2013 | Anno 9 | numero 1 - Orchestra da Camera di Mantova

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icalmente
Anno 9 - Numero 1
Gennaio 2013
STREGATA
DALLA MUSICA
Grandi
interpreti
Alexander
Lonquich
In arrivo Kremer,
Carbonare e Albanese
Un’alchimia
ventennale
Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova
EDITORIALE
di Andrea Zaniboni
APPELLO DI MUTI: musica
nei cuori dei nostri ragazzi
Avrete letto o ascoltato, le scorse settimane, l’ennesimo appello di Riccardo Muti in difesa
della musica e della cultura che
rappresenta. Un appello esteso
all’educazione, chiave di riscatto per i giovani, perché – egli ha
detto – « abbiamo l’obbligo verso le nuove generazioni di avere
amore, fiducia, orgoglio del nostro Paese e di sapere che non
esiste solo “Và pensiero”, ma che
esiste anche Palestrina, la grande scuola napoletana, la scuola
veneta, la scuola romana, e che
Mozart è venuto in Italia per essere riconosciuto come il genio
che lui pensava di essere.
Tutto questo dobbiamo riportarlo nella mente e nei cuori dei nostri ragazzi».
Chiunque possegga il minimo
senso dei bisogni spirituali che
innervano una società cosiddetta
civile, e che si evidenziano, per
forza di cose, anche nella vita
di tutti i giorni, non può che esser d’accordo con la riflessione
di Muti; e sappiamo bene che
la prima vera ed unica risposta
a questo appello dovrebbe esser
posta in atto nella scuola pubblica, con la stessa naturalezza e
con la stessa serietà d’approccio
che accompagnano lo studio della letteratura, della storia o delle
lingue straniere.
Ma poiché questa situazione ideale non si verificherà tanto presto, conoscendo i tempi lunghissimi delle modificazioni strutturali in Italia, allo stato attuale
non restano che le intelligenti
iniziative individuali.
Ed è compito degli adulti preoccuparsi dei giovani, di attivarne
le sensibilità, magari di sondar-
ne attitudini ignote ponendoli a
contatto con quella musica che
può comunicare con il loro animo vergine. Uno studio di qualche anno fa affermava, dati alla
mano, che il linguaggio musicale, anche quello artistico, sia, in
potenza, alla portata di un gran
numero di persone; ma che solo
l’ambiente, l’educazione, le circostanze stimolanti conducano
ad esiti realmente positivi, fino
a quello che si definisce talento.
E citando le notivolissime ed acclarate capacità violinistiche dei
bimbi giapponesi e le abilità vocali dei ragazzi ungheresi – conquistate appunto con specifici
metodi d’approccio – il ricercatore poneva il lettore davanti all’unica altra ipotesi di causa
possibile, e cioè ammettere «una
generosità della natura con queste popolazioni decisamente inspiegabile».
Ovviamente nulla accade per
caso, come ci ha insegnato anche Maria Montessori, e le risposte giuste stanno nel nome dei
metodi: Suzuki per i giapponesi,
Kodály per gli ungheresi.
Qui, che fare? Non temere di
considerare i giovani e giovanissimi sempre troppo immaturi
per una seria esperienza d’ascolto. Tempo d’Orchestra ha inventato
il ciclo di Madama DoRe – sul quale ci soffermiamo in questo numero - che è qualcosa di più di
un sasso nello stagno: è una modalità d’approccio, uno stimolo
vivace, un invito a riflettere su
quanto sia facile provare empatia in teatro aprendosi al mondo
dell’emozione ed alla scoperta
di sé. Un piccolo, decisivo passo
verso un’Italia migliore.
La prima vera
ed unica risposta
al richiamo del celebre
direttore d’orchestra
dovrebbe esser posta
in atto nella
scuola pubblica
Compito degli adulti
preoccuparsi dei
giovani, attivandone
le sensibilità
e ponendoli
a contatto con
quella musica che
può comunicare con
il loro animo vergine
musicalmente
3
Gennaio-Febbraio 2013
SOMMARIO
N
6
11
IN COPERTINA
7
Regina senza etichette
Intervista a Sonia Bergamasco
di Emanuele Salvato
9
L’anima antica
nella musica nuova
di Andrea Zaniboni
11
Raccontare
con le sette note
di Luca Ciammarughi
I CONCERTI
14
18
13
Note da brividi
Prossimamente
a “Tempo d’Orchestra”
14
Alchimia ventennale
Intervista ad Alexander Lonquich
di Anna Barina
26
18
20
30
Stravinskij secondo
Giuseppe Albanese
d Valentina Pavesi
20
Sulle ali del jazz
con Alessandro Carbonare
di Giorgio Signoretti
26
33
Kremer, libertà
e virtuosismi
di Guido Mario Pavesi
28
Notte di note
tra ninne nanne e sogni
di Augusto Morselli
IN ORCHESTRA
N
30
usicalmente
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TIRATURA 4.000 copie
DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni
COORDINAMENTO EDITORIALE: Anna Barina
GRAFICA: Elena Avanzini
REDAZIONE: Valentina Pavesi
HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Alice Bertolini, Simonetta
Bitasi, Luca Ciammarughi, Claudio Fraccari, Guido Mario Pavesi, Emanuele Salvato,
Luca Segalla, Giorgio Signoretti
EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova
SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12
Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected]
STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121.
Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004
Chiuso in redazione il 21 dicembre 2012
4
musicalmente
31
Red carpet: l’inaugurazione
di “Tempo d’Orchestra”
edizione del ventennale
Ocm in breve
Tra festival e uscite
discografiche
32
Un abbonato
ogni quattro è under 18
33
Entusiasmo e amarcord
Il successo della produzione
Ocm con Antonio Ballista
RUBRICHE
34
39
AMICI
Parolenote, inedita prospettiva
Associarsi per essere più forti
MUSICA & ARTE
Tiepolo e quella speciale sintonia
con la musica
di Paola Artoni
35
40
QUADERNO DI VIAGGIO
Itinerario verdiano
di Andrea Zaniboni
36
di Giorgio Signoretti
COLONNA SONORA
Bertolucci, orecchio da musicista
41
di Claudio Fraccari
37
LEGGERE
Se è Beethoven a fare la storia
di Simonetta Bitasi
42
GRAMMOFONO
Il coraggio di un’orchestra
di Michele Ballarini
38
ALTRA MUSICA
Rock, cronista del XX secolo
IN PLATEA
Domeneghini, l’Ad che suona il sax
di Alice Bertolini
CD - DVD
Katsaris, l’uomo capace
di “divorare” il pianoforte
di Luca Segalla
Anna
Barina
Giornalista, musicologa e
musicista, dopo il diploma in viola si laurea con il
massimo dei voti e la lode
in Scienze dell’Educazione ad indirizzo musicale
all’Università di Trieste e in
Beni Musicali e Musicologia all’Università di Venezia
guidata da Quirino Principe e Giovanni Morelli. Collabora come critico musicale con il dorso di Verona del
Corriere della Sera e scrive di
musica per riviste nazionali.
All’attività giornalistica affianca quella di ufficio stampa, comunicazione e pubbliche relazioni.
Guido Mario
Pavesi
Emanuele
Salvato
Guido Mario Pavesi, la gioventù trascorsa in giro per
l’Italia a suonare rock,
come chitarrista della band
di Don Backy, I Fuggiaschi,
scrive oggi di musica classica per il quotidiano La Voce
di Mantova. Nel mezzo un
diploma in chitarra classica
al Conservatorio di Mantova. Appassionato di letteratura, cinema e calcio, oltre
che di musica – ca va sans
dire – ha assistito a tutti e
8 i concerti di Gidon Kremer a Mantova. E a Musicalmente ne offre testimonianza.
Emanuele Salvato nasce a Mantova
nel ‘71. Nel ‘98 si laurea in Scienze
Politiche. Giornalista professionista, attualmente cura le pagine
degli Eventi presso il quotidiano
la Voce di Mantova. Collabora con
ilfattoquotidiano.it e Latinoamerica. Grazie all’Ass. Politiche Sociali
della Prov. di Mantova, ha pubblicato Eroi Silenziosi, una panoramica sulla realtà del volontariato nella provincia virgiliana, Mantua me
cepit-Migranti nella terra di Virgilio, dodici storie di immigrazione
nel territorio mantovano; Sogni
spezzati, dieci storie di ordinaria
precarietà e Viaggio nella memoria
– Diario dei viaggi d’istruzione nei
campi di sterminio nazisti.
Giorgio
Signoretti
Si avvicina al jazz a quattro anni attraverso l’ascolto di Sidney Bechet, Duke
Ellington e Ella Fitzgerald
e a undici viene folgorato
dall’incontro con la musica
di Miles Davis e di Bob Dylan. Fa parte di vari gruppi
di rock, blues, e prog-jazz.
Con Stefano Boccafoglia
fonda la Scraps Orchestra
e collabora con Paolo Fresu, Fausto Mesolella, Arturo Testa, Gianluigi Trovesi
e Gianni Coscia.
musicalmente
5
IN COPERTINA
Questione di TEMPO
È la dimensione della musica: ne trasforma il significato
in racconto. Non solo: in esso affonda le radici la produzione
moderna, come attestano numerose opere
del cartellone di “Tempo d’Orchestra”
6
musicalmente
IN COPERTINA
Regina senza etichette
stregata dalla CLASSICA
Non si può parlare di Sonia Bergamasco ed esaurire
Sonia Bergamasco non è solo
il discorso su di lei definendola semplicemente un’attrice. Sì, perché la questione è complessa e non cerun’attrice. Volto noto di teatro,
to di lana caprina. Il suo volto è noto a teatro, ma ancinema e tv - come racconta
che al cinema, per non parlare della televisione. Ha
lavorato con Massimo Castri, Glauco Mauri, Carmelo
in quest’intervista - deve la sua
Bene, Marco Tullio Giordana, Giuseppe e Bernardo
Bertolucci. «Giuseppe mi ha fatta esordire al cinema
versatilità agli studi
- sostiene - con L’amore probabilmente e con lui ho colladi pianoforte
borato anche per Karenina a teatro. Con Bernardo ho lavorato nel suo
di Emanuele Salvato
Sonia Bergamasco (a sinistra,
foto di Laura Pirandello)
qui sotto con il cast
e il regista, Bertolucci,
del recente Io e te
ultimo film, Io e te, nel quale interpreto il ruolo di una madre ottusa.
Mi è piaciuto molto fare cinema con lui e credo che in pochi abbiano la sua padronanza del set». Ha instaurato proficue collaborazioni
anche con il compositore Azio Corghi, mantovano d’adozione, con il
quale ha lavorato in opere di musica contemporanea di altissimo livello come Donna Elvira, ma anche come Le due regine, ambizioso progetto per l’infanzia musicato da Corghi per Dario Moretti, del quale l’attrice sarà protagonista il prossimo 20 gennaio al Bibiena nell’ambito
della rassegna “MadamaDoRe” inserita nel cartellone di Tempo d’Orchestra. Ma sarebbe sbagliato imporle esclusivamente etichette colte,
perché per sua stessa ammissione si è «divertita molto» a recitare anche
nella fiction di Rai Uno Tutti pazzi per amore diretta da Riccardo Milani.
Non si sbaglia, invece, a ricondurre la sua estrema duttilità alla formazione musicale impartitale fin da piccola. Alla base di tutto, della sua
estrema capacità di adattarsi a ruoli e situazioni diversi, ci sta proprio
la musica. «La musica - spiega al telefono, mentre si prepara alla partenza per Mosca per una tournée con lo spettacolo Karenina Prove aperte
di infelicità ispirato all’eroina di Tolstoj e scritto con Emanuele Trevi e
Giuseppe Bertolucci - mi ha insegnato a mettermi in ascolto con tutte
le arti. E questo vale per il teatro come per il cinema. La disciplina musicale mi ha aiutato a instaurare relazioni di qualità con registi, attori e
spazi. L’ascolto che t’insegna la musica è fondamentale per i rapporti
di lavoro, ma direi di vita in genere. La musica detta i tempi, dà il ritmo. Non mi fa sentire a disagio
e annulla le differenze fra palcoscenico e set cinematografico». Sonia Bergamasco inizia a studiare
pianoforte a cinque anni. A dieci viene ammessa al
Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, dove si
diploma. «Un’esperienza formativa che mi ha fatto
crescere e che mi ha insegnato ad appassionarmi
alla musica», spiega l’attrice, che non a caso accosta il verbo insegnare a passione. Al Conservatorio,
infatti, la sua strada di giovane pianista con gli occhi bene aperti sul mondo si incrocia con quella
di Quirino Principe, insegnante di cui tutt’ora conserva un ricordo speciale. Dopo il diploma in pianoforte si fa strada in lei la voglia di approfondire
l’arte della recitazione, di conoscere tutto sul teatro. «Proprio in quel periodo - dice - a Milano apriva i battenti la scuola di Teatro del Piccolo, diretta
musicalmente
7
IN COPERTINA
(foto Daverio)
LE DUE REGINE
Una fiaba musicale per bambini, un grande e
ambizioso progetto per l’infanzia che unisce
musica, canto, immagini e racconto. Questo in
sintesi è Le due regine, performance nata dalla
mente di Dario Moretti che per l’occasione si
è avvalso della prestigiosa collaborazione del
compositore Azio Corghi. Sonia Bergamasco
interpreta la Serenata K. 525 (Eine Kleine Nachtmusik) di Mozart, nella rilettura di Corghi.
Il canto, il racconto e le melodie sono accompagnati dalle immagini, create in tempo reale:
l’artista è in scena con pennelli e colori per
dipingere dal vivo la storia, che viene proiettata
su un fondale bianco. Il testo musicato racconta
di un paese incantato dove due regine vivono
in pace. Una sola cosa le divide, la passione per
la musica: Regina Rossa ama il ritmo e Regina Blu
ama la melodia. Da non perdere, domenica 20
gennaio (ore 11) al Bibiena di Mantova.
da Giorgio Strehler. Lessi il bando e mi iscrissi. Fu un’esperienza intensa, dove imparai molto sul teatro e sull’arte del recitare. Maestri come
Marise Flach, Lidia Stix, lo stesso Strehler mi hanno fornito una preparazione fondamentale per quello che poi sarebbe diventato il mio mestiere». Il rapporto con la musica, però, non s’interrompe. Anzi. «Lavorando molto sulla voce - spiega - mi è tornata utile la formazione musicale. Nella classe di canto, diretta dalla soprano Lidia Stix, ho cercato
un repertorio per voce di attore cantante che fosse adatto a me e mi
sono ritrovata fra le mani il non certo facile Pierrot Lunaire che già avevo studiato al Conservatorio e che SchÖnberg aveva scritto proprio per
un’attrice». Anche Strehler si accorge di lei e la vuole prima nel grandioso progetto Faust, dove tutti gli allievi vengono utilizzati nelle scene
di massa, poi nell’Arlecchino dei Giovani, che segna il suo debutto a teatro. L’esperienza del Piccolo finisce più o meno lì. Ne iniziano altri con
maestri del calibro di Glauco Mauri, con il quale lavora nel Riccardo II,
Massimo Castri e Carmelo Bene. Con quest’ultimo la collaborazione si
fa intensa e sfocia nel Pinocchio che il maestro rifà per il teatro e la televisione nel 1998. Sonia Bergamasco interpreta il ruolo della fatina.
Molto importante per il suo lavoro, almeno a giudicare dal calore con
cui ne parla, è l’incontro con Gabriella Bartolomei, personaggio molto noto nel teatro di ricerca che le insegna a utilizzare nel migliore dei
modi la sua voce molto particolare. Tutto questo sta alla base dei successivi lavori di Sonia Bergamasco sulla poesia e la musica contemporanea. In questo solco rientra anche l’esperienza con Azio Corghi: «La
mia frequentazione con Azio Corghi - dice - inizia nel 2001, quando fu
lui stesso a chiedermi di fare l’assistente per la sua classe di composizione all’Accademia Chigiana. Accettai subito pur non avendo esperienza.
Sapevo sarebbe stato un percorso impegnativo e faticoso. Ma ero certa,
allo stesso tempo, che si sarebbe trattato di un esame importante, che
mi avrebbe arricchita in un campo, come quello della composizione e
della scrittura, fondamentale per i miei futuri lavori. E così è stato. Grazie a Corghi nasce, fra le altre cose, la collaborazione con Dario Moretti ne Le due regine, che per la prima volta porta in scena al teatro Bibiena nel 2006: «Conservo ancora un ricordo luminoso del teatro - spiega
l’attrice - senza dubbio uno dei più affascinanti d’Italia. Sono lieta di
tornarvi ancora con Le due regine, un esperimento di teatro-musica per
l’infanzia in cui ci metto corpo e voce che, insieme con i disegni di Moretti e le musiche di Mozart (la Serenata K.525 Eine kleine Nachtmusik) rilette da Azio Corghi, vanno a formare un impasto artistico molto vivo».
8
musicalmente
“L’ascolto che t’insegna
la musica è
fondamentale, direi,
per la vita. La musica
detta i tempi, dà ritmo,
non fa sentire
a disagio e annulla
le differenza
fra palcoscenico
e set cinematografico”
“Il Bibiena è uno dei
teatri più affascinanti
d’Italia e sono lieta
di tornare con Le due
regine, spettacolo
in cui metto voce e corpo
e che grazie ai disegni
di Moretti e alle musiche
di Corghi si rivela
un impasto molto vivo”
IN COPERTINA
La storia dell’arte
musicale permea,
anche in forme
invisibili,
il nostro presente,
sempre e ovunque
Si usa dire, convenzionalmente e con sintesi anche
eccessiva, che la musica contemporanea, quella che
nasce oggi, ogni giorno che passa, nella mente di
compositori d’ogni specie, guardi avanti, verso la sperimentazione, l’ignoto, l’immaginazione libera e ardita; e che sia proiettata in un futuro indistinto tutto da
scoprire, con un linguaggio persino accettabilmente
astruso, indipendente ed inedito. Musica dell’anima
e del cervello, musica da decifrare o da ascoltare con
gusto.
Ma a ben vedere la storia ed il passato emergono spesso, ora sotto la veste dell’azione polemica di un fare
ribelle e innovatore, ora nella veste di un confronto
che assume le sembianze dell’esercizio ricreativo, od
ancora nel segno dell’omaggio affettuoso ad una memoria amata ed irripetibile, o semplicemente e casualmente scoperta.
In fin dei conti ogni giovane maestro segue il principio
base di qualunque scuola, quando affronta ed attraversa la fase della propria faticosa
e talora sofferta formazione: studia il passato e, nel caso del musicista, esplora attraverso l’esercizio
pratico ed analitico l’opera altrui,
vicina o lontana nel tempo, con
lo scopo di trarne insegnamenti,
testimonianze, esempi. E come
logica conseguenza sviluppa una
capacità critica, una facoltà di giudizio che lo pone in viva relazione
con un prodotto artistico che non
è inteso soltanto come traccia, ma
piuttosto come messaggio, microcosmo, simbolo di una filosofia
creativa e di una lettura del mondo. Non casualmente è accaduto,
nei tempi più antichi come in
quelli più recenti - anzi forse più
di Andrea Zaniboni
incisivamente in quelli recenti -
Anima antica nella
musica NUOVA
L’ammirazione di Mozart per Bach è alla base
di sue trascrizioni. Chopin lascia il segno
su Rachmaninov e Ravel. E il favore per Rameau
influenza Debussy. Una storia di filiazioni
musicalmente
9
IN COPERTINA
CORGHI: “MOZART MESSAGGERO D’AMORE PER LA VITA”
Azio Corghi, compositore di fama, firma
la musiche per Le due regine, la fiaba che
il prossimo 20 gennaio (ore 11) andrà in
scena al teatro Bibiena di Mantova per
il ciclo “Madama DoRe”. Si è volentieri
concesso per soddisfare qualche nostra
curiosità.
Ci si immagina che anche lei, come tutti,
abbia avuto delle passioni giovanili per
la musica esistente. Quali erano i suoi
compositori preferiti?
«I miei primi interessi si sono legati
all’essere stato pianista, quindi ho amato
le musiche che suonavo, di Stravinskij,
Prokof’ev. Poi sono approdato alla classe
di composizione di Bruno Bettinelli,
e lì ho assorbito la scuola viennese
ed in particolare quella berghiana.
Successivamente, quando ho avvicinato
il teatro musicale, il rapporto con le voci,
attraverso Gargantua e la collaborazione
con Saramago, è emerso l’interesse per
Messiaen. E ancora: ho scoperto Ligeti,
quando l’ho studiato per insegnarlo. I
compositori, più cercano l’evoluzione
e più cercano il nuovo. Nel mio caso
rivisitare la storia si è sempre legato
ad un processo di conoscenza di
me stesso, figlio di padre emiliano e
di madre piemontese. E Mazapegul,
composizione del 1985 nella quale
calano canti popolari emiliani, è la ricerca
di un’identità di appartenenza, da cui
discende la possibilità di capire il mondo
ed accettarne le diversità».
Che legami ci sono – se ci sono – fra
la sua attività di revisore e quella di
compositore? Gli approfondimenti
scientifici e di ricerca hanno suggerito
valutazioni inedite delle musiche e degli
autori di cui s’è occupato?
«Quando collaboravo con Ricordi
come correttore di bozze, ricordo che
mi occupai di Vivaldi e del suo salmo
Beatus Vir; poi dopo altre esperienze
approdai, con gli incoraggiamenti di Philip
Gossett, all’impegnativa revisione critica
de L’Italiana in Algeri di Rossini. Lavorai
direttamente sulle pagine di Rossini
e fu una scoperta ed una emozione
perché egli emerse per me come grande
compositore e non solo come artigiano;
con le sue intuizioni, il senso del tempo
del teatro, le simmetrie tra i vari numeri
dell’opera. Questo ha dato origine ad un
rispetto, ad una presenza che ritrovo in
me ancora oggi».
Anche il passato affiora, con Mozart,
ne Le due Regine, la fiaba musicale che
vedremo ed ascolteremo a Mantova. Si
va alla ricerca del senso di stupefazione
che coglie l’ascoltatore comune davanti a
Mozart o si tratta di un rapporto per così
che le librerie dei musicisti si siano arricchite di elementi non strettamente connessi alla pura tecnica ed
al sapere del comporre, se è vero che, come ricorda
Carli Ballola, «opere di Kant, Goethe, Lessing, Molière e Tasso furono trovate nella biblioteca di Mozart» e
che l’ampiezza degli interessi culturali contraddistinse molte altre personalità, da Jacopo Peri a Benedetto
Marcello, da Monteverdi a Beethoven, per non parlare di romantici come Schumann, Berlioz e Liszt e poi
di Richard Strauss e di moltissime personalità del Novecento e dei tempi nostri, sempre più poliedricamente istruite, sempre più coinvolte (e questo è un fatto
positivo, ça va sans dire) nei grandi temi che attengono
l’universale progresso civile. Con questo, significando
che il rapporto del singolo artista con la storia a lui
precedente (oltre che contemporanea), si è caricato
in misura crescente e persino prepotente in certi casi,
di significati non strettamente musicali, finanche sociali e politici; dunque configurando sguardi destinati
non tanto a manifestare sentimentalismi nostalgici di
tipo emotivo, ma a stabilire consonanze intellettuali,
chiarire vicinanze estetiche, restituire riflessioni filtrate in forma di nuove opere, abbeverate all’antico
ma non per questo meno attuali.
L’ammirazione di Mozart per Bach, espressa tanto
chiaramente nelle sue lettere, fa comprendere meglio
10
musicalmente
Corghi (foto Masotti)
dire meccanico con il materiale sonoro?
«Quello con Dario Moretti, cui si deve
l’idea pittorica, è stato un incontro
bellissimo, ed il lavoro che ne è
scaturito ha colto un successo anche
internazionale che non immaginavamo. La
componente musicale ha trovato radice
nella valorizzazione di quel fattore che
usualmente si considera in coda agli altri,
cioè il “timbro”, per me particolarmente
importante in un titolo dedicato ai
bambini. Mozart, che nella vicenda che
si racconta è un folletto vestito di giallo,
è colui che trova l’armonia, spegne i
contrasti, conquista la pienezza musicale.
Musica per tutto il corpo, messaggio di
amore per la vita». (a.z.)
la motivazione che regge le sue trascrizioni per archi
di una scelta di “fughe”; probabile poi avere idee più
chiare sull’origine delle Variazioni per violoncello e pianoforte che Beethoven scrisse su tema di Haendel, nel
momento in cui si prende nota del fatto che il maestro
tedesco giunse a possedere, sul finire della sua vita,
tutta la produzione a stampa dell’illustre e ammirato
predecessore. Per non parlare dell’influenza esercitata da Chopin su Rachmaninov e Ravel, o il favore di
Debussy per Rameau (quando scriveva della «sottile
eleganza che questa musica sempre mantiene senza
cadere mai nella leziosità né in contorcimenti di ambigua leggiadrìa»), emergente in quell’Hommage che
conclude la prima serie delle Images pianistiche. Ma
potremmo andare anche oltre: al Respighi che guarda
all’Est e al Nord oltre che alle radici lontane e popolari della propria terra; o a Stravinskij, che in un camaleontico agire trova una miriade di padri più e meno
necessari. Musica come storia di filiazioni, dunque? Se
il creare è un atto consapevole sul piano intellettuale
ed ideale, oltre che emozionale, non c’è dubbio. La
storia dell’arte musicale permea, anche in forme invisibili, il nostro presente, sempre e ovunque. Talora
rimane celata, ma spesso emerge da lontananze inimmaginabili per ricordarci una forza di cambiamento
che, nelle giuste mani, si rivela intatta.
IN COPERTINA
Musorgskj fece di un sabba di streghe,
qui dipinto da Goya, il tema del poema
sinfonico La notte di S. Giovanni
sul Monte Calvo
RACCONTARE
con le sette note
Nella tradizione occidentale la musica è spesso espressione di sentimenti,
descrizione o narrazione. Non semplice riflesso di se stessa, ma metafora
o allegoria: essa rimanda a qualcosa o racconta qualcosa, a condizione
che l’ascoltatore abbia i codici per decifrare correttamente il messaggio
di Luca Ciammarughi
Nel suo celebre trattato del 1854
sul “Bello Musicale”, Eduard Hanslick sostenne che nella musica il
suono “è scopo a se stesso”: la musica, quindi, non rimanderebbe
a nient’altro che a sé, in quanto
arte asemantica intraducibile nel
linguaggio ordinario. L’affermazione di Hanslick, ponendosi
dalla parte della musica “assoluta” (quella di Brahms, nello specifico) e contro la musica a programma e il wagnerismo, tracciò
un solco tanto profondo da avere ripercussioni su tutto il Novecento. L’esempio strettamente
musicale che il viennese utilizzò
per dare concretezza alla sua tesi
fu, in verità, non così probante:
riferendosi all’aria J’ai perdu mon
Eurydice di Gluck, che corrisponde
drammaturgicamente a un momento di disperazione del personaggio di Orfeo, Hanslick sottolinea come l’aria avrebbe potuto
adattarsi perfettamente anche a
un testo di significato opposto
quale J’ai trouvé mon Eurydice (in
cui il protagonista ritrova la sua
amata invece di perderla). La musica, quindi, non racconterebbe
nulla di preciso e soprattutto non
sarebbe espressione di alcuno
specifico sentimento. L’esempio
di Hanslick non è probante per
due motivi: innanzitutto perché
l’espressione della malinconia
settecentesca si caratterizza talvolta con toni vagamente elegiaci
in tonalità maggiore; in secondo
luogo, perché spesso il momento dell’aria non è un momento
rilevante dal punto di vista drammaturgico. Naturalmente, ciò è
valido anche per parte dell’Ottocento: chi mai direbbe che l’apparentemente soave O rendetemi
la speme, ne I Puritani di Bellini,
sia la rappresentazione musicale
della follia di Elvira? Questi sono,
però, casi speciali, la cui forza sta
proprio nel capovolgere un cliché musicale e nel rinunciare a
una “teoria degli affetti” univoca.
In generale, si può dire che nella
tradizione occidentale la musica,
al contrario di ciò che afferma
Hanslick, sia spesso espressione
di sentimenti, descrizione o racconto. La musica non è solo parnassianamente un riflesso di se
stessa, ma spesso metafora o allegoria di altro da sé: essa rimanda
a qualcosa o racconta qualcosa,
a patto che l’ascoltatore abbia i
codici per decifrare il messaggio
semantico che il compositore ha
voluto mandare. Franz Schubert,
nella Vienna della Restaurazione,
affermava che con la musica egli
poteva dire tutto ciò che la censura gli impediva di dire a parole:
non solo i suoi Lieder, ma anche
la musica strumentale parlava agli
amici come se si trattasse di un
musicalmente
11
IN COPERTINA
discorso. Di più: proprio perché
la musica non significa apparentemente niente, essa significa tutto. In ogni uomo, all’ascolto della
musica, subentra la tentazione di
attribuire al discorso musicale un
significato: e, poiché la dimensione in cui la musica si muove è il
Tempo, questo significato tenderà a farsi racconto. Ciò vale non
solo per la musica a programma,
ma anche per quei brani strumentali in cui si stratifica una
tradizione immaginifica interpretativa. Quando Alfred Cortot
commenta il primo Improvviso di
Chopin assimilandone l’inizio a
un delicato frusciar di foglie, egli
crea una scena arbitraria, eppure
convincente. Se è vero, d’altra
parte, che molti Poemi Sinfonici
ottocenteschi si pongono come
proposito una sequenza di eventi
(pensiamo a Una notte sul Monte
Calvo di Mussorgskij, in cui si succedono la riunione di streghe, il
corteo di Satana, la messa nera e
il sabba), non è automatico che in
questa musica cosiddetta “a programma” la dimensione narrativa
sia più evidente che in musica che
nasce apparentemente come “assoluta”. Il Poema dell’estasi di Scrjabin, ad esempio, pur assumendo
come programma l’esaltazione
spiritualistica di una sorta di superuomo nietzscheano, è uno dei
brani meno descrittivi nella storia
della musica. E a volte proprio nei
Poemi Sinfonici si nascondono
ambiguità: un brano come Pacific
231 di Honegger, che quasi tutti
gli ascoltatori interpretano come
resa musicale del frastuono di una
locomotiva, fu descritto in realtà
dallo stesso compositore come la
“traduzione di un’impressione visiva”. Al contrario, quando Schubert cita il tema del viandante,
con il suo estenuato passo dattilico, in brani di musica non puramente descrittiva come l’ultima
Sonata per pianoforte, la citazione musicale delinea una situazione abbastanza precisa: quella del
girovagare di un personaggio alla
ricerca di se stesso.
Il filosofo Wittgenstein, cresciuto negli ambienti della Vienna
di Brahms, sosteneva che capire
un tema musicale significa semplicemente capire quel tema: e
non, invece, capire una qualche
realtà esterna rappresentata dal
tema musicale. In astratto, sia lui
che Hanslick hanno pienamente
ragione. In concreto, da Platone
alla fine dei tempi, la visione “rappresentativa” delle arti non morirà mai: per quell’irrinunciabile
e certo anche benefica tendenza
dell’uomo a raccontare, e a riportare a fatti e sentimenti della propria quotidianità l’apparente neutralità del messaggio musicale.
C’è un’irrinunciabile
e benefica tendenza
nell’uomo a riportare
a fatti e sentimenti
della propria
quotidianità l’apparente
neutralità del
messaggio musicale
Antica edizione a stampa
del lied Erlkonig di Schubert
12
musicalmente
I CONCERTI
Foto Gabriele Sabbadini
NOTE
DA BRIVIDI
musicalmente
13
I CONCERTI
Alexander Lonquich
in concerto con l’Ocm
LONQUICH alchimia ventennale
Il pianista tedesco che in Italia ha trovato la sua seconda casa racconta
il legame musicale e affettivo con l’Orchestra da Camera di Mantova e con
la sua stagione concertistica “Tempo d’Orchestra” tra ricordi e progetti futuri
di Anna Barina
Originale senza mai eccedere, moderno senza rinnegare un profondo legame con la più rigorosa tradizione, capace di unire passione e stile ad
una tecnica straordinaria. È Alexander Lonquich, una delle figure più sorprendenti dell’attuale scena pianistica internazionale, un artista con cui
l’Orchestra da camera di Mantova ha avuto e continua ad avere una collaborazione artistica e affettiva molto stretta. Nato a Trier, in Germania,
Lonquich ha trovato in Italia la sua seconda patria dopo aver vinto nel
1977 il Primo Premio al Concorso Casagrande dedicato a Schubert. Il suo
primo concerto a Tempo d’Orchestra risale al 17 marzo del 1984, quando
al Teatro Bibiena chiuse la prima edizione della rassegna. Ma il rapporto
con l’Ocm era iniziato già qualche anno prima: «Suonammo insieme nel
1986 diretti da Umberto Benedetti Michelangeli in occasione dell’Estate
Musicale del Garda», ricorda.
Una collaborazione, la sua con Tempo d’Orchestra, lunga vent’anni. Come
è nato e come si è sviluppato il rapporto con l’Orchestra da Camera di
Mantova?
«Sin dal nostro primo incontro fui colpito ed entusiasta della duttilità,
dell’artigianato unito a poesia che ho riscontrato in questo gruppo. Nacque così un’immediata amicizia. Quando poi iniziai a fare concerti senza
direttore – credo molto, infatti, che certi autori come Mozart e Beethoven
funzionino meglio in questa formula che ricalca il modo in cui si suonavano all’epoca – sono nate nuove occasioni di collaborare con L’Ocm. Negli
anni ho visto quest’orchestra trasformarsi e crescere facendo una profonda
ricerca sulla filologia interpretativa: pur non suonando su strumenti originali abbiamo trovato insieme un approccio sempre più vicino alla prassi
dell’epoca».
Lei ha lavorato con molte altre orchestre da camera in tutta Europa, cosa
trova di particolare nell’Ocm e in quale misura il suo modo di suonare ne
è influenzato?
«Definirei la singolarità dell’Ocm come un certo carattere che viene senza dubbio dal suo fondatore, il violinista Carlo Fabiano. C’è un’alchimia
14
musicalmente
Il sodalizio a Vienna (Konzerthaus),
Graz (Musikverein), Mantova (Sociale)
I CONCERTI
Lonquich con i musicisti dell’Ocm in un momento
di relax durante un recente tour in Austria
particolare in quest’orchestra, una gran trasparenza e uno scatto ritmico
molto belli che creano un suono diverso e distinguibile da quello di altri
ensemble, pur eccellenti, con cui ho lavorato. Inoltre l’Ocm ha qualcosa che trovo difficilmente in altri gruppi, un’armonia tra i musicisti che
permette di lavorare in un clima di serenità e allegria. Ovvio che anche
la mia maniera di suonare il pianoforte si mette in relazione con queste
caratteristiche. Un concerto di Mozart, ad esempio, è diverso eseguito con
altri gruppi che pur si muovono nel solco della filologia. Nella tradizione
mitteleuropea, penso all’Austria, le orchestre tendono a fare staccati più
morbidi e hanno una sonorità più densa, che non sono caratteristiche
dell’Ocm».
È importante avere un’orchestra con cui sviluppare progetti continuativi?
«Assolutamente sì, e anche nel repertorio non solistico ho una profonda sintonia con l’Ocm. L’autorevolezza del lavoro ha permesso di
realizzare una ricerca approfondita e trovare un linguaggio comune.
Penso ad esempio all’integrale dei concerti per pianoforte e orchestra
di Mozart che abbiamo realizzato in tre anni dal 2004 al 2007, o a quello
di Beethoven nel 2010 e Chopin nel 2011».
QUATTRO MANI, DUE PIANOFORTI, UN CUORE
Uniti nell’arte e nella vita. È il caso di Alexander Lonquich e della moglie, la pianista
Cristina Barbuti, che il 22 gennaio saliranno sul palco del Teatro Auditorium di Poggio
Rusco per l’ottavo appuntamento della XX stagione di Tempo d’Orchestra.
«Ma la nostra intesa personale è nata molto prima del nostro sodalizio artistico»,
tiene a precisare lui, «Direi anzi che, proprio condividendo la quotidianità, abbiamo
scoperto di essere musicalmente molto vicini». Se l’amore è nato nel 1991, la scintilla
artistica è scoccata nel 1999 grazie alla comune passione per il teatro, prendendo
forma definitiva dall’estate del 2003. Il loro repertorio contempla esecuzioni sia a
quattro mani che a due pianoforti: partendo dalla letteratura classica e francese,
spaziano fino alla Sonata di Bartók per due pianoforti e percussioni ed eseguono
anche opere meno frequentate come la Sinfonia concertante per due pianoforti
e orchestra d’archi di Dinu Lipatti. Insieme portano avanti anche progetti di ricerca
scenica e musicale che affianca alle performance un’intensa attività di laboratori e di
incontri teatrali e musicali. Ricordiamo che proprio in occasione dell’edizione 2007
del Festivaletteratura di Mantova, il duo ha ideato con l’Orchestra da Camera di
Mantova e l’attore Sandro Lombardi una serie di tre concerti dedicati al “sentimento
di infanzia” dal titolo L’infanzia di Saturno. (a.b.)
musicalmente
15
I CONCERTI
Sin dal primo
incontro con l’Ocm
fui colpito ed entusiasta
della duttilità,
dell’artigianato
unito a poesia
che caratterizzano
questa orchestra
Il 22 gennaio Lonquich,
Barbuti e i Solisti dell’Ocm
offrono un excursus
variopinto nella musica
da camera
Il programma del primo concerto che la vede protagonista in questa
XX stagione di Tempo d’Orchestra (il 22 gennaio al Teatro-auditorium
di Poggio Rusco con i solisti dell’Ocm e Cristina Barbuti al pianoforte)
presenta 5 autori apparentemente lontani sia geograficamente sia stilisticamente. Quale è il filo conduttore?
«A parte La valse di Ravel, tutti gli altri brani richiedono degli organici
particolari che difficilmente si riescono ad avere in un unico concerto
con un gruppo da camera. L’idea di partenza per festeggiare il ventennale di Tempo d’Orchestra è stata proprio questa: realizzare un programma con le prime parti dell’Ocm e testare quanto è variopinto il mondo
della musica da camera».
La sua frequentazione con l’Italia è stata ed è molto assidua. Questo ha
un’influenza sulla sua sensibilità di artista?
«Non mi sento un musicista di formazione italiana ma di certo il vostro
paese ha allargato i miei orizzonti. E poi uno dei miei compositori preferiti è proprio Claudio Monteverdi».
Il suo profilo Facebook ha oltre 1000 amici. Crede che comunicare attraverso i social network possa diventare uno strumento nuovo e utile
per dialogare con il proprio pubblico?
«In realtà utilizzo Facebook solo da qualche mese e mi diverto più che altro a condividere le mie preferenze sull’arte e l’estetica. Le persone con
cui si può parlare “virtualmente” dei propri interessi non sono poi così
tante: tra esse ci sono certamente dei miei ascoltatori ma molti vivono
dall’altra parte del mondo e non sono mai stati ad un mio concerto».
I SOLISTI OCM
ENSEMBLE CAMERISTICO
DI PRIME PARTI
I Solisti dell’Ocm sono prime parti dell’Orchestra da Camera
di Mantova, musicisti che partecipi del progetto orchestrale,
ne condividendone il modo di fare musica, l’assidua ricerca
della qualità sonora, la sensibilità ai problemi stilistici.
Nell’occasione, a Poggio Rusco, martedì 22 gennaio,
l’ensemble cameristico sarà costituito da Filippo Lama e
Pierantonio Cazzulani, violini, Klaus Manfrini, viola, Stefano
Guarino e Paolo Perucchetti, violoncello, Massimiliano Rizzoli,
contrabbasso, Murizio Saletti, flauto, Anton Dressler, clarinetto,
Francesco Bossone, fagotto, Marco Braito, tromba, e Ugo
Favaro, corno. Insieme con Alexander Lonquich, i Solisti Ocm
hanno già realizzato progetti particolarmente apprezzati
da pubblico e critica: tra questi, nel 2006, una serata della
tre giorni di Festa Mozart realizzata, nell’ambito di Tempo
d’Orchestra, in occasione dei 250 anni della nascita del
salisburghese e, nel 2007, al Festivaletteratura, nel contesto
di un progetto a cavallo tra musica e letteratura che, intitolato
L’infanzia di Saturno, ha visto tra i protagonisti anche l’attore
Sandro Lombardi. (v.p.)
16
musicalmente
Festivaletteratura 2007: Lonquich
con i Solisti Ocm in L’infanzia
di Saturno
I CONCERTI
Stravinskij
secondo
ALBANESE
Il giovane pianista torna a Mantova
dopo il successo di un paio
di stagioni fa. L’Orchestra Haydn
di Bolzano e Trento diretta
dall’americano Georges Pehlivanian
completa il cast della prima
serata sinfonica del nuovo anno
La pima serata del 2013 di Tempo d’Orchestra al Teatro
Sociale di Mantova (giovedì 24 gennaio, ore 20.45)
racchiude in sè moltiplici motivi d’interesse. Primo:
riporta in città un giovane pianista italiano tra i più
interessanti della sua generazione. Si tratta di quel
Giuseppe Albanese, che, nel 2011, strappò entusiastici consensi, quando all’Auditorium di Suzzara,
con l’orchestra I pomeriggi musicali, interpretò il
Concerto n.5 in sol maggiore op. 55 di Prokof’ev. «Nulla
è precluso ad Albanese: memoria infallibile, dominio intellettuale, acrobazia e velocità, forza e precisione sono le sue armi migliori» leggemmo sulla
Gazzetta di Mantova a proposito della performance.
«Tecnica virtuosistica ragguardevole… Giustamente acclamato dal pubblico», confermò la Cronaca di
Mantova, qualche giorno più tardi. Personalità poliedrica, Albanese non è solo un grande musicista.
Ce lo racconta, in sintesi estrema, il suo curriculum:
Premio Venezia 1997 all’unanimità e Premio Vendome 2003, Premio speciale “per la migliore esecuzione dell’opera contemporanea” al prestigioso concorso internazionale Busoni, diplomato in pianoforte a 17 anni con lode e menzione
d’onore, a 23 anni consegue il Master all’Accademia di Imola e, dopo
la maturità classica a pieni voti, si laurea in Filosofia con lode e dignità di stampa con tesi sull’Estetica di Liszt nelle Années de Pèlerinage,
tanto che a soli 25 anni è docente universitario di Metodologia della
comunicazione musicale. Giovedì 24 gennaio al Sociale di Mantova
tornerà a dar prova del proprio talento interpretativo nel Concerto per
pianoforte e orchestra di fiati (con contrabbassi e timpani come presenza
d’eccezione a confermare la regola) di Stravinskij.
L’orchestra, e qui veniamo ad un altro dei motivi d’interesse della serata, sarà la Haydn di Bolzano e Trento, che torna a Tempo d’Orchestra
dopo oltre un decennio d’assenza. Ottima compagine, costituitasi nel
1960 per iniziativa delle Province e dei Comuni di Trento e Bolzano,
la Haydn è ospite dei principali sodalizi concertistici italiani ed ha
preso parte ai principali festival, esibendosi oltre confine in Europa,
negli Usa e in Giappone. Nel corso di oltre cinquant’anni di attività
l’Orchestra si è fatta interprete di un ampio catalogo di opere che ha
18
musicalmente
di Valentina Pavesi
Giuseppe Albanese.
Sopra a sinistra,
George Pehlivanian
I CONCERTI
ANTONIO CASAGRANDE
FIRMA UN PEZZO
IN FORMA DI MEMORIA
S’ode ancora il mare
Già da più notti s’ode ancora il mare,
lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce.
Eco d’una voce chiusa nella mente
che risale dal tempo; ed anche questo
lamento assiduo di gabbiani: forse
d’uccelli delle torri, che l’aprile
sospinge verso la pianura. Già
m’eri vicina tu con quella voce;
ed io vorrei che pure a te venisse,
ora, di me un’eco di memoria,
come quel buio murmure di mare.
(Salvatore Quasimodo)
Antonio Casagrande
L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
spaziato in tutti i generi musicali, dal barocco fino ai
compositori contemporanei.
E conterranei, diremo, visto che la produzione con cui
approda a Mantova affianca al Concerto di Stravinskij
(mai ascoltato a Tempo d’Orchestra) e alla Carmen-Suite,
elaborata da Rodion Schtschedrin, e tratta dal celeberrimo capolavoro operistico di Bizet, S’ode ancora pezzo
sinfonico da una poesia di Salvatore Quasimodo per
orchestra da camera, un’opera commissionata dalla
Haydn stessa a un giovanissimo musicista trentino, Antonio Casagrande. I più attenti e fisionomisti tra i fedelissimi di Tempo d’Orchestra lo riconosceranno come uno
dei membri più giovani dell’Orchestra da Camera di
Mantova. Sì, perchè Antonio Casagrande, classe 1986,
è diplomato in composizione con il maestro Armando
Franceschini, ma anche in contrabbasso sotto la guida
del maestro Massimiliano Rizzoli (storica prima parte dell’Ocm, ndr).
Tra i docenti con cui ha proseguito gli studi di composizione troviamo
un altro musicista il cui nome ricorre insistentemente tra le pagine di
questa rivista, Azio Corghi. Premiato al Concorso “Pietro Mandanici”
di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) nel 2008, nel 2010 ha vinto
il primo premio al Concorso “Antonio Manoni” di Senigallia e ora
eccolo a ispirarsi a Salvatore Quasimodo, come spiega nel pezzo qui a
lato, raccontando del suo S’ode ancora.
A dirigere Orchestra e solista - quarto (non in ordine di merito) tra i
motivi caratterizzanti la serata - sarà l’americano George Pehlivanian,
che si è imposto all’attenzione internazionale vincendo a 27 anni,
primo americano di sempre, il Concorso internazionale per direttori
d’orchestra di Besançon. Da allora ha consolidato la sua fama di direttore tra i più coinvolgenti della sua generazione. Di origini armene,
George Pehlivanian è nato a Beirut (Libano) e ha cominciato a studiare il pianoforte a tre anni e il violino a sei.
Nel 1975 è emigrato con la sua famiglia a Los Angeles, dove ha studiato direzione d’orchestra con Boulez, Maazel e Leitner. Un curriculum
caratterizzato da uno sterminato elenco di collaborazioni con quotate
orchestre e grandi solisti, testimonianza di una personalità di spicco,
oggi Georges Pehlivanian è direttore principale ospite del Teatro lirico di Cagliari.
«Il testo, una poesia della prima produzione di Quasimodo, è in relazione al mio
pezzo S’ode ancora più per gli aspetti
che riguardano la memoria – più profondamente musicali - che per la drammaturgia», spiega Antonio Casagrande. La poesia, prosegue, «è, a mio avviso, non solo
una descrizione di un ricordo, ma, in un
aspetto più profondo, una simulazione,
resa con un acutissimo uso delle parole
(...), del comportamento della mente rispetto al ricordo di un evento. Sapendo,
come dimostrano gli studi sulla memoria,
che ogni ricordo viene piegato dalla mente, modificato, a seconda del soggetto
che lo racconta, si giunge alla conclusione che la poesia - e la musica - possa mostrare quest’aspetto di mutazione continua
del ricordo in funzione della coscienza. Si
può dire che questa poesia mi abbia svelato quest’aspetto della mente, non solo
del poeta, ma più propriamente dell’essere umano ed io abbia voluto realizzare in
musica un pezzo... in forma di memoria».
musicalmente
19
I CONCERTI
Grandi minimalisti
- da John Cage
a Terry Riley,
Steve Reich e La
MonteYoung non si ponevano
affatto il problema
di prendere
o non prendere
spunto
da altri generi
Aspettando il bel progetto di Alessandro Carbonare costruito intorno a forti suggestioni jazzistiche,
potrebbe essere utile domandarsi se e quanto la musica afro-americana possa ancora contribuire alla futura
evoluzione del linguaggio colto. Che nel corso dell’intera vicenda del jazz sia avvenuto il contrario è cosa evidente: già i pianisti di ragtime mutuavano dall’Europa la struttura delle loro composizioni, innervando le
suggestioni armonico-melodiche rubate alla tradizione
colta ottocentesca con la stupefacente concezione poliritmica africana e caraibica. Lo stesso hanno fatto i
primi autori degli anni Venti con Impressionismo ed
Espressionismo, fino ad arrivare all’inclusione dell’atonalità a partire dagli ultimi anni Cinquanta di Cecil
Taylor e Ornette Coleman. Ma, a parte alcuni tributi
dichiarati di Debussy o Stravinskji, si è sempre dato per
scontato che l’universo colto abbia trattato il jazz come
un’esotica curiosità dai profumi troppo intensi per essere sopportati a lungo, più che come un patrimonio
di esperienze a cui attingere. In realtà non è del tutto
vero, o almeno non lo è più a partire dal secondo dopoguerra, quando l’asse più creativo delle arti occidentali
20
musicalmente
SULLE ALI
del jazz
Alessandro Carbonare
Può la musica afro-americana
contribuire ancora all’evoluzione
del linguaggio colto? Interrogativi,
spunti e riflessioni in attesa
del progetto firmato dal trio
Carbonare-De Palma-Braconi
di Giorgio Signoretti
NOTE ALL’ASCOLTO
a cura di Andrea Zaniboni
Martedì 22 gennaio 2013
Poggio Rusco, Teatro-Auditorium | ore 20.45
INSERTO ESTRAIBILE
R Schumann, Andante e variazioni op. 46
P. Hindemith, Tre Pezzi per pianoforte,
clarinetto, tromba, violino e contrabbasso
M. Ravel, La valse per due pianoforti
B.Martinu, La Revue de Cuisine H 161
C. Saint-Saëns, Il carnevale degli animali
Conosciuta ed eseguita in particolare nella versione per duo pianistico,
questa composizione venne concepita
poco dopo la grande stagione dei quartetti per archi, del Quartetto e del Quintetto con pianoforte, e cioè all’inizio del
1843, sull’arco di una decina di giorni,
per una formazione che comprendeva,
oltre le due tastiere, anche due violoncelli e corno. Stranamente non fu questa la prima partitura ad essere pubblicata; anzi, la stampa si fece attendere
fino al 1893, trascorso circa mezzo secolo dopo l’apparizione di quella per
due pianoforti, che venne preferita.
L’Andante iniziale possiede un tono
raccolto e amoroso, lievemente struggente, ed offre spunto per nove variazioni che con il procedere del lavoro
assumono tinte più intense o lievi, in
una viva sequenza di episodi che non
tradiscono lo spunto originario, e dove
le tastiere mantengono preminenza
di ruolo lasciando ai due archi ed al
corno compiti quasi ovunque complementari, fino alla conclusione che riafferma l’intensa atmosfera iniziale.
Le differenze fra le due versioni
dell’opera sono poche, e quella per
due pianoforti – che viene privata
della brevissima introduzione, di una
variazione e di un curioso interludio
collocato fra la quinta e la sesta variazione che cita l’incipit del ciclo liederistico Fraunliebe und Leben – risulta lievemente più breve.
Sebbene la stesura per quintetto sia
di rara esecuzione in quanto estranea
a qualunque tradizione cameristica,
l’ascolto ne risulta assai suggestivo,
pervaso da un lirismo che affonda le
radici nella spiritualità romantica di
cui Schumann fu l’inteprete più geniale e rivelatore.
Brevi e raramente eseguiti, i Drei Stücke
für 5 Instrumente rappresentano una
Alexander
Lonquich
Cristina Barbuti, pianoforte
Solisti dell’Ocm
prova marginale nel catalogo di Hindemith, ma risultano interessanti per
la singolarità dell’organico che unisce due archi (violino e contrabbasso)
e due fiati (clarinetto in si bemolle e
tromba in do) al pianoforte, nonché
per la comunicativa chiarezza del dettato che viene informato da elementi
neoclassici e popolari. I Tre pezzi, altrimenti intitolati Drei Anekdoten für Radio (Tre aneddoti per la radio) svelano
proprio in tal maniera la destinazione di queste pagine: quella di entrare
nelle case di ogni ascoltatore possibile
con l’aspetto dell’intelligente intrattenimento. In questo senso la vocazione
didattica di Hindemith si conferma.
Se gli esordi di Hindemith si configurano con un linguaggio di rottura,
queste brevi pagine scritte nel 1925
e presentate il 18 febbraio del 1926 a
Francoforte (la prima e la terza durano meno di tre minuti, mentre quella
centrale appare come la più sviluppata) individuano invece uno stile compromesso con il genere di consumo,
pur adottando elementi colti sul piano formale ed organizzativo (imitativo) dei materiali.
«L’ordine, la trasparenza, la misura, il gusto ed una espressione esatta
e chiara dei sentimenti, tutte qualità
che sono le caratteristiche dell’arte
francese che ho sempre ammirato».
Così diceva il boemo Bohuslav Martinu (1890-1959), uno tra i più rilevanti
compositori cechi, motivando in qualche modo l’attrazione per la Francia
ed i suoi musicisti, un’attrazione posta
in essere con i suoi anni di studio parigini, dal 1923 in poi, prima nella classe di Albert Roussel (il maestro anche
di Satie e Varèse) e poi abbeverandosi
alle esperienze dei modernisti più in
vista, da Stravinskij al Gruppo dei Sei.
La Revue de Cuisine è un lavoro che
Hindemith
si colloca nella seconda metà degli
anni Venti, a ridosso degli studi con
Roussel, risentendo con evidenza della corrente neoclassica allora in atto,
interpretata con distacco ironico e spirito divertito.
La sua stesura originale fu ampia e
consistette in un balletto in dieci movimenti, intitolato Le tentazioni del
Santo Vaso, dato in prima esecuzione
alla fine del 1927. Tre anni più tardi
giunse la breve suite dotata di nuovo
titolo, dall’equilibrio più strettamente
musicale,e più sfumatamene allusiva
nei confronti di una fantasiosa, irreale vicenda nella quale i protagonisti
sono gli utensili da cucina, dal Coperchio alla Frusta, dallo Strofinaccio alla
Scopa. I titoli dei quattro movimenti
evidenziano l’apertura alle espressioni
del ballo d’importazione (in quel momento storico, favorite da un grande
successo popolare), dominate però
da un gioioso, elegante e colto procedere che, presente ovunque, disegna
un’opera godibilissima, di ancor fresca ricercatezza.
musicalmente
21
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Ravel
Otto anni dopo aver presentato La
Valse ai Concerts Lamoureux di Parigi nella sua veste esclusivamente strumentale (era l’8 gennaio 1920) Ravel
ebbe a spiegare le sue autentiche intenzioni nell’ Esquisse autobiographique
dettata al musicologo Roland-Manuel.
In questa lunga memoria, che sarebbe
stata pubblicata dalla Revue Musicale
soltanto dopo la sua morte, nel 1938,
egli chiariva di aver «concepito questo
lavoro come una sorta di apoteosi del
valzer viennese, al quale si mescola,
nella mia immaginazione, l’impressione di un turbine fantastico e fatale. Pongo questo valzer nella cornice
di una Corte imperiale, verso il 1855».
La partitura, che, evocando così il valzer straussiano disegna un’apoteosi
che potremmo dire tragica, s’iscrive,
con il suo fascino torbido e inquieto,
e come del resto Daphnis et Chloé, tra
le opere per le quali la danza non è
tanto il fine, quanto l’idea generatrice, portante, «l’elemento strutturale aderente alla propria concezione
dell’orchestra, antiromantico ma anche antimpressionista» (C. Casini).
La Valse fu commissionata nel 1919
da Djagilev per i propri “Ballets
Russes” ma venne, con grande disappunto del compositore, ritenuta inadatta ad un utilizzo ballettistico. Soltanto nel 1929 giunse a servire la scena per iniziativa della celebre Ida Rubinstein (1885-1960)
e della sua eccellente compagnia.
La maestria di Ravel orchestratore,
unita ad una singolare dinamicità nel
trattamento del materiale, restituisce
immagini sfocate, memorie imprecise, in una fragilità misteriosa e tormentata; fra luci accecanti ed un senso di finitudine che la spettacolarità
della scrittura non occulta ma che,
anzi, esalta per violento contrasto di
caratteri. La versione per due piano-
22
musicalmente
forti (presentata a Vienna nell’ottobre del 1920 dallo stesso autore e da
Alfredo Casella) precede quella definitiva per orchestra e segue la primitiva per pianoforte solo, secondo un
procedere di progressiva elaborazione delle idee.
Spirito antiaccademico ed aspetto da
intrattenimento di lusso contraddistinguono una delle più celebri partiture del parigino Saint-Saëns, Le Carnaval des animaux, “divertissement”
per uso domestico steso con linguaggio raffinato ma facilmente comprensibile, oggi trasformato in una sorta
di etichetta indelebile del suo autore.
Negato alla pubblicazione finché il
compositore fu in vita, Il Carnevale degli animali, per precisa disposizione
testamentaria, poté venire universalmente conosciuto soltanto dopo la
morte di Saint-Saëns. Scomparso lui
il 16 dicembre 1921, la popolarità del
Carnaval non conobbe più ostacoli,
avviata dalla prima esecuzione pubblica avvenuta il 24 gennaio del 1922.
Precedentemente, la conoscenza di
questa “Grande fantasia zoologica”
(così recita il sottotitolo) compiuta nel
1886, fu riservata a pochi e mantenne,
per gelosia e pudore dell’autore, il carattere del pezzo d’occasione, dell’intrattenimento ad uso semiprivato. Il lavoro nacque infatti, come evento musicale, la sera del martedì grasso di quel
1886 nell’abitazione del violoncellista
Charles Lebouc, in un’atmosfera che
non è difficile immaginare come la più
lontana dai formalismi concertistici.
La disinvoltura e l’originale leggerezza della partitura non passarono inosservate; persino Franz Liszt se ne interessò, assistendo ad una nuova esecuzione privata poche settimane dopo
nella casa di Pauline Viardot. Quale che fu l’opinione dell’ungherese,
Saint Saens
l’opinione di Saint-Saëns non ne dovette comunque subire influenza, se il
lavoro per quasi quarant’anni rimase
negato al pubblico comune. In effetti
qui ci troviamo dinanzi ad un’opera
strumentale, singolarissima per svariati aspetti, che usa magistralmente
il linguaggio descrittivo e parodistico
aggredendo sarcasticamente anche
l’ambiente musicale e che gioca abilmente la carta dell’equivoco, propria
di ogni mascheramento. Tutto poi si
realizza attraverso una sapienza di
scrittura straordinaria con la quale
la ricercatezza si sposa alla chiarezza
descrittiva, esplicitata anche dai titoli dei dodici pezzi che si susseguono.
Concepito originalmente per 11 strumenti, Il Carnevale degli animali è una
carrellata di “vignette” che scaturisce
dall’umanizzazione della fauna e dalla critica divertita e corrosiva dell’ambiente musicale, accompagnate da una
deformazione grottesca dei numerosi
prestiti d’autore: Orphée aux Enfers di
Offenbach (n.4), Ballet des Sylphes di
Berlioz (n.5), Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn (n.5), Aria di
Rosina dal Barbiere di Siviglia di Rossini
(n.12). Non è infine negata nemmeno
l’autocitazione con un accenno alla
Danse macabre (n.12).
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Orchestra Haydn
di Bolzano e Trento
Giovedì 24 gennaio 2013
Mantova, Teatro Sociale | ore 20,45
Giuseppe Albanese, pianoforte
George Pehlivanian, direttore
A. Casagrande, S’ode ancora
I. Stravinskij, Concerto per pianoforte
e orchestra di fiati
G. Bizet/R. Schedrin, Carmen. Suite
Carmen, celeberrimo capolavoro intoccabile della lirica ottocentesca (fu presentata a Parigi nel 1875 ma, come spesso accade ai lavori di grandissimo pregio, non ottenne un successo privo di riserve e critiche più e meno severe), vide
nascere due suites strumentali già l’indomani della morte di Bizet per mano
dell’amico Ernest Guiraud – autore anche della seconda suite da L’Arlésienne –
trovando, nel tempo, vivo gradimento
ed una lunga sequenza di esecuzioni firmate da interpreti di prima grandezza.
Libretto ed atmosfera si prestarono anche a successive rivisitazioni di varia natura, ed un capitolo consistente spetta
a quelle ballettistiche, che dalla seconda metà del secolo scorso in poi hanno
contato almeno una decina di prove a
firma di musicisti e coreografi diversi.
Rodion Scedrin, classe 1932, compositore moscovita di notevole fama (la sua
vasta produzione, avviatasi negli anni
Cinquanta, è stata presentata da musicisti come Maazel, Ozawa, Rostropovich,
Maisky, Menuhin, Bernstein, Gergiev)
ha realizzato Carmen-Suite, balletto in un
atto su coreografia del cubano Alberto
Alonso, nel corso del 1967, su incitazione di Maja Plissetskaja, danzatrice fra le
più ammirate nel mondo - oltre che propria consorte - lavorando su una trama
modificata rispetto all’originale e realizzando una serie di 13 numeri strumentali liberamente ricavati dalla partitura di
Bizet. L’aspetto più evidente risiede nella strumentazione, dato che il lavoro di
Scedrin non abbisogna di un complesso
sinfonico, ma di un’orchestra d’archi affiancata da quattro percussionisti: l’esito
evoca chiaramente la creazione del maestro francese, ma al tempo stesso se ne
discosta con umori, caratteri, sonorità
che aprono un mondo nuovo, moderno
e diversamente rivelatore, in linea con
una rappresentazione scenica che non
rimase esente da qualche severa con-
Gennady Rozhdestvensky
testazione da parte degli organi governativi per causa di un soggetto ritenuto
sconveniente. Insomma più ri-creazione che trascrizione, il che obbedisce, in
fin dei conti, allo spirito di un maestro
che si è distinto per la sua produttività di alto profilo nel Novecento russo.
La prima esecuzione ebbe luogo 20
aprile del 1967 con l’Orchestra del teatro Bolshoi diretta da Gennady Rozhdestvenskij.
Il Concerto per pianoforte e strumenti a fiato illustra come è noto la vena neoclassica di Stravinskij, ma certamente non
ne esaurisce la estrema ricchezza di modalità espressive; modalità che esplicano una mentalità antiaccademica, priva
di riferimenti obbligati e soprattutto libera dal pericoloso senso di rispettosa
ricostruzione di un mondo antico. Ha
scritto bene Roman Vlad che «in Stravinskij, la messa in gioco degli elementi formali preformati (accordi, nessi armonici, spunti melodici) avviene il più
delle volte, in maniera così nuova, così
originale, che non ci sembra il caso di
considerare le sue composizioni neoclassiche come altrettanti “ritorni” a
Bach, Mozart o Weber». A maggior ragione nel considerare la fisionomia del
Concerto, che non attinge a materiali
preesistenti riconoscibili, sebbene forse si possa intravvedere l’ombra, assai
deforme, di un accenno all’età pre-bachiana. Presentato a Parigi il 22 maggio del 1924 sotto la direzione di Sergej
Kussewizkij, e con l’autore al pianoforte
che in quella occasione esordiva come
solista, questo Concerto che utilizza oltre ad un gruppo di fiati anche timpani e contrabbassi, crea il clima timbrico
ideale affinché lo strumento a tastiera
manifesti tutta la sua indole percussiva,
dettagliatamente incisa in fraseggi fortemente e fantasiosamente ritmati nonché in complessità di linee sovrapposte.
I tre movimenti di cui si compone il lavoro, reinterpretano architetture formali note con disinvolta libertà: se il primo presenta un enigmatico “Allegro”
tripartito incorniciato da un “Largo”
introduttivo dalla tinta oscura che ritorna a contrappeso anche a conclusione,
il secondo è una tradizionale pagina tripartita con l’elemento alternativo posto
in zona centrale; il finale invece gioca
con la forma di rondò inserendo spunti di contrappunto imitativo che si spiegano in vena giocosa e beffarda fino a
far emergere un carattere perfino irridente, che solo poco prima della chiusura è sospeso nel ritorno del lontano
“Largo” introduttivo. Ombre rischiarate dal fulminante, luminoso epilogo.
Il Concerto, come detto, si lega all’esordio di Igor Stravinskij nel ruolo di pianista solista, esordio assai sofferto e che
tale si manifestò, come lui stesso raccontò, in una inopportuna amnesia all’inizio del secondo movimento, risolta con
l’aiuto del direttore. Un altro aneddoto riguarda invece lo smarrimento della
prima versione scritta di quella stessa sezione: «Non so fino a che punto il movimento pubblicato differisca da quello
che si era perduto - affermò il compositore accorgendosi di non ricordare
la prima versione - ma sono sicuro che
sono molto diversi l’uno dall’altro».
S’ode ancora di Antonio Casagrande
riportata a pagina 19.
musicalmente
23
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Alessandro
Carbonare
Sabato 9 febbraio
Gonzaga, Teatro Comunale | ore 20,45
Francesco de Palma, contrabbasso
Monaldo Braconi, pianoforte
Musiche di Musiche di C. Parker,
L. Bernstein, J. Pastorius, P. Salvia,
C. Boccadoro, M. Garson, C. Corea,
M. Gould, P. D’Rivera, F. Bennett
Il programma nel dettaglio
C. Parker, Yardbird Suite
L. Bernstein, Sonata per clarinetto e
pianoforte
J. Pastorius, A Tribute
P. Salvia, Camille’s Waltz - Brahmsileira
(su temi di Saint-Saëns e Brahms)
C. Boccadoro, Elegia in memoriam
Miles Davis
M. Garson, Variazioni Jazz su un tema
di Paganini
C. Corea, Addendum – Songs Suite
M. Gould, Benny’s Gig
P. D’Rivera, Mini suite venezuelana
F. Bennett, Gershwin!!!
Il programma spazia attraverso tutta
quella musica che sta a cavallo tra la
musica scritta e quella improvvisata.
Non è un concerto jazz nel senso proprio del termine ma molte delle note
eseguite verranno completamente improvvisate dagli esecutori.
Si comincia con un omaggio a Charlie Parker che poi altro non è che una
serie di variazioni scritte e improvvisate sul famoso tema My little suede shoes
per poi passare al tango di Astor Piazzolla sottolineando l’evoluzione di
questo stile musicale anche nella sua
“versione contemporanea” nell’esecuzione di Tango Escondido di Anton Giulio Priolo, giovane compositore che da
sempre si occupa di tango contemporaneo Leonard Bernstein non ha bisogno di presentazioni e la sua Sonata per
clarinetto e pianoforte è una “chicca” di
rara esecuzione.
Scherzosamente arriva il momento
“blasfemo” delle metamorfosi jazz di
due temi di Johannes Brahms e Camille de Saints Saëns.
Chick Corea è un jazzista che si è spesso spinto nella scrittura classica, in
questo omaggio prendiamo spunto
dal suo trio per archi Addendum e dal-
24
musicalmente
Corea
Bernstein
le Childrens Songs per spaziare attraverso improvvisazione e classicismo.
Non poteva mancare la musica di G.
Gerswin, in questa fantasia si rende
omaggio al grande compositore americano attraverso suoi temi o musiche
ad esso ispirate.
Il clarinetto è uno degli strumenti principali della musica popolare
ebraica detta “Klezmer”, con un brano ispirato al suo piu’ grande esecutore: Gioira Fedman, prende fine il programma.
Parker
I CONCERTI
IN VIAGGIO TRA CLASSICA E IMPROVVISAZIONI. INTERVISTA AD ALESSANDRO CARBONARE
“Non ci limitiamo
a rileggere
in chiave jazzistica
la musica scritta,
ma inseriamo
momenti di pura
improvvisazione
estemporanea”
Un contrabbassista jazz, un pianista classico e un
clarinettista che si divide tra questi due generi. Sono
Francesco De Palma, jazzista di spicco nel panorama
internazionale, Monaldo Braconi, pianista classico ma
allievo di un musicista eclettico come Massimiliano Damerini, e Alessandro Carbonare, dal 2003 primo clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, ovvero i protagonisti del concerto che sabato
9 febbraio al Teatro Comunale di Gonzaga sposa note
classiche e jazz saldando quella continuità fra diversi
mondi espressivi così frequente nella storia musicale.
Abbiamo parlato con Alessandro Carbonare della singolarità di questo programma.
positori di oggi al mondo del jazz e tributi a compositori spesso in bilico fra musica colta e jazz. Ma non
solo. Non ci limiteremo a “leggere” la musica scritta
ma inseriremo dei momenti di pura improvvisazione
estemporanea. Il primo pezzo, ad esempio, Yardbird
Suite, è di Charlie Parker. La musica improvvisata era
il suo pane quotidiano, ma noi abbiamo creato delle nuove variazioni sul suo tema. Questo vale per la
maggior parte dei pezzi che saranno in parte scritti e
in parte improvvisati Ci sarà anche un momento che
ho scherzosamente definito “blasfemo”: prenderemo
dei temi di Brahms e Saint-Saëns e li “stravolgeremo” in
chiave jazzistica».
Come è nata l’idea di questo progetto?
«Dalla voglia di esplorare un repertorio che viene sì
eseguito, ma quasi mai in questo modo. Quando un
musicista suona Gershwin di solito lo fa seguendo arrangiamenti comunque già scritti. Io studio da molti anni
improvvisazione jazz e volevo cercare di proporre
quella musica che sta a cavallo tra la scritta e improvvisata, con una maggiore attenzione a quest’ultima».
Come sono riusciti tre artisti come voi, dalla formazione e dalle esperienze diverse, a trovare un comune
terreno espressivo?
«Ci sono volute moltissime prove, abbiamo lavorato
per dei mesi, prendendo in considerazione almeno una ventina di progetti, prima scegliere quello che
eseguiremo a Gonzaga. Francesco De Palma ha dovuto
capire la nostra “rigidità” di lettori mentre io e Braconi
abbiamo dovuto cercare di seguire lui che è abituato
ad un’estrema libertà al contrabbasso. Il risultato è un
viaggio attraverso musica che si ascolta raramente soprattutto nelle stagioni di concerti classiche». (a.b.)
Cosa potrà ascoltare di particolare il pubblico di Tempo d’Orchestra?
«Temi classici riletti in chiave jazzistica, omaggi di com-
Sopra Monaldo Braconi
e a destra Francesco
De Palma
ha cominciato a virare verso gli Stati Uniti d’America. I
grandi minimalisti delle due coste, da John Cage a Terry Riley, Steve Reich e La Monte Young, non si ponevano affatto il problema di prendere o non prendere
spunto dal grande fiume del jazz, allora decisamente in
piena. Il jazz costituiva parte della lingua madre al suono della quale il loro orecchio musicale si era formato.
Il modo flessibile di intendere il ritmo, la vocalizzazione estrema dell’intenzione timbrica, l’improvvisazione
come necessità e come opportunità, la stessa gerarchia
compositore-esecutore: tutto veniva inteso con naturalezza sotto un’altra prospettiva. Non si trattava di delicati processi di negoziazione, ma di un abbandonarsi fisiologico a materiali familiari o, come nel caso di
Reich, ad un continuum dal sapore “ferroviario”, concetto così ben noto al mondo del jazz. Ma pare che il
Novecento colto, europeo od americano che sia, fatichi ancora ad essere adeguatamente rappresentato nelle programmazioni liriche, sinfoniche e cameristiche. È
buona cosa, dunque, aprire spazi come quello affidato
a Carbonare, a progetti che si pongano creativamente
il problema di rovistare tra materiali e metodologie della musica afro-americana. Sarà magnifico poter vedere
nei luoghi, come Mantova, dove i Conservatori hanno
istituito corsi di jazz, maestri e allievi dei “due mondi”
collaborare e scambiarsi esperienze. Molti tra i bravissimi docenti dei dipartimenti di musica afro-americana
vengono proprio dai Conservatori e sempre più docenti dei corsi di indirizzo classico hanno nei loro scaffali
dischi e spartiti di jazz. Che cosa si aspetta?
musicalmente
25
I CONCERTI
Kremer: LIBERTA`
e virtuosismi
Poter scegliere cosa e come fare. Sempre.
È il suo diktat. Lo dimostrano i programmi
che propone, ma anche il rifiuto di un sistema
in cui la star conta più della creatività
di Guido Mario Pavesi
A sessantacinque anni, una carriera fantastica, fatta
di numeri da record per quanto riguarda i successi
colti in una sequenza incessante di concerti in tutto il
mondo, o per quanto concerne l’attività discografica,
o, ancora, la conquista dei più prestigiosi premi internazionali, Gidon Kremer conserva intatto lo spirito
che ha animato tutta la sua fortunatissima esperienza
musicale.
Guarda avanti, sempre, sorretto da un entusiasmo
tale che ogni nuova sfida in cui si lancia si rivela irrinunciabile alimento per il suo approccio creativo
con la musica.
Il profilo di questo grande artista lettone, uno dei
maestri dell’arte violinistica mondiale e direttore carismatico che non pone limiti al pentagramma dei
suoi interessi, è espressione autentica di vitalità, di
inesausta ricerca e di coerenza nelle scelte. Poter scegliere cosa e come fare è il seme della sua libertà e
niente può testimoniarlo meglio del programma che
ogni volta propone al suo pubblico. Gidon Kremer
torna a Mantova, giovedì 14 febbraio, nel “suo” amatissimo Teatro Bibiena che lo ha visto protagonista
già sette delle otto volte che è stato ospite a Tempo
d’Orchestra, per proporre un percorso originale che,
sul tema delle stagioni, si snoda tra le musiche celebri
di Vivaldi, Cajkovskij ed Astor Piazzolla per approdare alle composizioni di alcuni maestri contemporanei
dell’Est come l’ucraino Leonid Desyatnikov, la lituana Raminta Serksnyte, il russo Alexander Raskatov, la
bulgara Dobrinka Tabakova.
Un progetto che Kremer condividerà con la Kremerata Baltica, la sua creazione che dal 1997 promuove il talento dei giovani artisti dei paesi baltici e offre spazio ai fermenti della nuova vita musicale di
quell’area, fissando un ulteriore tassello di una collaborazione preziosa e privilegiata. «Posso dire che creare la Kremerata Baltica è stato ciò che mi ha dato più
soddisfazione: è la cosa migliore che abbia fatto nella
mia esistenza. Questo ensemble mi ha salvato da una
26
musicalmente
Gidon Kremer (fotoservizio Nicola Malaguti)
I CONCERTI
COSA ASCOLTEREMO
Antonio Vivaldi, L’Estate. Concerto in sol
minore op.8 da Le Stagioni, per vibrafono e
orchestra d’archi di Andrei Pushkarev
Philip Glass, Concerto per violino, archi e
sintetizzatore nr.2 The American Four Seasons
Vytautas Barkauskas, Avanti per archi
Gidon sun sounds, medley di brani sulla
estate (composizioni/trascrizioni dedicate a
Gidon Kremer e alla Kremerata Baltica):
Leonid Desyatnikov, Crying with the cuckoo
and Tolotnaya
P.I. Cajkovsky/A. Raskatov, da The Seasons
Digest: June – Barcarole; July – Song of the
reaper; August – Harvsest; September – Hunt
Dobrinka Tabakova , Dusk da Sun tryptichGeorgs Pelecis, Flowering jasmin
Astor Piazzolla/L.Desyatnikov, Verano Porteno
da Le Quattro Stagioni a Buenos Aires
Con inesauribile
entusiasmo, torna
a Mantova il14 febbraio,
nel “suo” amatissimo
Teatro Bibiena dove
"Tempo d’Orchestra"
lo ha accolto
ben sette volte
Il suo ottimismo
costruttivo gli impone,
oggi, di rimanere fedele
a se stesso, prendendo
le distanze
dalla confusione
che si è affermata
nel mercato della musica
Kremer con la Kremerata al Bibiena
vita legata soltanto al violino e ha dimostrato come la
musica fatta insieme sia molto più potente e comunicativa di quella svolta da solista. Mi consente di arrivare alla gente in maniera molto più facile di quanto
possa fare io da solo». È Gidon Kremer stesso che ci
apre, con questo passaggio di intervista pubblicata da
la Repubblica lo scorso giugno, le porte del suo pensiero, indica chiaramente la ricchezza che l’ensemble
può esprimere; ma anche coi fatti ci rivela che le sue
scelte vanno verso le musiche che conservano una dimensione sentimentale, un linguaggio delle emozioni, perché la musica, classica o contemporanea che
sia, non deve essere un puro esercizio intellettuale.
E la sua storia personale, scandita dai ritmi incalzanti di una creativa irrequietezza, pare riflettersi anche
nella preziosità e nelle specificità degli strumenti
utilizzati nel tempo: il potente, impetuoso Stradivari “Baron Feititsch” del 1734, poi un meraviglioso
Giuseppe Guarneri del Gesù del 1730 e, per finire,
l’inestimabile Nicolò Amati del 1641. Tratti, anche
questi, di una curiosità intellettuale che ha dominato
una vita spesa al servizio della musica, tra repertorio
classico ed elementi innovativi per la cui accettazione
ha dovuto lottare decenni, costantemente volta ad
offrire nuove opportunità di crescita culturale all’arte
dei suoni e, soprattutto, al pubblico.
L’ottimismo costruttivo di Gidon Kremer gli impone,
oggi più che mai, di rimanere fedele a se stesso, di
saper dire sì o no, prendendo le distanze dalla confusione che si è affermata nel mercato della musica
negli ultimi anni.
«Semplicemente, non voglio respirare quell’aria piena di sensazionalismo e valori distorti, pur ammettendo che tutti abbiamo qualcosa a che fare con lo
sviluppo insano del nostro mondo musicale in cui le
“stelle” contano più della creatività, i giudizi più del
vero talento, i numeri più dei suoni», come ha avuto
modo di spiegare in una missiva ripresa dal magazine
on line Artsjournal.
musicalmente
27
I CONCERTI
Notte di NOTE
tra ninne
nanne e sogni
di Augusto Morselli
È sempre con grande entusiasmo che accetto l’invito
del direttore artistico dell’Orchestra da Camera di
Mantova, maestro Carlo Fabiano, a partecipare agli
eventi musicali che propone. In particolare sono entusisata di prendere parte a questa seconda edizione di
Madama DoRe. Sapete perché? Perché i suo spettacoli
avvengono in famiglia. Nonni, genitori, figli, nipotini
e zii tutti assieme, non solo ad ascoltare buona musica
ma addirittura a parteciparvi.
Si, perché in queste domeniche mattina, si entra in teatro tutti allo stesso livello. Chi sa e chi non sa, chi è
più sensibile e chi meno, chi è attento e chi lo diventa in seguito. Ed è tutto merito delle musica che distribuisce i suoi doni perché lo sente come dovere da
assolvere.
Ed allora anch’io mi sono impegnato per presentarvi un programma interessante, pure piacevole e, vedrete, o meglio sentirete, addirittura divertente. Divertente nel senso di farvi uscire dalla sala di concerto con la soddisfazione di avere fatto qualche cosa di
bello. Ho intitolato il nostro incontro: Notte di note
ma avrei potuto chiamarlo tranquillamente Note di
notte perché il filo conduttore di questo incontro è
il buio della notte. Un buio illuminato dalle note del
pianoforte. Un solo strumento, che si esprimerà come
una intera orchestra, con una gamma di colori, che i
vari autori ci proporranno, più ricca della tavolozza di
un pittore. Ascolteremo brani di Beethoven, Debussy,
Chopin, Liszt, Brahms, Mozart e Schumann; brani
28
musicalmente
“Una costellazione
di sentimenti”:
questo nel terzo
appuntamento 2012/13
del ciclo di concerti
per famiglie
“Madama DoRe”
molto diversi tra loro come carattere musicale, come
epoca, come indole personale ed artistica dei vari autori: chiari di luna, notturni, ninne nanne e sogni. Mi
piacerebbe molto che i grandi che leggeranno queste
righe, facessero capire ai piccoli che accompagneranno, che insieme ci troveremo davanti a creazioni musicali che, come il genio della lampada di Aladino, ci
trasporteranno nel mondo dell’autore, nelle sue intimità, nelle sue affettività, nei suoi sentimenti (solo
questo, ai più piccini dite solo questo...). La notte è,
più di ogni altro, il momento della riflessione, quando
tutto il rumore della giornata, poco a poco, si spegne
e noi rimaniamo soli con i nostri pensieri, i nostri affetti e i nostri sogni. Quale miglior tramite, dunque,
I CONCERTI
MADAMA DORE: L’ENTUSIASMO
TROVA CONFERMA
In campo
il sottoscritto
e un grande pianista,
un caro amico,
un ottimo divulgatore
della musica:
Andrea Dindo
Augusto Morselli,
narratore, e Andrea
Dindo, qui direttore,
nel Pierino e il lupo
realizzato nel 2009
con l’Orchestra
da Camera di Mantova
(foto Nicola Malaguti)
del babbo della mamma, nonno o nonna? La musica
ascoltata in amicizia aumenta l’effetto. Ecco allora che
ho il doppio piacere di presentarvi questo programma
eseguito non solo da un grande pianista, ma anche da
un caro amico, che condivide queste idee musicali, affettive ed emotive ed è un ottimo divulgatore della musica per tutte le età: il maestro Andrea Dindo. Sarà lui
al pianoforte che ci accompagnerà a scoprire come il
mondo notturno sia sereno, illuminato, variopinto, pieno di gioia e di serenità. È evidente che gli stessi autori hanno trattato la notte anche sotto altri aspetti ma
la nostra Musica Formato Famiglia, vuole ricreare atmosfere affettive tranquille e pacate per raggiungere anche
un effetto di dialogo sereno tra generazioni.
Madama DoRe 2012/13 bissa il successo della
stagione d’esordio. La campagna abbonamenti
archiviata con ottimi esiti, il primo dei 5 concerti
in programma a strappare entusiastici consensi
di pubblico: sono questi i primi dati a riprova
di quanto la proposta per famiglie risponda a
un’esigenza effettivamente avvertita di occasioni
culturali aperte e di momenti di condivisione
intergenerazionale. Lo scorso 18 novembre, la
Neos Sinfonia Orchestra, gruppo di una sessantina di giovani e giovanissimi tra i 10 e i 20 anni,
diretta dal maestro Alberto Conrado, ha fatto
scoprire tutto il fascino e l’emozione della musica
dal vivo a un teatro gremito e festante, che ha
interagito con gli interpreti grazie a armonizzazioni per strumenti e pubblico. Un pubblico che ha
sperimentato un divertente viaggio musicale fra le
sonorità d’America Latina, Medio Oriente, Africa
e sud Italia, alla scoperta di strumenti tipici e
sonorità a volte inattese. Ora la rassegna prosegue
con 4 appuntamenti, il primo dei quali, in programma il prossimo 20 gennaio, porta al Teatro
Bibiena (ore 11) la coloratissima fiaba musicale
Le due regine (si veda articolo a pagina 8, ndr).
Alla presentazione dello spettacolo è dedicata la
prossima conferenza del ciclo d’incontri a cura
dell’Associazione Amici dell’Ocm, Parolenote,
che, venerdì 18 gennaio (ingresso libero, ore
18, Mantova, Sala Norlenghi) vede protagonisti il
maestro Azio Corghi (sue le musiche delle Due
regine), e Dario Moretti (idea, scene e regia).
Notte di note: chiari di luna, notturni, ninne nanne
e sogni è il titolo del successivo concerto, atteso
per domenica 17 marzo, sempre al Bibiena (ore
11) a cura di Augusto Morselli, nel ruolo del
narratore, e di Andrea Dindo, al pianoforte. A
questo appuntamento dedichiamo il pezzo di
approfondimento che trovate in queste pagine.
I biglietti per i concerti di Madama DoRe (5 euro
bimbo, 6 euro adulto accompagnatore, 7 euro
adulto) sono in vendita alla sede Ocm (tel. 0376
1961640, [email protected]). (v.p.)
Certamente: dialogo in un mondo dove tutto corre,
gli obiettivi da raggiungere scavalcano i sentimenti, le
cose da fare non lasciano spazio alle confidenze private.
Un’ora di musica insieme non risolverà i problemi del
mondo ma quando tante persone si emozionano assieme, in una sala da concerto, escono da quella stessa sala con una percezione diversa gli uni degli altri.
Chi vive la musica, al di là della fatica che questa disciplina richiede, prova questi sentimenti e queste sensazioni ed è per questo motivo che si sente l’obbligo
di assolvere al dovere di diffonderla. Vi aspettiamo
dunque, il maestro Andrea Dindo ed io, domenica 17
febbraio, alle 11, al Bibiena di Mantova.
musicalmente
29
RED
CARPET
L’INAUGURAZIONE
di Tempo d’Orchestra
edizione del ventennale
John Axelrod
dirige l’Ogi
al Sociale
di Mantova.
Nelle altre foto:
il pubblico:
coprotagonista
della serata
Fotoservizio Gabriele Sabbadini
30
musicalmente
IN ORCHESTRA
L’ORCHESTRA DA CAMERA
DI MANTOVA APRE LA
50A EDIZIONE
DEL FESTIVAL PIANISTICO
DI BRESCIA E BERGAMO
in breve
G
iovedì 18 ottobre 2012 debutta Tempo d’Orchestra,
edizione del ventennale. L’abbraccio del pubblico è
avvolgente: la campagna abbonamenti della stagione
concertistica dell’Orchestra da Camera di Mantova chiude alla
cifra record di 768 adesioni, proseguendo il trend di costante
crescita che caratterizza, dalla nascita, la manifestazione. Il tappeto rosso, dicevamo. Per una volta la prospettiva è apparsa
rovesciata: il pubblico, parte in causa del successo della rassegna, fa il suo ingresso in teatro accolto dai flash dei fotografi.
Accomodatosi in sala una voce fuori campo gli rivolge un metaforico applauso: «Un bentornato agli abbonati più affezionati
e un benvenuto a chi, per la prima volta, ha scelto di prendere
parte alla stagione concertistica dell’Orchestra da Camera di
Mantova - riecheggia -. Era lunedì 22 novembre 1993.
Il teatro Bibiena di Mantova ospitò il primo concerto della
storia di Tempo d’Orchestra, manifestazione che oggi compie
vent’anni. Il traguardo è significativo e ci riempie di orgoglio.
Lieti che abbiate scelto di festeggiarlo insieme a noi, vi ringraziamo del sostegno che, attraverso la vostra partecipazione,
ci testimoniate, divenendo nostri vitali sostenitori». L’applauso
reale, stavolta, quanto spontaneo suggella l’alzarsi del sipario
sul cartellone 2012/13.
In attesa della presentazione
ufficiale (che si terrà nei primi
mesi del 2013), emergono
le prime anticipazioni circa la
cinquantesima edizione del
Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo.
«Edizione che - si legge nel
comunicato pubblicato nelle
settimane scorse sul sito della
manifestazione - tra ritorni
eccellenti e novità di rilievo,
celebra cinque decenni di
grandi interpreti: da Arturo
Benedetti Michelangeli, ospite
delle prime 5 edizioni dal
1964 al 1968, a Grigory Sokolov, il pianista che più di ogni
altro ha caratterizzato il Festival
del nuovo millennio. E il nome
di Grigory Sokolov, che non
poteva ovviamente mancare,
sarà accompagnato nell’edizione 2013 da quello di altre
stelle del pianoforte molto
amate dal pubblico di Brescia
e Bergamo: Radu Lupu, Yuja
Wang e Alexander Lonquich
(...) Procedendo però con
ordine, il 50° Festival si aprirà
il 27 aprile a Bergamo e il 28
aprile a Brescia con la Nona
Sinfonia di Beethoven eseguita
dall’Orchestra da Camera di
Mantova guidata da Umberto
Benedetti Michelangeli».
A MAGGIO ESCE
PER HYPERION
IL 2° CD REALIZZATO
CON ANGELA HEWITT
È annunciato in uscita a
maggio 2013 il secondo dei
cd mozartiani incisi da Angela
Hewitt con l’Orchestra da
Camera di Mantova. Il lavoro,
realizzato a luglio 2011 nella
Sala Mahler del centro Culturale di Dobbiaco, racchiude
i Concerti per pianoforte e
orchestra n. 17 in sol maggiore K 453 e n. 27 si bemolle
maggiore K 595. A dirigere
solista e orchestra il maestro
finlandese Hannu Lintu.
Anche questo secondo cd
del ciclo è edito dall’etichetta
londinese Hyperion.
musicalmente
31
IN ORCHESTRA
Un abbonato ogni quattro
è UNDER 18
Alcuni degli abbonati Euterpe, tutti studenti
del “Galilei” di Ostiglia. Sopra,
con il direttore artistico Carlo Fabiano
Tra i risultati in controtendenza della campagna abbonamenti di Tempo d’orchestra
2012/13 spicca la considerevole partecipazione di giovani e giovanissimi alle iniziative
promosse dall’Orchestra da Camera di Mantova. Oltre 100 giovani studenti dell’Istituto
“Galilei” di Ostiglia hanno scelto di sottoscrivere la formula d’abbonamento Euterpe Giovani, aderendo così a un progetto di educazione all’ascolto che nato una decina d’anni
fa, vale loro crediti scolastici. Una trentina di
studenti delle secondarie del mantovano beneficiano delle tessere Ouverture, attraverso
le quali Confindustria Mantova intende premiare il merito scolastico regalando un’occasione di crescita culturale e umana. Infine,
almeno la metà degli abbonamenti al ciclo
per famiglie MadamaDoRe porta a teatro, negli appuntamenti mattutini in cartellone, ragazzi sotto i 14 anni, spesso alla prima esperienza d’ascolto dal vivo nella magica cornice
d’un teatro. Totale: quasi il 30 percento degli abbonati alla stagione dell’Orchestra da
Camera di Mantova è under 18.
L’Orchestra da Camera di Mantova
e Plamena Mangora
“WEEK END A TUTTA CLASSICA”
RACCOLTI 15MILA EURO
Un’iniziativa da ripetere, bella, coinvolgente e
partecipata. Unanime giudizio positivo per la
due giorni a tutta musica tenutasi l’ultimo fine
settimana di settembre a Mantova e provincia per celebrare i vent’anni dell’Orchestra
da Camera di Mantova. Ad aggiungere un valore ancora più speciale il fatto che nel corso del sabato e domenica, in cui tutti i componenti dell’orchestra e gli amici dell’Ocm si
sono esibiti gratuitamente, sono stati raccolti
fondi per il complesso Polironiano di San Benedetto Po duramente danneggiato dal sisma
del maggio scorso. In tutto sono stati donati
15.500 euro, di cui 10.000 destinati al Comune per il recupero del Museo e del chiostro
32
musicalmente
(foto di Andrea Rinaldi)
e 5.000 alla parrocchia per
i lavori all’abbazia. La consegna è avvenuta la mattina
del 23 ottobre in Provincia
alla presenza dell’assessore
alla cultura Francesca Zaltieri, di Carlo Fabiano, direttore dell’Orchestra da Camera
di Mantova, e del presidente della Fondazione Comunità di Mantova,
Mario Nicolini, intervenuti unanimemente a
sottolineare l’importanza e l’originalità di
quanto realizzato, e auspicando che l’iniziativa possa ripetersi nel futuro prossimo.
Da parte sua il sindaco di San Benedet-
to Po, Marco Giavazzi, ha sentitamente ringraziato di cuore tutti: da coloro che con
generosità hanno donato fondi per il recupero del Polirone ai musicisti, ai sindaci e
alle realtà che hanno messo a disposizione
spazi assai suggestivi.
IN ORCHESTRA
Il primo appuntamento dell’Orchestra da Camera di
Mantova nella stagione del ventennale ha visto la compagine presentarsi in scena nella versione di piccolo
ensemble, costituito da proprie prime parti, diretta da
colui che segnò l’avvio di tutto: quell’Antonio Ballista
che nel novembre 2003 tenne a battesimo la prima
edizione di sempre di Tempo d’Orchestra. Affidiamo la
cronaca a estratti di unanimi recensioni. «Un doppio
(due i concerti, il primo a Suzzara e il secondo a Mantova, ndr) successo - si legge su La voce di Mantova di
domenica 18 novembre - (...) sulle note di celeberrime
colonne sonore di film americani e di indimenticabili canzoni italiane degli anni 1910-50; uno spettacolo
che ha visto protagonisti Antonio Ballista alla guida
dell’Orchestra da Camera di Mantova, qui in formazione di piccolo ensemble, Lorna Windsor,
soprano, e i pianisti Massimo Giuseppe
Bianchi e Alessandro Lucchetti (...) Una
brillante opportunità per analizzare con
la lente di una raffinata cultura musicale i segni di esperienze dichiaratamente
proiettate nell’orbita della più piacevole
cantabilità. Autorevole conduttore di questa avventura, Antonio Ballista ha imposto
alle esecuzioni quel brio e quella curiosità
d’indagine, volta ad eliminare le differenze tra i generi, che ha sempre caratterizzato la sua luminosa carriera (...) Altro
ingrediente fondamentale per la brillante
riuscita del progetto, l’elaborazione strumentale ideata da Alessandro Lucchetti
ha mostrato un pregevole campionario
di soluzioni sonore, con affascinanti coloriture d’insieme, adatte a delineare le
caratteristiche delle sezioni del piccolo
organico, ed efficaci fusioni timbriche di
archi e fiati nella conduzione tematica».
«La tesi che si poteva scorgere in sottofondo - scrive la Gazzetta di Mantova, sabato
17 novembre - era (...)la seguente: i valori
artistici risiedono anche laddove potrebbe
essere insospettabile, ed in particolare dove il film e
la canzone sono primariamente prodotti commerciali,
pronti a conformarsi al gusto delle masse. Una tesi sostenuta con gli argomenti di un gradimento planetario
prolungatosi nel tempo, e con qualità musicali radicate
nei fondamentali e “buoni” sentimenti umani: amore,
riso, commozione, ironia. Svolti in pagine spesso semplici ed ispirate, e rivisitati con il gusto moderno delle
ricercate strumentazioni di Alessandro Lucchetti: timbri trasparenti, spirito di sintesi, abili connessioni fra
i temi, fino a comporre una forma fluida e continua
che emerge nei suoi nitidi elementi costitutivi; e con
un potere di convinzione spiccato specie nella collana
di canzoni italiane, aperta a vere e proprie ricreazioni
compositive, lo specchio di una generazione nata fra le
due guerre, e bandiera di antiche gioventù. Sull’onda
dei ricordi - per taluni legati ad immagini filmiche indelebili - suonava, con precisione, il piccolo Ensemble
Entusiasmo
e AMARCORD
Pieno successo per la produzione
firmata Ocm con Antonio Ballista.
Musiche da film e canzoni rilette
da Lucchetti seducono il pubblico
Antonio Ballista dirige l’Ensemble
dell’Ocm al Teatro Bibiena di Mantova
dell’Ocm diretto con vivacità da Antonio Ballista; ed il
pubblico ha gradito, applaudendo gli interventi pianistici (Massimo Giuseppe Bianchi, Alessandro Lucchetti,
Antonio Ballista, talora associati per brillanti interventi
a “quattro mani”)». «Pubblico sospeso tra nostalgia e
piacere (...) Piacere nel risentire quelle voci del passato,
fatte rivivere e “restaurate” con gusto tipicamente italiano da quel buon musicista che è Alessandro Lucchetti, ed eseguite dall’Ensemble dell’Ocm sotto la guida
lucida e vivace di Antonio Ballista, che dettava tempi
e colori alla fresca orchestrazione», conferma La nuova cronaca di Mantova, venerdì 23 novembre. «Titolo
appropriato della festosa serata Ritmi ruggenti, melodie
struggenti - chiosa La cittadella nella stessa data - nell’entusiastica interpretazione dell’Ensemble dell’Orchestra
da Camera di Mantova, gruppo di strumentisti-solisti,
esecutori affascinanti diretti da Antonio Ballista con
una verve accattivante, pure ammirato al pianoforte».
musicalmente
33
AMICI
Parolenote:
INEDITA
prospettiva
Azio Corghi: il suo nome, a richiamare la sua arte,
ricorre ripetutatmente nelle pagine di questo numero di Musicalmente. Autore delle musiche, ispirate
alla celeberrima Eine kleine Nachtmusik di Mozart, di
cui vive lo spettacolo Le due regine, secondo appuntamento del ciclo di concerti per famiglie Madama doRe
2012/13. Citato tra i musicisti di riferimento nella sua
formazione da Sonia Bergamasco, nell’intervista che
apre il magazine. Richiamato da un giovane compositore come Antonio Casagrande, che scopriremo a
Tempo d’Orchestra in occasione del concerto del prossimo 24 gennaio e che lo annovera tra i suoi maestri (si
veda a pagina 19, ndr). Protagonista qui, nella rubrica
Amici, che presenta il prossimo appuntamento con
Parolenote: un incontro particolare, che segna anche
una sorta di nuovo corso. Venerdì 18 gennaio (ore
18, Mantova, sala Norlenghi, ingresso libero) il ciclo
di conferenze di avvicinamento all’ascolto di alcuni
dei principali eventi di Tempo d’Orchestra elegge a proprio riferimento il primo concerto 2013 del ciclo per
famiglie Madama DoRe. Lo fa programmaticamente,
a sottolineare quanto gli spettacoli della domenica
mattina si rivolgano a un pubblico che non ha limiti
d’età e che concretizza l’ideale di un ascolto condivi-
Azio Corghi e Dario Moretti
presentano “Le due regine”.
“Madama DoRe” e il cartellone
serale s’incontrano e integrano
in “Tempo d’Orchestra 2012-13”
Azio Corghi e Dario Moretti
so tra più generazioni. Madama doRe è parte integrante a tutti gli effetti del cartellone di Tempo d’Orchestra
ed è doveroso che le sue proposte concertistiche ricevano le medesime attenzioni di quelle serali, di più
antica tradizione: Parolenote ne dà conto, invitando a
gennaio al tavolo dei relatori - e qui torniamo a lui - il
maestro Azio Corghi e l’artista Dario Moretti, le due
anime di quelle Due regine che approderà al Bibiena la
domenica successiva (20 gennaio, ore 11). (v.p.)
PAROLA D’AMICO
Il Direttivo
Associarsi, associarsi, associarsi. Per essere, insieme, sempre più forti
Le adesioni si raccolgono presso la sede
Ocm in piazza Sordello 12 a Mantova
(orario d’ufficio) e in occasione
dei concerti della stagione
Tempo d’Orchestra, nei foyer dei teatri
34
musicalmente
Amiche e amici, arriviamo ancora una volta alla fine di un anno e, come da tradizione,
a una sorta di bilancio che, nel nostro caso, risulta essenzialmente morale (quello finanziario è piuttosto scarso). Il nostro compito statutario è quello di offrire all’Orchestra da
Camera di Mantova un abbraccio ideale fatto d’interesse alla sua attività, di sostegno attivo, di ricerca di fonti finanziarie, di vcinanza in certe decisioni e di diffusione della cultura
musicale. Soprattutto in tempi come gli attuali, questo nostro programma è importante
per aiutare a superare le tante difficoltà che si presentano, e non sono lievi, in modo che
ancora una volta la stagione concertistica Tempo d’Orchestra possa svolgersi in maniera
soddisfacente. Questo non significa certo che il merito della realizzazione sia nostro, ma
serve a indicare un impegno che non è mai cessato. È importante perciò nei confronti
dei terzi che la nostra Associazione possa “presentarsi” forte, ricca di una consistenza
anche numerica che la porti a essere maggiormente considerata e, quindi, più utile ai fini
per i quali opera. Da qui il forte invito rivolto a ciascun Associato a rinnovare l’adesione
per l’anno 2013 e a fare in modo che anche altre persone entrino nel gruppo degli Amici
come nuovi aderenti con la minima spesa di 10 euro che viene confermata anche per il
prossimo anno. Infine i tradizionali auguri fatti di vero cuore a tutti, perchè il tempo futuro
porti serenità e tanta musica.
QUADERNO DI VIAGGIO
di Andrea Zaniboni
Itinerario
VERDIANO
«Questo abituro dove il 10 ottobre
1813 la prima aura spirò il musical
genio del Verdi vollero i coniugi
Marchesi Giuseppe e Leopoldina
Pallavicino mantenuto qual è al
cupido sguardo dei posteri»: così
recita la lapide apposta nel 1872
sulla facciata della casa natale di
Giuseppe Verdi, prima tappa di
un itinerario che, chi volesse percorrerlo nell’anno del bicentenario, si snoda fra alcuni luoghi di sicuro interesse. Storia, suggestioni
atmosferiche, documenti, musica,
memorie teatrali s’intrecciano in
un percorso che va avviato necessariamente dalla casa-osteria di
famiglia nel «miserabile villaggio»
(come lo descrisse il critico musicale francese Arthur Pougin nella
seconda metà dell’Ottocento) di
Roncole di Busseto, in provincia
di Parma. Casa che appunto si è
mantenuta nello stato che testimonia l’umile esistenza di chi
ci abitava e lavorava, con il suo
ingresso dimesso, gli arredi semplici e le pareti spoglie. Distante
qualche decina di metri sorge la
Chiesa di San Michele dove il maestro fu battezzato e dove avviò le
sue adolescenziali esperienze sul
piccolo organo sopraelevato che
vi è alloggiato. Qualche chilome-
A destra Casa Barezzi
e sotto la casa natale
di Giuseppe Verdi
tro più in là, a Busseto, oltre il piccolo teatro da 300 posti edificato
con il contributo economico del
compositore ed inaugurato, non
senza fastidiose polemiche con lo
stesso, nel 1868, si trova la casa di
Antonio Barezzi, l’amata dimora
di un intelligente e sensibile appassionato, allora presidente della
locale Società Filarmonica, presso il quale Verdi trovò ospitalità,
competenza e generoso sostegno;
al punto che l’assidua frequentazione gli permise di approfondire
Il Museo Nazionale Verdi
la conoscenza della figlia di lui,
Margherita, che avrebbe poi sposato nel 1836. Divenuto museo
verdiano una decina d’anni fa,
questo edificio ospita molti documenti storici, dipinti, prime edizioni a stampa, lettere autografe,
manifesti e persino una bacchetta
appartenuta a Toscanini, che di
Verdi fu un assiduo ed appassionato interprete.
Ma a questo luogo si aggiunge, necessariamente per il devoto turista
verdiano, il grande Museo Nazionale intitolato al maestro, istituzione recente (è stata inaugurata tre
anni fa) ospitata nella sontuosità
rinascimentale di Villa Pallavicino,
nella quale sono riprodotte le scenografie originali di Casa Ricordi
ed in cui ogni sala approfondisce
un’opera od un gruppo di opere,
ma che non è soltanto museo bensì
fonte di vive suggestioni operando
sul piano didattico che come centro studi. Infine Villa Sant’Agata, a
Villanova sull’Arda, in provincia di
Piacenza (ma solo qualche chilometro a nord di Busseto), la grande dimora, abitata dal 1851 (l’anno di Rigoletto) dove ritrovare le
tracce della quotidianità verdiana:
il parco, il pianoforte, la carrozza,
la biblioteca, le camere da letto, il
senso di una vita operosa condotta
nel grembo della natura.
Per il bicentenario della nascita
del più celebre compositore italiano sono stati stanziati più di 6 milioni di euro. Una parte andrà anche per la valorizzazione di questa
villa che ci parla di un Verdi agiato
ma non aristocratico. Lo confessò
lui stesso in una lettera: «Sono stato, sono e sarò sempre un paesano
delle Roncole».
musicalmente
35
COLONNA SONORA
di Claudio Fraccari
BERTOLUCCI, orecchio
da musicista
È fra i più importanti cineasti in attività, in ambito sia nazionale che
internazionale. Bernardo Bertolucci ha realizzato una serie di film
che resteranno senz’altro nella storia del cinema. Basterebbe rammentare che fu aiuto-regista di
Pier Paolo Pasolini per Accattone (1961), oppure che, al
fianco di Dario Argento,
collaborò alla sceneggiatura di C’era una volta il West
di Sergio Leone (‘68); che
esordì nel lungometraggio
a soli 21 anni con il pasoliniano La commare secca (‘62);
che recano la sua firma La
strategia del ragno (da un racconto di Jorge L. Borges, girato a Sabbioneta nel ‘70), Il
conformista (da Alberto Moravia, nel medesimo anno),
il sublime e scandaloso Ultimo tango a Parigi (‘72), la sontuosa epopea lunga mezzo secolo di Novecento (‘76, ancora in parte ambientato
in territorio mantovano), nonché
opere che combinano l’autorialità di stampo europeo con la spettacolarità hollywoodiana (L’ultimo
imperatore dell’ ‘87, Il tè nel deserto
del ‘90, Il piccolo Buddha del ‘93),
fino al penultimo titolo, The Dreamers (2002), una sorta di condensato dei suoi temi topici, l’eros, la
politica, il cinema stesso. Sebbene non abbia mai stretto un sodalizio esclusivo con un musicista,
come fecero invece Leone con Ennio Morricone o Fellini con Nino
Rota, egli ha sempre considerato
la colonna sonora un complemento essenziale per le sue narrazioni
visive, le ricercate inquadrature, i
sofisticati quanto fluidi movimenti di macchina. Esemplare quella de L’ultimo imperatore, affidata a
tre compositori assai diversi come
Ryuchi Sakamoto, David Byrne e
Cong Su: si tratta di una suggestiva
alternanza fra le sonorità elettroniche del primo, il rock progressivo
36
musicalmente
LA STRATEGIA DEL RAGNO
di B. Bertolucci
Il figlio di un martire
della Resistenza si
reca nella cittadina
ove visse il padre
per indagare sulle
circostanze
della
morte di lui, avvenuta trent’anni prima. Ispirato a un breve racconto di Borges, il film ne svolge il motivo
della dialettica fra eroismo e tradimento,
aggiungendovi la politica e la psicanalisi,
con fughe verso l’onirico e il surreale. Il
funzionale commento musicale annovera
pezzi del repertorio di Giuseppe Verdi e
una canzone di Mina.
(Italia 1970)
NOVECENTO
Bernardo
Bertolucci
del secondo, la rielaborazione della musica tradizionale cinese operata dal terzo. Oppure, si consideri
il sorprendente sax di Gato Barbieri che ricama struggenti motivi jazz
per accompagnare, in contrappunto o in ridondanza, le pulsioni sessuali e funeree di Ultimo tango a Parigi. Quanto al recentissimo Io e te
(dal romanzo di Niccolò Ammaniti), esso propone lo score intimista di
Franco Piersanti, in un certo senso
eccependo alla regola dell’ibridazione ovvero dell’eccentricità cara
al regista parmense. Di cui costituisce la prova più estrema The Dreamers, ove l’eterogeneo commento
musicale ospita brani di autori pop
coevi all’ambientazione nella Parigi
sessantottesca o connessi alle doviziose citazioni filmiche: si va da Jimi
Hendrix, Bob Dylan, The Doors,
Grateful Dead a Edith Piaf, Nino
Ferrer, Charles Trénet, Françoise Hardy, Irving Berlin. Come dire
un’abbondanza lussureggiante pari
solo alla feconda inventiva tecnica
ed espressiva di Bertolucci, un maestro della settima arte che, svariando dal lirismo all’epica, molto ama
la sinestesia tra occhio e orecchio.
di B. Bertolucci
Attraverso le vicende di due personaggi, nati lo stesso giorno del 1900 ma di
contrapposta estrazione sociale, si racconta la storia d’Italia
della prima metà del Novecento. Composito e fluviale, dal cast altisonante (bastino i
protagonisti Depardieu e De Niro), se non
è il capolavoro di Bertolucci ne costituisce
tuttavia il titolo di gran lunga più denso e
impegnativo. La colonna sonora è di Ennio
Morricone, ma si vale anche di canti e musiche tradizionali.
(Italia-Francia-Germania 1976)
L’ULTIMO IMPERATORE
di B. Bertolucci
Epico e melodrammatico, magniloquente e accademico, il
film illustra la vera esistenza di Pu Yi, che
dallo status onnipotente di imperatore
della Città Proibita fu degradato a uomo
qualunque nella Cina di Mao. Il successo
di pubblico fu coronato da ben 9 premi
Oscar, fra cui quello alle musiche di Ryuchi
Sakamoto, David Byrne e Cong Su. Grande
cinema a tratti, sempre cinema in grande,
L’ultimo imperatore dimostra comunque la
tempra del vero cineasta.
(Cina-GB-Francia-Italia 1987)
GRAMMOFONO
di Michele Ballarini
Il CORAGGIO di un’orchestra
A Louisville nel 1948
le intuizioni di Charles
Farnsley risollevarono
le sorti della
filarmonica locale
Al giorno d’oggi, con tante orchestre alle prese con problemi di bilancio, pensiamo faccia riflettere
un caso pressoché unico nella storia
concertistica e discografica del secolo scorso. Louisville, cittadina del
Kentucky (Usa), è il 1948 e la locale
orchestra è in piena crisi finanziaria
quando Charles Farnsley, suo presidente nonché sindaco della città ha
un’idea rivoluzionaria che comunica al direttore stabile Robert Whitney: riduzione dell’organico da 70
a 50 orchestrali, limitazione degli
ingaggi a solisti dai cachet esorbitanti e incremento di commissioni
di opere nuove a musicisti contemporanei, cinque prime esecuzioni a
stagione dirette preferibilmente dagli autori. Nell’America degli anni
‘40, con un grande pubblico dai gusti musicali parecchio conservatori e
limitati al grande repertorio classico
e romantico, l’impresa appare quasi disperata. Farnsley, però, sostiene
che «L’autore è quasi dimenticato
nei concerti, ma senza di lui la musica morirebbe: dobbiamo pensare
al XVIII secolo quando si eseguiva
un pezzo nuovo ad ogni concerto»;
la radio e il nascente long-playing,
Farnsley ne è convinto, aiuteranno la sua causa. Già nella stagione
successiva l’orchestra esegue novità di Hindemith, Villa-Lobos, Martinu, Milhaud e Chavez e nel 1950
avviene la svolta: Judith, un poema
coreografico di William Schuman,
viene registrato dalla Mercury Records e l’orchestra invitata a ripetere il pezzo alla Carnegie Hall di New
York. La critica e il pubblico hanno
reazioni entusiastiche e poco dopo
l’orchestra firma un contratto con
la Columbia Records pubblicando nel 1952 un nuovo lp con musiche in prima esecuzione. I media
riconoscono il merito a Withney e
alla sua orchestra di diffondere con
coraggio e bravura la nuova musica, e nel 1953 Farnsley ottiene dalla
Rockfeller Foundation una sovvenzione di 400.000 dollari per un progetto mai realizzato da nessuna orchestra: dal 1954 al 1959 a Louisville
si registrano 116 lavori di 101 compositori sotto una nuova etichetta dal nome First Edition Records. Attraverso la radio poi tutto il mondo
ha l’opportunità di sentire autori di
ogni nazionalità e in gran parte ancora sconosciuti. In seguito, anche
ad opera di successivi direttori stabili tra cui Jorge Mester e con altre
sovvenzioni, l’orchestra arriverà nel
1995 al traguardo di 158 lp e 10 cd
con circa 400 opere di 250 differenti autori. Un successo che permetterà a questo complesso di entrare
nella storia, dimostrando che si può
interessare un vasto pubblico proponendo musiche valide anche al di
fuori dei repertori più battuti e degli esecutori più famosi.
IL SEGRETO NEL REPERTORIO
POCHI ITALIANI NELLA SERIE
E POCHI I DISCHI DEL GENERE...
Un aspetto del successo della Louisville
Orchestra è costituito
dal fatto di aver proposto un repertorio
moderno di ascolto
abbastanza accessibile dove compaiono
raramente autori dell’estrema avanguardia.
A parte musicisti americani come Harris,
Schuman e Piston, figuravano autori francesi
e inglesi – Milhaud, Ibert e Bliss - oltre a
tanti altri che permettevano di esplorare i
“dintorni” adiacenti alle figure di primo piano del ‘900 storico: un viaggio affascinante
con scoperte a volte sorprendenti.
Dallapiccola, Malipiero, Petrassi (nella
foto) e Rieti sono gli
italiani presenti nella serie: un po’ poco
rispetto ad altri paesi, fatto questo che si
può ascrivere in parte alla voluta tendenza nostrana – non sempre giustificata perché derivante spesso da
pregiudizi di natura ideologica e non artistica - di privilegiare gli autori dell’avanguardia rispetto a quelli della generazione precedente. Non sorprende perciò che molta
musica italiana del primo ‘900 sia stata per
decenni quasi completamente dimenticata.
La reperibilità di
questi dischi in Italia
era limitata in passato
a qualche decina di
lp in giacenza presso
quei pochi negozi
che importavano direttamente dall’estero, e solo con l’avvento del compact la
Santa Fe Music Group ha pubblicato, a
partire dal 2001, una serie di 40 cd con
parecchie registrazioni della First Edition.
Recentemente un documentario – Music makes a City – è stato realizzato e
commercializzato, per vederne un estratto
basterà digitarne il titolo su You Tube.
Scultura di Charles Farnsley
nella via principale di Louisville
musicalmente
37
CD - DVD
di Luca Segalla
KATSARIS l’uomo capace
di “divorare” il pianoforte
Arthur Rubinstein era un grande appassionato di cucina, oltre che di musica e donne. Non conosco le predilezioni gastronomiche di un interprete curioso come
Katsaris; difficile, però, immaginarlo indifferente ai
piaceri della tavola.
In questo recital del 2005 al conservatorio di Shanghai
il pianista franco-cipriota si sbizzarrisce in un autentico delirio di trascrizioni da Bach, Schubert e Wagner, con un assaggio di Chopin (Notturno op. 9 n. 2,
primo di quattro bis) e molto Liszt, anche originale.
Cyprien Katsaris.
Rubinstein era un interprete onnivoro, ma dei grandi
Live in Shanghai.
classici. Katsaris divora qualsiasi cosa si possa eseguire
1 DVD Piano 21
sulla tastiera. La divora con la gioia di un bambino che
(P21 034-N)
sta scoprendo il mondo. Al pianoforte recita, come il
Barenboim degli ultimi anni, ma potendo fare affidamento su una tecnica più efficace e travolgente.
L’eloquio è generoso in Bénédiction de Dieu dans la solitude, dalle Harmonies poétiques et religieuses, ma anche nella trascrizione della Morte di Isotta dal Tristan wagneriano. Questa fiducia incrollabile nella
vita e nella musica suona paradossale, associata al Tristan. Un fuoco vivo,
come la sua acrobatica trascrizione della Toccata e fuga in Re minore di Bach.
È puro spettacolo, ma lo spettacolo di un interprete che conosce bene la
psicologia del pubblico. E che si avventura come un dongiovanni felice
e impenitente nell’intero repertorio pianistico senza lasciarsi turbare da
scrupoli morali.
PIAZZOLLA TRA I CLASSICI
Fa molta scena, Gidon Kremer, e per questo a volte viene criticato. Qui siamo a Salisburgo, nel 2002. È impossibile sfuggire al magnetismo del violinista lettone, non
lasciarsi sedurre dalla sua Kremerata Baltica, con cui
vive in simbiosi. Anche se non tutto, nella trascrizione
del schubertiano Quintetto in sol maggiore, è rifinito. Accanto a Schubert il violinista lettone propone il Novecento slavo e ungherese di Schnittke, Raskatov e Rósza.
E Piazzolla, diventato un classico proprio grazie a lui:
Oblivion è da brividi.
Gidon Kremer & Kremerata Baltica.1 DVD Unitel Classica (3072238)
AI LIMITI DELL’IMPOSSIBILE
Il debutto alla Carnegie Hall del ventiquattrenne giapponese Nobuyuki Tsujii è datato 10 novembre 2011. Tsujii ha
vinto nel 2009 il Van Cliburn ed è cieco dalla nascita: considerato il suo handicap è un fenomeno. Come pianista, a
conti fatti, si rivela ordinario, eppure, in alcuni momenti, fa
sobbalzare il pubblico sulla sedia. In Baba Yaga, dai Quadri.
In una brillante Parafrasi sul Rigoletto di Liszt. E soprattutto
nell’Improvvisazione e fuga del contemporaneo John Musto.
Nobuyuki Tsujii. Live at Carnegie Hall. 1 DVD EuroArts
(2059088)
38
musicalmente
INVITO ALL’ASCOLTO
Manuel de Falla
ritratto di un genio
fra parentesi
Le prime opere
pianistiche di
Manuel de
Falla furono
Tres Obras de
Juventud, Tre
opere di gioventù: Serenata
Andaluza, Nocturno e Vals-Capricho,
completate entro il 1889, quando i
suoi studi in Spagna erano ancora in
essere, l’influenza romantica forte, e la
sua personalità doveva attendere di
manifestarsi pienamente. Avrebbero
dovuto giungere gli anni del trasferimento a Parigi (tra il 1907 e il 1914),
le frequentazioni decisive di Debussy,
Ravel e Dukas, per individuare un Falla
consapevolmente moderno ed allo
stesso tempo rispettoso della propria
storia nazionale. Se il suo più famoso
lavoro pianistico è la Fantasia Baetica
(con allusione al nome antico di una
delle province romane con capitale
Cordoba, in sostanza l’attuale Andalusia) scritta nel 1919 su invito di Arthur
Rubinstein, altre pagine suggestive spiccano nel suo non vasto (in tutto una
ventina) elenco di pagine per tastiera
sola: fra tutte Cuatro piezas espanoles
(1908), dedicati ad Albéniz e poi le famose invenzioni tratte dai balletti, quali
le tre Danze da El Sombrero de tres
picos e la eseguitissima Danza rituale
del fuoco (da El Amor brujo, a stampa
nel 1921), di cui sempre Rubinstein fu
celebre interprete. Nella grande letteratura pianistica di ogni epoca, le opere
di Falla immeritatamente rimangono un
po’ai margini del repertorio, ed in Italia
si può dire che siano colpevolmente
ignorate. Due dischi Brilliant raccolti in
cofanetto che vedono interprete la brava pianista americana Benita Meshulam,
colmano il vuoto di conoscenza, ma
non solo: suggeriscono il motivo per
il quale il musicologo Fedele D’Amico
parlasse anni fa di Manuel de Falla come
«un genio tra parentesi». (a.z.)
MUSICA & ARTE
di Paola Artoni
TIEPOLO e quella
speciale sintonia
con la musica
Un pittore virtuoso,
audace e vivace come
le melodie del suo
contemporaneo Vivaldi
Foto relative alla mostra di Passariano
e al citato ciclo di Wurzburg
IN MOSTRA A VILLA MANIN
Una pittura sontuosa, aerea, capace di rispondere a un preciso intento: «Li pittori devono procurare di riuscire nelle opere grandi
[...] quindi la mente del Pittore deve sempre tendere al Sublime, all’Eroico, alla Perfezione».
Se questo era il desiderio espresso
da Giovanni Battista Tiepolo (Venezia, 1696 - Madrid, 1770), possiamo ringraziarlo non solamente
per avere raggiunto in pieno il suo
obiettivo ma anche per averlo trasmesso intatto nel suo fascino sino
ai nostri occhi contemporanei.
Virtuoso, audace e vivace come la
musica del suo contemporaneo
Antonio Vivaldi, capace di toccare
le corde dell’ironia più lieve come
quelle del dramma più cupo, di
raccontare storie sacre e vicende
profane riportandole ai costumi
settecenteschi, Tiepolo in più occasioni ha espresso la sua speciale
sintonia con la musica. Basti pensare alla sue rappresentazioni dei
concerti affrescati nei palazzi lagunari come nelle ville di terraferma,
splendide scenografie per concer-
ti realmente eseguiti per la nobiltà
veneziana, come pure alle allegorie della musica e alle figure aeree
dei suoi elegantissimi angeli tardobarocchi. I disegni capricciosi,
i modelletti veloci, le pale d’altare
con le sante bionde avvolte in abiti
serici, i magnifici cicli di affreschi
con gli scorci prospettici audacissimi, sono appunti che raccolgono l’entusiasmo dei committenti
intellettuali e politici del tempo,
se è vero che i principi e i sovrani europei lo reclamano con vigore per le loro corti. Un entusiasmo
che è giunto anche ai nostri giorni
e che, tra l’altro, nel 2005 ha ispirato Hugues Dufourt nella composizione de L’Afrique d’après Tiepolo
per pianoforte ed ensemble, ispirata agli affreschi del Tiepolo dipinti per la residenza di Würzburg.
Nel dicembre del 1750 il principe
vescovo aveva chiamato in Baviera Tiepolo e i figli Giandomenico
e Lorenzo e da quella commissione era nata la magnifica decorazione della Kaisersaal, seguita dall’affresco dell’Olimpo attorniato dalle
Sino 7 aprile Villa Manin di Passariano (Udine) ospita la mostra, curata
da Giuseppe Bergamini, Alberto Craievich e Filippo Pedrocco, dedicata a Tiepolo con opere provenienti
da prestigiosi musei europei e americani. L’itinerario si completa con la
visita al Palazzo patriarcale di Udine,
ora Museo Diocesano, ove il giovane Tiepolo, a partire dal 1726, affrescò il soffitto dello Scalone d’onore,
la Galleria degli Ospiti, la Sala Rossa
e la Sala del Trono, e a Trieste, al Civico Museo Sartorio, che custodisce
oltre 250 suoi disegni.
Info: tel. 0432- 821210
[email protected]
www.villamanin-eventi.it.
quattro parti del mondo per lo scalone monumentale, concluso nel
1753. Nel grande ciclo l’artista ha
voluto rappresentare le allegorie
dei quattro continenti all’epoca
noti e il compositore francese ha
più volte dichiarato di essersi ispirato proprio al parallelismo tra il
movimento prospettico del colore
dell’opera pittorica e il dinamismo
sonoro ricavato dall’organizzazione delle parti e dai rapporti timbrici degli strumenti. E se questo
tempo ci chiedesse ancora di «tendere al Sublime, all’Eroico, alla
Perfezione»?
musicalmente
39
ALTRA MUSICA
di Giorgio Signoretti
COHEN, MAESTRO DI CERIMONIE ALL’ARENA
JACKSON RILETTO DA RAVA
Lo scorso 24 settembre a Verona,
un’Arena in estasi ha abbracciato
con gli occhi il grande cantante e
poeta Leonard Cohen durante una
vera e propria lezione magistrale
sull’arte del racconto. Attraverso la
messa in poesia del suo universo
personale, Cohen, partendo dalla
magnifica Going Home, ha in realtà raccontato ai presenti i loro
stessi naufragi e le loro stesse resurrezioni. Una gestualità di rara
eleganza lo ha reso maestro di cerimonie in un setting spoglio ed
intimo, nel quale musicisti di prima grandezza hanno delineato con
forza e grazia paesaggi sonori della più grande varietà. Un saluto
a Fabrizio De André lo ha avvicinato ancor più ad un pubblico già
sedotto al suo apparire.
Col suo nuovo On The Dance
Floor, il trombettista Enrico Rava va
a trovare ispirazione nel repertorio
di Michael Jackson. Chi tuttavia si
aspettasse una virata verso territori
“dance” rimarrebbe deluso: ci
troviamo davanti al miglior Rava di
sempre. Strumentalmente possente, creativamente instancabile, il trombettista italiano riassume idealmente nel disco una vicenda personale che lo ha condotto dal
vibrante free terzomondista degli anni Sessanta alla definizione di
un linguaggio straordinariamente vario e personale. Come sempre
accade quando un grande jazzman si avvicina ad un autore pop,
Rava divora Michael Jackson e ne rivela qualità non sempre così
visibili nell’originale.
ROCK, cronista
del ventesimo secolo
Il 1954 fu un anno denso di eventi
premonitori che annunciavano, a
chi non poteva ancora riconoscerli come tali, il superamento della
conformista cupezza del maccartismo: Joseph Mc Carthy in persona subì la pesante censura del
suo Senato per “condotta politica disonorevole” e il Vietnam del
Nord cadde nelle mani dei futuri Viet-Cong sotto gli occhi di un
remissivo presidente Eisenhower.
E, più di ogni altra cosa, Elvis Presley incendiò il tranquillo panorama della musica bianca con i
suoni totalmente inediti che uscivano dal bugigattolo del geniale
Sam Phillips nel centro di Memphis. Il 5 luglio di quell’anno, con
la registrazione di That’s All Right
Mama, iniziava il grande racconto
del rock. Perché di vero racconto si trattava: frasi smozzicate, rubate al blues o al country, lasciate uscire con un’energia nervosa
e una spavalderia disperata di cui
solo un adolescente messo all’angolo dalle proprie paure poteva
conoscere il segreto. Il racconto si va subito allargando, diventa
un’epica generazionale, passa gli
oceani e cambia i paradigmi culturali. Nel 1962, il rock incontra
l’Inghilterra ed esplode di nuova
40
musicalmente
freschezza grazie al talento di Lennon e McCartney. Il linguaggio,
tuttavia, è sempre quello tenero dell’adolescenza.
Ma poi, nel 1965, in una
burrascosa sera di fine
luglio, incontra Bob
Dylan e, con lui, le narrazioni di popolo del
folk e la bohème neosimbolista dei beat. Il
“Rock d.D.” (dopo Dylan) produce i grandissimi autori di fine anni
Sessanta (inclusi i grandi esploratori Hendrix,
Barrett e Zappa) ed arriva perfino a scuotere
l’immobile scena italiana, ferma all’ipocrisia sanremese che aveva ucciso Luigi Tenco e
costretto Fabrizio De André alla
semi-clandestinità. Dal lontano
1954 di Elvis, il rock non ha ancora smesso di raccontare e, allo
stesso modo in cui ha saputo essere il cronista più vibrante del
ventesimo secolo, continua la sua
missione con, ad esempio, le voci
chiare e forti di Serj Tankian, Eddie Vedder o, più vicino, del nostro Caparezza.
Jimi Hendrix
Nel 1954 toccò a Elvis
Presley incendiare
l’ingessato panorama
musicale. Poi i Beatles,
Bob Dylan, Hendrix,
Zappa e Vedder. Ma
la storia non è finita
LEGGERE
di Simonetta Bitasi
RIFLESSIONI SULLA MUSICA
FIRMATE DANIEL BARENBOIN
«Capire la musica non è meno essenziale
della comprensione
filosofica dell’umana
natura»: Daniel Barenboim torna a riflettere sulla musica. Sulla
musica che si fa, che
si legge, sulla musica
che si interpreta, sulla
musica che si ascolta. Sulla musica che interconnette, che stringe relazioni e le riempie di senso. Daniel Barenboim ha a cuore
una visione della musica in cui etica ed
estetica dialoghino continuamente.
La musica è un tutto. Etica ed estetica, di
Daniel Barenboim, Feltrinelli 2012, pp. 121,
euro 12.
PRIMO APPROCCIO DI QUALITA’
ALLA MUSICA CLASSICA
Musica per melomani in erba: i tre nuovi
e coloratissimi libri
cartonati con cd della Curci sono studiati
con cura e professionalità e sono davvero
quello che promettono. Un primo approccio di qualità alla
magia dei suoni e un emozionante percorso di scoperta, per cominciare a educare
l’orecchio in modo spontaneo e giocoso.
Per bambini da 0 a 5 anni.
AA.VV, Il mio libro illustrato dei suoni. Il
mio libro illustrato degli strumenti. Il mio
libro illustrato della musica, Curci 2012,
euro13,90 con CD audio.
UN BRAVO RAGAZZO, STORIA
DRAMMATICA DI UNA BAND
Il passato: gli anni Novanta e la miglior band
di Malasaha. Ma il
passato ha anche il
suono sinistro di un
farmaco, il roipnol, la
droga dello stupro. Il
presente è un pomeriggio d’inverno nel
quartiere di Fuencarral a Madrid quando i componenti della
band si rincontrano dopo dieci anni dal
drammatico evento che li ha fatti allontanare forse per sempre.
Un bravo ragazzo, di Javier Gutierrez, Neri
Pozza 2012, pp. 176, euro 15.
Se è BEETHOVEN
a fare la storia
Un romanzo completamente intriso di musica, tanto che ci si mette
quasi ad ascoltare i suoni che
sembrano uscire
dalle pagine. Dai
protagonisti, alla
struttura, dalle
vicende agli strumenti musicali,
il libro di Bruno
Pedretti farà felice gli appassionati di classica. Ma
incuriosirà anche chi conosce poco la musica, ma ama
le belle storie. Romanzo in
quattro tempi prende il via
a Vienna, nel 1827. Un’immensa e commossa folla rende l’estremo saluto al genio
di Ludwing van Beeethoven.
Il musicista e la sua Nona sinfonia saranno la colonna sonora e il filo di Arianna di tutto il racconto. Al funerale del
maestro conosciamo infatti il
timido adolescente Gerhard
von Breuning, innamorato della musica, di Cecile e sconvolto dalla morte del grande compositore
come da quella di un padre. Il secondo movimento ci porta a Tokyo, nel 1872. Mori Noboru rientra in Giappone dopo cinque anni
in Europa. Ha studiato la cultura
“barbarica” ed è uno dei più convinti fautori del nuovo. La filosofia
e le tecniche più moderne dovranno ispirare l’era inaugurata dall’imperatore Meiji, insieme alla musica
per pianoforte e alle sinfonie di Beethoven. Ci spostiamo poi a Berlino nel 1947. Il famoso direttore
d’orchestra Wilhelm Furtwangler
- reduce dall’umiliante “processo
di denazificazione” per aver diretto i Berliner Philharmoniker negli
anni hitleriani - giunge nella città
colma di macerie e sente che le om-
La sinfonia
delle cose mute
di Bruno Pedretti,
Mondadori 2012,
pp. 267,
18 euro
bre della storia continuano a soverchiarlo. Ed infine in una città del
Sudamerica nei primi anni Duemila il grande direttore d’orchestra Jonas Weger si sente alla fine dei suoi
giorni e cerca solo l’oblio del silenzio, quando la morte di due ragazzi nella notte di Natale lo scuotono
e lo portano a dirigere il suo ultimo
concerto con la Silencio Musical,
un’orchestra di ragazzi sordi. Ed è
a loro che il direttore intende consegnarsi dirigendo l’Inno alla gioia
con la lingua dei segni che diventerà così la più alta espressione della
musica del silenzio. La struttura e la
trama del romanzo sono più complesse da raccontare che da leggere.
Apprezzabile il tentativo di mutuare
il ritmo della storia dal timbro delle
sinfonie di Beethoven.
musicalmente
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IN PLATEA
«Suonare uno strumento è una grande gioia, lo consiglierei a tutti». Notare che questa volta a dirlo non è
un pianista, un direttore d’orchestra o un musicologo.
Sono le parole di un imprenditore di successo: Pietro
Domeneghini, 47 anni, amministratore delegato di
due aziende bresciane leader nel settore dell’arredobagno, ma anche sassofonista nel tempo libero, come
rivela in questa sua prima intervista sulla musica.
Quando ha iniziato a suonare il sassofono?
«Mio padre teneva appeso in soggiorno come un cimelio il sassofono contralto con cui il nonno suonava
nella banda di paese. Subivo il fascino di quello strumento e chiesi a un artigiano di restaurarlo. Ero solo
un ragazzino e sognavo di aver riesumato uno modello
pregiato con cui avrei potuto lanciarmi in straordinari
virtuosismi. In realtà si trattava di un sax mediocre e
io non ero John Coltrane, però mi si è spalancato un
mondo. L’amore per la musica è nato così. E con la
band a scuola».
Ci racconti.
«Al Liceo Classico “Arnaldo” di Brescia con alcuni
amici misi in piedi un gruppo. Ci chiamavamo i Sigma
6 in omaggio ai Pink Floyd. Ci suonavano due ragazzi
che poi avrebbero fondato una band molto famosa, i
Timoria: il cantante Omar Pedrini e il tastierista Enrico Ghedi».
Incontri musicali importanti?
«Quello con Sergio Malacarne che è stato prima tromba all’Arena di Verona e insegna al Conservatorio di
Brescia. Nel tempo libero ho suonato nella sua Società Filarmonica di Bagnolo Mella, abbiamo anche partecipato a dei concorsi internazionali: un’esperienza
che mi ha arricchito molto dal punto di vista culturale
e umano».
Trova ancora il tempo per suonare il sax?
«Non molto, ma non ci rinuncio. Anzi, mi piacerebbe imparare anche a suonare la tromba e il trombone che hanno una tecnica di emissione sonora ancora
più interessante».
I suoi ascolti musicali?
«Soprattutto il jazz, poi il repertorio barocco per lo
splendore sonoro dei fiati. I miei “classici” preferiti?
I Concerti Brandeburghesi di Bach e la Musica sull’acqua
di Haendel».
È riuscito a trasmettere questa passione alle sue figlie?
«Ci sto ancora lavorando (ride)! Marianna ha solo 9
anni, e Bianca 7: non voglio forzare le cose, però mi
piacerebbe che anche loro suonassero uno strumento. È un’esperienza che consiglierei a tutti i giovani».
Perché?
«Intanto perché le scuole di musica e le sale da concerto sono ambienti più “sani” per esempio dei centri
commerciali, dove tanti ragazzi purtroppo passano interi pomeriggi. La musica ha una marcia in più anche
rispetto allo sport: unisce le generazioni. Quando si
suona insieme l’età non conta, conta il piacere di condividere una passione».
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musicalmente
di Alice Bertolini
Pietro
Domeneghini
Suonare il SAX
grande gioia
da condividere
Parola di Pietro Domeneghini
imprenditore
bresciano leader nel settore
dell’arredobagno
che ha suonato con Omar Pedrini
ALLA GUIDA DI UN GRUPPO CON 180 DIPENDENTI
Piero Domeneghini nasce a Carpenedolo, Brescia, il 28
aprile 1965. Con i fratelli Luca e Marco guida il gruppo
Finaxis, fondato dal padre Alessandro nel 1980, specializzato nell’arredobagno.
Situata a Pavone Mella, nel cuore della bassa bresciana,
l’azienda si sviluppa su 20mila mq di superficie ed è suddivisa in 6 capannoni dove si eseguono tutte le fasi della
lavorazione del legno.
Conta su un organico di 180 dipendenti e su una rete di
distribuzione che copre tutto il territorio nazionale.
I marchi controllati dalla famiglia Domeneghini sono Cima
Arredobagno, specializzata nella produzione di mobili
per bagno, e Tda di San Gervasio Bresciano, leader in
Europa del settore bagno, specializzata in cabine doccia,
con sedi anche in Francia, Spagna e Portogallo.
In collaborazione con