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l'OASI DI VILLAVERLA
iServizi
Supplemento
Iniziative
per lo Sviluppo
Sostenibile
NUOVA
EDIZIONE
2013
iQuaderni
CONTENUTI
3
L'oasi di Villaverla un'area incontaminata
5
Dal pozzo all'acquedotto un lungo salto di qualità
6
I depositi alluvionali formarono la pianura padana
8
Il territorio è caratterizzato dalla presenza di risorgive
10
Disboscamenti e bonifiche hanno mutato il paesaggio
11
Coltivazioni vietate per salvaguardare le acque
12
Il bilancio idrologico nel bacino Leogra-Astico-Bacchiglione
14
Le piante acquatiche vegetano tutto l'anno
15
I fossi, ambiente ideale per la flora e la fauna
18
Il grande gelso un monumento vivente
19
Enorme il valore della zona umida a prato
20
Il bosco e i suoi abitanti
22
Gustosissime frittelle con i fiori del sambuco
23
Certificazione di qualità per il foraggio
24
Le erbe officinali dell'Oasi
30
Il laboratorio effettua più di 40 mila analisi l'anno
Nelle pagine centrali l'illustrazione "Il ciclo dell'acqua"
L'OASI DI VILLAVERLA
UN'AREA INCONTAMINATA
La sede del Centro
idrico di Novoledo
ospita anche il
laboratorio chimico
in cui si effettuano
le analisi dell'acqua
L’oasi naturalistica di Villaverla,
chiamata da sempre “l’area delle
vecchie sorgenti di Dueville”, si
trova in località Novoledo, nel
comune di Villaverla (Vicenza),
un paese di quasi seimila abitanti che confina con Dueville. Di
proprietà del Comune di Padova,
l’Oasi si trova a pochi chilometri dal piede dei rilievi montuosi
dell’altopiano dei Sette Comuni.
Si estende nell’alta pianura vicentina su una superficie di 258.211
metri quadrati, poco meno di 26
ettari, corrispondenti a 67 campi
locali. Ha una forma rettangolare con il lato più lungo, di circa
900 metri, disposto in senso nordsud, e il più corto, di circa 300
metri, in direzione est-ovest. Posta
a una quota media di 52 metri
sul livello del mare, all’interno del
bacino pedemontano del LeograTimonchio-Astico e Bacchiglione,
occupa una posizione a cavallo
della cosiddetta “fascia delle risorgive”, dove avviene l’affioramento
dell’acquifero sotterraneo.
L’Oasi si trova
a pochi chilometri
dal piede
dei rilievi montuosi
dell’altopiano
dei Sette Comuni
3
4
Dal pozzo all’acquedotto
un lungo salto di qualità
L’acquedotto di Padova, costruito
a fine ‘800, ha origine nell’oasi di
Villaverla. Prima di quella data la
città di Padova si approvvigionava da pozzi freatici, le cui condizioni igieniche erano spesso
molto scarse, sia per le modalità
di costruzione dei pozzi stessi,
sia perché la città era priva di
fognature.
Di conseguenza, erano frequenti
le infiltrazioni nel sottosuolo di
liquami, che andavano a contaminare le acque. Problema
all’origine della facile diffusione
di malattie intestinali quali tifo
e colera. Nel 1878, a seguito di
accurate indagini idrogeologiche, per la ricerca di un’area in cui
fosse possibile captare acqua idonea all’uso potabile come fonte
di approvvigionamento idrico
per la città di Padova, venne individuata una zona ricca d’acqua
nel vicentino. Dopo l’acquisto nel
1885 dei terreni che oggi costituiscono l’Oasi, la Società Veneta
per Imprese e Costruzioni pubbliche dell’ingegnere Vincenzo
Stefano Breda, ottenne l’appalto
dei lavori per la costruzione del
primo acquedotto padovano.
Rispetto ad altre possibili fonti
idriche, quali i fiumi Brenta e
Bacchiglione, o le sorgenti di
Oliero e di Camisino di Caltrano
in provincia di Vicenza, la scelta
fu dettata dai costi di costruzione delle condotte e dai risultati
delle indagini microbiologiche,
che individuarono nell’area di
Dueville la soluzione ottimale.
Tra il 1886 e il 1888 nell’area di
prelievo furono infissi 131 pozzi
Northon, con diametro di 60 millimetri ancora funzionanti, a una
profondità tra gli 8 e i 25 metri,
con bocca di efflusso a 2 metri
sotto il piano campagna in modo
da permettere un’erogazione
spontanea.
Con il passare del tempo però,
la città si ingrandiva e con essa
il suo fabbisogno idrico, tanto
che negli anni 1970-1971 si rese
necessaria la perforazione di
altri due pozzi, profondi ben 130
metri e, nel 1991, si procedette
alla costruzione di un ulteriore
pozzo che raggiunge, in profondità, il prolungamento roccioso miocenico dell’Altopiano di
Asiago. Risalita in superficie, l’acqua viene immessa in una condotta detta “canaletta”, all’interno della quale percorre circa 40
chilometri raggiungendo Padova
per caduta, ossia sfruttando il
dislivello altimetrico di 39 metri
tra Dueville e la città.
La condotta è un piccolo canale totalmente interrato, alto 110
centimetri e largo 78, a pelo libero, in cui nella parte superiore
della sezione è presente l’aria;
è costruita in calcestruzzo non
armato e mattoni legati con
cemento Portland. Dagli anni ‘50
del secolo scorso, per soddisfare
la crescente richiesta idrica, è in
funzione una seconda linea di
trasporto che, con un diametro
di 90 centimetri, è in grado di trasferire quasi il doppio di quantità
d’acqua rispetto ai 40 milioni litri/
giorno della canaletta.
Negli ultimi anni si è proceduto
alla realizzazione di un’ulteriore
condotta, in acciaio, di 130 centimetri di diametro, in grado di
trasportare da sola 120 milioni
di litri di preziosissima acqua al
giorno. All’interno di questa condotta l’acqua non scorre più per
gravità, ma viene spinta da elettropompe che riducono i tempi
di percorrenza e eliminano i rischi
di possibili contaminazioni. Una
sofisticata rete di telecontrollo
consente di conoscere in tempo
reale l’insorgenza di eventuali alterazioni nelle condotte e
di attivare immediate azioni di
intervento.
Oggi l’acquedotto serve circa 300
mila abitanti, con un consumo di
circa 400 litri al giorno per persona (compresi gli usi industriali).
5
i depositi alluvionali
La pianura vicentina, come la
gran parte della Pianura Padana,
è costituita da uno strato di
depositi alluvionali dell’Era
Quaternaria provenienti da
fiumi e ghiacciai, che poggia
sopra un basamento cristallino
del Terziario. La presenza del
materasso alluvionale cresce
rapidamente a partire dalla zona
di affioramento dello strato terziario fino a raggiungere circa
1.000 metri in corrispondenza
della fascia costiera. Nel materasso alluvionale sono individuabili (partendo a ridosso dei
rilievi prealpini) fasce di sedi-
6
mentazione con caratteristiche
abbastanza omogenee che si
sviluppano in direzione parallela
rispetto al limite dei rilievi e alla
linea di costa, e perpendicolarmente ai fiumi.
Nell’alta pianura, a ridosso dei
rilievi prealpini, si estende una
fascia di 10-15 chilometri costituita da alluvioni ghiaiose praticamente indifferenziate fino
al substrato roccioso. Le ghiaie,
di natura prevalentemente carbonatica, contengono sabbia e
una frazione più abbondante di
materiali grossolani, raramente
accompagnate da sottili inter-
calazioni lentiformi limo-argillose; in alcune aree sono frequenti livelli ghiaiosi più o meno
cementati. Successivamente,
nella media pianura, le ghiaie
diminuiscono verso sud sostituite da sabbie e argille. Il progressivo assottigliamento delle ghiaie
e il conseguente passaggio da
un materasso indifferenziato a
una successiva alternanza litologicamente differenziata, avvengono da monte a valle in modo
relativamente rapido e nel complesso abbastanza regolare. Alla
differenziazione degli orizzonti
grossolani dà riscontro l’aumen-
formaRONO la pianura padana
to rapido dei materiali fini argillosi e sabbiosi, che inglobano i
livelli ghiaiosi.
Lungo la fascia pedemontana il
materasso ghiaioso indifferenziato alloggia in un’unica falda,
a carattere freatico, con continuità laterale determinata dal
contatto diretto tra i materiali
grossolani permeabili delle varie
conoidi alluvionali. Si tratta di un
acquifero potente, abbondante,
sfruttato intensamente per l’alimentazione di importanti industrie e di importanti acquedotti.
La profondità della superficie
della falda è massima a ridosso
dei rilievi prealpini dove si trova
compresa tra i 50 e i 150 metri
sotto il piano campagna. La velocità di deflusso nell’Alta Pianura,
valutata in alcuni punti mediante
traccianti, mostra valori piuttosto
elevati, fino a 5 metri al giorno. Verso sud la falda si avvicina
progressivamente alla superficie
del suolo, fino ad affiorare spontaneamente a giorno nei punti
più bassi lungo una fascia praticamente continua, al passaggio
tra l’alta e la media pianura dopo
un percorso sotterraneo di 10-15
chilometri. È questa la fascia dei
fontanili (o risorgive), caratteriz-
zata dalla presenza di innumerevoli sorgenti, che danno origine
a tutta una serie di corsi d’acqua.
Nella media pianura si riscontra
un sistema multifalde, formato
da un acquifero freatico a debole profondità (questo però non
sempre è presente), e da più
falde in pressione, molte delle
quali zampillanti. L’alimentazione
di questo sistema idrologico
dipende prevalentemente dalla
dispersione in alveo che si verifica allo sbocco in pianura dei corsi
d’acqua presenti (altri apporti di
acqua sono la dispersione per
irrigazione e le piogge).
7
IL TERRITORIO È CARATTERIZZATO
DALLA PRESENZA DI RISORGIVE
Le risorgive derivano dall’affioramento in superficie della falda freatica e costituiscono una
delle caratteristiche ambientali
più tipiche della pianura veneta, dove sono distribuite in una
fascia ristretta: la fascia delle
risorgive.
Da secoli l’uomo sfrutta questo fenomeno idrogeologico
mediante l’escavazione artificiale, sia di un canale vero e proprio,
sia della “testa” dove si trovano le
polle dei fontanili, per captare e
convogliare le acque emergenti
8
naturalmente dal terreno.
Le risorgive, analogamente a una
“presa” di sorgente funzionano
come “troppo pieno” del sistema
idrogeologico che le alimenta.
La conservazione degli ecosistemi coincidenti con le risorgive dipende anche dal mantenimento dell’equilibrio del sistema
idrogeologico posto a monte. A
determinare la grande produttività di questo sistema idrico
sotterraneo non hanno concorso però solo fattori geologici,
indispensabile è risultata anche
la presenza di elementi idrologici
e idrografici di notevole intensità, quali la quantità e la distribuzione temporale delle precipitazioni e le acque fluenti nel
fitto reticolo di rogge e torrenti caratteristico di questa zona.
Interrogato sulla ricchezza delle
falde presenti nell’Alto Vicentino,
il professore padovano Giorgio
Dal Piaz disse: “… Le falde idriche
della conoide alluvionale vicentina sono alimentate dalle acque
dei torrenti che la attraversano,
da quelle delle precipitazioni
Profilo stratigrafico esemplificativo dell'alta pianura
area urbanizzata
pianura alto vicentino
risorgiva
corso d'acqua superficiale
pozzi
pozzo
arenaria compatta
strato di ghiaia e sabbia
meteoriche e dallo scioglimento
delle nevi, dall’acqua delle sorgenti carsiche sepolte ai piedi
dei massicci montani calcarei,
oltre ad acque provenienti dai
bacini contigui. Tenuto conto di
tutti questi contributi sarà facile
rendersi ragione come la disponibilità idrica locale sia di non
comune ingenza”.
Negli ultimi anni, per il progressivo squilibrio nel bilancio idrogeologico e per i numerosi interventi sul territorio (escavazioni e
urbanizzazioni), in diverse par-
ti della pianura si è avuta una
considerevole diminuzione delle
portate o addirittura l'estinzione di alcune risorgive. Inoltre,
esse sono sovente sottoposte a
contaminazione sia di tipo puntuale, sia di tipo diffuso, a causa
della percolazione di sostanze
inquinanti e di nutrienti delle
aree agricole circostanti. A ciò si
sovrappone la spesso non adeguata manutenzione dei siti, che
a volte viene effettuata in modo
eccessivamente “energico”, con
totale eliminazione della vege-
strato di limo e argilla
tazione naturale, a volte si dimostra invece deficitaria, e non in
grado di contrastare il naturale
processo di interramento.
Quelle presenti lungo il percorso
all’interno dell’Oasi di Villaverla
sono risorgive di sbarramento:
la risalita dell’acqua è dovuta
alle variazioni di permeabilità in
senso orizzontale che si realizzano con il graduale passaggio dai
sedimenti fortemente permeabili caratteristici dell’alta pianura, a
quelli più fini e meno permeabili
tipici della bassa pianura.
9
DISBOSCAMENTI E BONIFICHE
HANNO MUTATO IL PAESAGGIO
Se potessimo tornare indietro nel
tempo e osservare il territorio della pianura veneta, questa ci apparirebbe completamente ricoperta
da un’unica e immensa foresta di
latifoglie, interrotta solamente dai
corsi dei fiumi e dei torrenti che la
attraversano. Questa foresta, della
quale abbiamo una approssimata
raffigurazione attraverso lo studio
dei pollini fossili, era costituita da
querceti a farnia, in cui si potevano trovare esemplari di olmo,
tiglio selvatico, acero campestre,
nocciolo e carpino bianco o ancora, nelle zone più umide, il salice
bianco, il pioppo, l’ontano nero e
il frassino ossifillo. In questa consociazione vegetale aveva trovato
ospitalità una fauna ricca di animali oggi rari o del tutto scomparsi dalle foreste planiziali quali
il cervo, il capriolo, l’orso, il lupo,
la lince, l’aquila reale, la gru e la
cicogna.
Quest’ambiente non fu però destinato a rimanere intatto per lungo
tempo: già con gli insediamenti
palafitticoli si hanno i primi disbo10
scamenti con la conseguente
apertura di radure.
Il periodo romano fu probabilmente quello che apportò più
modifiche al paesaggio planiziale.
Con le bonifiche e la costruzione di strade, le foreste subirono
un notevole ridimensionamento,
anche se ancora modesto rispetto
alla situazione attuale. I Romani,
infatti, erano soliti conservare e
tutelare alcune porzioni di bosco
sia in qualità di bene pubblico,
“ager publicus”, sia in qualità di
bosco sacro dedicato alle divinità
o ai morti, ma anche semplice-
mente come ulteriore demarcazione dei limiti di proprietà. Un
breve momento di espansione per
le foreste si verificò in concomitanza della crisi dell’impero romano, ma con l’arrivo dei Longobardi,
poiché fu concessa la libertà di
taglio, si verificò un ulteriore ridimensionamento. Solo i boschi che
costituivano le riserve di caccia
furono salvaguardati al tempo di
Carlo Magno, quando la caccia era
il passatempo preferito dei nobili.
Tra il X e l'XI secolo la tendenza
al disboscamento è continuata:
iniziata nel territorio dai monaci benedettini, la bonifica degli
ambienti paludosi della fascia delle risorgive e l’uso agricolo non
ebbero più fine; anzi, dal 1800 si
passò ad una vera e propria agricoltura intensiva. Oggi, guardando
il territorio della pianura veneta,
questa ci appare completamente
ricoperta da campi coltivati intensivamente, paesi sviluppati senza
un preciso disegno, torrenti e fiumi che vengono fatti passare dove
è più conveniente per l’uomo.
COLTIVAZIONI VIETATE
PER SALVAGUARDARE LE ACQUE
L’intervento dell’Azienda
regionale delle foreste
(oggi Veneto Agricoltura)
si identifica in sei azioni
di riqualificazione
ambientale:
•
Quando, nel 1885, le risorgive
di Dueville vennero individuate
come possibili fonti di approvvigionamento idrico per la città di
Padova, furono acquistati anche
alcuni terreni attorno ai pozzi in
modo da garantire un’adeguata
fascia di rispetto. Fino alla metà
degli anni ‘70, l’area delle sorgenti
è stata gestita con pratiche colturali del tutto simili a quelle utilizzate nelle terre circostanti e le uniche differenze consistevano nella
conservazione, per motivi estetici
e naturalistici, di alcuni elementi peculiari del paesaggio agrario,
quali la rete idrica superficiale, i
prati umidi e i piccoli boschetti planiziali, che stavano invece
scomparendo dal resto della pianura. Per salvaguardare la qualità
delle acque contenute nell’acquifero sotterraneo, si abolì allora, in
tutta l’area, ogni forma di coltivazione e concimazione, anticipando ciò che più tardi fu reso
obbligatorio per legge nel 1988.
L’area andò quindi incontro a un
progressivo inselvatichimento che
limitava anche la stessa fruibilità.
In particolare le vecchie capitozze
dei salici, dei pioppi e degli aceri
campestri, senza un provvidenziale intervento di manutenzione,
avrebbero rischiato di schiantare,
sotto il peso dei loro polloni, i rovi
avrebbero invaso vaste aree e la
sopravvivenza dei piccoli lembi
di bosco planiziale sarebbe stata
messa a dura prova.
Nel 1990, quindi, l’Amag, divenuta parte di AcegasAps, incaricò
l’Azienda regionale delle foreste,
(Arf ), oggi Veneto Agricoltura, di
predisporre un progetto organico
di sistemazione dell’intera area in
modo da associare una positiva
evoluzione ecologica al mantenimento di un paesaggio piacevole.
Oggi, a progetto completato, l’area
presenta elevati valori naturalistici
oltre che estetici e didattici che,
se da una parte hanno rilevanza
nazionale, in quanto costituiscono un esempio di lungimirante
gestione e sensibilità ecologica,
dall’altra le hanno conferito a pieni
voti il titolo di “Oasi Naturalistica”.
•
•
•
•
•
creazione nella parte
meridionale dell’area
di un bosco planiziale a
farnia, carpino bianco,
acero campestre, frassino
ossifillo, ontano nero,
salice bianco e pioppo
nero con il relativo
corredo di arbusti, per
un’estensione di circa 10
ettari;
modifica della
composizione, struttura
e trattamento delle
vecchie siepi ripariali,
sostituendo le capitozze
di salice bianco e pioppo
nero con aceri, carpini,
querce e farnie, il tutto
governato ad alto fusto;
creazione di nuove siepi,
sia per completare il
reticolo delle stesse, sia
per ottenere un sistema a
“campi chiusi”;
conservazione degli
ultimi elementi della
piantata padana (filari
di aceri campestri che
sostenevano le viti);
modifica delle modalità
di coltura dei prati stabili;
recupero della rete dei
“gatoj”, cioè delle piccole
rogge alimentate dalle
acque di risorgiva.
11
BILANCIO IDROLOGICO
nel bacino Leogra-Astico-Bacchiglione
L’acqua contenuta in un serbatoio sotterraneo è
una risorsa rinnovabile grazie alla ciclicità dei processi idrologici continuamente in atto. In un anno
idrologico gli afflussi e i deflussi di un acquifero
possono essere rappresentati da un’equazione di
bilancio, che considera: precipitazioni, dispersioni
dei corsi d’acqua, afflussi e deflussi delle acque
sotterranee, deflussi attraverso risorgiva, emungimenti, perdite dei sistemi irrigui.
Il sistema idrologico si mantiene in equilibrio
quando afflussi e deflussi conservano valori simili
nel medio-lungo periodo.
A provocare variazioni nella falda concorrono fattori naturali, come la diversa distribuzione (nell’arco dell’anno) delle precipitazioni meteoriche e
fattori antropici: ne sono un esempio la progressiva impermeabilizzazione dei corsi d’acqua (che
riduce le dispersioni in alveo), la cementificazione del suolo (che diminuisce le infiltrazioni delle
acque piovane e irrigue) e i prelievi dai pozzi (che
sottraggono sempre più acqua dalla falda e ne
abbassano il livello).
La variazione dei fattori di alimentazione idrica
ha conseguenze importanti sul regime della falda
sotterranea che viene messo in evidenza dalle
oscillazioni del livello dell’acqua nei pozzi.
Risulta perciò di fondamentale importanza monitorare i livelli di falda. Nel bacino Leogra-AsticoBacchiglione questa attività viene effettuata utilizzando una rete di circa 80 pozzi di controllo, per
una ventina dei quali il monitoraggio è effettuato
in modo automatico.
Considerando gli ultimi quarant'anni, si nota nel
bacino idrologico dell’Alto Vicentino, una diminuzione dei fattori in entrata e un aumento di
uno dei fattori in uscita (l’emungimento). Come
conseguenza sono diminuiti il livello medio della
falda e i deflussi di risorgiva.
Andamento del livello di falda
Pozzo 27 - Caldogno
56
55
54
m s.l.m.
53
52
51
50
49
48
1971
12
1973
1975
1977
1979
1981
1983
1985
1987
1989
1991
anno
1993
1995
1997
1999
2001
2003
2005
2007
2009
Impermeabilizzazione del suolo
alla fine dell’Ottocento
alla fine del Novecento
La superficie urbanizzata nell'alta pianura vicentina costituisce oltre il 35% del territorio, con punte che
superano il 40% nel triangolo Schio-Thiene-Zanè e che sfiorano il 60% nel bassanese
Il grafico a fianco rappresenta l’andamento del
livello di falda misurato, nel periodo 1971-2009, in
un pozzo particolarmente significativo, situato a
Caldogno, profondo 12 metri dal piano campagna
e a una quota di 57,52 metri sul livello del mare.
La linea di tendenza evidenzia l’abbassamento
medio della falda nel periodo di osservazione, con
una diminuzione di circa 1,2 metri del suo livello,
corrispondente a un abbassamento medio di circa
3 centimetri all’anno.
è perciò necessario razionalizzare e ottimizzare l’uso dell’acqua, evitando gli sprechi sia nelle
nostre case, sia nell’ambito delle attività lavorative,
mettendo in pratica ogni accorgimento per risparmiare la preziosa risorsa idrica.
A tale scopo, è, non solo auspicabile, ma soprattutto indispensabile che sia posto rimedio ai pozzi a
perdere. Difatti, in una decina di comuni attorno a
Vicenza, compreso il capoluogo, sono stati censiti
oltre 8.000 pozzi, dei quali circa 2.500 a efflusso
libero, cioè con acqua a perdere.
La quantità d’acqua sprecata in questo modo è
calcolata in 30 milioni di metri cubi all’anno, l’equivalente del fabbisogno di una città di oltre 150
mila abitanti, nonostante esistano due ordinanze
del Genio Civile di Vicenza (1993 e 2000) che
prescrivono la regolazione dei pozzi e la chiusura
delle fontane, come anche ribadito in tempi più
recenti dal Piano di Tutela Acque della Regione
Veneto (novembre 2009).
13
LE PIANTE ACQUATICHE
VEGETANO TUTTO L'ANNO
La risorgiva viene definita idrologicamente come il punto della
superficie terrestre in cui riaffiora
l’acqua contenuta nell’acquifero
sottostante. La sua presenza, in
questa particolare zona della pianura vicentina, è spiegata dalla discontinuità stratigrafica del
sottosuolo. All’interno dell’Oasi di
Villaverla sono presenti quattro
risorgive (Bojona, Albera, Zanini
e Beverara), più una risorgiva su
cui è stato costruito il fabbricato “Sorgenti”, dove una cinquantina di pozzi alimentano continuamente l’acquedotto. Tra le
proprietà e le caratteristiche di
quest’acqua oligominerale è da
segnalare la temperatura costante per tutto l’anno: racchiusa
nell’acquifero sotterraneo per un
tempo variabile da alcuni mesi
14
a qualche anno, la risorsa idrica
viene a giorno con una temperatura compresa tra i 13 e i 14 gradi
centigradi. Hanno approfittato di
questa costante termica alcune
piante acquatiche che possono
vegetare per tutto l’anno e, dunque, sono osservabili in qualsiasi stagione si decida di visitare
l’area. Una specie che si trova
abbondante in questi ambienti lungo i “gatoj” e i fossati è il
Crescione, Nasturtium officinale.
Il nome Nasturtium (dal latino
nasi tortium, naso storto) deriva
dall’odore pungente della pianta, le cui foglie composte, imparipennate, rimangono verdi per
tutto l’anno: erano conosciute fin
dall’antichità. Già nel 1650 il crescione era usato dagli erboristi
per combattere lo scorbuto, e dal
1808, si cominciò anche a coltivarlo e a commercializzarlo sia
come insalata, sia come coadiuvante nella cura di anemie, dato
il grande contenuto di vitamine
A e C e di elementi come il ferro, lo zolfo e lo iodio. Altra pianta acquatica, galleggiante, facilmente riconoscibile, che vegeta
nelle acque di risorgiva, è la lenticchia d’acqua, Lemna minor L.
La sua struttura è molto semplice:
la parte galleggiante verde, simile alla lenticchia edule, si moltiplica per gemmazione, mentre la
parte sommersa è sempre costituita da una sola radice. I fiori
sono piccolissimi e difficilmente
osservabili, ma, come la specie
precedente, popolano tutto l’anno le acque dell’intero reticolo
idrografico dell’Oasi.
I FOSSI, AMBIENTE IDEALE
PER LA FLORA E LA FAUNA
Forse più conosciuto
con il nome dialettale
di “marsone”,
lo scazzone,
Cottus gobio,
proprio per la
sua importanza
nell’indicare la
purezza delle acque
dell’oasi, si è meritato
il titolo di simbolo
dell’area naturalistica
Dalle polle di risorgiva prende
vita un fitto reticolo di fossi, o
meglio di “gatoj”, che nel gergo
volgare di un tempo, venivano
distinti dai primi perché in essi
scorreva solo acqua di risorgiva e venivano tutelati da una
serie di leggi non scritte che
ne limitavano l’accesso e l’utilizzo. All’interno dell’oasi questi
“gatoj”, che si sviluppano complessivamente lungo una rete
per circa 4,5 Km, offrono l’ambiente ideale di vita per una
flora e una fauna particolare.
Soprattutto per quanto riguarda
il modo animale, nelle acque
dei “gatoj” si possono identifi-
care delle specie definite bioindicatori: quegli animali la cui
presenza o assenza ci permette
di comprendere lo stato qualitativo dell’ambiente.
A garanzia della limpidezza, della freschezza e della ricchezza di ossigeno di queste acque
di risorgiva troviamo la trota e
lo scazzone: quest'ultimo più
conosciuto con il nome dialettale di “marsone”, indica la purezza
delle acque dell’oasi, meritandosi il titolo di simbolo dell’area
naturalistica. Ha una forma tozza,
vive nelle acque poco profonde
ed è difficile da scorgere perché
se ne sta, per la maggior parte
del tempo, nascosto sotto le
pietre o la ghiaia del fondo, ma
sempre molto attento e pronto
a tendere un agguato all’eventuale preda, pesce o insetto, di
passaggio. La sua colorazione
corporea muta con il variare del
fondo su cui è posato rendendolo ulteriormente difficile da
scorgere: ciò nonostante non
è rimasto indenne alla pesca
di frodo, essendo la sua carne
molto gustosa e ricercata. La
sua scelta a simbolo dell’oasi è
dovuta sia alla sua importanza
ecologica, sia al fatto che la sua
presenza numerica sta drasticamente diminuendo.
15
IL GRANDE GELSO
UN MONUMENTO VIVENTE
L’Oasi custodisce un monumento
vivente: si tratta di un grande gelso (Morus alba L.) che ha trovato
all’interno dell’area naturalistica
un ambiente ospitale in cui poter
crescere e svilupparsi nello spazio con armonia, per raggiungere
lo spettacolare portamento che
oggi affascina i visitatori.
Questa specie, messa a dimora
lungo i confini dei campi o delle proprietà, veniva coltivata per
la qualità del suo legno che non
marcisce a contatto dell’acqua, e
per le sue more, molto zuccherine, e utilizzate dalle massaie per
produrre confetture e sciroppi.
Affascinante è la storia di questa
pianta le cui foglie hanno nutrito i bachi da seta, garantendo
alle genti di queste campagne la
sopravvivenza, grazie all’attività
commerciale derivante dalla vendita del pregiato tessuto.
Il gelso è una specie importata
dall’oriente nel 1601 assieme al
baco da seta, ovvero il bruco della farfalla notturna Bombyx mori.
Tutti i bruchi si nutrono esclusivamente delle foglie del gelso bianco e, raggiunta la maturità, prima
18
di diventare farfalle, si racchiudono in un bozzolo, intessuto di un
unico filo di seta che raggiunge
quasi un chilometro di lunghezza.
La seta viene prodotta da speciali
ghiandole, che in altri insetti producono invece la saliva, e assume
l’aspetto filamentoso in quanto
deve uscire forzatamente attraverso una piccola apertura subito
dietro la bocca. Una volta sviluppato, l’insetto esce dal suo bozzolo rompendolo e quindi rendendo inutilizzabile la seta.
Per ovviare a questo inconveniente, i contadini avevano imparato a
mettere i bozzoli in un essiccatoio
per alcuni giorni, dove l’alta temperatura uccideva i costruttori
racchiusi all’interno, impedendo
quindi la rottura del filo di seta.
Questo veniva ottenuto srotolando in acqua il bozzolo (compito
che spettava alle donne).
Dalla fine della Seconda Guerra
Mondiale, però, a causa della concorrenza delle fibre artificiali, questo tipo di coltura (bachicoltura)
declinò e gli stessi alberi furono
decimati.
Pochi sono gli esemplari rimasti
nella pianura circostante sia perché l’interesse per queste piante
è andato diminuendo, sia perché
gran parte delle piantate non è
stata sostituita alla morte degli
alberi; nell’oasi se ne possono
osservare solo una decina, facilmente identificabili per la forma
arrotondata della chioma, alcuni
dei quali sono secolari.
ENORME IL VALORE
DELLA ZONA UMIDA A PRATO
Nella parte meridionale dell’Oasi è
presente un molinieto, ovvero una
zona a prato il cui terreno è piuttosto umido e in cui è molto abbondante una graminacea, Molinia
caerulea, da cui prende il nome.
È un tipo di vegetazione endemico della pianura padana orientale,
tipico del tradizionale paesaggio
colturale legato all’ambiente di
risorgiva, reso stabile e ricco floristicamente grazie al drenaggio e
allo sfalcio. Un tempo molto estesi
e diffusi perché il prodotto dello
sfalcio si utilizzava per la lettiera del bestiame, i molinieti sono
oggi divenuti assai rari in seguito
alle modificazioni dell’agricoltura e all’abbandono delle pratiche
colturali. In particolare, il molinieto
dell’oasi risulta fortemente isolato
in quanto circondato da coltivi e
centri abitati, e lontano da altre
comunità vegetali simili.
I molinieti hanno però un elevato
valore naturalistico e biogeografi-
co: ospitano infatti specie vegetali
di particolare interesse naturalistico perché sono specie tipiche
di ambienti freddi che scesero in
pianura durante l’ultima glaciazione e, al ritiro dei ghiacciai, trovarono in queste aree un habitat-rifugio idoneo. Molte specie legate a
questi ambienti sono attualmente
inserite nelle Liste Rosse Regionali
e nel Libro Rosso Nazionale delle
specie minacciate di estinzione.
Nell’area a molinia sono presenti alcune polle di risorgiva, che
garantiscono, durante il corso
dell’anno, la presenza di acqua
piuttosto fredda, povera di carico
organico e con pH da neutro a
debolmente alcalino, caratteristiche che condizionano il microclima e il chimismo del substrato
e dell’area. Infatti si verifica un
rallentamento della decomposizione dei resti vegetali e animali,
dando luogo, nel tempo, a un
accumulo degli stessi sotto for-
ma di torba. Attorno alle polle si
sviluppa quindi una vegetazione
caratteristica, in cui si riconoscono
Cladium mariscus (un’elevata ciperacea che forma quasi un canneto)
e Schoenus nigricans (una ciperacea più piccola che contribuisce
alla formazione della torba); nella
zona a prato si trovano altre specie pregevoli come Carex flava,
C. lepidocarpa e Plantago altissima. Solitamente nelle zone umide a prato sono frequenti anche
le orchidee; purtroppo nel molinieto è stata riscontrata solo la
presenza di Listera ovata, a testimoniare come l’abbandono delle pratiche colturali impoverisca,
in questo ambito, la vegetazione.
Altre specie tipiche, quali Gentiana
pneumonanthe, Gladiolus palustris
e Allium suaveolens, sono state
reintrodotte negli anni 1996-97
nell’ambito di un progetto di recupero e riqualificazione ambientale
del molinieto.
19
IL BOSCO E I SUOI ABITANTI
PADRONI INDISCUSSI DELL'AREA
Nel bosco creato dall’uomo hanno trovato riparo molti animali,
soprattutto uccelli che risultano più facili da vedere e udire,
rispetto ai mammiferi, come i
caprioli, maggiormente intimoriti dalla presenza umana. Molti
sono gli uccelli che scelgono
questa zona come area di sosta
durante le migrazioni o lo svernamento, ma c’è anche un buon
numero di specie che vi nidificano permanentemente. Gli uccelli
20
che popolano il bosco possono
essere classificati in alcuni piccoli gruppi con caratteristiche
comuni:
- uccelli rapaci diurni (poiana, falco pecchiaiolo) e notturni (allocco, gufo, civetta);
- uccelli che nidificano nelle cavità degli alberi (picchio, cinciallegra e torcicollo);
- uccelli che mangiano i semi
degli alberi del bosco (frosone,
lucherino);
- uccelli di piccole dimensioni, ma con voce potente che si
fanno sentire senza esitazione
(scricciolo e regolo). D’inverno,
quando gli alberi sono privi di
foglie, è possibile osservare i nidi,
mentre in primavera ed estate la presenza degli uccelli è
confermata dai canti che risuonano tra gli alberi. Non di rado
capita di scorgere caprioli tra la
vegetazione. La stagione migliore per osservare questi animali è
la primavera, quando escono di
buon’ora dal bosco e si disperdono nelle radure per brucare i primi germogli. Anche nel
bosco possiamo osservare dei
segni che ci testimoniano la
loro presenza, dalle impronte
ai giacigli nell’erba. Interessante
è il verso del capriolo, poiché
questa figura così graziosa ed
elegante emette suoni rauchi
e gutturali. Di solito il capriolo
è silenzioso durante il giorno
e solo di sera o prima dell’alba
può reagire emettendo suoni
paurosi se si accorge della presenza umana nel suo territorio.
Tra gli abitanti del bosco quelli che vivono sottoterra sono
organismi essenziali perché
riportano in circolazione elementi e sostanze che altrimenti non potrebbero essere più
utilizzati. La demolizione della sostanza organica morta è
compiuta da diversi organismi,
milioni d’insetti, lombrichi, funghi e batteri che intervengono in diversi momenti anche
secondo il grado di decomposizione della materia. Questa
azione di smontaggio comporta la restituzione, e quindi la possibilità di riutilizzo, di
sostanze come l’acqua e l’anidride carbonica e altri elementi indispensabili per la crescita delle piante che poi, a loro
volta, costituiranno nutrimento
per la fauna.
Nell’ambito della
convenzione stipulata
con l'Azienda regionale
foreste, oggi Veneto
Agricoltura, per la
gestione ambientale
dell’intera zona, è
stato ricostruito, per
la prima volta nel
Veneto, un bosco
planiziale, un tratto
di quell’ecosistema
di grandissimo
valore scientifico,
naturalistico ed
estetico eliminato
per far spazio ad aree
urbane e colture.
Sono state utilizzate
le essenze tipiche
dei boschi planiziali
padani con dominanza
di farnia, acero
campestre e carpino
bianco, accompagnate
da frassino maggiore
(fraxinus excelsior),
ontano nero e salice
bianco.
21
Gustosissime friTtelle
con i fiori del sambuco
Anche gli insetti
trovano nutrimento
nel sambuco,
pianta importante
in generale per l’intera
fauna selvatica
Tra le piante che si possono osservare nell’Oasi e che stanno scomparendo, invece, dalla circostante campagna, possiamo citare il
sambuco, Sambucus nigra L.
Facilmente riconoscibile per le
foglie composte imparipennate (cioè formate da un numero
dispari), questo arbusto diventa
ancora più appariscente durante il periodo della fioritura, dalla
tarda primavera alla tarda estate.
I suoi fiori bianchi, organizzati in
voluminose infiorescenze dette
corimbi, colorano le siepi ripariali
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e campestri e caratterizzano con
il loro forte profumo l’aria di campagna.
Un tempo l’uomo utilizzava questi fiori in cucina trasformandoli
in gustose frittelle, mentre con le
bacche derivanti dalla maturazione del fiore stesso, ricavava distillati e marmellate.
Anche gli insetti trovano nutrimento nel sambuco, pianta
importante in generale per l’intera fauna selvatica: ma più di tutti
ha sviluppato un rapporto di preferenza con l’arbusto, la Cetonia
aurata, insetto appartenente alla
famiglia degli Scarabeidi, annoverata nell’ordine dei Coleotteri.
Viene definita dorata perché il
suo esoscheletro cangiante emana riflessi dorati. Nelle calde giornate soleggiate, a partire da maggio, questo insetto si consente
delle lunghe permanenze sulle
infiorescenze del sambuco, succhiandone il dolce nettare e spostandosi solo per raggiungere un
nuovo fiore, sempre scaldato dal
sole, dopo un breve volo a elitre
chiuse.
Certificazione di qualità
per il foraggio dell'Oasi
Secondo il progetto iniziale
di riqualificazione dell’area, la
riforestazione avrebbe dovuto
interessare in maniera completa l’Oasi, al fine di ridare
naturalità a un ambiente provato dalla presenza dell’uomo
e soprattutto per proteggere
la ricchezza idrica presente nel
sottosuolo. Un successivo studio sulla vegetazione dell’area
aveva messo in evidenza la
presenza di altre comunità
vegetali di notevole pregio, la
cui gestione non contraddiceva la necessità di salvaguardare
l’acquifero sottostante.
Così i prati stabili non solo presentano elevati valori naturali
ed estetici, ma allo stesso tempo creano un maggior grado di
diversità ambientale.
Per tutelare in maniera completa la qualità delle acque,
nel 1970, si fece cessare l’uso
agricolo delle superfici a prato, abolendo qualsiasi forma
di concimazione e l’utilizzo di
diserbanti.
L’erba che non è venuta a contatto con nessun elemento chimico, quando viene tagliata è
utilizzata da una fattoria della
zona come alimento per le vacche. A differenza dei prati nella campagna circostante, iperconcimati, ormai monospecifici,
i prati stabili, non solo presenteranno un aspetto sempre piacevole, ma allo stesso tempo
sono stati arricchiti delle specie
tipiche dei prati magri e offrono
occasioni di vita per gli animali.
Non essendo inoltre più sottoposti al calpestio e all’attività di pascolo, queste superfici
prative sono l’unico habitat per
alcune erbe ormai scomparse e
dimenticate.
La Selvastrella minore, Sangui-
sorba minor scop, una volta molto diffusa, è oggi relegata negli
spazi che l’uomo non lavora.
Il nome “sanguisorba”, letteralmente “assorbitrice di sangue”, deriva dal colore rossastro
dell’infiorescenza e dalla capacità antiemorragica che le veniva
attribuito.
Particolare in questa pianta è
il fiore di forma ovale, che nella parte più bassa ospita i fiori
maschili che fioriscono prima di
quelli femminili ed ermafroditi,
collocati nella parte più alta. Il
diverso momento della fioritura
è un espediente teso ad evitare
l’autoimpollinazione.
Un’altra pianta degna di nota è
la Scorzonera humilis L., composita oggi esclusivamente montana e assai rara in pianura, ma
dove un tempo, probabilmente
prima delle bonifiche, era invece comune.
23
Le erbe officinali
dell’oasi
acetosa
alchechengio
crescione
fragola
issopo
malva
melissa
menta
orticone
meliloto
raponzolo
ranuncolo
farfara
ruta
dente di leone
polmonaria
Le erbe officinali presenti nell’Oasi di Dueville sono rappresentate prevalentemente da specie autoctone tipiche delle zone
delle risorgive, ambienti ricchi di acqua superficiale e profonda,
non inquinata e non stagnante; infatti l’esistenza della pianta di
Crescione rivela questa felice situazione che giustifica i prelievi
d’acqua utilizzati per alimentare l’acquedotto di Padova.
Altre specie sono sopravvissute alle pratiche agronomiche in quanto cresciute nelle superfici improduttive (tare) non danneggiate
dalle arature, concimazioni e trattamenti con diserbanti. Proprio
queste specie descritte in 16 riquadri si prestano per ricavare infusi, decotti, macerati, oleoliti e distillati vari per cure naturali a uso
familiare.
L’abbandono delle pratiche agricole all’interno dell’Oasi, voluto
alcuni decenni fa, ha poi consentito la diffusione di alcune specie
subspontanee, trasportate dal vento come il Tarassaco (pissacan) o
dagli insetti, tra cui citiamo la Polmonaria.
Nell’area un tempo coltivata a vite “maritata” all’Acero troviamo il
“rampusso”, tipica erbetta invernale che ben si consocia ad altre
piante officinali diffuse nelle aree abbandonate (ex arativo).
Per mancanza di spazio questa indagine non ha potuto passare
in rassegna molte altre piante officinali catalogate come arbusti e
piante arboree alte 20-30 metri, esistenti nell’Oasi.
acetosa o lapaton
Rumex Acetosa L.
Famiglia: Poligonacee
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Parti utilizzate Foglie e fusti freschi raccolte nei mesi primaverili.
Principi attivi Tutta la pianta contiene 1,3% di ossalato di calcio, oltre a derivati
antracenici e vitamina C.
Proprietà terapeutiche La pianta è usata come diuretico e lassativo.
Cure naturali Usata allo stato fresco come l’insalata in quantità modesta non
superiore a 10 gr giornalieri; viene pure utilizzata per infusi e decotti nelle dosi di
10-20 gr/litro.
Uso esterno Il succo fa scomparire le macchie di succo di frutta; azione imputabile
all’acido ossalico contenuto in elevata percentuale.
Controindicazioni Sconsigliata a chi soffre di calcoli renali.
Curiosità e avvertenze L’acetosa, nell’alimentazione entra come componente
del “brodo d’erbe” con lattuga, spinaci e bietole. Pianta molto apprezzata da greci
e romani a loro nota con i nomi di Lapaton e Laphatum. Evitare l’uso eccessivo di
Acetosella per la presenza dell’acido ossalico: per cui, conviene consultare il medico o l’erborista per stabilire il dosaggio.
alchechengio palloncini giapponesi
Physalis alchechengi L.
Famiglia: Solanacee
Parti utilizzate Le bacche senza i loro calici (palloncino giapponese) raccolte nel
periodo autunnale.
Principi attivi La pianta contiene un alcaloide (droga) e una sostanza amara: la
fisalina. La bacca di color rosso ciliegia è ricca di vitamina C.
Proprietà terapeutiche La bacca è diuretica, sudorifera, lassativa e rinfrescante.
Cure naturali Un uso frequente consiste nel far macerare le bacche nella grappa;
la bevanda è considerata un rimedio per i disturbi renali, le ritenzioni urinarie e
l’artrite.
Controindicazioni L’Alchechengio non va confuso con la Belladonna (Atropa belladonna L.), pianta a bacche rosso cupo, molto tossica.
Curiosità e avvertenze La pianta recisa con i caratteristici palloncini rossi presenta
aspetti molto decorativi. Con la pianta si ottiene un vino diuretico.
CRESCIONE NASTURZIO ACQUATICO
Nasturtium officinale L.
Famiglia: Crocifere
Parti utilizzate La pianta intera fresca raccolta in prevalenza nei mesi da maggio a
luglio.
Principi attivi La pianta contiene un olio essenziale e un glucoside che per idrolisi
dà l’isotiocianato di benzile.
Proprietà terapeutiche è antibiotico, depurativo del sangue, diuretico e febbrifugo.
Cure naturali Il macerato è ottenuto con 50 gr di pianta in mezzo litro d’acqua per 2
o 3 ore. Preso 1 o 2 tazze al giorno cura il tabagismo. Il succo preso 30-120 gr al giorno
lenisce gli stati influenzali.
Uso esterno La lozione viene consigliata nei casi di caduta dei capelli.
Controindicazioni Nel caso di Crescione utilizzato come diuretico è opportuno
interrompere la cura se si dovesse verificare una irritazione dolorosa della vescica.
Curiosità e avvertenze Le piante coltivate, presentano le stesse proprietà delle piante spontanee. Il tabacco messo nel succo del crescione viene denicotinizzato. Questa
pianta è una delle più efficaci usate in fitoterapia.
DENTE DI LEONE
Taraxacum officinale L.
Famiglia :Composite
TARASSACO
Parti utilizzate Le radici si raccolgono da maggio a giugno, le foglie in primavera.
Principi attivi La radice e il lattice del fusto contengono un principio amaro, la
lattupicrina, con tannino, inulina e caucciù.
Proprietà terapeutiche è un tannino amaro, diuretico, che aumenta le funzioni
dello stomaco e favorisce la secrezione del latte.
Cure naturali Decotto di radici spezzettate 50-60 gr di radici su un litro d’acqua e
fatte bollire per mezz’ora. Serve per depurare il sangue e per i disturbi del fegato;
Il succo, ottenuto con 20-40 foglie fresche, esercita azione vitaminizzante e serve a
far scomparire foruncoli e rossori.
Uso esterno Il decotto trova uso esterno nella cura degli eczemi.
Controindicazioni Nessuna ed è un noto diuretico: è chiamato “piscialetto”.
Curiosità e avvertenze Il Tarassaco detto anche "pissacan" figura in tutti i trattati
erboristici del Medioevo. I fiori si aprono con il sorgere del sole. I suoi semi possono
volare trasportati dal vento.
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ISSOPO
Hyssopus officinale L.
Famiglia: Labiate
pianta di San Marco
Parti utilizzate Sommità fiorite raccolte nel periodo estivo a partire dal giorno di
San Marco (25 aprile).
Principi attivi La pianta contiene un olio volatile, un glucoside e tannino.
Proprietà terapeutiche L’issopo è tonico, stomachico, carminativo, astringente ed
emnegagogo.
Cure naturali Infuso di parti aeree: 8-10 gr in un litro di acqua bollente per 30
minuti. Polvere 2 gr per dose mescolato a miele e preso due volte al giorno cura
l’asma. Sciroppo 50 gr di infiorescenze, 200 gr d’acqua e 800 gr di zucchero.
Uso esterno L’infuso si adopera per rinfrescare e far brillare gli occhi e per tonificare le guance.
Controindicazioni I vari preparati possono provocare convulsioni e disturbi ai
soggetti nervosi; per cui la prescrizione dev’essere sempre fatta dal medico o
dell’erborista.
Curiosità e avvertenze La pianta è citata nei Testi Sacri e nella la Bibbia. Con altre
17 piante l’issopo entra nella composizione del thè svizzero.
MALVA o NALBA
Parti utilizzate Le foglie e i frutti raccolti da giugno a settembre.
Malva silvestris L.
Famiglia: Malvacee
Principi attivi Le foglie contengono tracce di vitamine A, B1, B2 e C; inoltre troviamo mucillagini particolarmente concentrate nei fiori. Il fiore è colorato dal malvidolo di colore malva (idrosolubile).
Proprietà terapeutiche Emolliente, placa i tessuti irritati dalle malattie dell’apparato respiratorio. Risulta leggermente astringente e stimolante dell’intestino con
effetti lassativi.
Cure naturali Infuso di parte aerea: 50-75 gr/litro. Si consuma per curare la bronchite e la tosse su prescrizioni del medico o dell’erborista.
Uso esterno Infusi e decotti si adoperano per effettuare clisteri rettali o per lavaggi
catarrali degli occhi.
Controindicazioni I fiori si decolorano alla luce, per cui la loro conservazione
risulta difficile.
Curiosità e avvertenze Dal VIII secolo a.C. la Malva è usata come rimedio medicamentoso. Un piatto di malva bollita con spinaci selvatici, chenopodio e ortica,
risulta molto gustoso e rimedio per tutti i mali.
orticone
Urtica dioica L.
Famiglia: Orticacee
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Parti utilizzate Radici, pianta intera aerea e semi raccolti rispettivamente nei mesi
invernali, estivi e autunnali.
Principi attivi Le foglie contengono una sostanza istaminica, acido formico, silice,
potassio, tannino, glucochinina, clorofilla e vitamina A e C.
Proprietà terapeutiche È emostatico, antianemico, antidiabetico, diuretico, depurativo e galattogeno, per le ostruzioni del fegato e della cistifellea.
Cure naturali Tisane con foglie fresche: Infuso e decotto diuretico con gr 100/litro
trattati con acqua o fatti bollire per almeno 15 minuti.
Uso esterno Cura le ferite e le ulcerazioni. Si può usare la pianta fresca per frizioni
contro i reumatismi e la sciatica.
Controindicazioni Non consumare i semi dell'ortica: il cui impiego è riservato
all'erboristeria.
Curiosità e avvertenze Contro la forfora e la caduta dei capelli. Nel Tirolo, quando
scoppia un temporale, si gettano delle ortiche nel focolare per allontanare ogni
pericolo; infatti, secondo una credenza popolare la folgore non colpirebbe mai le
piantine.
fragola
Fragaria Vesca L.
Famiglia: Rosacee
Parti utilizzate Il rizoma e le foglie raccolte a primavera: i frutti raccolti da maggio
ad agosto.
Principi attivi La foglia contiene soprattutto tannino e flavonoidi (sostanze coloranti). Il frutto maturo contiene diverse sostanze minerali, mucillagini e vitamina E.
Proprietà terapeutiche Le foglie e il rizoma sono diuretici e astringenti. Pregevoli
risultano le proprietà alimentari del frutto (fragola).
Cure naturali Infusi di radici. 5-6 gr in 300 gr di acqua bollente per 20 minuti nei
casi di artrite, gotta e diarrea cronica.
Uso esterno Le foglie fresche pestate vengono applicate sulle ulcere e di notte sul
viso per far scomparire il rossore.
Controindicazioni In caso di manifestazioni allergiche, non consumare il frutto
della fragola e seguire le prescrizioni del medico o dell’erborista.
Curiosità e avvertenze Nell’anno 104 d.C. lo scrittore romano Apuleio ne descrive le virtù terapeutiche. La fragola è nota fin dalla preistoria e gli abitanti lacustri
dell’Europa ne consumavano i frutti.
MELISSA, CEDRONELLA
Melissa officinalis L.
Famiglia: Labiate
Parti utilizzate Foglie e sommità fiorite raccolte durante l’estate.
Principi attivi L’essenza di melissa è costituita da aldeidi terpenici (citral e citronella) oltre ad alcuni alcaloidi (citronellolo, limalolo e geraniolo).
Proprietà terapeutiche Le melissa è uno stomachico, antispasmodico e carminativo.
Cure naturali Infuso con porzioni aeree fresche: 4-6 gr per 250 cc di acqua bollente
per 15 minuti. Va presa una tazza dopo i pasti.
Uso esterno Si adoperano le foglie per calmare il mal di testa e per attenuare il
dolore sulle ferite.
Controindicazioni La pianta essiccata, dopo un anno, non conserva il suo aroma
di limone.
Curiosità e avvertenze La pianta viene utilizzata anche in liquoreria e profumeria
sotto forma di “acqua celeste” e “acqua dei carmelitani”. I prodotti citati vengono
consigliati nelle palpitazioni di cuore e per superare stati malinconici.
MELILOTO TRIFOGLIO GIALLO
Melilotus Officinale L.
Famiglia: Leguminose
Parti utilizzate Le sommità fiorite raccolte da giugno a settembre. Cresce spontaneo nelle aree ex arative.
Principi attivi La pianta contiene un glucoside che produce cumarina presente in
dose elevata nella pianta matura ed essiccata.
Proprietà terapeutiche La pianta è emolliente, aromatica, antispasmodica, decongestionante e diuretica.
Cure naturali Infuso di sommità fiorite: 2-3 gr per tazzina di acqua bollente, contro
i dolori della digestione e i gas intestinali.
Uso esterno Cataplasma di porzioni aeree nel ventre: 50-60 gr in 150 gr di olio fatte
bollire per alcuni minuti. Lenisce i dolori uterini e quelli derivati da coliche.
Curiosità e avvertenze Il nome generico di meliloto deriva dal greco "meli" cioè
miele, e "lotos" da loto. La pianta recisa con i caratteristici fiori gialli è considerata il
trifoglio da miele oltre a presentare un elevato contenuto di cumarina. I fiori dissecati trovano impiego in profumeria.
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RAPONZOLO
Campanula rapunculus L.
Fam.: Campanulacee
RAMPUSSO
Parti utilizzate Radici e foglie raccolte anche nel periodo invernale. Presente
nell’area un tempo coltivata a vite maritata all’acero.
Principi attivi La notorietà di questa pianta è attribuibile al suo sapore acidulo che
denota la presenza di acidi organici, con vitamine A e C.
Proprietà terapeutiche Rinvigorisce e corrobora l’organismo (tonico) e agisce
favorevolmente sull’apparato digerente.
Cure naturali Insalata preparata con foglie giovani: 25-30 gr al giorno per almeno
10 giorni consecutivi condita con olio di oliva. Ottime le radici cucinate in modo
analogo a tutte le altre radici alimentari.
Controindicazioni La raccolta delle piante di Raponzolo richiede un occhio
molto attento e allenato, in quanto la parte aerea si confonde facilmente con altre
foglioline, per cui è individuabile da raccoglitori esperti solo nel periodo invernale.
Curiosità e avvertenze Nel Medio Evo la radice era già utilizzata sia per le virtù
medicamentose, sia per le proprietà alimentari. Sono in corso ricerche approfondite per meglio definire il potere medicamentoso di questa specie.
RANUNCOLO
Ranunculus acris L.
Famiglia: Ranuncolacee
Parti utilizzate La pianta fresca raccolta da maggio a luglio. Presente ovunque tra
la vegetazione spontanea.
Principi attivi La pianta contiene protoanemonina, anemomina e saponina.
Proprietà terapeutiche I ranuncoli sono piante tossiche con effetti vescicanti,
preceduti da arrossamento delle superfici della pelle.
Cure naturali a uso esterno. Cataplasmi con foglie: sulle parti dolorose del nervo
sciatico, con l’avvertenza di effettuare continui controlli per evitare la formazione
di piaghe. Lo stesso trattamento viene praticato nei casi di affezioni cutane (herpes,
eczema, prurito).
Controindicazioni I peduncoli, se portati alla bocca, possono provocare seri
disturbi. Ogni cura deve essere seguita da personale medico.
Curiosità e avvertenze I ranuncoli spontanei di color rosso, detti “Turchi”, derivano dal Ranunculus africano Hort, o del R. asiaticus L. I fiori compaiono nella pianta
dopo due anni. Nell’alimentazione del bestiame le piante di ranuncolo devono
risultare ben essiccate.
RUTA
Ruta graveolens L.
Famiglia : Rutacee
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ERBA LUISA
Parti utilizzate Le foglie raccolte prima della fioritura nel mese di giugno. Cresce
in alcuni punti ben esposti.
Principi attivi La pianta contiene un olio essenziale (Oleum rutae), un glucoside, la
rutina e la vitamina P.
Proprietà terapeutiche La rutina è utilizzata nella terapia delle malattie cardiovascolari, per combattere i crampi e abbassare la pressione arteriosa. Viene usata
anche come calmante e stimolante dell’intestino.
Cure naturali Infuso di foglie tritate: 2-3 grammi in una tazzina di acqua bollente
per la durata di 20 minuti contro i reumatismi, le nevralgie e le alterazioni mestruali.
Uso esterno L’essenza si usa per frizioni varie.
Controindicazioni La Ruta è una pianta pericolosa in quanto può provocare dolorose contrazioni muscolari (spasmi).
Curiosità e avvertenze La Scuola medica Salernitana nel Medioevo affermava
“Giova la ruta agli occhi e per la vista assai acuta”. La presenza delle piantine tiene
lontana le vipere, forse per l’odore che emana.
FARFARA
Tussilago Farfara L.
Famiglia : Composite
CACCIA LA TOSSE
Parti utilizzate Fiori raccolti in boccio da marzo ad aprile e foglie raccolte nei mesi
successivi. Pianta presente nei fossati dell’Oasi.
Principi attivi Le foglie contengono molte mucillagini e insulina. I fiori contengono zuccheri e acido uronico.
Proprietà terapeutiche Infusi di fiori: 4-6 gr di fiori per tazza, messi in acqua
bollente per mezz'ora. La soluzione va filtrata per evitare la presenza di filamenti
irritanti. Lenisce la tosse persistente e il catarro bronchiale.
Uso esterno Le foglie fresche, applicate con bende, vengono consigliate per lenire
i dolori nevralgici delle mascelle e dei denti.
Controindicazioni La pianta non si utilizza in campo alimentare.
Curiosità e avvertenze I suoi capolini, simili a quelli del tarassaco compaiono in
febbraio prima delle foglie. Le foglie essiccate vengono usate per preparare sigarette, valide per aiutare i fumatori accaniti a disintossicarsi. La pianta emana un odore
pepato e il sapore è amaro.
MENTA ERBA PIPERINA o mentuccia
Mentha piperita L.
Famiglia: Labiate
Parti utilizzate La pianta intera raccolta in piena fioritura nei mesi estivi.
Principi attivi Contiene un olio essenziale (Oleum Menthae) contenente dal 50 al
80% di mentolo, mentone, alcoli, aldeidi, tannino e amari.
Proprietà terapeutiche Il mentolo è il componente aromatico e rinfrescante. La
menta è antispasmodico, carminativo, colagogo, stimolante e eccitante.
Cure naturali Infuso con parti fiorali fresche: 2-3 gr in una tazza di acqua bollente.
Sciroppo con foglie fresche: per macerare foglie 8-10 giorni in un litro di alcol diluito (45-48°) e zuccherare al 200%.
Uso esterno Le foglie fresche vengono usate per lenire il mal di testa, effettuare
gargarismi e frizioni.
Controindicazioni Il mentolo contenuto nella menta piperita a forti dosi è tossico.
Curiosità e avvertenze I Cinesi ne vantono la proprietà calmante. I contadini
l’adoperano per allontanare i topi dai granai. La menta viene anche detta “erba di
San Lorenzo” o mentuccia ed è adoperata per preparare il piatto tipico della sera
del patrono, le lumache.
POLMONARIA
Pulmonaria officinale L.
Fam.: Borragginacee
CIUCIA LATTE
Parti utilizzate La pianta fiorita senza radice è raccolta ai margini del bosco nei
mesi di marzo e aprile.
Principi attivi La pianta contiene mucillagine, saponina, tannino, silicio e sali
minerali.
Proprietà terapeutiche È emolliente, espettorante e astringente.
Cure naturali Infuso di foglie e fiori: 25-30 gr/litro su acqua bollente per 20 minuti
e addolcire con miele.
Va preso nelle affezioni delle vie respiratorie e polmonari.
Uso esterno Per lavare gli occhi si adopera un infuso ottenuto con 2-3 gr/litro di
foglie fresche.
Curiosità e avvertenze Sino alla metà del XX secolo la Polmonaria è stata usata
per combattere la tubercolosi. Le foglie di polmonaria, picchiettate di bianco,
danno l’immagine di un polmone malato.
La pianta offre agli insetti tre tipi di fiori con stami irregolari, di tre lunghezze differenti di stilo.
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IL LABORATORIO EFFETTUA
PIÙ DI 40MILA ANALISI L'ANNO
Il Centro Idrico Novoledo è una
società di servizi che nasce nel 1996
e ha come oggetto il rilevamento
dei parametri idrogeologici, idraulici, biologici, chimici e chimico-fisici
che caratterizzano il sistema idrologico “Astico - Bacchiglione” (utilizzato per l’approvvigionamento idropotabile dagli acquedotti di Vicenza
e Padova). Il laboratorio effettua il
“controllo gestionale interno” sulla
qualità dell’acqua distribuita nelle
due città e su quella erogata da altri
importanti acquedotti del Veneto.
Il Centro Idrico Novoledo è partecipata, in pari quota, da Acque
Vicentine spa e da AcegasAps
e ha sede a Villaverla, all’interno
dell’area naturalistica da cui prende origine l’acquedotto di Padova.
Le aziende socie hanno trasferito
al Centro Idrico Novoledo il patrimonio di conoscenze acquisito dal
Laboratorio Interaziendale Analisi
Acque in quasi vent’anni di attività,
investendo in spazi e nuove attrezzature e ampliando ulteriormente i settori di intervento. Grazie a
strumentazioni d’avanguardia e a
una équipe tecnica di prim’ordine, il
Laboratorio è in grado di compiere
più di quarantamila controlli l’anno
(un terzo solo per l'acquedotto di
Padova) su tutti i parametri chimico-fisici e batteriologici dell’acqua,
dal momento della captazione dalle falde, fino all’erogazione dai rubinetti di casa. Poche acque, comprese quelle commercializzate in
bottiglia, sono tenute così costantemente e attentamente sotto con30
trollo.
ll Centro Idrico effettua prelievi periodici su: acqua di sorgente,
acqua di pozzi-spia per il monitoraggio della falda, acqua in uscita
dagli impianti di potabilizzazione,
acqua prelevata dai rubinetti della
rete di distribuzione.
Tre sono i settori di attività del
Centro Idrico Novoledo: laboratori di analisi, settore idrogeologico,
analisi delle risorse territoriali.
Il settore idrogeologico utilizza,
tra l’altro, una rete di telecontrollo
degli acquiferi costituita da stazioni
periferiche che acquisiscono, con
continuità, dati di tipo idrologico
(livelli di falda e portate dei corsi
d’acqua). I dati vengono trasmessi all’Unità Centrale e alimentano
un modello che simula il funzionamento idraulico dell’acquifero e ne
descrive l’andamento. Il settore che
si occupa delle Analisi delle risorse
territoriali e ambientali raccoglie
ed elabora informazioni relative
agli utilizzi del suolo nella zona di
ricarica degli acquiferi che possono avere effetti sulla qualità e sulla disponibilità futura delle risorse
idriche. Si tratta di dati riguardanti
la copertura del suolo, l’evoluzione dell’urbanizzato, l’avvicendamento delle colture, il patrimonio
zootecnico, l’impiego di prodotti a
rischio ambientale da parte di attività industriali e del comparto agrozootecnico, i prelievi idrici effettuati
a fini diversi, la qualità delle acque
sotterranee. Per quest’ultima attività sono utilizzati 80 pozzi-spia.
iQuaderni
Supplemento a iServizi
Testi dell'Oasi di Villaverla di Silvia Peruzzo,
Erika Leuzingher e Umberto Tundo.
Testi delle Erbe Officinali di Luigi Spolaore.
Consulenza scientifica di Lorenzo Altissimo.
Fotografie di Damiano Rotondi e Fabio Pegoraro.
Illustrazioni delle Erbe Officinali di Alessandra Ruffato
Illustrazioni delle pagine centrali di Lucio Delconte
iServizi
Registrazione al Tribunale di Padova n. 1738 del 18.4.2001
Direttore responsabile Maurizio Stefani
Editore AcegasAps SpA Trieste
Ristampa dicembre 2012
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