Progetto di ricerca Life Natura Introduzione

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C.R.A. Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura
Istituto Sperimentale per la Selvicoltura
Sezione Operativa di Cosenza
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Progetto di ricerca Life Natura
STUDI SU SOPRASSUOLO ABETE BIANCO-FAGGIO E SU SOPRASSUOLO
DI PINO LARICIO (PINUS NIGRA VAR. LARICIO) NEI SIC DELLA SILA PICCOLA”
(Relazione finale)
Introduzione
La conoscenza delle Aree protette forestali calabresi - per formazioni boschive e
tipologie colturali, specificità e interventi di salvaguardia, sviluppo e ipotesi di gestione costituisce in ambito regionale aspetto di primaria importanza, in prospettiva di una loro
mirata e improcrastinabile valorizzazione.
Di qui la necessità di avviare in Calabria - nei Parchi, nelle Riserve naturali e nei SIC
(Siti d’Interesse Comunitario), in ambito geografico più o meno esteso, su livelli
altitudinali significativi e in formazioni forestali naturali d’elevata peculiarità - studi e
ricerche di ecologia, biologia e selvicoltura.
I due SIC calabresi di “Monte Gariglione” (caratterizzato dal bosco misto faggioabete bianco) e “Pinete del Roncino“ (ove predomina il bosco puro di pino laricio),
edificati nella Sila Piccola, costituiscono una riserva e una risorsa forestale di elevato
valore ambientale (storico-culturale, paesaggistico, fitogeografico, produttivo), nonché un
sistema biologico complesso in continua evoluzione e riproducibile.
In una parola siti caratterizzati da “soprassuoli silvani mediterranei” di grande
significanza ambientale ed ecosistemica.
Per i soprassuoli ricadenti nei due SIC, la disponibilità di un maggior numero di
informazioni ecobiologiche, strutturali e selvicolturali - direttamente o indirettamente
connesse con l’importante ecosistema bosco da salvaguardare, gestire e valorizzare fornisce lo spunto per giustificare e avviare uno studio su entrambe le tipologie forestali.
In particolare:
- l’abete bianco che vegeta in Calabria, presentando anche caratteristiche di resistenza alle
piogge acide, deve essere trattato in modo da conservare e migliorare l’attuale
percentuale di diffusione della conifera, minacciata dal faggio.
- il pino laricio, che presenta in Sila individui dell’ecotipo “vutullo”, va gestito in maniera
da incrementarne anche gli esemplari, attraverso la razionalizzazione della densità e
della struttura delle pinete.
Indagini e ricerche da condurre in bosco, mirate principalmente:
- all’individuazione (a mezzo di foto aeree) e alla campionatura (con rilievi in aree
sperimentali permanenti) delle due tipologie presenti (abetine e pinete), ripartite per
classi di età, densità e composizione;
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- alla valutazione complessiva dello stato ecologico, biologico, sanitario e di rinnovazione
dei popolamenti indagati.
Aspetti questi ultimi che, per i SIC calabresi “Monte Gariglione” e “Pinete del
Roncino” ricadenti nel Parco Nazionale della Sila, assumono i connotati di vere e proprie
fasi preliminari di conoscenza silvana prima e di sperimentazione e pianificazione
territoriale e ambientale poi.
Tutto finalizzato, nella prosecuzione del progetto e per le formazioni boschive
naturali maggiormente diffuse e/o peculiari [di conifere (pinete di pino laricio e abetine
di abete bianco), di latifoglie (faggete) e a composizione mista (faggeto-abetine)] e
a diverso stadio evolutivo [soprassuoli giovani, adulti, maturi], alla definizione e
attuazione di modelli di gestione ottimali.
Ciò vale per i popolamenti forestali significativi della Sila Piccola, ma anche per le
microaree boschive e gli ecotipi arborei d’elevata importanza botanica e fitogeografia ivi
presenti, non ancora sufficientemente studiati e valorizzati - vere e proprie “oasi di
rifugio”, con caratteri d’eccellenza per unicità floristica e faunistica - di cui l’Appennino
calabrese e la regione montuosa silana in particolare risultano dotati.
In considerazione anche del fatto che, nel nuovo Millennio, i boschi italiani - in
particolare quelli edificati nell’Appennino meridionale e nelle Aree protette calabresi a
superiore significanza nazionale e comunitaria - per essere usati razionalmente ed
esplicare con efficacia la funzione primaria di protezione contro le calamità naturali,
devono essere concepiti, disegnati e gestiti in modo nuovo, dimensionati a misura
d’uomo, diligentemente curati come beni d’interesse pubblico.
Boschi cui richiedere continuamente nuovi servigi: paesaggio, purificazione
dell’aria, approvvigionamento dell’acqua, conservazione della biodiversità, distensione
dallo stress quotidiano, iniziazione alla natura silvana e a i suoi insegnamenti. Oltre quelli
elettivi, ritenuti indispensabili da tempo: protezione, produzione, perpetuità.
Attività svolta
In attuazione della convenzione stipulata nel 2005 tra il CRA - Istituto Sperimentale
per la Selvicoltura di Cosenza, con sede amministrativa ad Arezzo, e il MIPAF - Gestione
ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali di Catanzaro, relativa al progetto “Studi su
soprassuolo abete bianco-faggio e su soprassuolo di pino laricio (Pinus nigra var. laricio)
nei SIC della Sila Piccola”, si richiamano gli obiettivi prioritari e le linee di attività di
ricerca dell’ISSEL-CS, volti essenzialmente:
- alla rappresentazione aerea da ortofoto dei due SIC;
- alla ripartizione territoriale per piani altimetrici dei due SIC;
- all’individuazione e distribuzione delle tipologie forestali peculiari indagate;
- alla delimitazione e costituzione di aree sperimentali permanenti;
- all’esecuzione di rilievi sul soprassuolo arboreo e sulla flora arbustiva;
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- alla valutazione dello stato colturale. biologico e riproduttivo dei soprassuoli;
- all’elaborazione e analisi dei dati rilevati;
- alla definizione delle ipotesi di gestione.
Nel periodo considerato [agosto 2005 – novembre 2006], l’attività condotta dal
personale scientifico, tecnico ed esecutivo dell’ISSEL-CS ha riguardato in prevalenza e
fedelmente quanto riportato nel piano di lavoro della relazione tecnico-economica,
acclusa alla convenzione stessa.
Anno 2005 (agosto-dicembre)
L’attività di ricerca in bosco ha interessato soprassuoli naturali a composizione mista
di abete bianco-faggio ed esclusivi di pino laricio - a diversa struttura e con più classi
d’età - edificati nella Sila Piccola, rispettivamente su Monte Gariglione e nella Foresta di
Roncino, con individuazione e costituzione di 10 aree sperimentali permanenti di abete
bianco-faggio e 5 di pino laricio, all’interno delle quali sono stati condotti rilievi
dendrometrici e selvicolturali preliminari.
Nelle pinete di Roncino sono state individuate, schedate e misurate anche 12 piante di
“vutullo””, da servire per l’acquisizione dei primi elementi conoscitivi - dendrometrici,
biometrici e portamentali - sull’importante ecotipo arboreo forestale, in prospettiva di
ulteriori indagini e/o ricerche da concordare con l’Ente Parco Nazionale della Sila.
L’attività di ricerca in ufficio è stata indirizzata principalmente
- alla realizzazione dei documenti cartografici (formato A3) preliminari dei due SIC
relativi alla rappresentazione aerea del territorio da ortofoto del 1998, alla ripartizione
per piani altimetrici, alla ubicazione topografica delle aree sperimentali;
- alla valutazione dei principali parametri bioecologici e strutturali dei popolamenti
indagati, all’elaborazione dei dati rilevati in bosco, al riepilogo degli elementi
dendrometrici e selvicolturali di base delle aree costituite, alle prime valutazioni di
fusto e chioma dei pini “vutullo”.
Anno 2006 (gennaio-novembre)
Il personale dell’ISSEL di Cosenza ha provveduto in via definitiva:
- alla rappresentazione aerea dell’area di perimetrazione dei due SIC;
- alla ripartizione territoriale per piani altimetrici (submontano, montano inferiore e
montano superiore) dei due SIC, con planimetrazione degli stessi (a modulo 100 m) per
il calcolo delle superfici;
- al completamento delle aree sperimentali (10+2=12) nei popolamenti misti faggio-abete
bianco, con le due ultime aree di maggiori dimensioni (1 ettaro);
- all’ubicazione topografica delle aree di saggio (12 a Gariglione, 5 a Roncino);
- ad accertare sul posto, a mezzo di carotaggio, le classi d’età o stadi evolutivi (perticaia,
fustaia) delle aree sperimentali di pino laricio;
- all’esecuzione in tutte le aree di saggio di ulteriori e completi rilievi dendrometrici,
consistiti soprattutto nella misurazione dei diametri di tutte le piante e delle altezze di
un congruo numero di alberi (30-40) per il calcolo dei volumi;
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- all’elaborazione e analisi dei dati rilevati, per definire nelle diverse tipologie campionate
(miste a faggio e abete bianco, esclusive di pino laricio) l’intervento strutturale di taglio
più idoneo da applicare;
- alla valutazione, a mezzo di apposite schede, dello stato bioecologico, colturale e
riproduttivo dei popolamenti di faggio-abete bianco e di pino laricio, con riguardo
particolare: 1) allo stato colturale e vegetativo dei soprassuoli, 2) alla presenza
all’interno di essi di danni di natura antropica, 3) alla dotazione di strobili negli ultimi
due anni, 4) alla dispersione dei semi all’interno e/o al di fuori delle aree; 5) allo
sviluppo stentato e/o al disseccamento in atto da anni dei semenzali di abete bianco;
- alla segnatura, nelle 12 aree sperimentali di faggio-abete bianco, delle piante da
sottoporre entro fine estate a intervento strutturale di taglio;
- alla consegna al CFS - Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Catanzaro lo “Studio di
incidenza ambientale per il sito: Monte Gariglione” ZPS IT9310069 - IC IT9330114,
necessario all’ottenimento del relativo nulla osta di taglio dal Coordinamento
Territoriale Ambiente del Parco Nazionale della Sila e dal Coordinamento Forestale
Provinciale di Catanzaro;
- al controllo, durante e dopo il taglio, delle piante abbattute e rilasciate;
- a eseguire ulteriori accertamenti nelle aree sperimentali di pino laricio, con estrazione di
carotine, misurazioni di altezze (a mezzo di ipsometro ottico), rilevamenti fotografici
mirati alla rappresentazione compositiva e strutturale dei soprassuoli, compilazione di
schede per la valutazione dello stato bioecologico complessivo dei popolamenti;
- a definire le ipotesi di gestione da applicare alle formazioni naturali indagate (in
purezza e a composizione mista) e a diverso stadio evolutivo (fustaie giovani, adulte,
mature), edificate nei due SIC della Sila Piccola;
- alla stesura e consegna della relazione finale preliminare;
- alla stesura e consegna della relazione finale e dei documenti prodotti.
A - Studio e indirizzi di gestione dei boschi di Monte Gariglione
Lo studio si prefigge di individuare le più idonee tecniche di gestione selvicolturale
nei soprassuoli forestali a composizione mista faggio-abete bianco siti in località “Monte
Gariglione”, la cui notevole importanza è testimoniata dal fatto che l’area in questione è
identificata come ZPS IT9310069 e SIC IT9330114 della Rete Natura 2000.
L’intera zona, estesa complessivamente 608 ettari, è caratterizzata dalla presenza di
fustaie, pure e miste, di faggio e abete bianco, cui si associano, allo stato sporadico, piante
di pioppo tremulo, pino laricio e acero montano.
La letteratura scientifica forestale europea e l’attività di ricerca, avviata da più di
cinquanta anni, confermano che l’abete bianco della Calabria presenta una notevole
resistenza intrinseca alle piogge acide. Per tale motivo è in fase di sperimentazione la sua
introduzione in varie zone dell’Europa Centro-Settentrionale, per una eventuale diffusione
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su ampia scala, laddove i locali ecotipi risultano fortemente danneggiati dal fenomeno.
E’ quindi particolarmente importante che in Calabria i boschi caratterizzati dalla
presenza di abete bianco siano trattati in modo da conservare e migliorare l’attuale
percentuale di diffusione della conifera, spesso svantaggiata dalla presenza e dalla
concorrenza esercitata dal faggio.
Lo studio dell’area geografica di Monte Gariglione è stato effettuato al fine di
caratterizzare - dal punto di vista bioecologico, dendroauxometrico e selvicolturale - tali
soprassuoli misti, con valutazioni delle dinamiche evolutive e di successione dei
popolamenti delle due specie, volte a favorire la rinnovazione naturale dell’abete bianco.
Scopo delle indagini preliminari era quello di individuare il rapporto ottimale di
mescolanza tra il faggio e l’abete bianco, in modo da creare condizioni ecologiche
favorevoli alla conifera, consentirne l’insediamento, la diffusione e l’affermazione della
rinnovazione.
Quanto sopra richiede quindi una esatta definizione degli aspetti temperamentali e di
portamento sia dell’abete bianco che del faggio, nonché del modulo colturale più
appropriato da eseguire nei soprassuoli misti ove vegetano, con riguardo particolare al
tipo e all’entità dell’intervento strutturale di diradamento, sia in termini di numero di
piante che di area basimetrica da asportare. In stretta dipendenza con le tipologie colturali
presenti - ove le due specie si trovano allo stato naturale a vegetare assieme o in purezza -,
delle quali si richiamano le principali prerogative forestali e ambientali.
Abetine
In Sila le formazioni naturali di abete bianco (Abies alba Miller) occupano una
superficie modesta, di appena 150-200 ettari,. Le maggiori estensioni si trovano sul Monte
Gariglione (Sila catanzarese); piccoli nuclei sparsi sono inoltre presenti sulla Sila
cosentina. In tali zone le abetine occupano prevalentemente la fascia altimetrica compresa
tra 1400 e 1600 m di quota, posizionandosi più in basso delle faggete.
Specie mesotermofila e igrofila, con optimum di vegetazione nei versanti soleggiati e
freschi e nelle zone piovose ed umide. Tollera l’ombra e resiste all’aduggiamento prolungato, riprendendosi anche dopo molti anni. Indifferente nei riguardi del suolo, salvo
notevoli esigenze di profondità e umidità. Tendenzialmente socievole per la costituzione
di abetine, anche se la prerogativa bioecologica principale è quella della partecipazione al
bosco misto faggio-abete bianco. La longevità è elevata (anche 450 anni).
Le provenienze calabresi di abete bianco, in particolare quelle di Monte Gariglione e
Serra San Bruno, presentano particolari caratteristiche di resistenza alle piogge acide,
motivo per cui sono oggetto di studi e ricerche, in avanzata fase di sperimentazione, in
varie zone dell’Europa Centrale e Settentrionale, per un loro eventuale utilizzo diffuso
nelle nuove piantagioni, in sostituzione degli ecotipi locali che subiscono forti danni.
Faggete
Nella Sila i boschi di faggio (Fagus sylvatica L.) occupano un’estensione di circa
18.000 ettari, distribuiti soprattutto nel piano montano superiore, tra 1600 e 1900 m s.l.m.,
al di sopra della fascia vegetazionale occupata dal pino laricio e dall’abete bianco.
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Il portamento delle piante dipende dalle condizioni stazionali ove vegetano:
tipicamente arboreo, con fusti dritti e slanciati, nelle faggete dense e chiuse; assume
invece caratteristiche di arbusto basso e contorto nelle formazioni ubicate sui crinali
sottoposti a venti forti e costanti.
In Sila sono presenti sia le fustaie sia i cedui di faggio. Questi ultimi, in particolare,
hanno rivestito in passato una notevole importanza economica e sociale per la produzione
di legna da ardere e di carbone. In tempi più recenti, il ricorso ad altre fonti energetiche ha
fatto perdere ai cedui la loro antica funzione, per cui si pone oggi il problema di un loro
recupero (biologico, ecologico, paesaggistico) mediante appropriati interventi di gestione
selvicolturale.
Faggeto-abetine
Sono soprassuoli misti di faggio e abete bianco, a diversa compartecipazione, che
caratterizzano soprattutto la fascia medio-montana di Monte Gariglione. L’altitudine della
zona è compresa tra 1400 e 1765 m s.l.m. In tale contesto le due specie hanno medesime
esigenze ambientali (climatiche e pedologiche) e presentano capacità di accrescimento e
di sviluppo sostanzialmente identiche.
La consociazione si caratterizza per la presenza di piante mature di abete bianco,
isolate o a piccoli gruppi, che annualmente disseminano in abbondanza, dando origine a
numerosi semenzali; la mancanza di luce nel piano inferiore determina, nel volgere di
pochi anni, condizioni sfavorevoli alla loro affermazione; ne risulta una rinnovazione
costituita da pochi e stentati individui.
E’ quindi particolarmente importante prescegliere ed attuare modelli selvicolturali di
gestione, in grado di salvaguardare il bosco misto nel suo complesso, preservando e
migliorando l’attuale diffusione della conifera, sottoposta in passato a tagli indiscriminati
e pascolo incontrollato.
Materiali e metodi
Le indagini preliminari hanno evidenziato che nei soprassuoli indagati, in relazione
alla composizione specifica, erano presenti differenti tipologie forestali.
In ognuna delle situazioni significative riscontrate sono state costituite aree di saggio,
a carattere permanente, al fine di rilevare con estrema precisione gli aspetti dendrometrici
e selvicolturali.
Inizialmente sono state realizzate 10 aree, rappresentative delle seguenti situazioni:
a) - soprassuoli puri o a prevalenza di faggio (aree 1, 8 e 10);
b) - soprassuoli misti faggio-abete (aree 2 e 4);
c) - soprassuoli puri o a prevalenza di abete (aree 3 e 5);
d) - soprassuoli misti faggio-abete-pioppo tremolo (aree 6, 7 e 9).
Le aree di saggio sono state realizzate di forma quadrata e dell’ampiezza di m² 400
(m 20 di lato) - solo l’area 4 è più grande (625 m2) -, utilizzando lo squadro agrimensorio
e la cordella metrica. Ai vertici delle stesse, una volta individuate, sono stati infissi nel
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terreno alcuni picchetti al fine di consentire, in tempi successivi, il loro ritrovamento; per
maggior sicurezza è stato segnato anche il perimetro esterno, segnando con vernice le
piante immediatamente esterne all’area.
Successivamente è stato rilevato il diametro a m 1,30 da terra di tutte le piante
presenti con diametro maggiore di 3 cm , ed è stato inoltre annotato sul piedilista di
cavallettamento lo stato vegetativo e l’aspetto esteriore delle stesse.
In ogni area è stato infine ipotizzato un intervento di diradamento, poi eseguito in
estate da operai del CFS, per cui le piante destinate al taglio sono state segnate apponendo
sulle stesse un segno di vernice rossa.
L’elaborazione dei dati ha consentito di ricavare le distribuzioni di frequenza per
classi di diametro di 5 cm delle piante presenti, tenendo distinte la specie, lo stato
fitosanitario (piante vive e piante secche) e l’entità del diradamento.
Ulteriori elaborazioni hanno riguardato la determinazione dell’aree basimetrica,
anch’essa distinta per classi diametriche di 5 cm in funzione della specie, dello stato
fitosanitario e dell’entità del diradamento.
La stima dei volumi è stata infine eseguita ricorrendo al metodo dell’albero modello
unico, che consente di stimare la massa legnosa presente a livello di intero soprassuolo
(quindi non distinta in funzione delle classi diametriche presenti).
Altre 2 aree di saggio, dell’ampiezza di m² 10.000, di forma quadrata (m 100 di lato)
e rettangolare (m 125 x 80), sono state realizzate nella parte bassa dell’area SIC - lato
monte della pista forestale del Gariglione” - in soprassuoli puri o a prevalenza di faggio.
Anche in tali aree si è proceduto alla segnatura delle piante e all’esecuzione, in
agosto-settembre, del diradamento strutturale previsto. L’elaborazione dei dati, prima e
dopo il taglio, è stata completata da poco.
Risultati conseguiti
Rappresentazione aerea del SIC (Documento 1)
Dalla visione di ortofotocarte da volo aereo del 1998 e da bibliografia acquisita si
richiamano alcuni requisiti fondamentali del SIC “Monte Gariglione”:
- l’ubicazione in ambiente mediterraneo montano, con clima di tipo appenninico (sugli
altipiani) e di tipo prealpino (sulle aree cacuminali delle principali vette);
- l’ossatura granitica dei maggiori rilievi, analoga a quella che si riscontra nelle montagne
italiane del sistema alpino occidentale;
- la conformazione allungata in senso ovest-est dell’area SIC con relativa vicinanza al
mare Ionio;
- l’incidenza della Valle del Tacina (parte alta), nel determinare i gradienti termoudometrici dei versanti freddi del SIC e la distribuzione del faggio e dell’abete bianco;
- l’edificazione su discrete superfici del bosco misto faggio-abete bianco, i cui gruppi
naturali di vegetazione, anche all’esterno di Monte Gariglione, ricadono in area Parco;
- la maggiore partecipazione dell’abete bianco da quota 1450-1500 m a 1600-1650 m;
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- la presenza di aree pascolive d’altitudine, con numerosi endemismi erbacei.
Ripartizione territoriale del SIC per piani altimetrici (Documento 2)
La superficie dell’area di perimetrazione del SIC “Monte Gariglione” è di 608 ettari,
ed è a questa entità che si fa riferimento per il calcolo dei valori, assoluti e percentuali,
relativi alla ripartizione interna del territorio.
Sulla base di cartografia IGM al 25.000 di recente pubblicazione e procedendo nel
comprensorio in senso altitudinale, a modulo 100 m delle isoipse, s’incontrano tre piani
[due ricadenti nella fascia silana montana, uno in quella altomontana] di riferimento:
l’inferiore (1500-1600 m s.l.m.), il medio (1600-1700 m) e il superiore (1700-1765 m),
estesi rispettivamente 108 ettari (17,8%), 378 ettari (62,2%) e 122 ettari (20,0%).
Nei piani esaminati, in particolare nei versanti freddi e soleggiati e su suoli freschi e
profondi, sono edificati i popolamenti significativi, a composizione pura e mista, delle
specie forestali esclusive d’alta quota della zona: abete bianco e faggio. Si associano ad
esse, sporadicamente, il pioppo tremulo, il pino laricio e l’acero montano.
Ubicazione ed elementi dendrometrici delle aree sperimentali (Documento 3-4-5)
L’ubicazione topografica delle 12 aree di saggio è riportata nel Documento 3, mentre
i principali parametri dendrometrici delle prime 10 aree al momento del rilievo in bosco
(prima, durante e dopo il diradamento) sono riassunti nel documento 4, relativo al
prospetto riassuntivo delle frequenze, delle aree basimetriche, dei valori di diametro
medio, dei coefficienti di riduzione, della situazione prima dell’intervento strutturale,
dell’entità del taglio, della situazione dopo il diradamento.
I dati in essa riportati evidenziano, per alcune aree, una situazione critica sia per
quanto concerne il numero di piante, sia per i valori di area basimetrica; sono stati infatti
riscontrati un numero eccessivo di piante in molte aree, e comunque sempre oltre le 1500
piante ad ettaro, a cui corrispondono valori altrettanto elevati di area basimetrica.
A fronte di tali valori, i volumi registrano un andamento inverso, in quanto sono stati
stimati valori generalmente più elevati nelle aree a minore densità.
Quanto sopra evidenzia chiaramente che i volumi medi delle singole piante sono
maggiori dove la densità è minore; in sostanza, la maggiore densità influisce
negativamente sull’accrescimento delle singole piante.
Bisogna inoltre considerare che la densità eccessiva condiziona negativamente anche
la stabilità delle singole piante e, quindi, dell’intero soprassuolo. In sostanza, nei
popolamenti a maggiore densità le piante tendono a “filare” per effetto della
concorrenza nei confronti della luce e presentano, pertanto, un rapporto ipsodiametrico
più elevato, con effetti negativi nei riguardi della resistenza agli agenti atmosferici (neve
e/o vento).
Spostando l’attenzione sul documento 5, ovvero all’intervento di taglio eseguito nelle
aree di 1 ettaro - ove la compartecipazione al bosco misto del numero di piante di faggio è
compresa tra il 75 e il 63%, quella dell’abete bianco tra il 24 ne il 29%, mentre quella del
pioppo tremulo (assieme ad alcune piante di salicone e acero montano) oscilla dall’1
all’8% - si giunge sostanzialmente alle medesime valutazioni dendrometriche (densità,
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area basimetrica, metri steri e/o peso della massa asportata col taglio) e selvicolturali
(aspetti compositivi, distribuzione spaziale, struttura, stato di sofferenza del piano di
rinnovazione dell’abete bianco).
Dall’esame dei dati risulta inoltre che il taglio strutturale ha riguardato quasi
esclusivamente piante di faggio (88-95%), alcune di pioppo tremolo (11-1%) e solo in
minima parte di abete bianco (1-4%).
Prescindendo dal miglioramento immediato della struttura dei due popolamenti quale
conseguenza dell’intervento di taglio attuato, nelle due aree assume notevole significanza,
attuale e futura, anche la nuova ripartizione specifica delle piante rimaste:
- area 11 / Faggio : Abete : Pioppo = 61 : 38 : 1 [75:24:1, prima dell’intervento];
- area 12 / Faggio : Abete : Pioppo = 37 : 60 : 3 [63:29:7, prima dell’intervento].
La densità finale dei due popolamenti oscilla da 492 a 676 piante per ettaro, con
un’area basimetrica compresa tra 32,79 e 33,94 m2 e un diametro medio variabile da 25,3
a 29,1 cm.
Nell’immediato futuro, della nuova situazione determinata se ne avvantaggerà
soprattutto l’abete bianco, sia in termini di ripresa vegetativa del proprio piano in
rinnovazione, liberato dalla perdurante sottomissione, sia in termini di maggiore
profondità di chioma delle piante arboree presenti in bosco, con maggiore produzione di
strobili di abete che dissemineranno e che daranno luogo alla formazione di promettenti
semenzali.
Gestione selvicolturale
Allo stato attuale nella zona interessata dagli interventi sono presenti popolamenti
misti di faggio e abete, faggio-abete-pioppo tremolo, ovvero popolamenti puri o a
prevalenza di faggio.
Tenuto conto degli indirizzi di protezione che caratterizzano un’Area protetta, le
modalità con cui sono state contrassegnate e asportate col diradamento le piante, sono
state valutate e analizzate da zona a zona, in base alle reali condizioni dei soprassuoli.
L’intervento attuato è finalizzato al miglioramento delle condizioni vegetative del
soprassuolo, con il rilascio non solo delle piante fenotipicamente migliori e a chioma
ben conformata, ma anche dei soggetti di interesse estetico e naturalistico.
L’intervento di taglio è risultato di tipo selettivo dal basso ed ha interessato le piante
di faggio delle classi diametriche più piccole ed appartenenti per lo più al piano
dominato; ove presenti, il diradamento ha riguardato anche le piante di pioppo tremolo,
che per l’età avanzata presentavano spesso problemi di marciumi localizzati sulle radici e
sul fusto.
Dove necessario, inoltre, sono state contrassegnate al taglio anche alcune piante del
piano dominante, soprattutto di faggio e pioppo tremolo, al fine di favorire l’insediamento
della rinnovazione di abete nelle migliori condizioni di luminosità e di assenza di
aduggiamento da parte delle piante di tali specie.
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L’analisi dei dati ha inoltre evidenziato che, anche nei casi in cui il numero delle
piante asportate è elevato, i corrispondenti valori di area basimetrica (e conseguentemente
di volume) sono sempre modesti, in quanto, come si è detto in precedenza, l’intervento ha
interessato prevalentemente il piano dominato, caratterizzato cioè da piante di piccolo
diametro.
In alcune aree, valori apparentemente elevati di area basimetrica asportata sono
dovuti alla totale assenza di semenzali e/o rinnovazione affermata di abete bianco, indice
cioè dell’assoluta mancanza di condizioni ecologiche favorevoli alla germinazione dei
semenzali di abete.
In tali casi, quindi, cercando sempre di non scoprire eccessivamente il suolo, per non
ingenerare fenomeni di dissesto geopedologico, gli interventi eseguiti si prefiggono di far
penetrare al di sotto delle chiome una maggiore quantità di luce.
Considerazioni conclusive
L’abete del Gariglione, localizzato nella parte sud-orientale dell’altopiano silano,
rappresenta il più cospicuo centro di vegetazione della Sila.
L’analisi delle aree di saggio, realizzate in area SIC, mostra come la massa sia
costituita mediamente per oltre il 55% dal faggio, per circa il 32% dall’abete bianco e
per circa il 13% dal pioppo tremolo. A cui corrisponde, rispettivamente, una ripartizione
della densità pari a 64, 32 e 4%.
In termini distributivi, a partire da quota 1450-1500 m e con riguardo alle esposizioni
soleggiate e fresche, l’abete tende ad aumentare tendenzialmente la sua partecipazione al
consorzio misto. Al di sopra dei 1650-1700 m diventa nuovamente sporadico, con le
principali vette, esposte all’azione del vento, occupate ancora dal faggio allo stato puro.
La rinnovazione è presente nei gruppi di faggio, non eccessivamente densi, talvolta è
molto numerosa, ma i danni causati dall’aduggiamento sono sempre molto gravi.
Condizioni più favorevoli si osservano ai margini delle chiarie e delle radure, nei
quali la rinnovazione è generalmente presente, ma la mancanza da diversi decenni di un
appropriato intervento selvicolturale, aggravato dal pascolo incontrollato, costituisce
ostacolo difficilmente superabile per l’affermazione del novellame.
In tale contesto ambientale, le indagini preliminari hanno evidenziato che, a seconda
delle zone, e quindi del grado di mescolanza e dello sviluppo in diametro e altezza delle
due specie, la rinnovazione di abete bianco è del tutto assente, ovvero rappresentata da
piccoli e radi gruppi, costituiti da individui stentati che evidenziano chiaramente problemi
di capacità vegetativa, sia in termini di accrescimento radiale, sia in termini di
accrescimento longitudinale.
E’ quindi necessario programmare ed eseguire nei popolamenti tagli intercalari
mirati, di tipo selettivo e di intensità generalmente moderata, al fine di favorire la
costituzione di soprassuoli strutturalmente e funzionalmente rispondenti ai risultati da
raggiungere.
In prospettiva e nel dettaglio, gli obiettivi della gestione selvicolturale dei boschi
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misti faggio-abete bianco di Monte Gariglione devono tendere soprattutto: 1) ad una
maggiore stabilità bioecologica dei popolamenti presenti; 2) ad assicurare loro la piena
funzionalità bioecologica; 3) a consentire all’importante ecosistema una superiore qualificazione ambientale e colturale.
Non meno interessanti e secondari sono poi altri aspetti di particolare interesse, quali
quello paesaggistico e di protezione della biodiversità vegetale e animale.
In sostanza, gli interventi proposti si configurano in un’ottica di gestione forestale
sostenibile ed eco-compatibile, in funzione delle peculiarità dei boschi indagati,
meritevoli di particolare attenzione, in vista anche della loro classificazione quali aree a
protezione speciale e di interesse comunitario.
B - Studio e indirizzi di gestione delle “Pinete del Roncino”
Lo studio si prefigge di individuare le più idonee tecniche di gestione selvicolturale
dei popolamenti naturali di pino laricio siti in località “Pinete del Roncino”, la cui
notevole importanza è testimoniata dal fatto che l’area in questione è identificata come
ZPS IT9310069 e SIC IT9330117 della Rete Natura 2000.
L’intera zona è estesa complessivamente 1508 ettari e si caratterizza per la presenza
di formazioni naturali di pino laricio, pure e coetanee.
Nei soprassuoli posti in località Marù, Guerriccio e Acqua delle Donne, vegetano
anche esemplari di pino silano dell’ecotipo “vutullo”, con fusti poco rastremati alla base,
cilindrici e colonnari, privi di rami secchi e/o monconi per notevole altezza, caratterizzati
da precoce e consistente duramificazione del legno.
Dovendo lo studio definire il modulo colturale più appropriato da eseguire nei
popolamenti adulti e maturi di pino laricio per migliorare lo stato bioecologico
complessivo dei soprassuoli ed incrementare, laddove presenti, il numero degli esemplari
di “vutullo”, si richiamano alcuni aspetti distributivi, bioecologici, temperamentali e di
portamento della specie.
Pinete naturali di laricio
Nell’altopiano silano l’estensione dei popolamenti naturali di pino laricio (Pinus
nigra laricio calabrica) è di circa 40.000 ettari e costituisce solo una parte delle vaste
pinete che anticamente rappresentavano la cosiddetta “Silva brutia” dei romani,
espressione simbolica del paesaggio forestale calabrese.
La specie vegeta in Sila in un’ampia fascia altimetrica (900-1800 m s.l.m.), con
preferenza per i versanti più caldi, in quanto caratterizzata da temperamento termofilo,
xerofilo, eliofilo. Al limite inferiore si mescola col cerro, col castagno e con altre querce
caducifoglie (rovere, roverella); al limite superiore con l’ontano napoletano, il pioppo
tremulo e, in sporadici casi, con l’abete bianco e il faggio.
In fatto di terreno si insedia di preferenza su suoli aridi e silicei.
Le piante hanno portamento elegante, con fusti colonnari, a chioma profonda e
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raccolta in alto, che a maturità raggiungono altezze di 35-40 m.
E’ specie molto longeva, che può superare anche 450 anni negli individui isolati.
Spiccatamente socievole, costituisce nell’ottimo ambientale di vegetazione estese
pinete, per lo più monospecifiche e dense, dalle quali si rinnova facilmente e in
abbondanza.
La produzione di strobili è precoce (20-30 anni in bosco) e abbondante ogni 2-3 anni,
con seme fertile già a 15-18 anni (in piante singole o marginali) e a facoltà germinativa
buona: di qui la spiccata capacità colonizzatrice della specie, anche su litosuoli granitici in
decomposizione.
L’accrescimento delle piante è sufficientemente veloce in altezza e nell’ampliamento
della giovane chioma, precoce e sostenuto in diametro; prerogative queste che consentono
di annoverare la specie fra le conifere endemiche a immediata copertura del suolo e ad
elevata capacità di accrescimento legnoso.
Il governo è ad alto fusto, con turno della pineta di circa 100 anni, a cui si fanno
corrispondere 5 stadi evolutivi del soprassuolo: novelleto (1-20 anni), perticaia (21-40),
fustaia giovane (41-60), fustaia adulta (61-80), fustaia matura (81-100).
Materiali e metodi
Le indagini preliminari hanno evidenziato che le pinete ricadenti nell’area SIC di
Roncino si caratterizzano per la presenza di differenti classi d’età o stadi evolutivi, dal
novelleto fino alla fustaia stramatura.
In ciascuno degli stadi significativi riscontrati è stata costituita un’area di saggio, a
carattere permanente, al fine di rilevare con estrema precisione e per i diversi soprassuoli
indagati gli aspetti dendrometrici e selvicolturali.
Gli stadi evolutivi esaminati sono 5, così ripartiti per classi d’età, località e numero
progressivo dell’area:
- perticaia (30-40 anni) / Carcarella (area n. 1)
- fustaia giovane (41-60 anni) / Sarienti (area n. 2)
- fustaia adulta (61-80 anni) / Simmerino (area n. 3)
- fustaia matura (81-100 anni) / Scutello (area n. 4)
- fustaia stramatura 101-120 anni) / Coturelle (area n. 5)
Per l’ubicazione topografica delle aree sperimentali, la n. 2, 4 e 5 ricadono in area
SIC, la n. 1 e 3 poco al di fuori.
Le aree sono state realizzate di forma rettangolare e ampiezza variabile (da 1049 a
3000 m²), utilizzando lo squadro agrimensorio e la cordella metrica. Ai vertici delle
stesse, una volta individuate, sono stati infissi nel terreno alcuni picchetti al fine
di consentire, in tempi successivi, il loro ritrovamento; per maggior sicurezza è stato
segnato anche il perimetro dell’area, segnando con vernice le piante immediatamente
esterne.
Successivamente è stato rilevato il diametro a m 1,30 da terra di tutte le piante
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presenti con diametro maggiore di 3 cm, ed è stato inoltre annotato sul piedilista di
cavallettamento lo stato fitosanitario e l’aspetto esteriore delle stesse.
L’elaborazione dei dati ha consentito di ricavare le distribuzioni di frequenza per
classi di diametro di 5 cm delle piante presenti, tenendo distinte la specie e lo stato
vegetativo delle piante vive.
Ulteriori elaborazioni hanno riguardato la determinazione dell’aree basimetrica,
anch’essa distinta per classi diametriche di 5 cm in funzione della specie e dello stato
sanitario (piante vive e morte).
La stima dei volumi è stata infine eseguita ricorrendo al metodo dell’albero modello
unico, che consente di stimare la massa legnosa presente a livello di intero soprassuolo
(quindi non distinta in funzione delle classi diametriche presenti).
Nella Foresta Marù, su un’area di circa 1 ettaro, sono state scelte e contrassegnate,
12 piante di pino “vutullo”, rilevandone i diametri [a 0,10-0,50-1,30 m da terra], le altezze
totali, le profondità di chioma e le altezze dei fusti privi di rami secchi o monconi.
Risultati conseguiti
Rappresentazione aerea del SIC (Documento 6)
Dalla visione di ortofotocarte da volo aereo del 1998, dai sopralluoghi eseguiti sul
posto e dalla bibliografia forestale acquisita, si richiamano alcuni requisiti fondamentali
del SIC oggetto di studio:
- l’ubicazione in ambiente mediterraneo montano, con clima di tipo appenninico sugli
altipiani e sui versanti caldi delle principali vette;
- l’ossatura granitica dei maggiori rilievi, analoga a quella che si riscontra nelle montagne
italiane del sistema alpino occidentale;
- la conformazione allungata in direzione nord/ovest - sud/est (6,5 km di lunghezza
massima in linea d’aria) e allargata da sud/ovest a nord/est (3,0 km), con relativa
vicinanza al mare Ionio;
- l’incidenza del Torrente Roncino (parte alta e media) e del Fosso del Ferro (parte media
e bassa), che attraversano topograficamente il SIC da nord a sud per tutta la lunghezza,
nel determinare i gradienti termometrici e di umidità dei versanti caldi e freddi e la
distribuzione, dalle quote basse a quelle alte, del pino laricio, dell’ontano napoletano e
del faggio;
- l’edificazione su estese superfici del bosco puro di pino laricio, i cui gruppi naturali di
vegetazione, anche all’esterno di Roncino, ricadono in area Parco;
- la maggiore presenza di popolamenti di pino laricio da quota 1150-1200 m a 1400-1450
m, che si presentano paracoetanei per piccoli gruppi, in buono stato vegetativo, esenti
da fitopatie diffuse.
Ripartizione territoriale del SIC per piani altimetrici (Documento 7)
La superficie dell’area di perimetrazione del SIC “Pinete del Roncino” è di 1508
ettari, ed è a questa entità che si fa riferimento per il calcolo dei valori, assoluti e percen-
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tuali, relativi alla ripartizione interna del territorio.
Sulla base di cartografia IGM al 25.000 di recente pubblicazione e procedendo nel
comprensorio in senso altitudinale, a modulo 100 m delle isoipse, s’incontrano sei piani
[due rientranti nella fascia submontana, quattro in quella montana]: inferiore a 1100 m
s.l.m., 1100-1200 m, 1200-1300 m. 1300-1400 m, 1400-1500 m, superiore a 1500 m;
estesi rispettivamente 16 ettari (1,1%), 329 ettari (21,8%), 562 ettari (37,3%), 352 ettari
(23,4%), 196 ettari (12,9%), 53 ettari (3,5%).
Nei piani esaminati, in particolare nei versanti caldi e su suoli permeabili e
discretamente profondi, sono edificati i popolamenti significativi di pino laricio, quasi
sempre in purezza o a minima compartecipazione di altre specie forestali (cerro, ontano
napoletano, pioppo tremulo, acero montano, faggio).
Ubicazione ed elementi dendrometrici delle aree sperimentali (Documento 8-9-10)
L’ubicazione topografica delle aree di saggio è riportata nel Documento 8, mentre i
principali parametri dendrometrici sono riassunti nel Documento 9, da cui risulta che:
- L’area a perticaia di Carcarella presenta ad ettaro una densità di 3040 piante vive di
pino laricio (le secche sono 110), per un diametro medio di 17,9 cm e un diametro
dominante di 31,4 cm, un’altezza media di 20,0 m e un’altezza dominante di 24,1 m,
2
3
un’area basimetrica di 76,39 m , un volume di 771,588 m , un’età di 38/42 anni per un
3
incremento medio di massa corrente di 18,4/20,3 m /ha/anno.
- L’area a fustaia giovane di Sarienti presenta ad ettaro una densità di 858 piante vive
di pino laricio (le secche sono 76), per un diametro medio di 33,1 cm e un diametro
dominante di 49,9 cm, un’altezza media di 30,3 m e un’altezza dominante di 33,7 m,
2
3
un’area basimetrica di 73,81 m , un volume di 1066,325 m , un’età di 41/49 anni per un
3
incremento medio di massa corrente di 21,8/26,0 m /ha/anno.
- L’area a fustaia adulta di Simmerino presenta ad ettaro una densità di 457 piante
vive di pino laricio (le secche sono 19), per un diametro medio di 47,0 cm e un diametro
dominante di 61,3 cm, un’altezza media di 37,1 m e un’altezza dominante di 40,2 m,
2
3
un’area basimetrica di 79,28 m , un volume di 1374,374 m , un’età di 77/89 anni per un
3
incremento medio di massa corrente di 15,4/17,8 m /ha/anno.
- L’area a fustaia matura di Scutello presenta ad ettaro una densità di 295 piante vive
di pino laricio (le secche sono 3), per un diametro medio di 52,9 cm e un diametro
dominante di 65,0 cm, un’altezza media di 35,5 m e un’altezza dominante di 38,0 m, una
2
3
area basimetrica di 64,89 m , un volume di 1078,216 m , un’età di 96/106 anni per un
3
incremento medio di massa corrente di 10,2/11,2 m /ha/anno.
- Nel soprassuolo principale dell’area a fustaia stramatura di Coturelle la densità ad
ettaro è di 228 piante vive di pino laricio (secche nessuna), per un diametro medio di 70,0
cm e un diametro dominante di 83,8 cm, un’altezza media di 39,9 m e un’altezza
2
3
dominante di 42,2 m, un’area basimetrica di 86,67 m , un volume di 1575,152 m , un’età
3
di 108/112 anni per un incremento medio di massa corrente di 14,1/14,6 m /ha/anno.
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Per i popolamenti indagati, assimilabili a fustaie coetanee di pino laricio allo stato
puro e a diverso stadio evolutivo, il confronto tra i dati dendroauxometrici [età, numero
dei fusti, altezza dominante, massa corrente, incremento legnoso] delle aree di saggio e
quelli riportati nella “Tavola alsometrica di pino laricio della Calabria” di C. Castellani,
che prende in esame pinete silane d’età compresa tra 20 e 100 anni, permette alcune
importanti valutazioni.
Classe di fertilità – Il valore medio delle altezze dominanti misurate a 40, 60, 80 e
100 anni consente di far rientrare nella I classe di fertilità la pineta di 40 anni (Carcarella)
e di assimilare ad una classe migliore della I la pineta di 60 (Sarienti), di 80 (Simmerino)
e di 100 anni (Scutello).
Densità – Il numero ad ettaro di piante vive di pino laricio riscontrato a 40, 60 e 80
anni è sempre maggiore di quello previsto per la I classe di fertilità: 3040 contro 1035 a
40 anni, 858 contro 615 a 60 anni, 457 contro 420 a 80 anni; solo a 100 anni risulta
inferiore: 295 contro 350.
Provvigione legnosa – La massa corrente ad ettaro che insiste alle diverse età nelle
aree sperimentali indagate è sempre superiore, e di molto, a quella riportata nella I classe
di fertilità: 772 contro 502 m3 a 40 anni, 1066 contro 740 m3 a 60 anni, 1374 contro 873
m3 a 80 anni, 1078 contro 928 m3 a 100 anni.
Incremento di massa corrente – E’ associato alla provvigione legnosa che, all’età
della pineta, è presente sull’unità di superficie; i valori risultanti sono superiori, e di
diversi punti, a quelli riportati nelle tavole per la I classe di fertilità: 18,4 contro 12,6
m3/ha/anno a 40 anni, 21,8 contro 12,3 m3/ha/anno a 60 anni, 15,4 contro 10,9 m3/ha/anno
a 80 anni, 10,2 contro 9,3 m3/ha/anno a 100 anni.
Rapporto H/D nelle aree sperimentali
Nelle 5 aree di saggio, la ripartizione delle piante vive (del soprassuolo principale) di
pino laricio in classi diametriche (a modulo 5 cm) e l’assegnazione a ciascuna classe di
diametro del valore (in cm) dell’altezza compensata (ottenuta analiticamente dalla curva
ipsometrica), ha consentito di ottenere per ogni area di saggio l’entità del “Rapporto H/D”
- utilizzato da O. La Marca e Altri nel lavoro “Ulteriori indagini sugli schianti in boschi
di abete bianco”-, importante indicatore delle condizioni di instabilità dei popolamenti di
pino laricio studiati nei confronti di sollecitazioni da agenti meteorici.
In particolare, assumendo anche per le pinete di pino laricio il valore 75-80 quale
soglia critica del rapporto H/D, risulterebbe che:
- nella fustaia matura di Scutello (area 4) sono a rischio 66 piante (22,4% del totale) ad
ettaro, appartenenti alle classi diametriche 20 (3), 30 (30), 35 (13) e 40 (20); pertanto
andrebbe pianificato ed eseguito nella pineta un taglio di normalizzazione asportando,
tra le altre, le piante delle classi indicate;
- nella fustaia stramatura di Coturelle (area 5) sono a rischio soltanto 16 piante (7,0% del
totale), appartenenti alle classi diametriche 30 (4), 35 (4) e 40 (8); pertanto andrebbe
pianificato ed eseguito nel popolamento un taglio di normalizzazione asportando, tra le
altre, le piante delle classi indicate;
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- nei restanti soprassuoli a perticaia di Carcarella (area 1), a fustaia giovane di Sarienti
(area 2) e a fustaia adulta di Simmerino (area 3), la soglia critica 75-80 del rapporto
H/D andrebbe innalzata di diversi punti per stabilire quali piante del soprassuolo sono
realmente a rischio di schianti.
Piante di pino “vutullo” (Documento 11)
Nella foresta Marù della Sila di Catanzaro le 12 piante di pino “vutullo”, individuate
e contrassegnate, ricadono in una fustaia adulta di pino laricio a densità irregolare, con
presenza di chiarie.
Apparentemente il piano dominante e quello condominante della pineta appartengono
a due differenti classi d’età (con differenza di circa 30-40 anni). Il piano dominato è
caratterizzato dalla presenza del faggio e da novellame diffuso di pioppo tremulo, con
sottobosco costituito in prevalenza da felce aquilina.
Gli esemplari di “vutullo” sono distribuiti in un’area di circa 1 ettaro e presentano
mediamente:
- un diametro a 1,30 da terra di 61,9 cm (campo di variazione 50,3-77,3);
- un coefficiente di rastremazione D1,3/D0,1 di 0,88 (0,83-0,92);
- un’altezza totale di 35,6 m (34,2-37,0);
- un rapporto H/D di 57,5 (46,8-68,0);
- un’altezza del 1° palco secco di 16,2 m (10,7-20,4);
- un’altezza del 1° palco verde di 19,3 m (14,4-23,7);
- una profondità di chioma di 16,3 m (11,2-21,5);
- un volume cormometrico di 5,030 m3 (3,134-7,757);
Le piante di “vutullo” di Marù, rispetto a quelle edificate nel Bosco Gallopane della
Sila Grande - anch’esse individuate e studiate nel 2006 dall’Istituto Sperimentale per la
Selvicoltura di Cosenza - risultano mediamente: meno grosse di diametro (di 1,8 cm),
meno rastremate 0,02), più alte (4,2 m), con maggiore rapporto H/D (10,4), con superiore
altezza 1° palco verde (5,3 m), con minore profondità di chioma (1,1 m), con maggiore
volume cormometrico (0,405 m3).
Gestione selvicolturale
Per una migliore gestione delle formazioni naturali di pino laricio che trovano, nella
Sila di Cosenza e di Catanzaro in ambito comprensoriale del Parco, e nel SIC di Roncino
condizioni ecologiche ottimali, è necessario definire, programmare e attuare - nei diversi
stadi evolutivi dei soprassuoli - tagli intercalari (colturali) e di rinnovazione (di fine
ciclo).
Gli interventi di miglioramento devono pertanto riguardare:
- le pinete giovani e adulte, nelle quali non vengono eseguiti da anni diradamenti;
- le pinete prossime alla maturità, da sottoporre a mirati tagli di pretrattamento e di
rinnovazione;
- le pinete rade e degradate, a prevalente funzione protettiva, bisognevoli di pronta
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ricostituzione.
In genere le giovani pinete si presentano per lo più molto dense e mantengono a
lungo un alto numero di fusti: di qui la necessità di eseguire oculati tagli intercalari, da
ripetere con frequenza regolare sullo stesso soprassuolo.
Per i popolamenti giunti allo stadio evolutivo di novelleto adulto (15-25 anni) o di
giovane perticaia (25-35 anni) e non ancora sottoposti al primo diradamento, occorre
procedere a moderati tagli colturali, da ripetere a intervalli di circa 10-15 anni.
L’intervento sarà a carattere selettivo e distanziale, qualificando al massimo livello il
soprassuolo rilasciato (in particolare nei riguardi della stabilità dello stesso alle avversità
atmosferiche) e predisponendolo alla perpetuità biologica.
Anche nelle pinete prossime allo stadio di perticaia adulta o di fustaia giovane e
bisognose d’intervento, occorre intervenire in modo da portare la densità - spesso
eccessiva, con oltre 2000 piante per ettaro - a circa 1000-1200 piante a 40-50 anni.
Prove sistematiche di diradamento condotte anni addietro dall’Istituto Sperimentale
per la Selvicoltura nelle pinete della Sila Greca in comune di Bocchigliero, hanno
permesso di accertare che all’età di 20, 30 e 45 anni il diradamento migliore è quello di
grado moderato, col quale si asportano, rispettivamente circa 30, 70 e 120 m3 di legname
per ettaro.
Nella fustaia adulta vicina ai 60 anni, il primo o secondo diradamento dovrà assumere
i connotati di vero e proprio “taglio di pretrattamento”, con rilascio spaziale e numerico
delle migliori piante portasemi, caratterizzate da buona ampiezza (larghezza) e profondità
(altezza) di chioma.
Nelle fustaie mature di pino (80-100 anni) da sottoporre a tagli di rinnovazione, il
trattamento più indicato è quello del taglio a raso a buche o su aree rettangolari di 20003000 m2 (100 x 20-30 m), assimilabile al cosiddetto “taglio a schiumarola” degli operatori
boschivi della Sila, che consente di ottenere una sollecita e buona rinnovazione naturale.
Per l’affermazione poi della copiosa nascita di semenzali, occorrerà disciplinare nella
pineta l’esercizio del pascolo stanziale bovino, in ordine all’ubicazione, al periodo, alla
durata e al carico.
Per le pinete a scarsa densità e in precario stato vegetativo è opportuno eseguire, nei
vuoti e nelle radure, il rinfoltimento del bosco con buon postime di pino laricio e/o di altre
specie forestali montane (cerro, acero montano, abete bianco), tenuto conto dell’incidenza
di copertura del soprassuolo e delle condizioni stazionali (quota, esposizione, pendenza),
climatiche (piovosità, presenza di gelate) e di suolo (matrice geologica, profondità) che
insistono.
Considerazioni conclusive
Il pino laricio calabrese, endemico del SIC di Roncino, si rinviene soprattutto nella
fascia montana (1200-1600 m s.l.m.) del comprensorio - al limite di vegetazione tra le
querce caducifoglie in basso e il faggio in alto -, ove costituisce popolamenti naturali
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significativi, localizzati in particolare nelle esposizioni calde e su suoli di natura silicea.
Carattere distintivo della specie è l’elevata capacità colonizzatrice di ambienti aperti
con suoli poco evoluti, dimostrandosi insostituibile nella difesa antierosiva.
Nell’ottimo ambientale di vegetazione costituisce estese pinete, per lo più monospecifiche, dalle quali si rinnova facilmente.
Utilizzato in passato anche per l’estrazione della resina, di questa antica pratica
ormai abbandonata restano le tracce sugli alberi più vetusti.
Per una gestione dinamica dei popolamenti giovani e adulti di pino laricio, che
trovano nel comprensorio del SIC condizioni ecologiche ottimali, si rendono necessari i
tagli intercalari - moderati, appropriati, mirati e diversificati - che vanno iniziati a 20-25
anni d'età, quando il soprassuolo ha raggiunto lo stadio evolutivo di novelleto adulto o di
giovane perticaia, e ripetuti a intervalli di 15-20 anni.
Per le pinete prossime alla maturità, la tendenza che ha la specie di rinnovarsi allo
scoperto a piccoli gruppi, costituendo densi soprassuoli coetanei, il migliore trattamento
da applicare è quello del taglio a raso su piccole strisce.
Il sistema, largamente sperimentato anni addietro nella Sila di Cosenza nei boschi del
Demanio Statale su prese di circa 2000 m2 (100 x 20 m), consente di ottenere una buona
rinnovazione, anche se a volte è necessario integrare la disseminazione naturale con
semine.
Il trattamento a tagli successivi, pur dando ottimi risultati, provoca danni
estremamente gravi alla rinnovazione in occasione dei tagli secondari e/o di sgombero.
Si ritiene perciò che nelle pinete di Roncino - in aree cioè ove l’indirizzo ambientale
e di conservazione dei popolamenti naturali di pino laricio vada perseguito con decisione
e competenza - il cosiddetto taglio “a schiumarola”, assimilabile a un taglio a buche
rettangolari di piccole dimensioni (30x40 m / 40x50 m), sia il trattamento che meglio si
adatti al temperamento e alle caratteristiche bioecologiche della specie.
Nell’immediato futuro, la prosecuzione e l’ampliamento nel SIC “Pinete del
Roncino” delle ricerche avviate anni fa dall’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura nella
Sila di Cosenza, relative all’ottimizzazione del diradamento (per grado, tipo, classe
arborea) nei popolamenti giovani e adulti di pino e alla definizione del migliore
trattamento in quelli maturi o invecchiati, consentiranno di individuare meglio le ipotesi
di gestione, esaltandone altresì la funzionalità bioecologica e ambientale.
Ipotesi di gestione proprie della selvicoltura naturalistica, tendente a privilegiare e
valorizzare l’ecosistema pineta nella sua interezza e complessità biologica, fisica e
ambientale, in cui l’uomo visitatore o lavoratore - ma non disturbatore - sia anch’esso
parte integrante ed attiva del sistema studiato. Aspetti gestionali che - nelle pinete ove è
presente anche l’ecotipo “vutullo” dovranno consentire di incrementarne gli esemplari,
attraverso la razionalizzazione della densità e della struttura.
Il Responsabile scientifico
(Dr. Silvano Avolio)
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