> Gruppo AcegasAps < l'OASI DI VILLAVERLA iServizi Supplemento Iniziative per lo Sviluppo Sostenibile NUOVA EDIZIONE 2013 iQuaderni CONTENUTI 3 L'oasi di Villaverla un'area incontaminata 5 Dal pozzo all'acquedotto un lungo salto di qualità 6 I depositi alluvionali formarono la pianura padana 8 Il territorio è caratterizzato dalla presenza di risorgive 10 Disboscamenti e bonifiche hanno mutato il paesaggio 11 Coltivazioni vietate per salvaguardare le acque 12 Il bilancio idrologico nel bacino Leogra-Astico-Bacchiglione 14 Le piante acquatiche vegetano tutto l'anno 15 I fossi, ambiente ideale per la flora e la fauna 18 Il grande gelso un monumento vivente 19 Enorme il valore della zona umida a prato 20 Il bosco e i suoi abitanti 22 Gustosissime frittelle con i fiori del sambuco 23 Certificazione di qualità per il foraggio 24 Le erbe officinali dell'Oasi 30 Il laboratorio effettua più di 40 mila analisi l'anno Nelle pagine centrali l'illustrazione "Il ciclo dell'acqua" L'OASI DI VILLAVERLA UN'AREA INCONTAMINATA La sede del Centro idrico di Novoledo ospita anche il laboratorio chimico in cui si effettuano le analisi dell'acqua L’oasi naturalistica di Villaverla, chiamata da sempre “l’area delle vecchie sorgenti di Dueville”, si trova in località Novoledo, nel comune di Villaverla (Vicenza), un paese di quasi seimila abitanti che confina con Dueville. Di proprietà del Comune di Padova, l’Oasi si trova a pochi chilometri dal piede dei rilievi montuosi dell’altopiano dei Sette Comuni. Si estende nell’alta pianura vicentina su una superficie di 258.211 metri quadrati, poco meno di 26 ettari, corrispondenti a 67 campi locali. Ha una forma rettangolare con il lato più lungo, di circa 900 metri, disposto in senso nordsud, e il più corto, di circa 300 metri, in direzione est-ovest. Posta a una quota media di 52 metri sul livello del mare, all’interno del bacino pedemontano del LeograTimonchio-Astico e Bacchiglione, occupa una posizione a cavallo della cosiddetta “fascia delle risorgive”, dove avviene l’affioramento dell’acquifero sotterraneo. L’Oasi si trova a pochi chilometri dal piede dei rilievi montuosi dell’altopiano dei Sette Comuni 3 4 Dal pozzo all’acquedotto un lungo salto di qualità L’acquedotto di Padova, costruito a fine ‘800, ha origine nell’oasi di Villaverla. Prima di quella data la città di Padova si approvvigionava da pozzi freatici, le cui condizioni igieniche erano spesso molto scarse, sia per le modalità di costruzione dei pozzi stessi, sia perché la città era priva di fognature. Di conseguenza, erano frequenti le infiltrazioni nel sottosuolo di liquami, che andavano a contaminare le acque. Problema all’origine della facile diffusione di malattie intestinali quali tifo e colera. Nel 1878, a seguito di accurate indagini idrogeologiche, per la ricerca di un’area in cui fosse possibile captare acqua idonea all’uso potabile come fonte di approvvigionamento idrico per la città di Padova, venne individuata una zona ricca d’acqua nel vicentino. Dopo l’acquisto nel 1885 dei terreni che oggi costituiscono l’Oasi, la Società Veneta per Imprese e Costruzioni pubbliche dell’ingegnere Vincenzo Stefano Breda, ottenne l’appalto dei lavori per la costruzione del primo acquedotto padovano. Rispetto ad altre possibili fonti idriche, quali i fiumi Brenta e Bacchiglione, o le sorgenti di Oliero e di Camisino di Caltrano in provincia di Vicenza, la scelta fu dettata dai costi di costruzione delle condotte e dai risultati delle indagini microbiologiche, che individuarono nell’area di Dueville la soluzione ottimale. Tra il 1886 e il 1888 nell’area di prelievo furono infissi 131 pozzi Northon, con diametro di 60 millimetri ancora funzionanti, a una profondità tra gli 8 e i 25 metri, con bocca di efflusso a 2 metri sotto il piano campagna in modo da permettere un’erogazione spontanea. Con il passare del tempo però, la città si ingrandiva e con essa il suo fabbisogno idrico, tanto che negli anni 1970-1971 si rese necessaria la perforazione di altri due pozzi, profondi ben 130 metri e, nel 1991, si procedette alla costruzione di un ulteriore pozzo che raggiunge, in profondità, il prolungamento roccioso miocenico dell’Altopiano di Asiago. Risalita in superficie, l’acqua viene immessa in una condotta detta “canaletta”, all’interno della quale percorre circa 40 chilometri raggiungendo Padova per caduta, ossia sfruttando il dislivello altimetrico di 39 metri tra Dueville e la città. La condotta è un piccolo canale totalmente interrato, alto 110 centimetri e largo 78, a pelo libero, in cui nella parte superiore della sezione è presente l’aria; è costruita in calcestruzzo non armato e mattoni legati con cemento Portland. Dagli anni ‘50 del secolo scorso, per soddisfare la crescente richiesta idrica, è in funzione una seconda linea di trasporto che, con un diametro di 90 centimetri, è in grado di trasferire quasi il doppio di quantità d’acqua rispetto ai 40 milioni litri/ giorno della canaletta. Negli ultimi anni si è proceduto alla realizzazione di un’ulteriore condotta, in acciaio, di 130 centimetri di diametro, in grado di trasportare da sola 120 milioni di litri di preziosissima acqua al giorno. All’interno di questa condotta l’acqua non scorre più per gravità, ma viene spinta da elettropompe che riducono i tempi di percorrenza e eliminano i rischi di possibili contaminazioni. Una sofisticata rete di telecontrollo consente di conoscere in tempo reale l’insorgenza di eventuali alterazioni nelle condotte e di attivare immediate azioni di intervento. Oggi l’acquedotto serve circa 300 mila abitanti, con un consumo di circa 400 litri al giorno per persona (compresi gli usi industriali). 5 i depositi alluvionali La pianura vicentina, come la gran parte della Pianura Padana, è costituita da uno strato di depositi alluvionali dell’Era Quaternaria provenienti da fiumi e ghiacciai, che poggia sopra un basamento cristallino del Terziario. La presenza del materasso alluvionale cresce rapidamente a partire dalla zona di affioramento dello strato terziario fino a raggiungere circa 1.000 metri in corrispondenza della fascia costiera. Nel materasso alluvionale sono individuabili (partendo a ridosso dei rilievi prealpini) fasce di sedi- 6 mentazione con caratteristiche abbastanza omogenee che si sviluppano in direzione parallela rispetto al limite dei rilievi e alla linea di costa, e perpendicolarmente ai fiumi. Nell’alta pianura, a ridosso dei rilievi prealpini, si estende una fascia di 10-15 chilometri costituita da alluvioni ghiaiose praticamente indifferenziate fino al substrato roccioso. Le ghiaie, di natura prevalentemente carbonatica, contengono sabbia e una frazione più abbondante di materiali grossolani, raramente accompagnate da sottili inter- calazioni lentiformi limo-argillose; in alcune aree sono frequenti livelli ghiaiosi più o meno cementati. Successivamente, nella media pianura, le ghiaie diminuiscono verso sud sostituite da sabbie e argille. Il progressivo assottigliamento delle ghiaie e il conseguente passaggio da un materasso indifferenziato a una successiva alternanza litologicamente differenziata, avvengono da monte a valle in modo relativamente rapido e nel complesso abbastanza regolare. Alla differenziazione degli orizzonti grossolani dà riscontro l’aumen- formaRONO la pianura padana to rapido dei materiali fini argillosi e sabbiosi, che inglobano i livelli ghiaiosi. Lungo la fascia pedemontana il materasso ghiaioso indifferenziato alloggia in un’unica falda, a carattere freatico, con continuità laterale determinata dal contatto diretto tra i materiali grossolani permeabili delle varie conoidi alluvionali. Si tratta di un acquifero potente, abbondante, sfruttato intensamente per l’alimentazione di importanti industrie e di importanti acquedotti. La profondità della superficie della falda è massima a ridosso dei rilievi prealpini dove si trova compresa tra i 50 e i 150 metri sotto il piano campagna. La velocità di deflusso nell’Alta Pianura, valutata in alcuni punti mediante traccianti, mostra valori piuttosto elevati, fino a 5 metri al giorno. Verso sud la falda si avvicina progressivamente alla superficie del suolo, fino ad affiorare spontaneamente a giorno nei punti più bassi lungo una fascia praticamente continua, al passaggio tra l’alta e la media pianura dopo un percorso sotterraneo di 10-15 chilometri. È questa la fascia dei fontanili (o risorgive), caratteriz- zata dalla presenza di innumerevoli sorgenti, che danno origine a tutta una serie di corsi d’acqua. Nella media pianura si riscontra un sistema multifalde, formato da un acquifero freatico a debole profondità (questo però non sempre è presente), e da più falde in pressione, molte delle quali zampillanti. L’alimentazione di questo sistema idrologico dipende prevalentemente dalla dispersione in alveo che si verifica allo sbocco in pianura dei corsi d’acqua presenti (altri apporti di acqua sono la dispersione per irrigazione e le piogge). 7 IL TERRITORIO È CARATTERIZZATO DALLA PRESENZA DI RISORGIVE Le risorgive derivano dall’affioramento in superficie della falda freatica e costituiscono una delle caratteristiche ambientali più tipiche della pianura veneta, dove sono distribuite in una fascia ristretta: la fascia delle risorgive. Da secoli l’uomo sfrutta questo fenomeno idrogeologico mediante l’escavazione artificiale, sia di un canale vero e proprio, sia della “testa” dove si trovano le polle dei fontanili, per captare e convogliare le acque emergenti 8 naturalmente dal terreno. Le risorgive, analogamente a una “presa” di sorgente funzionano come “troppo pieno” del sistema idrogeologico che le alimenta. La conservazione degli ecosistemi coincidenti con le risorgive dipende anche dal mantenimento dell’equilibrio del sistema idrogeologico posto a monte. A determinare la grande produttività di questo sistema idrico sotterraneo non hanno concorso però solo fattori geologici, indispensabile è risultata anche la presenza di elementi idrologici e idrografici di notevole intensità, quali la quantità e la distribuzione temporale delle precipitazioni e le acque fluenti nel fitto reticolo di rogge e torrenti caratteristico di questa zona. Interrogato sulla ricchezza delle falde presenti nell’Alto Vicentino, il professore padovano Giorgio Dal Piaz disse: “… Le falde idriche della conoide alluvionale vicentina sono alimentate dalle acque dei torrenti che la attraversano, da quelle delle precipitazioni Profilo stratigrafico esemplificativo dell'alta pianura area urbanizzata pianura alto vicentino risorgiva corso d'acqua superficiale pozzi pozzo arenaria compatta strato di ghiaia e sabbia meteoriche e dallo scioglimento delle nevi, dall’acqua delle sorgenti carsiche sepolte ai piedi dei massicci montani calcarei, oltre ad acque provenienti dai bacini contigui. Tenuto conto di tutti questi contributi sarà facile rendersi ragione come la disponibilità idrica locale sia di non comune ingenza”. Negli ultimi anni, per il progressivo squilibrio nel bilancio idrogeologico e per i numerosi interventi sul territorio (escavazioni e urbanizzazioni), in diverse par- ti della pianura si è avuta una considerevole diminuzione delle portate o addirittura l'estinzione di alcune risorgive. Inoltre, esse sono sovente sottoposte a contaminazione sia di tipo puntuale, sia di tipo diffuso, a causa della percolazione di sostanze inquinanti e di nutrienti delle aree agricole circostanti. A ciò si sovrappone la spesso non adeguata manutenzione dei siti, che a volte viene effettuata in modo eccessivamente “energico”, con totale eliminazione della vege- strato di limo e argilla tazione naturale, a volte si dimostra invece deficitaria, e non in grado di contrastare il naturale processo di interramento. Quelle presenti lungo il percorso all’interno dell’Oasi di Villaverla sono risorgive di sbarramento: la risalita dell’acqua è dovuta alle variazioni di permeabilità in senso orizzontale che si realizzano con il graduale passaggio dai sedimenti fortemente permeabili caratteristici dell’alta pianura, a quelli più fini e meno permeabili tipici della bassa pianura. 9 DISBOSCAMENTI E BONIFICHE HANNO MUTATO IL PAESAGGIO Se potessimo tornare indietro nel tempo e osservare il territorio della pianura veneta, questa ci apparirebbe completamente ricoperta da un’unica e immensa foresta di latifoglie, interrotta solamente dai corsi dei fiumi e dei torrenti che la attraversano. Questa foresta, della quale abbiamo una approssimata raffigurazione attraverso lo studio dei pollini fossili, era costituita da querceti a farnia, in cui si potevano trovare esemplari di olmo, tiglio selvatico, acero campestre, nocciolo e carpino bianco o ancora, nelle zone più umide, il salice bianco, il pioppo, l’ontano nero e il frassino ossifillo. In questa consociazione vegetale aveva trovato ospitalità una fauna ricca di animali oggi rari o del tutto scomparsi dalle foreste planiziali quali il cervo, il capriolo, l’orso, il lupo, la lince, l’aquila reale, la gru e la cicogna. Quest’ambiente non fu però destinato a rimanere intatto per lungo tempo: già con gli insediamenti palafitticoli si hanno i primi disbo10 scamenti con la conseguente apertura di radure. Il periodo romano fu probabilmente quello che apportò più modifiche al paesaggio planiziale. Con le bonifiche e la costruzione di strade, le foreste subirono un notevole ridimensionamento, anche se ancora modesto rispetto alla situazione attuale. I Romani, infatti, erano soliti conservare e tutelare alcune porzioni di bosco sia in qualità di bene pubblico, “ager publicus”, sia in qualità di bosco sacro dedicato alle divinità o ai morti, ma anche semplice- mente come ulteriore demarcazione dei limiti di proprietà. Un breve momento di espansione per le foreste si verificò in concomitanza della crisi dell’impero romano, ma con l’arrivo dei Longobardi, poiché fu concessa la libertà di taglio, si verificò un ulteriore ridimensionamento. Solo i boschi che costituivano le riserve di caccia furono salvaguardati al tempo di Carlo Magno, quando la caccia era il passatempo preferito dei nobili. Tra il X e l'XI secolo la tendenza al disboscamento è continuata: iniziata nel territorio dai monaci benedettini, la bonifica degli ambienti paludosi della fascia delle risorgive e l’uso agricolo non ebbero più fine; anzi, dal 1800 si passò ad una vera e propria agricoltura intensiva. Oggi, guardando il territorio della pianura veneta, questa ci appare completamente ricoperta da campi coltivati intensivamente, paesi sviluppati senza un preciso disegno, torrenti e fiumi che vengono fatti passare dove è più conveniente per l’uomo. COLTIVAZIONI VIETATE PER SALVAGUARDARE LE ACQUE L’intervento dell’Azienda regionale delle foreste (oggi Veneto Agricoltura) si identifica in sei azioni di riqualificazione ambientale: • Quando, nel 1885, le risorgive di Dueville vennero individuate come possibili fonti di approvvigionamento idrico per la città di Padova, furono acquistati anche alcuni terreni attorno ai pozzi in modo da garantire un’adeguata fascia di rispetto. Fino alla metà degli anni ‘70, l’area delle sorgenti è stata gestita con pratiche colturali del tutto simili a quelle utilizzate nelle terre circostanti e le uniche differenze consistevano nella conservazione, per motivi estetici e naturalistici, di alcuni elementi peculiari del paesaggio agrario, quali la rete idrica superficiale, i prati umidi e i piccoli boschetti planiziali, che stavano invece scomparendo dal resto della pianura. Per salvaguardare la qualità delle acque contenute nell’acquifero sotterraneo, si abolì allora, in tutta l’area, ogni forma di coltivazione e concimazione, anticipando ciò che più tardi fu reso obbligatorio per legge nel 1988. L’area andò quindi incontro a un progressivo inselvatichimento che limitava anche la stessa fruibilità. In particolare le vecchie capitozze dei salici, dei pioppi e degli aceri campestri, senza un provvidenziale intervento di manutenzione, avrebbero rischiato di schiantare, sotto il peso dei loro polloni, i rovi avrebbero invaso vaste aree e la sopravvivenza dei piccoli lembi di bosco planiziale sarebbe stata messa a dura prova. Nel 1990, quindi, l’Amag, divenuta parte di AcegasAps, incaricò l’Azienda regionale delle foreste, (Arf ), oggi Veneto Agricoltura, di predisporre un progetto organico di sistemazione dell’intera area in modo da associare una positiva evoluzione ecologica al mantenimento di un paesaggio piacevole. Oggi, a progetto completato, l’area presenta elevati valori naturalistici oltre che estetici e didattici che, se da una parte hanno rilevanza nazionale, in quanto costituiscono un esempio di lungimirante gestione e sensibilità ecologica, dall’altra le hanno conferito a pieni voti il titolo di “Oasi Naturalistica”. • • • • • creazione nella parte meridionale dell’area di un bosco planiziale a farnia, carpino bianco, acero campestre, frassino ossifillo, ontano nero, salice bianco e pioppo nero con il relativo corredo di arbusti, per un’estensione di circa 10 ettari; modifica della composizione, struttura e trattamento delle vecchie siepi ripariali, sostituendo le capitozze di salice bianco e pioppo nero con aceri, carpini, querce e farnie, il tutto governato ad alto fusto; creazione di nuove siepi, sia per completare il reticolo delle stesse, sia per ottenere un sistema a “campi chiusi”; conservazione degli ultimi elementi della piantata padana (filari di aceri campestri che sostenevano le viti); modifica delle modalità di coltura dei prati stabili; recupero della rete dei “gatoj”, cioè delle piccole rogge alimentate dalle acque di risorgiva. 11 BILANCIO IDROLOGICO nel bacino Leogra-Astico-Bacchiglione L’acqua contenuta in un serbatoio sotterraneo è una risorsa rinnovabile grazie alla ciclicità dei processi idrologici continuamente in atto. In un anno idrologico gli afflussi e i deflussi di un acquifero possono essere rappresentati da un’equazione di bilancio, che considera: precipitazioni, dispersioni dei corsi d’acqua, afflussi e deflussi delle acque sotterranee, deflussi attraverso risorgiva, emungimenti, perdite dei sistemi irrigui. Il sistema idrologico si mantiene in equilibrio quando afflussi e deflussi conservano valori simili nel medio-lungo periodo. A provocare variazioni nella falda concorrono fattori naturali, come la diversa distribuzione (nell’arco dell’anno) delle precipitazioni meteoriche e fattori antropici: ne sono un esempio la progressiva impermeabilizzazione dei corsi d’acqua (che riduce le dispersioni in alveo), la cementificazione del suolo (che diminuisce le infiltrazioni delle acque piovane e irrigue) e i prelievi dai pozzi (che sottraggono sempre più acqua dalla falda e ne abbassano il livello). La variazione dei fattori di alimentazione idrica ha conseguenze importanti sul regime della falda sotterranea che viene messo in evidenza dalle oscillazioni del livello dell’acqua nei pozzi. Risulta perciò di fondamentale importanza monitorare i livelli di falda. Nel bacino Leogra-AsticoBacchiglione questa attività viene effettuata utilizzando una rete di circa 80 pozzi di controllo, per una ventina dei quali il monitoraggio è effettuato in modo automatico. Considerando gli ultimi quarant'anni, si nota nel bacino idrologico dell’Alto Vicentino, una diminuzione dei fattori in entrata e un aumento di uno dei fattori in uscita (l’emungimento). Come conseguenza sono diminuiti il livello medio della falda e i deflussi di risorgiva. Andamento del livello di falda Pozzo 27 - Caldogno 56 55 54 m s.l.m. 53 52 51 50 49 48 1971 12 1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 anno 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 Impermeabilizzazione del suolo alla fine dell’Ottocento alla fine del Novecento La superficie urbanizzata nell'alta pianura vicentina costituisce oltre il 35% del territorio, con punte che superano il 40% nel triangolo Schio-Thiene-Zanè e che sfiorano il 60% nel bassanese Il grafico a fianco rappresenta l’andamento del livello di falda misurato, nel periodo 1971-2009, in un pozzo particolarmente significativo, situato a Caldogno, profondo 12 metri dal piano campagna e a una quota di 57,52 metri sul livello del mare. La linea di tendenza evidenzia l’abbassamento medio della falda nel periodo di osservazione, con una diminuzione di circa 1,2 metri del suo livello, corrispondente a un abbassamento medio di circa 3 centimetri all’anno. è perciò necessario razionalizzare e ottimizzare l’uso dell’acqua, evitando gli sprechi sia nelle nostre case, sia nell’ambito delle attività lavorative, mettendo in pratica ogni accorgimento per risparmiare la preziosa risorsa idrica. A tale scopo, è, non solo auspicabile, ma soprattutto indispensabile che sia posto rimedio ai pozzi a perdere. Difatti, in una decina di comuni attorno a Vicenza, compreso il capoluogo, sono stati censiti oltre 8.000 pozzi, dei quali circa 2.500 a efflusso libero, cioè con acqua a perdere. La quantità d’acqua sprecata in questo modo è calcolata in 30 milioni di metri cubi all’anno, l’equivalente del fabbisogno di una città di oltre 150 mila abitanti, nonostante esistano due ordinanze del Genio Civile di Vicenza (1993 e 2000) che prescrivono la regolazione dei pozzi e la chiusura delle fontane, come anche ribadito in tempi più recenti dal Piano di Tutela Acque della Regione Veneto (novembre 2009). 13 LE PIANTE ACQUATICHE VEGETANO TUTTO L'ANNO La risorgiva viene definita idrologicamente come il punto della superficie terrestre in cui riaffiora l’acqua contenuta nell’acquifero sottostante. La sua presenza, in questa particolare zona della pianura vicentina, è spiegata dalla discontinuità stratigrafica del sottosuolo. All’interno dell’Oasi di Villaverla sono presenti quattro risorgive (Bojona, Albera, Zanini e Beverara), più una risorgiva su cui è stato costruito il fabbricato “Sorgenti”, dove una cinquantina di pozzi alimentano continuamente l’acquedotto. Tra le proprietà e le caratteristiche di quest’acqua oligominerale è da segnalare la temperatura costante per tutto l’anno: racchiusa nell’acquifero sotterraneo per un tempo variabile da alcuni mesi 14 a qualche anno, la risorsa idrica viene a giorno con una temperatura compresa tra i 13 e i 14 gradi centigradi. Hanno approfittato di questa costante termica alcune piante acquatiche che possono vegetare per tutto l’anno e, dunque, sono osservabili in qualsiasi stagione si decida di visitare l’area. Una specie che si trova abbondante in questi ambienti lungo i “gatoj” e i fossati è il Crescione, Nasturtium officinale. Il nome Nasturtium (dal latino nasi tortium, naso storto) deriva dall’odore pungente della pianta, le cui foglie composte, imparipennate, rimangono verdi per tutto l’anno: erano conosciute fin dall’antichità. Già nel 1650 il crescione era usato dagli erboristi per combattere lo scorbuto, e dal 1808, si cominciò anche a coltivarlo e a commercializzarlo sia come insalata, sia come coadiuvante nella cura di anemie, dato il grande contenuto di vitamine A e C e di elementi come il ferro, lo zolfo e lo iodio. Altra pianta acquatica, galleggiante, facilmente riconoscibile, che vegeta nelle acque di risorgiva, è la lenticchia d’acqua, Lemna minor L. La sua struttura è molto semplice: la parte galleggiante verde, simile alla lenticchia edule, si moltiplica per gemmazione, mentre la parte sommersa è sempre costituita da una sola radice. I fiori sono piccolissimi e difficilmente osservabili, ma, come la specie precedente, popolano tutto l’anno le acque dell’intero reticolo idrografico dell’Oasi. I FOSSI, AMBIENTE IDEALE PER LA FLORA E LA FAUNA Forse più conosciuto con il nome dialettale di “marsone”, lo scazzone, Cottus gobio, proprio per la sua importanza nell’indicare la purezza delle acque dell’oasi, si è meritato il titolo di simbolo dell’area naturalistica Dalle polle di risorgiva prende vita un fitto reticolo di fossi, o meglio di “gatoj”, che nel gergo volgare di un tempo, venivano distinti dai primi perché in essi scorreva solo acqua di risorgiva e venivano tutelati da una serie di leggi non scritte che ne limitavano l’accesso e l’utilizzo. All’interno dell’oasi questi “gatoj”, che si sviluppano complessivamente lungo una rete per circa 4,5 Km, offrono l’ambiente ideale di vita per una flora e una fauna particolare. Soprattutto per quanto riguarda il modo animale, nelle acque dei “gatoj” si possono identifi- care delle specie definite bioindicatori: quegli animali la cui presenza o assenza ci permette di comprendere lo stato qualitativo dell’ambiente. A garanzia della limpidezza, della freschezza e della ricchezza di ossigeno di queste acque di risorgiva troviamo la trota e lo scazzone: quest'ultimo più conosciuto con il nome dialettale di “marsone”, indica la purezza delle acque dell’oasi, meritandosi il titolo di simbolo dell’area naturalistica. Ha una forma tozza, vive nelle acque poco profonde ed è difficile da scorgere perché se ne sta, per la maggior parte del tempo, nascosto sotto le pietre o la ghiaia del fondo, ma sempre molto attento e pronto a tendere un agguato all’eventuale preda, pesce o insetto, di passaggio. La sua colorazione corporea muta con il variare del fondo su cui è posato rendendolo ulteriormente difficile da scorgere: ciò nonostante non è rimasto indenne alla pesca di frodo, essendo la sua carne molto gustosa e ricercata. La sua scelta a simbolo dell’oasi è dovuta sia alla sua importanza ecologica, sia al fatto che la sua presenza numerica sta drasticamente diminuendo. 15 IL GRANDE GELSO UN MONUMENTO VIVENTE L’Oasi custodisce un monumento vivente: si tratta di un grande gelso (Morus alba L.) che ha trovato all’interno dell’area naturalistica un ambiente ospitale in cui poter crescere e svilupparsi nello spazio con armonia, per raggiungere lo spettacolare portamento che oggi affascina i visitatori. Questa specie, messa a dimora lungo i confini dei campi o delle proprietà, veniva coltivata per la qualità del suo legno che non marcisce a contatto dell’acqua, e per le sue more, molto zuccherine, e utilizzate dalle massaie per produrre confetture e sciroppi. Affascinante è la storia di questa pianta le cui foglie hanno nutrito i bachi da seta, garantendo alle genti di queste campagne la sopravvivenza, grazie all’attività commerciale derivante dalla vendita del pregiato tessuto. Il gelso è una specie importata dall’oriente nel 1601 assieme al baco da seta, ovvero il bruco della farfalla notturna Bombyx mori. Tutti i bruchi si nutrono esclusivamente delle foglie del gelso bianco e, raggiunta la maturità, prima 18 di diventare farfalle, si racchiudono in un bozzolo, intessuto di un unico filo di seta che raggiunge quasi un chilometro di lunghezza. La seta viene prodotta da speciali ghiandole, che in altri insetti producono invece la saliva, e assume l’aspetto filamentoso in quanto deve uscire forzatamente attraverso una piccola apertura subito dietro la bocca. Una volta sviluppato, l’insetto esce dal suo bozzolo rompendolo e quindi rendendo inutilizzabile la seta. Per ovviare a questo inconveniente, i contadini avevano imparato a mettere i bozzoli in un essiccatoio per alcuni giorni, dove l’alta temperatura uccideva i costruttori racchiusi all’interno, impedendo quindi la rottura del filo di seta. Questo veniva ottenuto srotolando in acqua il bozzolo (compito che spettava alle donne). Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, però, a causa della concorrenza delle fibre artificiali, questo tipo di coltura (bachicoltura) declinò e gli stessi alberi furono decimati. Pochi sono gli esemplari rimasti nella pianura circostante sia perché l’interesse per queste piante è andato diminuendo, sia perché gran parte delle piantate non è stata sostituita alla morte degli alberi; nell’oasi se ne possono osservare solo una decina, facilmente identificabili per la forma arrotondata della chioma, alcuni dei quali sono secolari. ENORME IL VALORE DELLA ZONA UMIDA A PRATO Nella parte meridionale dell’Oasi è presente un molinieto, ovvero una zona a prato il cui terreno è piuttosto umido e in cui è molto abbondante una graminacea, Molinia caerulea, da cui prende il nome. È un tipo di vegetazione endemico della pianura padana orientale, tipico del tradizionale paesaggio colturale legato all’ambiente di risorgiva, reso stabile e ricco floristicamente grazie al drenaggio e allo sfalcio. Un tempo molto estesi e diffusi perché il prodotto dello sfalcio si utilizzava per la lettiera del bestiame, i molinieti sono oggi divenuti assai rari in seguito alle modificazioni dell’agricoltura e all’abbandono delle pratiche colturali. In particolare, il molinieto dell’oasi risulta fortemente isolato in quanto circondato da coltivi e centri abitati, e lontano da altre comunità vegetali simili. I molinieti hanno però un elevato valore naturalistico e biogeografi- co: ospitano infatti specie vegetali di particolare interesse naturalistico perché sono specie tipiche di ambienti freddi che scesero in pianura durante l’ultima glaciazione e, al ritiro dei ghiacciai, trovarono in queste aree un habitat-rifugio idoneo. Molte specie legate a questi ambienti sono attualmente inserite nelle Liste Rosse Regionali e nel Libro Rosso Nazionale delle specie minacciate di estinzione. Nell’area a molinia sono presenti alcune polle di risorgiva, che garantiscono, durante il corso dell’anno, la presenza di acqua piuttosto fredda, povera di carico organico e con pH da neutro a debolmente alcalino, caratteristiche che condizionano il microclima e il chimismo del substrato e dell’area. Infatti si verifica un rallentamento della decomposizione dei resti vegetali e animali, dando luogo, nel tempo, a un accumulo degli stessi sotto for- ma di torba. Attorno alle polle si sviluppa quindi una vegetazione caratteristica, in cui si riconoscono Cladium mariscus (un’elevata ciperacea che forma quasi un canneto) e Schoenus nigricans (una ciperacea più piccola che contribuisce alla formazione della torba); nella zona a prato si trovano altre specie pregevoli come Carex flava, C. lepidocarpa e Plantago altissima. Solitamente nelle zone umide a prato sono frequenti anche le orchidee; purtroppo nel molinieto è stata riscontrata solo la presenza di Listera ovata, a testimoniare come l’abbandono delle pratiche colturali impoverisca, in questo ambito, la vegetazione. Altre specie tipiche, quali Gentiana pneumonanthe, Gladiolus palustris e Allium suaveolens, sono state reintrodotte negli anni 1996-97 nell’ambito di un progetto di recupero e riqualificazione ambientale del molinieto. 19 IL BOSCO E I SUOI ABITANTI PADRONI INDISCUSSI DELL'AREA Nel bosco creato dall’uomo hanno trovato riparo molti animali, soprattutto uccelli che risultano più facili da vedere e udire, rispetto ai mammiferi, come i caprioli, maggiormente intimoriti dalla presenza umana. Molti sono gli uccelli che scelgono questa zona come area di sosta durante le migrazioni o lo svernamento, ma c’è anche un buon numero di specie che vi nidificano permanentemente. Gli uccelli 20 che popolano il bosco possono essere classificati in alcuni piccoli gruppi con caratteristiche comuni: - uccelli rapaci diurni (poiana, falco pecchiaiolo) e notturni (allocco, gufo, civetta); - uccelli che nidificano nelle cavità degli alberi (picchio, cinciallegra e torcicollo); - uccelli che mangiano i semi degli alberi del bosco (frosone, lucherino); - uccelli di piccole dimensioni, ma con voce potente che si fanno sentire senza esitazione (scricciolo e regolo). D’inverno, quando gli alberi sono privi di foglie, è possibile osservare i nidi, mentre in primavera ed estate la presenza degli uccelli è confermata dai canti che risuonano tra gli alberi. Non di rado capita di scorgere caprioli tra la vegetazione. La stagione migliore per osservare questi animali è la primavera, quando escono di buon’ora dal bosco e si disperdono nelle radure per brucare i primi germogli. Anche nel bosco possiamo osservare dei segni che ci testimoniano la loro presenza, dalle impronte ai giacigli nell’erba. Interessante è il verso del capriolo, poiché questa figura così graziosa ed elegante emette suoni rauchi e gutturali. Di solito il capriolo è silenzioso durante il giorno e solo di sera o prima dell’alba può reagire emettendo suoni paurosi se si accorge della presenza umana nel suo territorio. Tra gli abitanti del bosco quelli che vivono sottoterra sono organismi essenziali perché riportano in circolazione elementi e sostanze che altrimenti non potrebbero essere più utilizzati. La demolizione della sostanza organica morta è compiuta da diversi organismi, milioni d’insetti, lombrichi, funghi e batteri che intervengono in diversi momenti anche secondo il grado di decomposizione della materia. Questa azione di smontaggio comporta la restituzione, e quindi la possibilità di riutilizzo, di sostanze come l’acqua e l’anidride carbonica e altri elementi indispensabili per la crescita delle piante che poi, a loro volta, costituiranno nutrimento per la fauna. Nell’ambito della convenzione stipulata con l'Azienda regionale foreste, oggi Veneto Agricoltura, per la gestione ambientale dell’intera zona, è stato ricostruito, per la prima volta nel Veneto, un bosco planiziale, un tratto di quell’ecosistema di grandissimo valore scientifico, naturalistico ed estetico eliminato per far spazio ad aree urbane e colture. Sono state utilizzate le essenze tipiche dei boschi planiziali padani con dominanza di farnia, acero campestre e carpino bianco, accompagnate da frassino maggiore (fraxinus excelsior), ontano nero e salice bianco. 21 Gustosissime friTtelle con i fiori del sambuco Anche gli insetti trovano nutrimento nel sambuco, pianta importante in generale per l’intera fauna selvatica Tra le piante che si possono osservare nell’Oasi e che stanno scomparendo, invece, dalla circostante campagna, possiamo citare il sambuco, Sambucus nigra L. Facilmente riconoscibile per le foglie composte imparipennate (cioè formate da un numero dispari), questo arbusto diventa ancora più appariscente durante il periodo della fioritura, dalla tarda primavera alla tarda estate. I suoi fiori bianchi, organizzati in voluminose infiorescenze dette corimbi, colorano le siepi ripariali 22 e campestri e caratterizzano con il loro forte profumo l’aria di campagna. Un tempo l’uomo utilizzava questi fiori in cucina trasformandoli in gustose frittelle, mentre con le bacche derivanti dalla maturazione del fiore stesso, ricavava distillati e marmellate. Anche gli insetti trovano nutrimento nel sambuco, pianta importante in generale per l’intera fauna selvatica: ma più di tutti ha sviluppato un rapporto di preferenza con l’arbusto, la Cetonia aurata, insetto appartenente alla famiglia degli Scarabeidi, annoverata nell’ordine dei Coleotteri. Viene definita dorata perché il suo esoscheletro cangiante emana riflessi dorati. Nelle calde giornate soleggiate, a partire da maggio, questo insetto si consente delle lunghe permanenze sulle infiorescenze del sambuco, succhiandone il dolce nettare e spostandosi solo per raggiungere un nuovo fiore, sempre scaldato dal sole, dopo un breve volo a elitre chiuse. Certificazione di qualità per il foraggio dell'Oasi Secondo il progetto iniziale di riqualificazione dell’area, la riforestazione avrebbe dovuto interessare in maniera completa l’Oasi, al fine di ridare naturalità a un ambiente provato dalla presenza dell’uomo e soprattutto per proteggere la ricchezza idrica presente nel sottosuolo. Un successivo studio sulla vegetazione dell’area aveva messo in evidenza la presenza di altre comunità vegetali di notevole pregio, la cui gestione non contraddiceva la necessità di salvaguardare l’acquifero sottostante. Così i prati stabili non solo presentano elevati valori naturali ed estetici, ma allo stesso tempo creano un maggior grado di diversità ambientale. Per tutelare in maniera completa la qualità delle acque, nel 1970, si fece cessare l’uso agricolo delle superfici a prato, abolendo qualsiasi forma di concimazione e l’utilizzo di diserbanti. L’erba che non è venuta a contatto con nessun elemento chimico, quando viene tagliata è utilizzata da una fattoria della zona come alimento per le vacche. A differenza dei prati nella campagna circostante, iperconcimati, ormai monospecifici, i prati stabili, non solo presenteranno un aspetto sempre piacevole, ma allo stesso tempo sono stati arricchiti delle specie tipiche dei prati magri e offrono occasioni di vita per gli animali. Non essendo inoltre più sottoposti al calpestio e all’attività di pascolo, queste superfici prative sono l’unico habitat per alcune erbe ormai scomparse e dimenticate. La Selvastrella minore, Sangui- sorba minor scop, una volta molto diffusa, è oggi relegata negli spazi che l’uomo non lavora. Il nome “sanguisorba”, letteralmente “assorbitrice di sangue”, deriva dal colore rossastro dell’infiorescenza e dalla capacità antiemorragica che le veniva attribuito. Particolare in questa pianta è il fiore di forma ovale, che nella parte più bassa ospita i fiori maschili che fioriscono prima di quelli femminili ed ermafroditi, collocati nella parte più alta. Il diverso momento della fioritura è un espediente teso ad evitare l’autoimpollinazione. Un’altra pianta degna di nota è la Scorzonera humilis L., composita oggi esclusivamente montana e assai rara in pianura, ma dove un tempo, probabilmente prima delle bonifiche, era invece comune. 23 Le erbe officinali dell’oasi acetosa alchechengio crescione fragola issopo malva melissa menta orticone meliloto raponzolo ranuncolo farfara ruta dente di leone polmonaria Le erbe officinali presenti nell’Oasi di Dueville sono rappresentate prevalentemente da specie autoctone tipiche delle zone delle risorgive, ambienti ricchi di acqua superficiale e profonda, non inquinata e non stagnante; infatti l’esistenza della pianta di Crescione rivela questa felice situazione che giustifica i prelievi d’acqua utilizzati per alimentare l’acquedotto di Padova. Altre specie sono sopravvissute alle pratiche agronomiche in quanto cresciute nelle superfici improduttive (tare) non danneggiate dalle arature, concimazioni e trattamenti con diserbanti. Proprio queste specie descritte in 16 riquadri si prestano per ricavare infusi, decotti, macerati, oleoliti e distillati vari per cure naturali a uso familiare. L’abbandono delle pratiche agricole all’interno dell’Oasi, voluto alcuni decenni fa, ha poi consentito la diffusione di alcune specie subspontanee, trasportate dal vento come il Tarassaco (pissacan) o dagli insetti, tra cui citiamo la Polmonaria. Nell’area un tempo coltivata a vite “maritata” all’Acero troviamo il “rampusso”, tipica erbetta invernale che ben si consocia ad altre piante officinali diffuse nelle aree abbandonate (ex arativo). Per mancanza di spazio questa indagine non ha potuto passare in rassegna molte altre piante officinali catalogate come arbusti e piante arboree alte 20-30 metri, esistenti nell’Oasi. acetosa o lapaton Rumex Acetosa L. Famiglia: Poligonacee 24 Parti utilizzate Foglie e fusti freschi raccolte nei mesi primaverili. Principi attivi Tutta la pianta contiene 1,3% di ossalato di calcio, oltre a derivati antracenici e vitamina C. Proprietà terapeutiche La pianta è usata come diuretico e lassativo. Cure naturali Usata allo stato fresco come l’insalata in quantità modesta non superiore a 10 gr giornalieri; viene pure utilizzata per infusi e decotti nelle dosi di 10-20 gr/litro. Uso esterno Il succo fa scomparire le macchie di succo di frutta; azione imputabile all’acido ossalico contenuto in elevata percentuale. Controindicazioni Sconsigliata a chi soffre di calcoli renali. Curiosità e avvertenze L’acetosa, nell’alimentazione entra come componente del “brodo d’erbe” con lattuga, spinaci e bietole. Pianta molto apprezzata da greci e romani a loro nota con i nomi di Lapaton e Laphatum. Evitare l’uso eccessivo di Acetosella per la presenza dell’acido ossalico: per cui, conviene consultare il medico o l’erborista per stabilire il dosaggio. alchechengio palloncini giapponesi Physalis alchechengi L. Famiglia: Solanacee Parti utilizzate Le bacche senza i loro calici (palloncino giapponese) raccolte nel periodo autunnale. Principi attivi La pianta contiene un alcaloide (droga) e una sostanza amara: la fisalina. La bacca di color rosso ciliegia è ricca di vitamina C. Proprietà terapeutiche La bacca è diuretica, sudorifera, lassativa e rinfrescante. Cure naturali Un uso frequente consiste nel far macerare le bacche nella grappa; la bevanda è considerata un rimedio per i disturbi renali, le ritenzioni urinarie e l’artrite. Controindicazioni L’Alchechengio non va confuso con la Belladonna (Atropa belladonna L.), pianta a bacche rosso cupo, molto tossica. Curiosità e avvertenze La pianta recisa con i caratteristici palloncini rossi presenta aspetti molto decorativi. Con la pianta si ottiene un vino diuretico. CRESCIONE NASTURZIO ACQUATICO Nasturtium officinale L. Famiglia: Crocifere Parti utilizzate La pianta intera fresca raccolta in prevalenza nei mesi da maggio a luglio. Principi attivi La pianta contiene un olio essenziale e un glucoside che per idrolisi dà l’isotiocianato di benzile. Proprietà terapeutiche è antibiotico, depurativo del sangue, diuretico e febbrifugo. Cure naturali Il macerato è ottenuto con 50 gr di pianta in mezzo litro d’acqua per 2 o 3 ore. Preso 1 o 2 tazze al giorno cura il tabagismo. Il succo preso 30-120 gr al giorno lenisce gli stati influenzali. Uso esterno La lozione viene consigliata nei casi di caduta dei capelli. Controindicazioni Nel caso di Crescione utilizzato come diuretico è opportuno interrompere la cura se si dovesse verificare una irritazione dolorosa della vescica. Curiosità e avvertenze Le piante coltivate, presentano le stesse proprietà delle piante spontanee. Il tabacco messo nel succo del crescione viene denicotinizzato. Questa pianta è una delle più efficaci usate in fitoterapia. DENTE DI LEONE Taraxacum officinale L. Famiglia :Composite TARASSACO Parti utilizzate Le radici si raccolgono da maggio a giugno, le foglie in primavera. Principi attivi La radice e il lattice del fusto contengono un principio amaro, la lattupicrina, con tannino, inulina e caucciù. Proprietà terapeutiche è un tannino amaro, diuretico, che aumenta le funzioni dello stomaco e favorisce la secrezione del latte. Cure naturali Decotto di radici spezzettate 50-60 gr di radici su un litro d’acqua e fatte bollire per mezz’ora. Serve per depurare il sangue e per i disturbi del fegato; Il succo, ottenuto con 20-40 foglie fresche, esercita azione vitaminizzante e serve a far scomparire foruncoli e rossori. Uso esterno Il decotto trova uso esterno nella cura degli eczemi. Controindicazioni Nessuna ed è un noto diuretico: è chiamato “piscialetto”. Curiosità e avvertenze Il Tarassaco detto anche "pissacan" figura in tutti i trattati erboristici del Medioevo. I fiori si aprono con il sorgere del sole. I suoi semi possono volare trasportati dal vento. 25 ISSOPO Hyssopus officinale L. Famiglia: Labiate pianta di San Marco Parti utilizzate Sommità fiorite raccolte nel periodo estivo a partire dal giorno di San Marco (25 aprile). Principi attivi La pianta contiene un olio volatile, un glucoside e tannino. Proprietà terapeutiche L’issopo è tonico, stomachico, carminativo, astringente ed emnegagogo. Cure naturali Infuso di parti aeree: 8-10 gr in un litro di acqua bollente per 30 minuti. Polvere 2 gr per dose mescolato a miele e preso due volte al giorno cura l’asma. Sciroppo 50 gr di infiorescenze, 200 gr d’acqua e 800 gr di zucchero. Uso esterno L’infuso si adopera per rinfrescare e far brillare gli occhi e per tonificare le guance. Controindicazioni I vari preparati possono provocare convulsioni e disturbi ai soggetti nervosi; per cui la prescrizione dev’essere sempre fatta dal medico o dell’erborista. Curiosità e avvertenze La pianta è citata nei Testi Sacri e nella la Bibbia. Con altre 17 piante l’issopo entra nella composizione del thè svizzero. MALVA o NALBA Parti utilizzate Le foglie e i frutti raccolti da giugno a settembre. Malva silvestris L. Famiglia: Malvacee Principi attivi Le foglie contengono tracce di vitamine A, B1, B2 e C; inoltre troviamo mucillagini particolarmente concentrate nei fiori. Il fiore è colorato dal malvidolo di colore malva (idrosolubile). Proprietà terapeutiche Emolliente, placa i tessuti irritati dalle malattie dell’apparato respiratorio. Risulta leggermente astringente e stimolante dell’intestino con effetti lassativi. Cure naturali Infuso di parte aerea: 50-75 gr/litro. Si consuma per curare la bronchite e la tosse su prescrizioni del medico o dell’erborista. Uso esterno Infusi e decotti si adoperano per effettuare clisteri rettali o per lavaggi catarrali degli occhi. Controindicazioni I fiori si decolorano alla luce, per cui la loro conservazione risulta difficile. Curiosità e avvertenze Dal VIII secolo a.C. la Malva è usata come rimedio medicamentoso. Un piatto di malva bollita con spinaci selvatici, chenopodio e ortica, risulta molto gustoso e rimedio per tutti i mali. orticone Urtica dioica L. Famiglia: Orticacee 26 Parti utilizzate Radici, pianta intera aerea e semi raccolti rispettivamente nei mesi invernali, estivi e autunnali. Principi attivi Le foglie contengono una sostanza istaminica, acido formico, silice, potassio, tannino, glucochinina, clorofilla e vitamina A e C. Proprietà terapeutiche È emostatico, antianemico, antidiabetico, diuretico, depurativo e galattogeno, per le ostruzioni del fegato e della cistifellea. Cure naturali Tisane con foglie fresche: Infuso e decotto diuretico con gr 100/litro trattati con acqua o fatti bollire per almeno 15 minuti. Uso esterno Cura le ferite e le ulcerazioni. Si può usare la pianta fresca per frizioni contro i reumatismi e la sciatica. Controindicazioni Non consumare i semi dell'ortica: il cui impiego è riservato all'erboristeria. Curiosità e avvertenze Contro la forfora e la caduta dei capelli. Nel Tirolo, quando scoppia un temporale, si gettano delle ortiche nel focolare per allontanare ogni pericolo; infatti, secondo una credenza popolare la folgore non colpirebbe mai le piantine. fragola Fragaria Vesca L. Famiglia: Rosacee Parti utilizzate Il rizoma e le foglie raccolte a primavera: i frutti raccolti da maggio ad agosto. Principi attivi La foglia contiene soprattutto tannino e flavonoidi (sostanze coloranti). Il frutto maturo contiene diverse sostanze minerali, mucillagini e vitamina E. Proprietà terapeutiche Le foglie e il rizoma sono diuretici e astringenti. Pregevoli risultano le proprietà alimentari del frutto (fragola). Cure naturali Infusi di radici. 5-6 gr in 300 gr di acqua bollente per 20 minuti nei casi di artrite, gotta e diarrea cronica. Uso esterno Le foglie fresche pestate vengono applicate sulle ulcere e di notte sul viso per far scomparire il rossore. Controindicazioni In caso di manifestazioni allergiche, non consumare il frutto della fragola e seguire le prescrizioni del medico o dell’erborista. Curiosità e avvertenze Nell’anno 104 d.C. lo scrittore romano Apuleio ne descrive le virtù terapeutiche. La fragola è nota fin dalla preistoria e gli abitanti lacustri dell’Europa ne consumavano i frutti. MELISSA, CEDRONELLA Melissa officinalis L. Famiglia: Labiate Parti utilizzate Foglie e sommità fiorite raccolte durante l’estate. Principi attivi L’essenza di melissa è costituita da aldeidi terpenici (citral e citronella) oltre ad alcuni alcaloidi (citronellolo, limalolo e geraniolo). Proprietà terapeutiche Le melissa è uno stomachico, antispasmodico e carminativo. Cure naturali Infuso con porzioni aeree fresche: 4-6 gr per 250 cc di acqua bollente per 15 minuti. Va presa una tazza dopo i pasti. Uso esterno Si adoperano le foglie per calmare il mal di testa e per attenuare il dolore sulle ferite. Controindicazioni La pianta essiccata, dopo un anno, non conserva il suo aroma di limone. Curiosità e avvertenze La pianta viene utilizzata anche in liquoreria e profumeria sotto forma di “acqua celeste” e “acqua dei carmelitani”. I prodotti citati vengono consigliati nelle palpitazioni di cuore e per superare stati malinconici. MELILOTO TRIFOGLIO GIALLO Melilotus Officinale L. Famiglia: Leguminose Parti utilizzate Le sommità fiorite raccolte da giugno a settembre. Cresce spontaneo nelle aree ex arative. Principi attivi La pianta contiene un glucoside che produce cumarina presente in dose elevata nella pianta matura ed essiccata. Proprietà terapeutiche La pianta è emolliente, aromatica, antispasmodica, decongestionante e diuretica. Cure naturali Infuso di sommità fiorite: 2-3 gr per tazzina di acqua bollente, contro i dolori della digestione e i gas intestinali. Uso esterno Cataplasma di porzioni aeree nel ventre: 50-60 gr in 150 gr di olio fatte bollire per alcuni minuti. Lenisce i dolori uterini e quelli derivati da coliche. Curiosità e avvertenze Il nome generico di meliloto deriva dal greco "meli" cioè miele, e "lotos" da loto. La pianta recisa con i caratteristici fiori gialli è considerata il trifoglio da miele oltre a presentare un elevato contenuto di cumarina. I fiori dissecati trovano impiego in profumeria. 27 RAPONZOLO Campanula rapunculus L. Fam.: Campanulacee RAMPUSSO Parti utilizzate Radici e foglie raccolte anche nel periodo invernale. Presente nell’area un tempo coltivata a vite maritata all’acero. Principi attivi La notorietà di questa pianta è attribuibile al suo sapore acidulo che denota la presenza di acidi organici, con vitamine A e C. Proprietà terapeutiche Rinvigorisce e corrobora l’organismo (tonico) e agisce favorevolmente sull’apparato digerente. Cure naturali Insalata preparata con foglie giovani: 25-30 gr al giorno per almeno 10 giorni consecutivi condita con olio di oliva. Ottime le radici cucinate in modo analogo a tutte le altre radici alimentari. Controindicazioni La raccolta delle piante di Raponzolo richiede un occhio molto attento e allenato, in quanto la parte aerea si confonde facilmente con altre foglioline, per cui è individuabile da raccoglitori esperti solo nel periodo invernale. Curiosità e avvertenze Nel Medio Evo la radice era già utilizzata sia per le virtù medicamentose, sia per le proprietà alimentari. Sono in corso ricerche approfondite per meglio definire il potere medicamentoso di questa specie. RANUNCOLO Ranunculus acris L. Famiglia: Ranuncolacee Parti utilizzate La pianta fresca raccolta da maggio a luglio. Presente ovunque tra la vegetazione spontanea. Principi attivi La pianta contiene protoanemonina, anemomina e saponina. Proprietà terapeutiche I ranuncoli sono piante tossiche con effetti vescicanti, preceduti da arrossamento delle superfici della pelle. Cure naturali a uso esterno. Cataplasmi con foglie: sulle parti dolorose del nervo sciatico, con l’avvertenza di effettuare continui controlli per evitare la formazione di piaghe. Lo stesso trattamento viene praticato nei casi di affezioni cutane (herpes, eczema, prurito). Controindicazioni I peduncoli, se portati alla bocca, possono provocare seri disturbi. Ogni cura deve essere seguita da personale medico. Curiosità e avvertenze I ranuncoli spontanei di color rosso, detti “Turchi”, derivano dal Ranunculus africano Hort, o del R. asiaticus L. I fiori compaiono nella pianta dopo due anni. Nell’alimentazione del bestiame le piante di ranuncolo devono risultare ben essiccate. RUTA Ruta graveolens L. Famiglia : Rutacee 28 ERBA LUISA Parti utilizzate Le foglie raccolte prima della fioritura nel mese di giugno. Cresce in alcuni punti ben esposti. Principi attivi La pianta contiene un olio essenziale (Oleum rutae), un glucoside, la rutina e la vitamina P. Proprietà terapeutiche La rutina è utilizzata nella terapia delle malattie cardiovascolari, per combattere i crampi e abbassare la pressione arteriosa. Viene usata anche come calmante e stimolante dell’intestino. Cure naturali Infuso di foglie tritate: 2-3 grammi in una tazzina di acqua bollente per la durata di 20 minuti contro i reumatismi, le nevralgie e le alterazioni mestruali. Uso esterno L’essenza si usa per frizioni varie. Controindicazioni La Ruta è una pianta pericolosa in quanto può provocare dolorose contrazioni muscolari (spasmi). Curiosità e avvertenze La Scuola medica Salernitana nel Medioevo affermava “Giova la ruta agli occhi e per la vista assai acuta”. La presenza delle piantine tiene lontana le vipere, forse per l’odore che emana. FARFARA Tussilago Farfara L. Famiglia : Composite CACCIA LA TOSSE Parti utilizzate Fiori raccolti in boccio da marzo ad aprile e foglie raccolte nei mesi successivi. Pianta presente nei fossati dell’Oasi. Principi attivi Le foglie contengono molte mucillagini e insulina. I fiori contengono zuccheri e acido uronico. Proprietà terapeutiche Infusi di fiori: 4-6 gr di fiori per tazza, messi in acqua bollente per mezz'ora. La soluzione va filtrata per evitare la presenza di filamenti irritanti. Lenisce la tosse persistente e il catarro bronchiale. Uso esterno Le foglie fresche, applicate con bende, vengono consigliate per lenire i dolori nevralgici delle mascelle e dei denti. Controindicazioni La pianta non si utilizza in campo alimentare. Curiosità e avvertenze I suoi capolini, simili a quelli del tarassaco compaiono in febbraio prima delle foglie. Le foglie essiccate vengono usate per preparare sigarette, valide per aiutare i fumatori accaniti a disintossicarsi. La pianta emana un odore pepato e il sapore è amaro. MENTA ERBA PIPERINA o mentuccia Mentha piperita L. Famiglia: Labiate Parti utilizzate La pianta intera raccolta in piena fioritura nei mesi estivi. Principi attivi Contiene un olio essenziale (Oleum Menthae) contenente dal 50 al 80% di mentolo, mentone, alcoli, aldeidi, tannino e amari. Proprietà terapeutiche Il mentolo è il componente aromatico e rinfrescante. La menta è antispasmodico, carminativo, colagogo, stimolante e eccitante. Cure naturali Infuso con parti fiorali fresche: 2-3 gr in una tazza di acqua bollente. Sciroppo con foglie fresche: per macerare foglie 8-10 giorni in un litro di alcol diluito (45-48°) e zuccherare al 200%. Uso esterno Le foglie fresche vengono usate per lenire il mal di testa, effettuare gargarismi e frizioni. Controindicazioni Il mentolo contenuto nella menta piperita a forti dosi è tossico. Curiosità e avvertenze I Cinesi ne vantono la proprietà calmante. I contadini l’adoperano per allontanare i topi dai granai. La menta viene anche detta “erba di San Lorenzo” o mentuccia ed è adoperata per preparare il piatto tipico della sera del patrono, le lumache. POLMONARIA Pulmonaria officinale L. Fam.: Borragginacee CIUCIA LATTE Parti utilizzate La pianta fiorita senza radice è raccolta ai margini del bosco nei mesi di marzo e aprile. Principi attivi La pianta contiene mucillagine, saponina, tannino, silicio e sali minerali. Proprietà terapeutiche È emolliente, espettorante e astringente. Cure naturali Infuso di foglie e fiori: 25-30 gr/litro su acqua bollente per 20 minuti e addolcire con miele. Va preso nelle affezioni delle vie respiratorie e polmonari. Uso esterno Per lavare gli occhi si adopera un infuso ottenuto con 2-3 gr/litro di foglie fresche. Curiosità e avvertenze Sino alla metà del XX secolo la Polmonaria è stata usata per combattere la tubercolosi. Le foglie di polmonaria, picchiettate di bianco, danno l’immagine di un polmone malato. La pianta offre agli insetti tre tipi di fiori con stami irregolari, di tre lunghezze differenti di stilo. 29 IL LABORATORIO EFFETTUA PIÙ DI 40MILA ANALISI L'ANNO Il Centro Idrico Novoledo è una società di servizi che nasce nel 1996 e ha come oggetto il rilevamento dei parametri idrogeologici, idraulici, biologici, chimici e chimico-fisici che caratterizzano il sistema idrologico “Astico - Bacchiglione” (utilizzato per l’approvvigionamento idropotabile dagli acquedotti di Vicenza e Padova). Il laboratorio effettua il “controllo gestionale interno” sulla qualità dell’acqua distribuita nelle due città e su quella erogata da altri importanti acquedotti del Veneto. Il Centro Idrico Novoledo è partecipata, in pari quota, da Acque Vicentine spa e da AcegasAps e ha sede a Villaverla, all’interno dell’area naturalistica da cui prende origine l’acquedotto di Padova. Le aziende socie hanno trasferito al Centro Idrico Novoledo il patrimonio di conoscenze acquisito dal Laboratorio Interaziendale Analisi Acque in quasi vent’anni di attività, investendo in spazi e nuove attrezzature e ampliando ulteriormente i settori di intervento. Grazie a strumentazioni d’avanguardia e a una équipe tecnica di prim’ordine, il Laboratorio è in grado di compiere più di quarantamila controlli l’anno (un terzo solo per l'acquedotto di Padova) su tutti i parametri chimico-fisici e batteriologici dell’acqua, dal momento della captazione dalle falde, fino all’erogazione dai rubinetti di casa. Poche acque, comprese quelle commercializzate in bottiglia, sono tenute così costantemente e attentamente sotto con30 trollo. ll Centro Idrico effettua prelievi periodici su: acqua di sorgente, acqua di pozzi-spia per il monitoraggio della falda, acqua in uscita dagli impianti di potabilizzazione, acqua prelevata dai rubinetti della rete di distribuzione. Tre sono i settori di attività del Centro Idrico Novoledo: laboratori di analisi, settore idrogeologico, analisi delle risorse territoriali. Il settore idrogeologico utilizza, tra l’altro, una rete di telecontrollo degli acquiferi costituita da stazioni periferiche che acquisiscono, con continuità, dati di tipo idrologico (livelli di falda e portate dei corsi d’acqua). I dati vengono trasmessi all’Unità Centrale e alimentano un modello che simula il funzionamento idraulico dell’acquifero e ne descrive l’andamento. Il settore che si occupa delle Analisi delle risorse territoriali e ambientali raccoglie ed elabora informazioni relative agli utilizzi del suolo nella zona di ricarica degli acquiferi che possono avere effetti sulla qualità e sulla disponibilità futura delle risorse idriche. Si tratta di dati riguardanti la copertura del suolo, l’evoluzione dell’urbanizzato, l’avvicendamento delle colture, il patrimonio zootecnico, l’impiego di prodotti a rischio ambientale da parte di attività industriali e del comparto agrozootecnico, i prelievi idrici effettuati a fini diversi, la qualità delle acque sotterranee. Per quest’ultima attività sono utilizzati 80 pozzi-spia. iQuaderni Supplemento a iServizi Testi dell'Oasi di Villaverla di Silvia Peruzzo, Erika Leuzingher e Umberto Tundo. Testi delle Erbe Officinali di Luigi Spolaore. Consulenza scientifica di Lorenzo Altissimo. Fotografie di Damiano Rotondi e Fabio Pegoraro. Illustrazioni delle Erbe Officinali di Alessandra Ruffato Illustrazioni delle pagine centrali di Lucio Delconte iServizi Registrazione al Tribunale di Padova n. 1738 del 18.4.2001 Direttore responsabile Maurizio Stefani Editore AcegasAps SpA Trieste Ristampa dicembre 2012 Stampa Grafiche Gemma - Camposampiero PD AcegasAps Sede Legale e Direzione Generale Via del Teatro, 5 34123 Trieste T +39 040.7793111 F +39 040.7793427 Iwww.acegas-aps.it [email protected] Uffici Amministrativi, Reti e Impianti di Padova Corso Stati Uniti, 5/A 35127 Padova T +39 049.8280511 F +39 049.8701541 [email protected]