Moneta ed Economia Reale - Università degli studi di Pavia

annuncio pubblicitario
Nicolò De Vecchi
MONETA ED ECONOMIA REALE
(con un’appendice sull’economia aperta)
DISPENSA DEL CORSO DI MACROECONOMIA
Facoltà di Economia
Università di Pavia
ANNO ACCADEMICO 2008-2009
Questa dispensa non è soggetta
a diritti d’autore o di edizione
Un particolare ringraziamento va rivolto agli studenti Elena Giardini del
Corso di Laurea Specialistica in Economia e Gestione delle Imprese e
Roberto Perduca del Corso di Laurea Specialistica Interfacoltà con
Ingegneria in Management e Tecnologie dell’e-Business, per essersi
impegnati, del tutto disinteressatamente, a migliorare la lettura di grafici e
formule in questa edizione rispetto alle precedenti.
INDICE
1 – INTRODUZIONE
1
2 – IDENTITÀ DEGLI SCAMBI, TEOREMA DEGLI SCAMBI E TEORIE
DELLA MONETA
7
2.1 L’identità degli scambi
7
2.2 Il teorema degli scambi
8
2.3 Teorie quantitative e teorie non quantitative
8
2.4 Prezzi assoluti e prezzi relativi
3 – TEORIE NEOCLASSICHE DELLA MONETA
3.1 Il meccanismo di trasmissione diretto: la teoria di Pigou
10
12
12
3.2 Una premessa alle teorie neoclassiche della moneta con meccanismo indiretto di
trasmissione: la determinazione del saggio di interesse secondo gli economisti neoclassici
16
3.3 Il meccanismo di trasmissione indiretto: la teoria di Wicksell
26
I
4 – KEYNES: L’ECONOMIA CAPITALISTICA COME ECONOMIA
MONETARIA
32
4.1 Keynes di fronte alla dicotomia neoclassica
32
4.2 Domanda di moneta e saggio di interesse
34
4.3 Il mercato dei titoli e la speculazione
37
4.4 La domanda di moneta a scopo finanziario
41
4.5 Gli effetti di una espansione della quantità di moneta
41
4.6 Gli effetti di una riduzione della quantità di moneta
47
4.7 Moneta, mercato del lavoro e livello generale dei prezzi
48
5 – LA TEORIA NEONEOCLASSICA DELLA MONETA
51
5.1 I saldi reali di cassa e la domanda di moneta
51
5.2 Il meccanismo diretto di trasmissione e gli effetti di una variazione di quantità di moneta
54
5.3 Il meccanismo di trasmissione indiretto e gli effetti della variazione della quantità di
moneta: lo schema IS − LM
II
56
6 – I NEOKEYNESIANI
6.1 La New Economics
63
63
6.2 La prima fase dell’economia neokeynesiana: gli interventi di politica economica per
raggiungere l’equilibrio di piena occupazione
64
6.3 Il compromesso con i neoneoclassici (e i monetaristi)
68
6.4 La seconda fase dell’economia neokeynesiana: il problema dell’inflazione e i nuovi
strumenti di analisi
7 – I MONETARISTI
69
78
7.1 La prima fase: la contrapposizione con i neokeynesiani sulla base dello schema
IS − LM
78
7.2 La seconda fase del monetarismo: l’accettazione dello schema AS − AD
e della curva di Phillips
91
7.3 Gli effetti della politica monetaria espansiva mediante la funzione
di Samuelson – Solow – Friedman
98
7.4 Gli effetti della politica fiscale espansiva mediante la funzione
di Samuelson – Solow – Friedman
102
7.5 Gli effetti della politica monetaria restrittiva (disinflazionistica) mediante la funzione
di Samuelson – Solow – Friedman
103
III
8 – LA NUOVA MACROECONOMIA CLASSICA
106
8.1 Le premesse fondamentali
106
8.2 La funzione AS di Lucas
107
8.3 Le aspettative razionali alla Lucas
108
8.4 La funzione AD e il significato di
( p − p ) nella funzione AS di Lucas
t
e
t
8.5 Il giudizio sulla politica economica da parte dei Nuovi Macroeconomisti Classici
APPENDICE: L’ECONOMIA APERTA
1 – La bilancia dei pagamenti
110
114
119
119
1.1 Le sezioni della bilancia dei pagamenti
119
1.2 Il moltiplicatore di mercato aperto
120
1.3 Se il saldo BPC < 0 , esistono meccanismi automatici per ristabilire il pareggio?
122
1.4 Il problema di un riequilibrio della BPC dopo che si è creata la situazione BPC<0
125
2 – Il sistema aperto e gli effetti della politica monetaria e fiscale
127
2.1 Il modello di riferimento
127
2.2 Il caso dei cambi fissi
128
2.3 Il caso dei cambi flessibili
134
IV
1 – INTRODUZIONE
1.1
Per capire la natura e le funzioni della moneta in un sistema economico
non prendiamo in considerazione lo scambio di una merce (o di una
prestazione produttiva) contro un’altra merce, come tradizionalmente si fa; non
consideriamo cioè come atto fondamentale di scambio il baratto. In
un’economia di scambio, l’atto di scambio tipico è quello tra una merce (o una
prestazione
produttiva)
contro
una
promessa
di
pagamento
fornita
dall’individuo acquirente all’individuo venditore.
Ogni atto di scambio di questo genere fa nascere un debito. In altri
termini, i beni sono acquistati a credito e ogni transazione verrà prima o poi
completata da un pagamento finale in termini di merci. Se il pagamento finale
potesse essere continuamente rinviato da una nuova promessa e non avesse di
fatto mai luogo, il compratore godrebbe di un privilegio di signoraggio nei
confronti del venditore. Questa però non potrebbe essere la pratica normale in
una società fondata sulle decisioni individuali: di fatto, ad ogni contratto segue
sempre, prima o poi, un pagamento finale in termini di beni.
Il sistema economico che stiamo considerando rimane comunque
un’economia di baratto: non possiamo cioè dire che circola moneta. Ogni
scambio è un atto tra due individui, indipendente da qualsiasi atto di scambio,
fondato sulla fiducia (o se si preferisce sul “credito”) che quel particolare
venditore sta dando a quel particolare acquirente in quel particolare momento.
Si tratta di un rapporto di fiducia (o di credito personale) perché ogni venditore
ha fiducia nel fatto che il pagamento avrà prima o poi luogo in termini di merci:
l’acquirente non può differire nel tempo il pagamento finale in termini di merci.
1.2
Continuiamo a considerare la situazione precedente, ma aggiungiamo
l’ipotesi che l’oggetto la cui consegna scioglie definitivamente il debitore dai
suoi obblighi contrattuali non debba essere una merce, ma sia già la promessa
di pagamento stessa. In altri termini, il venditore non si attende nessuna
1
corresponsione di una qualche merce in un qualche istante futuro da parte
dell’acquirente. Egli scioglie immediatamente l’acquirente dal debito ricevendo
una promessa di pagamento, in virtù del fatto che, per consuetudine o per
accordo, tutti gli individui operano degli scambi stipulando contratti di vendita
di merci contro promesse di pagamento, che sono accettate da tutti gli altri.
Accade ora non solo che il compratore che cede questa promessa di pagamento
è definitivamente sciolto da ogni obbligo nei confronti di chi gli ha venduto una
merce, ma anche che il venditore può impiegare la promessa di pagamento
ricevuta per acquistare merci da qualsiasi altro individuo.
In questo senso possiamo affermare che è introdotta la moneta: essa è la
promessa di pagamento “universalmente” accettata ed assolve specifiche
funzioni. Eppure l’economia in questione resta un’economia di baratto.
Vediamo perché è possibile fare ambedue queste affermazioni, apparentemente
contraddittorie.
Riguardo alla prima affermazione:
♦ la moneta introdotta ha funzione di mezzo di pagamento, in quanto la
sua cessione scioglie da qualsiasi obbligo contrattuale assunto;
♦ accade che è conveniente per l’individuo trattenere scorte in moneta
allo scopo di far fronte a difficoltà di pagamento connesse alle diverse
scadenze dei contratti di credito e debito che ha stipulato. Dunque la
moneta assume anche la funzione di fondo di valore.
Riguardo alla seconda affermazione, stiamo sempre considerando
un’economia di baratto, poiché non esiste alcun motivo di impiegare la moneta
altrimenti che come mezzo di pagamento. In altri termini, fatte salve le necessità
di cassa di cui si è detto, ogni venditore accetterà la moneta per impiegarla a
sua volta nell’acquisto delle merci che desidera e che il suo compratore diretto
non è in grado di fornirgli.
Possiamo quindi concludere che:
♦ nel sistema economico che stiamo considerando circola moneta;
♦ tuttavia la moneta è accettata unicamente per essere spesa. Essa può
essere trattenuta ma non svolge alcuna funzione autonoma rispetto alle
merci: semplicemente, facilita gli scambi, ma ogni individuo entra in
2
relazione di scambio con gli altri e accetta moneta solo per spenderla
nell’acquisto di una merce diversa da quella che possiede. In ultima
istanza, ciò che conta per l’individuo è un baratto.
Potremmo riassumere quanto sopra affermando che nel sistema
economico in questione vale la relazione M – D – M (merce – denaro – merce).
Alcune delle teorie della moneta che incontreremo nel nostro breve
percorso intendono la moneta in questa accezione. Sembrerà strano, ma la
maggior parte delle teorie economiche della moneta formulate dagli economisti
dal ‘700 ai giorni nostri si fermano a questo livello di considerazione della
natura e delle funzioni della moneta.
1.3
Per passare da un’economia di baratto ad un’economia monetaria vera e
propria è necessario introdurre un elemento supplementare. Nel sistema
economico fin qui considerato nessun compratore è obbligato a far fronte ai
propri impegni mediante la cessione di ciò che funge da moneta, così come
nessun venditore è obbligato ad accettare in pagamento ciò che funge da
moneta e liberare così il compratore da ogni debito nei suoi confronti. Affinché
ci sia questo obbligo in un’economia individualistica (basata cioè sulle decisioni
individuali di produzione, scambio, consumo, ecc.) è necessaria la presenza di
un ente sovraindividuale (ad esempio una autorità statale), al quale ogni
individuo riconosca un duplice diritto:
1. il diritto
o di obbligare ogni compratore a consegnare al venditore la
promessa di pagamento che lo Stato stesso designa come moneta,
per ritenersi sciolto dal debito e
o di obbligare ogni venditore ad accettare in pagamento ciò che lo
Stato stesso ha designato come moneta (lo Stato funge qui da
autorità legale che assicura il rispetto dei contratti);
3
2. il diritto di designare ciò che funge da moneta e il diritto di variare
questa dichiarazione nel tempo. Ciò significa che la moneta è
unicamente costituita da promesse di pagamento fornite dallo Stato,
ossia che è lo Stato a decidere l’unità in termini della quella sono
stipulati i contratti. Ne segue che tutti gli individui effettueranno le
loro valutazioni sempre ed obbligatoriamente in termini di quella
unità. La moneta funge qui da unità di conto, ossia da “metro” comune
a tutti nei reciproci rapporti. Accade però che l’unità di conto rimane
invariata
solo
nominalmente;
ciò
significa
che
gli
individui
continueranno a trattare in termini di “Euro” (oro, dollari, ecc.).
tuttavia il valore della moneta, ossia ciò che essi riescono ad acquistare
in termini di merci con una unità di moneta, varia nel tempo e varia
non soltanto in funzione delle valutazioni individuali delle merci e dei
servizi, ma anche in funzione di una dichiarazione dello Stato.
Lo Stato insomma ha quel diritto di signoraggio che, come abbiamo visto,
deve essere negato all’individuo singolo in una società fondata sulle decisioni
individuali. Ogni individuo accetta in pagamento soltanto promesse di
pagamento fornite dallo Stato: accettandole dal suo debitore individuale
diventa di fatto creditore dello Stato, il quale però non ha alcun obbligo di
fornirgli merci, di nessun tipo, in nessun istante. Proprio perché lo Stato gode di
questa posizione di signoraggio, è anche in grado di far variare l’entità reale del
suo debito nei confronti della collettività, per esempio variando l’emissione di
moneta.
In definitiva, lo Stato e una moneta dal valore mutevole sono un tutt’uno
in una società individualistica: non si può fare a meno dell’uno e
conseguentemente neppure dell’altra. Viceversa, una moneta che non riscuote
più fiducia è il primo e sicuro sintomo di un’autorità statale destinata ad
annullarsi.
Riassumendo, possiamo affermare che:
1. la moneta ha essenzialmente la funzione di unità di conto ed è moneta
legale: è promessa di pagamento con potere liberatorio sancito dallo
Stato;
2. la moneta legale è sempre moneta segno: cosa debba fungere da
moneta (un segno o un materiale con proprio valore intrinseco) è
4
indifferente. Una moneta–oro non differisce, in quanto unità di conto
con potere liberatorio, da una moneta carta. Sarebbe semplicemente
una promessa di pagamento fornita dallo Stato, stampata su oro
anziché su carta, come afferma uno dei massimi teorici della moneta
(J.A. Schumpeter). Ciò che conta affinché qualcosa sia moneta e abbia
“valore” di moneta non è il materiale di cui è costituita, ma la
dichiarazione dello Stato;
3. la moneta è l’unica “cosa” che, a differenza di qualsiasi merce, è
trasformabile in qualunque momento in ciò di cui si ha bisogno. É
liquidità in senso proprio, o equivalente generale del valore, ossia
l’unica “cosa” che, per ragioni sancite dalla legge, è in grado di
trasformarsi sempre ed ovunque in qualsiasi merce.
Ecco perché la moneta è desiderata e trattenuta: essa non viene trattenuta
da ogni individuo soltanto perché questi ha un vincolo continuo di liquidità,
ossia deve essere in grado, ad ogni scadenza, di estinguere ogni debito con la
moneta. Essa è anche desiderata “per sé”, fino al punto che, da mezzo per
raggiungere un fine, diventa fine essa stessa (la moneta come feticcio). Si
desiderano i beni che con essa si possono acquistare, ma si desidera anche ciò
che li rappresenta in astratto, la moneta appunto, perché solo chi possiede
moneta può in ogni istante ed in ogni luogo ottenere ogni bene. Chi possiede
beni (o titoli rappresentativi di beni) e ne vuole altri, deve prima convertire quei
beni (o quei titoli) in moneta, e poi procedere ai suoi acquisti.
La moneta è liquidità, nel senso che è simultaneamente mezzo di
pagamento e forma patrimoniale. Nessuna altra forma patrimoniale (merce,
titolo rappresentativo di merci, attività finanziaria) è immediatamente anche
mezzo di pagamento. Possiamo esprimere lo stesso concetto affermando che la
moneta ha anche la funzione di fondo di valore, ma con un nuovo significato
rispetto al caso esaminato nel paragrafo 1.2 (là la moneta era trattenuta
semplicemente per far fronte alla discontinuità tra incassi ed esborsi). Proprio
perché la moneta è desiderata per sé, accade che la rinuncia alla moneta, ossia
alla liquidità, abbia un prezzo: il saggio di interesse.
In definitiva, la funzione di unità di conto sancita dalla legge comporta il
passaggio da un’economia di baratto ad una “economia monetaria” in senso
proprio, e dà un nuovo significato alla funzione di fondo di valore. Potremmo
riassumere affermando che nel sistema economico in questione vale la relazione
5
D – M – D’ (denaro – merce – denaro). Alcune delle teorie della moneta
elaborate dagli economisti in più di due secoli considerano la moneta in questi
termini: sono un’assoluta minoranza.
1.4
Dopo aver individuato le funzioni della moneta (nell’ordine: unità di
conto o equivalente generale del valore, mezzo di pagamento, fondo di valore),
il nostro problema consisterà nello stabilire:
1. se la presenza della moneta influenzi le decisioni di produzione, la
distribuzione del reddito, i prezzi relativi, il livello di occupazione, ecc.
In questo senso ci occupiamo di moneta ed economia reale;
2. se la moneta sia semplicemente un termine medio che facilita i
pagamenti, senza esercitare nessuna influenza duratura sui fenomeni
reali dell’economia.
Le teorie economiche possono essere distinte in base alla risposta che
danno a questa domanda. Strettamente connesse alla risposta sono le
indicazioni di politica economica che vengono fornite dagli economisti.
6
2 – IDENTITÀ DEGLI SCAMBI, TEOREMA DEGLI SCAMBI E TEORIE
DELLA MONETA
2.1 L’IDENTITÀ DEGLI SCAMBI
Per affrontare il problema degli effetti della presenza della moneta sui
fenomeni reali dell’economia, dobbiamo considerare una relazione che sta alla
base di qualsiasi teoria della moneta. Si tratta della identità degli scambi (o
identità di Fisher, dal nome dell’economista che, ai primi del ‘900, l’ha espressa
in modo definitivo):
MV ≡ PT
(1)
identità degli scambi
La (1) afferma che il valore totale degli scambi (PT ) in un dato periodo
equivale alla moneta disponibile per gli stessi, tenuto conto della sua velocità di
circolazione (MV ) . I simboli hanno il seguente significato:
♦ T è il numero di transazioni effettuate nel periodo considerato;
♦ P è il livello generale dei prezzi, inteso come prezzo medio di ogni
transazione;
♦ M è il numero di unità monetarie disponibili nel periodo stesso per gli
scambi;
♦ V è la velocità di circolazione, ovvero il numero di volte che una stessa
unità monetaria viene utilizzata nell’acquisto di beni finali di consumo
nel periodo considerato.
Si nota immediatamente che l’identità degli scambi mette in relazione tra
loro la sfera reale dell’economia (PT ) e la sfera monetaria (MV ) . In quanto
identità, l’espressione afferma semplicemente che le quattro variabili debbono
sempre comportarsi in modo da rispettare il vincolo imposto.
Aggiungiamo infine che la (1) può essere espressa così:
(2)
MV ≡ PY
oppure
7
(3)
MV ≡ PR
dove Y è il reddito nazionale e R la ricchezza. Si ipotizza che nel periodo
considerato esista una relazione costante tra il reddito Y , la ricchezza R e il
volume delle transazioni T . Ovviamente, muta il significato di P : nella (2) P
esprime il prezzo di ogni paniere di merci che costituisce il prodotto sociale,
mentre nella (3) esprime il prezzo medio delle attività patrimoniali.
2.2 IL TEOREMA DEGLI SCAMBI
L’identità degli scambi regge il teorema degli scambi, la cui espressione è
identica a quella che designa l’identità degli scambi, ma il significato muta:
(4)
MV = PT
teorema degli scambi
Siamo di fronte ad un teorema, poiché affermiamo che una variazione in
una qualsiasi delle variabili provocherà variazioni in una o più delle altre
variabili, tale da ristabilire l’uguaglianza.
Notiamo che:
1. il teorema degli scambi sta alla base di ogni teoria della moneta: esso è
accettato da qualsiasi teorico;
2. si afferma che formuliamo una “teoria della moneta”, quando non ci
limitiamo a constatare ciò che il teorema afferma, ma esprimiamo una
“spiegazione” degli effetti che i cambiamenti di una qualsiasi delle
quattro variabili generano su tutte le altre, affinché si ristabilisca
l’eguaglianza.
In altri termini, una teoria della moneta si differenzia dalle altre teorie per
le ipotesi di comportamento che formula relativamente ad ognuna delle quattro
variabili comprese nell’identità degli scambi.
2.3 TEORIE QUANTITATIVE E TEORIE NON QUANTITATIVE
Possiamo introdurre a questo punto un’utile classificazione di base tra le
molteplici possibili teorie della moneta (tante quante sono le ipotesi di
8
comportamento per ognuna delle quattro variabili che si è in grado di
formulare). Distinguiamo cioè teorie “quantitative” della moneta e teorie “non
quantitative”.
Si dice che una teoria della moneta è quantitativa quando si introducono
delle ipotesi di comportamento per ognuna delle quattro variabili del teorema
degli scambi, tali che, almeno nel lungo periodo, vale quanto segue:
⎧ PT = M V
⎨
⎩ P = P (M )
(5)
Ciò significa che una teoria quantitativa poggia sulle seguenti ipotesi di
comportamento:
1. una relativa al volume delle transazioni T , tale che, almeno nel lungo
periodo, non cambia al variare di M e di P ;
2. una relativa alla velocità di circolazione della moneta V , tale che,
almeno nel lungo periodo, non cambia al variare di M e di P ;
3. una, tale per cui variazioni esogene di M provocano variazioni di P
nello stesso senso e della stessa intensità, affinché sia ristabilita
l’eguaglianza MV = PT .
Dunque non esiste una sola teoria quantitativa, ma ne esistono tante in
relazione a:
1. le ipotesi di comportamento che vengono formulate per spiegare la
costanza di T (o di Y o di R , se si utilizzano le altre due espressioni);
2. le ipotesi di comportamento che vengono formulate per spiegare la
costanza di V ;
3. le ipotesi circa il legame funzionale tra M e P .
Possiamo distinguere fin da ora due grandi classi di teorie quantitative
(ma la distinzione vale per le teorie della moneta in generale), a seconda che il
legame funzionale fra M e P sia diretto o mediato da variazioni del saggio di
interesse:
9
1. nel primo caso si parla di meccanismo di trasmissione diretto (le
variazioni di M si traducono in variazioni di P senza mediazioni);
2. nel secondo caso si parla di meccanismo di trasmissione indiretto (le
variazioni di M si traducono in variazioni di P tramite variazioni del
saggio di interesse monetario, dove, a sua volta, quest’ultimo può
essere inteso come il prezzo del credito o il prezzo per la cessione della
liquidità).
2.4 PREZZI ASSOLUTI E PREZZI RELATIVI
Prima di analizzare alcune teorie della moneta dobbiamo mettere in
evidenza un limite di validità delle teorie quantitative, enunciato già nel ‘700 da
Cantillon.
Come abbiamo visto per una teoria quantitativa della moneta, vale un
legame funzionale tra la quantità di moneta disponibile per gli scambi (M ) e il
livello generale dei prezzi (P ) , posto che V e T (o Y o R ) non variano. Ci
chiediamo: quando siamo autorizzati ad ipotizzare che al variare di M varia il
livello generale dei prezzi, ma non i prezzi relativi delle merci? In altri termini,
a quali condizioni i prezzi delle merci variano tutti proporzionalmente al
variare di M ? Cantillon giunge alle seguenti conclusioni:
1. se e soltanto se la nuova moneta immessa nel sistema economico si
distribuisce fra tutti gli individui in modo da lasciare inalterata la
precedente
ripartizione
della
moneta,
allora
tutti
i
prezzi
aumenteranno proporzionalmente; in tal caso l’espansione monetaria
fa crescere il livello dei prezzi e vale la teoria quantitativa (ipotesi tacita
della teoria quantitativa);
10
2. se invece la nuova moneta è destinata solo ad alcuni individui oppure,
più in generale, viene ripartita nella collettività in modo non
proporzionale alla ripartizione della moneta già disponibile, succede
che:
o muta la composizione del reddito speso: alcuni individui hanno
più moneta di quella che avevano in precedenza e altri no, di
conseguenza le merci che essi domandano sono destinate ad
aumentare di prezzo relativamente alle merci richieste dagli altri.
In altri termini, mutano i prezzi relativi delle merci;
o muta di conseguenza la composizione del reddito Y prodotto,
perché i vari settori produttivi vengono attivati in modo diverso;
o muta anche la distribuzione del reddito, posto che in ogni settore
è diversa la partecipazione di capitalisti e lavoratori alla
produzione. Se alcuni settori risultano attivati più di altri,
muteranno la quota dei profitti e la quota dei salari sul prodotto
complessivo.
Dunque, in generale, una variazione della quantità di moneta non genera
una variazione nello stesso senso e della stessa intensità nel livello dei prezzi,
ma ha effetti sulla composizione della spesa, sulla composizione della
produzione (ossia attiva i settori produttivi in modo diverso), sui prezzi relativi
delle merci e sul reddito distribuito.
11
3 – TEORIE NEOCLASSICHE DELLA MONETA
3.1 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE DIRETTO: LA TEORIA DI PIGOU
Tra le molteplici teorie neoclassiche della moneta che mettono in risalto il
meccanismo diretto di trasmissione consideriamo quella di Pigou, detta anche
teoria di Cambridge. Essa è di particolare importanza come esempio di
trattazione neoclassica della moneta, ma anche per gli sviluppi cui diede luogo
in seguito.
Pigou attribuisce alla moneta la funzione di mezzo di pagamento e di
fondo di valore, ma con un particolare significato. Egli parte dalla constatazione
che la ricchezza di un individuo assume varie forme, tra le quali vi è anche la
forma monetaria: l’individuo trattiene moneta per garantirsi contro necessità
improvvise di liquidità, derivanti ad esempio dalle diverse scadenze temporali
dei pagamenti. Pigou aggiunge che l’individuo detiene in forma liquida una
porzione costante della propria ricchezza complessiva.
Se passiamo dalla considerazione del comportamento individuale alla
collettività come somma di individui, aggregando le ricchezze individuali,
possiamo designare con il simbolo R la ricchezza complessiva: questa
comprende ogni forma possibile, denaro, terreni, immobili. In base alle ipotesi
di comportamento introdotte sopra, possiamo affermare che kPR è la porzione
di ricchezza che la collettività desidera detenere in forma liquida, dove R è la
ricchezza in termini reali, moltiplicata per P che rappresenta il prezzo
dell’unità patrimoniale. Ne segue quindi che la domanda di moneta nel sistema
economico è pari a
(1)
L = kPR
Ci chiediamo ora da cosa dipende esattamente la quota di ricchezza che
l’individuo (e di conseguenza la collettività come somma di individui) detiene
in forma liquida. In altri termini, ci chiediamo da che cosa dipende k . Secondo
Pigou, k dipende fondamentalmente dal saggio di interesse (in relazione
inversa); nella teoria neoclassica (vedi il paragrafo 3.2) il saggio di interesse è
determinato nella sfera reale dell’economia (ossia è grandezza reale), in quanto
corrisponde sia alla produttività marginale del fattore di produzione capitale
(l’incremento del prodotto che si ottiene con un incremento del capitale), sia al
12
compenso per la rinuncia al consumo attuale a favore del consumo futuro
(significato di risparmio nell’ottica neoclassica).
Essendo quindi
(2)
k = k (i )
dove 0 < k < 1
la funzione di domanda di moneta può essere scritta come
(3)
L = k (i )PR
Se ora consideriamo l’offerta di moneta esogena M , si avrà equilibrio
monetario (cioè L = M ) quando
(4)
M = k (i )PR
In particolare, una variazione di M dovrà generare una variazione nello
stesso senso e proporzione in P , in quanto R e k sono determinati nella sfera
reale e dunque non mutano al variare di M . Essendo quindi P = P(M )
possiamo concludere che la teoria di Pigou è un esempio di teoria quantitativa
della moneta:
(5)
⎧M = k (i )PR
⎨
⎩ P = P (M )
Prima di verificare questa affermazione, constatiamo che la formulazione
di Pigou della teoria quantitativa equivale a quella che abbiamo impiegato nel
capitolo 2, seguendo la più comune formulazione di Fisher. Contrapponendo le
due formulazioni:
(6)
Pigou:
M = k PR
(7)
Fisher:
M V = PT = PY = PR
Come già detto, di norma si assume che nel breve periodo esista una
relazione costante tra R , Y (reddito in termini reali) e T . Quindi la
formulazione di Pigou può essere riscritta così:
(8)
M = kPT
o anche
13
(9)
M
1
= PT
k
Confrontando ora la formula così ottenuta con quella di Fisher,
constatiamo che k non è altro che l’inverso di V , ovvero
(10)
1
=V
k
Ciò era da attendersi, visto che V tiene conto della circolazione delle unità
di moneta, mentre k considera le unità di moneta nel loro permanere presso gli
individui, senza circolare.
Possiamo ora dare una rappresentazione grafica del mercato della moneta
nella teoria di Pigou e mostrare il meccanismo di trasmissione diretto che egli
propone.
Considerando la formula (1) e spostando P al primo membro possiamo
riscrivere la domanda di moneta come
(11)
L
1
= kR
P
mentre l’offerta di moneta è esogena, quindi
(12)
M = MS
Per quanto detto in precedenza riguardo a R e a k , la funzione della
domanda di moneta è sicuramente un’iperbole equilatera, cioè il luogo dei
punti in cui il prodotto di ascissa per ordinata è costante. Le variabili sono L e
1
, cioè il valore dell’unità monetaria, ossia quanto si ottiene in termini di
P
merci. Il mercato della moneta può quindi essere rappresentato così:
14
1
P
1
P1
E
L
MS
L, M
Il punto di intersezione E indica il valore della moneta di equilibrio,
ovvero il suo potere d’acquisto (l’inverso del livello generale dei prezzi).
Chiediamoci ora in che modo, secondo Pigou, un aumento della quantità
di moneta offerta si traduce in un aumento del livello generale dei prezzi
(meccanismo di trasmissione diretto). Supponiamo che vi sia una espansione
monetaria (ad esempio che raddoppi l’offerta M ): ciò implica una maggiore
disponibilità di moneta a quel livello dei prezzi. Ogni individuo, quindi, si
trova a detenere una scorta di moneta eccessiva rispetto all’ammontare delle
altre forme in cui detiene ricchezza. In sostanza, il k è troppo alto rispetto a
quello di equilibrio: essendo stata alterata la composizione del portafoglio che
ogni individuo giudicava di equilibrio, ognuno spende la moneta in eccesso per
acquistare altre forme di ricchezza, al fine di ristabilire la composizione del
portafoglio. Tuttavia, siccome il sistema neoclassico prevede che in situazione
di equilibrio vi sia piena utilizzazione dei fattori produttivi, compreso anche il
lavoro, non si può ottenere nessun cambiamento nella produzione dei beni ed i
prezzi di tutte le merci devono aumentare fino ad un livello tale da assorbire
tutta la moneta in eccesso. In conclusione, tutti i prezzi crescono in maniera
proporzionale all’aumento della moneta, quindi il valore della moneta si riduce
proporzionalmente.
15
1
P
1
P1
E’
1
2 P1
E’’
M
2M
L
L, M
In conclusione: la teoria della moneta di Pigou è una teoria quantitativa;
egli sottolinea il legame tra M e P , in assenza di variazioni di V (o di k ) e di
Y . Sfera reale e sfera monetaria sono nettamente distinte, vi è cioè dicotomia tra
esse e qualsiasi politica di espansione o restrizione monetaria si risolve in
instabilità dei prezzi. Il processo è reversibile e vale in senso opposto; non vi è
nessuna efficacia sul mondo (sfera) reale, positiva o negativa.
3.2 UNA PREMESSA ALLE TEORIE NEOCLASSICHE DELLA MONETA CON
MECCANISMO INDIRETTO DI TRASMISSIONE: LA DETERMINAZIONE DEL
SAGGIO DI INTERESSE SECONDO GLI ECONOMISTI NEOCLASSICI
Alcune teorie neoclassiche della moneta impiegano il meccanismo
indiretto di trasmissione, fanno cioè riferimento al saggio di interesse. Salvo
eccezioni, per la teoria neoclassica il saggio di interesse è il prezzo per l’uso del
capitale, dove il capitale è grandezza reale. Infatti si definisce il capitale come il
complesso delle merci non destinate al consumo attuale, ma risparmiate ed
utilizzate come mezzi di produzione per altre merci, che saranno disponibili per
il consumo in un istante futuro (beni intermedi). Si possono costruire una
funzione di domanda e una funzione di offerta di capitale per il sistema
economico; esse sono ottenute aggregando le funzioni di domanda e di offerta
dei singoli individui, i quali agiscono in base al principio di massimizzazione
(razionalità neoclassica).
16
Come si constata dalla definizione di capitale, la determinazione del
saggio di interesse deriva da scelte compiute in un dato istante t0 con
riferimento ad almeno due diversi istanti: lo stesso istante t0 attuale e l’istante
t1 futuro, considerando in questo modo la nozione di passaggio del tempo. Due
sono gli atti di scelta tra presente e futuro che ci interessano per costruire le
funzioni di domanda e di offerta (individuali ed aggregate) di capitale:
1. l’atto di scelta del produttore, il quale in t0 sceglie tra produrre beni
per il consumo presente (per l’istante stesso t0 ) oppure beni intermedi
in base ai quali ottenere beni di consumo per l’istante futuro t1 . Di qui
si
trae
la
funzione
di
domanda
del
capitale,
o
funzione
dell’investimento;
2. l’atto di scelta del consumatore, il quale in t0 sceglie tra consumare
beni al tempo presente t0 oppure astenersi dal consumo, risparmiare e
rinviare quindi il consumo al tempo futuro t1 . Di qui si trae la funzione
di offerta di capitale, o funzione del risparmio.
Procediamo seguendo 5 passaggi:
1. consideriamo separatamente l’equilibrio del produttore nella sua scelta
intertemporale;
2. consideriamo separatamente l’equilibrio del consumatore nella sua
scelta intertemporale;
3. consideriamo poi l’equilibrio simultaneo del produttore e del
consumatore;
4. costruiamo quindi le funzioni di risparmio e di investimento;
5. definiamo infine il mercato del capitale (o dei beni) e determiniamo il
saggio di interesse.
3.2.1
Scelta intertemporale di produzione
L’individuo produttore ha la scelta tra produzione per il consumo
presente e produzione di beni intermedi o beni capitali da destinare alla
17
produzione
di
beni
per
il
consumo
futuro;
questa
scelta
equivale
concettualmente a quella tra due beni distinti.
Consideriamo un individuo che possiede una data dotazione di risorse per
ogni periodo produttivo ed un dato tempo disponibile per la produzione per
ogni periodo produttivo; è data anche la tecnica e questa situazione rimane
immutata nel tempo considerato. In ogni istante temporale il produttore può
produrre beni che soddisfano il consumo per ammontare massimo uguale a C .
Consideriamo i due istanti temporali t0 e t1 e supponiamo che l’individuo
utilizzi tutte le risorse di cui dispone in ognuno di essi per produrre beni
destinati al consumo immediato; possiamo indicare con C sull’asse delle
ascisse e delle ordinate la produzione istante per istante. C insomma
rappresenta la massima produzione possibile di beni destinati al consumo in
ogni istante, qualora tutte le risorse e tutto il tempo disponibili in quell’istante
(e soltanto questi) siano impiegati nella produzione di beni di consumo.
C1 (t1 )
B
C
C
C0 (t0 )
Il punto B di coordinate (C , C ) rappresenta la situazione del produttore
che decide di impiegare risorse e tempo di lavoro disponibili in ogni istante per
produrre beni di consumo per quello stesso istante.
18
Consideriamo ora l’istante t0 (è questo il momento in cui avviene la scelta
intertemporale): anziché utilizzare tutte le risorse (e tutto il tempo di lavoro) per
produrre beni destinati al consumo in t0 l’individuo può dedicare parte del
tempo e delle risorse a produrre oggi beni strumentali, con i quali potrà poi
produrre beni di consumo nell’istante t1 in aggiunta a quelli producibili con le
risorse ed il tempo disponibili per quell’istante. Si dice che in questo caso egli
compie un atto di investimento: nella teoria neoclassica investire significa
produrre non per il consumo di oggi ma per il consumo futuro.
In t0 l’individuo si trova dunque di fronte ad un problema di scelta: quante
risorse e quanto tempo destinare alla produzione di beni di consumo
disponibili al tempo t0 e quanto invece destinare alla produzione di beni di
consumo disponibili al tempo t1 . Egli seguirà il principio della massimizzazione
dei profitti, ricordando che nella teoria neoclassica la produzione ha luogo con
rendimenti marginali decrescenti. A parità di lavoro, per ogni incremento
nell’utilizzazione dei beni intermedi (capitale), si ottiene un aumento della
produzione dei beni per il consumo futuro meno che proporzionale. Si può
anche affermare che, riducendo progressivamente di una unità infinitesima la
produzione per il consumo C0 , si ottiene un aumento meno che proporzionale
della produzione per il consumo C1 . Graficamente, le combinazioni di
produzione per i due consumi praticabili al tempo t0 giacciono su una curva
concava verso l’origine.
C1 (t1 )
A
C1
B
C
C0
C
C0 (t0 )
19
Definiamo questa funzione come funzione di trasformazione: è il luogo
dei punti che esprimono le combinazioni di produzione per il consumo C0 e C1
praticabili nell’istante t0 date le risorse, il tempo e le tecniche disponibili; esiste
una sola curva, al di sotto della quale c’è non convenienza mentre al di sopra
della quale vi è impraticabilità date le risorse e la tecnica. La derivata prima in
ogni punto misura l’incremento di prodotto consumabile al tempo t1 ottenibile
con una unità infinitesima aggiuntiva di bene intermedio (produttività
marginale del capitale) e, contestualmente, l’incremento di produzione per il
consumo al tempo t1 ottenibile con un decremento infinitesimo di produzione
per il consumo al tempo t0 .
3.2.2
Scelta intertemporale di consumo
L’individuo consumatore guadagna in ogni istante un dato reddito
(vincolo per la scelta delle curve di indifferenza) che può consumare
interamente oppure solo in parte. In questo caso rinuncia al consumo presente
in favore di un consumo futuro certo, compiendo quindi un atto di risparmio;
nella teoria neoclassica risparmiare significa rinviare il consumo ad una data
futura certa.
Anche il consumatore si trova quindi a dovere effettuare una scelta,
manifestando così la sua preferenza intertemporale tra consumo attuale e
consumo futuro: quanta parte del reddito guadagnato all’istante t0 destinare al
consumo attuale e quanta destinare al risparmio e quindi al consumo futuro? In
questo
caso
egli
seguirà
il
principio
della
soddisfazione,
cioè
la
massimizzazione dell’utilità. Essendo per i neoclassici l’utilità marginale
decrescente, la perdita di soddisfazione per ogni unità di consumo presente cui
progressivamente rinuncerà è crescente; ne segue che deve crescere anche il
consumo futuro reso possibile con quella rinuncia. Dunque l’individuo è
disposto a risparmiare un’unità aggiuntiva di reddito a favore di un consumo
futuro soltanto se questo cresce più che proporzionalmente.
Da un punto di vista grafico, le combinazioni fra consumo presente e
risparmio a favore del consumo futuro, che assicurano lo stesso livello di
soddisfazione e utilità complessiva, giacciono su una funzione convessa, detta
curva di indifferenza. Essa fa parte di un fascio di curve con utilità complessiva
20
crescente: quanto più la curva è a destra sul grafico, tanto maggiore è il livello
di utilità complessiva. La praticabilità dipende dal livello del reddito di cui il
consumatore dispone quando combina consumo presente e futuro in base ai
proprio gusti. La derivata prima in un punto qualsiasi di una curva di
indifferenza rappresenta l’incremento di consumo futuro reso possibile da un
decremento infinitesimo del consumo attuale, mantenendo inalterato il livello
di soddisfazione del consumatore.
C1 (t1 )
B
C1′
D’’
D’
D
C0′
3.2.3
C0 (t0 )
L’equilibrio del produttore e del consumatore (eguaglianza tra reddito
prodotto e reddito disponibile per il consumatore)
Il produttore è in grado di muoversi sulla curva di trasformazione,
seguendo un comportamento massimizzante il profitto sotto vincolo delle
risorse e della tecnica. Il consumatore cercherà di scegliere invece quella
combinazione consentitagli dal suo reddito che giace sulla curva di indifferenza
più a destra possibile, seguendo anch’egli un comportamento massimizzante la
sua soddisfazione sotto il vincolo del reddito e dei gusti.
Poiché in equilibrio deve valere in ogni istante l’eguaglianza tra reddito
prodotto e reddito speso, l’equilibrio simultaneo è ottenuto nel punto di
tangenza tra la curva di trasformazione e una curva di indifferenza. La coppia
21
di consumo presente e futuro corrispondente esprime appunto l’equilibrio
simultaneo del produttore e del consumatore: E (C0 ,C1 ) . La derivata prima in
quel punto indica:
1. il prezzo per la rinuncia al consumo presente, o coefficiente di
capitalizzazione;
2. il rendimento del capitale (bene intermedio) destinato alla produzione
per il consumo futuro, o produttività marginale del capitale.
Per il consumatore, dato il reddito Y0 , sarà in t0 :
(13)
Y0 = C0 + S 0
dove S0 è il risparmio ed equivale a:
S0 =
(14)
C0,1
(1 + i )
dove C0,1 è il consumo al tempo t1 reso possibile dal risparmio effettuato
in t0 mentre (1 + i ) rappresenta l’attualizzazione derivata dal fatto che C0,1 è
riferito ad un tempo futuro; i è il saggio di interesse. Sostituendo la (14) nella
(13) si ottiene:
(15)
Y0 = C0 +
C0,1
(1 + i )
dalla quale, risolvendo per C0,1 :
(16)
C0,1 = (1 + i )Y0 − (1 + i )C0
che rappresenta l’equazione di una retta y = a + bx , precisamente tangente
nel punto
E
capitalizzazione.
22
con coefficiente angolare
b = −(1 + i ) , o coefficiente di
C1 (t1 )
C
A
E
C 0′
D
B
C
− (1 + i )
C 0′
C
C0 (t0 )
Il saggio di interesse è:
1. il prezzo per la rinuncia al consumo presente, ossia il prezzo del
risparmio;
2. la produttività dei beni intermedi o produttività marginale del capitale.
Esso risulta determinato in ultima istanza sulla base dei dati (risorse e
tecnica per il produttore e reddito e gusti per il consumatore) e del principio di
comportamento massimizzante sia del produttore sia del consumatore,
sottoposti a determinati vincoli. Il saggio di interesse è quindi grandezza reale,
in quanto determinato in modo totalmente indipendente dalla presenza della
moneta.
3.2.4
Le funzioni di risparmio e di investimento
Consideriamo ora il sistema economico e supponiamo:
♦ che il bene capitale sia unico (ipotesi di omogeneità dei beni capitali,
fisicamente confrontabili tra loro, altrimenti ci sarebbero i prezzi);
♦ che sia assente la moneta;
♦ che sia possibile aggregare le curve individuali di indifferenza e di
trasformazione.
23
La curva di trasformazione AB (aggregata) consente di individuare il
livello degli investimenti per ogni livello dato del tasso di interesse e quindi la
funzione di domanda di investimento. Poiché tale curva è costruita sulla base
dell’ipotesi di produttività marginale decrescente del capitale, ne deriva che a
valori più elevati del saggio di interesse la domanda di capitale sarà più bassa;
la derivata seconda della funzione è cioè negativa e spostandosi da B verso A
il saggio di interesse i risulta decrescente.
i
I
I
La curva di indifferenza CD (aggregata) consente di individuare il livello
di risparmio per ogni dato livello del saggio di interesse e dunque l’offerta di
risparmio. Poiché la curva CD è costruita sulla base dell’ipotesi di utilità
marginale decrescente, a valori più elevati del saggio di interesse si sarà più
disposti alla rinuncia al consumo presente, ossia l’offerta di capitale sarà più
elevata.
i
S
S
24
3.2.5
Il mercato del capitale (o dei beni) e il saggio di interesse
L’equilibrio sul mercato del capitale si ha nel punto d’incontro delle due
curve aggregate individuate:
i
S
E
i*
I
S* = I *
S, I
Per concludere, possiamo osservare che nella teoria neoclassica:
1. il risparmio è definito come rinuncia al consumo presente a favore di
un consumo futuro certo e a data certa e comporta decisioni diverse da
quelle di investimento;
2. il saggio di interesse di equilibrio è una grandezza reale perché è
ottenuto sulla base di dati riguardanti la sfera reale e sulla base del
principio di comportamento massimizzante degli individui;
3. se si dà progresso tecnico, aumenta la produttività marginale di
qualsiasi unità di capitale investito e la funzione I si sposta verso
l’alto;
4. se diminuisce il desiderio di consumo futuro, ossia muta la preferenza
intertemporale a favore del consumo presente, la funzione S si sposta
verso l’alto, dato che occorre un maggiore tasso di interesse per
rinunciare ad un dato ammontare di consumo presente;
25
5. se si introduce la moneta, l’analisi non viene modificata: si
aggiungeranno soltanto una domanda e un’offerta di capitale in forma
liquida ad un saggio di interesse monetario, che in equilibrio
coinciderà con il saggio di interesse naturale (reale).
3.3 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE INDIRETTO: LA TEORIA DI
WICKSELL
Come abbiamo già visto considerando la teoria della moneta di Pigou, gli
economisti neoclassici attribuiscono alla moneta anche funzioni diverse da
quella di mezzo di pagamento, tuttavia considerano la moneta principalmente
come mezzo di scambio e ritengono che le sue variazioni generino effetti
unicamente sul livello generale dei prezzi almeno nel lungo periodo, anche se
possono darsi influenze di breve periodo sulle variabili reali (reddito,
occupazione, etc.).
Tra le teorie della moneta neoclassiche che fanno riferimento al
meccanismo di trasmissione indiretto, quella di Wicksell (di origine svedese)
riveste particolare importanza. Essa parte dalla constatazione che nei sistemi
economici moderni assume particolare rilievo la moneta bancaria, accanto a
quella legale, e che il fenomeno del credito è molto diffuso. La cessione di
moneta, dunque, comporta l’ottenimento di un interesse. Il prezzo dei fondi
liquidi (attività patrimoniali monetarie) o saggio di interesse monetario im non
può che coincidere con il saggio di interesse sul capitale reale, o saggio di
interesse reale o naturale in (determinato nel paragrafo precedente). La
situazione di equilibro è quindi
(17)
im = in
Tuttavia, temporaneamente può esserci una divergenza tra i due saggi,
che può generare effetti di breve periodo sulle variabili reali.
Consideriamo un sistema economico e ricordiamo che per i neoclassici la
produzione è il risultato della combinazione di tre fattori di produzione: terra,
lavoro e capitale. Semplifichiamo senza tenere conto del fattore terra, sicché la
funzione di produzione neoclassica risulta essere
26
(18)
Y = f (K , L )
Ricordiamo inoltre che per i neoclassici l’unico equilibrio è quello di piena
occupazione. Rappresentiamo l’equilibrio sul mercato del lavoro e l’equilibrio
sul mercato del capitale con i seguenti grafici:
w
p
i
Ns
⎛ w⎞
⎜⎜ ⎟⎟
⎝ p⎠
S
E
im = in*
*
E
I
Nd
N*
N
I,S
I * = S*
Supponiamo ora che questa situazione di equilibrio sia disturbata dal fatto
che le banche concedono credito eccessivo rispetto alle esigenze di mercato,
sicché, in sostanza, il “prezzo” del credito diminuisce e si verifica che
(19)
im < in
Ne segue che la domanda di beni di investimento aumenta fino a I1 ,
mentre il flusso di risparmio diminuisce fino a S1 .
27
i
S
in
im
B
A
I
S1
S * = I * I1
S, I
Il fatto che il risparmio diminuisca implica che aumenti la domanda di
beni di consumo (vista la definizione neoclassica di risparmio). Dunque la
domanda globale di tutti i beni cresce, ma a ciò non corrisponde un aumento
della produzione, poiché per i neoclassici l’equilibrio è sempre di piena
occupazione (ovvero ci sono solo lavoratori disoccupati volontari). Anche i
prezzi delle singole merci cominciano ad aumentare e variano i prezzi relativi.
Ne segue che gli imprenditori sono disposti ad occupare un maggiore
numero di lavoratori e offrono aumenti di salario monetario, che però non sono
proporzionali agli aumenti dei prezzi. Quindi, in effetti, il saggio di salario reale
w diminuisce: solo in questo modo si riesce ad aumentare la produzione, dato
P
che in ogni momento va rispettata l’eguaglianza tra salario reale e produttività
marginale del lavoro.
Questa situazione può generare due casi alternativi.
1. Se i lavoratori si rendono subito conto del fatto che i prezzi sono
aumentati, chiedono un adeguamento immediato dei salari monetari,
quindi il mercato del lavoro resta in equilibrio e l’occupazione e la
produzione non aumentano. In questo caso l’espansione del credito
non genera nessun effetto reale. L’effetto della riduzione di im è
soltanto un aumento generalizzato dei prezzi, salario monetario
compreso, che continua in modo cumulativo finché permane la causa
che ha creato la differenza, ovvero finché im < in .
28
2. Se invece i lavoratori non sono in grado di percepire immediatamente
l’aumento dei prezzi, posti di fronte all’offerta di un salario monetario
più alto, ritengono che anche quello reale sarà più elevato e dunque
alcuni disoccupati volontari si occuperanno. Questo significa che i
lavoratori aumenteranno da N * fino a N 1 e con loro anche la
produzione. In questo secondo caso l’espansione del credito genera
degli effetti reali. Tuttavia, col tempo i lavoratori si accorgono
dell’effettivo andamento dei prezzi e chiederanno aumenti salari
adeguati. Graficamente, ciò significa che l’occupazione diminuisce da
N1 a N * . Ciò significa che gli effetti reali generati dall’espansione del
credito sono solo limitati al breve periodo e l’unico effetto durevole è
l’aumento cumulativo di P e w fino a che permane la differenza tra im
e in , ossia fino a che non viene attuata una politica di restrizione del
credito.
w
P
⎛ w⎞
⎜ ⎟
⎝P⎠
Ns
*
⎛ w⎞
⎜ ⎟
⎝ P ⎠1
B
A
Nd
N0
N*
N1
N
Aggiungiamo ora qualche osservazione.
1. Il processo inflazionistico determinato dalla differenza im < in è
cumulativo e permane fino a che rimane tale divario. Di fatto il
processo ha limiti superiori di natura istituzionale: per esempio il
vincolo di riserva imposto alle banche. Ciononostante, Wicksell
aggiunge che qualora la restrizione monetaria con conseguente crescita
29
di im non abbia luogo nelle prime fasi del processo, essa potrà rivelarsi
non
sufficiente
e
dovrà
essere
sostenuta
da
altre
politiche
antinflazionistiche.
2. Nel caso in cui si diano le condizioni opposte alle precedenti, ossia
abbia luogo una restrizione del credito, si ha che im > in e si determina
un processo cumulativo inverso di riduzione dei prezzi e dei salari e
quindi di deflazione, ma anche in questo caso la riduzione della
produzione e dell’occupazione è provvisoria.
3. Infine sottolineiamo come secondo Wicksell la causa di divergenza tra
im e in non è il comportamento delle banche. I processi cumulativi
deflazionistici ed inflazionistici che caratterizzano il ciclo economico
sono generati da cause reali, in particolare l’andamento del progresso
tecnico, che fa variare la produttività marginale del capitale, ossia la
profittabilità degli investimenti reali. Ciò significa che in aumenta o
diminuisce, mentre le banche non sono in grado di adeguare
immediatamente
im .
Graficamente
il
fenomeno
può
essere
rappresentato così:
i
S
in2
i n1 = im
I2
I1
I1* = S1* I 2* = S 2*
S, I
In definitiva, non si può imputare alla politica di espansione o di
contrazione della moneta (legale o bancaria) l’inflazione o la deflazione che
30
segnano i sistemi economici moderni. La causa dell’instabilità dei prezzi è reale;
le istituzioni monetarie e creditizie hanno semmai un ruolo stabilizzante.
Sebbene non possano essere immediatamente a conoscenza dell’andamento di
in , tuttavia hanno il compito istituzionale di regolare im rispetto a in attraverso
manovre di politica restrittiva o espansiva.
In ultima istanza la teoria della moneta di Wicksell è quantitativa, poiché
mette in relazione tra loro le due variabili M e P , in assenza di variazioni di V
e con variazioni di Y solo nel breve periodo. La sfera reale e la sfera monetaria
risultano distinte almeno nel lungo periodo. Vi è dicotomia tra esse: questa è
una caratteristica di tutte le teorie della moneta di impostazione neoclassica.
Occorre tuttavia sottolineare che, sul piano della politica economica, Wicksell si
distingue dalla generalità degli economisti neoclassici, in quanto non sottolinea
un legame causale tra variazione di M e variazioni di P . Come abbiamo visto,
non imputa affatto alla politica monetaria o creditizia l’instabilità dei prezzi, ma
anzi affida alle istituzioni monetarie e creditizie il compito di eliminare le
instabilità dei prezzi generate da cause reali.
31
4 – KEYNES: L’ECONOMIA CAPITALISTICA COME ECONOMIA
MONETARIA
4.1 KEYNES DI FRONTE ALLA DICOTOMIA NEOCLASSICA
Keynes si rifiuta di accettare la dicotomia neoclassica tra settore monetario
e reale: sostiene anzi che nell’economia capitalistica le due sfere si influenzano
reciprocamente. La dicotomia neoclassica – a suo parere – mette in evidenza
un’ipotesi tacita della teoria neoclassica stessa: quella di una completa
coordinazione tra decisioni di produzione, di consumo, di risparmio e di
investimento. I neoclassici ragionano “come se” l’economia capitalistica non
fosse fondata sulle decisioni individuali e decentralizzate di individui che non
hanno una conoscenza completa della situazione, bensì fosse fondata o su
individui onniscienti oppure su un organismo centrale di controllo che ha una
completa e perfetta conoscenza del presente e del futuro.
Al contrario, secondo Keynes, in un’economia capitalistica:
1. le decisioni sono di natura individuale e sono prese da individui che
possiedono conoscenze limitate: essi agiscono in un mondo di
incertezza, usando quella conoscenza che possiedono secondo un
comportamento perfettamente razionale (ma non di razionalità
neoclassica);
2. le decisioni sono prese in un tempo collocato fra un passato
irrevocabile e un futuro incerto, del quale si ha una conoscenza
limitata. Ogni individuo agisce sulla base di aspettative ed assume
decisioni che debbono potere essere facilmente soggette a revisione.
Infatti il futuro potrebbe essere diverso da quello atteso e quindi le
decisioni non devono essere assolute.
Ecco che la moneta diventa un’istituzione necessaria, indispensabile ed
ineliminabile. Per rendercene conto immediatamente e sia pure in modo
sommario prendiamo in considerazione – così come Keynes ce le presenta – le
decisioni alle quali si trovano di fronte rispettivamente un percettore di reddito
ed un imprenditore. Analizziamo cioè le decisioni di consumo e di
investimento.
32
Colui che percepisce un reddito deve decidere in primo luogo quanta
parte di esso consumare e quanta parte risparmiare:
(1)
Y =C+S
dove ovviamente Y è il reddito, C il consumo e S il risparmio. Non
dimentichiamo che per i neoclassici il risparmio è astensione e rinuncia al
consumo presente per un consumo futuro di beni definiti a data “certa”. Per
Keynes invece il risparmio è soltanto rinuncia al consumo presente e può
assumere qualsiasi natura: esso è definito senza indicazione del tempo e del
modo in cui l’individuo in questione utilizzerà il reddito risparmiato.
Il percettore del reddito deve decidere quanta parte consumare e quante
parte risparmiare: detenere fondi liquidi (moneta a disposizione, depositi
bancari) oppure acquistare altre attività patrimoniali (ad esempio acquisto di
titoli). Egli decide non soltanto e non tanto in base alle necessità di cassa che
prevede gli si presenteranno (questa è la concezione della moneta come fondo
di valore di tipo pigouviano), bensì anche e soprattutto in funzione delle sue
attese circa il futuro andamento del corso dei titoli. Come si vede, la presenza
della moneta è essenziale per le decisioni del percettore di reddito circa quanta
parte consumare, quanta risparmiare e quali forme patrimoniali detenere.
Anche colui che assume decisioni di investimento produttivo è presentato
da Keynes in termini molto diversi da quelli adottati nell’economia neoclassica.
Per i neoclassici l’individuo sceglie tra produrre per il consumo attuale ed il
consumo futuro, dove ambedue i termini della scelta sono certi e definiti nelle
loro caratteristiche.
Per Keynes invece la decisione di investimento produttivo comporta
aspettative sui redditi monetari cui esso può dar luogo in futuro. Se ritiene che
la propria conoscenza non sia sufficiente per agire ovvero troppo limitata, allora
rimanda la decisione di investimento e trattiene moneta. Come nel caso del
percettore di reddito, anche in questo dell’imprenditore la presenza della
moneta risulta essenziale per assumere decisioni di produzione.
33
In generale, Keynes presenta la moneta come uno “scudo contro
l’incertezza”: in quanto unità di conto che assomma le due caratteristiche di
mezzo di pagamento universalmente accettato (moneta legale) e di attività
patrimoniale. Per questa sua peculiarità essa è l’unico mezzo che consente di
rinviare qualsiasi decisione (di investimento finanziario, produttivo).
Le attività finanziarie sono soltanto sostituti parziali della moneta, nel
senso che hanno solo la funzione di fondo di valore, ma non sono
universalmente accettate come mezzo di pagamento. Chi possiede attività
finanziarie e voglia disporre di mezzi di pagamento per far fronte ai suoi
impegni contrattuali, deve “convertirle” in moneta e questa conversione ha un
costo positivo ma soprattutto incerto, in quanto muta in funzione delle
aspettative circa il loro valore futuro. Ciò ci guida allo studio della relazione tra
domanda di moneta e saggio di interesse secondo Keynes.
4.2 DOMANDA DI MONETA E SAGGIO DI INTERESSE
Secondo Keynes ci sono almeno tre motivi per domandare moneta: quello
delle transazioni, quello precauzionale e quello speculativo. La domanda di
moneta connessa ai primi due motivi dipende dal reddito Y , mentre la
domanda speculativa è funzione del saggio di interesse i . La funzione della
domanda di moneta può essere espressa così:
L = L1 (Y ) + L2 (i )
(2)
Ogni individuo sceglie tra detenere moneta e acquistare titoli in base al
confronto fra il saggio di interesse i vigente sul mercato e il saggio di interesse
ie che si attende per il futuro:
♦ se i >
ie
allora l’individuo acquista titoli e rinuncia alla liquidità
1 + ie
(ipotesi rialzista sul corso dei titoli); ci si aspetta che nel futuro i titoli
valgano di più e la preferenza per la liquidità diminuisce;
♦ se i <
ie
allora l’individuo non investe e trattiene moneta (ipotesi
1 + ie
ribassista sul corso dei titoli).
34
Graficamente, la funzione di domanda di moneta (o funzione di
preferenza per la liquidità) ha il seguente andamento ed è parametrica rispetto
a ie .
i
L1 + L2
L
Dato ie , quanto più è basso i tanto più è alta la quantità di moneta
trattenuta: per ogni aspettative sul futuro corso del saggio di interesse, la
funzione di domanda di moneta è decrescente.
Al variare del valore di ie muta la preferenza per la liquidità della
collettività, ossia muta la tendenza a detenere scorte liquide piuttosto che altre
forme di ricchezza (principalmente attività finanziarie). Graficamente questo
significa che la funzione di domanda di moneta è parametrica rispetto a ie e si
sposta nel piano considerato al variare di ie . Se le aspettative circa il futuro
corso dei titoli sono pessimistiche (ossia ci si attende un aumento di ie ed un
ribasso del prezzo dei titoli), allora la preferenza per la liquidità aumenta e la
funzione di domanda si sposta verso l’alto/destra; viceversa nel caso contrario.
35
i
ie2 > ie1
L1 + L2 , dato ie2
L1 + L2 , dato ie1
L
Dato un certo ie e perciò data una preferenza per la liquidità e data
l’offerta di moneta, si determina il saggio di interesse i * come prezzo per la
rinuncia alla liquidità ( i è variabile monetaria e non reale).
i
E
i*
L1 + L2
M
L, M
Dobbiamo ancora capire, però, cosa determina la preferenza per la
liquidità e quindi cosa determina ie e la posizione della funzione di domanda di
36
moneta L nel piano (i, L ) . Per fare questo bisogna considerare la forma di
ricchezza più prossima (quanto a caratteristiche) alla moneta: le attività
finanziarie, che sono le più facilmente convertibili in liquidità, anche se non
possono essere considerate mezzo di pagamento diretto. Consideriamo dunque
il mercato dei titoli.
4.3 IL MERCATO DEI TITOLI E LA SPECULAZIONE
Sul mercato dei titoli si incontrano una domanda e un’offerta di titoli:
♦ offrono titoli coloro che nutrono un’opinione ribassista: essi credono
che il prezzo dei titoli si abbasserà e il saggio di interesse si alzerà,
quindi vendono titoli contro moneta;
♦ domandano titoli coloro che nutrono un’opinione rialzista: essi
credono che il prezzo dei titoli si alzerà e il saggio di interesse si
abbasserà, quindi comprano titoli cedendo moneta.
Il prezzo dei titoli si fissa al punto di incontro tra domanda e offerta. Il
mercato dei titoli sarà tanto più stabile quanto più – date le regolamentazioni
istituzionali del mercato stesso – le opinioni sul futuro corso dei titoli sono
divergenti. Questo però non sempre accade: possono verificarsi fenomeni di
“psicologia collettiva”, tali che gli operatori in media non mutano il loro
comportamento ma sono pronti a farlo per imitazione. È cioè sufficiente che
qualcuno agisca nella direzione nella quale l’opinione media tenderebbe perché
di fatto si abbia la presenza di comportamenti ribassisti o rialzisti generalizzati.
Questo succede a causa della presenza degli speculatori in titoli. Keynes li
definisce come “coloro che svolgono una attività di previsione della psicologia
di mercato”. Essi dispongono di moneta (o comunque di credito), svolgono la
loro attività di previsione e da tale attività traggono profitti e perdite.
Speculatore insomma è colui che acquista o vende titoli “riponendo le speranze
di guadagno non tanto nel futuro rendimento dei titoli stessi quanto in un
mutamento a lui favorevole dell’opinione media”.
37
Egli cerca fondamentalmente di comprendere meglio di altri quale è
l’opinione media sul futuro corso dei titoli e di anticiparla. Chi al momento
possiede più di altri questa capacità acquista (o vende) titoli: con ciò mette in
moto un processo effettivo di aumento (o riduzione) del loro corso, in quanto
gli altri operatori lo seguiranno, modificando la loro preferenza per la liquidità.
L’opinione media diventa allora di fatto rialzista (o ribassista) e quindi il corso
dei titoli di fatto si alzerà (o si abbasserà) ed il saggio di interesse si abbasserà (o
si alzerà). Ad esempio, dati il prezzo dei titoli e l’offerta di moneta, se l’opinione
media è ribassista e qualche speculatore la coglie, la anticipa e vende i titoli,
allora influenza gli altri cosicché tutti vendono titoli e a quel saggio di interesse
la quantità di moneta trattenuta aumenta.
Graficamente ciò significa che la funzione di domanda di moneta (che è
parametrica rispetto a ie ossia alle attese sul prezzo dei titoli) si sposterà verso
l’alto/destra e data M il saggio di interesse si alzerà.
i
iB
iA
M
L, M
In ultima istanza si può constatare che il saggio di interesse varia in
funzione delle aspettative circa il futuro andamento del saggio in interesse. Se
non si accetta che il futuro sia uguale al presente, le aspettative sul futuro
determinano la situazione presente, ovvero quello che accade oggi è funzione
della aspettative su quello che accadrà domani. Ecco dunque come il saggio di
interesse vigente sul mercato risulta essere una “variabile altamente
convenzionale”, poiché dipende da un’opinione collettiva sul futuro andamento
del saggio di interesse.
38
Nel mercato dei titoli tutti gli operatori sono virtualmente degli
speculatori, ma ognuno di essi sa di partecipare ad una attività in cui può
risultare perdente. Di fatto, guiderà il mercato e trarrà profitti speculativi
soltanto colui che meglio degli altri saprà prevedere ed anticipare l’opinione
media su quella che sarà l’opinione media. Dice Keynes:
“Si instaura una guerra che assomiglia al gioco dell’uomo nero o delle sedie musicali, un
passatempo nel quale vince chi riesce a passare l’uomo nero al compagno al momento giusto, o chi riesce a
conquistarsi una sedia quando la musica smette di suonare. Questi giochi possono farsi con gusto e
diletto, benché tutti i giocatori sappiano che l’uomo nero sta circolando o che, quando la musica termina,
alcuni di loro si troveranno senza sedia. Oppure, per variare leggermente la metafora, l’investimento
professionale in titoli può essere paragonato a quei concorsi dei giornali, nei quali i concorrenti devono
scegliere i sei volti più belli fra un centinaio di fotografie, e nel quale vince il premio il concorrente che si è
avvicinato, con la sua scelta, alla media fra tutte le risposte; cosicché ciascun concorrente deve scegliere,
non quei volti che egli ritiene più belli, ma quelli che ritiene attirino con maggiore probabilità i gusti degli
altri concorrenti, i quali, a loro volta, affrontano tutti il problema dallo stesso punto di vista. Non si tratta
di scegliere quelli che, giudicati obiettivamente, sono realmente i più belli, e nemmeno quelli che una
genuina opinione media ritenga i più belli. Abbiamo raggiunto il terzo grado, nel quale la nostra
intelligenza è rivolta ad indovinare come l’opinione media immagina sia fatto l’opinione media medesima.
E credo che vi siano alcuni i quali praticano il quarto, il quinto grado e oltre.”
La speculazione dunque tende a fare convergere le opinioni degli
operatori e a rendere instabile il mercato dei titoli, anche se questo è ben
organizzato. Ma soprattutto la speculazione rende difficile la regolazione del
saggio di interesse da parte dell’autorità monetaria. I mutamenti nella
preferenza per la liquidità (gli spostamenti della funzione L nel piano) possono
contrastare e addirittura vanificare i tentativi da parte della Banca Centrale di
influenzare la sfera reale.
Vediamo graficamente come una politica monetaria destinata a ridurre il
saggio di interesse per favorire gli investimenti e dunque generare un aumento
del reddito e dell’occupazione non raggiunga lo scopo a causa di un movimento
speculativo che la contrasta.
39
i
(1)
(2)
Politica monetaria (1)
Speculazione (2)
i3
i1
(2)
(2)
(1)
i2
(2)
M1
(1)
M2
L, M
Secondo Keynes è dunque assolutamente necessario evitare che la
speculazione (“attività di previsione della psicologia di mercato”) domini
sull’intraprendenza (“attività di previsione del rendimento prospettivo dei beni
capitali”). Quindi per Keynes la politica economica è necessaria, poiché è
indispensabile:
♦ una regolazione istituzionale del mercato dei titoli;
♦ un intervento che renda meno limitata la conoscenza del futuro da
parte dell’imprenditore, ad esempio mediante politiche per la stabilità
dei prezzi o per la rigidità dei salari monetari.
Secondo la teoria keynesiana, dunque, non esiste la dicotomia neoclassica
che separa la sfera reale da quella monetaria e, tornando all’equazione degli
scambi, le quattro variabili M , V , P e Y sono tutte strettamente dipendenti
l’una dall’altra e non ha senso porre particolari legami privilegiati fra M e P
come fanno i teorici quantitativisti.
40
4.4 LA DOMANDA DI MONETA A SCOPO FINANZIARIO
Accanto ai tre motivi per chiedere moneta elencati sopra (transazionale,
precauzionale e speculativo), Keynes pone anche quello finanziario, ovvero il
motivo della copertura finanziaria dei progetti d’investimento. La moneta è cioè
domandata anche per coprire l’intervallo di tempo che intercorre tra il
momento in cui una decisione di investimento viene presa (sulla base di un
confronto tra l’efficienza marginale dell’investimento e ed il saggio di interesse
i , ovvero se i < e allora realizzo l’investimento mentre se i > e allora trattengo
moneta) ed il momento in cui l’effettivo investimento dà luogo a redditi.
Keynes considera qui, in sostanza, il credito concesso agli imprenditori,
ma ritiene che la corrispondente domanda di moneta sia più assimilabile alla
domanda di moneta per transazioni che a quella per scopi speculativi. Infatti
l’unica differenza rispetto alla domanda di moneta per transazioni sta nel fatto
che in quest’ultimo caso la domanda di moneta segue ad una decisione di spesa
attuale, mentre nel caso della domanda di moneta a scopo finanziario la
decisione di spesa è solo programmata.
4.5 GLI EFFETTI DI UNA ESPANSIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA
Siamo ora in grado di considerare gli effetti della politica monetaria
sull’economia reale e sui prezzi secondo Keynes. Dobbiamo separare
nettamente il caso dell’espansione monetaria da quello della restrizione poiché
per Keynes gli effetti non sono affatto speculari.
Consideriamo per primi gli effetti di una politica monetaria espansiva.
Seguendo Keynes, non si può più affermare che a seguito di un’espansione
monetaria aumenta il livello generale dei prezzi e neppure che, se si hanno
effetti reali, questi saranno soltanto limitati al breve periodo (come sosteneva
Wicksell).
Mentre per i neoclassici la norma è la piena occupazione (con eventuale
presenza di disoccupati volontari) per Keynes esiste una disoccupazione
involontaria, ovvero vi sono lavoratori che sono disposti ad occuparsi al saggio
di salario vigente ma non trovano lavoro per mancanza di domanda effettiva.
Questa disoccupazione involontaria, insieme alla nuova concezione di moneta,
41
fa sì che un aumento di M provochi variazioni in ognuna delle altre variabili
del teorema degli scambi. Vediamo come ciò avviene procedendo per
approssimazioni successive:
1. in primo luogo considereremo il caso in cui l’espansione monetaria
non provochi nessuna variazione né nella preferenza per la liquidità né
nelle aspettative degli imprenditori ( i ed e sono costanti, L non
varia);
2. elimineremo poi questa ipotesi;
3. infine considereremo gli effetti duraturi dell’espansione monetaria
sull’economia reale.
4.5.1
In prima istanza assumiamo che la variazione della quantità di moneta M
non modifichi:
1. lo stato delle aspettative sul prezzo dei titoli, ossia non generi
variazioni della preferenza per la liquidità;
2. lo stato delle aspettative sul rendimento dei capitali e dunque
l’efficienza marginale del capitale.
Sotto queste ipotesi, l’espansione monetaria farà abbassare il saggio di
interesse e genererà un aumento del reddito e dell’occupazione: a parità di
salario monetario, ciò si traduce in un aumento del livello generale dei prezzi.
Graficamente la situazione può essere rappresentata come segue:
42
M M'
i
i
i0
i1
L
EMC
I0
L, M
I1
I
C+I
I
C + I1
C + I0
C
45°
45°
Y0
I
N
N
45°
W
P
W0
P0
W0
P1
Y
Y1
N0
N1
Y
N
Nd
N0
N1
N
4.5.2
Eliminiamo ora le ipotesi introdotte, ovvero quelle di invarianza della
preferenza per la liquidità e dell’efficienza marginale di capitale. Secondo
Keynes è difficile che nel breve periodo e nel caso di espansione la politica
43
monetaria riesca a raggiungere gli effetti descritti sopra, a causa di alcuni
impedimenti o controtendenze che si manifestano nel sistema economico.
Per quanto riguarda la preferenza per la liquidità, vediamo due casi:
1. se la politica espansiva è considerata dall’opinione media come
“immoderata” (eccessiva), muta la preferenza per la liquidità. La
collettività pensa che prima o poi le autorità torneranno sui propri
passi e quindi decide di aspettare ad effettuare gli investimenti
produttivi, nonostante la caduta del saggio di interesse. Quindi,
l’aumento della preferenza per la liquidità finisce per contrastare o
neutralizzare la caduta del saggio di interesse. Vi sono in questa
situazione tutte le condizioni per investire ma ciò non accade.
Graficamente la funzione di domanda di moneta si sposta verso l’alto;
i
(2)
i2
i0
(2)
(1)
(2)
i1
M1
(1)
M2
L, M
2. la politica monetaria espansiva può anche avere luogo in una
situazione di saggio di interesse talmente basso che si ritiene che esso
non possa mutare nonostante l’espansione della quantità di moneta,
sicché la maggiore moneta viene assorbita e trattenuta (ci troviamo in
quella che è stata definita, a partire da Hicks, la “trappola della
liquidità”).
44
i
i0
M1
M2
L, M
Per quanto concerne le aspettative di reddito, vediamo due casi:
1. superiamo le controtendenze appena viste, ammettendo che quanto
appena descritto non si verifichi e supponiamo che il saggio di
interesse si abbassi. Vediamo ora quali mutamenti può comportare
l’espansione monetaria nelle aspettative di reddito. Se l’espansione
monetaria ha luogo in una situazione di crescente pessimismo circa la
domanda futura, lo stimolo del saggio d’interesse decrescente risulta
vano. Se le aspettative peggiorano, infatti, per ogni progetto di
investimento diminuisce l’efficienza marginale del capitale
e.
Graficamente significa che la funzione degli investimenti, parametrica
rispetto a e , si sposta verso il basso nel piano (i, I ) , cosicché alla
riduzione del saggio di interesse non segue un aumento degli
investimenti come ci si sarebbe aspettato.
45
i
I 2 ≤ I1
i0
(1)
(3)
i1
I0
(3)
I2
I
I1
(2)
2. Se invece la politica espansiva è giudicata “modesta”, anche a parità di
attese sul reddito futuro non si avranno incrementi nella domanda di
investimenti. Possiamo rappresentare un po’ approssimativamente tale
situazione, considerando una funzione degli investimenti piuttosto
rigida rispetto al saggio di interesse.
i
I 2 > I1
i0
i1
I0
46
I1
I
4.5.3
Infine ed in termini più generali, per concludere il nostro ragionamento
dobbiamo constatare che l’equilibrio si ha normalmente con disoccupazione
involontaria, la quale crea un circolo vizioso che impedisce alla politica
monetaria espansiva di sortire effetti sull’attività di investimento tali da portare
il sistema verso un equilibrio di piena occupazione. Accade infatti che si dia un
basso livello di domanda effettiva, con bassa propensione marginale al
consumo e con aspettative di invarianza sul rendimento prospettico dei beni
capitali. Di conseguenza la domanda effettiva resta bassa ed una politica
monetaria espansiva difficilmente è in grado di cambiare le aspettative di lungo
periodo.
Perché il sistema economico esca dalla situazione di equilibrio in cui si
trova occorre che la politica monetaria espansiva sia condotta in modo tale da
generare aspettative di reddito ottimistiche. Ciò può avvenire, secondo Keynes,
solo se la politica monetaria espansiva è condotta con continui e lenti
abbassamenti del saggio di interesse, tali da consentire alla collettività di
adattarsi al suo nuovo valore con continuità. La politica monetaria deve
insomma essere e soprattutto apparire all’opinione pubblica come “persistente
e coerente”. L’autorità monetaria opera una modesta riduzione del saggio di
interesse, lascia che la collettività vi si adatti, prosegue con continuità: “ogni
movimento prepara il successivo” e l’attività reale ne risulta effettivamente
influenzata.
4.6 GLI EFFETTI DI UNA RIDUZIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA
Secondo Keynes, gli effetti della politica monetaria restrittiva non sono
affatto speculari a quelli della politica monetaria espansiva. La politica
restrittiva ha molte più opportunità di risultare efficace. Infatti essa condiziona
comunque l’attività d’investimento riducendola, perché il saggio di interesse
costituisce la soglia al di sotto della quale l’efficienza marginale del capitale non
può cadere. Di conseguenza, una politica monetaria restrittiva che aumenta il
saggio di interesse ovvero eleva la soglia, necessariamente costringe i
produttori a scartare alcuni progetti di investimento che avrebbero realizzato in
assenza di intervento dell’autorità monetaria. Keynes sottolinea anche la
47
peculiarità di tale politica, qualora venga attuata nei confronti di una collettività
già incline al pessimismo e di investitori già inclini alla riduzione dell’attività
produttiva. In questo caso la restrizione monetaria si presenta come “un
rimedio che cura la malattia uccidendo il paziente”.
4.7 MONETA, MERCATO DEL LAVORO E LIVELLO GENERALE DEI PREZZI
Nella teoria di Keynes, diversamente da quelle neoclassiche, non esiste un
nesso funzionale diretto tra M e P in assenza di variazioni durature di V e Y
(come accade per le teorie quantitative). Una variazione di M influenza P solo
dopo avere provocato variazioni nell’uso della moneta e nel livello del reddito
(vedi il paragrafo 4.5.1). Inoltre, P dipende fondamentalmente non da M ,
bensì da un fenomeno attinente alla sfera reale: il contratto di lavoro. Il salario
monetario w è la variabile principale nella determinazione di P .
In altri termini, per Keynes è:
(3)
P = P (w, Y )
e non come per i quantitativisti:
(4)
P = P (M )
Infatti variazioni nel livello di reddito Y
e dell’occupazione
N
comportano una crescita dei prezzi delle merci a causa della generale tendenza
a nutrire aspettative più ottimistiche sulla domanda futura, ma tale causa di
variazione è secondaria rispetto ai salari monetari e comunque controllabile da
parte dell’autorità che abbia avviato una politica di aumento del reddito e
dell’occupazione.
Come si vede dai grafici del paragrafo 4.5.1, al livello di produzione che
soddisfa la domanda effettiva Y corrisponde un certo livello di occupazione N ,
che dipende, in ultima istanza, dalle tre variabili che determinano il reddito
stesso Y , ovvero la propensione marginale al consumo c , l’efficienza marginale
del capitale e ed il saggio di interesse i . Per determinare il livello dei prezzi P
è inoltre necessario tenere conto del saggio di salario monetario w , contrattato
tra sindacati degli operai e degli imprenditori.
48
A questo proposito si può aggiungere che il grafico più in basso
nell’insieme dei grafici del paragrafo 4.5.1 (pagina 43) assomiglia a quello di un
mercato di lavoro neoclassico, ma non è così. Nella teoria di Keynes manca un
mercato del lavoro di tipo neoclassico, per determinare occupazione e salario
reale del lavoratore. Troviamo al suo posto una funzione di produttività
marginale del lavoro decrescente, che serve a determinare il livello dei prezzi
sulla base del salario monetario contrattato istituzionalmente e sulla base del
reddito Y determinato dalle tre variabili c , e ed i , in assenza di una funzione
di offerta di lavoro.
Nell’analisi neoclassica si hanno una funzione di domanda e una di offerta
di lavoro costruite secondo i noti principi marginalistici. Il loro punto di
incontro fissa il salario reale ed il livello di occupazione, che è piena
occupazione in condizione di equilibrio.
Nell’analisi di Keynes invece manca in primo luogo la funzione di offerta
di lavoro, perché la presenza di disoccupazione involontaria impedisce di
affermare che il lavoratore offre lavoro fino al punto in cui il saggio di salario
reale eguaglia la disutilità del lavoro. Il disoccupato involontario offre lavoro ad
un saggio di salario reale vigente ma non trova lavoro.
Inoltre, c’è una funzione di produttività marginale del lavoro, ma essa non
assolve al ruolo di funzione di domanda di lavoro, in base alla quale
determinare occupazione e salario reale. Essa serve, dato il livello di
occupazione determinato in base a Y ed in ultima istanza in base a c , e ed i ,
per fissare il livello dei prezzi in presenza di un salario monetario w contrattato
istituzionalmente.
49
w
P
w0
P0
⎛ w⎞
⎜ ⎟
⎝P⎠
N 0 è determinato da c , e , i
w è oggetto di contrattazione
*
Nd
N0
N*
N
Nell’analisi di Keynes, per concludere, fino al livello di piena occupazione:
♦ i lavoratori non sono in grado di influire direttamente su N mediante
variazioni di w ;
♦ essi possono solo contrattare il salario monetario, ma il loro salario
reale w dipende, oltre che dal salario monetario, anche dal reddito Y e
P
quindi anche da c , e ed i . In particolare, dipende dalle decisioni di
investimento degli imprenditori, mentre nella teoria neoclassica accade
il contrario: gli imprenditori decidono il livello di produzione in base al
salario reale che si forma sul mercato del lavoro.
Se il livello di occupazione non è quello di piena occupazione, non è la
riduzione del salario monetario che consente di modificarlo, ma soltanto un
aumento del reddito e dunque una variazione di c , e ed i . In sostanza i
lavoratori sono assai poco responsabili del livello di occupazione. Lo sono in
quanto il salario monetario che essi chiedono ed ottengono influenza c , e ed i ,
ovvero le decisioni di consumo, di investimento e di uso della moneta da parte
della collettività.
50
5 – LA TEORIA NEONEOCLASSICA DELLA MONETA
5.1 I SALDI REALI DI CASSA E LA DOMANDA DI MONETA
La teoria neoneoclassica risale agli anni ’50 e deriva la sua concezione
della moneta da Pigou; essa mostra che la moneta è trattenuta dall’individuo
come riserva di valore, poiché consente di fare fronte a scarsità improvvise di
liquidità dovute principalmente a variazioni nel livello generale dei prezzi o nei
prezzi di singole merci, che non possono essere previste in ogni istante del
tempo.
La moneta è quindi una forma patrimoniale il cui valore è il potere
1
, determinato dall’incontro della domanda e
P
dell’offerta di moneta. Il concetto chiave su cui si basa la teoria neoneoclassica è
d’acquisto sulle merci, ossia
quello di “saldi reali di cassa”, o scorta di liquidità in termini reali a
disposizione di un individuo o, per aggregazione, della collettività:
M
.
P
Come Pigou, anche i neoneoclassici, tra cui Patinkin, sostengono che ogni
individuo trattiene sotto forma liquida una quota della sua ricchezza. Di
conseguenza la domanda di moneta è esprimibile con la funzione
(1)
L = kPR
La ricchezza è quindi esprimibile in questo modo:
(2)
R=
M K + TS
+
P
P
dove K è il capitale reale e TS i titoli di stato.
La differenza fondamentale rispetto alla teoria di Pigou sta nel fatto che
per i neoneoclassici ogni individuo detiene in forma liquida una porzione di
ricchezza che dipende non soltanto dalla variabili reali, ma anche dai saldi reali
di cassa. Questo significa che k non è invariante al variare di M : se aumenta la
moneta disponibile per un individuo ad un dato livello dei prezzi, aumenta
anche il desiderio di detenere ricchezza in forma liquida da parte dell’individuo
in questione, poiché questi si sente più ricco. Analogamente, se si riduce il
51
livello generale dei prezzi, a data quantità di moneta disponibile, aumenta per
l’individuo il desiderio di detenere ricchezza in forma liquida. Accade il
contrario se invece diminuisce M o aumenta P . Questo fenomeno è noto come
“effetto ricchezza”.
Come si può constatare, Patinkin introduce un’ipotesi di comportamento
diversa da quella di Pigou quando deve definire l’ammontare di ricchezza che
un individuo desidera trattenere in forma liquida e, dunque, la domanda di
moneta.
Risulta infatti che
(3)
⎛ M⎞
k = k ⎜ i, ⎟
⎝ P⎠
e di conseguenza che
(4)
⎛ M
L = k ⎜ i,
⎝ P
⎞
⎟ PR
⎠
o anche, poiché in equilibrio neoclassico il rapporto
(5)
⎛ M
L = k ⎜ i,
⎝ P
⎞
⎟ PY
⎠
L
⎛ M
= k ⎜ i,
P
⎝ P
⎞
⎟R
⎠
R
è una costante
Y
o anche
(6)
Consideriamo ora le caratteristiche della funzione di domanda di moneta
secondo Patinkin. Supponiamo che ad un dato livello dei prezzi gli individui
detengano una scorta di moneta pari ad M . Se il livello dei prezzi aumenta, essi
fanno fronte alla loro spesa aumentando la domanda di moneta, ma
contemporaneamente riducono le loro scorte liquide (ovvero k diminuisce)
poiché si sentono più poveri, proprio in quanto il livello dei prezzi è aumentato.
Questo significa che all’aumentare del livello dei prezzi, la domanda di moneta
aumenta, ma meno che proporzionalmente.
52
Viceversa, se il livello dei prezzi diminuisce, gli individui domandano
meno moneta, ma contemporaneamente aumentano le scorte liquide (ovvero k
aumenta) poiché si sentono più ricchi in quanto il livello dei prezzi è diminuito.
Questo significa che al diminuire dei prezzi la domanda di moneta diminuisce
ma meno che proporzionalmente.
⎛ 1⎞
La funzione di domanda di moneta nel piano ⎜ L, ⎟ è decrescente, ma
⎝ P⎠
con una inclinazione diversa rispetto a quella prevista da Pigou. Per Pigou,
infatti, k è costante al variare della quantità di moneta o al variare del livello
dei prezzi (dipende infatti soltanto da i , che è variabile reale), sicché domanda
di moneta e livello generale dei prezzi variano in maniera proporzionale. Per
M
, sicché la quantità di moneta
P
domandata aumenta al crescere del livello dei prezzi, ma meno che
Patinkin, invece, k è anche funzione di
proporzionalmente. La funzione è dunque più rigida rispetto alla iperbole
equilatera.
1
P
L
Introducendo anche la funzione di offerta di moneta M esogena, si
individua l’equilibrio sul mercato della moneta.
53
1
P
E
1
P1
M
L, M
5.2 IL MECCANISMO DIRETTO DI TRASMISSIONE E GLI EFFETTI DI UNA
VARIAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA
Al crescere di M ed a parità di livello dei prezzi aumenta la disponibilità
di moneta, ossia ogni individuo si trova possedere una maggiore quantità di
moneta. Ma cosa accade ora alla funzione L che rappresenta la domanda di
⎛ 1⎞
moneta nel piano ⎜ L, ⎟ ? Sappiamo che tale funzione è parametrica rispetto ad
⎝ P⎠
M , cioè che se varia la quantità di moneta muta anche la posizione della
funzione L nel piano considerato. Questo spostamento è dovuto all’effetto
ricchezza. Infatti, a quel livello dei prezzi, ogni individuo, possedendo una
maggiore quantità di moneta, si sente più ricco ed aumenta le proprie scorte
liquide: k aumenta per il sistema nel complesso. Quando M aumenta, tuttavia,
non tutta la maggior moneta disponibile viene trattenuta. Graficamente ciò
significa che la funzione L non si sposta fino al punto di ascissa B e ordinata
1 , ma si sposta fino ad un punto compreso nel segmento E ′B , che indichiamo
P1
con A . Infatti, ogni individuo desidera non solo aumentare le sue scorte di
liquidità, ma a quel livello dei prezzi desidera anche aumentare la disponibilità
di tutte le altre forme patrimoniali. Dunque ogni individuo si trova a disporre
di un eccesso di saldi di cassa reali rappresentato graficamente dal segmento
AB .
54
1
P
(2)
1
P1
E’
A
B
(1)
(2)
(3)
(4)
(3)
E’’
1
P2
LA
M1
LB
M2
(4)
L, M
(1)
L’eccesso di saldi reali di cassa provoca una maggiore spesa. Ma, in
condizioni di equilibrio neoclassico (cioè in equilibrio di piena occupazione), la
maggiore spesa fa aumentare i prezzi. Gli individui continuano a spendere i
saldi in eccesso. Graficamente ciò significa che ora ci si muove lungo la
funzione LB , fintanto che l’aumento di P non abbia completamente assorbito
l’intera moneta aggiuntiva. Nel contempo k , che era aumentato, si riduce
M
torna ad un
P
valore esattamente pari a quello che aveva nel punto E ′ , ossia k assume il suo
progressivamente a mano a mano che aumenta P . Ciò perché
valore originario: per ogni individuo si è ristabilita la composizione di
portafoglio che si aveva nella posizione di equilibrio iniziale. L’effetto definitivo
dell’espansione monetaria è un aumento del livello generale dei prezzi. Ogni
posizione di equilibrio presenta un
M
costante, ossia un k costante. Il luogo di
P
tali punti è un’iperbole equilatera.
Riassumendo i vari passaggi:
1. aumenta la quantità offerta di moneta e M 1 si sposta verso destra;
2. i consumatori, a quel livello dei prezzi, si sentono più ricchi e quindi la
funzione di domanda di moneta si sposta verso destra. Tuttavia, lo
spostamento non arriva al punto B , poiché la moneta in eccesso viene
55
spesa solo in parte ( AB ) , mentre in parte viene trattenuta – saldi reali
di cassa (E ′A) ;
3. poiché la maggiore moneta è spesa in una situazione di equilibrio
neoclassico di piena occupazione (le quantità prodotte rimangono le
stesse), i prezzi aumentano. Questo significa che il potere d’acquisto
della moneta si riduce: ci si sposta lungo LB verso il basso, fino a
quando i prezzi assorbono tutta la maggiore moneta disponibile,
ovvero fino al punto E ′′ . A mano a mano i prezzi aumentano, gli
individui si sentono più poveri e spendono le riserve. Nel punto E ′′ il
k è uguale a quello del punto E ′ , ovvero, per ogni individuo si è
ristabilita la composizione di portafoglio che aveva all’inizio;
4. l’effetto definitivo è un aumento del livello generale dei prezzi, mentre
ogni punto di equilibrio presenta la stessa quota di ricchezza trattenuta
in forma liquida, ovvero k è costante.
In sostanza viene riconfermata la soluzione di Pigou, ma con un
meccanismo di trasmissione modificato. La moneta assolve la funzione di fondo
di valore, come Pigou affermava, ossia viene trattenuta a causa dell’incertezza
derivante dalla incompleta conoscenza dei prezzi e delle quantità di merci
scambiate nel futuro. Si noti, tuttavia, che questa concezione della moneta come
fondo di valore non ha nulla a che fare con l’incertezza keynesiana e con il
conseguente motivo speculativo per domandare moneta. Semmai si ha
somiglianza con il motivo precauzionale della teoria keynesiana.
5.3 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE INDIRETTO E GLI EFFETTI DELLA
VARIAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA: LO SCHEMA IS − LM
Patinkin realizza la “sintesi neoclassica”, cercando di rendere compatibili
la teoria di Pigou e quella di Keynes. A tale scopo adotta da un lato lo schema
IS − LM assumendo che esso riassuma correttamente la teoria di Keynes (si
ricordi che nello schema IS − LM sono state eliminate le aspettative di reddito
oltre che le aspettative sul saggio di interesse, ossia i caratteri più originali della
teoria di Keynes); dall’altro lato assume la tesi neoclassica secondo cui il saggio
di interesse ha natura reale e intende l’equilibrio come equilibrio di piena
occupazione. Si viene dunque a riaffermare la distinzione tra saggio di interesse
56
reale e monetario, e viene riaffermato che il saggio di interesse monetario
(prezzo per i fondi liquidi) si uniforma al saggio di interesse reale qualora per
qualche motivo sia avvenuto uno scostamento tra i due.
Ad assicurare l’eguaglianza tra i due tassi è il principio delle scelte di
portafoglio: ogni individuo sceglie la composizione del proprio portafoglio
guardando al saggio di rendimento delle varie attività patrimoniali e si trova in
equilibrio quando i vari saggi di rendimento sono eguali, compresso il saggio di
interesse monetario. In altri termini, vi è per Patinkin elevata sostituibilità tra le
varie attività patrimoniali e la moneta. Per convertire in moneta un’attività
patrimoniale l’individuo va incontro a rischi calcolabili (tanto più quanto più
stabile è il sistema nell’equilibrio di piena occupazione). Proprio grazie
all’elevata sostituibilità tra attività patrimoniali e moneta, l’individuo detiene le
varie forme patrimoniali in modo da rispettare il principio di eguaglianza dei
saggi di rendimento, cosicché anche il saggio di interesse monetario tende ad
eguagliare il saggio di interesse reale.
Chiediamoci ora quali sono gli effetti di una espansione monetaria quando
il sistema si trova nella normale condizione di equilibrio di piena occupazione
neoneoclassica; utilizziamo a questo scopo lo schema IS − LM , tenendo però
conto degli effetti che i saldi reali di cassa hanno sulla domanda di moneta e
sulla domanda di beni.
La funzione LM nell’ottica neoneoclassica deve essere formulata come
segue:
(7)
⎛ M
M = k ⎜ i,
⎝ P
⎞
⎟ PY
⎠
M
⎛ M
= k ⎜ i,
P
⎝ P
⎞
⎟Y
⎠
o anche
(8)
Questo significa che la LM nel piano (i, Y ) è parametrica rispetto a
M
.
P
A sua volta, la funzione IS sarà ottenuta tenendo conto del fatto che il
consumo dipende non solo dal reddito ma anche dal saggio di interesse e dalla
57
ricchezza finanziaria in termini reali (nella quale sono compresi anche i saldi
reali di cassa), ossia
(9)
C = C (Y , i, R )
Ne segue che la funzione di risparmio sarà data da
(10)
S = S (Y , i, R )
Possiamo inoltre ipotizzare, come nel modello Hicks – Hansen che
(11)
I = I (i )
e dunque la IS neoneoclassica sarà espressa così:
(12)
S (Y , i, R ) = I (i )
Ciò significa che al variare di
parametrica rispetto a
M
essa si sposta nel piano (i, Y ) : è dunque
P
M
.
P
Consideriamo gli effetti di una espansione monetaria. In primo luogo si
verifica una diminuzione del saggio di interesse monetario, ossia la LM si
sposta verso il basso. La riduzione del saggio di interesse monetario fa
aumentare la domanda di beni di investimento. Nel contempo aumentano i
saldi di cassa reali e se ne ha un eccesso, per cui vengono spesi in beni di
consumo durevole. Graficamente ciò significa che non solo la LM si sposta
verso il basso, ma che si ha anche un aumento della domanda complessiva,
ossia che anche la IS dovrebbe spostarsi verso destra.
58
i
LM 0
(2)
(3)
LM 1
(1)
i*
IS1
IS0
Y*
Y
Tuttavia, poiché abbiamo ipotizzato la situazione di piena occupazione, a
mano a mano che aumenta la domanda complessiva di beni la produzione
rimane inalterata con la conseguenza di un forte aumento dei prezzi P : dunque
lo spostamento della IS è solo virtuale, ossia non ha luogo. A sua volta, inoltre,
la LM , che si è spostata verso il basso, torna nella posizione originaria, poiché
l’aumento dei prezzi assorbe la maggiore moneta e il saggio di interesse
monetario automaticamente ritorna al livello iniziale. In sostanza, il sistema
rimane nella posizione di equilibro iniziale, salvo che si è verificato un aumento
del livello dei prezzi proporzionale all’aumento della quantità di moneta: vale
dunque la teoria quantitativa.
Da quanto precede possiamo trarre un’indicazione di politica economica:
se il sistema economico si trova in equilibrio di piena occupazione, la politica
monetaria è solo fattore di disturbo, dunque è inopportuna. Infatti:
1. se la moneta è distribuita in modo da lasciare inalterata la precedente
ripartizione, si ha inflazione;
2. se questo non accade, si ha anche variazione dei prezzi relativi e questo
disturba l’attività reale che aveva trovato da sé la sua posizione di
equilibrio (effetto Cantillon).
59
Supponiamo ora che il sistema economico non si trovi in equilibrio di
piena occupazione, bensì si trovi nella situazione keynesiana di non piena
occupazione, per cui N < N * e Y < Y * . Analizziamo gli effetti di una variazione
della quantità di moneta, che viene attuata perché, per esempio, si ritiene,
keynesianamente, che possa portare verso la piena occupazione.
L’aumento di M provoca un abbassamento del saggio di interesse
monetario e uno spostamento verso il basso della LM . Intanto si verifica un
effetto ricchezza e, insieme, un eccesso di saldi di cassa reali. Gli individui non
solo aumentano le scorte liquide, ma spendono parte della maggiore moneta di
cui dispongono. Poiché non si è in equilibrio di piena occupazione, la maggiore
domanda di beni attiva la produzione: la caduta di i provoca un aumento della
domanda di beni di investimento ed un aumento della domanda di beni di
consumo durevole. Dunque si sposta anche la IS verso destra (questa volta di
fatto). Cresce il reddito reale e cresce l’occupazione, e ciò può proseguire finché
non sia raggiunta la piena occupazione.
IS2
i
IS1
LM 1
LM 2
(1)
(2)
i1
i2
Y1
60
(3)
Y2
Y*
Y
Si può quindi affermare che in questo caso (dove Y < Y * ) la politica
monetaria espansiva è opportuna ed efficace.
Tuttavia, i neoneoclassici osservano che il sistema economico si trova
normalmente in equilibrio di piena occupazione. Se vi fosse equilibrio di
sottoccupazione sarebbe solo per cause di tipo transitorio, o per imperfezioni
del mercato o rigidità che mantengono tale sottooccupazione. Se questi
fenomeni venissero eliminati, lascerebbero il sistema libero di tornare
automaticamente alla piena occupazione. I neoneoclassici ne concludono che la
politica monetaria non è in sé necessaria; può al massimo servire a favorire un
movimento che avrebbe comunque luogo automaticamente ed accelerare i
tempi di ritorno alla “normalità” dell’equilibrio di piena occupazione.
Le rigidità cui fanno riferimento i neoneoclassici sono per esempio:
♦ un salario monetario rigido, ossia troppo alto rispetto alla produttività
marginale del lavoro a quel livello dei prezzi: in questo caso è
l’atteggiamento dei sindacati dei lavoratori a tenere il sistema in
disoccupazione. (Si noti che in questo modo è stata completamente
ribaltata la tesi di Keynes circa l’opportunità di salari rigidi verso il
basso per ottenere la piena occupazione, così come si è capovolta la sua
tesi circa l’impossibilità dei lavoratori di influire sul livello di
occupazione);
♦ un saggio di interesse monetario troppo elevato rispetto al saggio di
interesse reale. In questo caso particolare gli individui rinunciano ad
attività di investimento e dunque Y < Y * . La responsabilità della
disoccupazione sta nella politica attuata dall’autorità monetaria o dalle
banche e la disoccupazione deriva da una carenza di liquidità per il
finanziamento del settore privato.
In definitiva, lasciando che il salario monetario ed il saggio di interesse
monetario si muovano liberamente, si creano effetti identici a quelli ottenibili
con una espansione della quantità di moneta. Infatti una loro diminuzione
provoca una riduzione di P e dunque un aumento della quantità di moneta in
termini reali, proprio come se si fosse aumentata M a parità di P .
61
Se ne può concludere che la teoria neoneoclassica della moneta è una
teoria quantitativa, che riafferma la tesi neoclassica circa il nesso funzionale tra
M e P nel lungo periodo, a parità di Y e V . Variazioni di M provocano
variazioni di k (e dunque di V ) solo nel breve periodo. Quanto a Y , esso varia
al variare di M nel caso in cui il sistema sia fuori dall’equilibrio di piena
occupazione, ma la politica monetaria serve soltanto ad accelerare una tendenza
al ripristino dell’equilibrio di piena occupazione che è intrinseca al sistema
reale.
62
6 – I NEOKEYNESIANI
6.1 LA NEW ECONOMICS
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale le idee keynesiane
cominciarono ad essere sostenute tra gli economisti, in particolare negli Stati
Uniti, sebbene ci fossero molti ostacoli alla loro diffusione. James Tobin –
certamente l’economista statunitense che più a buon diritto può essere definito
keynesiano – osserva a questo proposito che tre furono gli ostacoli fondamentali
all’accettazione del keynesismo:
♦ l’opinione che la disoccupazione corrente fosse non di natura
involontaria
(come
affermava
Keynes),
ma
da
imputare
prevalentemente a qualifiche inadeguate e a scarsa formazione
professionale;
♦ l’opinione che la politica di spesa pubblica in deficit fosse nociva agli
investimenti privati;
♦ l’opinione che le fluttuazioni cicliche, con i conseguenti allontanamenti
dall’equilibrio di piena occupazione, fossero connaturate al sistema
economico, e dunque inevitabili.
In base a queste opinioni generalizzate la tesi di Keynes che la
disoccupazione involontaria costituisca il male peggiore dei sistemi economici
capitalistici e la conseguente proposta di attribuire alla politica economica il
compito prioritario di contrastare la normale condizione di equilibrio di
sottoccupazione risultavano difficilmente sostenibili. Si preferivano politiche
economiche congiunturali, mirate all’attenuazione dei fenomeni ciclici e
tendenti a rispettare il principio del bilancio statale in pareggio.
Soltanto con l’amministrazione Kennedy ci fu la tendenza a favorire una
politica economica mirata a modificare strutturalmente il livello del reddito e
dell’occupazione. Per questo si parla di “New Economics” e di impostazione
keynesiana sia della teoria economica che della politica economica. Il richiamo
alle tesi espresse da Keynes nella General Theory resta peraltro molto labile, in
primo luogo per il fatto che si accettò lo schema analitico Hicks – Hansen in
63
termini di relazioni di equilibrio IS e LM , assai poco rispettoso della
complessa impostazione teorica di Keynes.
Tra gli economisti che caratterizzarono la corrente neokeynesiana si
possono citare Paul Samuelson e Franco Modigliani.
6.2 LA PRIMA FASE DELL’ECONOMIA NEOKEYNESIANA: GLI INTERVENTI
DI POLITICA ECONOMICA PER RAGGIUNGERE L’EQUILIBRIO DI PIENA
OCCUPAZIONE
6.2.1 Lo schema IS − LM
e le ipotesi di comportamento proposte dai
neokeynesiani
Ciò che caratterizza fortemente la teoria neokeynesiana sono le ipotesi di
comportamento che riguardano le decisioni investimento e di impiego della
moneta, tali per cui le funzioni IS e LM assumono particolari elasticità nel
piano (Y , i ) .
Analizziamo per prima cosa le ipotesi sulla funzione degli investimenti. Le
decisioni di investimento produttivo sono considerate indipendenti dal saggio
di interesse: esse dipendono fondamentalmente dal saggio di profitto ottenuto.
Di conseguenza, la funzione di investimento
(1)
I = I (i )
tende alla verticale, e di conseguenza anche la IS .
64
i
i
I = I (i )
IS
Y
I
Analizziamo ora invece le ipotesi sui mercati della moneta e dei titoli. Per i
neokeynesiani c’è elevata sostituibilità tra moneta e attività finanziarie. Di
conseguenza, modesti aumenti del saggio di interesse convincono gli individui
a rinunciare alle scorte di moneta per acquistare attività finanziarie che
garantiscono un rendimento positivo. La domanda di moneta L è quindi molto
elastica, e per costruzione lo sarà anche la LM .
i
i
LM
L
L
Y
65
6.2.2 Gli effetti della politica monetaria e della politica fiscale sull’economia reale
Grazie alle ipotesi di comportamento appena introdotte i neokeynesiani
possono affermare che la politica fiscale (politica di aumento della spesa
pubblica o di riduzione delle imposte) è più efficace della politica monetaria per
aumentare il reddito Y e l’occupazione N .
Date le inclinazioni della IS e della LM , un’espansione monetaria genera
modesti effetti sul reddito, come mostrato dal grafico.
i
IS
LM 1
LM 2
i1
i2
Y1
Y2
Y*
Y
Invece, la politica fiscale influenza il livello del reddito, senza rilevanti
effetti sul saggio di interesse, e dunque senza spiazzamenti degli investimenti
privati (dove per spiazzamento s’intende il fenomeno per cui, attraverso una
maggiore spesa pubblica, il tasso di interesse aumenta, facendo diminuire gli
investimenti privati).
66
IS2
i
IS1
LM 1
i2
i1
Y1
Y2
Y*
Y
Infine, si può osservare che, contrariamente a quanto affermava Keynes e
in accordo invece con le tesi neoclassiche e neoneoclassiche, per i neokeynesiani
la flessibilità dei salari monetari è in grado di aumentare il livello del reddito e
dell’occupazione. Sulla base dello schema IS − LM e tendendo conto delle
ipotesi precedenti, una riduzione dei salari monetari, e conseguentemente dei
prezzi, provoca uno spostamento a destra della LM , perché diminuisce la
domanda di moneta transazionale, e anche della IS , per l’effetto ricchezza, con
gli effetti indicati su Y e N .
IS2
i
IS1
LM 1
LM 2
i1
i2
Y1
Y2
Y*
Y
67
6.3 IL COMPROMESSO CON I NEONEOCLASSICI (E I MONETARISTI)
Nel corso del tempo i neokeynesiani sono sempre più disposti ad accettare
il concetto di saldi reali di cassa. Di conseguenza convergono verso un modello
molto prossimo a quello neoneoclassico. Ne deriva in particolare che ora risulta
efficace anche la politica monetaria per aumentare reddito e occupazione,
indipendentemente dalle ipotesi di comportamento analizzate sopra.
A ciò si aggiunge che nei primi anni ’60 si raggiunge un “modello generale
di consenso”, in base al quale la IS e la LM risultano rispettivamente meno
rigida e meno elastica: questo accentua la rivalutazione della efficacia della
politica monetaria da parte dei neokeynesiani.
Contestualmente, cade il concetto di disoccupazione involontaria
introdotto da Keynes e si afferma che la disoccupazione è connessa
prevalentemente a imperfezioni del mercato del lavoro. Il normale livello di
occupazione è mantenibile con interventi sia di politica monetaria che fiscale,
opportunamente dosati (policy mix) in modo da raggiungere uno specifico
obiettivo di breve periodo, che può variare a seconda delle circostanze.
Per esempio, nel breve periodo per mantenere un dato livello di reddito e
di occupazione:
♦ in alcune circostanze, ad esempio fasi espansive del ciclo economico,
sarà opportuno provocare un elevato saggio di interesse, per prevenire
spinte inflazionistiche. In questo caso si adotterà un mix di politica
monetaria restrittiva e politica fiscale espansiva (elevata spesa pubblica
Æ linea di azione interventista);
♦ in altre circostanze, come nel caso di fasi depressive, sarà opportuno
provocare un basso saggio di interesse per favorire la domanda privata
di consumi e investimenti. Si adotterà allora un mix di politica
monetaria espansiva e politica fiscale restrittiva (bassa spesa pubblica
Æ linea di azione liberista).
Fondamentalmente, la politica
economica deve essere facilmente
adattabile alle circostanze ed è mirata all’eliminazione o alla riduzione delle
fluttuazioni cicliche intorno a un livello di reddito e di occupazione giudicato
normale. Si utilizzano gli strumenti disponibili per fornire una “regolazione
68
fine” (fine tuning) del sistema economico. Questo programma di interventi
allontana ulteriormente i neokeynesiani da Keynes, il quale era assai più
preoccupato di uscire da equilibri di sottoccupazione e intendeva il problema
della disoccupazione più come problema strutturale che congiunturale.
6.4 LA SECONDA FASE DELL’ECONOMIA NEOKEYNESIANA: IL PROBLEMA
DELL’INFLAZIONE E I NUOVI STRUMENTI DI ANALISI
6.4.1 Le funzioni di domanda e di offerta aggregata
Col passare del tempo nuovi obiettivi di politica economica si affiancarono
ai precedenti e stimolarono la ricerca di nuovi strumenti teorici, ai quali gli
economisti potessero affidarsi per affrontarli al meglio. Alla fine degli anni ’60
due problemi dominano la ricerca economica:
♦ il problema dell’inflazione
♦ il problema del saldo della bilancia dei pagamenti internazionali.
Il secondo problema verrà affrontato nell’appendice sull’economia aperta,
mentre qui consideriamo brevemente la natura del nuovo schema analitico di
riferimento introdotto per affrontare il problema dell’inflazione.
Spostando l’analisi sull’inflazione, l’attenzione si sposta alla coppia di
valori Y e P , ossia livello del reddito e livello dei prezzi. Introduciamo quindi
il nuovo schema analitico in queste due variabili: lo schema di domanda
aggregata e lo schema di offerta aggregata nelle due funzioni AD e AS .
La funzione di domanda aggregata AD è la seguente:
(2)
(
P = D Y , R , T ,G , M
)
dove D′( y ) < 0
69
i
P
LM (P2 )
IS
LM (P3 )
i1
i2
i3
P1 > P2 > P3
AD
Y
Y1 Y2 Y3
Essa è una relazione di equilibrio che esprime le coppie di valori (Y , P ) che
assicurano l’equilibrio simultaneo sul mercato dei beni e sul mercato della
moneta. Tale funzione è parametrica rispetto alle altre variabili indicate. Essa
può essere costruita in modo molto semplice, partendo da uno schema IS − LM
(che appunto individua l’equilibrio simultaneo sul mercato della moneta e sul
mercato dei beni, ma con riferimento alle variabili Y e i ). È sufficiente
considerare i valori che Y assume al variare del livello dei prezzi (ossia
spostando la funzione LM ). Si constata che al diminuire di P il reddito Y che
assicura l’equilibrio simultaneo sui mercati dei beni e della moneta cresce.
Quindi la AD è decrescente.
La funzione di offerta aggregata AS è invece la seguente:
(3)
P = S(y)
dove S ' ( y ) > 0
Essa esprime le coppie di valori (Y , P ) che garantiscono l’equilibrio nella
sfera della produzione (equilibrio del sistema delle imprese; nel breve periodo è
possibile limitarsi al mercato del lavoro, che è l’unico fattore variabile). È
costruita partendo dalla considerazione della funzione di produzione di breve
periodo (con K e T costanti)
70
Y
(4)
Y = Y (N )
⎧Y ′ > 0
dove ⎨
⎩Y ' ' < 0
Infatti al crescere del fattore lavoro il reddito aumenta (Y ' > 0 ) , mentre il
prodotto cresce ma con rendimenti decrescenti (Y ' ' < 0 ) .
Da tale funzione deriva la funzione neoclassica di domanda di lavoro
(5)
w
= Y ' (N )
P
che viene accettata dai neokeynesiani.
Per quanto riguarda invece la funzione di offerta di lavoro, i
neokeynesiani rifiutano la formulazione neoclassica e propongono la seguente:
(6)
w = w0 + w( N )
dove w0 è il salario contrattato. I neokeynesiani assumono cioè che i
lavoratori contrattino un salario monetario w che è composto di una parte
indipendente dal livello di occupazione ed una parte che tende a crescere
quando si raggiungono livelli di occupazione prossimi a N * .
Ne segue che il valore di w che assicura l’equilibrio del mercato del lavoro
è determinato dalla soluzione di questo sistema:
(7)
⎧w = Y ' (N )P
⎨
⎩w = w0 + w( N )
ossia
(8)
Y ' (N )P = w0 + w(N ) .
Risolvendo in P troviamo
(9)
P=
w0 + w( N )
Y ' (N )
o anche
71
(10)
P=
w0 + w(Y −1 (Y ))
Y ' (Y −1 (Y ))
La formula (9) [o la (10)] esprime una S (Y ) , dove S ' (Y ) > 0 perché
Y ′′( N ) < 0 e w′( N ) > 0 . Essa è una funzione di offerta aggregata in base alle
ipotesi di comportamento introdotte dai neokeynesiani per il mercato del
lavoro. Essa può essere così rappresentata graficamente:
P
AS
Y*
Y
Considerando ora le due funzioni di domanda e di offerta aggregata
simultaneamente, si ottiene la coppia (Y , P ) che assicura l’equilibrio
♦ sul mercato dei beni;
♦ sul mercato della moneta;
♦ sul mercato del lavoro.
Può trattarsi di un equilibrio di piena occupazione (punto E ' ) oppure di
un equilibrio di sottoccupazione (punto E ' ' ).
72
AS
AD
P
E’
AD
E’’
Y*
Y
6.4.2 Inflazione da domanda e inflazione da costi
Lo schema AS − AD viene impiegato dai neokeynesiani per distinguere
l’inflazione da domanda dall’inflazione da costi.
1. L’inflazione da domanda è generata da variazioni delle variabili che
determinano la posizione della AD nel piano (P, Y ) : aumenti della
spesa pubblica G , espansioni di M , riduzione delle imposte T ecc.
L’effetto è sempre un aumento dei prezzi. Nel caso in cui N < N * , si
può anche avere un modesto incremento del reddito.
P
AD1
AD1
AD2
AS
AD2
P2
P1
Y1
Y2
Y*
Y
73
2. L’inflazione da costi è generata da aumenti nelle componenti del costo
di produzione: nel breve periodo si tratta, tipicamente, di aumenti nel
costo del lavoro. L’effetto è ancora un aumento dei prezzi,
accompagnato da una riduzione del reddito.
P
AD
P2
P1
AS 2
AS1
Y2 Y1
Y*
Y
6.4.3 La curva di Phillips e la funzione di Samuelson – Solow
Accanto allo schema AS − AD viene introdotto un altro strumento
analitico per affrontare il problema dell’inflazione. Anziché le variazioni del
livello dei prezzi P in assoluto, istante per istante, si preferisce considerare il
tasso di crescita dei prezzi o tasso di inflazione. Esso individua gli incrementi di
P relativamente al livello di inflazione già raggiunto:
(11)
dP
dP 1
p& = P =
⋅
dt
dt P
1
Tenendo conto che ci si sta occupando di variazioni nel breve periodo, si
parte dalla considerazione di una relazione empirica che era stata individuata
negli anni ’50, detta curva di Phillips: questa relazione mostra che il tasso di
74
crescita dei salari monetari sta in relazione inversa rispetto al tasso di
occupazione.
Definiti il tasso di crescita dei salari monetari come
(12)
w& =
dw 1
⋅
dt w
e il tasso di disoccupazione come
(13)
u=
U
popolazione attiva
dove U indica il numero dei disoccupati e la popolazione attiva indica gli
individui che possono lavorare, ovvero in età da lavoro. Allora la funzione di
Phillips è la seguente
(14)
w& = g (u )
⎧ g ' (u ) < 0
dove ⎨
⎩ g ' ' (u ) > 0
w&
u*
u
Come mostra il grafico, se il tasso di disoccupazione diminuisce – ovvero
aumenta il numero degli occupati – il tasso di crescita dei salari monetari cresce
tanto più rapidamente quanto più u si avvicina a zero. Il punto u * indica il
tasso di disoccupazione esistente a tasso di crescita dei salari nullo (salari
75
monetari stabili). Questo tasso è ineliminabile e per questo è definito tasso di
disoccupazione naturale.
La relazione di Phillips rappresenta in origine solo una regolarità
empirica, cui si cercò di dare dignità teorica in vari modi. Per esempio, si rilevò
che il tasso di crescita dei salari è positivo e rapidamente crescente quando la
domanda di lavoro è particolarmente vivace; viceversa, quando aumenta la
disoccupazione, i lavoratori sono disposti a salari più bassi.
Dalla relazione di Phillips i neokeynesiani Samuelson e Solow trassero una
relazione assolutamente identica tra tasso di crescita dei prezzi nel breve
periodo e tasso di disoccupazione:
(15)
p& = f (u )
⎧ f ' (u ) < 0
dove ⎨
⎩ f ' ' (u ) > 0
p&
u*
u
Questa relazione individua un trade–off tra inflazione e disoccupazione.
Ciò significa che non è possibile ridurre il tasso di inflazione senza incorrere in
un aumento del tasso di disoccupazione e viceversa. In altri termini, la politica
economica diretta alla soluzione di un problema inevitabilmente comporterebbe
effetti negativi per la soluzione dell’altro. Il compito fondamentale per la
politica economica è dunque quello di scegliere una combinazione di inflazione
e disoccupazione in base a qualche criterio particolare.
76
Sono state proposte molteplici soluzioni alternative per la determinazione
del criterio di riferimento.
1. Muovendosi in una prospettiva neoclassica, Lipsey individua una
funzione di benessere sociale e trova la combinazione
( p& , u )
che
massimizza il benessere sociale, sotto vincolo della curva di Samuelson
– Solow.
2. Muovendosi in una prospettiva neokeynesiana, Modigliani afferma
che esistono varie posizioni di equilibrio per il sistema economico (una
di piena occupazione e molteplici di sottoccupazione), ognuna
caratterizzata da una diversa coppia
( p& , u ) .
Il compito della politica
economica consiste nello scegliere di volta in volta la coppia di valori
più consona alle circostanze contingenti.
3. Muovendosi in una prospettiva neoneoclassica, si afferma che esiste un
equilibrio al quale il sistema tende: quello nel quale il tasso di
inflazione
è
nullo.
Tale
posizione
è
definita
“equilibrio
di
disoccupazione naturale”, perché esprime una situazione nella quale
non ci sono eccessi di domanda o di offerta per nessuna merce.
77
7 – I MONETARISTI
7.1 LA PRIMA FASE: LA CONTRAPPOSIZIONE CON I NEOKEYNESIANI
SULLA BASE DELLO SCHEMA IS − LM
Come si è visto, la New Economics dei neokeynesiani tende a ripristinare
l’interventismo in politica economica, assumendo Keynes come suo punto di
riferimento, anche se di fatto gli strumenti analitici adottati (lo schema IS − LM
in una prima fase, lo schema AS − AD e le funzioni di Phillips e di Samuelson –
Solow in una seconda fase) inducevano a proposte di politica economica non
esattamente concordi con quelle di Keynes. In ogni caso, i neokeynesiani
riuscirono a spostare l’attenzione degli economisti sul problema dell’intervento
pubblico in economia, soprattutto nell’ambito fiscale.
A loro si opposero i monetaristi, così chiamati non certo perché abbiano
difeso la politica monetaria nei confronti dei neokeynesiani inclini a favorire
l’intervento di tipo fiscale, ma perché concentrarono l’attenzione sugli effetti
della politica monetaria, che, come vedremo, essi giudicarono negativamente,
almeno per quanto riguarda la politica monetaria espansiva. I monetaristi
ebbero il loro centro teorico a Chicago, cosicché vengono spesso indicati anche
come “scuola di Chicago” e il loro capostipite è Milton Friedman.
Per elaborare le loro tesi sulla politica economica essi accolsero gli
strumenti analitici proposti dai neokeynesiani, cosicché anche per loro
possiamo distinguere due periodi: il primo è caratterizzato dall’impiego dello
schema IS − LM , mentre il secondo è caratterizzato dall’impiego dello schema
AS − AD e dalla curva di Samuelson – Solow.
Ovviamente, ciò che li distingue sono le ipotesi di comportamento che essi
introducono e che sono radicalmente diverse da quelle dei neokeynesiani. Ne
segue inevitabilmente che anche le loro tesi sugli effetti e sulla validità della
politica
monetaria
e
della
politica
fiscale
sono
totalmente
diversi.
Sinteticamente, il loro obiettivo teorico consiste nel riproporre la teoria
quantitativa della moneta, mentre il loro obiettivo di politica economica
consiste nel sostenere che la politica monetaria espansiva e la politica fiscale
espansiva sono inefficaci o destabilizzanti.
78
Nel successivo paragrafo consideriamo la prima fase del monetarismo: ci
riferiamo, dunque, allo schema IS − LM .
7.1.1 Le premesse fondamentali della teoria monetarista
Rifacendosi al meccanismo dei saldi reali di cassa di Patinkin, Friedman
parte da due premesse:
1. il sistema economico si trova normalmente in un equilibrio stabile, al
quale tende anche quando ne è allontanato per effetto di shock esogeni
da domanda o per effetto di rigidità interne (dei salari monetari o del
saggio di interesse);
2. gli individui agiscono sulla base di aspettative.
7.1.2 La teoria monetarista delle aspettative e il concetto di reddito atteso
Consideriamo subito la teoria monetarista delle aspettative (alla quale è
connessa una nuova formulazione del concetto di ricchezza). Per comprendere
le tesi monetariste, consideriamo le aspettative che l’individuo formula circa il
suo reddito. Riferiamoci ad un individuo che, alla fine di un periodo t (anno,
mese), valuta il suo reddito per il successivo periodo t + 1 . Indichiamo con ytP
tale reddito previsto per il prossimo periodo.
L’individuo, poiché agisce all’interno di un sistema stabile, formula la sua
previsione sulla base della previsione che aveva formulato nel periodo
precedente per il periodo appena trascorso. Si limita a correggere tale
previsione in base all’errore che ha potuto riscontrare tra reddito previsto e
reddito effettivamente percepito.
Sarà perciò:
(1)
(
ytP = ytP−1 + ϑ yt − ytP−1
)
dove 0 < ϑ ≤ 1
79
e dove ytP−1 è appunto il reddito che l’individuo aveva previsto per il
periodo appena trascorso. A partire dalla (1) si può ottenere, mediante un
processo iterativo, una seconda formulazione delle aspettative di reddito:
(2)
y tP
n
ϑ ∑ (1 − ϑ )i y t −i
i =0
Possiamo interpretare il risultato come segue:
♦ l’individuo formula le sue aspettative sul futuro in base alle esperienze
che ha avuto nel passato;
♦ attribuisce maggior peso alle esperienze più prossime nel tempo
rispetto a quelle più lontane;
♦ “calcola” il suo reddito per il prossimo periodo mediante una media
dei redditi ottenuti in passato, moltiplicando ogni termine per un
fattore di ponderazione tanto più basso quanto più lontano nel tempo è
il reddito cui si riferisce;
♦ il simbolo n indica la “memoria” dell’individuo, ossia il numero di
periodi considerati;
♦ il simbolo ϑ è un indice di stabilità: un ϑ molto basso o tendente allo
zero rappresenta il caso in cui l’individuo deve ricorrere a molte
esperienze passate per formulare la sua aspettativa. Deve comportarsi
così perché constata che nel tempo il reddito che percepisce varia di
anno in anno, anche se con una regolarità intrinseca (per esempio
ciclica). Viceversa, un ϑ elevato o molto prossimo all’unità indica che
poche esperienze sono sufficienti per la previsione, poiché il reddito
percepito è sostanzialmente uniforme nel tempo o ha un andamento
regolarmente crescente o decrescente;
♦ si noti che se ϑ = 1 o se i = 0 il reddito è costante.
80
7.1.3 I concetti di reddito permanente e di ricchezza secondo i monetaristi
Dal concetto di reddito atteso per il prossimo periodo, si passa al concetto
di reddito permanente Y P , o reddito atteso per i periodi futuri in condizioni di
stabilità. In base a questo reddito, Friedman definisce un nuovo concetto di
ricchezza, inteso come il valore attuale del reddito permanente:
(3)
R=
YP
i
7.1.4 Lo schema IS − LM in base alle ipotesi di comportamento dei monetaristi
Su queste basi Friedman determina in modo nuovo i consumi, gli
investimenti e la domanda di moneta. Analizziamoli ora singolarmente.
1) Consumi
L’individuo decide il consumo al tempo t non in base al reddito percepito
YP
. Egli non può che
i
comportarsi così sulla base delle premesse monetariste introdotte sopra, poiché
al tempo t , bensì in base alla ricchezza, ovvero
il reddito al tempo t può essere soggetto a variazioni del tutto occasionali,
rispetto al normale trend. È ragionevole che un individuo si riferisca al reddito
che normalmente percepisce o, più in generale, all’esperienza passata di flusso
di reddito, per programmare i suoi consumi al tempo t , piuttosto che guardare
a variazioni occasionali. In sintesi, date le ipotesi monetariste esposte in
precedenza, il reddito permanente è il migliore indice di riferimento per
decidere il consumo in qualsiasi momento.
Per definire i consumi al tempo t non vale la relazione propria
dell’economia keynesiana
(4)
Ct = C (Yt )
ossia, in forma lineare
81
(5)
Ct = C0 + bYt
bensì la relazione
(6)
Ct = C (R )
dove
YP
R=
i
ossia
(7)
(
Ct = C Y P , i
)
che in forma lineare diventa
(8)
Ct = c
YP
= cR
i
In base a questa formula, il consumo risulta appunto sostanzialmente
stabile nel tempo e indipendente da variazioni occasionali del reddito corrente.
Ct
C (Y )
Yt
A questo si aggiunge che il consumo al tempo t (e in particolare il
consumo di beni durevoli) dipende anche dal saggio di interesse. A parità di
Y P , il consumo cresce quando il saggio di interesse diminuisce.
82
i
C (i )
Ct
2) Investimenti
Poiché ci si attende stabilità nel futuro e scostamenti solo occasionali,
l’individuo detiene moneta solo per far fronte a occasionali carenze di liquidità.
In altri termini, la sostituibilità delle attività patrimoniali di qualsiasi genere
(non solo obbligazioni, ma anche azioni, capitale reale, capitale umano, beni di
qualsiasi natura) rispetto alla moneta è molto elevata: in un sistema stabile la
conversione in moneta è soggetta soltanto a rischi calcolabili. Ne segue che gli
investimenti produttivi saranno molto sensibili alle variazioni del saggio di
interesse. Questo significa che anche piccole variazioni al ribasso del saggio di
interesse monetario rispetto al saggio di rendimento della attività reali
indurranno ad aumentare di molto gli investimenti.
La funzione degli investimenti è quindi molto elastica:
i
I (i )
I
83
In base al comportamento descritto relativamente a consumi ed
investimenti, si deduce che la funzione IS è molto elastica:
i
IS
Y
Essa può essere espressa così per i monetaristi:
(9)
(
)
Y = C Y P , i + I (i ) + G
oppure così
(10)
S (Y P , i ) = I (i )
dove S indica il risparmio.
3) La domanda di moneta
Posto che il sistema è stabile, anche le aspettative di reddito sono stabili.
Dunque non vi è motivo di trattenere moneta oltre le necessità correnti. Non
esiste domanda di moneta per scopo speculativo e la domanda a scopo
precauzionale è quasi nulla.
84
i
L
La domanda può essere formulata come segue:
(11)
(
)
L = k Y P , i, p& PY
La domanda di moneta è molto stabile, fatto salvo il caso in cui nel sistema
economico si dia un innalzamento del tasso di inflazione. In questo caso gli
individui diminuiranno l’ammontare dei saldi di cassa reali, ossia “fuggiranno”
dalle scorte liquide. Graficamente, ciò significa che la funzione L è parametrica
rispetto a Y P e rispetto a p& . Ne segue che la LM sarà tendenzialmente rigida.
La formula della LM è data da:
(12)
(
)
M S = k Y P , i, p& PY
i
LM
Y
85
7.1.5 Il giudizio dei monetaristi sulla politica monetaria e sulla politica fiscale
In base alle ipotesi di comportamento introdotte, possiamo ora impiegare
lo schema IS − LM per vedere come i monetaristi valutano gli effetti della
politica monetaria espansiva e della politica fiscale espansiva.
1) Politica fiscale
Consideriamo due casi: equilibrio di sottooccupazione (anomala per i
monetaristi) e di piena occupazione.
1. Se Y < Y * si può constatare che una politica fiscale espansiva provoca
variazioni del reddito, ma modeste. Viceversa, si danno variazioni
rilevanti del saggio di interesse, con notevole spiazzamento degli
investimenti privati.
i
LM
i2
i1
IS2
IS1
Y1
86
Y2
Y*
Y
2. Se invece Y = Y * una politica fiscale espansiva crea immediatamente
effetti reali (disoccupati volontari che si occupano) e aumenti del
saggio di interesse, ma anche aumenti dei prezzi, ossia un p& positivo.
Come riportato nel grafico seguente, si ha dunque uno spostamento
della IS verso l’alto, ma anche uno spostamento della LM verso l’alto,
poiché gli individui riducono i loro saldi di cassa e fanno crescere P .
(2)
LM 2
i
LM 1
B
i2
(3)
(1)
i1
A
(1)
IS2
IS1
(2)
Y*
Y
Ne segue che:
♦ gli effetti reali sono assorbiti;
♦ la crescita dei prezzi si blocca (ovvero l’inflazione ( p& ) si annulla);
♦ il saggio di interesse i aumenta e lo spiazzamento è totale;
♦ nel punto B , l’equilibrio finale, il livello di reddito è lo stesso di quello
iniziale, poiché non è possibile produrre di più.
Dunque, secondo i monetaristi, e in contrasto con i neokeynesiani, la
politica fiscale spiazza comunque gli investimenti privati ed è:
♦ efficace, ma in modo modesto, se Y < Y * ;
♦ inefficace ed inopportuna se Y = Y * .
87
2) Politica monetaria
Consideriamo anche qui due casi: equilibrio di sotto occupazione e di
piena occupazione.
MS
1. Se Y < Y , aumenti di
provocano riduzioni di i e spostamenti
P
della LM con forti variazioni di Y . In prima istanza, dunque, la
*
politica sembrerebbe essere opportuna.
i
LM 1
LM 2
i1
i2
IS
Y1
Y2
Y*
Y
2. Se invece Y = Y * si hanno solo effetti finali sui prezzi e nessun effetto
reale: infatti, l’espansione monetaria sposta la LM e si ha un nuovo
equilibrio con reddito più elevato. Però, per effetto delle aspettative
adattive, aumentano i prezzi e il tasso di inflazione p& diventa positivo.
Ne segue che la LM si sposta di nuovo e torna nel punto di equilibrio
iniziale, poiché tutta la maggiore moneta è assorbita dai prezzi. L’unico
effetto di lungo periodo è l’aumento dell’inflazione.
88
i
LM 1
LM 2
(1)
(2)
IS
Y*
Y
In conclusione, sebbene la politica monetaria possa generare effetti reali,
specie se Y < Y * , l’effetto di lungo periodo è l’instabilità sia dei mercati
finanziari che dei mercati reali. Infatti, in opposizione a Keynes, per il quale
l’instabilità del mercato della moneta e dell’economia reale trova la sua fonte
principale nella speculazione, ossia nella domanda di moneta, Friedman
afferma che la domanda di moneta è stabile, perché le aspettative di reddito
sono stabili e dunque sono stabili tutte le variabili che entrano nella funzione L
di domanda di moneta (compreso il tasso di inflazione p& ).
L’equilibrio sul mercato della moneta è dato da
(13)
M = k (Y P , i, p& )PY
ossia
(14)
M
1
= PY
k
o anche
(15)
M V = PY
dove k è stabile e quindi lo è anche V .
89
Se si dà variabilità di PY , ciò è solo dovuto alla politica monetaria attuata
dalla Banca Centrale: viene quindi riconfermata la validità della teoria
quantitativa, dato che l’instabilità dei prezzi è generata dalle variazioni
dell’offerta di moneta, indipendenti dalle necessità dell’economia reale.
Secondo Friedman, quando varia M varia anche PY per effetto di due
meccanismi:
1. meccanismo diretto di trasmissione (per il quale i prezzi aumentano
immediatamente);
2. meccanismo indiretto di trasmissione (poiché i diminuisce e aumenta
la domanda di beni di consumo e di investimento).
Perciò Y aumenta nel breve periodo, ma nel lungo periodo l’effetto è
unicamente sul livello dei prezzi, ossia si ha un tasso di inflazione p& positivo.
L’instabilità dei prezzi trova tra le sue cause la politica monetaria discrezionale
della Banca Centrale, poiché essa governa la moneta indipendentemente dalle
necessità dell’economia reale.
Nel caso in cui Y < Y * , la Banca Centrale non può pensare di ripristinare
l’equilibrio di piena occupazione mediante la politica monetaria espansiva:
infatti, se intervenisse, non farebbe altro che accrescere l’instabilità in atto, in
quanto non sarebbe comunque in grado di intervenire in tempo opportuno, non
essendo infatti in grado di conoscere la situazione. Al contrario, se si astenesse
dall’intervenire, i meccanismi automatici insiti nel sistema economico
riassorbirebbero gli shock esogeni.
In sostanza, una politica monetaria anticiclica rischia di rivelarsi di fatto
prociclica, mentre il sistema lasciato a sé stesso tornerebbe all’equilibrio. Questa
conclusione si può sintetizzare con il seguente grafico: l’intervento della Banca
Centrale genera ulteriore squilibrio e allontana nel tempo il ripristino
dell’equilibrio (linea tratteggiata), mentre i meccanismi automatici insiti nel
sistema (linea piena) conducono più rapidamente e dolcemente l’economia
verso l’equilibrio (grazie alle aspettative che si fanno ogni anno più corrette).
90
Y
reddito stabile
0
t1
tt
In conclusione, per i monetaristi:
1. la moneta influisce sull’economia reale, non vi è dunque dicotomia tra
sfera reale e sfera monetaria;
2. la moneta influisce in modo destabilizzante;
3. occorre eliminare la discrezionalità dell’autorità monetaria;
4. la Banca Centrale dovrebbe attenersi alla “regola rigida”: variare la
quantità di moneta nel tempo a un tasso di incremento prefissato,
tendenzialmente eguale al tasso di incremento medio del reddito reale
nel lungo periodo (il tempo necessario affinché gli individui riescano
ad avere aspettative corrette dopo lo shock esogeno).
7.2 LA SECONDA FASE DEL MONETARISMO: L’ACCETTAZIONE DELLO
SCHEMA AS − AD E DELLA CURVA DI PHILLIPS
7.2.1 Lo schema AS − AD secondo le ipotesi di comportamento dei monetaristi
Come si è visto nel paragrafo 6.4.1, alla fine degli anni ’60 il problema
dell’inflazione diventa fondamentale e i neokeynesiani adottano un nuovo
91
schema analitico di riferimento. Anche i monetaristi lo adottano, per
raggiungere conclusioni anti–interventiste e, dunque, opponendosi sia a Keynes
che ai neokeynesiani.
Consideriamo in primo luogo lo schema AS − AD e riformuliamo le
funzioni in base alle ipotesi di comportamento monetariste, che rimangono
quelle indicate nella sezione 7.1. Per quanto riguarda la funzione AD , la sua
formulazione non si discosta da quella dei neokeynesiani.
Diversa è invece la formulazione della funzione AS poiché in parte
diverse sono le ipotesi relative al mercato del lavoro. Come i neokeynesiani, i
monetaristi accettano la funzione di domanda di lavoro neoclassica, ossia
(14)
w
= Y ' (N )
P
Per quanto concerne invece l’offerta di lavoro, i monetaristi accusano i
neokeynesiani di attribuire ai lavoratori una illusione monetaria, in quanto
formulano la funzione di offerta di lavoro in termini di salario monetario. Non
solo, i monetaristi rifiutano anche l’offerta di lavoro neoclassica, fondata sul
confronto fra disutilità marginale del lavoro e saggio di salario reale. I
monetaristi, invece, affermano che i lavoratori contrattano il salario monetario
w , ma formulano aspettative, tipicamente adattive, sull’andamento del livello
w
. In altri
P
termini, i lavoratori non formulano richieste salariali in base al saggio di salario
reale, perché non conoscono l’effettivo andamento dei prezzi, ma in base ad
aspettative sul futuro andamento dei prezzi.
dei prezzi P , cercando di prevedere quale sarà il loro salario reale
A questo punto dobbiamo chiederci in che modo sono formulate le
aspettative adattive sul futuro andamento dei prezzi. Sulla base di un
ragionamento analogo a quello fatto per le aspettative di reddito (paragrafo
7.1.2), sarà:
(15)
da cui segue
92
(
Pt e = Pt e−1 + ϑ Pt − Pt e−1
)
Pt e
(16)
n
ϑ ∑ (1 − ϑ )i Pt −i .
i =0
Consideriamo ora un individuo che abbia un’esperienza di prezzi stabili a
livello P A : sarà quindi P e = P A . Se improvvisamente i prezzi aumentano,
ovvero se P B > P A , occorre un certo intervallo di tempo affinché l’individuo
modifichi le sue aspettative, ma prima o poi l’errore di previsione si annullerà e
i prezzi effettivi e quelli attesi coincideranno.
P
PB
ϑ =1
0 <ϑ <1
PA
t0
tt
t1
Infatti, prima o poi i lavoratori arriveranno ad adeguarsi perché le
aspettative più vecchie avranno sempre meno rilevanza. Periodo dopo periodo i
lavoratori si accorgono che il loro potere d’acquisto è inferiore e cercheranno di
fare previsioni sempre più corrette. Il tempo che i lavoratori impiegano a
rendersi conto e a chiedere aumenti salariali dipende da ϑ : tanto minore, tanto
maggiore è il tempo. I monetaristi definiscono il lungo periodo come l’intervallo
di tempo necessario affinché l’individuo, che formula aspettative adattive,
raggiunga previsioni corrette.
Torniamo ora al mercato del lavoro, che presenta queste caratteristiche:
♦ i datori di lavoro hanno conoscenza completa di w e di P ;
♦ i lavoratori conoscono solo w ed offrono lavoro confrontando la
disutilità marginale del lavoro non con
w
w
ma con e ;
P
P
♦ l’informazione è dunque incompleta e asimmetrica.
93
Di conseguenza, il mercato del lavoro può essere rappresentato così:
w
P
(
N s* P e = P
⎛ w⎞
⎜ e⎟
⎝ P ⎠1
⎛ w⎞
⎜ ⎟
⎝P⎠
)
(
N s1 P e < P
)
E
*
⎛ w⎞
⎜ ⎟
⎝ P ⎠1
Nd
N*
N1
N
Esiste una sola curva di domanda di lavoro, dato che gli imprenditori
confrontano il saggio di salario e la produttività marginale del lavoro e
formulano i prezzi, mentre invece la curva di offerta di lavoro è parametrica
rispetto alle attese di prezzo P e . Solo la funzione N s* consente di individuare
l’equilibrio di lungo periodo, mentre la funzione N s1 rappresenta la curva di
offerta di lavoro nel caso in cui P sia aumentato, mentre per un certo periodo i
lavoratori ne sottostimano l’aumento, e perciò offrono lavoro supplementare,
perché ottengono aumenti salariali tali che cresce il salario reale atteso
mentre diminuisce
w
,
Pe
w
w w
. In sostanza, per P e < P sarà < e e quindi N1 > N 0 .
P
P P
La funzione di offerta di lavoro risulta quindi essere formulata come
segue:
(17)
94
w
= h(N )
Pe
o anche in termini di N
(18)
⎛ w⎞
N = h −1 ⎜ e ⎟
⎝P ⎠
Mettendo a sistema domanda e offerta di lavoro otteniamo
(19)
⎧w = P ⋅ Y ′(N )
⎨
e
⎩w = P ⋅ h( N )
da cui si ottiene la funzione di offerta aggregata AS secondo le ipotesi dei
monetaristi:
(20)
Y ′( N ) =
Pe
⋅ h( N )
P
P = Pe ⋅
h( N )
Y ' (N )
ovvero
(21)
1. Se P e = P la AS si semplifica in
(22) Y ′( N ) = h( N )
o anche
(23)
Y ' (N )
=1
h( N )
Questa è dunque la AS “di lungo periodo” (perché nel lungo periodo
prezzi attesi e prezzi effettivi corrispondono) che corrisponde ad una
verticale nel punto di ascissa Y * .
e
2. Se invece P ≠ P si ha una situazione di breve periodo e la AS risulta:
(24) P = P e ⋅
(
)
h( N ) P e ⋅ h Y −1 (Y )
=
= P e ⋅ P (Y ) .
−1
Y ' (N )
Y ' Y (Y )
(
)
e
Si tratta di una funzione crescente e parametrica rispetto a P , ovvero
(
(25) P = S Y , P e
)
95
La funzione AS di breve periodo esprime quanto segue: all’aumentare
di P , i lavoratori sottostimano tale aumento e accettano salari monetari
che sono cresciuti, ma meno che proporzionalmente rispetto ai prezzi.
Credono di ricevere un salario reale più alto
w
, mentre in realtà ne
Pe
w
. Dunque si occupano in maggiore numero e
P
ricevono uno più basso
il reddito cresce.
La AS può inoltre essere semplificata passando ad una funzione (lineare)
nei logaritmi. Risolvendo in yt è:
(26)
(
pt = pte + α −1 yt − y *
)
oppure risolvendo in pt
(27)
(
yt = y * + α pt − pte
)
Questa è la funzione di Friedman – Phelps. Come si vede, quando yt = y *
la funzione è una retta verticale, mentre quando yt ≠ y * è una retta crescente.
p
AS ( L.P.)
AS ( B.P.)
y*
96
y
7.2.2 La riformulazione monetarista delle funzioni di Phillips e di Samuelson –
Solow
Anche le funzioni di Phillips e di Samuelson – Solow vengono considerate
dai monetaristi, ma rielaborate in base alle loro ipotesi di comportamento, ossia,
fondamentalmente, in base all’ipotesi che gli individui formulino aspettative
adattive di prezzo e che tali aspettative abbiano natura adattiva.
Poiché i lavoratori sono interessati al salario reale, ma non conoscono
l’andamento del livello dei prezzi P , sono costretti a formulare aspettative
adattive. Perciò la Phillips – Friedman risulta essere così costruita
(28)
w& = g (u ) + p& e
e di conseguenza la Samuelson – Solow – Friedman – Phelps sarà
(29)
p& = f (u ) + p& e
Si osservi che se p& = p& e , ossia nel breve periodo, l’andamento del livello
dei prezzi è stimato correttamente, i lavoratori chiederanno adeguamenti
salariali corretti, cosicché p& = w& . Le due funzioni si semplificano nelle seguenti
(30)
g (u ) = 0
(31)
f (u ) = 0 .
Questo significa che le due funzioni di lungo periodo sono verticali,
mentre nel breve periodo (quando cioè p& ≠ p& e ) corrispondono alle funzioni
originali, anche se sono parametriche rispetto a p& e .
Graficamente si ha:
97
w&
B.P.
p&
L.P.
u*
u
B.P.
L.P.
u*
u
Il punto u * rappresenta la posizione di equilibrio, in quanto esprime il
cosiddetto tasso di disoccupazione naturale, ossia quel tasso di disoccupazione
che, secondo i monetaristi, è ineliminabile perché tiene conto dei lavoratori che
sono disoccupati per imperfezioni del mercato del lavoro (scarsa informazione,
ostacoli all’incontro della domanda e dell’offerta, ecc).
Si noti in particolare che, grazie alle ipotesi monetariste, nel lungo periodo
il livello dei prezzi e il tasso di crescita dei prezzi possono essere qualsiasi e
scompare il trade–off tra inflazione e disoccupazione, sul quale insistono i
neokeynesiani. Nel lungo periodo il sistema è stabile e l’eventuale inflazione è
correttamente prevista.
7.3 GLI EFFETTI DELLA POLITICA MONETARIA ESPANSIVA MEDIANTE LA
FUNZIONE DI SAMUELSON – SOLOW – FRIEDMAN
Consideriamo un equilibrio di lungo periodo, per semplicità quello a
(
)
prezzi stabili, di coordinate u * ,0 , dove p& = 0 . Supponiamo che l’autorità
monetaria ritenga sia possibile diminuire il tasso di disoccupazione u *
mediante un’espansione monetaria a un tasso di crescita della moneta pari a
M& , costante nel tempo.
98
Tramite i meccanismi di trasmissione diretto e indiretto (diminuisce infatti
il tasso di interesse), l’espansione monetaria in parte fa aumentare i prezzi e in
parte fa ridurre il saggio di interesse, con conseguente aumento della domanda
aggregata in termini monetari PY . Inoltre, poiché la maggiore quantità di
moneta viene utilizzata anche per gli investimenti, il tasso di crescita dei prezzi
è positivo ma comunque inferiore rispetto al tasso di crescita della quantità di
moneta p& < M& . D’altra parte, poiché la riduzione di i fa aumentare i consumi
(
)
1
C e gli investimenti I , le imprese cercano di aumentare la produzione e gli
investimenti. I produttori offrono ai lavoratori un salario monetario più alto, ma
debbono muoversi lungo la funzione di domanda di lavoro, sicché il salario
monetario non può crescere quanto i prezzi (per potere rispettare l’eguaglianza
w
= Y ' (N ) ). In un primo tempo, i lavoratori non si accorgono dell’effettiva
P
crescita dei prezzi perché hanno aspettative adattive e accettano il maggiore
salario monetario w . Aumenta anche il loro salario reale atteso
in effetti il salario reale
w
nonostante
Pe
w
sia diminuito. Di conseguenza la disoccupazione u
P
diminuisce, e aumentano l’occupazione N e il reddito Y .
w
P
(
N S* P e = P
L.P.
(3)
⎛ w⎞
⎜ ⎟
⎝P⎠
)
(
N S1 P e < P
p&
)
B.P.
L.P.
M&
C
A
*
(2)
(2)
B.P.
(3)
(3)
B
⎛ w⎞
⎜ ⎟
⎝ P ⎠1
B
Nd
p& 1
(2)
(1)
A
N*
(3)
(2)
N1
N
u1
(1)
u*
u
Tuttavia, per effetto delle aspettative adattive, i lavoratori prima o poi si
accorgono dell’errore commesso e formulano aspettative adattive al rialzo sul
99
tasso di inflazione, ossia p& e diventa positivo e continua a crescere. Poiché i
lavoratori non sono disposti a lavorare a quel saggio di salario, l’occupazione
N diminuisce e la disoccupazione u aumenta. Nel tempo, in sostanza, sia p& e
sia w& tendono a p& . Intanto la crescita continua di p& e spinge verso l’alto anche
p& e il processo si ferma quando p& = M& e anche w& = p& = p& e , ovvero quando il
meccanismo di trasmissione indiretto cessa di operare. L’effetto di lungo
periodo dell’espansione monetaria a tasso di crescita costante nel tempo è solo
un tasso di crescita dei prezzi positivo, senza risultati reali, dato che reddito e
occupazione rimangono inalterati.
Ne concludiamo che l’espansione monetaria:
♦ ha effetti reali solo nel breve periodo;
♦ è fattore destabilizzante, perché nel lungo periodo crea solo inflazione;
♦ nel lungo periodo non crea trade–off tra inflazione e disoccupazione.
P&
E
M&
p& 1
B
A
u1
u*
u
Se si volessero ottenere altri effetti reali di breve periodo, bisognerebbe
aumentare il tasso di crescita della moneta – “teorema dell’accelerazione” – e gli
effetti della manovra risulterebbero prima o poi insostenibili. Tra l’altro
l’accelerazione introduce elementi di distorsione nell’uso delle risorse che
potrebbero agire come fattore di aumento della disoccupazione (graficamente la
funzione LP si inclina positivamente).
100
Va sottolineato, infine, che il passaggio dal punto B al punto E del
grafico non avviene direttamente, ma attraverso un percorso analogo a quello
indicato nel grafico seguente.
D
p&
E
M&
p& 1
B
A
u1
u*
u
Nel grafico sopra riportato è rappresentato il fenomeno dell’overshooting,
secondo il quale si alternano fasi in cui le due variabili u e p& si muovono nella
stessa direzione e fasi in cui si muovono invece in maniera contrastante. È
impossibile spiegare dettagliatamente le ragioni per le quali ciò accade, perché
il percorso è il risultato di una serie di concause che si sommano tra loro o si
contrastano. Va ricordato soltanto che un aumento del tasso di crescita dei
prezzi oltre il tasso di variazione della moneta è giustificato dal fatto che in
periodi di inflazione gli agenti reagiscono rinunciando alle scorte liquide che
hanno accumulato, sicché contribuiscono a creare ulteriore inflazione.
In conclusione, la politica monetaria espansiva risulta essere del tutto
inefficace per aumentare reddito e occupazione, ed è solo generatrice di
inflazione. Su questa conclusione torneremo più avanti, per esprimerla in
termini più completi.
101
7.4 GLI EFFETTI DELLA POLITICA FISCALE ESPANSIVA MEDIANTE LA
FUNZIONE DI SAMUELSON – SOLOW – FRIEDMAN
Prendiamo ora in esame gli effetti della politica fiscale espansiva.
Consideriamo come punto di partenza ancora l’equilibrio di lungo periodo, con
(
)
prezzi stabili, di coordinate u * ,0 .
Supponiamo che il governo decida un aumento della spesa pubblica G ,
finanziandolo mediante una emissione di titoli di Stato acquistati dal sistema
bancario, cosicché aumenta M . L’effetto di breve periodo è identico a quello
considerato con l’espansione monetaria e pertanto non se ne ripete qui la
descrizione. Dopodiché, tuttavia, non appena le aspettative di prezzo dei
lavoratori vengono riviste, si ha una convergenza verso la funzione di lungo
periodo LP .
Ora però, diversamente dal caso di espansione monetaria, accade che la
M
e
P
questa è diminuita per effetto dell’aumento dei prezzi. Posto che la Banca
domanda aggregata è vincolata dall’offerta di moneta in termini reali
Centrale non sovvenziona più la spesa, il tasso di crescita dei prezzi si annulla e
P non cresce più. Il punto di equilibrio finale risulta pertanto identico a quello
iniziale: si ha un fenomeno di disinflazione. Anche in questo caso il tragitto è
caratterizzato dal fenomeno dell’overshooting.
p&
p& 1
B
A
u1
102
u*
u
Per quanto riguarda invece il saggio di interesse i , nella nuova situazione
esso risulta più elevato, e questo provoca spiazzamento dell’investimento
privato.
In conclusione, anche la politica fiscale espansiva è inefficace per
aumentare reddito e occupazione. Anche su questa conclusione torneremo più
avanti, per esprimerla in termini più completi.
7.5 GLI EFFETTI DELLA POLITICA MONETARIA RESTRITTIVA
(DISINFLAZIONISTICA) MEDIANTE LA FUNZIONE DI SAMUELSON –
SOLOW – FRIEDMAN
Per i monetaristi, l’autorità monetaria può e deve attuare una politica
monetaria espansiva sono nel senso di sostenere la crescita dell’economia
(“regola fissa”). Essi affermano inoltre che l’autorità monetaria deve controllare
il tasso di inflazione mediante politiche restrittive. Vediamo come si giustifica
quest’ultima indicazione di politica economica.
Se p& risulta troppo elevato rispetto ad un livello considerato sopportabile,
occorre ridurre M& , dando luogo a un processo inverso rispetto a quello
considerato con la politica espansiva. Supponiamo p& 1 tale per cui l’equilibrio è
ottenuto al punto A , livello giudicato insostenibile, e che richiede dunque
l’attuazione di una politica restrittiva. Consideriamo due alternative.
p&
“doccia
fredda”
A
p& 1
B
p& 2
C
u*
u1
u
103
1. In base alla prima, si attua una drastica riduzione di M& (la cosiddetta
“doccia fredda”), azzerandolo di colpo. Accade che tramite il
meccanismo diretto di trasmissione, anche p& si riduce, ma senza
azzerarsi. Infatti, per l’operare del meccanismo indiretto, aumenta il
tasso di interesse i , e quindi i consumi e gli investimenti si riducono,
mentre aumenta la disoccupazione u . I lavoratori, che hanno
aspettative adattive, riducono w , ma sbagliano a valutare la caduta del
saggio di crescita dei prezzi p& : credono che i prezzi si riducano, ma
meno di quanto non sia realmente. Perciò abbassano w ma meno di P .
w
, ma non è così.
P
w
In realtà, a seguito del loro comportamento, si abbassa e ma si alza
P
w
e dunque aumenta ancora la disoccupazione u e si raggiunge il
P
punto B . Con il tempo, i lavoratori rivedono le proprie aspettative al
In questo modo credono di abbassare il salario reale
ribasso su p& , e , prima o poi, arrivano a valutare correttamente la sua
w
più basso e l’occupazione
P
aumenta, ossia u si riduce. Nel contempo, anche p& continua a ridursi,
caduta. Accettano perciò un salario reale
fino ad azzerarsi quando le aspettative saranno corrette, e si raggiunge
quindi il punto C . Dunque la politica disinflazionistica ha avuto
successo, con “costi” in termini di maggiore tasso di disoccupazione
solo nel breve periodo. Nel lungo periodo non ci sono “costi” in
termini di N e di Y . Detto in altro modo, la politica monetaria
disinflazionistica ottiene il risultato desiderato di ridurre il tasso di
inflazione e ciò accade in assenza di fenomeni di disoccupazione di
lungo periodo: si crea disoccupazione soltanto nel breve periodo.
2. Il caso alternativo è quello di una politica monetaria restrittiva
graduale. La sola variante rispetto al caso precedente è data dal fatto
che M& diminuisce lentamente, e con esso anche p& . Il processo di
disinflazione risulta essere più lento ma meno traumatico in termini di
aumento del tasso di disoccupazione nel breve periodo.
Se ora ci si chiede quale tra le due alternative sia la più raccomandabile, i
monetaristi rispondono che un governo “forte” sceglierà la prima, mentre un
governo “debole” preferirà la seconda.
104
In conclusione, per i monetaristi, la politica monetaria restrittiva è
opportuna ed efficace per contrastare l’inflazione, visto che i costi in termini di
disoccupazione sono solo di breve periodo e modificabili in base ai tempi della
manovra. Ciò che conta è che nel lungo periodo è eliminata l’inflazione, causa
di instabilità dell’economia reale.
Se vogliamo ora trarre una conclusione generale circa l’efficacia e
l’opportunità della politica economica nell’ottica monetarista, possiamo
riconsiderare i risultati raggiunti alla fine della sezione 7.1, confermarli e
avvalorarli.
1. La moneta influisce sull’economia reale: non esiste dicotomia tra sfera
reale
e
sfera
monetaria;
tuttavia,
essa
influisce
in
maniera
destabilizzante, perciò bisogna eliminare la discrezionalità dell’autorità
monetaria.
2. La Banca centrale dovrebbe attenersi alla “regola rigida”, ovvero
variare la quantità di moneta nel tempo ad un tasso di incremento
prefissato, tendente al tasso di incremento medio del reddito reale nel
lungo periodo.
3. Non solo la politica monetaria espansiva è inefficace e inopportuna.
Anche la politica fiscale espansiva è inefficace e inopportuna: neppure
essa genera aumento del reddito e occupazione, bensì genera
piazzamento degli investimenti privati.
4. L’unico intervento di politica economica discrezionale che appare
giustificato è relativo alla politica disinflazionistica tramite restrizione
dell’offerta di moneta. Essa raggiunge il risultato di togliere la causa di
instabilità senza provocare danni all’occupazione, almeno nel lungo
periodo.
NB: si suggerisce di confrontare queste conclusioni con quelle che si raggiungono
con l’approccio di Keynes. Si constaterà che i giudizi sugli effetti della politica
economica sono radicalmente contrastanti e si comprenderà quanto l’impostazione di
una teoria sia determinante per trarre conclusioni di politica economica.
105
8 – LA NUOVA MACROECONOMIA CLASSICA
8.1 LE PREMESSE FONDAMENTALI
Questa scuola, che si impone a partire dagli anni ’80, è diretta filiazione
del monetarismo. Come vedremo, essa supera il monetarismo sul piano della
teoria, perché ne mette in crisi alcuni caratteri fondamentali, ma nello stesso
tempo ne accoglie le conclusioni di politica economica, che anzi porta alle
estreme conseguenze.
La prima caratteristica della nuova corrente è l’accettazione del principio
neoclassico di razionalità massimizzante e la sua applicazione nello studio delle
variabili aggregate. In sostanza, questa corrente cerca di dare alla
macroeconomia un fondamento microeconomico (neoclassico) più robusto di
quanto non avessero fatto i monetaristi. In questo senso va letto l’appellativo
“macroeconomia classica”, dove “classico” sta per “neoclassico”.
Fondamentalmente si afferma che:
♦ gli individui massimizzano qualsiasi funzione obbiettivo;
♦ i mercati sono bene organizzati: non esistono impedimenti al
raggiungimento dell’equilibrio su tutti i mercati;
♦ i prezzi forniscono quindi segnali in modo efficace: prezzi flessibili, che
mutano continuamente;
♦ l’equilibrio è ottenuto su tutti i mercati istantaneamente;
♦ non esistono per nessun motivo equilibri diversi da Y * o Yn (reddito di
piena occupazione o di disoccupazione naturale).
Sul piano degli strumenti di analisi le due novità di rilievo sono le
seguenti:
1. una teoria delle aspettative diversa da quella monetarista;
2. la considerazione di un contesto stocastico–probabilistico, anziché
deterministico.
106
Secondo i nuovi macroeconomisti, gli individui effettuano le loro scelte di
produzione e di spesa sulla base di:
♦ segnali di prezzo: se non vi sono shock esogeni di natura reale o
monetaria, non vi sono neppure “disturbi” (noises) nei prezzi, che
trasmettono
dunque
segnali
efficaci
per
il
mantenimento
dell’equilibrio;
♦ informazioni che posseggono: tali informazioni sono incomplete ed
asimmetriche. Ogni individuo possiede solo parte delle informazioni
disponibili e ogni singolo individuo possiede informazioni diverse per
quantità e contenuto da quelle possedute dagli altri. Si parla di
“paradigma delle isole Phelps”, con riferimento a uno dei massimi
esponenti della corrente in questione.
Ad esempio, nella sfera della produzione accade che ogni individuo
(indipendentemente dalla sua specifica funzione di lavoratore, imprenditore,
ecc) conosca il prezzo dei mercati nei quali è venditore di qualche bene o
servizio, ma non i prezzi dei mercati nei quali è compratore. Perciò ogni
individuo deve formulare aspettative di prezzo relativamente a questi ultimi.
In sintesi, data una struttura delle aspettative:
♦ tutti i mercati sono in equilibrio perché i prezzi sono perfettamente
flessibili;
♦ se non ci sono shock esogeni la posizione di equilibrio è sempre Yn ;
♦ se si verificano degli shock il sistema esce dall’equilibrio, ma solo
temporaneamente, poiché grazie alle aspettative vi ritorna subito.
8.2 LA FUNZIONE AS
DI LUCAS
La AS è apparentemente analoga a quella dei monetaristi, salvo l’aggiunta
della variabile ut . Tale variabile esprime l’influenza sul reddito di possibili
shock di offerta, di natura casuale:
(1)
(
)
yt = yn + α pt − pte + ut
107
Ciò significa che il reddito al tempo t è il reddito di disoccupazione
naturale, a meno che non ci siano shock esogeni o aspettative errate.
La funzione AS può essere costruita aggregando le singole funzioni
individuali di offerta. Ogni individuo, per decidere di aumentare l’offerta di ciò
che produce o possiede, deve formulare aspettative circa la variazione del suo
prezzo. Se vede che esso aumenta, deve cercare di capire:
♦ se è aumentata la domanda reale del bene;
♦ oppure se è aumentata la domanda nominale del bene, ossia se sono
aumentati tutti i prezzi.
Nel primo caso constaterà che c’è stato uno spostamento delle preferenze
dei consumatori a suo favore e deve perciò aumentare la produzione; nel
secondo caso, invece, si renderà conto che è in atto semplicemente un processo
inflazionistico, senza nessun effetto sulla produzione del bene o del servizio che
offre. Perciò per decidere se aumentare la produzione, ogni individuo è
costretto a formulare aspettative sui prezzi dei beni e dei servizi che non
produce.
8.3 LE ASPETTATIVE RAZIONALI ALLA LUCAS
Entra dunque in gioco la teoria delle aspettative, dette “razionali” – che si
basano cioè sulla razionalità massimizzante di tipo neoclassico – detta anche
teoria delle aspettative alla Lucas, dal nome del massimo rappresentante di
questa corrente di pensiero. Le aspettative sono formulate da individui:
♦ che seguono il principio di razionalità neoclassica massimizzante;
♦ in un contesto stocastico.
Ogni individuo per formulare tali aspettative di prezzo per i mercati nei
quali è compratore, massimizza il risultato che può ottenere dalle informazioni
disponibili.
Nel caso l’individuo debba formulare aspettative di prezzo, sarà:
(2)
108
pte = E ( pt Inf t −1 )
ossia, la previsione soggettiva di P equivale alla speranza matematica o
valore atteso di P , condizionale alle informazioni disponibili nel momento in
cui l’individuo formula la previsione.
Dunque la previsione non è esatta, ma è in media esatta, ossia gli errori di
previsione hanno queste caratteristiche:
♦
pt − pte = ε
dove
E (ε t ) = 0
(media
nulla
degli
errori
di
previsione)
♦ E (ε t , ε t −i ) = 0
(assenza di correlazione seriale tra i valori assunti
dagli errori in istanti diversi – i valori degli errori sono indipendenti).
Ogni individuo “razionale” (in senso neoclassico) utilizza tutte le
informazioni che sono a sua disposizione e perciò non può che compiere
solamente errori casuali: sono impossibili errori sistematici, perché compierli
significherebbe non utilizzare le informazioni disponibili ed essere quindi
“irrazionali”, ossia comportarsi in modo tale da essere costretti ad uscire dai
mercati.
La teoria delle aspettative razionali è, insieme, un perfezionamento e un
superamento critico della teoria monetarista delle aspettative adattive. Infatti,
per i monetaristi, nessuna informazione circa i prezzi futuri viene presa in
considerazione dagli individui che formulano aspettative adattive. Ciò significa
che l’individuo dei monetaristi è indotto a compiere errori sistematici di
previsione. Si accorge di sbagliare, ma non fa nulla per migliorare la propria
previsione, ovvero non si informa.
La teoria delle aspettative razionali presuppone che l’individuo formuli le
sue aspettative sulla base di un modello completo del funzionamento del
sistema economico. Solo a questa condizione le sue aspettative risulteranno in
media esatte. Questo significa che:
♦ esiste un modello – definito “vero” – di funzionamento del sistema
economico,
ossia del sistema delle relazioni individuali. Esso è
individuato dalla teoria economica;
109
♦ tutti gli individui lo conoscono o imparano a conoscerlo e lo utilizzano
per formulare le aspettative.
In questo modo le loro aspettative sono “razionali” e, come ultima
conseguenza, il sistema è stabile nella posizione y n .
8.4 LA FUNZIONE AD
AS DI LUCAS
(
)
E IL SIGNIFICATO DI pt − pte NELLA FUNZIONE
Consideriamo in primo luogo la funzione AD secondo Lucas. La funzione
AD è ricavata dall’equazione degli scambi, che assicura appunto l’equilibrio
simultaneo sui mercati della moneta e delle merci:
(3)
MV = PY
Passando ai logaritmi essa diventa
(4)
mt + vt = yt + pt
dove vt è una variabile casuale che esprime gli shock da domanda di
moneta.
Risolvendo in pt o yt si ha:
(5)
pt = mt − yt + vt
(6)
yt = mt − pt + vt
dove P = D(Y ) con D' < 0
che rappresentano entrambe una AD .
Consideriamo ora la AS e la AD risolte in yt per determinare il valore di
pt che assicura l’equilibrio in tutti i mercati. Risolviamo quindi il seguente
sistema :
(7)
110
(
)
⎧ yt = y n + α pt − pte + ut
⎨
⎩ yt = mt − pt + vt
(AS)
(AD)
da cui, per una serie di passaggi, otteniamo il valore di pt che assicura
l’equilibrio simultaneo sui mercati dei beni, della moneta e del lavoro:
pt =
(8)
(
1
mt − y n + α ⋅ pte + vt − ut
1+ α
)
Ora accostiamo a questa equazione una formula di pte , ricordando quanto
già messo in evidenza riguardo all’errore, ossia che pt − pte = ε e che E (ε ) = 0 e
constatiamo che:
( )
pte = E pt
(9)
il che significa che le previsioni di prezzo sono in media corrette.
Guardando alla formula (8), possiamo modificarla come segue:
(10)
pte =
(
( )
)
1
E (mt ) − E ( y n ) + α ⋅ E pte + E (vt ) − E (ut )
1+ α
Tuttavia, essendo che :
♦ E (vt ) = 0
per le ipotesi fatte sopra su vt (la velocità di circolazione
della moneta è variabile casuale);
♦ E (ut ) = 0
per la definizione stessa di ut ;
♦ E (mt ) = mte perché, come per pt , l’individuo fa previsioni sull’offerta di
moneta in media corrette;
( )
♦ E pte = pte perché la media di un valore è il valore stesso;
♦ E (Yn ) = Yn
per lo stesso motivo;
la formula si semplifica in:
(11)
pte =
(
1
mte − y n + α ⋅ pte
1+ α
)
111
Ora accostiamo le formule (8) e (11):
(12)
1
⎧
e
⎪⎪ pt = 1 + α (mt − y n + α ⋅ pt + vt − ut )
⎨
⎪ p e = 1 (m e − y + α ⋅ p e )
t
t
n
t
1+ α
⎩⎪
Consideriamo ora le due variabili ed esprimiamole diversamente.
Partiamo dall’emissione di moneta da parte dell’autorità monetaria, la quale
può agire secondo due direttrici di fondo:
♦ seguendo la regola fissa, conosciuta dagli individui;
♦ emettendo moneta con una componente stocastica non conosciuta
dagli individui.
(13)
mt = c + μt
Gli individui si informano sulla politica monetaria e formulano seguenti
aspettative:
(14)
mte = E (mt Inf t −1 )
ossia
(15)
mte = E (c + μ t )
dove E (μt ) è il valore atteso della componente casuale, ossia uguale a
zero, mentre c è noto agli individui, per cui la (15) si semplifica in:
(16)
mte = c
Torniamo ora al sistema (12) e sostituiamo:
(17)
112
1
⎧
(
=
p
c + μ t − y n + α ⋅ pte + vt − ut )
t
⎪⎪
1+α
⎨
⎪ p e = 1 (c − y + α ⋅ p e )
n
t
⎪⎩ t 1 + α
Ora sottraiamo la seconda equazione dalla prima e constatiamo che alcuni
termini si annullano, cosicché:
(18)
pt − pte =
1
(μt + vt − ut )
1+ α
La (18) afferma che:
♦ l’errore di previsione è una variabile casuale, come già sappiamo;
♦ l’errore di previsione è scomposto in tre componenti:
♦ ut
ovvero shock esogeni reali;
♦ μt
ovvero shock da offerta di moneta
♦ vt
ovvero shock da domanda di moneta.
Torniamo adesso alla AS di Lucas e modifichiamola in base a quanto
detto fin qui circa la natura degli shock esogeni che generano gli errori di
previsione.
La formula
(1)
(
)
yt = yn + α pt − pte + ut
diventa
(19)
yt = y n +
α
(μt + vt − ut ) + ut
1+α
da cui con semplici passaggi algebrici si ottiene:
(20)
yt = y n +
α ⎛
1 ⎞
⎜ μ t + vt + u t ⎟
α ⎠
1+ α ⎝
che significa che il reddito corrente yt coincide con il reddito naturale yn a
meno di shock esogeni da domanda, da offerta o da variazioni erratiche dello
stock di moneta.
113
Dunque:
♦ la AS graficamente risulta essere sempre una verticale;
♦ non c’è nessuna possibilità di influenzare l’economia in maniera
sistematica mediante la politica economica (monetaria o fiscale).
p
AS
yn
y
Per esempio, non solo una variazione sistematica della quantità di moneta
M provoca solo variazioni di prezzo e delle attese di prezzo senza modificare il
reddito, ma lo stesso risultato si ha anche con variazioni erratiche
preannunciate, ossia note agli individui in anticipo.
In ultima istanza è riconfermata (con strumenti analitici nuovi) la teoria
quantitativa della moneta.
8.5 IL GIUDIZIO SULLA POLITICA ECONOMICA DA PARTE DEI NUOVI
MACROECONOMISTI CLASSICI
8.5.1 La distinzione tra politiche economiche anticipate e non anticipate
Mostriamo ora, con l’aiuto dei grafici, quanto si è affermato sopra. La
conclusione è che la politica economica è inefficace, ossia non produce effetti
reali, se è sistematica oppure se è erratica ma anticipata.
114
Consideriamo lo schema AS − AD . In presenza di una politica monetaria
espansiva si verifica uno spostamento della AD e l’effetto è unicamente sul
livello dei prezzi. La stessa cosa succede per la politica fiscale espansiva.
p
AS
B
p2
p1
AD2
A
AD1
y
yn
Se invece la politica economica (monetaria o fiscale) non è annunciata, gli
individui compiono errori, ma hanno l’informazione che consente loro di avere
delle aspettative in media corrette. Possiamo rappresentare questa situazione
immaginando che esista una funzione AS di breve periodo: il reddito aumenta
per poi tornare al livello yn .
p
AS
AS 2 ( BP)
AS1 ( BP)
C
p2
B
A
p1
AD2
AD1
yn
y
115
In ogni caso si ha inflazione e anche la variabilità del reddito non è
auspicabile, perché genera instabilità. Infatti, nulla garantisce che il reddito
aumenti: esso può anche diminuire, perché gli individui sono stati disturbati
nel loro comportamento dall’intervento erratico.
Considerando la funzione di Samuelson – Solow, i nuovi macroeconomisti
classici affermano che non c’è mai trade–off tra inflazione e disoccupazione. La
funzione Samuelson – Solow è una verticale nel punto di ascissa un .
p&
B
A
un
u
♦ Politiche monetarie espansive sistematiche o erratiche e annunciate
sono avvertite immediatamente dagli individui e l’effetto è un tasso di
inflazione positivo, senza effetti reali.
♦ Politiche fiscali espansive sistematiche o erratiche e annunciate,
provocano un tasso di inflazione positivo, ma, se sono state finanziate
una tantum, l’effetto finale è una crescita del livello dei prezzi e il tasso
di inflazione torna ad annullarsi.
116
p&
B
(2)
(1)
A
u
un
♦ Politiche economiche erratiche e non annunciate provocano instabilità
nell’economia reale di tipo momentaneo, salvo generare poi gli stessi
effetti delle precedenti.
8.5.2 L’opportunità e l’efficacia delle politiche economiche disinflazionistiche
Le politiche economiche disinflazionistiche non sono sempre efficaci, ma
non presentano nemmeno “costi” di breve periodo, dato che il tasso di
disoccupazione non si allontana mai da quello naturale.
p&
A
B
un
u
117
In conclusione, per in Nuovi Macroeconomisti Classici valgono le tesi dei
monetaristi, ma radicalizzate nella direzione neoliberista (e contraria a quella
assunta da Keynes):
♦ in condizioni di prezzi (compreso w ) perfettamente flessibili, il sistema
si colloca intorno a yn con scostamenti di natura stocastica;
♦ politiche sistematiche o erratiche ma anticipate sono inefficaci per
aumentare reddito e occupazione;
♦ politiche erratiche ma non anticipate potrebbero essere efficaci, ma
introducono variabilità intorno a yn e sono quindi destabilizzanti;
♦ le autorità (monetaria o governativa) dovrebbero adottare regole di
politica economica facili da apprendere per evitare scostamenti da yn –
“regola fissa”;
♦ politiche economiche restrittive disinflazionistiche, purché sistematiche
o note, riducono p& senza conseguenze reali neppure nel breve
periodo.
118
APPENDICE: L’ECONOMIA APERTA
1 – LA BILANCIA DEI PAGAMENTI
1.1 Le sezioni della bilancia dei pagamenti
I rapporti di un sistema economico con il resto del mondo sono
contabilizzati nella Bilancia dei pagamenti internazionali ( BP ), che è suddivisa
nelle seguenti sezioni:
1. Bilancia delle Partite Correnti ( BPC ), che contiene:
o le relazioni commerciali, sotto forma di esportazioni (flussi di
fondi in entrata come corrispettivo di beni venduti all’estero) e
importazioni (flussi di fondi in uscita come corrispettivo di beni e
servizi acquistati all’estero). La differenza tra esportazioni e
importazioni è il saldo della bilancia commerciale;
o i trasferimenti (flussi di fondi non legati a transazioni commerciali
– donazioni, rimesse, aiuti..);
2. Movimenti di capitale ( MC ): contiene i trasferimenti di moneta, come
gli afflussi di capitale (fondi in entrata come corrispettivo monetario di
aumenti delle passività finanziarie o diminuzioni delle attività
finanziarie verso l’estero) e i deflussi di capitale (fondi in uscita come
corrispettivo monetario di aumenti della attività finanziarie o di
diminuzioni delle passività finanziarie verso l’estero).
3. Alle due precedenti sezioni si aggiungono i Movimenti Monetari
compensativi, come le variazioni delle riserve o i debiti e crediti nei
confronti dell’estero.
Quindi la BP è così composta:
(1)
BP = BPC + MC
Consideriamo per ora la sola sezione BPC e specificatamente la bilancia
commerciale.
119
1.2 Il moltiplicatore di mercato aperto
Indicando con X le esportazioni e con Z le importazioni, la definizione di
domanda effettiva del sistema economico è la seguente:
Y = C + I +G+ X −Z .
(2)
Le esportazioni X dipendono dalla domanda estera DX e dalla ragione di
scambio P0 che esprime le unità di esportazioni necessarie ad ottenere un’unità
di importazioni, in moneta nazionale.
Indicando con:
♦
p X il prezzo delle esportazioni (in valuta nazionale);
♦
pZ
♦ E
il prezzo delle importazioni (in valuta estera);
il tasso di cambio, definito qui come il numero di unità di moneta
nazionale necessario per ottenere una unità di valuta estera. (Qualora
si definisca il tasso di cambio come il numero di unità di valuta estera
necessarie per ottenere una unità di moneta nazionale, tale definizione
coincide con
1
).
E
Possiamo definire la ragione di scambio come
(3)
P0 =
pZ E
pX
ovvero il rapporto tra il prezzo delle importazioni in moneta nazionale e il
prezzo delle esportazioni in moneta nazionale.
Le esportazioni saranno definite così:
(4)
X = X (D X , P0 )
mentre le importazioni, che dipendono dal reddito interno e dalla ragione
di scambio, saranno definite così:
(5)
120
Z = Z (Y , P0 )
Dato P0 possiamo introdurre due semplici relazioni lineari per esprimere
esportazioni (che dipendono esclusivamente dalla domanda estera) e
importazioni (che hanno invece una componente autonoma e una componente
dipendente dal reddito):
(6)
X = X0
(7)
Z = Z 0 + mY
dove m =
dZ
per 0 < m < 1
dY
In particolare, m rappresenta la propensione marginale all’importazione,
ossia l’incremento infinitesimo di Z per ogni incremento infinitesimo di Y .
Ne segue che la funzione IS espressa in forma lineare è:
(8)
Y = [C0 + b(1 − t )Y ] + [I 0 − ai ] + G + X − [Z 0 + mY ]
da cui, risolvendo o per il reddito o per il saggio di interesse si ottiene:
(9)
Y =
1
a
(C0 + I 0 + G + X − Z 0 ) −
i
1 − b(1 − t ) + m
1 − b(1 − t ) + m
(10)
i=
1
(C0 + I 0 + G + X − Z 0 ) − 1 − b(1 − t ) + m Y
a
a
Da ciò risulta che il moltiplicatore per un’economia aperta è pari a
(11)
1
1 − b(1 − t ) + m
ed è inferiore al moltiplicatore di un’economia chiusa, infatti
(12)
1
1
<
1 − b(1 − t ) + m 1 − b(1 − t )
poiché 0 < m < 1
121
1.3 Se il saldo BPC < 0 , esistono meccanismi automatici per ristabilire il
pareggio?
Ci sono due alternative per ristabilire l’equilibrio del conto BPC :
1. variare la domanda effettiva, ossia aumentare le esportazioni, oppure
ridurre le importazioni;
2. variare la ragione di scambio, ossia variare p X oppure E , dato pZ .
Consideriamo le due alternative separatamente.
1) Variano le quantità esportate Q X (a parità di p X e di E )
Questo consente sicuramente di ottenere il risultato, perché ogni aumento
di X fa aumentare il reddito e anche le importazioni Z , ma queste ultime
aumentano in modo meno che proporzionale.
Infatti:
(13)
1
⎧
ΔX
⎪ΔY =
1 − b(1 − t ) + m
⎨
⎪ΔZ = mΔY
⎩
posto che 0 < b < 1
ossia
(14)
ΔZ = m
1
ΔX
1 − b(1 − t ) + m
dove
0<
m
<1
1 − b(1 − t ) + m
2a) Varia p X
Supponiamo che il cambio E sia fisso, e che un sistema economico debba
produrre le merci esportate ad un prezzo più alto, ossia p X è cresciuto. A
questo punto, la BPC che era in pareggio, va in deficit. Come ristabilire il
pareggio? Il riequilibrio avviene in modo automatico?
Dato che E è fisso, la riduzione delle esportazioni X comporta un minore
ingresso di valuta estera, cosicché non c’è valuta sufficiente per pagare le
122
importazioni Z . Deve quindi intervenire la Banca Centrale, cedendo parte delle
proprie riserve di valuta e ritirando moneta nazionale. Questa restrizione
monetaria fa diminuire i prezzi interni, riportandoli al livello iniziale, in modo
che aumentano le esportazioni e la BPC è nuovamente in pareggio ( BPC = 0 ).
2b) Varia E
Il tasso d cambio E è determinato dall’incontro delle funzioni di domanda
e di offerta di valuta estera, sul mercato della valuta.
La domanda di valuta estera DV proviene dagli importatori di merci (oltre
che dagli esportatori di capitali), ed è pari a
(15)
DV = QZ ⋅ p Z
Se E aumenta, la valuta estera diventa più cara (infatti si svaluta la
moneta nazionale) e, ceteris paribus, gli importatori diminuiranno le quantità
importate QZ e quindi anche la stessa domanda di valuta. Vale quindi la
relazione, decrescente,
(16)
DV = D(E )
con DV′ < 0
L’offerta di valuta estera SV proviene invece dagli esportatori di merci ed
è pari a
(17)
SV =
QX ⋅ p X
E
Se E aumenta, la moneta nazionale si svaluta e il prezzo delle merci
pX
. Le
E
merci nazionali diventano quindi più competitive e, ceteris paribus, aumentano
nazionali espresso in valuta estera scende, ossia diminuisce il rapporto
le quantità esportate QX . È chiaro dunque come l’offerta di moneta estera da
parte degli esportatori “può” aumentare. Perché essa aumenti con certezza
occorre che Q X aumenti più che proporzionalmente rispetto a E , ossia deve
essere
(18)
ε X ,E =
dQ X E
⋅
>1
Q X dE
123
In questo caso la funzione
SV = S (E )
(19)
è una regolare funzione di offerta crescente.
Possiamo dunque rappresentare il mercato della valuta come segue:
E
SV
DV
S V , DV
Il punto d’incontro tra SV e DV offre il tasso di cambio E di equilibrio.
Dato E , spostamenti verso destra della DV (dovuti ad esempio ad aumenti di
Y ) generano un deficit; spostamenti verso destra della SV (dovuti ad esempio
ad aumenti della domanda estera), invece, generano surplus.
E
DV1
DV2
SV2
B
A
E1
SV1
E
E1
SV1
DV
B
A
SV , DV
SV , DV
Deficit
124
SV2
Surplus
1.4 Il problema di un riequilibrio della BPC dopo che si è creata la situazione
BPC<0
1) Caso in cui E è fisso
Supponiamo che da una posizione di equilibrio aumenti la domanda di
valuta estera, cosicché BPC < 0 . Il riequilibrio non può che avvenire con un
intervento della Banca Centrale che cede valuta estera attingendo alle riserve e
riduce quindi la quantità di moneta nazionale. La SV si sposta fino ad un nuovo
punto di equilibrio.
E
DV1
(1)
DV2
E1
SV1
(2)
SV2
SV , DV
2) Caso in cui E è flessibile
Se BPC < 0 il deficit “può” essere sanato svalutando la moneta, ossia
aumentando E , purché venga rispettata la condizione di Marshall – Lerner.
Tale condizione afferma che: “dati i prezzi p X e pZ , il deficit di BPC può
essere eliminato aumentando E , purché la somma delle elasticità in modulo
della domanda di esportazioni e della domanda di importazioni rispetto al
tasso di cambio sia maggiore dell’unità”.
125
In sostanza, definiti
(20)
ε X ,E =
dQ X E
Q X dE
(21)
ε Z ,E =
dQZ E
QZ dE
deve essere
(22)
ε X ,E + ε Z ,E > 1
Non dimostriamo la proposizione ma ne spieghiamo il significato.
1. Consideriamo prima un caso particolare, ma semplice. Supponiamo
che le quantità importate QZ siano rigide rispetto al tasso di cambio,
ossia che all’aumentare di E non varino le quantità importate (ad
esempio si tratta di merci assolutamente indispensabili per il sistema
economico). Sia BPC < 0 e si cerchi il pareggio mediante un aumento
di E ; per le ipotesi introdotte accade che gli importatori non varino la
loro domanda di valuta, quindi per ottenere il pareggio è necessario
aumentare l’offerta di valuta SV =
QX ⋅ p X
. Dunque, all’aumentare del
E
tasso di cambio, le quantità esportate QX devono aumentare in
maniera più che proporzionale. Ciò significa che deve essere ε X , E > 1
ossia ε X , E + ε Z , E > 1 come volevasi dimostrare.
2. Consideriamo ora invece il caso generale, in cui anche le importazioni
sono sensibili al variare del tasso di cambio. Sia ancora BPC < 0 e si
cerchi il pareggio mediante un aumento di E . Ora supponiamo però
che all’aumentare di E le quantità diminuiscano. Sarà dunque ε Z , E < 0
e ε Z , E > 0 . Ora per raggiungere il pareggio non è più necessario che sia
ε X , E > 1 ma è sufficiente che sia
dimostrare.
126
ε X , E + ε Z , E > 1 come volevasi
2 – IL SISTEMA APERTO E GLI EFFETTI DELLA POLITICA MONETARIA E
FISCALE
2.1 Il modello di riferimento
Consideriamo un sistema economico in equilibrio interno (sui mercati dei
beni e della moneta) ed esterno, tale che BP = 0 ovvero BPC + MC = 0 . Tuttavia
ipotizziamo che questo equilibrio sia un equilibrio tipicamente keynesiano, di
non piena occupazione, per cui assumiamo Y < Y * .
Ci chiediamo se la politica monetaria e quella fiscale possono ottenere
aumenti del reddito e dell’occupazione senza disturbare questi equilibri.
Utilizziamo il modello di Mundell – Fleming (1968), fondato sullo schema
IS − LM e introduciamo queste ipotesi limitatrici:
1. tutte le ipotesi già introdotte riguardanti lo schema IS − LM riferito
all’economia chiusa;
2. ipotesi relative alla sezione BPC :
o
p X e pZ sono invarianti e non ci sono aspettative di loro
variazioni;
o si esclude la speculazione sui cambi, quindi non ci sono
aspettative di variazioni di E ;
3. ipotesi relative alla sezione MC :
o i capitali entrano ed escono dal sistema economico esclusivamente
in funzione del differenziale tra i tassi di interesse interno ed
estero, ossia
(23)
(
MC = f i − i *
)
Per semplicità assumiamo come dato il tasso di interesse estero i *
e consideriamo gli effetti su MC di variazioni del saggio di
interesse interno i ;
127
o si esclude speculazione sui divari fra i saggi di interesse, ossia le
aspettative in proposito non mutano.
2.2 Il caso dei cambi fissi
2.2.1 L’equilibrio esterno e la relazione BB
Per semplicità introduciamo una relazione di equilibrio dei conti con
l’estero lineare. Le due sezioni della BP possono essere espresse così:
(24)
BPC = X 0 − (Z 0 + mY )
(25)
MC = MC0 + ni
e l’equilibrio della BP è dato quindi da
X 0 − (Z 0 + mY ) + MC0 + ni = 0
(26)
Risolvendo rispetto al reddito Y o rispetto al tasso di interesse
i
otteniamo:
(27)
Y=
(28)
i=
1
( X 0 − Z 0 + MC0 ) + n i
m
m
Z 0 − X 0 − MC0 m
+ Y
n
n
Chiamiamo BB tale relazione. Essa è la relazione di equilibrio del conto
con l’estero nelle variabili Y e i ed è una relazione crescente nel piano (Y , i ) .
m
è alto
n
– caso A); tende invece all’orizzontale quando, dato m , n è alto (quindi il
Essa tende alla verticale quando, dato m , n è basso (quindi il rapporto
rapporto
128
m
è basso – caso B).
n
i
A
B
Y
Dal punto di vista economico, la BB è crescente perché più alti livelli di
reddito Y fanno crescere le importazioni e dunque generano deficit nella
sezione BPC . Per restare in pareggio (a tasso di cambio fisso) occorre quindi
aumentare il tasso di interesse i affinché si abbia un surplus compensativo nella
sezione MC . I punti al di sopra e al di sotto della BB esprimono
rispettivamente situazioni di surplus e di deficit. Se n è basso e la BB tende alla
verticale, un aumento del reddito e delle importazioni richiede un forte
aumento di i ; i capitali sono scarsamente sensibili alle variazioni di i .
Viceversa, se n è alto, i capitali sono molto sensibili alle variazioni di i .
i
Surplus
BB
Deficit
Y
2.2.2 Le relazioni IS e LM in regime di cambi fissi
Partendo da funzioni lineari dei consumi e degli investimenti e tendendo
conto delle esportazioni e delle importazioni, che sono voci rispettivamente
129
positiva e negativa della domanda (vedi paragrafo 1.2), la IS può essere
espressa come segue:
(29)
Y=
1
a
(C0 + I 0 + G + X 0 − Z 0 ) −
i
1 − b(1 − t ) + m
1 − b(1 − t ) + m
oppure risolvendo in i :
(30)
i=
1
(C0 + I 0 + G + X 0 − Z 0 ) − 1 − b(1 − t ) + m Y
a
a
Date la semplice funzione lineare di domanda di moneta
(31)
L = L1 (Y ) + L2 (i ) = kY − hi
e di offerta di moneta esogena
(32)
M =MS
la LM risulta essere espressa come
(33)
M S = kY − hi
o risolvendo in i :
(34)
k
MS
i= Y−
h
h
2.2.3 L’equilibrio simultaneo del mercato dei beni (IS ) , della moneta
(LM ) e dei conti con l’estero (BB ) in regime di cambi fissi
IS , LM e BB sono tre equazioni in due incognite. Affinché si dia
equilibrio simultaneo, occorre quindi individuare una variabile che assuma uno
e un solo valore per ogni coppia di valori (Y , i ) . Poiché il sistema di relazioni di
equilibrio è sovradeterminato, occorre individuare i valori di M che, a date
coppie di valori (Y , i ) , garantiscono la soluzione. Data la BB e la IS , esiste una
sola posizione della LM
simultaneo sui tre mercati.
130
nel piano
(Y , i )
che può garantire l’equilibrio
1. Se la LM giace al di sotto di tale posizione, ossia M è più elevata, si ha
equilibrio sui mercati dei beni e della moneta, ma non si ha equilibrio
esterno, quindi la BP è in deficit (caso LM ' ).
2. Se la LM giace al di sopra di tale posizione, ossia M è più bassa, si ha
equilibrio sui mercati della moneta e dei beni, ma non equilibrio
esterno, e la BP è in surplus (caso LM ' ' ).
i
LM ' '
LM
LM '
Surplus
BB
Deficit
IS
Y
2.2.4 Gli effetti di una politica monetaria (espansiva) in regime di cambi
fissi (nel caso Y < Y * )
Si supponga un’espansione della quantità di moneta M
al fine di
aumentare il reddito. Il primo effetto consiste in una diminuzione del tasso di
interesse i e un aumento del reddito Y . Graficamente, la LM si sposta verso il
basso. Poiché diminuisce i , la sezione MC va in deficit e, poiché aumenta Y ,
aumentano le importazioni Z e anche la sezione BPC va in deficit. Quindi la
BP va in deficit, ossia, a quel tasso di cambio, la domanda di valuta eccede
l’offerta. Interviene quindi la Banca Centrale che cede valuta, riducendo le
proprie riserve e ritirando moneta nazionale. La LM a questo punto torna nella
posizione originaria, e si ha nuovamente equilibrio su tutti i mercati, senza
nessun effetto su reddito e occupazione.
131
La politica monetaria in regime di cambi fissi è inefficace. Ovvero in cambi
fissi la politica monetaria è vincolata al mantenimento del tasso di cambio.
i
LM 2
LM 1
(2)
(1)
i1
(2)
BB
A
(1)
B
i2
IS
Y1
(1)
Y2
Y*
Y
(2)
2.2.5 Gli effetti di una politica fiscale “pura” espansiva in regime di
cambi fissi (nel caso Y < Y * )
Si supponga una politica fiscale espansiva – aumento della spesa pubblica
– per aumentare il reddito. Si supponga anche che la maggiore spesa sia
finanziata dalla Banca Centrale. Il primo effetto consiste nell’aumento del
reddito Y e del tasso di interesse i : nel grafico la IS si sposta verso destra.
Poiché aumenta il reddito, aumentano le importazioni Z e la sezione BPC va
in deficit. Poiché aumenta il saggio di interesse, la sezione MC va in surplus.
Distinguiamo ora due casi:
1. se la sensibilità dei capitali alle variazioni del tasso di interesse è
elevata ( n è alto e la BB tende all’orizzontale), allora prevale il surplus
di MC . Questo significa che, in regime di cambi fissi, deve intervenire
la Banca centrale ritirando valuta estera e cedendo moneta. Nel grafico,
la LM si sposta verso il basso fino a ristabilire l’equilibrio ad un livello
di reddito più alto. La politica fiscale risulta quindi molto efficace;
132
LM 1
i
LM 2
(1)
B
iB
(2)
(2)
(1)
C
iC
iA
BB
A
(1)
YA
(1)
IS 2
IS1
(2)
(2)
YB
Y
Y*
YC
2. se la sensibilità dei capitali alle variazioni del tasso di interesse è bassa
( n è basso e la BB tende alla verticale) prevale invece il deficit della
BPC . Questo significa che la Banca Centrale deve intervenire cedendo
valuta e ritirando moneta. Nel grafico, la LM si sposta verso l’alto fino
a ristabilire l’equilibrio a un livello di reddito più alto, anche se la
variazione è più modesta rispetto al caso precedente. La politica fiscale
in cambi fissi risulta ancora efficace.
BB
i
LM 2
(1)
C
iC
(2)
(1)
(2)
iB
B
A
iA
LM 1
(2)
(1)
IS 2
IS1
YA
YC
(2)
YB
Y*
Y
(1)
133
Va comunque osservato che la politica fiscale risulta sempre efficace, ma
un’elevata sensibilità dei capitali, pur producendo effetti più significativi sul
reddito, è connessa ad una forte dipendenza del saggio di interesse interno dal
saggio di interesse estero. Questo di fatto toglie efficacia alla politica economica
nazionale.
2.3 Il caso dei cambi flessibili
2.3.1 L’equilibrio esterno e la relazione BB
Poiché importazioni ed esportazioni sono espresse come
(35)
Z = Z (Y , P0 )
(36)
X = X (D X , P0 )
dove
P0 =
pZ E
pX
considerando relazioni lineari:
1. Le esportazioni sono pari a
(37) X = X 0 + gE
ossia il valore delle esportazioni in moneta nazionale cresce al crescere
del tasso di cambio. Sottostante è solo l’ipotesi ε X , E > 0 . Infatti si
afferma solo che al crescere di E deve crescere Q X , poiché il prezzo
delle esportazioni p X è considerato costante. Non si pretende che le
esportazioni X crescano più che proporzionalmente rispetto a E .
2. Le importazioni sono pari a
(38) Z = Z 0 + mY − fE
ossia il valore delle importazioni in moneta nazionale diminuisce al
crescere del tasso di cambio.
In questo caso non è sufficiente assumere che ε Z , E > 0 , ossia che al
crescere del tasso di cambio diminuiscono le quantità importate QZ . Infatti, al
134
crescere di E , aumenta il prezzo delle merci importate espresso in moneta
nazionale, ovvero p Z E . Poiché deve essere
(39)
Z = QZ p Z E
affinché valga la relazione indicata, occorre assumere ε Z , E > 1 , ossia che
QZ diminuisca più che proporzionalmente al crescere di E . In definitiva deve
valere la condizione di Marshall – Lerner.
In cambi flessibili, dunque, la relazione BB è esprimibile così:
(40)
( X 0 + gE ) − (Z 0 + mY − fE ) + (MC0 + ni ) = 0
ossia, risolvendo per il reddito:
(41)
Y=
1
[X 0 − Z 0 + MC0 + ni + (g + f )E ] .
m
2.3.2 Le relazioni IS e LM in regimi di cambi flessibili
La IS è data da
(42)
Y = [C0 + b(1 − t )Y ] + [I 0 − ai ] + G + ( X 0 + gE ) − (Z 0 + mY − fE )
ossia risolvendo in Y
(43)
Y=
C0 + I 0 + G + X 0 − Z 0
a
g+ f
−
i+
E
1 − b(1 − t ) + m
1 − b(1 − t ) + m 1 − b(1 − t ) + m
La LM , che non dipende dal tasso di cambio, è data invece da
(44)
k
MS
i= Y−
h
h
2.3.3 L’equilibrio simultaneo del mercato dei beni (IS ) , della moneta
(LM ) e dei conti con l’estero (BB ) in regime di cambi flessibili
A differenza del caso illustrato precedentemente, dove il cambio è fisso e
quindi dato, ora disponiamo di tre equazioni in tre incognite: Y , i ed e . La
135
rappresentazione grafica può avvenire anche a due dimensioni, utilizzando un
piano
(Y , E )
nel quale considerare le funzioni IS e BB , che saranno
parametriche rispetto a i . Accanto consideriamo poi un piano (Y , i ) nel quale
compaiono le relazioni IS e LM .
Prendiamo in esame l’andamento delle relazioni BB e IS nel piano (Y , E ) .
Se consideriamo la formula (41) introdotta sopra, constatiamo che la BB è
crescente: infatti, dal punto di vista algebrico, fissato i , E deve crescere al
crescere di Y . Dal punto di vista economico, possiamo affermare che per valori
più alti di Y , si hanno valori più alti di Z , che, come detto in precedenza,
producono un deficit della BPC , e quindi per mantenere l’equilibrio esterno E
deve aumentare.
Nel piano (Y , E ) , anche la IS è crescente: considerando la formula (43),
fissato i , E deve crescere al crescere di Y . Dal punto di vista economico
possiamo affermare che per valori più alti di E si hanno valori più alti di X .
Dunque, a parità di i , l’equilibrio sul mercato dei beni non può che avvenire a
valori più alti di Y con conseguente aumento delle importazioni Z e il
mantenimento dell’equilibrio esterno.
Osserviamo infine che, risolvendo le due equazioni in termini di E , il
coefficiente angolare della IS
(45)
1 − b(1 − t ) + m
g+ f
è maggiore di quello della BB
(46)
m
g+ f
ossia
(47)
136
1 − b(1 − t ) + m > m
E
IS
BB
Y
2.3.4 Gli effetti di una politica monetaria espansiva in regime di cambi
flessibili (nel caso Y < Y * )
Data una situazione di equilibrio tale che:
♦ I =S
♦ MS = L
♦ BP = 0
♦ Y <Y*
esaminiamo l’ipotesi per cui si espanda la moneta per aumentare il
reddito. Considerando il piano (Y , i ) , sappiamo che l’effetto è un aumento del
reddito e una diminuzione del saggio di interesse.
Sul piano (Y , E ) , invece, la IS si deve spostare a destra, perché a pari
valori di E si hanno più alti valori di reddito Y . Anche la BB deve spostarsi,
essendo parametrica rispetto al tasso di interesse. Essendo i più basso, la
sezione MC va in deficit e per mantenere l’equilibrio dei conti con l’estero si
può agire sul tasso di cambio E aumentandolo. Quindi la BB si sposta verso
l’alto. Il nuovo punto di equilibrio si trova ad un tasso di interesse i più basso, a
un reddito Y più elevato e ad un tasso di cambio E maggiore. Infatti, occorre
137
che E aumenti affinché il conseguente aumento delle esportazioni controbilanci
l’aumento delle importazioni e il deficit della sezione MC .
Se ne conclude che, in cambi flessibili, la politica monetaria è efficace,
anche se l’aumento di E , ovvero la svalutazione della moneta nazionale, può
introdurre inflazione nel sistema economico.
IS1
E
(2)
IS2
BB2
B
(3)
BB1
A
Y1
i
Y
Y2
IS
LM 1
LM 2
(1)
A
iA
iB
B
(1)
Y1
138
Y2
Y*
Y
2.3.5 Gli effetti di una politica fiscale “pura” espansiva in regimi di
cambi flessibili (nel caso Y < Y * )
Data una situazione di equilibrio tale che:
♦ I =S
♦ MS = L
♦ BP = 0
♦ Y <Y*
valutiamo l’ipotesi per cui si espanda la spesa pubblica per aumentare il
reddito. Considerando il piano (Y , i ) , sappiamo che aumentano sia il reddito
che il saggio di interesse.
Consideriamo ora il piano (Y , E ) : la IS si deve spostare verso destra,
poiché a pari valori di E si hanno valori più alti di Y . Essendo inoltre che
l’aumento del saggio di interesse provoca spiazzamento degli investimenti
privati, lo spostamento può essere più o meno rilevante. Ma anche la BB deve
spostarsi. Infatti, ad un tasso di interesse i più alto, la sezione MC va in
surplus – per comodità supponiamo che questo surplus sia più significativo del
deficit della BPC. Per mantenere l’equilibrio dei conti con l’estero si può ridurre
il tasso di cambio E , quindi la BB si sposta verso il basso. Il nuovo punto di
equilibrio si trova ad un tasso di interesse i più alto, ad un reddito Y più o
meno prossimo a quello iniziale e ad un tasso di cambio E più basso.
Se ne conclude quindi che, in regime di cambi flessibili, la politica fiscale è
poco efficace.
139
IS1
(2)
E
IS2
BB1
(3)
A
BB2
B
Y1
Y2
LM
IS2
i
IS1
Y
(1)
iB
iA
B
A
(1)
Y1
140
Y2
Y*
Y
Scarica