Una tavola del Curia a Orta di Atella L'1 febbraio del 1603 tale Geronimo de Laurienzo da Orta pagava - come si legge in una quietanza di pagamento ritrovata, insieme a numerose altre, in uno dei giornali copia polizze dell'antico Banco dell'Ave Gratia Plena di Napoli e pubblicata nel 1913 dall'archivista napoletano Giovan Battista D'Addosio:«...D. ti 20 a Francesco Curia, pittore a comp.to di D. ti 100 et in parte di D. ti 170, per la pittura et fattura della Cona del Rosario» realizzata dall’artista napoletano per la congrega omonima, annessa alla chiesa parrocchiale di San Massimo a Orta di Atella. La pala, tuttora in loco, per quanto «più smunta e disossata» (per dirla con Pierluigi Leone de Castris) dell'analoga tavola realizzata dal pittore alcuni anni prima per una chiesa di Prepezzano, presso Salerno, e ora nel Museo Diocesano di quest'ultima citta, ben testimonia, più di questa-anche in virtù dell'annesso corredo decorativo (cimasa, predella) pressoché intatto se si escludono le tavolette con i Misteri andate, invece disperse - «i pomposi recuperi» (per dirla ancora una volta con un’espressione del De Castris) da parte del Curia, dei modi di Polidoro da Caravaggio, il pittore lombardo che, allievo e collaboratore di Raffaello a Roma, importò, in fuga dalla Citta Eterna dopo il Sacco dei lanzichenecchi, la maniera del grande urbinate a Napoli. Per il resto i riferimenti figurativi cui e legato questo dipinto, non privo di una certa caratura artistica, appartengono al tipo pittorico delle Madonne del Rosario largamente elaborato tra la fine del XVI secolo e gli inizi del secolo successivo (a Napoli soprattutto da Teodoro d'Errico) in stretta connessione con la consolidata iconografia controriformata, secondo la quale san Domenico è raffigurato in compagnia di altri Santi e Sante (generalmente, san Giacinto, san Pietro da Verona, santa Caterina da Siena, santa Rosa, santa. Geltrude) unitamente a principi e prelati, mentre, genuflesso, riceve dalle mani della Vergine il Rosario. Il culto della Madonna del Rosario si riallaccia, com'è noto, alla tradizione secondo cui, durante la crociata contro gli Albigesi intrapresa da san Domenico agli inizi del XIII secolo, la Vergine apparve al santo in una cappella di Prouille, presso Albi, in Francia, presentandosi con una ghirlanda di rose bianche e rosse, che egli chiamò "il Rosario", e che stava a indicare la sequela dei Padre Nostro e delle Ave Maria da recitarsi come rimedio alla diffusione delle eresie. E al Rosario, sostituito in seguito da grani di due grandezze a secondo che indicassero rispettivamente i Pater o le Ave, fu attribuito, in una celebre omelia di Papa Pio V, anche il merito, di aver contribuito, nel 1571, alla Vittoria della flotta cristiana su quella musulmana nella storica battaglia di Lepanto. Di Francesco Curia, la figura di maggior spicco del manierismo napoletano della seconda meta del Cinquecento, abbiamo notizie documentarie a partire dal 1588, quando percepisce un pagamento per la cona del monastero di Santa Maria Madre di Cristo a Cerreto Sannita, fino al 1608, presumibile anno della sua morte, allorquando gli eredi ricevono il saldo per un quadro rimasto incompiuto perché deceduto. In questo Ventennio, ispirandosi alle incisioni dei grandi maestri nordici, soprattutto olandesi, che circolavano in gran copia negli ambienti contro-riformistici romani e F. Curia, Polittico del Rosario, Orta di Atella, Congrega del Rosario F. Curia, Polittico del Rosario (particolare della cimasa), Orta di Atella, Congrega del Rosario parmensi, egli, liberatosi degli esiti di un’educazione tradizionale fortemente esemplata sui modelli del manierismo romano, produsse una cospicua quantità di dipinti che - primi a Napoli - seppero tradurre le dinamiche e lo spirito che in quella contingenza animavano la pittura europea. Franco Pezzella