Vincenzo Bellini e la lettera di Gioacchino Rossini

Su Vincenzo Bellini e Gioacchino Rossini
di Salvatore Accardi ©
Nell’aprile 1878, il notaio Gaspare Patrìco Malato, cavaliere
dell’ordine di San Maurizio e Lazzaro, donava alla biblioteca Fardelliana una
lettera in cui era annotata: dono della sorella del Bellini al Cav. Gaspare Patrico. 1
La lettera, scritta da Gioacchino Rossini all’avvocato Filippo
Santocanale di Palermo, è complemento ai fatti accaduti tra il 1835 e il 1836.
In quegli anni il notaio catanese Luigi de Monaco e Petrosino rogava una
procura a favore di Gioacchino Rossini, con la quale gli eredi di Vincenzo
Bellini lo incaricavano ad esercitare le azioni civili a tutela della loro eredità.
Inoltre, davano incarico all’avvocato Filippo Santocanale a riscuotere le
somme dello scomparso musicista, a Salvatore Ursini di recuperare lo
spartito dei “Puritani” e a Francesco Florido la corrispondenza e i documenti
del musicista catanese. 2
Leggendo la lettera di Rossini apprendiamo che lo spartito era stato
acquistato dall’editore parigino Eugéne Théodore Troupenas (1799-1850) nel
1835, il quale si riservò il diritto di stampare. La convenzione tra Bellini, il suo
editore e l’amministratore del “Teatro Italia” di Parigi, stabiliva la spartizione
dei profitti dell’opera per 1/3 a ciascuno dei soci, che costituirono una fittizia
società d’interessi. Dopo il decesso del compositore catanese,
l’amministrazione del “Teatro Italia” incamerò i profitti sull’opera e non
corrispose alcuna quota agli eredi di Bellini né tanto meno a Troupenas. A
causa dello scorretto comportamento scaturiva un processo civile tra le parti,
ritenuto da Rossini incaminato, cioè ben istruito e di lunga durata – “sapete
però cosa sono i processi!!!” – È evidente che gli eredi non intrapresero
direttamente una causa civile nei confronti dell’amministrazione del “Teatro
Italia”, cosa che ignorano completamente, nonostante l’accampata proposta di
tre mila franchi per rinunziare a quanto reclamato.
Una cifra che stimiamo nell’ipotetico valore attuale di circa 20.500
euro, definita da Rossini magnifica, anzi una somma che le viene dal cielo,
contentandosi nell’averla proposta.
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Al Signore,
Il Signore avvocato Filippo Santocanale. Palermo.
Il Sig. Avvocato Coquet di Parigi vi consegnerà la
presente. Egli viene, più fortunato di me, per vedere la vostra
bella Patria, passerà poscia in Catania per trattare un piccolo
affare cogli eredi Bellini, per il quale, vi pregherò darle una
lettera per il padre del defunto nostro amico. Ecco di che si
tratta. Monsieur Troupenas, mio Editore di musica in Parigi, fu
quello che acquistò lo spartito dei Puritani e si riservò il diritto
di stampare. Fece un affare colla Impresa del Teatro Italia con
accordo loro un terzo della proprietà, un altro terzo all’autore e
un terzo per se. Morto il povero Bellini l’Impresario ha fatto
rappresentare i Puritani senza dare nulla all’editore né agli
Eredi. Per mio consiglio monsieur Troupenas ha fatto causa
all’Impresa per i dritti d’autore che accorda la Legge. 3 Il suo
processo incaminato, sapete però cosa sono i processi!
Era mio pensiero lo scrivere agli Eredi, alfine essi come
per il loro terzo (cosa che ignorano completamente) facessero
pure causa. Pensando però alle spese e alla noia che arrecano
simili affari, vi rinunziai e consigliai monsieur Troupenas di
proporre agli Eredi suddetti di acquistare detto diritto. Ed ecco
come sono le cose. Il loro avvocato Coquet è incaricato di offrire
tre mila franchi agli Eredi Bellini per la cessione de suoi diritti.
L’offerta è magnifica in una cosa così incerta. Saranno beati gli
eredi di ricevere una somma che le viene dal cielo, ed io più lauto
ancora di averne avute l’Idea. Scrivete addunque in nome mio ai
suddetti e consigliateli ad accettare, garantendoli in
personalmente essere l’offerta al di là del dovere.
Siate, ve ne prego, cortese con il Sig. Coquet, che è
persona distintissima. Egli viaggia in Italia per solo diporto ed è
degno delle vostre cure. Ma don Ales mi parlò di voi, della spesa
e del adorabile Napoleoncino. Potete creder quanto io anco felice
nel sentirmi parlare di esso che tanto io amo. Addio mio buon
amico, concedetemi in che valgo ed abbiatemi ognor pel
vostro affettuoso Amico
Gioacchino Rossini.
Bologna 14 Settembre 1842.
prima facciata della lettera di Rossini.
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Immagine della prima facciata della lettera di Rossini.
Non sappiamo sull’esito finale della proposta e ciò
che avvenne in seguito. La lettera rappresenta la
testimonianza su quanto avvenuto dopo il 1836, sperando
possa costituire un altro tassello da aggiungere ad altri.
© Salvatore Accardi, novembre 2009
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Note
1 - Quell’anno, il cinquantaduenne notaio soffrì tantissimo la perdita delle
due figliolette, forse contagiate dal vaiolo che imperversava su Trapani. La
figlia Leonarda scomparve a gennaio a tre anni e sette mesi ed Anna a
febbraio, appena ad un mese di vita. Il mondo gli vacillò intorno. Non riuscì
a confortarsi e consolò a stento la giovane moglie Antonina Messina, invisa
alla morigerata cognata Maria. Sofferente e famoso, il cavaliere, a cui
dedicarono l’omonima “mazurca a quattro mani”, si sentì perduto ed in
eccesso d’abbandono scrisse il suo primo testamento. Un mese dopo,
depositava nell’emeroteca cittadina la lettera olografa di Gioacchino Rossini,
a beneficio pubblico. Crediamo che fin da giovane il notaio sia stato un
appassionato di musica (come lo era lo zio Giuseppe Marco Calvino),
specialmente del melodramma. Romantico, platonico ed amico della
marchesa Maria Antonietta Platamone, lo ricordiamo per aver accolto
Giuseppe Garibaldi a Trapani e per esser stato adulato dai migliori
benestanti trapanesi. Nel 1879, con la nascita di Carlo Giuseppe Luigi, si
dissipava la sua breve tristezza. Il neonato visse solo un giorno e dopo un
anno d’avversa sorte, il cavaliere moriva il tredici maggio 1880. Con lui finiva
la progenie dei notai Patrìco cominciata con Carlo senior nel primo
cinquantennio del 1700.
2 - Archivio di Stato di Catania, notaio Luigi de Monaco e Petrosino,
repertorio anno 1835-1836:
Carta 505: procura rilasciata in brevetto dai Bellini Ferlito a
Gioacchino Rossini, sulle azioni dell’eredità di Vincenzo Bellini.
Carta 508: procura a Filippo Santocanale per esigere tutte le somme
dovute agli eredi di Vincenzo Bellini;
Carta 517: procura a Salvatore Ursini per chiedere la consegna dello
spartito dei Puritani;
Carta 523 – procura a Francesco Florido e altre carte.
3 - Nell’Italia del primo trentennio del XIX secolo, il musicista era considerato
ancora una sorta di primus inter pares: quando non doveva comporre un’opera per
una “diva” determinata, aveva sempre da tenere in considerazione lo stile vocale, le
attitudini e infine anche il parere della cantante o del cantante che il teatro aveva
scritturato. Tutti avevano visto in Parigi una meta a cui tendere, dove v’era il
richiamo esercitato dalla capitale mondiale della cultura e (con Londra)
dell’economia, con una prospettiva di guadagni superiori all’Italia. Tale posizione di
primus inter pares, del musicista come artigiano, parte di una catena produttiva,
infrangeva l’immagine dell’artista condivisa dalle generazioni cresciute apprendendo
il codice romantico. Al posto della creazione meditativa del genio, si aveva la
fabbricazione meccanica di opere che dovevano discostarsi il meno possibile da quelle
baciate dal successo. Al posto del piedistallo d’onore riservato al genio stava la
continua, interminabile discussione con cantanti bizzosi, prime donne, impresari
avidi, censori e poliziotti ignoranti.
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Al posto di soggetti sublimi e alti, capaci di modificare il corso della storia, erano
richiesti continui compromessi con le mode del momento, i gusti del pubblico, le
particolarità locali di Firenze, di Napoli o di Milano. La stessa indipendenza
economica dell’artista, presupposto mai esplicitato ma non aggirabile se questi si
voleva “puro”, era una continua battaglia di fronte a compensi sottomessi a mille
fattori, ad impresari spesso truffaldini, ai possibili fiaschi dettati da claque rivali,
all’inesistenza di un diritto d’autore per le composizioni musicali, che consentivano
edizioni “pirata” delle opere in molti altri teatri, italiani o esteri. A Parigi, Vincenzo
Bellini, compositore catanese, era riuscito a farsi pagare per le proprie opere dei
compensi che mai nessuno aveva ottenuto in Italia. Sul piano della produzione, aveva
imposto a se stesso e soprattutto alle pressioni dei mercati un limite alla prolificità
forzata dell’autore, disciplinandosi a non scrivere più di un’opera all’anno,
calibrandola e guidando il processo creativo, secondo i criteri di qualità e di purezza
richiesti dal codice romantico all’opera d’arte. Bellini rappresentava un caso unico,
quello del musicista “professionista”, più noto e più fashionable dell’Europa dei
primi anni Trenta. Con lui si cominciava a riconoscere che il mondo musicale doveva
nelle sue regole e nelle sue forme essere riformato secondo criteri più moderni. Il
compito dell’artista è di soddisfare il pubblico, procurandogli piacere e movendolo
all’attenzione e all’emozione. Ma il compositore deve riconoscere i diritti del
pubblico, rispettandolo, creando cioè degli oggetti drammatici il più possibile
compiuti e ben eseguiti. A sua volta l’artista dovrà essere rispettato e, perché
proponga un lavoro ben fatto, la propria dignità economica deve essere garantita,
assieme ai diritti ad un giusto compenso - da qui la sua battaglia per il diritto
d’autore. (Gervasoni, 2005, da www.gliargomentiumani.com)
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