione abbastanza precisa: quella del girovagare di un personaggio alla ricerca di se stesso. Il filosofo Wittgenstein, cresciuto negli ambienti della Vienna di Brahms, sosteneva che capire un tema musicale significa semplicemente capire quel tema: e non, invece, capire una qualche realtà esterna rappresentata dal tema musicale. In astratto, sia lui che Hanslick hanno pienamente ragione. In concreto, da Platone alla fine dei tempi, la visione “rappresentativa” delle arti non morirà mai: per quell’irrinunciabile e certo anche benefica tendenza dell’uomo a raccontare, e a riportare a fatti e sentimenti della propria quotidianità l’apparente neutralità del messaggio musicale. C’è un’irrinunciabile e benefica tendenza nell’uomo a riportare a fatti e sentimenti della propria quotidianità l’apparente neutralità del messaggio musicale Antica edizione a stampa del lied Erlkonig di Schubert 12 musicalmente I CONCERTI Foto Gabriele Sabbadini NOTE DA BRIVIDI musicalmente 13 I CONCERTI Alexander Lonquich in concerto con l’Ocm LONQUICH alchimia ventennale Il pianista tedesco che in Italia ha trovato la sua seconda casa racconta il legame musicale e affettivo con l’Orchestra da Camera di Mantova e con la sua stagione concertistica “Tempo d’Orchestra” tra ricordi e progetti futuri di Anna Barina Originale senza mai eccedere, moderno senza rinnegare un profondo legame con la più rigorosa tradizione, capace di unire passione e stile ad una tecnica straordinaria. È Alexander Lonquich, una delle figure più sorprendenti dell’attuale scena pianistica internazionale, un artista con cui l’Orchestra da camera di Mantova ha avuto e continua ad avere una collaborazione artistica e affettiva molto stretta. Nato a Trier, in Germania, Lonquich ha trovato in Italia la sua seconda patria dopo aver vinto nel 1977 il Primo Premio al Concorso Casagrande dedicato a Schubert. Il suo primo concerto a Tempo d’Orchestra risale al 17 marzo del 1984, quando al Teatro Bibiena chiuse la prima edizione della rassegna. Ma il rapporto con l’Ocm era iniziato già qualche anno prima: «Suonammo insieme nel 1986 diretti da Umberto Benedetti Michelangeli in occasione dell’Estate Musicale del Garda», ricorda. Una collaborazione, la sua con Tempo d’Orchestra, lunga vent’anni. Come è nato e come si è sviluppato il rapporto con l’Orchestra da Camera di Mantova? «Sin dal nostro primo incontro fui colpito ed entusiasta della duttilità, dell’artigianato unito a poesia che ho riscontrato in questo gruppo. Nacque così un’immediata amicizia. Quando poi iniziai a fare concerti senza direttore – credo molto, infatti, che certi autori come Mozart e Beethoven funzionino meglio in questa formula che ricalca il modo in cui si suonavano all’epoca – sono nate nuove occasioni di collaborare con L’Ocm. Negli anni ho visto quest’orchestra trasformarsi e crescere facendo una profonda ricerca sulla filologia interpretativa: pur non suonando su strumenti originali abbiamo trovato insieme un approccio sempre più vicino alla prassi dell’epoca». Lei ha lavorato con molte altre orchestre da camera in tutta Europa, cosa trova di particolare nell’Ocm e in quale misura il suo modo di suonare ne è influenzato? «Definirei la singolarità dell’Ocm come un certo carattere che viene senza dubbio dal suo fondatore, il violinista Carlo Fabiano. C’è un’alchimia 14 musicalmente Il sodalizio a Vienna (Konzerthaus), Graz (Musikverein), Mantova (Sociale) I CONCERTI Lonquich con i musicisti dell’Ocm in un momento di relax durante un recente tour in Austria particolare in quest’orchestra, una gran trasparenza e uno scatto ritmico molto belli che creano un suono diverso e distinguibile da quello di altri ensemble, pur eccellenti, con cui ho lavorato. Inoltre l’Ocm ha qualcosa che trovo difficilmente in altri gruppi, un’armonia tra i musicisti che permette di lavorare in un clima di serenità e allegria. Ovvio che anche la mia maniera di suonare il pianoforte si mette in relazione con queste caratteristiche. Un concerto di Mozart, ad esempio, è diverso eseguito con altri gruppi che pur si muovono nel solco della filologia. Nella tradizione mitteleuropea, penso all’Austria, le orchestre tendono a fare staccati più morbidi e hanno una sonorità più densa, che non sono caratteristiche dell’Ocm». È importante avere un’orchestra con cui sviluppare progetti continuativi? «Assolutamente sì, e anche nel repertorio non solistico ho una profonda sintonia con l’Ocm. L’autorevolezza del lavoro ha permesso di realizzare una ricerca approfondita e trovare un linguaggio comune. Penso ad esempio all’integrale dei concerti per pianoforte e orchestra di Mozart che abbiamo realizzato in tre anni dal 2004 al 2007, o a quello di Beethoven nel 2010 e Chopin nel 2011». QUATTRO MANI, DUE PIANOFORTI, UN CUORE Uniti nell’arte e nella vita. È il caso di Alexander Lonquich e della moglie, la pianista Cristina Barbuti, che il 22 gennaio saliranno sul palco del Teatro Auditorium di Poggio Rusco per l’ottavo appuntamento della XX stagione di Tempo d’Orchestra. «Ma la nostra intesa personale è nata molto prima del nostro sodalizio artistico», tiene a precisare lui, «Direi anzi che, proprio condividendo la quotidianità, abbiamo scoperto di essere musicalmente molto vicini». Se l’amore è nato nel 1991, la scintilla artistica è scoccata nel 1999 grazie alla comune passione per il teatro, prendendo forma definitiva dall’estate del 2003. Il loro repertorio contempla esecuzioni sia a quattro mani che a due pianoforti: partendo dalla letteratura classica e francese, spaziano fino alla Sonata di Bartók per due pianoforti e percussioni ed eseguono anche opere meno frequentate come la Sinfonia concertante per due pianoforti e orchestra d’archi di Dinu Lipatti. Insieme portano avanti anche progetti di ricerca scenica e musicale che affianca alle performance un’intensa attività di laboratori e di incontri teatrali e musicali. Ricordiamo che proprio in occasione dell’edizione 2007 del Festivaletteratura di Mantova, il duo ha ideato con l’Orchestra da Camera di Mantova e l’attore Sandro Lombardi una serie di tre concerti dedicati al “sentimento di infanzia” dal titolo L’infanzia di Saturno. (a.b.) musicalmente 15 I CONCERTI Sin dal primo incontro con l’Ocm fui colpito ed entusiasta della duttilità, dell’artigianato unito a poesia che caratterizzano questa orchestra Il 22 gennaio Lonquich, Barbuti e i Solisti dell’Ocm offrono un excursus variopinto nella musica da camera Il programma del primo concerto che la vede protagonista in questa XX stagione di Tempo d’Orchestra (il 22 gennaio al Teatro-auditorium di Poggio Rusco con i solisti dell’Ocm e Cristina Barbuti al pianoforte) presenta 5 autori apparentemente lontani sia geograficamente sia stilisticamente. Quale è il filo conduttore? «A parte La valse di Ravel, tutti gli altri brani richiedono degli organici particolari che difficilmente si riescono ad avere in un unico concerto con un gruppo da camera. L’idea di partenza per festeggiare il ventennale di Tempo d’Orchestra è stata proprio questa: realizzare un programma con le prime parti dell’Ocm e testare quanto è variopinto il mondo della musica da camera». La sua frequentazione con l’Italia è stata ed è molto assidua. Questo ha un’influenza sulla sua sensibilità di artista? «Non mi sento un musicista di formazione italiana ma di certo il vostro paese ha allargato i miei orizzonti. E poi uno dei miei compositori preferiti è proprio Claudio Monteverdi». Il suo profilo Facebook ha oltre 1000 amici. Crede che comunicare attraverso i social network possa diventare uno strumento nuovo e utile per dialogare con il proprio pubblico? «In realtà utilizzo Facebook solo da qualche mese e mi diverto più che altro a condividere le mie preferenze sull’arte e l’estetica. Le persone con cui si può parlare “virtualmente” dei propri interessi non sono poi così tante: tra esse ci sono certamente dei miei ascoltatori ma molti vivono dall’altra parte del mondo e non sono mai stati ad un mio concerto». I SOLISTI OCM ENSEMBLE CAMERISTICO DI PRIME PARTI I Solisti dell’Ocm sono prime parti dell’Orchestra da Camera di Mantova, musicisti che partecipi del progetto orchestrale, ne condividendone il modo di fare musica, l’assidua ricerca della qualità sonora, la sensibilità ai problemi stilistici. Nell’occasione, a Poggio Rusco, martedì 22 gennaio, l’ensemble cameristico sarà costituito da Filippo Lama e Pierantonio Cazzulani, violini, Klaus Manfrini, viola, Stefano Guarino e Paolo Perucchetti, violoncello, Massimiliano Rizzoli, contrabbasso, Murizio Saletti, flauto, Anton Dressler, clarinetto, Francesco Bossone, fagotto, Marco Braito, tromba, e Ugo Favaro, corno. Insieme con Alexander Lonquich, i Solisti Ocm hanno già realizzato progetti particolarmente apprezzati da pubblico e critica: tra questi, nel 2006, una serata della tre giorni di Festa Mozart realizzata, nell’ambito di Tempo d’Orchestra, in occasione dei 250 anni della nascita del salisburghese e, nel 2007, al Festivaletteratura, nel contesto di un progetto a cavallo tra musica e letteratura che, intitolato L’infanzia di Saturno, ha visto tra i protagonisti anche l’attore Sandro Lombardi. (v.p.) 16 musicalmente Festivaletteratura 2007: Lonquich con i Solisti Ocm in L’infanzia di Saturno I CONCERTI Stravinskij secondo ALBANESE Il giovane pianista torna a Mantova dopo il successo di un paio di stagioni fa. L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta dall’americano Georges Pehlivanian completa il cast della prima serata sinfonica del nuovo anno La pima serata del 2013 di Tempo d’Orchestra al Teatro Sociale di Mantova (giovedì 24 gennaio, ore 20.45) racchiude in sè moltiplici motivi d’interesse. Primo: riporta in città un giovane pianista italiano tra i più interessanti della sua generazione. Si tratta di quel Giuseppe Albanese, che, nel 2011, strappò entusiastici consensi, quando all’Auditorium di Suzzara, con l’orchestra I pomeriggi musicali, interpretò il Concerto n.5 in sol maggiore op. 55 di Prokof’ev. «Nulla è precluso ad Albanese: memoria infallibile, dominio intellettuale, acrobazia e velocità, forza e precisione sono le sue armi migliori» leggemmo sulla Gazzetta di Mantova a proposito della performance. «Tecnica virtuosistica ragguardevole… Giustamente acclamato dal pubblico», confermò la Cronaca di Mantova, qualche giorno più tardi. Personalità poliedrica, Albanese non è solo un grande musicista. Ce lo racconta, in sintesi estrema, il suo curriculum: Premio Venezia 1997 all’unanimità e Premio Vendome 2003, Premio speciale “per la migliore esecuzione dell’opera contemporanea” al prestigioso concorso internazionale Busoni, diplomato in pianoforte a 17 anni con lode e menzione d’onore, a 23 anni consegue il Master all’Accademia di Imola e, dopo la maturità classica a pieni voti, si laurea in Filosofia con lode e dignità di stampa con tesi sull’Estetica di Liszt nelle Années de Pèlerinage, tanto che a soli 25 anni è docente universitario di Metodologia della comunicazione musicale. Giovedì 24 gennaio al Sociale di Mantova tornerà a dar prova del proprio talento interpretativo nel Concerto per pianoforte e orchestra di fiati (con contrabbassi e timpani come presenza d’eccezione a confermare la regola) di Stravinskij. L’orchestra, e qui veniamo ad un altro dei motivi d’interesse della serata, sarà la Haydn di Bolzano e Trento, che torna a Tempo d’Orchestra dopo oltre un decennio d’assenza. Ottima compagine, costituitasi nel 1960 per iniziativa delle Province e dei Comuni di Trento e Bolzano, la Haydn è ospite dei principali sodalizi concertistici italiani ed ha preso parte ai principali festival, esibendosi oltre confine in Europa, negli Usa e in Giappone. Nel corso di oltre cinquant’anni di attività l’Orchestra si è fatta interprete di un ampio catalogo di opere che ha 18 musicalmente di Valentina Pavesi Giuseppe Albanese. Sopra a sinistra, George Pehlivanian I CONCERTI ANTONIO CASAGRANDE FIRMA UN PEZZO IN FORMA DI MEMORIA S’ode ancora il mare Già da più notti s’ode ancora il mare, lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce. Eco d’una voce chiusa nella mente che risale dal tempo; ed anche questo lamento assiduo di gabbiani: forse d’uccelli delle torri, che l’aprile sospinge verso la pianura. Già m’eri vicina tu con quella voce; ed io vorrei che pure a te venisse, ora, di me un’eco di memoria, come quel buio murmure di mare. (Salvatore Quasimodo) Antonio Casagrande L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento spaziato in tutti i generi musicali, dal barocco fino ai compositori contemporanei. E conterranei, diremo, visto che la produzione con cui approda a Mantova affianca al Concerto di Stravinskij (mai ascoltato a Tempo d’Orchestra) e alla Carmen-Suite, elaborata da Rodion Schtschedrin, e tratta dal celeberrimo capolavoro operistico di Bizet, S’ode ancora pezzo sinfonico da una poesia di Salvatore Quasimodo per orchestra da camera, un’opera commissionata dalla Haydn stessa a un giovanissimo musicista trentino, Antonio Casagrande. I più attenti e fisionomisti tra i fedelissimi di Tempo d’Orchestra lo riconosceranno come uno dei membri più giovani dell’Orchestra da Camera di Mantova. Sì, perchè Antonio Casagrande, classe 1986, è diplomato in composizione con il maestro Armando Franceschini, ma anche in contrabbasso sotto la guida del maestro Massimiliano Rizzoli (storica prima parte dell’Ocm, ndr). Tra i docenti con cui ha proseguito gli studi di composizione troviamo un altro musicista il cui nome ricorre insistentemente tra le pagine di questa rivista, Azio Corghi. Premiato al Concorso “Pietro Mandanici” di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) nel 2008, nel 2010 ha vinto il primo premio al Concorso “Antonio Manoni” di Senigallia e ora eccolo a ispirarsi a Salvatore Quasimodo, come spiega nel pezzo qui a lato, raccontando del suo S’ode ancora. A dirigere Orchestra e solista - quarto (non in ordine di merito) tra i motivi caratterizzanti la serata - sarà l’americano George Pehlivanian, che si è imposto all’attenzione internazionale vincendo a 27 anni, primo americano di sempre, il Concorso internazionale per direttori d’orchestra di Besançon. Da allora ha consolidato la sua fama di direttore tra i più coinvolgenti della sua generazione. Di origini armene, George Pehlivanian è nato a Beirut (Libano) e ha cominciato a studiare il pianoforte a tre anni e il violino a sei. Nel 1975 è emigrato con la sua famiglia a Los Angeles, dove ha studiato direzione d’orchestra con Boulez, Maazel e Leitner. Un curriculum caratterizzato da uno sterminato elenco di collaborazioni con quotate orchestre e grandi solisti, testimonianza di una personalità di spicco, oggi Georges Pehlivanian è direttore principale ospite del Teatro lirico di Cagliari. «Il testo, una poesia della prima produzione di Quasimodo, è in relazione al mio pezzo S’ode ancora più per gli aspetti che riguardano la memoria – più profondamente musicali - che per la drammaturgia», spiega Antonio Casagrande. La poesia, prosegue, «è, a mio avviso, non solo una descrizione di un ricordo, ma, in un aspetto più profondo, una simulazione, resa con un acutissimo uso delle parole (...), del comportamento della mente rispetto al ricordo di un evento. Sapendo, come dimostrano gli studi sulla memoria, che ogni ricordo viene piegato dalla mente, modificato, a seconda del soggetto che lo racconta, si giunge alla conclusione che la poesia - e la musica - possa mostrare quest’aspetto di mutazione continua del ricordo in funzione della coscienza. Si può dire che questa poesia mi abbia svelato quest’aspetto della mente, non solo del poeta, ma più propriamente dell’essere umano ed io abbia voluto realizzare in musica un pezzo... in forma di memoria». musicalmente 19 I CONCERTI Grandi minimalisti - da John Cage a Terry Riley, Steve Reich e La MonteYoung non si ponevano affatto il problema di prendere o non prendere spunto da altri generi Aspettando il bel progetto di Alessandro Carbonare costruito intorno a forti suggestioni jazzistiche, potrebbe essere utile domandarsi se e quanto la musica afro-americana possa ancora contribuire alla futura evoluzione del linguaggio colto. Che nel corso dell’intera vicenda del jazz sia avvenuto il contrario è cosa evidente: già i pianisti di ragtime mutuavano dall’Europa la struttura delle loro composizioni, innervando le suggestioni armonico-melodiche rubate alla tradizione colta ottocentesca con la stupefacente concezione poliritmica africana e caraibica. Lo stesso hanno fatto i primi autori degli anni Venti con Impressionismo ed Espressionismo, fino ad arrivare all’inclusione dell’atonalità a partire dagli ultimi anni Cinquanta di Cecil Taylor e Ornette Coleman. Ma, a parte alcuni tributi dichiarati di Debussy o Stravinskji, si è sempre dato per scontato che l’universo colto abbia trattato il jazz come un’esotica curiosità dai profumi troppo intensi per essere sopportati a lungo, più che come un patrimonio di esperienze a cui attingere. In realtà non è del tutto vero, o almeno non lo è più a partire dal secondo dopoguerra, quando l’asse più creativo delle arti occidentali 20 musicalmente SULLE ALI del jazz Alessandro Carbonare Può la musica afro-americana contribuire ancora all’evoluzione del linguaggio colto? Interrogativi, spunti e riflessioni in attesa del progetto firmato dal trio Carbonare-De Palma-Braconi di Giorgio Signoretti NOTE ALL’ASCOLTO a cura di Andrea Zaniboni Martedì 22 gennaio 2013 Poggio Rusco, Teatro-Auditorium | ore 20.45 INSERTO ESTRAIBILE R Schumann, Andante e variazioni op. 46 P. Hindemith, Tre Pezzi per pianoforte, clarinetto, tromba, violino e contrabbasso M. Ravel, La valse per due pianoforti B.Martinu, La Revue de Cuisine H 161 C. Saint-Saëns, Il carnevale degli animali Conosciuta ed eseguita in particolare nella versione per duo pianistico, questa composizione venne concepita poco dopo la grande stagione dei quartetti per archi, del Quartetto e del Quintetto con pianoforte, e cioè all’inizio del 1843, sull’arco di una decina di giorni, per una formazione che comprendeva, oltre le due tastiere, anche due violoncelli e corno. Stranamente non fu questa la prima partitura ad essere pubblicata; anzi, la stampa si fece attendere fino al 1893, trascorso circa mezzo secolo dopo l’apparizione di quella per due pianoforti, che venne preferita. L’Andante iniziale possiede un tono raccolto e amoroso, lievemente struggente, ed offre spunto per nove variazioni che con il procedere del lavoro assumono tinte più intense o lievi, in una viva sequenza di episodi che non tradiscono lo spunto originario, e dove le tastiere mantengono preminenza di ruolo lasciando ai due archi ed al corno compiti quasi ovunque complementari, fino alla conclusione che riafferma l’intensa atmosfera iniziale. Le differenze fra le due versioni dell’opera sono poche, e quella per due pianoforti – che viene privata della brevissima introduzione, di una variazione e di un curioso interludio collocato fra la quinta e la sesta variazione che cita l’incipit del ciclo liederistico Fraunliebe und Leben – risulta lievemente più breve. Sebbene la stesura per quintetto sia di rara esecuzione in quanto estranea a qualunque tradizione cameristica, l’ascolto ne risulta assai suggestivo, pervaso da un lirismo che affonda le radici nella spiritualità romantica di cui Schumann fu l’inteprete più geniale e rivelatore. Brevi e raramente eseguiti, i Drei Stücke für 5 Instrumente rappresentano una Alexander Lonquich Cristina Barbuti, pianoforte Solisti dell’Ocm prova marginale nel catalogo di Hindemith, ma risultano interessanti per la singolarità dell’organico che unisce due archi (violino e contrabbasso) e due fiati (clarinetto in si bemolle e tromba in do) al pianoforte, nonché per la comunicativa chiarezza del dettato che viene informato da elementi neoclassici e popolari. I Tre pezzi, altrimenti intitolati Drei Anekdoten für Radio (Tre aneddoti per la radio) svelano proprio in tal maniera la destinazione di queste pagine: quella di entrare nelle case di ogni ascoltatore possibile con l’aspetto dell’intelligente intrattenimento. In questo senso la vocazione didattica di Hindemith si conferma. Se gli esordi di Hindemith si configurano con un linguaggio di rottura, queste brevi pagine scritte nel 1925 e presentate il 18 febbraio del 1926 a Francoforte (la prima e la terza durano meno di tre minuti, mentre quella centrale appare come la più sviluppata) individuano invece uno stile compromesso con il genere di consumo, pur adottando elementi colti sul piano formale ed organizzativo (imitativo) dei materiali. «L’ordine, la trasparenza, la misura, il gusto ed una espressione esatta e chiara dei sentimenti, tutte qualità che sono le caratteristiche dell’arte francese che ho sempre ammirato». Così diceva il boemo Bohuslav Martinu (1890-1959), uno tra i più rilevanti compositori cechi, motivando in qualche modo l’attrazione per la Francia ed i suoi musicisti, un’attrazione posta in essere con i suoi anni di studio parigini, dal 1923 in poi, prima nella classe di Albert Roussel (il maestro anche di Satie e Varèse) e poi abbeverandosi alle esperienze dei modernisti più in vista, da Stravinskij al Gruppo dei Sei. La Revue de Cuisine è un lavoro che Hindemith si colloca nella seconda metà degli anni Venti, a ridosso degli studi con Roussel, risentendo con evidenza della corrente neoclassica allora in atto, interpretata con distacco ironico e spirito divertito. La sua stesura originale fu ampia e consistette in un balletto in dieci movimenti, intitolato Le tentazioni del Santo Vaso, dato in prima esecuzione alla fine del 1927. Tre anni più tardi giunse la breve suite dotata di nuovo titolo, dall’equilibrio più strettamente musicale,e più sfumatamene allusiva nei confronti di una fantasiosa, irreale vicenda nella quale i protagonisti sono gli utensili da cucina, dal Coperchio alla Frusta, dallo Strofinaccio alla Scopa. I titoli dei quattro movimenti evidenziano l’apertura alle espressioni del ballo d’importazione (in quel momento storico, favorite da un grande successo popolare), dominate però da un gioioso, elegante e colto procedere che, presente ovunque, disegna un’opera godibilissima, di ancor fresca ricercatezza. musicalmente 21 N NOTE ALL’ASCOLTO Ravel Otto anni dopo aver presentato La Valse ai Concerts Lamoureux di Parigi nella sua veste esclusivamente strumentale (era l’8 gennaio 1920) Ravel ebbe a spiegare le sue autentiche intenzioni nell’ Esquisse autobiographique dettata al musicologo Roland-Manuel. In questa lunga memoria, che sarebbe stata pubblicata dalla Revue Musicale soltanto dopo la sua morte, nel 1938, egli chiariva di aver «concepito questo lavoro come una sorta di apoteosi del valzer viennese, al quale si mescola, nella mia immaginazione, l’impressione di un turbine fantastico e fatale. Pongo questo valzer nella cornice di una Corte imperiale, verso il 1855». La partitura, che, evocando così il valzer straussiano disegna un’apoteosi che potremmo dire tragica, s’iscrive, con il suo fascino torbido e inquieto, e come del resto Daphnis et Chloé, tra le opere per le quali la danza non è tanto il fine, quanto l’idea generatrice, portante, «l’elemento strutturale aderente alla propria concezione dell’orchestra, antiromantico ma anche antimpressionista» (C. Casini). La Valse fu commissionata nel 1919 da Djagilev per i propri “Ballets Russes” ma venne, con grande disappunto del compositore, ritenuta inadatta ad un utilizzo ballettistico. Soltanto nel 1929 giunse a servire la scena per iniziativa della celebre Ida Rubinstein (1885-1960) e della sua eccellente compagnia. La maestria di Ravel orchestratore, unita ad una singolare dinamicità nel trattamento del materiale, restituisce immagini sfocate, memorie imprecise, in una fragilità misteriosa e tormentata; fra luci accecanti ed un senso di finitudine che la spettacolarità della scrittura non occulta ma che, anzi, esalta per violento contrasto di caratteri. La versione per due piano- 22 musicalmente forti (presentata a Vienna nell’ottobre del 1920 dallo stesso autore e da Alfredo Casella) precede quella definitiva per orchestra e segue la primitiva per pianoforte solo, secondo un procedere di progressiva elaborazione delle idee. Spirito antiaccademico ed aspetto da intrattenimento di lusso contraddistinguono una delle più celebri partiture del parigino Saint-Saëns, Le Carnaval des animaux, “divertissement” per uso domestico steso con linguaggio raffinato ma facilmente comprensibile, oggi trasformato in una sorta di etichetta indelebile del suo autore. Negato alla pubblicazione finché il compositore fu in vita, Il Carnevale degli animali, per precisa disposizione testamentaria, poté venire universalmente conosciuto soltanto dopo la morte di Saint-Saëns. Scomparso lui il 16 dicembre 1921, la popolarità del Carnaval non conobbe più ostacoli, avviata dalla prima esecuzione pubblica avvenuta il 24 gennaio del 1922. Precedentemente, la conoscenza di questa “Grande fantasia zoologica” (così recita il sottotitolo) compiuta nel 1886, fu riservata a pochi e mantenne, per gelosia e pudore dell’autore, il carattere del pezzo d’occasione, dell’intrattenimento ad uso semiprivato. Il lavoro nacque infatti, come evento musicale, la sera del martedì grasso di quel 1886 nell’abitazione del violoncellista Charles Lebouc, in un’atmosfera che non è difficile immaginare come la più lontana dai formalismi concertistici. La disinvoltura e l’originale leggerezza della partitura non passarono inosservate; persino Franz Liszt se ne interessò, assistendo ad una nuova esecuzione privata poche settimane dopo nella casa di Pauline Viardot. Quale che fu l’opinione dell’ungherese, Saint Saens l’opinione di Saint-Saëns non ne dovette comunque subire influenza, se il lavoro per quasi quarant’anni rimase negato al pubblico comune. In effetti qui ci troviamo dinanzi ad un’opera strumentale, singolarissima per svariati aspetti, che usa magistralmente il linguaggio descrittivo e parodistico aggredendo sarcasticamente anche l’ambiente musicale e che gioca abilmente la carta dell’equivoco, propria di ogni mascheramento. Tutto poi si realizza attraverso una sapienza di scrittura straordinaria con la quale la ricercatezza si sposa alla chiarezza descrittiva, esplicitata anche dai titoli dei dodici pezzi che si susseguono. Concepito originalmente per 11 strumenti, Il Carnevale degli animali è una carrellata di “vignette” che scaturisce dall’umanizzazione della fauna e dalla critica divertita e corrosiva dell’ambiente musicale, accompagnate da una deformazione grottesca dei numerosi prestiti d’autore: Orphée aux Enfers di Offenbach (n.4), Ballet des Sylphes di Berlioz (n.5), Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn (n.5), Aria di Rosina dal Barbiere di Siviglia di Rossini (n.12). Non è infine negata nemmeno l’autocitazione con un accenno alla Danse macabre (n.12). N NOTE ALL’ASCOLTO Orchestra Haydn di Bolzano e Trento Giovedì 24 gennaio 2013 Mantova, Teatro Sociale | ore 20,45 Giuseppe Albanese, pianoforte George Pehlivanian, direttore A. Casagrande, S’ode ancora I. Stravinskij, Concerto per pianoforte e orchestra di fiati G. Bizet/R. Schedrin, Carmen. Suite Carmen, celeberrimo capolavoro intoccabile della lirica ottocentesca (fu presentata a Parigi nel 1875 ma, come spesso accade ai lavori di grandissimo pregio, non ottenne un successo privo di riserve e critiche più e meno severe), vide nascere due suites strumentali già l’indomani della morte di Bizet per mano dell’amico Ernest Guiraud – autore anche della seconda suite da L’Arlésienne – trovando, nel tempo, vivo gradimento ed una lunga sequenza di esecuzioni firmate da interpreti di prima grandezza. Libretto ed atmosfera si prestarono anche a successive rivisitazioni di varia natura, ed un capitolo consistente spetta a quelle ballettistiche, che dalla seconda metà del secolo scorso in poi hanno contato almeno una decina di prove a firma di musicisti e coreografi diversi. Rodion Scedrin, classe 1932, compositore moscovita di notevole fama (la sua vasta produzione, avviatasi negli anni Cinquanta, è stata presentata da musicisti come Maazel, Ozawa, Rostropovich, Maisky, Menuhin, Bernstein, Gergiev) ha realizzato Carmen-Suite, balletto in un atto su coreografia del cubano Alberto Alonso, nel corso del 1967, su incitazione di Maja Plissetskaja, danzatrice fra le più ammirate nel mondo - oltre che propria consorte - lavorando su una trama modificata rispetto all’originale e realizzando una serie di 13 numeri strumentali liberamente ricavati dalla partitura di Bizet. L’aspetto più evidente risiede nella strumentazione, dato che il lavoro di Scedrin non abbisogna di un complesso sinfonico, ma di un’orchestra d’archi affiancata da quattro percussionisti: l’esito evoca chiaramente la creazione del maestro francese, ma al tempo stesso se ne discosta con umori, caratteri, sonorità che aprono un mondo nuovo, moderno e diversamente rivelatore, in linea con una rappresentazione scenica che non rimase esente da qualche severa con- Gennady Rozhdestvensky testazione da parte degli organi governativi per causa di un soggetto ritenuto sconveniente. Insomma più ri-creazione che trascrizione, il che obbedisce, in fin dei conti, allo spirito di un maestro che si è distinto per la sua produttività di alto profilo nel Novecento russo. La prima esecuzione ebbe luogo 20 aprile del 1967 con l’Orchestra del teatro Bolshoi diretta da Gennady Rozhdestvenskij. Il Concerto per pianoforte e strumenti a fiato illustra come è noto la vena neoclassica di Stravinskij, ma certamente non ne esaurisce la estrema ricchezza di modalità espressive; modalità che esplicano una mentalità antiaccademica, priva di riferimenti obbligati e soprattutto libera dal pericoloso senso di rispettosa ricostruzione di un mondo antico. Ha scritto bene Roman Vlad che «in Stravinskij, la messa in gioco degli elementi formali preformati (accordi, nessi armonici, spunti melodici) avviene il più delle volte, in maniera così nuova, così originale, che non ci sembra il caso di considerare le sue composizioni neoclassiche come altrettanti “ritorni” a Bach, Mozart o Weber». A maggior ragione nel considerare la fisionomia del Concerto, che non attinge a materiali preesistenti riconoscibili, sebbene forse si possa intravvedere l’ombra, assai deforme, di un accenno all’età pre-bachiana. Presentato a Parigi il 22 maggio del 1924 sotto la direzione di Sergej Kussewizkij, e con l’autore al pianoforte che in quella occasione esordiva come solista, questo Concerto che utilizza oltre ad un gruppo di fiati anche timpani e contrabbassi, crea il clima timbrico ideale affinché lo strumento a tastiera manifesti tutta la sua indole percussiva, dettagliatamente incisa in fraseggi fortemente e fantasiosamente ritmati nonché in complessità di linee sovrapposte. I tre movimenti di cui si compone il lavoro, reinterpretano architetture formali note con disinvolta libertà: se il primo presenta un enigmatico “Allegro” tripartito incorniciato da un “Largo” introduttivo dalla tinta oscura che ritorna a contrappeso anche a conclusione, il secondo è una tradizionale pagina tripartita con l’elemento alternativo posto in zona centrale; il finale invece gioca con la forma di rondò inserendo spunti di contrappunto imitativo che si spiegano in vena giocosa e beffarda fino a far emergere un carattere perfino irridente, che solo poco prima della chiusura è sospeso nel ritorno del lontano “Largo” introduttivo. Ombre rischiarate dal fulminante, luminoso epilogo. Il Concerto, come detto, si lega all’esordio di Igor Stravinskij nel ruolo di pianista solista, esordio assai sofferto e che tale si manifestò, come lui stesso raccontò, in una inopportuna amnesia all’inizio del secondo movimento, risolta con l’aiuto del direttore. Un altro aneddoto riguarda invece lo smarrimento della prima versione scritta di quella stessa sezione: «Non so fino a che punto il movimento pubblicato differisca da quello che si era perduto - affermò il compositore accorgendosi di non ricordare la prima versione - ma sono sicuro che sono molto diversi l’uno dall’altro». S’ode ancora di Antonio Casagrande riportata a pagina 19. musicalmente 23 N NOTE ALL’ASCOLTO Alessandro Carbonare Sabato 9 febbraio Gonzaga, Teatro Comunale | ore 20,45 Francesco de Palma, contrabbasso Monaldo Braconi, pianoforte Musiche di Musiche di C. Parker, L. Bernstein, J. Pastorius, P. Salvia, C. Boccadoro, M. Garson, C. Corea, M. Gould, P. D’Rivera, F. Bennett Il programma nel dettaglio C. Parker, Yardbird Suite L. Bernstein, Sonata per clarinetto e pianoforte J. Pastorius, A Tribute P. Salvia, Camille’s Waltz - Brahmsileira (su temi di Saint-Saëns e Brahms) C. Boccadoro, Elegia in memoriam Miles Davis M. Garson, Variazioni Jazz su un tema di Paganini C. Corea, Addendum – Songs Suite M. Gould, Benny’s Gig P. D’Rivera, Mini suite venezuelana F. Bennett, Gershwin!!! Il programma spazia attraverso tutta quella musica che sta a cavallo tra la musica scritta e quella improvvisata. Non è un concerto jazz nel senso proprio del termine ma molte delle note eseguite verranno completamente improvvisate dagli esecutori. Si comincia con un omaggio a Charlie Parker che poi altro non è che una serie di variazioni scritte e improvvisate sul famoso tema My little suede shoes per poi passare al tango di Astor Piazzolla sottolineando l’evoluzione di questo stile musicale anche nella sua “versione contemporanea” nell’esecuzione di Tango Escondido di Anton Giulio Priolo, giovane compositore che da sempre si occupa di tango contemporaneo Leonard Bernstein non ha bisogno di presentazioni e la sua Sonata per clarinetto e pianoforte è una “chicca” di rara esecuzione. Scherzosamente arriva il momento “blasfemo” delle metamorfosi jazz di due temi di Johannes Brahms e Camille de Saints Saëns. Chick Corea è un jazzista che si è spesso spinto nella scrittura classica, in questo omaggio prendiamo spunto dal suo trio per archi Addendum e dal- 24 musicalmente Corea Bernstein le Childrens Songs per spaziare attraverso improvvisazione e classicismo. Non poteva mancare la musica di G. Gerswin, in questa fantasia si rende omaggio al grande compositore americano attraverso suoi temi o musiche ad esso ispirate. Il clarinetto è uno degli strumenti principali della musica popolare ebraica detta “Klezmer”, con un brano ispirato al suo piu’ grande esecutore: Gioira Fedman, prende fine il programma. Parker I CONCERTI IN VIAGGIO TRA CLASSICA E IMPROVVISAZIONI. INTERVISTA AD ALESSANDRO CARBONARE “Non ci limitiamo a rileggere in chiave jazzistica la musica scritta, ma inseriamo momenti di pura improvvisazione estemporanea” Un contrabbassista jazz, un pianista classico e un clarinettista che si divide tra questi due generi. Sono Francesco De Palma, jazzista di spicco nel panorama internazionale, Monaldo Braconi, pianista classico ma allievo di un musicista eclettico come Massimiliano Damerini, e Alessandro Carbonare, dal 2003 primo clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ovvero i protagonisti del concerto che sabato 9 febbraio al Teatro Comunale di Gonzaga sposa note classiche e jazz saldando quella continuità fra diversi mondi espressivi così frequente nella storia musicale. Abbiamo parlato con Alessandro Carbonare della singolarità di questo programma. positori di oggi al mondo del jazz e tributi a compositori spesso in bilico fra musica colta e jazz. Ma non solo. Non ci limiteremo a “leggere” la musica scritta ma inseriremo dei momenti di pura improvvisazione estemporanea. Il primo pezzo, ad esempio, Yardbird Suite, è di Charlie Parker. La musica improvvisata era il suo pane quotidiano, ma noi abbiamo creato delle nuove variazioni sul suo tema. Questo vale per la maggior parte dei pezzi che saranno in parte scritti e in parte improvvisati Ci sarà anche un momento che ho scherzosamente definito “blasfemo”: prenderemo dei temi di Brahms e Saint-Saëns e li “stravolgeremo” in chiave jazzistica». Come è nata l’idea di questo progetto? «Dalla voglia di esplorare un repertorio che viene sì eseguito, ma quasi mai in questo modo. Quando un musicista suona Gershwin di solito lo fa seguendo arrangiamenti comunque già scritti. Io studio da molti anni improvvisazione jazz e volevo cercare di proporre quella musica che sta a cavallo tra la scritta e improvvisata, con una maggiore attenzione a quest’ultima». Come sono riusciti tre artisti come voi, dalla formazione e dalle esperienze diverse, a trovare un comune terreno espressivo? «Ci sono volute moltissime prove, abbiamo lavorato per dei mesi, prendendo in considerazione almeno una ventina di progetti, prima scegliere quello che eseguiremo a Gonzaga. Francesco De Palma ha dovuto capire la nostra “rigidità” di lettori mentre io e Braconi abbiamo dovuto cercare di seguire lui che è abituato ad un’estrema libertà al contrabbasso. Il risultato è un viaggio attraverso musica che si ascolta raramente soprattutto nelle stagioni di concerti classiche». (a.b.) Cosa potrà ascoltare di particolare il pubblico di Tempo d’Orchestra? «Temi classici riletti in chiave jazzistica, omaggi di com- Sopra Monaldo Braconi e a destra Francesco De Palma ha cominciato a virare verso gli Stati Uniti d’America. I grandi minimalisti delle due coste, da John Cage a Terry Riley, Steve Reich e La Monte Young, non si ponevano affatto il problema di prendere o non prendere spunto dal grande fiume del jazz, allora decisamente in piena. Il jazz costituiva parte della lingua madre al suono della quale il loro orecchio musicale si era formato. Il modo flessibile di intendere il ritmo, la vocalizzazione estrema dell’intenzione timbrica, l’improvvisazione come necessità e come opportunità, la stessa gerarchia compositore-esecutore: tutto veniva inteso con naturalezza sotto un’altra prospettiva. Non si trattava di delicati processi di negoziazione, ma di un abbandonarsi fisiologico a materiali familiari o, come nel caso di Reich, ad un continuum dal sapore “ferroviario”, concetto così ben noto al mondo del jazz. Ma pare che il Novecento colto, europeo od americano che sia, fatichi ancora ad essere adeguatamente rappresentato nelle programmazioni liriche, sinfoniche e cameristiche. È buona cosa, dunque, aprire spazi come quello affidato a Carbonare, a progetti che si pongano creativamente il problema di rovistare tra materiali e metodologie della musica afro-americana. Sarà magnifico poter vedere nei luoghi, come Mantova, dove i Conservatori hanno istituito corsi di jazz, maestri e allievi dei “due mondi” collaborare e scambiarsi esperienze. Molti tra i bravissimi docenti dei dipartimenti di musica afro-americana vengono proprio dai Conservatori e sempre più docenti dei corsi di indirizzo classico hanno nei loro scaffali dischi e spartiti di jazz. Che cosa si aspetta? musicalmente 25 I CONCERTI Kremer: LIBERTA` e virtuosismi Poter scegliere cosa e come fare. Sempre. È il suo diktat. Lo dimostrano i programmi che propone, ma anche il rifiuto di un sistema in cui la star conta più della creatività di Guido Mario Pavesi A sessantacinque anni, una carriera fantastica, fatta di numeri da record per quanto riguarda i successi colti in una sequenza incessante di concerti in tutto il mondo, o per quanto concerne l’attività discografica, o, ancora, la conquista dei più prestigiosi premi internazionali, Gidon Kremer conserva intatto lo spirito che ha animato tutta la sua fortunatissima esperienza musicale. Guarda avanti, sempre, sorretto da un entusiasmo tale che ogni nuova sfida in cui si lancia si rivela irrinunciabile alimento per il suo approccio creativo con la musica. Il profilo di questo grande artista lettone, uno dei maestri dell’arte violinistica mondiale e direttore carismatico che non pone limiti al pentagramma dei suoi interessi, è espressione autentica di vitalità, di inesausta ricerca e di coerenza nelle scelte. Poter scegliere cosa e come fare è il seme della sua libertà e niente può testimoniarlo meglio del programma che ogni volta propone al suo pubblico. Gidon Kremer torna a Mantova, giovedì 14 febbraio, nel “suo” amatissimo Teatro Bibiena che lo ha visto protagonista già sette delle otto volte che è stato ospite a Tempo d’Orchestra, per proporre un percorso originale che, sul tema delle stagioni, si snoda tra le musiche celebri di Vivaldi, Cajkovskij ed Astor Piazzolla per approdare alle composizioni di alcuni maestri contemporanei dell’Est come l’ucraino Leonid Desyatnikov, la lituana Raminta Serksnyte, il russo Alexander Raskatov, la bulgara Dobrinka Tabakova. Un progetto che Kremer condividerà con la Kremerata Baltica, la sua creazione che dal 1997 promuove il talento dei giovani artisti dei paesi baltici e offre spazio ai fermenti della nuova vita musicale di quell’area, fissando un ulteriore tassello di una collaborazione preziosa e privilegiata. «Posso dire che creare la Kremerata Baltica è stato ciò che mi ha dato più soddisfazione: è la cosa migliore che abbia fatto nella mia esistenza. Questo ensemble mi ha salvato da una 26 musicalmente Gidon Kremer (fotoservizio Nicola Malaguti) I CONCERTI COSA ASCOLTEREMO Antonio Vivaldi, L’Estate. Concerto in sol minore op.8 da Le Stagioni, per vibrafono e orchestra d’archi di Andrei Pushkarev Philip Glass, Concerto per violino, archi e sintetizzatore nr.2 The American Four Seasons Vytautas Barkauskas, Avanti per archi Gidon sun sounds, medley di brani sulla estate (composizioni/trascrizioni dedicate a Gidon Kremer e alla Kremerata Baltica): Leonid Desyatnikov, Crying with the cuckoo and Tolotnaya P.I. Cajkovsky/A. Raskatov, da The Seasons Digest: June – Barcarole; July – Song of the reaper; August – Harvsest; September – Hunt Dobrinka Tabakova , Dusk da Sun tryptichGeorgs Pelecis, Flowering jasmin Astor Piazzolla/L.Desyatnikov, Verano Porteno da Le Quattro Stagioni a Buenos Aires Con inesauribile entusiasmo, torna a Mantova il14 febbraio, nel “suo” amatissimo Teatro Bibiena dove "Tempo d’Orchestra" lo ha accolto ben sette volte Il suo ottimismo costruttivo gli impone, oggi, di rimanere fedele a se stesso, prendendo le distanze dalla confusione che si è affermata nel mercato della musica Kremer con la Kremerata al Bibiena vita legata soltanto al violino e ha dimostrato come la musica fatta insieme sia molto più potente e comunicativa di quella svolta da solista. Mi consente di arrivare alla gente in maniera molto più facile di quanto possa fare io da solo». È Gidon Kremer stesso che ci apre, con questo passaggio di intervista pubblicata da la Repubblica lo scorso giugno, le porte del suo pensiero, indica chiaramente la ricchezza che l’ensemble può esprimere; ma anche coi fatti ci rivela che le sue scelte vanno verso le musiche che conservano una dimensione sentimentale, un linguaggio delle emozioni, perché la musica, classica o contemporanea che sia, non deve essere un puro esercizio intellettuale. E la sua storia personale, scandita dai ritmi incalzanti di una creativa irrequietezza, pare riflettersi anche nella preziosità e nelle specificità degli strumenti utilizzati nel tempo: il potente, impetuoso Stradivari “Baron Feititsch” del 1734, poi un meraviglioso Giuseppe Guarneri del Gesù del 1730 e, per finire, l’inestimabile Nicolò Amati del 1641. Tratti, anche questi, di una curiosità intellettuale che ha dominato una vita spesa al servizio della musica, tra repertorio classico ed elementi innovativi per la cui accettazione ha dovuto lottare decenni, costantemente volta ad offrire nuove opportunità di crescita culturale all’arte dei suoni e, soprattutto, al pubblico. L’ottimismo costruttivo di Gidon Kremer gli impone, oggi più che mai, di rimanere fedele a se stesso, di saper dire sì o no, prendendo le distanze dalla confusione che si è affermata nel mercato della musica negli ultimi anni. «Semplicemente, non voglio respirare quell’aria piena di sensazionalismo e valori distorti, pur ammettendo che tutti abbiamo qualcosa a che fare con lo sviluppo insano del nostro mondo musicale in cui le “stelle” contano più della creatività, i giudizi più del vero talento, i numeri più dei suoni», come ha avuto modo di spiegare in una missiva ripresa dal magazine on line Artsjournal. musicalmente 27 I CONCERTI Notte di NOTE tra ninne nanne e sogni di Augusto Morselli È sempre con grande entusiasmo che accetto l’invito del direttore artistico dell’Orchestra da Camera di Mantova, maestro Carlo Fabiano, a partecipare agli eventi musicali che propone. In particolare sono entusisata di prendere parte a questa seconda edizione di Madama DoRe. Sapete perché? Perché i suo spettacoli avvengono in famiglia. Nonni, genitori, figli, nipotini e zii tutti assieme, non solo ad ascoltare buona musica ma addirittura a parteciparvi. Si, perché in queste domeniche mattina, si entra in teatro tutti allo stesso livello. Chi sa e chi non sa, chi è più sensibile e chi meno, chi è attento e chi lo diventa in seguito. Ed è tutto merito delle musica che distribuisce i suoi doni perché lo sente come dovere da assolvere. Ed allora anch’io mi sono impegnato per presentarvi un programma interessante, pure piacevole e, vedrete, o meglio sentirete, addirittura divertente. Divertente nel senso di farvi uscire dalla sala di concerto con la soddisfazione di avere fatto qualche cosa di bello. Ho intitolato il nostro incontro: Notte di note ma avrei potuto chiamarlo tranquillamente Note di notte perché il filo conduttore di questo incontro è il buio della notte. Un buio illuminato dalle note del pianoforte. Un solo strumento, che si esprimerà come una intera orchestra, con una gamma di colori, che i vari autori ci proporranno, più ricca della tavolozza di un pittore. Ascolteremo brani di Beethoven, Debussy, Chopin, Liszt, Brahms, Mozart e Schumann; brani 28 musicalmente “Una costellazione di sentimenti”: questo nel terzo appuntamento 2012/13 del ciclo di concerti per famiglie “Madama DoRe” molto diversi tra loro come carattere musicale, come epoca, come indole personale ed artistica dei vari autori: chiari di luna, notturni, ninne nanne e sogni. Mi piacerebbe molto che i grandi che leggeranno queste righe, facessero capire ai piccoli che accompagneranno, che insieme ci troveremo davanti a creazioni musicali che, come il genio della lampada di Aladino, ci trasporteranno nel mondo dell’autore, nelle sue intimità, nelle sue affettività, nei suoi sentimenti (solo questo, ai più piccini dite solo questo...). La notte è, più di ogni altro, il momento della riflessione, quando tutto il rumore della giornata, poco a poco, si spegne e noi rimaniamo soli con i nostri pensieri, i nostri affetti e i nostri sogni. Quale miglior tramite, dunque, I CONCERTI MADAMA DORE: L’ENTUSIASMO TROVA CONFERMA In campo il sottoscritto e un grande pianista, un caro amico, un ottimo divulgatore della musica: Andrea Dindo Augusto Morselli, narratore, e Andrea Dindo, qui direttore, nel Pierino e il lupo realizzato nel 2009 con l’Orchestra da Camera di Mantova (foto Nicola Malaguti) del babbo della mamma, nonno o nonna? La musica ascoltata in amicizia aumenta l’effetto. Ecco allora che ho il doppio piacere di presentarvi questo programma eseguito non solo da un grande pianista, ma anche da un caro amico, che condivide queste idee musicali, affettive ed emotive ed è un ottimo divulgatore della musica per tutte le età: il maestro Andrea Dindo. Sarà lui al pianoforte che ci accompagnerà a scoprire come il mondo notturno sia sereno, illuminato, variopinto, pieno di gioia e di serenità. È evidente che gli stessi autori hanno trattato la notte anche sotto altri aspetti ma la nostra Musica Formato Famiglia, vuole ricreare atmosfere affettive tranquille e pacate per raggiungere anche un effetto di dialogo sereno tra generazioni. Madama DoRe 2012/13 bissa il successo della stagione d’esordio. La campagna abbonamenti archiviata con ottimi esiti, il primo dei 5 concerti in programma a strappare entusiastici consensi di pubblico: sono questi i primi dati a riprova di quanto la proposta per famiglie risponda a un’esigenza effettivamente avvertita di occasioni culturali aperte e di momenti di condivisione intergenerazionale. Lo scorso 18 novembre, la Neos Sinfonia Orchestra, gruppo di una sessantina di giovani e giovanissimi tra i 10 e i 20 anni, diretta dal maestro Alberto Conrado, ha fatto scoprire tutto il fascino e l’emozione della musica dal vivo a un teatro gremito e festante, che ha interagito con gli interpreti grazie a armonizzazioni per strumenti e pubblico. Un pubblico che ha sperimentato un divertente viaggio musicale fra le sonorità d’America Latina, Medio Oriente, Africa e sud Italia, alla scoperta di strumenti tipici e sonorità a volte inattese. Ora la rassegna prosegue con 4 appuntamenti, il primo dei quali, in programma il prossimo 20 gennaio, porta al Teatro Bibiena (ore 11) la coloratissima fiaba musicale Le due regine (si veda articolo a pagina 8, ndr). Alla presentazione dello spettacolo è dedicata la prossima conferenza del ciclo d’incontri a cura dell’Associazione Amici dell’Ocm, Parolenote, che, venerdì 18 gennaio (ingresso libero, ore 18, Mantova, Sala Norlenghi) vede protagonisti il maestro Azio Corghi (sue le musiche delle Due regine), e Dario Moretti (idea, scene e regia). Notte di note: chiari di luna, notturni, ninne nanne e sogni è il titolo del successivo concerto, atteso per domenica 17 marzo, sempre al Bibiena (ore 11) a cura di Augusto Morselli, nel ruolo del narratore, e di Andrea Dindo, al pianoforte. A questo appuntamento dedichiamo il pezzo di approfondimento che trovate in queste pagine. I biglietti per i concerti di Madama DoRe (5 euro bimbo, 6 euro adulto accompagnatore, 7 euro adulto) sono in vendita alla sede Ocm (tel. 0376 1961640, [email protected]). (v.p.) Certamente: dialogo in un mondo dove tutto corre, gli obiettivi da raggiungere scavalcano i sentimenti, le cose da fare non lasciano spazio alle confidenze private. Un’ora di musica insieme non risolverà i problemi del mondo ma quando tante persone si emozionano assieme, in una sala da concerto, escono da quella stessa sala con una percezione diversa gli uni degli altri. Chi vive la musica, al di là della fatica che questa disciplina richiede, prova questi sentimenti e queste sensazioni ed è per questo motivo che si sente l’obbligo di assolvere al dovere di diffonderla. Vi aspettiamo dunque, il maestro Andrea Dindo ed io, domenica 17 febbraio, alle 11, al Bibiena di Mantova. musicalmente 29 RED CARPET L’INAUGURAZIONE di Tempo d’Orchestra edizione del ventennale John Axelrod dirige l’Ogi al Sociale di Mantova. Nelle altre foto: il pubblico: coprotagonista della serata Fotoservizio Gabriele Sabbadini 30 musicalmente IN ORCHESTRA L’ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA APRE LA 50A EDIZIONE DEL FESTIVAL PIANISTICO DI BRESCIA E BERGAMO in breve G iovedì 18 ottobre 2012 debutta Tempo d’Orchestra, edizione del ventennale. L’abbraccio del pubblico è avvolgente: la campagna abbonamenti della stagione concertistica dell’Orchestra da Camera di Mantova chiude alla cifra record di 768 adesioni, proseguendo il trend di costante crescita che caratterizza, dalla nascita, la manifestazione. Il tappeto rosso, dicevamo. Per una volta la prospettiva è apparsa rovesciata: il pubblico, parte in causa del successo della rassegna, fa il suo ingresso in teatro accolto dai flash dei fotografi. Accomodatosi in sala una voce fuori campo gli rivolge un metaforico applauso: «Un bentornato agli abbonati più affezionati e un benvenuto a chi, per la prima volta, ha scelto di prendere parte alla stagione concertistica dell’Orchestra da Camera di Mantova - riecheggia -. Era lunedì 22 novembre 1993. Il teatro Bibiena di Mantova ospitò il primo concerto della storia di Tempo d’Orchestra, manifestazione che oggi compie vent’anni. Il traguardo è significativo e ci riempie di orgoglio. Lieti che abbiate scelto di festeggiarlo insieme a noi, vi ringraziamo del sostegno che, attraverso la vostra partecipazione, ci testimoniate, divenendo nostri vitali sostenitori». L’applauso reale, stavolta, quanto spontaneo suggella l’alzarsi del sipario sul cartellone 2012/13. In attesa della presentazione ufficiale (che si terrà nei primi mesi del 2013), emergono le prime anticipazioni circa la cinquantesima edizione del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. «Edizione che - si legge nel comunicato pubblicato nelle settimane scorse sul sito della manifestazione - tra ritorni eccellenti e novità di rilievo, celebra cinque decenni di grandi interpreti: da Arturo Benedetti Michelangeli, ospite delle prime 5 edizioni dal 1964 al 1968, a Grigory Sokolov, il pianista che più di ogni altro ha caratterizzato il Festival del nuovo millennio. E il nome di Grigory Sokolov, che non poteva ovviamente mancare, sarà accompagnato nell’edizione 2013 da quello di altre stelle del pianoforte molto amate dal pubblico di Brescia e Bergamo: Radu Lupu, Yuja Wang e Alexander Lonquich (...) Procedendo però con ordine, il 50° Festival si aprirà il 27 aprile a Bergamo e il 28 aprile a Brescia con la Nona Sinfonia di Beethoven eseguita dall’Orchestra da Camera di Mantova guidata da Umberto Benedetti Michelangeli». A MAGGIO ESCE PER HYPERION IL 2° CD REALIZZATO CON ANGELA HEWITT È annunciato in uscita a maggio 2013 il secondo dei cd mozartiani incisi da Angela Hewitt con l’Orchestra da Camera di Mantova. Il lavoro, realizzato a luglio 2011 nella Sala Mahler del centro Culturale di Dobbiaco, racchiude i Concerti per pianoforte e orchestra n. 17 in sol maggiore K 453 e n. 27 si bemolle maggiore K 595. A dirigere solista e orchestra il maestro finlandese Hannu Lintu. Anche questo secondo cd del ciclo è edito dall’etichetta londinese Hyperion. musicalmente 31 IN ORCHESTRA Un abbonato ogni quattro è UNDER 18 Alcuni degli abbonati Euterpe, tutti studenti del “Galilei” di Ostiglia. Sopra, con il direttore artistico Carlo Fabiano Tra i risultati in controtendenza della campagna abbonamenti di Tempo d’orchestra 2012/13 spicca la considerevole partecipazione di giovani e giovanissimi alle iniziative promosse dall’Orchestra da Camera di Mantova. Oltre 100 giovani studenti dell’Istituto “Galilei” di Ostiglia hanno scelto di sottoscrivere la formula d’abbonamento Euterpe Giovani, aderendo così a un progetto di educazione all’ascolto che nato una decina d’anni fa, vale loro crediti scolastici. Una trentina di studenti delle secondarie del mantovano beneficiano delle tessere Ouverture, attraverso le quali Confindustria Mantova intende premiare il merito scolastico regalando un’occasione di crescita culturale e umana. Infine, almeno la metà degli abbonamenti al ciclo per famiglie MadamaDoRe porta a teatro, negli appuntamenti mattutini in cartellone, ragazzi sotto i 14 anni, spesso alla prima esperienza d’ascolto dal vivo nella magica cornice d’un teatro. Totale: quasi il 30 percento degli abbonati alla stagione dell’Orchestra da Camera di Mantova è under 18. L’Orchestra da Camera di Mantova e Plamena Mangora “WEEK END A TUTTA CLASSICA” RACCOLTI 15MILA EURO Un’iniziativa da ripetere, bella, coinvolgente e partecipata. Unanime giudizio positivo per la due giorni a tutta musica tenutasi l’ultimo fine settimana di settembre a Mantova e provincia per celebrare i vent’anni dell’Orchestra da Camera di Mantova. Ad aggiungere un valore ancora più speciale il fatto che nel corso del sabato e domenica, in cui tutti i componenti dell’orchestra e gli amici dell’Ocm si sono esibiti gratuitamente, sono stati raccolti fondi per il complesso Polironiano di San Benedetto Po duramente danneggiato dal sisma del maggio scorso. In tutto sono stati donati 15.500 euro, di cui 10.000 destinati al Comune per il recupero del Museo e del chiostro 32 musicalmente (foto di Andrea Rinaldi) e 5.000 alla parrocchia per i lavori all’abbazia. La consegna è avvenuta la mattina del 23 ottobre in Provincia alla presenza dell’assessore alla cultura Francesca Zaltieri, di Carlo Fabiano, direttore dell’Orchestra da Camera di Mantova, e del presidente della Fondazione Comunità di Mantova, Mario Nicolini, intervenuti unanimemente a sottolineare l’importanza e l’originalità di quanto realizzato, e auspicando che l’iniziativa possa ripetersi nel futuro prossimo. Da parte sua il sindaco di San Benedet- to Po, Marco Giavazzi, ha sentitamente ringraziato di cuore tutti: da coloro che con generosità hanno donato fondi per il recupero del Polirone ai musicisti, ai sindaci e alle realtà che hanno messo a disposizione spazi assai suggestivi. IN ORCHESTRA Il primo appuntamento dell’Orchestra da Camera di Mantova nella stagione del ventennale ha visto la compagine presentarsi in scena nella versione di piccolo ensemble, costituito da proprie prime parti, diretta da colui che segnò l’avvio di tutto: quell’Antonio Ballista che nel novembre 2003 tenne a battesimo la prima edizione di sempre di Tempo d’Orchestra. Affidiamo la cronaca a estratti di unanimi recensioni. «Un doppio (due i concerti, il primo a Suzzara e il secondo a Mantova, ndr) successo - si legge su La voce di Mantova di domenica 18 novembre - (...) sulle note di celeberrime colonne sonore di film americani e di indimenticabili canzoni italiane degli anni 1910-50; uno spettacolo che ha visto protagonisti Antonio Ballista alla guida dell’Orchestra da Camera di Mantova, qui in formazione di piccolo ensemble, Lorna Windsor, soprano, e i pianisti Massimo Giuseppe Bianchi e Alessandro Lucchetti (...) Una brillante opportunità per analizzare con la lente di una raffinata cultura musicale i segni di esperienze dichiaratamente proiettate nell’orbita della più piacevole cantabilità. Autorevole conduttore di questa avventura, Antonio Ballista ha imposto alle esecuzioni quel brio e quella curiosità d’indagine, volta ad eliminare le differenze tra i generi, che ha sempre caratterizzato la sua luminosa carriera (...) Altro ingrediente fondamentale per la brillante riuscita del progetto, l’elaborazione strumentale ideata da Alessandro Lucchetti ha mostrato un pregevole campionario di soluzioni sonore, con affascinanti coloriture d’insieme, adatte a delineare le caratteristiche delle sezioni del piccolo organico, ed efficaci fusioni timbriche di archi e fiati nella conduzione tematica». «La tesi che si poteva scorgere in sottofondo - scrive la Gazzetta di Mantova, sabato 17 novembre - era (...)la seguente: i valori artistici risiedono anche laddove potrebbe essere insospettabile, ed in particolare dove il film e la canzone sono primariamente prodotti commerciali, pronti a conformarsi al gusto delle masse. Una tesi sostenuta con gli argomenti di un gradimento planetario prolungatosi nel tempo, e con qualità musicali radicate nei fondamentali e “buoni” sentimenti umani: amore, riso, commozione, ironia. Svolti in pagine spesso semplici ed ispirate, e rivisitati con il gusto moderno delle ricercate strumentazioni di Alessandro Lucchetti: timbri trasparenti, spirito di sintesi, abili connessioni fra i temi, fino a comporre una forma fluida e continua che emerge nei suoi nitidi elementi costitutivi; e con un potere di convinzione spiccato specie nella collana di canzoni italiane, aperta a vere e proprie ricreazioni compositive, lo specchio di una generazione nata fra le due guerre, e bandiera di antiche gioventù. Sull’onda dei ricordi - per taluni legati ad immagini filmiche indelebili - suonava, con precisione, il piccolo Ensemble Entusiasmo e AMARCORD Pieno successo per la produzione firmata Ocm con Antonio Ballista. Musiche da film e canzoni rilette da Lucchetti seducono il pubblico Antonio Ballista dirige l’Ensemble dell’Ocm al Teatro Bibiena di Mantova dell’Ocm diretto con vivacità da Antonio Ballista; ed il pubblico ha gradito, applaudendo gli interventi pianistici (Massimo Giuseppe Bianchi, Alessandro Lucchetti, Antonio Ballista, talora associati per brillanti interventi a “quattro mani”)». «Pubblico sospeso tra nostalgia e piacere (...) Piacere nel risentire quelle voci del passato, fatte rivivere e “restaurate” con gusto tipicamente italiano da quel buon musicista che è Alessandro Lucchetti, ed eseguite dall’Ensemble dell’Ocm sotto la guida lucida e vivace di Antonio Ballista, che dettava tempi e colori alla fresca orchestrazione», conferma La nuova cronaca di Mantova, venerdì 23 novembre. «Titolo appropriato della festosa serata Ritmi ruggenti, melodie struggenti - chiosa La cittadella nella stessa data - nell’entusiastica interpretazione dell’Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova, gruppo di strumentisti-solisti, esecutori affascinanti diretti da Antonio Ballista con una verve accattivante, pure ammirato al pianoforte». musicalmente 33 AMICI Parolenote: INEDITA prospettiva Azio Corghi: il suo nome, a richiamare la sua arte, ricorre ripetutatmente nelle pagine di questo numero di Musicalmente. Autore delle musiche, ispirate alla celeberrima Eine kleine Nachtmusik di Mozart, di cui vive lo spettacolo Le due regine, secondo appuntamento del ciclo di concerti per famiglie Madama doRe 2012/13. Citato tra i musicisti di riferimento nella sua formazione da Sonia Bergamasco, nell’intervista che apre il magazine. Richiamato da un giovane compositore come Antonio Casagrande, che scopriremo a Tempo d’Orchestra in occasione del concerto del prossimo 24 gennaio e che lo annovera tra i suoi maestri (si veda a pagina 19, ndr). Protagonista qui, nella rubrica Amici, che presenta il prossimo appuntamento con Parolenote: un incontro particolare, che segna anche una sorta di nuovo corso. Venerdì 18 gennaio (ore 18, Mantova, sala Norlenghi, ingresso libero) il ciclo di conferenze di avvicinamento all’ascolto di alcuni dei principali eventi di Tempo d’Orchestra elegge a proprio riferimento il primo concerto 2013 del ciclo per famiglie Madama DoRe. Lo fa programmaticamente, a sottolineare quanto gli spettacoli della domenica mattina si rivolgano a un pubblico che non ha limiti d’età e che concretizza l’ideale di un ascolto condivi- Azio Corghi e Dario Moretti presentano “Le due regine”. “Madama DoRe” e il cartellone serale s’incontrano e integrano in “Tempo d’Orchestra 2012-13” Azio Corghi e Dario Moretti so tra più generazioni. Madama doRe è parte integrante a tutti gli effetti del cartellone di Tempo d’Orchestra ed è doveroso che le sue proposte concertistiche ricevano le medesime attenzioni di quelle serali, di più antica tradizione: Parolenote ne dà conto, invitando a gennaio al tavolo dei relatori - e qui torniamo a lui - il maestro Azio Corghi e l’artista Dario Moretti, le due anime di quelle Due regine che approderà al Bibiena la domenica successiva (20 gennaio, ore 11). (v.p.) PAROLA D’AMICO Il Direttivo Associarsi, associarsi, associarsi. Per essere, insieme, sempre più forti Le adesioni si raccolgono presso la sede Ocm in piazza Sordello 12 a Mantova (orario d’ufficio) e in occasione dei concerti della stagione Tempo d’Orchestra, nei foyer dei teatri 34 musicalmente Amiche e amici, arriviamo ancora una volta alla fine di un anno e, come da tradizione, a una sorta di bilancio che, nel nostro caso, risulta essenzialmente morale (quello finanziario è piuttosto scarso). Il nostro compito statutario è quello di offrire all’Orchestra da Camera di Mantova un abbraccio ideale fatto d’interesse alla sua attività, di sostegno attivo, di ricerca di fonti finanziarie, di vcinanza in certe decisioni e di diffusione della cultura musicale. Soprattutto in tempi come gli attuali, questo nostro programma è importante per aiutare a superare le tante difficoltà che si presentano, e non sono lievi, in modo che ancora una volta la stagione concertistica Tempo d’Orchestra possa svolgersi in maniera soddisfacente. Questo non significa certo che il merito della realizzazione sia nostro, ma serve a indicare un impegno che non è mai cessato. È importante perciò nei confronti dei terzi che la nostra Associazione possa “presentarsi” forte, ricca di una consistenza anche numerica che la porti a essere maggiormente considerata e, quindi, più utile ai fini per i quali opera. Da qui il forte invito rivolto a ciascun Associato a rinnovare l’adesione per l’anno 2013 e a fare in modo che anche altre persone entrino nel gruppo degli Amici come nuovi aderenti con la minima spesa di 10 euro che viene confermata anche per il prossimo anno. Infine i tradizionali auguri fatti di vero cuore a tutti, perchè il tempo futuro porti serenità e tanta musica. QUADERNO DI VIAGGIO di Andrea Zaniboni Itinerario VERDIANO «Questo abituro dove il 10 ottobre 1813 la prima aura spirò il musical genio del Verdi vollero i coniugi Marchesi Giuseppe e Leopoldina Pallavicino mantenuto qual è al cupido sguardo dei posteri»: così recita la lapide apposta nel 1872 sulla facciata della casa natale di Giuseppe Verdi, prima tappa di un itinerario che, chi volesse percorrerlo nell’anno del bicentenario, si snoda fra alcuni luoghi di sicuro interesse. Storia, suggestioni atmosferiche, documenti, musica, memorie teatrali s’intrecciano in un percorso che va avviato necessariamente dalla casa-osteria di famiglia nel «miserabile villaggio» (come lo descrisse il critico musicale francese Arthur Pougin nella seconda metà dell’Ottocento) di Roncole di Busseto, in provincia di Parma. Casa che appunto si è mantenuta nello stato che testimonia l’umile esistenza di chi ci abitava e lavorava, con il suo ingresso dimesso, gli arredi semplici e le pareti spoglie. Distante qualche decina di metri sorge la Chiesa di San Michele dove il maestro fu battezzato e dove avviò le sue adolescenziali esperienze sul piccolo organo sopraelevato che vi è alloggiato. Qualche chilome- A destra Casa Barezzi e sotto la casa natale di Giuseppe Verdi tro più in là, a Busseto, oltre il piccolo teatro da 300 posti edificato con il contributo economico del compositore ed inaugurato, non senza fastidiose polemiche con lo stesso, nel 1868, si trova la casa di Antonio Barezzi, l’amata dimora di un intelligente e sensibile appassionato, allora presidente della locale Società Filarmonica, presso il quale Verdi trovò ospitalità, competenza e generoso sostegno; al punto che l’assidua frequentazione gli permise di approfondire Il Museo Nazionale Verdi la conoscenza della figlia di lui, Margherita, che avrebbe poi sposato nel 1836. Divenuto museo verdiano una decina d’anni fa, questo edificio ospita molti documenti storici, dipinti, prime edizioni a stampa, lettere autografe, manifesti e persino una bacchetta appartenuta a Toscanini, che di Verdi fu un assiduo ed appassionato interprete. Ma a questo luogo si aggiunge, necessariamente per il devoto turista verdiano, il grande Museo Nazionale intitolato al maestro, istituzione recente (è stata inaugurata tre anni fa) ospitata nella sontuosità rinascimentale di Villa Pallavicino, nella quale sono riprodotte le scenografie originali di Casa Ricordi ed in cui ogni sala approfondisce un’opera od un gruppo di opere, ma che non è soltanto museo bensì fonte di vive suggestioni operando sul piano didattico che come centro studi. Infine Villa Sant’Agata, a Villanova sull’Arda, in provincia di Piacenza (ma solo qualche chilometro a nord di Busseto), la grande dimora, abitata dal 1851 (l’anno di Rigoletto) dove ritrovare le tracce della quotidianità verdiana: il parco, il pianoforte, la carrozza, la biblioteca, le camere da letto, il senso di una vita operosa condotta nel grembo della natura. Per il bicentenario della nascita del più celebre compositore italiano sono stati stanziati più di 6 milioni di euro. Una parte andrà anche per la valorizzazione di questa villa che ci parla di un Verdi agiato ma non aristocratico. Lo confessò lui stesso in una lettera: «Sono stato, sono e sarò sempre un paesano delle Roncole». musicalmente 35 COLONNA SONORA di Claudio Fraccari BERTOLUCCI, orecchio da musicista È fra i più importanti cineasti in attività, in ambito sia nazionale che internazionale. Bernardo Bertolucci ha realizzato una serie di film che resteranno senz’altro nella storia del cinema. Basterebbe rammentare che fu aiuto-regista di Pier Paolo Pasolini per Accattone (1961), oppure che, al fianco di Dario Argento, collaborò alla sceneggiatura di C’era una volta il West di Sergio Leone (‘68); che esordì nel lungometraggio a soli 21 anni con il pasoliniano La commare secca (‘62); che recano la sua firma La strategia del ragno (da un racconto di Jorge L. Borges, girato a Sabbioneta nel ‘70), Il conformista (da Alberto Moravia, nel medesimo anno), il sublime e scandaloso Ultimo tango a Parigi (‘72), la sontuosa epopea lunga mezzo secolo di Novecento (‘76, ancora in parte ambientato in territorio mantovano), nonché opere che combinano l’autorialità di stampo europeo con la spettacolarità hollywoodiana (L’ultimo imperatore dell’ ‘87, Il tè nel deserto del ‘90, Il piccolo Buddha del ‘93), fino al penultimo titolo, The Dreamers (2002), una sorta di condensato dei suoi temi topici, l’eros, la politica, il cinema stesso. Sebbene non abbia mai stretto un sodalizio esclusivo con un musicista, come fecero invece Leone con Ennio Morricone o Fellini con Nino Rota, egli ha sempre considerato la colonna sonora un complemento essenziale per le sue narrazioni visive, le ricercate inquadrature, i sofisticati quanto fluidi movimenti di macchina. Esemplare quella de L’ultimo imperatore, affidata a tre compositori assai diversi come Ryuchi Sakamoto, David Byrne e Cong Su: si tratta di una suggestiva alternanza fra le sonorità elettroniche del primo, il rock progressivo 36 musicalmente LA STRATEGIA DEL RAGNO di B. Bertolucci Il figlio di un martire della Resistenza si reca nella cittadina ove visse il padre per indagare sulle circostanze della morte di lui, avvenuta trent’anni prima. Ispirato a un breve racconto di Borges, il film ne svolge il motivo della dialettica fra eroismo e tradimento, aggiungendovi la politica e la psicanalisi, con fughe verso l’onirico e il surreale. Il funzionale commento musicale annovera pezzi del repertorio di Giuseppe Verdi e una canzone di Mina. (Italia 1970) NOVECENTO Bernardo Bertolucci del secondo, la rielaborazione della musica tradizionale cinese operata dal terzo. Oppure, si consideri il sorprendente sax di Gato Barbieri che ricama struggenti motivi jazz per accompagnare, in contrappunto o in ridondanza, le pulsioni sessuali e funeree di Ultimo tango a Parigi. Quanto al recentissimo Io e te (dal romanzo di Niccolò Ammaniti), esso propone lo score intimista di Franco Piersanti, in un certo senso eccependo alla regola dell’ibridazione ovvero dell’eccentricità cara al regista parmense. Di cui costituisce la prova più estrema The Dreamers, ove l’eterogeneo commento musicale ospita brani di autori pop coevi all’ambientazione nella Parigi sessantottesca o connessi alle doviziose citazioni filmiche: si va da Jimi Hendrix, Bob Dylan, The Doors, Grateful Dead a Edith Piaf, Nino Ferrer, Charles Trénet, Françoise Hardy, Irving Berlin. Come dire un’abbondanza lussureggiante pari solo alla feconda inventiva tecnica ed espressiva di Bertolucci, un maestro della settima arte che, svariando dal lirismo all’epica, molto ama la sinestesia tra occhio e orecchio. di B. Bertolucci Attraverso le vicende di due personaggi, nati lo stesso giorno del 1900 ma di contrapposta estrazione sociale, si racconta la storia d’Italia della prima metà del Novecento. Composito e fluviale, dal cast altisonante (bastino i protagonisti Depardieu e De Niro), se non è il capolavoro di Bertolucci ne costituisce tuttavia il titolo di gran lunga più denso e impegnativo. La colonna sonora è di Ennio Morricone, ma si vale anche di canti e musiche tradizionali. (Italia-Francia-Germania 1976) L’ULTIMO IMPERATORE di B. Bertolucci Epico e melodrammatico, magniloquente e accademico, il film illustra la vera esistenza di Pu Yi, che dallo status onnipotente di imperatore della Città Proibita fu degradato a uomo qualunque nella Cina di Mao. Il successo di pubblico fu coronato da ben 9 premi Oscar, fra cui quello alle musiche di Ryuchi Sakamoto, David Byrne e Cong Su. Grande cinema a tratti, sempre cinema in grande, L’ultimo imperatore dimostra comunque la tempra del vero cineasta. (Cina-GB-Francia-Italia 1987) GRAMMOFONO di Michele Ballarini Il CORAGGIO di un’orchestra A Louisville nel 1948 le intuizioni di Charles Farnsley risollevarono le sorti della filarmonica locale Al giorno d’oggi, con tante orchestre alle prese con problemi di bilancio, pensiamo faccia riflettere un caso pressoché unico nella storia concertistica e discografica del secolo scorso. Louisville, cittadina del Kentucky (Usa), è il 1948 e la locale orchestra è in piena crisi finanziaria quando Charles Farnsley, suo presidente nonché sindaco della città ha un’idea rivoluzionaria che comunica al direttore stabile Robert Whitney: riduzione dell’organico da 70 a 50 orchestrali, limitazione degli ingaggi a solisti dai cachet esorbitanti e incremento di commissioni di opere nuove a musicisti contemporanei, cinque prime esecuzioni a stagione dirette preferibilmente dagli autori. Nell’America degli anni ‘40, con un grande pubblico dai gusti musicali parecchio conservatori e limitati al grande repertorio classico e romantico, l’impresa appare quasi disperata. Farnsley, però, sostiene che «L’autore è quasi dimenticato nei concerti, ma senza di lui la musica morirebbe: dobbiamo pensare al XVIII secolo quando si eseguiva un pezzo nuovo ad ogni concerto»; la radio e il nascente long-playing, Farnsley ne è convinto, aiuteranno la sua causa. Già nella stagione successiva l’orchestra esegue novità di Hindemith, Villa-Lobos, Martinu, Milhaud e Chavez e nel 1950 avviene la svolta: Judith, un poema coreografico di William Schuman, viene registrato dalla Mercury Records e l’orchestra invitata a ripetere il pezzo alla Carnegie Hall di New York. La critica e il pubblico hanno reazioni entusiastiche e poco dopo l’orchestra firma un contratto con la Columbia Records pubblicando nel 1952 un nuovo lp con musiche in prima esecuzione. I media riconoscono il merito a Withney e alla sua orchestra di diffondere con coraggio e bravura la nuova musica, e nel 1953 Farnsley ottiene dalla Rockfeller Foundation una sovvenzione di 400.000 dollari per un progetto mai realizzato da nessuna orchestra: dal 1954 al 1959 a Louisville si registrano 116 lavori di 101 compositori sotto una nuova etichetta dal nome First Edition Records. Attraverso la radio poi tutto il mondo ha l’opportunità di sentire autori di ogni nazionalità e in gran parte ancora sconosciuti. In seguito, anche ad opera di successivi direttori stabili tra cui Jorge Mester e con altre sovvenzioni, l’orchestra arriverà nel 1995 al traguardo di 158 lp e 10 cd con circa 400 opere di 250 differenti autori. Un successo che permetterà a questo complesso di entrare nella storia, dimostrando che si può interessare un vasto pubblico proponendo musiche valide anche al di fuori dei repertori più battuti e degli esecutori più famosi. IL SEGRETO NEL REPERTORIO POCHI ITALIANI NELLA SERIE E POCHI I DISCHI DEL GENERE... Un aspetto del successo della Louisville Orchestra è costituito dal fatto di aver proposto un repertorio moderno di ascolto abbastanza accessibile dove compaiono raramente autori dell’estrema avanguardia. A parte musicisti americani come Harris, Schuman e Piston, figuravano autori francesi e inglesi – Milhaud, Ibert e Bliss - oltre a tanti altri che permettevano di esplorare i “dintorni” adiacenti alle figure di primo piano del ‘900 storico: un viaggio affascinante con scoperte a volte sorprendenti. Dallapiccola, Malipiero, Petrassi (nella foto) e Rieti sono gli italiani presenti nella serie: un po’ poco rispetto ad altri paesi, fatto questo che si può ascrivere in parte alla voluta tendenza nostrana – non sempre giustificata perché derivante spesso da pregiudizi di natura ideologica e non artistica - di privilegiare gli autori dell’avanguardia rispetto a quelli della generazione precedente. Non sorprende perciò che molta musica italiana del primo ‘900 sia stata per decenni quasi completamente dimenticata. La reperibilità di questi dischi in Italia era limitata in passato a qualche decina di lp in giacenza presso quei pochi negozi che importavano direttamente dall’estero, e solo con l’avvento del compact la Santa Fe Music Group ha pubblicato, a partire dal 2001, una serie di 40 cd con parecchie registrazioni della First Edition. Recentemente un documentario – Music makes a City – è stato realizzato e commercializzato, per vederne un estratto basterà digitarne il titolo su You Tube. Scultura di Charles Farnsley nella via principale di Louisville musicalmente 37 CD - DVD di Luca Segalla KATSARIS l’uomo capace di “divorare” il pianoforte Arthur Rubinstein era un grande appassionato di cucina, oltre che di musica e donne. Non conosco le predilezioni gastronomiche di un interprete curioso come Katsaris; difficile, però, immaginarlo indifferente ai piaceri della tavola. In questo recital del 2005 al conservatorio di Shanghai il pianista franco-cipriota si sbizzarrisce in un autentico delirio di trascrizioni da Bach, Schubert e Wagner, con un assaggio di Chopin (Notturno op. 9 n. 2, primo di quattro bis) e molto Liszt, anche originale. Cyprien Katsaris. Rubinstein era un interprete onnivoro, ma dei grandi Live in Shanghai. classici. Katsaris divora qualsiasi cosa si possa eseguire 1 DVD Piano 21 sulla tastiera. La divora con la gioia di un bambino che (P21 034-N) sta scoprendo il mondo. Al pianoforte recita, come il Barenboim degli ultimi anni, ma potendo fare affidamento su una tecnica più efficace e travolgente. L’eloquio è generoso in Bénédiction de Dieu dans la solitude, dalle Harmonies poétiques et religieuses, ma anche nella trascrizione della Morte di Isotta dal Tristan wagneriano. Questa fiducia incrollabile nella vita e nella musica suona paradossale, associata al Tristan. Un fuoco vivo, come la sua acrobatica trascrizione della Toccata e fuga in Re minore di Bach. È puro spettacolo, ma lo spettacolo di un interprete che conosce bene la psicologia del pubblico. E che si avventura come un dongiovanni felice e impenitente nell’intero repertorio pianistico senza lasciarsi turbare da scrupoli morali. PIAZZOLLA TRA I CLASSICI Fa molta scena, Gidon Kremer, e per questo a volte viene criticato. Qui siamo a Salisburgo, nel 2002. È impossibile sfuggire al magnetismo del violinista lettone, non lasciarsi sedurre dalla sua Kremerata Baltica, con cui vive in simbiosi. Anche se non tutto, nella trascrizione del schubertiano Quintetto in sol maggiore, è rifinito. Accanto a Schubert il violinista lettone propone il Novecento slavo e ungherese di Schnittke, Raskatov e Rósza. E Piazzolla, diventato un classico proprio grazie a lui: Oblivion è da brividi. Gidon Kremer & Kremerata Baltica.1 DVD Unitel Classica (3072238) AI LIMITI DELL’IMPOSSIBILE Il debutto alla Carnegie Hall del ventiquattrenne giapponese Nobuyuki Tsujii è datato 10 novembre 2011. Tsujii ha vinto nel 2009 il Van Cliburn ed è cieco dalla nascita: considerato il suo handicap è un fenomeno. Come pianista, a conti fatti, si rivela ordinario, eppure, in alcuni momenti, fa sobbalzare il pubblico sulla sedia. In Baba Yaga, dai Quadri. In una brillante Parafrasi sul Rigoletto di Liszt. E soprattutto nell’Improvvisazione e fuga del contemporaneo John Musto. Nobuyuki Tsujii. Live at Carnegie Hall. 1 DVD EuroArts (2059088) 38 musicalmente INVITO ALL’ASCOLTO Manuel de Falla ritratto di un genio fra parentesi Le prime opere pianistiche di Manuel de Falla furono Tres Obras de Juventud, Tre opere di gioventù: Serenata Andaluza, Nocturno e Vals-Capricho, completate entro il 1889, quando i suoi studi in Spagna erano ancora in essere, l’influenza romantica forte, e la sua personalità doveva attendere di manifestarsi pienamente. Avrebbero dovuto giungere gli anni del trasferimento a Parigi (tra il 1907 e il 1914), le frequentazioni decisive di Debussy, Ravel e Dukas, per individuare un Falla consapevolmente moderno ed allo stesso tempo rispettoso della propria storia nazionale. Se il suo più famoso lavoro pianistico è la Fantasia Baetica (con allusione al nome antico di una delle province romane con capitale Cordoba, in sostanza l’attuale Andalusia) scritta nel 1919 su invito di Arthur Rubinstein, altre pagine suggestive spiccano nel suo non vasto (in tutto una ventina) elenco di pagine per tastiera sola: fra tutte Cuatro piezas espanoles (1908), dedicati ad Albéniz e poi le famose invenzioni tratte dai balletti, quali le tre Danze da El Sombrero de tres picos e la eseguitissima Danza rituale del fuoco (da El Amor brujo, a stampa nel 1921), di cui sempre Rubinstein fu celebre interprete. Nella grande letteratura pianistica di ogni epoca, le opere di Falla immeritatamente rimangono un po’ai margini del repertorio, ed in Italia si può dire che siano colpevolmente ignorate. Due dischi Brilliant raccolti in cofanetto che vedono interprete la brava pianista americana Benita Meshulam, colmano il vuoto di conoscenza, ma non solo: suggeriscono il motivo per il quale il musicologo Fedele D’Amico parlasse anni fa di Manuel de Falla come «un genio tra parentesi». (a.z.) MUSICA & ARTE di Paola Artoni TIEPOLO e quella speciale sintonia con la musica Un pittore virtuoso, audace e vivace come le melodie del suo contemporaneo Vivaldi Foto relative alla mostra di Passariano e al citato ciclo di Wurzburg IN MOSTRA A VILLA MANIN Una pittura sontuosa, aerea, capace di rispondere a un preciso intento: «Li pittori devono procurare di riuscire nelle opere grandi [...] quindi la mente del Pittore deve sempre tendere al Sublime, all’Eroico, alla Perfezione». Se questo era il desiderio espresso da Giovanni Battista Tiepolo (Venezia, 1696 - Madrid, 1770), possiamo ringraziarlo non solamente per avere raggiunto in pieno il suo obiettivo ma anche per averlo trasmesso intatto nel suo fascino sino ai nostri occhi contemporanei. Virtuoso, audace e vivace come la musica del suo contemporaneo Antonio Vivaldi, capace di toccare le corde dell’ironia più lieve come quelle del dramma più cupo, di raccontare storie sacre e vicende profane riportandole ai costumi settecenteschi, Tiepolo in più occasioni ha espresso la sua speciale sintonia con la musica. Basti pensare alla sue rappresentazioni dei concerti affrescati nei palazzi lagunari come nelle ville di terraferma, splendide scenografie per concer- ti realmente eseguiti per la nobiltà veneziana, come pure alle allegorie della musica e alle figure aeree dei suoi elegantissimi angeli tardobarocchi. I disegni capricciosi, i modelletti veloci, le pale d’altare con le sante bionde avvolte in abiti serici, i magnifici cicli di affreschi con gli scorci prospettici audacissimi, sono appunti che raccolgono l’entusiasmo dei committenti intellettuali e politici del tempo, se è vero che i principi e i sovrani europei lo reclamano con vigore per le loro corti. Un entusiasmo che è giunto anche ai nostri giorni e che, tra l’altro, nel 2005 ha ispirato Hugues Dufourt nella composizione de L’Afrique d’après Tiepolo per pianoforte ed ensemble, ispirata agli affreschi del Tiepolo dipinti per la residenza di Würzburg. Nel dicembre del 1750 il principe vescovo aveva chiamato in Baviera Tiepolo e i figli Giandomenico e Lorenzo e da quella commissione era nata la magnifica decorazione della Kaisersaal, seguita dall’affresco dell’Olimpo attorniato dalle Sino 7 aprile Villa Manin di Passariano (Udine) ospita la mostra, curata da Giuseppe Bergamini, Alberto Craievich e Filippo Pedrocco, dedicata a Tiepolo con opere provenienti da prestigiosi musei europei e americani. L’itinerario si completa con la visita al Palazzo patriarcale di Udine, ora Museo Diocesano, ove il giovane Tiepolo, a partire dal 1726, affrescò il soffitto dello Scalone d’onore, la Galleria degli Ospiti, la Sala Rossa e la Sala del Trono, e a Trieste, al Civico Museo Sartorio, che custodisce oltre 250 suoi disegni. Info: tel. 0432- 821210 [email protected] www.villamanin-eventi.it. quattro parti del mondo per lo scalone monumentale, concluso nel 1753. Nel grande ciclo l’artista ha voluto rappresentare le allegorie dei quattro continenti all’epoca noti e il compositore francese ha più volte dichiarato di essersi ispirato proprio al parallelismo tra il movimento prospettico del colore dell’opera pittorica e il dinamismo sonoro ricavato dall’organizzazione delle parti e dai rapporti timbrici degli strumenti. E se questo tempo ci chiedesse ancora di «tendere al Sublime, all’Eroico, alla Perfezione»? musicalmente 39 ALTRA MUSICA di Giorgio Signoretti COHEN, MAESTRO DI CERIMONIE ALL’ARENA JACKSON RILETTO DA RAVA Lo scorso 24 settembre a Verona, un’Arena in estasi ha abbracciato con gli occhi il grande cantante e poeta Leonard Cohen durante una vera e propria lezione magistrale sull’arte del racconto. Attraverso la messa in poesia del suo universo personale, Cohen, partendo dalla magnifica Going Home, ha in realtà raccontato ai presenti i loro stessi naufragi e le loro stesse resurrezioni. Una gestualità di rara eleganza lo ha reso maestro di cerimonie in un setting spoglio ed intimo, nel quale musicisti di prima grandezza hanno delineato con forza e grazia paesaggi sonori della più grande varietà. Un saluto a Fabrizio De André lo ha avvicinato ancor più ad un pubblico già sedotto al suo apparire. Col suo nuovo On The Dance Floor, il trombettista Enrico Rava va a trovare ispirazione nel repertorio di Michael Jackson. Chi tuttavia si aspettasse una virata verso territori “dance” rimarrebbe deluso: ci troviamo davanti al miglior Rava di sempre. Strumentalmente possente, creativamente instancabile, il trombettista italiano riassume idealmente nel disco una vicenda personale che lo ha condotto dal vibrante free terzomondista degli anni Sessanta alla definizione di un linguaggio straordinariamente vario e personale. Come sempre accade quando un grande jazzman si avvicina ad un autore pop, Rava divora Michael Jackson e ne rivela qualità non sempre così visibili nell’originale. ROCK, cronista del ventesimo secolo Il 1954 fu un anno denso di eventi premonitori che annunciavano, a chi non poteva ancora riconoscerli come tali, il superamento della conformista cupezza del maccartismo: Joseph Mc Carthy in persona subì la pesante censura del suo Senato per “condotta politica disonorevole” e il Vietnam del Nord cadde nelle mani dei futuri Viet-Cong sotto gli occhi di un remissivo presidente Eisenhower. E, più di ogni altra cosa, Elvis Presley incendiò il tranquillo panorama della musica bianca con i suoni totalmente inediti che uscivano dal bugigattolo del geniale Sam Phillips nel centro di Memphis. Il 5 luglio di quell’anno, con la registrazione di That’s All Right Mama, iniziava il grande racconto del rock. Perché di vero racconto si trattava: frasi smozzicate, rubate al blues o al country, lasciate uscire con un’energia nervosa e una spavalderia disperata di cui solo un adolescente messo all’angolo dalle proprie paure poteva conoscere il segreto. Il racconto si va subito allargando, diventa un’epica generazionale, passa gli oceani e cambia i paradigmi culturali. Nel 1962, il rock incontra l’Inghilterra ed esplode di nuova 40 musicalmente freschezza grazie al talento di Lennon e McCartney. Il linguaggio, tuttavia, è sempre quello tenero dell’adolescenza. Ma poi, nel 1965, in una burrascosa sera di fine luglio, incontra Bob Dylan e, con lui, le narrazioni di popolo del folk e la bohème neosimbolista dei beat. Il “Rock d.D.” (dopo Dylan) produce i grandissimi autori di fine anni Sessanta (inclusi i grandi esploratori Hendrix, Barrett e Zappa) ed arriva perfino a scuotere l’immobile scena italiana, ferma all’ipocrisia sanremese che aveva ucciso Luigi Tenco e costretto Fabrizio De André alla semi-clandestinità. Dal lontano 1954 di Elvis, il rock non ha ancora smesso di raccontare e, allo stesso modo in cui ha saputo essere il cronista più vibrante del ventesimo secolo, continua la sua missione con, ad esempio, le voci chiare e forti di Serj Tankian, Eddie Vedder o, più vicino, del nostro Caparezza. Jimi Hendrix Nel 1954 toccò a Elvis Presley incendiare l’ingessato panorama musicale. Poi i Beatles, Bob Dylan, Hendrix, Zappa e Vedder. Ma la storia non è finita LEGGERE di Simonetta Bitasi RIFLESSIONI SULLA MUSICA FIRMATE DANIEL BARENBOIN «Capire la musica non è meno essenziale della comprensione filosofica dell’umana natura»: Daniel Barenboim torna a riflettere sulla musica. Sulla musica che si fa, che si legge, sulla musica che si interpreta, sulla musica che si ascolta. Sulla musica che interconnette, che stringe relazioni e le riempie di senso. Daniel Barenboim ha a cuore una visione della musica in cui etica ed estetica dialoghino continuamente. La musica è un tutto. Etica ed estetica, di Daniel Barenboim, Feltrinelli 2012, pp. 121, euro 12. PRIMO APPROCCIO DI QUALITA’ ALLA MUSICA CLASSICA Musica per melomani in erba: i tre nuovi e coloratissimi libri cartonati con cd della Curci sono studiati con cura e professionalità e sono davvero quello che promettono. Un primo approccio di qualità alla magia dei suoni e un emozionante percorso di scoperta, per cominciare a educare l’orecchio in modo spontaneo e giocoso. Per bambini da 0 a 5 anni. AA.VV, Il mio libro illustrato dei suoni. Il mio libro illustrato degli strumenti. Il mio libro illustrato della musica, Curci 2012, euro13,90 con CD audio. UN BRAVO RAGAZZO, STORIA DRAMMATICA DI UNA BAND Il passato: gli anni Novanta e la miglior band di Malasaha. Ma il passato ha anche il suono sinistro di un farmaco, il roipnol, la droga dello stupro. Il presente è un pomeriggio d’inverno nel quartiere di Fuencarral a Madrid quando i componenti della band si rincontrano dopo dieci anni dal drammatico evento che li ha fatti allontanare forse per sempre. Un bravo ragazzo, di Javier Gutierrez, Neri Pozza 2012, pp. 176, euro 15. Se è BEETHOVEN a fare la storia Un romanzo completamente intriso di musica, tanto che ci si mette quasi ad ascoltare i suoni che sembrano uscire dalle pagine. Dai protagonisti, alla struttura, dalle vicende agli strumenti musicali, il libro di Bruno Pedretti farà felice gli appassionati di classica. Ma incuriosirà anche chi conosce poco la musica, ma ama le belle storie. Romanzo in quattro tempi prende il via a Vienna, nel 1827. Un’immensa e commossa folla rende l’estremo saluto al genio di Ludwing van Beeethoven. Il musicista e la sua Nona sinfonia saranno la colonna sonora e il filo di Arianna di tutto il racconto. Al funerale del maestro conosciamo infatti il timido adolescente Gerhard von Breuning, innamorato della musica, di Cecile e sconvolto dalla morte del grande compositore come da quella di un padre. Il secondo movimento ci porta a Tokyo, nel 1872. Mori Noboru rientra in Giappone dopo cinque anni in Europa. Ha studiato la cultura “barbarica” ed è uno dei più convinti fautori del nuovo. La filosofia e le tecniche più moderne dovranno ispirare l’era inaugurata dall’imperatore Meiji, insieme alla musica per pianoforte e alle sinfonie di Beethoven. Ci spostiamo poi a Berlino nel 1947. Il famoso direttore d’orchestra Wilhelm Furtwangler - reduce dall’umiliante “processo di denazificazione” per aver diretto i Berliner Philharmoniker negli anni hitleriani - giunge nella città colma di macerie e sente che le om- La sinfonia delle cose mute di Bruno Pedretti, Mondadori 2012, pp. 267, 18 euro bre della storia continuano a soverchiarlo. Ed infine in una città del Sudamerica nei primi anni Duemila il grande direttore d’orchestra Jonas Weger si sente alla fine dei suoi giorni e cerca solo l’oblio del silenzio, quando la morte di due ragazzi nella notte di Natale lo scuotono e lo portano a dirigere il suo ultimo concerto con la Silencio Musical, un’orchestra di ragazzi sordi. Ed è a loro che il direttore intende consegnarsi dirigendo l’Inno alla gioia con la lingua dei segni che diventerà così la più alta espressione della musica del silenzio. La struttura e la trama del romanzo sono più complesse da raccontare che da leggere. Apprezzabile il tentativo di mutuare il ritmo della storia dal timbro delle sinfonie di Beethoven. musicalmente 41 IN PLATEA «Suonare uno strumento è una grande gioia, lo consiglierei a tutti». Notare che questa volta a dirlo non è un pianista, un direttore d’orchestra o un musicologo. Sono le parole di un imprenditore di successo: Pietro Domeneghini, 47 anni, amministratore delegato di due aziende bresciane leader nel settore dell’arredobagno, ma anche sassofonista nel tempo libero, come rivela in questa sua prima intervista sulla musica. Quando ha iniziato a suonare il sassofono? «Mio padre teneva appeso in soggiorno come un cimelio il sassofono contralto con cui il nonno suonava nella banda di paese. Subivo il fascino di quello strumento e chiesi a un artigiano di restaurarlo. Ero solo un ragazzino e sognavo di aver riesumato uno modello pregiato con cui avrei potuto lanciarmi in straordinari virtuosismi. In realtà si trattava di un sax mediocre e io non ero John Coltrane, però mi si è spalancato un mondo. L’amore per la musica è nato così. E con la band a scuola». Ci racconti. «Al Liceo Classico “Arnaldo” di Brescia con alcuni amici misi in piedi un gruppo. Ci chiamavamo i Sigma 6 in omaggio ai Pink Floyd. Ci suonavano due ragazzi che poi avrebbero fondato una band molto famosa, i Timoria: il cantante Omar Pedrini e il tastierista Enrico Ghedi». Incontri musicali importanti? «Quello con Sergio Malacarne che è stato prima tromba all’Arena di Verona e insegna al Conservatorio di Brescia. Nel tempo libero ho suonato nella sua Società Filarmonica di Bagnolo Mella, abbiamo anche partecipato a dei concorsi internazionali: un’esperienza che mi ha arricchito molto dal punto di vista culturale e umano». Trova ancora il tempo per suonare il sax? «Non molto, ma non ci rinuncio. Anzi, mi piacerebbe imparare anche a suonare la tromba e il trombone che hanno una tecnica di emissione sonora ancora più interessante». I suoi ascolti musicali? «Soprattutto il jazz, poi il repertorio barocco per lo splendore sonoro dei fiati. I miei “classici” preferiti? I Concerti Brandeburghesi di Bach e la Musica sull’acqua di Haendel». È riuscito a trasmettere questa passione alle sue figlie? «Ci sto ancora lavorando (ride)! Marianna ha solo 9 anni, e Bianca 7: non voglio forzare le cose, però mi piacerebbe che anche loro suonassero uno strumento. È un’esperienza che consiglierei a tutti i giovani». Perché? «Intanto perché le scuole di musica e le sale da concerto sono ambienti più “sani” per esempio dei centri commerciali, dove tanti ragazzi purtroppo passano interi pomeriggi. La musica ha una marcia in più anche rispetto allo sport: unisce le generazioni. Quando si suona insieme l’età non conta, conta il piacere di condividere una passione». 42 musicalmente di Alice Bertolini Pietro Domeneghini Suonare il SAX grande gioia da condividere Parola di Pietro Domeneghini imprenditore bresciano leader nel settore dell’arredobagno che ha suonato con Omar Pedrini ALLA GUIDA DI UN GRUPPO CON 180 DIPENDENTI Piero Domeneghini nasce a Carpenedolo, Brescia, il 28 aprile 1965. Con i fratelli Luca e Marco guida il gruppo Finaxis, fondato dal padre Alessandro nel 1980, specializzato nell’arredobagno. Situata a Pavone Mella, nel cuore della bassa bresciana, l’azienda si sviluppa su 20mila mq di superficie ed è suddivisa in 6 capannoni dove si eseguono tutte le fasi della lavorazione del legno. Conta su un organico di 180 dipendenti e su una rete di distribuzione che copre tutto il territorio nazionale. I marchi controllati dalla famiglia Domeneghini sono Cima Arredobagno, specializzata nella produzione di mobili per bagno, e Tda di San Gervasio Bresciano, leader in Europa del settore bagno, specializzata in cabine doccia, con sedi anche in Francia, Spagna e Portogallo. In collaborazione con