IL CICLO DELLA DIFFERENZA Incomincia con la collaborazione di Oliviero Toscani e a partire dalle immagini della campagna del 1986, il lungo cammino della comunicazione Benetton verso il suo destino di sovvertimento degli stereotipi. I gruppi felici di giovani multirazziali lasciano il posto alla raffigurazione di “coppie” che mettono in scena un’interpretazione della differenza assolutamente nuova. Il termine “differenza” acquista in questo ciclo un significato polemico e oppositivo. La marca scopre che gestire la problematica della differenza all'interno di un procedimento di comunicazione non è poi così semplice. Spesso, cercare di accostare individui diversi può portare al conflitto invece che alla felicità e all'euforia. Numerose immagini di questo periodo mostrano l'applicazione di questo procedimento. Un'immagine mostra un'opposizione religiosa e politica (il palestinese e l'israeliano). Un'altra mostra un'opposizione religiosa e sessuale (il prete che abbraccia la suora) e un'altra ancora un'opposizione morale (gli stereotipi del male e del bene simboleggiati dall'angelo e dal diavolo). Tutte queste opposizioni si fondano su interdizioni, su un'impossibilità di coesistenza, su una differenza che separa invece che unire. Prendendo atto di queste diversità e divieti, la marca assume un tono più impegnato. Prende posizione, non si limita a fornire una semplice rappresentazione “oggettiva” del mondo: la marca si impegna ad assicurare la coabitazione di identità opposte, vuole abbattere le barriere e assicurare il dialogo. Il suo progetto diventa l'integrazione degli opposti, Benetton cerca l'unificazione delle differenze sotto un'unica bandiera, quella della marca. In questa fase, il “prodotto” scompare progressivamente dalle immagini pubblicitarie. Tradizionalmente, il discorso pubblicitario insiste sull'importanza del prodotto proprio nel cuore dell’annuncio. Questa presenza sarebbe necessaria per attribuire a una campagna un effetto commerciale reale. Benetton prende un'altra direzione, suggerendo che, una volta stabilite in modo chiaro l’identità della marca e la sua identità visiva, il prodotto diventa uno degli attributi della marca. Benetton sta diventando ormai un marchio presente in tutti i continenti. La popolarizzazione e la diffusione dei suoi prodotti reali - quelli che si possono acquistare negli oltre 5.000 negozi- si traduce paradossalmente nella scomparsa del prodotto dalla sua comunicazione. Torna su IL CICLO DELLA REALTÀ Dopo l'uguaglianza, dopo l'esaltazione delle differenze, Benetton affronta la realtà di ciò che è comune a tutti, di ciò che è proprio dell'Uomo in generale. Il dialogo instaurato da Benetton con i “consumatori” (che Benetton considera prima di tutto uomini e donne) acquista profondità. Nel 1991, in occasione della Guerra del Golfo viene realizzata questa immagine, la foto di un cimitero di guerra: Pubblicata su un solo giornale, in Italia, Il Sole 24 Ore, poiché tutti gli altri la rifiutarono, annuncia una frattura con le immagini precedenti. Lo stile diventa “realistico”, si introduce la profondità di campo, un pezzo di “vita vera” irrompe nell’universo edulcorato e falso della pubblicità. Questa unica foto provocherà centinaia di articoli in tutto il mondo. Alle opposizioni nei confronti dell’irruzione del tema della morte in pubblicità Benetton risponde con una nascita, la famosa immagine di un neonato ancora attaccato al cordone ombelicale. La foto della neonata Giusy vorrebbe essere un inno alla vita ma sarà una delle immagini più censurate nella storia della pubblicità Benetton. Nel tradizionale spazio pubblicitario, abitato da simulacri, l'irrompere della vita vera crea scandalo. In Italia, le proteste iniziano a Palermo, dove il Comune ingiunge alla Benetton di togliere le affissioni. A Milano, la censura è addirittura preventiva e il grande spazio di Piazza Duomo resta off-limits. Dopo arriva la condanna del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria, il Comitato di Autoregolazione della categoria per il quale la foto “non tiene conto della sensibilità del pubblico”. Critiche analoghe vengono espresse anche in Gran Bretagna, Irlanda e Francia. È singolare però l'itinerario di quest'immagine che, passato il periodo del rifiuto, comincia ad essere compresa ed apprezzata. Arrivano così il premio svizzero della Société Générale d'Affichage e la richiesta, da parte del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, di mettere la foto nella sala travaglio; questa stessa immagine, inoltre, viene esposta in Olanda, nell'ambito di una mostra dedicata all'iconografia della maternità nei secoli, al Museo Boymans-van-Beuningen di Rotterdam. A questo punto il linguaggio della comunicazione Benetton cambia radicalmente. Con la campagna del febbraio 1992, arriva lo scandalo planetario. Questa campagna è costituita da foto di agenzia che mostrano immagini drammatiche, reali: l'agonia di un malato di Aids, un soldato che bandisce un femore umano, un uomo assassinato dalla mafia, un’automobile incendiata, una nave presa d'assalto da emigranti. La foto di David Kirby ritratto nella sua stanza dell'Ohio State University Hospital nel Maggio del 1990 con al capezzale i familiari è della fotografa Therese Frare ed era già stata pubblicata come foto giornalistica in bianco e nero su Life magazine nel Novembre del 1990. Aveva già vinto nel 1991 il World Press Photo Award, ma è stato grazie all'utilizzo pubblicitario che Benetton ne ha fatto che questa foto ha raggiunto i media mondiali ed ha fatto discutere sul tema della morte per HIV. Tanto che oltre a vincere il premio dell'European Art Director Club per la miglior campagna del 1991, l'Infinity Award dell'International Center of Photography di Houston, e ad essere stata esposta in musei americani, francesi, italiani, svizzeri e tedeschi, nel 2003 la foto è stata inclusa nella raccolta Life 100 Photos that changed the world. I genitori di David, Bill e sua moglie Kay, parteciparono alla conferenza stampa indetta dalla Benetton alla Public Library di New York e mentre su quell'immagine il mondo si divideva tra accuse di cinismo e approvazione, e molte riviste avevano già rifiutato la pubblicazione, la madre di David disse: "Noi non abbiamo la sensazione di essere usati ma di usare la Benetton: David parla a voce molto più alta ora che è morto che non quando era vivo". Le foto del malato di Aids, del soldato e degli immigrati albanesi non sono state realizzate ad hoc per la campagna pubblicitaria, sono immagini di agenzia, di stile tipicamente giornalistico, utilizzate per reportage di attualità. Sono foto che riproducono il mondo “reale”, rientrano nelle convenzioni dell'informazione e introducono una nuova interessante domanda sul destino della pubblicità: si può usare il messaggio pubblicitario, l'enorme potenza dei budget impiegati in pubblicità, per instaurare con i consumatori un dialogo diverso dall’informazione sui prodotti? Chi ha stabilito che la pubblicità possa rappresentare soltanto l’assenza dei conflitti e del dolore?