FARMACOGENETICA
La farmacogenetica, descritta per la prima volta 50 anni fa, è una branca della medicina che può
spiegare la variabilità individuale osservata nella risposta ai farmaci. L’obiettivo finale della ricerca
farmacogenetica è quello di offrire una terapia personalizzata per migliorare sia l’efficacia sia la
sicurezza dei farmaci prescritti, oltre a contribuire nella predizione del rischio di effetti avversi.
Diversi studi esaminano i geni candidati e i polimorfismi responsabili dell’alterazione nella risposta
a categorie di farmaci quali analgesici, anticoagulanti, antiaritmici e antipsicotici.
La genetica medica ha inizio nel 20° secolo con la rivalutazione dello studio di Mendel sulla
genetica delle piante; nel 1949, il lavoro di Pauling e colleghi, nel quale sono correlate l’anemia
falciforme e lo squilibrio di una specifica proteina, è la prima prova che un’alterazione genetica
modifica la struttura e la funzione di una proteina conducendo a malattia.
Oggi, l’importanza della farmacogenetica è stata accertata per molecole quali suxametonio,
warfarin, clopidogrel, tamoxifene, trastuzumab, azatioprina, mercaptopurina, tioguanina, codeina,
ossicodone, morfina, beta bloccanti.
Nel 2009 è stato istituito il consorzio per l’attuazione della farmacogenetica clinica (CPIC) per
comprendere ed affrontare la necessità di fornire indicazioni molto specifiche ai medici e ai
laboratori per il buon utilizzo dei test farmacogenetici in grado di correlare genotipo e profilo
farmacologico di un principio attivo (1).
Tra i primi farmaci ad essere stati studiati nell’ambito della farmacogenetica ci sono gli anestetici
generali per i quali è necessario un preciso adeguamento della dose in base a fattori individuali. La
codeina, analgesico utilizzato nella preanestesia, è un profarmaco che richiede O-demetilazione
catalizzata dal CYP2D6 per essere convertita in morfina ed avere quindi effetto analgesico.
All’interno della popolazione esistono dei polimorfismi genetici per cui si distinguono individui
metabolizzatori rapidi e lenti, nei primi si osserva un’enorme produzione di morfina, a partire dalla
somministrazione di codeina, che si traduce in effetti tossici potenzialmente fatali. Le stesse
considerazioni possono essere fatte per l’ossicodone che segue due vie di metabolizzazione
(CYP2D6 e CYP3A4) e per il quale si riscontrano profili farmacocinetici variabili in base alle
capacità enzimatiche individuali.
Per la differente risposta personale che si osserva in seguito alla somministrazione di morfina sono
stati considerati alcuni geni candidati: il gene che codifica per il recettore µ oppioide (OPRM1), e
quello per la catecol-O-metiltrasferasi (COMT) (1).
Gli studi di farmacogenetica hanno cercato di identificare i fattori che sono alla base della
variabilità individuale nella risposta al trattamento antipsicotico, ponendo l’accento sui geni che
codificano per i recettori della dopamina e della serotonina. Studi differenti concordano nel
concludere che i polimorfismi del recettore per la dopamina influenzano il sintomo di risposta
positiva, mentre i polimorfismi che coinvolgono la trasmissione serotoninergica riguardano i
sintomi negativi.
A livello farmacocinetico si riscontrano delle variabili nelle capacità metaboliche, differenze
nell’attività degli enzimi che metabolizzano i farmaci, il che influenza le concentrazioni
plasmatiche, la disponibilità nel sito d’azione e la produzione di metaboliti attivi. A livello farmacodinamico le influenze sono determinate dai geni che codificano per i recettori della dopamina D2,
secondi messaggeri o proteine che interagiscono nei sistemi neurotrasmettitoriali (2).
Un altro campo in cui la farmacogenetica ha trovato spazio è quello dei disturbi cardiovascolari e
sebbene la variabilità nella risposta farmacologica tra individui sia stata ampiamente studiata,
questa informazione non è stata ugualmente utilizzata nella pratica clinica. Sono state individuate
molteplici varianti del gene per i recettori adrenergici ADRB1 e ADRB2: una Arg389 nel recettore
beta 1 conferisce uno stato ipersensibilità agli effetti dei farmaci beta bloccanti mentre una Gly389
corrisponde ad una mancata risposta per effetto di una ipofunzionalità recettoriale. Tuttavia, i
farmaci beta bloccanti sono ampiamente prescritti nel trattamento dell’ipertensione essenziale e per
l’azione antiaritmica indipendentemente dal genotipo individuale del paziente (3).
I modelli di previsione sono la chiave per la terapia farmacologica personalizzata. Il warfarin è un
farmaco che agisce da antagonista della vitamina K principalmente prescritto per la prevenzione
primaria e secondaria del tromboembolismo venoso e per la prevenzione dell’embolia sistemica in
pazienti con protesi valvolari cardiache e fibrillazione atriale. Uno dei principali problemi con la
terapia anticoagulante è l’ampia variazione interindividuale per la dose necessaria al
raggiungimento dell’effetto terapeutico. Il farmaco deve quindi essere monitorato intensamente, in
base al tempo di coagulazione, in modo particolare nelle prime fasi del trattamento. Quindi, quello
del warfarin è un tipico esempio dove la farmacogenetica potrebbe aiutare nella terapia individuale
di ogni singolo paziente, adeguando la dose, in base a fattori clinici e alla variazione genetica di
CYP2C9 e VKORC1 (vitamin K epoxide reductase complex 1), rispettivamente enzima
responsabile del metabolismo e target di azione del warfarin. Nel 2007 la FDA ha aggiornato
l’etichetta per incoraggiare, ma non richiede in maniera obbligatoria, test di farmacogenetica in
pazienti che iniziano la terapia con warfarin. Iniziare il trattamento di un paziente con una dose
individuale predetta di warfarin porterebbe alla riduzione del rischio di sanguinamento precoce,
fortemente legato all’intensità della terapia anticoagulante. Ciò che emerge dagli studi clinici
effettuati è una predisposizione genetica alla tolleranza, fattori che ne determinano la riuscita della
terapia e che ne influenzano la sicurezza. Ora è noto che nei pazienti con metabolismo normale,
cioè senza varianti genetiche per CYP2C9 il warfarin presenta un’emivita di 30-37 ore, mentre si
prolunga fino a 92-203 ore in pazienti con grave compromissione del metabolismo, informazioni
come queste danno la misura dell’importanza degli studi farmacogenetici (4).
BIBLIOGRAFIA
1. Pharmacogenetics and anaesthesia: the value of genetic profiling. R. Landau, L. A. Bollag
and J. C. Kraft. Anaesthesia 2012, 67, 165–179
2. The Pharmacogenetics of Symptom Response to Antipsychotic Drugs. Gavin P Reynolds
Psychiatry Investig. 2012 March; 9(1): 1–7.
3.
A Case for Pharmacogenomics in Management of Cardiac Arrhythmias. Gaurav Kandoi,
Anjali Nanda, Vinod Scaria, and Sridhar Sivasubbu. Indian Pacing Electrophysiol J. 2012
Mar-Apr; 12(2): 54–64.
4.
Clinical trials in the era of personalized oncology. Michael L. Maitland MD , Richard L.
Schilsky MD.