AIPG
ASSOCIAZIONE ITALIANA di PSICOLOGIA GIURIDICA
3 ° CORSO DI FORMAZIONE
in
PSICOLOGIA GIURIDICA, PSICOPATOLOGIA E
PSICODIAGNOSTICA FORENSE
TEORIA E TECNICA DELLA PERIZIA E
DELLA CONSULENZA TECNICA IN AMBITO
CIVILE E PENALE, ADULTI E MINORILE
ANNO 2003
Le teorie sulla devianza
Demetra ESPOSITO
CAPITOLO PRIMO
LE TEORIE INTERPRETATIVE DELLA DEVIANZA.
Nel loro interesse per le condizioni dell’ordine, della stabilità e, all’opposto,
per i conflitti, la disorganizzazione e il mutamento, le scienze sociali, e in
particolare la sociologia, hanno spesso posto tra gli oggetti di analisi
meritevoli di attenzione i comportamenti e i fenomeni di devianza, ossia di
allontanamento di individui o di gruppi dalle norme condivise all’interno di
ogni specifico contesto sociale.
E’ stato scritto: “Quale che sia il criterio di giudizio, la sociologia della
devianza è uno dei filoni più dinamici, raffinati e persuasivi della moderna
analisi sociale. Le conoscenze si accumulano, i dibattiti proliferano ma
vengono risolti, il rapporto tra teoria e ricerca empirica è fluido e fecondo.
E questi risultati sembrano dipendere in gran parte dal fatto che i problemi
di questo settore sono definiti proprio nei termini del divenire sociale”1 .
Nelle società industriali avanzate ad aumentare l’interesse per lo studio della
devianza è la crescente paura del crimine, che provoca sentimenti di
insicurezza, ben più forti di quanto razionalmente appaia giustificato se si
confrontano gli indici di criminalità delle società contemporanee con quelle
del passato. Le molteplici forme di comportamento deviante sono state
perciò sempre più analizzate e discusse a mano a mano che aumentava la
loro visibilità, la loro rappresentazione ed enfatizzazione sui mass media, il
loro trattamento all’interno di politiche pubbliche di prevenzione e controllo.
La categoria oggi più comunemente usata per definire questo vasto settore di
comportamenti disapprovati o illeciti è quella, onnicomprensiva, di devianza.
Il termine, introdotto nel dibattito sociologico negli anni Cinquanta e subito
entrato nella costellazione dei concetti e delle parole della cultura sociale
1
Abrams, 1983, p.326.
quotidiana, venne definito all’interno della teoria funzionalista e, in
particolare, con l’opera più nota di Parsons, Il sistema sociale2.
Considereremo le teorie interpretative della devianza in una visione
d'insieme, tra quelle tradizionali e quelle moderne. In un secondo momento
vedremo
come
alcune
delle
norme
sono
formalmente
descritte
nell’ordinamento giuridico di una società e la loro trasgressione comporta
reato e delinquenza; altre sono informali e dipendono dai costumi e dalle
usanze di un gruppo culturale; altre ancora risultano un problema sanitario in
quanto chi le trasgredisce viene giudicato bisognoso di cure speciali.
Il comportamento deviante varia a seconda del tempo, del contesto,
dell’appartenenza culturale e del ruolo; dipende dalle norme storicamente e
socialmente costruite e dalle sanzioni che ne risultano dalla loro
trasgressione.
Non sempre la devianza è disfunzionale; anzi, svolge in certi casi una
funzione positiva di regolazione dei comportamenti, favorisce la creatività,
serve da riferimento negativo per il controllo sociale.
La distinzione delle teorie tra tradizionali e moderne viene utilizzata
esclusivamente per ragioni di praticità, cioè per distinguere le teorie più
recenti (moderne) come l'interazionismo, da quelle originate e sviluppate
durante la prima metà di questo secolo (tradizionali) come, ad. es., le teorie
orientate allo studio dei problemi sociali della Scuola di Chicago.
La Sociologia è una scienza sociale e come tale studia realtà non gestite da
leggi rigide come quelle delle scienze naturali. Essa ha a sua disposizione
una pluralità di paradigmi e di prospettive teoretiche. Infatti, la Sociologia
della Devianza dispone storicamente di un sostanziale numero di teorie che,
ciascuna a suo modo, tentano di spiegare il fenomeno.
Le teorie che spiegano la devianza variano a seconda del "paradigma" in base
al quale si orientano (ad es. positivistico, funzionalistico, interazionista), al
"focus" della spiegazione (il deviante, la reazione sociale alla devianza), al
"livello" di spiegazione (macro o micro-sociale), al tipo di rapporto che esiste
2
Parsons, 1965.
tra le variabili (causa-effetto, probabilità) e alla presa in considerazione o
meno dei valori nella ricerca.
Nella Sociologia della Devianza, ad esempio, la molteplicità dei paradigmi
può essere osservata nel modo diverso di interpretare il comportamento
deviante a partire dal positivismo, dal funzionalismo e dall'interazionismo.
Le teorie tradizionali, quelle della prima metà del secolo XX, utilizzate dalla
Scuola di Chicago per spiegare i "problemi sociali", hanno in qualche modo
una tendenza funzionalista. Cercano la causa del comportamento deviante
nella disorganizzazione sociale del territorio, cioè nella disfunzione di una
parte della società. La loro domanda viene focalizzata soprattutto sul
"perché" un soggetto tende ad essere deviante. Esistono approcci diversi
all'interno di uno stesso paradigma: per Sutherland è una questione di
apprendimento; Merton la spiega come conseguenza della tensione (strain)
prodotta da uno scarto tra fini ricercati e i mezzi disponibili per attingerli;
Shaw
&
McKay
hanno
cercato
le
cause
della
devianza
nella
disorganizzazione sociale presenti nelle grandi città.
Le teorie tradizionali focalizzano il deviante dal punto di vista del controllo
sociale e cercano di spiegare il "perché" le persone deviano, le condizioni e
le circostanze che contribuiscono alla devianza. Le moderne teorie invece
focalizzano il deviante dal punto di vista del deviante stesso: come la società
reagisce alla devianza, "come" avviene il processo di etichettamento, "come"
i devianti rispondono all'etichettamento e "chi" è etichettato dalla reazione
sociale.
Si può distinguere tra le teorie oggettivistiche e quelle soggettivistiche, a
seconda dell'oggetto focalizzato3.
Le teorie oggettivistiche definiscono la devianza come violazione della
norma sociale. La devianza in questo senso è un dato oggettivo, il che
significa che il ricercatore può identificare un atto come deviante attraverso il
confronto tra l'atto stesso e il codice normativo (informale, formale o
sanitario) disponibile in una determinata società. Queste teorie spiegano la
devianza come il risultato del condizionamento di fattori strutturali, culturali
3
C.W.
e dei processi interattivi all'interno al cui interno i singoli individui
mantengono uno status deviante. Un esempio è la definizione di Cohen: la
devianza è "il comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate, cioè,
quelle aspettative che sono condivise e riconosciute come legittime
all'interno di un sistema sociale"4.
La concezione soggettivistica, a sua volta, definisce la devianza come un atto
(reale o immaginario) che è stato identificato come deviante dalla gente.
Quindi in questa concezione è la reazione sociale a definire se un atto è o
meno deviante. Un esempio è la definizione di devianza data da Becker: "Da
questo punto di vista la devianza non è una qualità dell'atto che una persona
commette, ma piuttosto una conseguenza dell'applicazione da parte degli altri
di regole e sanzioni ad un deviante. Il deviante è uno per il quale questa
etichetta è stata applicata con successo; il comportamento deviante è un
comportamento così definito dalla gente"5.
Alcune teorie si sviluppano all'interno di un approccio macro-sociologico
allo studio della devianza. In questo caso il ricercatore tende a guardare
piuttosto alle variabili strutturali (culturali, economiche, sociali) che
condizionano il comportamento delle persone. È il caso delle ricerche
intraprese da E. Durkheim che cercava le cause del suicidio nella condizione
di anomia delle società in rapida evoluzione. Le teorie più recenti sono
tendenzialmente di carattere micro-sociologico e sottolineano le variabili
psicosociologiche, l'interazione sociale e il comportamento nei gruppi.
Erving Goffman (Stigma: notes on the management of spoiled identity,
1963), ad es., focalizza la sua 6ricerca sui soggetti e sui gruppi di soggetti
sottoposti alla reazione sociale e da essa stigmatizzati.
Le teorie tradizionali concepiscono un rapporto tra le variabili nella modalità
causa-effetto. Tendono ad affermare che, ad es., la disgregazione familiare
causa la tossicodipendenza. Le teorie più recenti arrivano a conclusioni meno
rigide, basate sulla co-varianza e sul calcolo delle probabilità: ad es. "la
disgregazione familiare aumenta la probabilità - e quindi è un fattore di
rischio - dell'uso di droga".
4
Floyd Matson 1964.
Renè Dubos 1959.
6
Erwing Goffman
5
E, per ultimo, la considerazione dei valori. Le teorie di orientamento
positivistico, ad es., tendono a prendere le distanze (neutralità) dalla
questione dei valori. Essi sono considerati come variabili soggettive che non
devono immischiarsi con quelle di ordine oggettivo. Queste ultime possono
essere dimostrate, provate e analizzate. Altre teorie tendono a considerare i
valori come variabili importanti per la ricerca. Le teorie di indirizzo
interazionistico hanno un orientamento umanistico e considerano i valori
come parte integrante della ricerca, una volta che l'uomo è soggetto delle
teorie che crea e non può non considerare la questione dei valori. La
conseguenza delle diverse impostazioni è l'adozione di metodologie diverse
nell'ambito della ricerca: le teorie tradizionali tendono ad utilizzare metodi
quantitativi considerati più obiettivi: analisi statistiche fornite dallo Stato, le
"survey" e le sperimentazioni. Le teorie più recenti, a loro volta, tendono a
privilegiare i metodi qualitativi: l'osservazione partecipata, le interviste,
l'analisi di documenti, l'analisi del contesto storico e del presente.
Può essere divertente ricordare, ormai solo una curiosità storica, che nel
secolo scorso e all’inizio di questo, sotto la categoria “fisica” entravano
anche gli studi che ipotizzavano e cercavano di dimostrare un’influenza
dell’ambiente fisico ( clima, stagione, latitudine ecc. ) sulla criminalità e
devianza anche e soprattutto dei giovani.
Guerry e Quetelet prima, Ferri, Lombroso e altri ricercatori fino a Cyril Burt
negli anni Ottanta hanno cercato di dimostrare questa correlazione,
osservando la diversa distribuzione dei delitti gravi alle diverse latitudini
geografiche, nei diversi climi, nelle diverse stagioni dell’anno ( Lombroso,
1876;
Burt,
1944;
Mannheim,
1975).
Ricerche
successive
hanno
radicalmente modificato il significato di queste apparenti e false evidenze
statistiche.
Passando dall’ambiente fisico esterno alle condizioni fisiche dei soggetti, si
può osservare che da Lombroso in poi si sono cercati sistematicamente dei
segni e degli indizi fisiologici, costituzionali, genetici, ormonali, neurologici
ecc., in grado di distinguere e rendere riconoscibile, individuabile
“oggettivamente” il criminale rispetto al non criminale, il perverso, il cattivo,
il pericoloso sociale rispetto al normale. Cesare Lombroso assorbendo e
sintetizzando, in modo eclettico, disordinato e spesso confuso ( Villa, 1985 )
importanti stimoli culturali del suo tempo, come il materialismo, il
darwinismo biologico e sociologico, l’antropologia fisica e culturale, ha
tentato di dare una prima risposta positiva, empirica, a quell’antica ideologia.
Effettuando misure antropometriche su centinaia di detenuti, soprtattutto
nelle carceri venete, nel 1876, nella sua opera più nota, L’uomo delinquente,
formulò la sua ipotesi del “delinquente nato“ come tipo antropologico
distinto, con tendenza coattiva acommettere crimini, caratterizzato da
anomalie, malformazioni e asimmetrie dello scheletro, del cranio, della
faccia. Nel corso degli anni, confrontandosi con le molte critiche che già
allora erano state sollevate alla sua tesi ( che peraltro ebbe un vasto successo
internazionale ) , Lombroso delimitò al 35% di tutti i criminali la quota dei
delinquenti nati, sostenedo che questi dovevano possedere, per essere
considerati tali, almeno cinque delle stimmate proposte; aggiunse a tale
categoria il “delinquente folle” e il “delinquente occasionale”, e concluse il
suo itinerario scientifico affermando che ogni delitto ha la sua origine in una
molteplicità di cause.
Come è evidente, si può dire che la tesi specifica dell’uomo delinquente non
sopravvisse al suo autore, mentre il modello di ricerca bio-antropologica
inaugurato da Lombroso ebbe un’enorme fortuna e venne ripreso da medici,
psichiatri, genetisti e antropologi criminali di tutto il mondo.
Le moderne teorie considerano la devianza come relativa e soggettiva.
Relativa perché socialmente costruita e non un dato scientifico. In questo
senso le ricerche sono orientate allo studio della reazione sociale e alla
creazione e imposizione delle regole da parte del controllo sociale (formale,
informale e sanitario); vedono la devianza come un fenomeno creato dalla
società e liberamente scelto dai devianti. Se il soggetto è libero allora il
rapporto tra le variabili non può essere più considerato deterministicamente
(metodo causa-effetto delle scienze naturali) ma probabilisticamente
(correlazioni e probabilità).
Erich Goode7 offre una visione dei diversi approcci alla devianza che ci
sembra abbastanza utile in quanto riesce a distinguere tra le prospettive
assolutiste e quelle relativiste, in modo da considerare anche le teorie di
tendenza funzionalista in chiave soggettivistica.
Il quadro degli approcci viene così definito:
Per gli approcci assolutisti la devianza è un dato oggettivo: è un'azione
negativa non perché viola le norme, le leggi di un gruppo o di una data
società,
ma
perché
essa
è
costituzionalmente,
oggettivamente
e
assolutamente negativa. Nell'approccio assolutista chi determina se una
azione è deviante o meno sono le leggi e i principi morali che guidano il
comportamento umano: la devianza è una violazione della legge della natura,
della legge scientifica, della legge divina, della legge dello Stato totalitario.
Un esempio è la concezione di devianza che salta dalla teoria bio-psicologica
di Lombroso: l'aberrazione della natura, caratteristica dei soggetti in via di
involuzione è un dato della natura che indica il soggetto come delinquente
nato; basta che il soggetto sia oggettivamente aberrante perché sia
automaticamente considerato deviante perché viola una legge della natura.
Per l'approccio soggettivistico la devianza è un fenomeno più relativo che
assoluto, più costruito che essenzialistico, più soggettivo che oggettivo. Essa
non è considerata un atto deducibile come tale dalle leggi naturali o divine,
una caratteristica intrinseca dell'atto, ma piuttosto un comportamento
considerato così perché la gente così lo percepisce. Quello che determina se
un'azione è deviante o meno "è l'attuale o la potenziale condanna che essa
procurerà da parte del senso comune"8.
Possiamo distinguere, con Goode tre prospettive all'interno dell'approccio
soggettivistico: normativa, leggermente reattiva e fortemente reattiva.
La prospettiva normativa considera come deviante qualsiasi atto che viola le
norme della società. Chi definisce se un'azione è deviante o meno non sono
le leggi naturali e morali (approccio oggettivistico) ma il sociologo, il quale
osserva e studia la società e trova le azioni che in quella specifica cultura e
7
8
Robert Merton 1959.
Robert Farris e Warren Dunham 1939.
contesto vengono considerate devianti. Ad es., se il sociologo trova che in
una data società esistono norme che condannano l'omosessualità, essa viene
considerata devianza indipendentemente dalla reazione sociale. Quindi la
prospettiva normativa considera anche l'esistenza della "devianza segreta":
anche se la sua devianza non è visibile il soggetto può essere considerato
deviante perché viola una norma sociale. Le teorie dell'anomia,
dell'apprendimento, di matrice funzionalista, assumono questa prospettiva
normativa. Alcuni autori che sostengono questa tendenza sono: Merton,
Cohen, Sutherland, Park e Burgess, Shaw e McKay.
La prospettiva reattiva ha, secondo Goode, due gradazioni, quella leggera e
quella forte. Nella prospettiva reattiva forte, che preferiamo identificare qui
come radicale, sono comprese le correnti metodologiche più radicali, come
l'etnometodologia: "la devianza esiste quando e soltanto quando un'azione o
una condizione è risultata attualmente e concretamente in punizione o
condanna. Senza condanna non esiste devianza". Se una devianza è vissuta in
segreto essa non costituisce devianza perché non provoca condanna; la
costituirà soltanto il giorno in cui per diverse circostanze diventerà visibile e
quindi potrà essere sanzionata come devianza. Un tossicodipendente sarà
considerato un deviante soltanto a partire dal momento in cui verrà allo
scoperto e quindi scatterà per lui la reazione sociale che lo sanzionerà e lo
etichetterà come un "drogato". Altrimenti resta come un normale cittadino.
Alcuni autori che sostengono questa prospettiva sono: John Kitsuse e Frank
Tannenbaum.
La prospettiva reattiva leggera - condivisa dall'autore - è una posizione
intermedia tra quella normativa e quella reattiva radicale; il "focus" non è
orientato alla norma in sé (prospettiva normativa), neanche alla reazione
sociale "qui e ora" (prospettiva reattiva radicale). La normatività non viene
negata: essa esiste e può essere infierita dalle esperienze di reazioni negative
(sanzioni da parte del pubblico) che sono avvenute in passato, nel presente e
che avverranno probabilmente in futuro. Il sociologo, però, guarda per primo
alla reazione sociale per poi confrontarla con le norme. Una procedura
diversa è quella della prospettiva normativa in cui il sociologo guarda prima
di tutto alla norma per poi confrontarla con le sanzioni della società. Come
nessuna norma è assoluta non esistono rapporti di causalità tra le variabili in
questione, ma piuttosto correlazioni tra di esse.
Il sociologo adotta, quindi, un approccio probabilistico alla devianza. Viene
studiata non soltanto la reazione della gente ai comportamenti in questione
ma si valuta anche come la gente percepisce il deviante; come tale
percezione influenza il suo comportamento in futuro; i conseguenti
cambiamenti avvenuti sull'auto-concetto e sulla propria identità. La reazione
sociale non "crea" necessariamente il comportamento: esso è frutto
dell'insieme di un processo del quale anche il soggetto è parte integrante.
Alcuni autori che sostengono questa prospettiva sono: Becker, Erikson,
Matza, Goffman e Lemert.
1.1.
Devianza, norme e sanzioni
Alcune norme sono prescrittive e ci indicano quello che dobbiamo fare: "Noi
dobbiamo curare i bambini"; "noi dovremmo salutare gli altri". Altre norme
sono proscrittive e indicano quello che non dobbiamo fare: "Non dobbiamo
portare il cappello in chiesa"; "Non dobbiamo disturbare il riposo degli altri".
Esse sono accompagnate da rispettive sanzioni che vengono applicate a chi le
infrange. L’auto-controllo costituisce il primo passo per la loro sanzione e se
esso viene a mancare interviene il controllo sociale.
Le norme sociali, in una società in condizioni normali, sono interiorizzate dai
suoi membri attraverso il processo di socializzazione che si dà primariamente
nell’ambito
familiare
e
secondariamente
nelle
diverse
agenzie
di
socializzazione come la scuola, la chiesa, il gruppo di appartenenza. La
socializzazione provvede all’ottimizzazione dell’auto controllo, trasmette un
set di valori e di abitudini che si aspetta siano in grado di sostenere il
consenso attorno ad una cultura e alle norme; crea, inoltre, la conformità a
norme e a comportamenti in modo tale da diminuire il bisogno di intervenire
attraverso il controllo esterno. Quest’ultimo, intanto, è necessario per
garantire il ruolo svolto dalle norme e dalle sanzioni.
Non tutte le norme sociali, però, hanno uno stesso livello di gravità e cosi,
anche la devianza che eventualmente ne risulta dalla loro trasgressione.
Alcune manifestazioni devianti sono ritenute "formali", altre subentrano
nell’ambito dell’assistenza sanitaria ed altre ancora in quello delle norme
"informali".
1.1.1. Le norme e sanzioni formali
Sono quelle descritte chiaramente nell’ordinamento giuridico criminale,
civile e amministrativo. Le norme sono scritte nella forma di legge, sono
controllate dalle forze d’ordine e prevedono specifiche sanzioni.
Quelle descritte nell’ordinamento giuridico criminale sono controllate dagli
agenti del controllo sociale (polizia, pubblico ministero, avvocati, giudici) i
quali, a nome dello stato, responsabilizzano il soggetto per determinati reati
commessi contro l’umanità e contro lo stato. Comprende quindi un ampio
raggio di reati: contro la proprietà (vandalismo, latrocinio, truffa); contro
l’ordine pubblico (vagabondaggio, ubriachezza in pubblico, disordine);
contro la moralità (prostituzione, possesso, traffico e uso di droga, vendita di
materiale
pornografico
ai
minori,
scommesse).
Le
sanzioni
sono
prevalentemente di natura penale e di limitazione della libertà.
Quelle descritte nell’ordinamento civile sono orientate alla soluzione dei
conflitti tra dispute private, e sono in genere i soggetti in conflitto a
contendere in tribunale. Si tratta di un tipo di reato diverso da quello
criminale e riguarda i contratti, il pregiudizio alle persone e alle proprietà, la
diffamazione, la negligenza, il divorzio, i diritti di autore, le vendite ecc. Le
sanzioni sono prevalentemente di natura monetaria e intendono provvedere al
risarcimento dei danni.
Le norme descritte nell’ordinamento amministrativo hanno la funzione di
proteggere l’individuo dal potere delle grandi corporazioni.
La devianza nell’ambito dell’ordinamento giuridico riguarda i reati e la
delinquenza e integra lo studio della Sociologia della Delinquenza piuttosto
che della Devianza.
1.1.2. Le norme e le sanzioni nell’ambito sociosanitario
Sono diverse dalle norme formali e informali in quanto la devianza in campo
medico è considerata una malattia, una condizione non intenzionale che può
essere oggettivamente definita attraverso i sintomi. I diversi enti sanitari
definiscono come situazioni da "medicalizzare": l’uso disordinato di
sostanze, il comportamento ossessivo, lo stato maniaco-depressivo, la
paranoia, la schizofrenia, la malattia mentale. Sono queste le condizioni che
violano le aspettative di un "normale" stato mentale.
Queste modalità di devianza richiedono trattamenti speciali e non
esattamente
sanzioni
e
punizioni.
Essi
si
danno
attraverso
l’istituzionalizzazione, la terapia individuale, il trattamento psicosomatico. Il
paziente è essente da ogni responsabilità o colpa della propria condizione,
svolge davanti alla società uno specifico ruolo di "malato" ed è invitato a
collaborare con la cura.
Un caso di medicalizzazione della devianza lo troviamo nella dipendenza da
sostanze stupefacenti: droga, alcol ecc. La "riduzione del danno" è un
esempio di intervento medicalizzante rivolto al controllo dei danni subiti dal
tossicodipendente. Essa funziona anche come un meccanismo di difesa della
società che vuole minimizzare, da parte sua, i problemi sociali generati dalla
tossicodipendenza. È ovvio che il problema della tossicodipendenza non è
solo una questione medica; "non bisogna cadere nell’inganno che la "droga"
sia il problema centrale e che quindi la risposta possa consistere in una
disintossicazione fisica e psichica in un centro antidroga. Il vero problema è
l’uomo". Non bastano quindi i centri di terapia, gli enti di cura medica, ma la
ricostruzione della persona che, in Italia soprattutto, avviene all’interno delle
comunità di accoglienza e terapeutiche.
La
devianza
nell’ambito
tossicodipendenza
Tossicodipendenza.
ed
è
sociosanitario
studiata
riguarda
all’interno
della
particolarmente
Sociologia
la
della
1.1.3. Le norme e le sanzioni nell’ambito informale
Riguardano la moltitudine di norme e sanzioni più o meno condivise dalle
culture e dalla società. Esse non sono codificate nell’ordinamento giuridico,
non appartengono esattamente all’ambito della devianza medicalizzata, ma
costituiscono
variazioni,
divergenze
e
dissensi
circa
determinati
comportamenti e costumi. Queste norme non sono generalmente scritte da
nessuna parte ma soltanto nei costumi e nelle abitudini: riguardano ad es. il
modo di comportarsi in una cerimonia funebre, il come vestirsi per un
appuntamento ufficiale, il come comportarsi in una chiesa.
Le sanzioni alla devianza informale provengono primariamente dal circolo
interpersonale e possono ulteriormente comportare l’intervento delle
istituzioni di controllo sociale. Ma è in primo posto l’interazione
interpersonale a controllare e sancire la devianza informale: familiari, amici
possono applicare sanzioni le più diverse come ammonimenti, sguardi di
riprovazione, minacce di togliere i privilegi e l’amicizia. Ma anche le
organizzazioni possono controllare e sancire in quanto al loro interno si
creano norme che devono essere condivise dai loro membri; il dissenso può
comportare la reprimenda, il ritiro dei privilegi e il proprio aumento del
controllo dei loro partecipanti.
Il campo della devianza informale comprende la maggior parte dei casi di
devianza, soprattutto di quella che rimane nell’oscuro e nel sommerso e che
riguarda l’ambito più ristretto dei gruppi sociali come l’ambiente familiare, il
gruppo dei pari, la scuola, il quartiere.
1.2. Devianza e relatività della norma .
"La devianza è creata dalla società. I gruppi sociali creano la devianza
istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza stessa"9. E se creata
essa è anche relativa alla cultura in cui avviene. Alcuni fattori possono
cambiare i riferimenti alle norme e quindi le loro modalità di sanzione e di
trasgressione. La relatività si deve soprattutto a determinati fattori come il
9
Merton op. cit.
tempo, il contesto, il gruppo di appartenenza e il ruolo che uno svolge nella
società.
a) il fattore tempo
Un comportamento considerato deviante nel secolo scorso può non esserlo
oggi come ad esempio l’uso dei pantaloni da parte delle donne. Altri
comportamenti sono correlati al tempo della vita: abuso sessuale,
delinquenza giovanile, uso di droga.
b) il fattore contesto
La nostra condotta varia in relazione al contesto in cui siamo inseriti in un
determinato momento: una chiesa, una festa di carnevale, l’ambiente
lavorativo o familiare.
c) il fattore appartenenza culturale
La società è composta da diverse subculture ognuna delle quali è in grado di
fornire a chi gli appartiene un set di valori, di norme e di sanzioni. In una
società complessa, composta dalla configurazione di sottosistemi i più
differenziati, il soggetto deve adattarsi alle particolari circostanze culturali,
deve cioè saper interagire e comunicarsi con persone e gruppi in contesti
sorretti dai più variati sets di valori e norme. In alcuni gruppi - ad es. tra i
membri di una banda - quello che nella società allargata è considerato
deviante viene ritenuto "normale".
d) il fattore ruolo sociale
La devianza è relativa al ruolo sociale svolto dai membri di un gruppo
sociale. Caratteristiche come quelle di età, di status sociale, di genere
determinano l’attribuzione di un carattere deviante a certi comportamenti. Il
ruolo del poliziotto gli permette di portare un’arma; quello del religioso di
portare la sottana; quello del bambino di fare birichinate e così via. D’altra
parte viene considerato deviante il porto di arma da parte di un civile, l’uso
della sottana da parte di un non religioso e le birichinate fatte da un adulto.
Lo studio dei fenomeni di devianza si è venuto rivelando come essenziale per
la comprensione dei processi centrali dei sistemi sociali, in quanto la
devianza appare collegata strettamente con altri fenomeni tipici della vita
collettiva, come la dinamica del potere, la formazione del quadro di norme e
valori, i processi di socializzazione, la definizione del sistema ruoli-status
ecc. Si può affermare dunque che lo studio della devianza non equivale
necessariamente all’analisi della "patologia sociale", proprio perché la
devianza è un fatto "normale" che si verifica in qualsiasi società, anche in
quelle ipoteticamente più integrate. Di qui il carattere "sintomatico" del
comportamento deviante, cioè la sua capacità di rinviare a problemi,
interrogativi e contraddizioni che si radicano ben più a monte, nella stessa
"logica" dei sistemi sociali, e di conseguenza, la necessità di non isolare il
discorso sulla devianza in una fenomenologia descrittiva del tutto
superficiale, ma di inserirlo in una riflessione multidisciplinare che renda
conto, a livello soprattutto interpretativo, della complessità del tema. Tuttavia
il nostro discorso sulla devianza si colloca prevalentemente nell’ottica
dell’analisi sociologica che, pur essendo ricca di spunti critici e di aperture
plurime, certo non esaurisce l’intera problematica; il motivo di questa scelta
prioritaria risiede in buona sostanza nella necessità didattica di affrontare il
tema con omogeneità metodologica anche se parziale, prima di ricomporre in
sintesi con altri dati i risultati ottenuti. Si tratta comunque di un discorso
sociologico aperto, che non rifiuta il confronto e le integrazioni quando siano
organiche alla tematica in analisi. Tale discorso si concentra ad esempio sul
fenomeno della devianza e non nel comportamento deviante, sia perché
quest’ultima prospettiva si adatta meglio ad un’analisi psicologica o
psichiatrica, sia perché effettivamente il fenomeno della devianza non si
restringe ai "comportamenti" non conformi, ma ingloba anche "modi di
essere e di collocarsi" nel sistema sociale, non riconducibili ad un
"comportamento".
CAPITOLO SECONDO
Concetto di devianza.
Alcune definizioni di devianza:
“è un comportamento non conforme ai modelli che risultano prescritti in una
comunità o gruppo e che quindi viola le aspettative istituzionalizzate"
(Leonardi, 1967, 190).
•
"è il processo per cui alcuni soggetti sfuggono al controllo" (Fichter,
1960, 347).
•
"è deviante quel comportamento che viola le regole" (Cohen, 1966, 27).
•
"conformità e deviazione hanno significato soltanto in rapporto al fatto
che i soggetti agenti o attori nei sistemi sociali sono orientati verso norme
sociali che sono interiorizzate come parte della loro personalità" (Johnson,
1960, 707).
•
"il termine devianza, quando non ulteriormente qualificato, si riferisce ad
ogni caratteristica o comportamento che differisce da quelli che sono usuali
in una data situazione" (Leslie e coll., 1973, 213).
•
"il
comportamento
deviante
è
un
comportamento
socialmente
disapprovato che supera i limiti di tolleranza e, se scoperto, è soggetto a
sanzioni negative" (Biesanz and Biesanz, 1969, 388).
•
"è deviante il comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate di
una data norma sociale" (G. Gennaro, 1993, 9).
Dalla esemplificazione è difficile trarre una definizione complessiva di
devianza eterogenei; si può comunque tentare di isolare alcuni elementi che
presentano aspetti problematici:
• la devianza è riferita ad una violazione della norma. Non si tratta solo
della violazione intenzionale di un "modello di comportamento"
istituzionalizzato, ma anche più semplicemente di una difformità da
caratteristiche somatiche, psichiche, morali, culturali ecc. ritenute
"normali" in un determinato contesto sociale. Così è considerato
‘deviante’ il furto in una società che sanziona la proprietà privata, come
è considerata deviante (perché ‘diversa’) una persona notevolmente più
alta o più bassa della media, un malato mentale, un handicappato fisico.
La distinzione avanzata sembra supporre che la devianza non è una
qualità inerente ad un determinato comportamento o caratteristica, ma è
una qualità attribuita dal di fuori, cioè socialmente, ad un certo modo di
essere o di agire difforme dagli standard accettati.
• Oltre al problema della definizione della devianza in termini di
oggettivo/soggettivo e di non-conformità/difformità, si pone il quesito
sulla estrema relatività di ogni definizione di devianza. In realtà, come
vedremo più avanti, la devianza, proprio in rapporto alla variabilità della
norma, è commisurata a dimensioni spazio-temporali estremamente
mutevoli. Infatti non solo cambiano le norme, ma cambiano anche i
limiti di tolleranza attorno alla norma ed i criteri di valutazione
negativo-positiva dei comportamenti e delle caratteristiche non conformi
o diversi.
• Il fenomeno della devianza ha a che fare con i processi di formazione e
mantenimento del potere, in quanto si pone in alternativa al controllo
sociale o almeno indirettamente esprime la necessità del cambio come
contrapposta alla necessità dell’ordine sociale. Di qui la conseguenza
ovvia che nessuna società, per poco che sia interessata alla propria
sopravvivenza, può ignorare la realtà della devianza: generalmente ogni
comunità toccata dalla devianza, e tutte lo sono, cerca di comprendere
teoricamente la devianza (e perciò la interpreta a modo suo) e di
controllarla sul piano pratico (e di cui le varie modalità di contenimento,
stigmatizzazione, sanzione di cui ci occuperemo a lungo).
• La devianza almeno nei casi in cui si tratta di comportamento deviante, è
in rapporto ovviamente ai processi di socializzazione (attraverso cui si
attua l’interiorizzazione delle norme) per più motivi: i differenti esiti
della socializzazione in individui diversi spiegano infatti come taluni
siano in grado di esercitare un controllo interno nei propri riguardi
(orientandosi
al
conformismo)
ed
esterno
nei
riguardi
altrui
(stigmatizzandone il comportamento o la qualità "diversa") e come altri
soggetti siano invece inclini alla difformità e al non conformismo.
Sulla base di queste osservazioni è possibile dare una definizione provvisoria
di devianza, da precisare ulteriormente nel proseguimento del discorso:
• "deviante è un comportamento o una qualità (caratteristica) della persona
sociale che superando i limiti di tolleranza rispetto alla norma consentiti in
un certo contesto sociale spazio-temporale, è oggetto di un processo di
sanzioni e/o di stigmatizzazione, che esprime la necessità funzionale del
sistema sociale di controllare il cambio culturale secondo la logica del
potere predominante".
Riprendiamo ora in modo più analitico alcuni elementi-chiave della
definizione
2.1.
Devianza e sistema normativo
I rapporti tra comportamento o qualità "normale" e comportamento o qualità
"deviante" sono estremamente fluttuanti, proprio in rapporto al carattere
variabile della norma:
• varia l’area della permissività o tolleranza consentita nei riguardi della
norma. In realtà la norma è solo un’astrazione; è un modello di
comportamento corrispondente a una condotta ‘media’, con oscillazioni
la cui ampiezza è considerata legittima, cioè normale, in rapporto ad un
considerevole e variabile numero di variabili. Così rispetto ad un certo
modello di comportamento sociale (ad es. il corteggiamento sessuale
prematrimoniale) sono permesse certe variazioni a seconda dell’età e dei
sessi degli individui.
• Varia il grado di interiorizzazione della norma a seconda delle diverse
modalità di socializzazione, che caratterizzano i diversi soggetti e che
spiegano la presenza di un consenso più o meno profondo rispetto al
quadro normativo.
• Varia infine il grado di consistenza, organicità, legittimità dello stesso
sistema normativo in rapporto al quadro globale di una determinata
società.
Winslow10 , ha fatto notare che i sistemi normativi sono diversamente
compaginati a seconda delle strutture di società e dei tipi di organizzazione
istituzionale presenti in un certo contesto. Così alle strutture oligarchica,
anomica e pluralista corrispondono organizzazioni di tipo coercitivo,
utilitario e normativo, caratterizzate da diverse tassonomie e da diverse
connotazioni qualitative della devianza. Nel 1º tipo (oligarchico-coercitivo)
le norme appaiono organizzate in un quadro rigido, sostenute da sanzioni
prevalentemente punitive (anche in modo fisico) e producono un tipo di
conformismo alienante (il soggetto si adatta ad un comportamento
ritualizzato o si apparta rinunciando alla partecipazione); nel 2º tipo
(anomico-utilitario) le norme appaiono prive di organicità e fondamento,
ricevono sanzioni del tipo premio-castigo, favorendo l’opportunismo e il
calcolo, occasionando le diverse forme di devianza ispirate al tornaconto
individuale; nel 3º tipo (pluralista-normativo) le norme si organizzano
secondo le diverse egemonie del potere emergente nella società, ricevono
una forte sanzione morale e simbolica a cui si sottraggono però i soggetti che
non consentono all’egemonia e che mirano (mediante la ribellione e
l’innovazione) alla elaborazione di altri quadri di norme.
L’approccio strutturale-istituzionale di Winslow non spiega comunque la
presenza di alcune devianze presenti in tutti i tipi di società elencati ed
inoltre non rende ragione di molte forme di devianza indipendenti
dall’organizzazione istituzionale, ma collegate, a suo dire, a fattori
strettamente individuali. Non è esente da note critiche neppure il tentativo di
Dinitz e coll. (1969, 4 e ss.) il quale cerca di precisare il diverso strutturarsi
10
Winslow (1970).
del quadro normativo in due opposti tipi di società: la società tradizionalepopolare e la società moderna-industriale.
Il contributo di Dinitz è importante perché introduce una relazione essenziale
tra quadro normativo (e devianza) e cambio sociale. In altre parole, viene
affermato che nelle società statiche la devianza assume un carattere piuttosto
limitato, proprio perché le norme sono semplici, facilmente identificabili
perché organiche e pacificamente interiorizzate, le sanzioni sono tali da non
stigmatizzare la personalità globale del deviante, ma solo un aspetto
settoriale del suo comportamento. Al contrario nelle società moderne, i
fattori che producono cambio sociale producono anche maggior devianza
proprio perché le caratteristiche del quadro delle norme che ne risulta
incoraggiano maggiormente le infrazioni e rendono più incisiva la
stigmatizzazione del deviante.
2.2. Devianza e aspettative di ruolo
La definizione di devianza in rapporto ai sistemi normativi implica una serie
di considerazioni sulle relazioni tra devianza e aspettative di ruolo:
• È ovvio che una violazione della norma costituisce, parallelamente,
anche un’infrazione delle aspettative di ruolo che un determinato gruppo
di osservatori sociali si è venuto costruendo nei riguardi del soggetto.
Questo fatto non può non produrre una certa frustrazione nel gruppo, che
vede minacciata la rete di rapporti reciproci, prevedibili e standardizzati,
su cui si basa la sicurezza dei singoli. La reazione a questa percepita
infrazione delle aspettative di ruolo può essere estremamente varia; non
esclude comunque mai un’ostilità diffusa verso il deviante, un tentativo
di bloccaggio, una tendenza al recupero dei comportamenti normali
attraverso l’uso del sistema ricompensa-castigo ecc. In ogni caso la
devianza non rientrata provoca un ripensamento radicale del sistema di
aspettative di ruolo che non è facile ricostruire in tempi brevi.
• Al di là di questa considerazione globale va sottolineato il fatto che
solitamente i devianti sono tali, come infrazione obiettiva di una norma,
solo in rapporto a particolari ruoli, esercitati entro particolari gruppi o
contesti. E tuttavia nelle società moderne industriali si assiste ad un
fenomeno di diffusione del ruolo per cui si tende ad estendere il giudizio
di devianza a tutta la personalità del diverso che viene in tal modo
globalmente stigmatizzata. Non così avviene nelle società premoderne in
cui la stigmatizzazione rimane semmai ristretta ai settori realmente
difformi e non ingloba un giudizio su tutto il comportamento. In realtà il
deviante è sempre conforme almeno rispetto ad alcuni settori del suo
essere o agire: egli si adegua generalmente a molte norme del vivere
comune e si conforma ai modelli del gruppo deviante a cui si riferisce.
• D’altra parte è difficile trovare una persona sociale perfettamente
conformista; tutti sono devianti, almeno in alcuni ruoli, come già
abbiamo notato a proposito del pluralismo di appartenenze e di lealtà
istituzionali che, quando sia conflittuale, spinge a far delle scelte verso
alcuni modelli e a porsi in situazione di difformità rispetto ad altri. Il
caso sembra verificarsi nella società ad alto grado di complessità, che
implicano un grosso rischio di scarsa integrazione, se non proprio di
disintegrazione. La realtà di una ineluttabile non integrazione dei ruoli si
riflette e si trasforma nella necessità di attivare più ampi limiti di
tolleranza della devianza: ed è appunto il meccanismo che scatta,
alternativamente e congiuntamente alla stigmatizzazione, quando il
gruppo o il sistema, accettando l’insuperabilità della devianza, cercano
di mitigarne o prevenirne gli eventuali effetti dirompenti. Un esempio di
questo meccanismo è rappresentato dal modo con cui alcuni anni
addietro la società occidentale a modello capitalista ha cercato (con
eccellenti risultati) di neutralizzare la protesta hippie allargando
progressivamente i limiti della permissività nei riguardi dei pochi ruoli
devianti (capelli, vestiti, musica, droga) e incapsulandoli mediante una
manipolazione consumistica (commercializzazione della moda hippie
ecc.).
• Sempre in rapporto alle aspettative di ruolo va infine notato che la
devianza assume diversa rilevanza sociale a seconda che si riferisce a
ruoli che riguardano gruppi-istituzioni centrali o periferici nel sistema
sociale.
Così , ad. es., in un sistema caratterizzato da un avanzato grado di
secolarizzazione le devianze riguardanti ruoli specifici di comportamento
religioso-ecclesiale (pratica religiosa, obbedienza alle autorità ecclesiastiche
ecc.) possono venir tollerate con molta maggior permissività che in altre
società caratterizzate da una persistente sacralizzazione dei comportamenti
collettivi. Più specificamente le devianze riferite a settori di comportamento
periferico possono essere addirittura incoraggiate, promosse e remunerate,
proprio perché sono generalmente poco "pericolose" per i sistemi e possono
essere utilmente rese funzionali (come valvole di sfogo, falsi bersagli, scopi
diversivi).
2.3. Devianza e controllo sociale
In rapporto ai quadri normativi e alle corrispettive aspettative di ruolo è
possibile mettere in evidenza una stretta correlazione tra devianza e controllo
sociale; a tale scopo è forse utile richiamare alcune nozioni elementari sul
concetto di controllo:
• Il controllo sociale "è un processo o meccanismo tendente a mantenere
la conformità dei singoli elementi di un sistema sociale ai modelli di
comportamento, ai ruoli, alle relazioni, alle istituzioni culturalmente
rilevanti". Si tratta dunque di un fenomeno che ha a che fare
direttamente con la devianza, come più esplicitamente annota Johnson:
"Esso consiste nell’azione di tutti i meccanismi che controbilanciano le
tendenze devianti, o impedendo del tutto la deviazione o, cosa più
importante, controllando o capovolgendo quegli elementi che tendono a
produrre
il
comportamento
deviante".
Dalla
definizione
data
sembrerebbe che il controllo sociale è sostanzialmente pensabile in
funzione antagonista rispetto alla devianza, la quale a sua volta ne
verrebbe definita come processo per cui alcuni soggetti sfuggono al
controllo11; in realtà non è difficile dimostrare che in certe situazioni
tipiche il controllo sociale può produrre o quanto meno stabilizzare,
definendola, la devianza. Come vuole la teoria dello stigma, il controllo
sociale determina i salti qualitativi che avvengono in modo progressivo
nel processo per cui si diventa devianti, contribuendo in modo decisivo
11
Albert Cohen 1955.
all’istaurarsi della devianza secondaria (cioè della devianza vera e
propria, non occasionale o episodica).
• Le forme con cui si manifesta il controllo sociale sono molte, come
dimostrano alcune utili distinzioni non solo teoriche. Così il controllo
positivo è quello che viene esercitato attraverso la persuasione, la
suggestione, il sistema di gratificazioni-ricompense, l’educazione,
mentre quello negativo viene realizzato attraverso le minacce, gli
ordini, le proibizioni, le sanzioni; le due modalità vengono per altro
applicate quasi sempre contemporaneamente. Altra distinzione riguarda
il controllo formale espresso attraverso regolamenti, statuti, norme
ufficiali e quello informale che consta di richiami, gesti, presenze
dirette o indirette, implicite o esplicite, spesso anche solo simboliche; il
primo sembra più diffuso nelle strutture complesse e differenziate,
identificandosi al limite con le forme dell’organizzazione e della
burocrazia; il secondo si trova invece molto più presente nelle strutture
semplici, come nei gruppi primari in cui prevalgono le relazioni faccia a
faccia. Infine è utile tener presente la differenza tra controllo interno e
controllo
esterno:
il
primo
è
definibile
come
effetto
dell’interiorizzazione delle attese di ruolo e acquisizione delle abilità e
delle motivazioni sufficienti a rispondere adeguatamente alle attese di
ruolo, mentre il secondo corrisponde alla nozione corrente di controllo
sociale ed è la somma delle prescrizioni o norme adottate dall’unità
sociale per assicurare il minimo di funzionalità e di consenso agli scopi
dell’unità stessa.
Queste varie forme di controllo vengono esercitate in modo diverso nei
diversi livelli della struttura e dalle diverse forme di aggregazione sociale:
dalla società globale, dalle diverse centrali del potere (gruppi o associazioni
egemoni), dalle istituzioni specializzate, da gruppi di pressione o di interesse
minoritari, da leaders più o meno carismatici.
• Uno dei punti più studiati del rapporto devianza-controllo sociale
riguarda la misura dell’efficacia del controllo sociale sulla diminuzione
della devianza. Questa analisi è relativamente recente. La scuola di
Merton aveva trascurato di considerare le reazioni alla devianza come
forma di controllo sociale; Becker (1963); Kitsuse (1963), Scheff (1966)
hanno sottolineato l’importanza del controllo sociale susseguente alla
deviazione "primaria" (cioè occasionale ed episodica) nel produrre una
devianza "secondaria" (cioè strutturata), ma non hanno studiato le
reazioni sociali alla devianza nelle loro proprietà analitiche e nella loro
variabilità. Altri come Lindesmith (1965) si erano limitati a constatare
l’inutilità o l’inefficacia del controllo sociale; altri infine come
Hollhingshead e Redlich (1958), Freeman e Simmons (1959), Clark
(1960) si erano provati a delimitare le caratteristiche sociali del deviante,
che condizionano il tipo di reazione del pubblico.
Una presentazione globale della problematica sulle forme di controllo sociale
esercitate dopo la devianza è contenuta in un contributo di Clark e Gibbs .
Questi autori distinguono tra reazioni normative e reazioni effettive. Le
prime si riferiscono ad una norma sociale, nel senso che sono reazioni alla
devianza prevedibili sulla base di un certo criterio di valutazione più o meno
legale della devianza. Si distinguono in valutative (sanzione normativa
‘volgare’ della devianza), legali (sanzioni ufficiali) e provisionali (sanzione
‘volgare’ probabile). Di queste reazioni "in linea di principio" si può dire che
sottostanno a molta variabilità: gli autori citati tengono conto del grado di
generalità (non tutte le reazioni si applicano a tutti i tipi di devianza), di
specificità
(molte
reazioni
si
applicano
discrezionalmente
e
non
specificamente), di relatività (le reazioni dipendono dalle caratteristiche del
deviante, della vittima, del reagente, delle circostanze situazionali), di
consenso (non tute le reazioni sono ugualmente legittimate, di coerenza (tra
le tre forme di reazione normativa). Da quanto si è detto risulta evidente che
le reazioni valutative sono essenziali nel dare una base consistente a quelle
legali; e che un eventuale gap tra norme valutative e norme previsionali (cioè
tra la reazione che la gente ritiene ‘doverosa’ e quella che ritiene ‘probabile’)
diventa automaticamente sintomo di un cambio sociale in atto nel sistema
normativo.
Analogo discorso va fatto per le reazioni effettive, delle quali non è possibile
prevedere una precisa tassonomia, ma solo determinare due pattern
fondamentali: la correlazione e la relatività. In base al primo patterns si
possono stabilire certe correlazioni esistenti di fatto tra reazioni effettive e
tipi di devianza: ad es. in che grado una determinata reazione si applica di
fatto ad un determinato tipo di devianza (grado di generalità); in che misura
una determinata devianza è in grado di suscitare un ventaglio più o meno
ampio di reazioni (grado di variazione); in che grado una reazione è esclusiva
in rapporto ad una devianza (grado di distinzione); in che grado una devianza
è sanzionata da una reazione specifica (grado di specificità). In base al
secondo pattern è possibile stabilire che le reazioni di fatto sono correlative
alle caratteristiche dei devianti, delle vittime, dei reagenti, delle circostanze
situazionali.
Analizzando i rapporti tra i due tipi di controllo sociale (quello normativo e
quello effettivo) si nota che esistono sempre delle notevoli discrepanze tra i
due, cioè vi è un grado variabile di certezza di applicazione reale della
sanzione a seconda dei tipi di devianza e tale certezza variabile è relativa alle
già menzionate caratteristiche dei protagonisti di tutto il processo
devianza/reazione. Del resto, tale discrepanza e relatività è indicativa della
distanza esistente tra principi manifesti e principi latenti del controllo sociale
in un determinato sistema sociale.
Gli autori citati, oltre che ad analizzare il sistema delle reazioni, studiano
anche le caratteristiche degli agenti del controllo (cioè dei reagenti),
distinguendo tra reagenti normativi (in piano di dover o poter essere) e
reagenti effettivi. I primi (presenti in tutte le società nelle tre modalità: legali,
valutativi, previsionali), sono oggetto di una certa aleatorietà: la loro
designazione a detentori del diritto di applicare il controllo sociale alla
devianza è condizionata da alcune variabili: dallo status del soggetto
(esclusività dei ruoli), dalla sua disponibilità o meno (esclusività
occupazionale), dal grado di coerenza esistente tra le modalità (consistenza),
dal livello di consenso attribuito, dalle caratteristiche delle persone implicate
(relatività), dall’autorità morale e legale accordata (generalità).
Quanto ai secondi (reagenti effettivi), si nota che tendono a essere più
numerosi di quelli normativi. Inoltre la loro caratterizzazione è condizionata
da una serie numerosa di variabili che riguardano quasi esclusivamente gli
status dei reagenti in rapporto all’ampiezza, specificità, complessità della
devianza. In una società in cui non sono fissati chiaramente se non gli status
dei reagenti legali (o ufficiali), la specificità e la differenziazione degli status
dei reagenti non ufficiali diventano segno dell’importanza globale di tali
status non solo in rapporto alla devianza, ma anche all’interno della società.
In altre parole, chi reagisce alla devianza o è persona designata a tale scopo,
o è persona dotata di status rilevante.
Anche le discrepanze esistenti tra reagenti normativi e reagenti effettivi, oltre
che dipendere dalle strutture generali della società e dai gradi di consenso e
di coerenza relativi a tre tipi di reagenti, dimostrano in definitiva la
consistenza o l’autorità della norma (o il suo contrario) e sottolineano il
grado di "ordine sociale" esistente in un sistema.
Quanto al grado di efficacia delle reazioni analizzate sulla devianza, non è
stato possibile ancora stabilire empiricamente se sono più incisive le reazioni
contrassegnate da un riferimento normativo organico, rigido, globale, o
quelle caratterizzate da un riferimento specifico, differenziato, relativizzato.
2.4. Problemi di affinità con i gruppi devianti
La devianza è una costruzione sociale: è una risposta inadeguata alle norme
sociali costruite all’interno di una cultura ed è attribuita ai soggetti che
trasgrediscono dette norme.
Alcune devianze sono non intenzionali e altre intenzionali.
Nella società complessa è più probabile che uno trasgredisca le norme, visto
che c’e ne sono tante quante i sottosistemi, le subculture, i contesti che la
integrano. Il controllo sociale tende a minacciare, piuttosto che punire la
devianza non intenzionale. Alcune persone sono considerate devianti non per
quello che fanno o lasciano di fare o per l’intenzione o meno di farlo ma per
quello che rappresentano in sé stessi: subentra, quindi, la questione dello
stigma. Le persone possono essere stigmatizzate in base alle caratteristiche
fisiche e psichiche: il colore della pelle, l’appartenenza culturale, la pazzia. Il
processo della stigmatizzazione che riesce a creare lo stereotipo può essere
facilmente percepito nella vita quotidiana quando ci si riferisce ai tedeschi
come nazisti, ai giovani delle discoteche come drogati, ai zingari come ladri
e così via.
Ma il centro della preoccupazione dei sociologi e delle agenzie del controllo
sociale sono le devianze intenzionali, cioè quando uno trasgredisce
consapevolmente e volontariamente la norma. Infatti, la voglia di trasgredire
costituisce il primo passo nel processo per diventare deviante e viene definita
da Matza come affinità (Cf. Cap. XI). I motivi che inducono alla devianza
dalla norma sono tanti: i conflitti familiari, la disperata ricerca di una
identità, il desiderio di appartenere ad un gruppo ribelle, la mancanza di
senso della vita, le condizione sociale di privazione riguardo la razza, l’età,
l’occupazione, l’educazione. Questi e altri motivi, che rivelano più
profondamente la frustrazione dei bisogni fondamentali, possono far scattare
la molla della decisione, più o meno chiara, volontaria, intenzionale di
trasgredire la norma.
Ma non basta soltanto il desiderio di trasgredire. Molti lo vogliono, ma non
hanno il coraggio di assumersi i rischi dell’auto controllo (il senso di colpa) e
del controllo sociale; bisogna anche avere la possibilità di trasgredire la
norma.
2.4.1. Processi di etichettamento
La seconda domanda riguarda la vicinanza vera e propria alle opportunità di
deviare e questo secondo passo viene definito da Matza "affiliazione" (Cf.
Cap. XI). Essa costituisce il ponte tra la semplice voglia e la vera possibilità
di deviare. È il momento dell’acquisizione del "know how": la conoscenza
delle tecniche, dei valori, delle abilità associata alle diverse devianze. Non
basta la voglia di drogarsi, ma bisogna saper come fare per farsi. La devianza
può essere assunta individualmente, ma di solito il processo di
apprendimento di queste conoscenze avvengono spesso in associazione con
gli altri già affiliati e già in possesso del know how.
In questo momento ha una grande influenza il gruppo:
(a) di appartenenza quando e se esso costituisce una subcultura in conflitto
con le norme e i valori della società più ampia. La nostra società è composta
da molteplici subculture. L’esempio più evidente è quello delle subculture
che coinvolgono la musica punk e rap, in cui avviene la condivisione di stili
di vita, di abbigliamento, di apparenze, di visioni del mondo in modo tale,
che soltanto quelli che ne appartengono riescono ad interagire e partecipare
mentre gli altri sono considerati soltanto curiosi.
Altri gruppi sono di (b) riferimento reale e immaginario (Cf. Cap. XII): nella
loro modalità reale permettono l’interazione diretta e nella sua modalità
immaginaria corrispondono ad una rappresentazione alimentata dalla fantasia
o dai mass-media. In quest’ultimo caso i modelli che sono presentati tendono
a spingere le persone all’imitazione attraverso l’esperienza sostitutiva: cioè,
la voglia di fare e comportarsi come viene suggerito da essi.
Alcuni gruppi sono considerati (c) di circostanza, o "near-groups" (ad es.
una folla, un ‘night club’, una tifoseria), caratterizzati dalla mancanza di
organizzazione e di interazione tra i membri e da un obiettivo comune (ad es.
l’evasione, il tifo, una manifestazione, l’uso di droga). In questi ambienti
impersonali spesso la devianza collettiva scatta da un motivo collegato ad un
obiettivo comune.
Un altro aspetto riguarda la visibilità del comportamento deviante tra
comportamenti secreti, visibili e volutamente visibili. Il primo caso riguarda i
devianti che vivono il loro comportamento in "off". È il caso, ad esempio,
dell’omosessualità vissuta in segreto e rivelata ad altri soltanto in modo
selettivo. Nel secondo caso si distinguono quelli che non possono nascondere
le caratteristiche personali e, quindi, sono esposti per forza allo stigma per
ragioni di statura, peso, razza, età. Per ultimo ci sono i devianti per scelta
personale: essa diventa un "modo di dire", un simbolo che spesso viene
trasmesso attraverso il modo di vestirsi, il taglio dei capelli, il tatuaggio ecc.
La devianza dipende inoltre dall’etichettamento. Esso a sua volta può variare
d’accordo con la gravità, la permanenza, la salienza, la fonte e la
connotazione.
La gravità: a molti comportamenti devianti sono attribuite sanzioni meno
forti ed è il caso di quelli che riguardano le norme informali. La devianza
all’interno del modello sanitario è più forte. Una persona che porta l’etichetta
di pazzo, di schizofrenico, di malato di mente, maniaco depressivo ecc., ha
una più grande probabilità di rimanere segregato permanentemente dalla
società. Anche i comportamenti che si discostano dalla norma formale
vengono spesso sanzionati con intensità, ed è il caso degli assassini, dei
rapitori, del molestatore di bambini e del traditore. Alcuni di questi
comportamenti contro la norma formale, però, possono essere anche
rinforzati all’interno della cultura, o di determinate subculture una volta che
sia un comportamento condiviso. Ad es. in certi casi vengono elogiati dalla
gente il comportamento chiaramente contro la norma formale di non pagare
le tasse allo stato.
La durata dello stereotipo nel tempo: alcuni sono appena transitori altri sono
permanenti. Alcuni comportamenti sono applicati nel momento della
devianza, sanzionati e subito dimenticati. Ad esempio quando un autista
avanza con il semaforo rosso e viene ritenuto matto o cosa simile e subito
dimenticato. Altri durano nel tempo ed è il caso, ad esempio, degli
stigmatizzati a causa delle caratteristiche fisiche o dell’alcoolismo anche anni
e anni dopo che si è smesso di bere. Quelli applicati dalla giustizia
rimangono praticamente per sempre: "una volta criminale sempre criminale".
La salienza dello stereotipo: riguarda l’assunzione da parte del deviante della
qualità
stessa
di
deviante;
l’accettazione
e
conseguentemente
la
strutturazione di una identità deviante. Consideriamo, ad es., il caso di una
persona che, in una condizione di forte privazione e fame, si trova nel
bisogno di rubare il cibo; egli potrà essere etichettato come "ladro", ma ciò
non andrà facilmente a far parte della sua identità, una volta che si sia
appurato che egli è stato necessitato al gesto per sopravvivere. Dall’altra
sponda si trovano quelli che assumono, accettano e vivono una identità e uno
status di deviante in modo che riescono a conciliare uno stile di vita e ad
essere talora meglio accettati dagli altre come alcolizzato, tossicodipendente,
prostituto e prostituta, ecc.
La fonte dello stereotipo: essa proviene proprio dalla società e finisce nella
società attraverso l’azione del controllo sociale. Ma gli agenti del controllo
sociale sono molteplici: le forze d’ordine, il senso comune, il gruppo di
appartenenza, la famiglia, la scuola ecc. Ma è piuttosto la polizia, quella che
riesce ad attirare l’attenzione della gente sulla persona del deviante in modo
da provocarle lo stereotipo. E in certi casi la fonte dello stereotipo è il
proprio deviante. Sono essi stessi ad iniziare il processo e a volerlo per
diverse ragioni. È il caso, ad. es., degli skinheads, dei rappers, dei bloods, di
quelli che appartengono al ku klux klan, ecc., i quali vogliono esprimersi
attraverso il simbolo e l’assunzione di una identità specifica, purché
garantisca loro uno status nella società.
Il senso dello stereotipo tra positivo, negativo e neutro. Il senso negativo è
quello più spesso presente nel senso comune, che funge spesso da principale
agente del controllo sociale. La società in genere cerca di dissuadere i
devianti dal loro dissenso dalla norma attraverso la sanzione della
trasgressione.
E
i
devianti
normalmente
hanno
conoscenza
della
disapprovazione del loro comportamento. Altri comportamenti sono
considerati neutrali, cioè, attraverso la giustificazione e la razionalizzazione
dell’azione deviante e della negazione del carattere deviante del
comportamento. Ad altri comportamenti devianti possono essere attribuite
valutazioni positive e i devianti considerati bravi, da imitare. In questo caso i
devianti hanno "rovesciato il tavolo": quello che era deviante è diventato
normale e desiderabile.
2.4.2. Struttura sociale e devianza
In comune i sociologi arrivano alla conclusione che non è possibile
prevedere chi diventa deviante. Tutti possono esserlo, e l’unica cosa di cui
possiamo e, anzi, dobbiamo considerare una volta che non possiamo fissare
un rapporto causa-effetto è quella di considerare la probabilità che una
persona diventi deviante.
La devianza viene spesso collegata alla condizione sociale specie rispetto
allo status socioeconomico, alla razza, al sesso, all’età.
Alcune devianze sono collegate allo status socioeconomico (SSE). Lo
svantaggio dei poveri è dovuto, in parte, alle opportunità e, in parte, alla
maggiore probabilità di essere etichettati.
Alcune devianze sono più spesso riscontrate negli ambienti benestanti e
quindi dipendono dalla posizione sociale, dal potere e dal prestigio. In questa
categoria si trovano comportamenti come: lo scarico illegale di rifiuto
atomico, l’inquinamento atmosferico, truffe finanziarie alla borsa e ai sistemi
informatici. Sono reati di colletti bianchi, piuttosto che di strada. I devianti
cosiddetti di colletti bianchi sono più difficilmente sanzionati e puniti: hanno
più facilità di accesso ai mezzi protettivi come i soldi, la privacy, la
segretezza, la difesa penale. Inoltre i loro crimini sono spesso commessi in
ambienti protetti e privati come nelle loro ville e in clubs riservati e non in
mezzo alla strada. Per ultimo essi sono puniti dalla giustizia amministrativa,
piuttosto che da quella criminale. La devianza di strada è piuttosto
riscontrabile tra la popolazione povera: il non pagare i mezzi di trasporto,
l’acquisto sul mercato nero, il furto al supermercato, le rapine, la
prostituzione ecc. La condizione di povertà, sia nel suo concetto di povertà
assoluta che relativa, può spingere la gente a trovare dei mezzi illeciti per
arrivare ai fini non facilmente rintracciabili attraverso i mezzi legali e
normali. I poveri sono più sfortunati nel rapporto con la giustizia: hanno più
probabilità di essere etichettati tanto per la devianza in ambito medico e
sanitario, quanto in quella criminale. Sono piuttosto controllati dai
"carabinieri", che dalla "guardia di finanza", dai poliziotti, che dagli uffici di
perquisizione. Alcune ragioni della stigmatizzazione sono: le cattive
condizioni in cui vivono i poveri, che incoraggiano certi comportamenti
devianti; la normativa criminale tende piuttosto a controllare le violazioni
della norma da parte dei poveri, mentre quella amministrativa tende a
controllare quella dei ricchi; le forze dell’ordine tendono a prendere di mira i
poveri, piuttosto che i ricchi.
Tutto quanto si è detto sopra non vuol dire necessariamente che i poveri
siano più devianti che i ricchi, ma piuttosto che la devianza tra i poveri è più
sorvegliata, visibile e quindi sanzionata.
Razza
Anche le minoranze di determinati gruppi razziali sono vittima dello stigma:
è il caso dei ragazzi neri che, in Brasile, possono essere più facilmente
identificati come devianti e considerati essi stessi un rischio da evitare. Altri
gruppi tendono ad alzare il livello di guardia del controllo sociale e
personale, come gli zingari e gli immigrati. In altri casi sembra non essere
tanto la componente razziale ad attirare l’attenzione quanto l’appartenenza ad
alcune subculture considerate devianti, come quella dei rappers per i soggetti
di razza nera. Tutto sommato non sembra essere la componente razziale a
comportare una tendenza deviante; sembra più vero che sia l’appartenenza a
certe minoranze a creare più probabilità di essere sospettato, di essere
arrestato e di subire il processo di etichettamento.
Genere
Determinati comportamenti prevalgono tra i maschi: azione violente, reati
contro il patrimonio, formazione di banda e disordini psichiche; altri sono
collegati alle femmine: prostituzione, reati contro i costumi, furto nei negozi,
ansietà. Sono differenze dovute principalmente alla diversa socializzazione,
in quanto è più facile al maschio una educazione in ambienti marcati dalla
forza e dalla violenza, mentre è più probabile che la donna sia abituata a
nascondere la propria devianza. I maschi sono, rispetto alle donne,
sottomessi a più strette norme quanto al vestirsi (meno scelta del colore e
dello stile). Ma la grande differenza si fa notare soprattutto nelle statistiche
delle condanne per trasgressione della norma formale: la grande maggioranza
della popolazione carceraria è composta da maschi.
Età
La maggior parte delle norme nella nostra società sono relative all’età delle
persone. Basta guardare agli stereotipi diretti agli anziani ("vecchio",
"demente", ....) e a quelli diretti ai giovani ("sfrenati", "sballati",
"irresponsabili", ecc.).
Ma sono piuttosto i giovani il centro delle attenzioni in ordine alla devianza.
La gioventù è un periodo della vita nel confronto del quale le persone fanno
più facilmente occhio grosso alle loro trasgressioni; spesso il senso comune
mitiga e tollera i comportamenti "spensierati" dei giovani. Ma diventa una
età a rischio di assunzione dell’identità deviante visto che essi si trovano in
una fase, da una parte, molto instabile e allo stesso tempo di importanti passi
verso la formazione dell’identità e della personalità, dall’altra. Le statistiche
del consumo di droga nelle discoteche ci dimostrano come esso è un
comportamento riscontrabile piuttosto tra i giovani e per niente tra le persone
adulte e meno ancora tra quelli della terza età.
2.5. Psicologia sociale
Se, da una parte, le variabili strutturali come lo status sociale, l’appartenenza
culturale, il sesso e l’età possono spiegare le condizioni e le occasioni per
deviare, certamente non possono spiegare le variabili culturali collegate alla
libertà personale dei soggetti che volutamente vogliono deviare. Molte
persone deviano intenzionalmente, cioè perché possono e vogliono farlo. Ed
è la psicologia sociale che meglio riesce ad spiegare quest’ultimo aspetto,
che è piuttosto collegato alla predisposizione e alla libertà personale. Per
spiegare la componente culturale prendiamo in considerazione due variabili:
la socializzazione e la formazione dell’auto concetto.
La socializzazione
Per socializzazione - tout court - si intende il processo attraverso il quale le
norme, i valori e le conoscenze di una società sono trasmesse ai nuovi
membri. Attraverso la socializzazione sono interiorizzate le norme e imparati
i comportamenti e gli atteggiamenti di conformità verso di esse. Buona parte
delle risposte alla domanda "chi diventa deviante" riesce a trovare la risposta
nella mancata socializzazione o nella socializzazione di atteggiamenti, valori,
norme e credenze all’interno di una subcultura alternativa.
La conformità e il consenso sono i risultati principali della interiorizzazione
della norma. Questo "sostegno della conformità", come afferma T. Hirshi,
proviene dall’attaccamento alle persone e alle istituzioni e costituisce la
principale garanzia contro la devianza: attaccamento ai genitori, alla scuola,
il consenso alle convenzioni alla norma e ai valori condivisi. La mancanza
dell’attaccamento è correlato alla devianza. Senza il sostegno della
conformità la porta è aperta alla devianza.
Altri deviano non per le ragioni appena descritte, cioè il mancato
attaccamento alle persone e ai valori, ma perché sono stati socializzati
all’interno di culture devianti che sostengono la devianza: il gruppo dei pari,
le bande, i territori problematici e socialmente disorganizzati. La
socializzazione alternativa include spesso non solo l’apprendimento delle
norme ma anche dei valori, degli stili di vita, degli atteggiamenti e delle
tecniche. E tutto viene rinforzato dalle credenze che si imparano e si vedono
in giro: se gli spacciatori fanno un sacco di soldi non devono essere tutti
cattivi; se tutti fumano la marijuana non sarà mica cosa sbagliata; se tanti non
obliterano il ticket dell’autobus lo posso fare anch’io...
È attraverso il processo di socializzazione che la devianza viene imparata
come una opzione di vantaggio e una via preferibile alla conformità.
L’auto concetto
Il concetto di sé riguarda la personale conoscenza di sé, l’identificazione e la
valutazione di sé. È chiaramente una delle variabili che distinguono tra il
deviante e il non deviante: il primo ha spesso coscienza della diversità del
comportamento, della scelta che ha fatto, e della carriera che ha scelto. È la
coscienza di agire e talvolta di essere "al di fuori" della normalità (outsiders).
E quelli che si sentono soggettivamente outsiders facilmente diventano
effettivamente outsiders.
Il sentirsi un outsider dipende piuttosto dal processo di etichettamento. Il
primo incontro con la giustizia può essere un forte condizionante
dell’assunzione di un auto-concetto "deviante". Il ragazzo che viene arrestato
la prima volta perché ha rubato un oggetto al supermercato viene etichettato
subito dal poliziotto come criminale, deviante o "marginale". La valutazione
degli altri sul loro comportamento può venire a far parte della propria identità
a partire del momento in cui egli soggettivamente assume l’etichetta e quindi
uno status che gli viene attribuito.
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