Nicolò De Vecchi MONETA ED ECONOMIA REALE (con un’appendice sull’economia aperta) DISPENSA DEL CORSO DI MACROECONOMIA Facoltà di Economia Università di Pavia ANNO ACCADEMICO 2008-2009 Questa dispensa non è soggetta a diritti d’autore o di edizione Un particolare ringraziamento va rivolto agli studenti Elena Giardini del Corso di Laurea Specialistica in Economia e Gestione delle Imprese e Roberto Perduca del Corso di Laurea Specialistica Interfacoltà con Ingegneria in Management e Tecnologie dell’e-Business, per essersi impegnati, del tutto disinteressatamente, a migliorare la lettura di grafici e formule in questa edizione rispetto alle precedenti. INDICE 1 – INTRODUZIONE 1 2 – IDENTITÀ DEGLI SCAMBI, TEOREMA DEGLI SCAMBI E TEORIE DELLA MONETA 7 2.1 L’identità degli scambi 7 2.2 Il teorema degli scambi 8 2.3 Teorie quantitative e teorie non quantitative 8 2.4 Prezzi assoluti e prezzi relativi 3 – TEORIE NEOCLASSICHE DELLA MONETA 3.1 Il meccanismo di trasmissione diretto: la teoria di Pigou 10 12 12 3.2 Una premessa alle teorie neoclassiche della moneta con meccanismo indiretto di trasmissione: la determinazione del saggio di interesse secondo gli economisti neoclassici 16 3.3 Il meccanismo di trasmissione indiretto: la teoria di Wicksell 26 I 4 – KEYNES: L’ECONOMIA CAPITALISTICA COME ECONOMIA MONETARIA 32 4.1 Keynes di fronte alla dicotomia neoclassica 32 4.2 Domanda di moneta e saggio di interesse 34 4.3 Il mercato dei titoli e la speculazione 37 4.4 La domanda di moneta a scopo finanziario 41 4.5 Gli effetti di una espansione della quantità di moneta 41 4.6 Gli effetti di una riduzione della quantità di moneta 47 4.7 Moneta, mercato del lavoro e livello generale dei prezzi 48 5 – LA TEORIA NEONEOCLASSICA DELLA MONETA 51 5.1 I saldi reali di cassa e la domanda di moneta 51 5.2 Il meccanismo diretto di trasmissione e gli effetti di una variazione di quantità di moneta 54 5.3 Il meccanismo di trasmissione indiretto e gli effetti della variazione della quantità di moneta: lo schema IS − LM II 56 6 – I NEOKEYNESIANI 6.1 La New Economics 63 63 6.2 La prima fase dell’economia neokeynesiana: gli interventi di politica economica per raggiungere l’equilibrio di piena occupazione 64 6.3 Il compromesso con i neoneoclassici (e i monetaristi) 68 6.4 La seconda fase dell’economia neokeynesiana: il problema dell’inflazione e i nuovi strumenti di analisi 7 – I MONETARISTI 69 78 7.1 La prima fase: la contrapposizione con i neokeynesiani sulla base dello schema IS − LM 78 7.2 La seconda fase del monetarismo: l’accettazione dello schema AS − AD e della curva di Phillips 91 7.3 Gli effetti della politica monetaria espansiva mediante la funzione di Samuelson – Solow – Friedman 98 7.4 Gli effetti della politica fiscale espansiva mediante la funzione di Samuelson – Solow – Friedman 102 7.5 Gli effetti della politica monetaria restrittiva (disinflazionistica) mediante la funzione di Samuelson – Solow – Friedman 103 III 8 – LA NUOVA MACROECONOMIA CLASSICA 106 8.1 Le premesse fondamentali 106 8.2 La funzione AS di Lucas 107 8.3 Le aspettative razionali alla Lucas 108 8.4 La funzione AD e il significato di ( p − p ) nella funzione AS di Lucas t e t 8.5 Il giudizio sulla politica economica da parte dei Nuovi Macroeconomisti Classici APPENDICE: L’ECONOMIA APERTA 1 – La bilancia dei pagamenti 110 114 119 119 1.1 Le sezioni della bilancia dei pagamenti 119 1.2 Il moltiplicatore di mercato aperto 120 1.3 Se il saldo BPC < 0 , esistono meccanismi automatici per ristabilire il pareggio? 122 1.4 Il problema di un riequilibrio della BPC dopo che si è creata la situazione BPC<0 125 2 – Il sistema aperto e gli effetti della politica monetaria e fiscale 127 2.1 Il modello di riferimento 127 2.2 Il caso dei cambi fissi 128 2.3 Il caso dei cambi flessibili 134 IV 1 – INTRODUZIONE 1.1 Per capire la natura e le funzioni della moneta in un sistema economico non prendiamo in considerazione lo scambio di una merce (o di una prestazione produttiva) contro un’altra merce, come tradizionalmente si fa; non consideriamo cioè come atto fondamentale di scambio il baratto. In un’economia di scambio, l’atto di scambio tipico è quello tra una merce (o una prestazione produttiva) contro una promessa di pagamento fornita dall’individuo acquirente all’individuo venditore. Ogni atto di scambio di questo genere fa nascere un debito. In altri termini, i beni sono acquistati a credito e ogni transazione verrà prima o poi completata da un pagamento finale in termini di merci. Se il pagamento finale potesse essere continuamente rinviato da una nuova promessa e non avesse di fatto mai luogo, il compratore godrebbe di un privilegio di signoraggio nei confronti del venditore. Questa però non potrebbe essere la pratica normale in una società fondata sulle decisioni individuali: di fatto, ad ogni contratto segue sempre, prima o poi, un pagamento finale in termini di beni. Il sistema economico che stiamo considerando rimane comunque un’economia di baratto: non possiamo cioè dire che circola moneta. Ogni scambio è un atto tra due individui, indipendente da qualsiasi atto di scambio, fondato sulla fiducia (o se si preferisce sul “credito”) che quel particolare venditore sta dando a quel particolare acquirente in quel particolare momento. Si tratta di un rapporto di fiducia (o di credito personale) perché ogni venditore ha fiducia nel fatto che il pagamento avrà prima o poi luogo in termini di merci: l’acquirente non può differire nel tempo il pagamento finale in termini di merci. 1.2 Continuiamo a considerare la situazione precedente, ma aggiungiamo l’ipotesi che l’oggetto la cui consegna scioglie definitivamente il debitore dai suoi obblighi contrattuali non debba essere una merce, ma sia già la promessa di pagamento stessa. In altri termini, il venditore non si attende nessuna 1 corresponsione di una qualche merce in un qualche istante futuro da parte dell’acquirente. Egli scioglie immediatamente l’acquirente dal debito ricevendo una promessa di pagamento, in virtù del fatto che, per consuetudine o per accordo, tutti gli individui operano degli scambi stipulando contratti di vendita di merci contro promesse di pagamento, che sono accettate da tutti gli altri. Accade ora non solo che il compratore che cede questa promessa di pagamento è definitivamente sciolto da ogni obbligo nei confronti di chi gli ha venduto una merce, ma anche che il venditore può impiegare la promessa di pagamento ricevuta per acquistare merci da qualsiasi altro individuo. In questo senso possiamo affermare che è introdotta la moneta: essa è la promessa di pagamento “universalmente” accettata ed assolve specifiche funzioni. Eppure l’economia in questione resta un’economia di baratto. Vediamo perché è possibile fare ambedue queste affermazioni, apparentemente contraddittorie. Riguardo alla prima affermazione: ♦ la moneta introdotta ha funzione di mezzo di pagamento, in quanto la sua cessione scioglie da qualsiasi obbligo contrattuale assunto; ♦ accade che è conveniente per l’individuo trattenere scorte in moneta allo scopo di far fronte a difficoltà di pagamento connesse alle diverse scadenze dei contratti di credito e debito che ha stipulato. Dunque la moneta assume anche la funzione di fondo di valore. Riguardo alla seconda affermazione, stiamo sempre considerando un’economia di baratto, poiché non esiste alcun motivo di impiegare la moneta altrimenti che come mezzo di pagamento. In altri termini, fatte salve le necessità di cassa di cui si è detto, ogni venditore accetterà la moneta per impiegarla a sua volta nell’acquisto delle merci che desidera e che il suo compratore diretto non è in grado di fornirgli. Possiamo quindi concludere che: ♦ nel sistema economico che stiamo considerando circola moneta; ♦ tuttavia la moneta è accettata unicamente per essere spesa. Essa può essere trattenuta ma non svolge alcuna funzione autonoma rispetto alle merci: semplicemente, facilita gli scambi, ma ogni individuo entra in 2 relazione di scambio con gli altri e accetta moneta solo per spenderla nell’acquisto di una merce diversa da quella che possiede. In ultima istanza, ciò che conta per l’individuo è un baratto. Potremmo riassumere quanto sopra affermando che nel sistema economico in questione vale la relazione M – D – M (merce – denaro – merce). Alcune delle teorie della moneta che incontreremo nel nostro breve percorso intendono la moneta in questa accezione. Sembrerà strano, ma la maggior parte delle teorie economiche della moneta formulate dagli economisti dal ‘700 ai giorni nostri si fermano a questo livello di considerazione della natura e delle funzioni della moneta. 1.3 Per passare da un’economia di baratto ad un’economia monetaria vera e propria è necessario introdurre un elemento supplementare. Nel sistema economico fin qui considerato nessun compratore è obbligato a far fronte ai propri impegni mediante la cessione di ciò che funge da moneta, così come nessun venditore è obbligato ad accettare in pagamento ciò che funge da moneta e liberare così il compratore da ogni debito nei suoi confronti. Affinché ci sia questo obbligo in un’economia individualistica (basata cioè sulle decisioni individuali di produzione, scambio, consumo, ecc.) è necessaria la presenza di un ente sovraindividuale (ad esempio una autorità statale), al quale ogni individuo riconosca un duplice diritto: 1. il diritto o di obbligare ogni compratore a consegnare al venditore la promessa di pagamento che lo Stato stesso designa come moneta, per ritenersi sciolto dal debito e o di obbligare ogni venditore ad accettare in pagamento ciò che lo Stato stesso ha designato come moneta (lo Stato funge qui da autorità legale che assicura il rispetto dei contratti); 3 2. il diritto di designare ciò che funge da moneta e il diritto di variare questa dichiarazione nel tempo. Ciò significa che la moneta è unicamente costituita da promesse di pagamento fornite dallo Stato, ossia che è lo Stato a decidere l’unità in termini della quella sono stipulati i contratti. Ne segue che tutti gli individui effettueranno le loro valutazioni sempre ed obbligatoriamente in termini di quella unità. La moneta funge qui da unità di conto, ossia da “metro” comune a tutti nei reciproci rapporti. Accade però che l’unità di conto rimane invariata solo nominalmente; ciò significa che gli individui continueranno a trattare in termini di “Euro” (oro, dollari, ecc.). tuttavia il valore della moneta, ossia ciò che essi riescono ad acquistare in termini di merci con una unità di moneta, varia nel tempo e varia non soltanto in funzione delle valutazioni individuali delle merci e dei servizi, ma anche in funzione di una dichiarazione dello Stato. Lo Stato insomma ha quel diritto di signoraggio che, come abbiamo visto, deve essere negato all’individuo singolo in una società fondata sulle decisioni individuali. Ogni individuo accetta in pagamento soltanto promesse di pagamento fornite dallo Stato: accettandole dal suo debitore individuale diventa di fatto creditore dello Stato, il quale però non ha alcun obbligo di fornirgli merci, di nessun tipo, in nessun istante. Proprio perché lo Stato gode di questa posizione di signoraggio, è anche in grado di far variare l’entità reale del suo debito nei confronti della collettività, per esempio variando l’emissione di moneta. In definitiva, lo Stato e una moneta dal valore mutevole sono un tutt’uno in una società individualistica: non si può fare a meno dell’uno e conseguentemente neppure dell’altra. Viceversa, una moneta che non riscuote più fiducia è il primo e sicuro sintomo di un’autorità statale destinata ad annullarsi. Riassumendo, possiamo affermare che: 1. la moneta ha essenzialmente la funzione di unità di conto ed è moneta legale: è promessa di pagamento con potere liberatorio sancito dallo Stato; 2. la moneta legale è sempre moneta segno: cosa debba fungere da moneta (un segno o un materiale con proprio valore intrinseco) è 4 indifferente. Una moneta–oro non differisce, in quanto unità di conto con potere liberatorio, da una moneta carta. Sarebbe semplicemente una promessa di pagamento fornita dallo Stato, stampata su oro anziché su carta, come afferma uno dei massimi teorici della moneta (J.A. Schumpeter). Ciò che conta affinché qualcosa sia moneta e abbia “valore” di moneta non è il materiale di cui è costituita, ma la dichiarazione dello Stato; 3. la moneta è l’unica “cosa” che, a differenza di qualsiasi merce, è trasformabile in qualunque momento in ciò di cui si ha bisogno. É liquidità in senso proprio, o equivalente generale del valore, ossia l’unica “cosa” che, per ragioni sancite dalla legge, è in grado di trasformarsi sempre ed ovunque in qualsiasi merce. Ecco perché la moneta è desiderata e trattenuta: essa non viene trattenuta da ogni individuo soltanto perché questi ha un vincolo continuo di liquidità, ossia deve essere in grado, ad ogni scadenza, di estinguere ogni debito con la moneta. Essa è anche desiderata “per sé”, fino al punto che, da mezzo per raggiungere un fine, diventa fine essa stessa (la moneta come feticcio). Si desiderano i beni che con essa si possono acquistare, ma si desidera anche ciò che li rappresenta in astratto, la moneta appunto, perché solo chi possiede moneta può in ogni istante ed in ogni luogo ottenere ogni bene. Chi possiede beni (o titoli rappresentativi di beni) e ne vuole altri, deve prima convertire quei beni (o quei titoli) in moneta, e poi procedere ai suoi acquisti. La moneta è liquidità, nel senso che è simultaneamente mezzo di pagamento e forma patrimoniale. Nessuna altra forma patrimoniale (merce, titolo rappresentativo di merci, attività finanziaria) è immediatamente anche mezzo di pagamento. Possiamo esprimere lo stesso concetto affermando che la moneta ha anche la funzione di fondo di valore, ma con un nuovo significato rispetto al caso esaminato nel paragrafo 1.2 (là la moneta era trattenuta semplicemente per far fronte alla discontinuità tra incassi ed esborsi). Proprio perché la moneta è desiderata per sé, accade che la rinuncia alla moneta, ossia alla liquidità, abbia un prezzo: il saggio di interesse. In definitiva, la funzione di unità di conto sancita dalla legge comporta il passaggio da un’economia di baratto ad una “economia monetaria” in senso proprio, e dà un nuovo significato alla funzione di fondo di valore. Potremmo riassumere affermando che nel sistema economico in questione vale la relazione 5 D – M – D’ (denaro – merce – denaro). Alcune delle teorie della moneta elaborate dagli economisti in più di due secoli considerano la moneta in questi termini: sono un’assoluta minoranza. 1.4 Dopo aver individuato le funzioni della moneta (nell’ordine: unità di conto o equivalente generale del valore, mezzo di pagamento, fondo di valore), il nostro problema consisterà nello stabilire: 1. se la presenza della moneta influenzi le decisioni di produzione, la distribuzione del reddito, i prezzi relativi, il livello di occupazione, ecc. In questo senso ci occupiamo di moneta ed economia reale; 2. se la moneta sia semplicemente un termine medio che facilita i pagamenti, senza esercitare nessuna influenza duratura sui fenomeni reali dell’economia. Le teorie economiche possono essere distinte in base alla risposta che danno a questa domanda. Strettamente connesse alla risposta sono le indicazioni di politica economica che vengono fornite dagli economisti. 6 2 – IDENTITÀ DEGLI SCAMBI, TEOREMA DEGLI SCAMBI E TEORIE DELLA MONETA 2.1 L’IDENTITÀ DEGLI SCAMBI Per affrontare il problema degli effetti della presenza della moneta sui fenomeni reali dell’economia, dobbiamo considerare una relazione che sta alla base di qualsiasi teoria della moneta. Si tratta della identità degli scambi (o identità di Fisher, dal nome dell’economista che, ai primi del ‘900, l’ha espressa in modo definitivo): MV ≡ PT (1) identità degli scambi La (1) afferma che il valore totale degli scambi (PT ) in un dato periodo equivale alla moneta disponibile per gli stessi, tenuto conto della sua velocità di circolazione (MV ) . I simboli hanno il seguente significato: ♦ T è il numero di transazioni effettuate nel periodo considerato; ♦ P è il livello generale dei prezzi, inteso come prezzo medio di ogni transazione; ♦ M è il numero di unità monetarie disponibili nel periodo stesso per gli scambi; ♦ V è la velocità di circolazione, ovvero il numero di volte che una stessa unità monetaria viene utilizzata nell’acquisto di beni finali di consumo nel periodo considerato. Si nota immediatamente che l’identità degli scambi mette in relazione tra loro la sfera reale dell’economia (PT ) e la sfera monetaria (MV ) . In quanto identità, l’espressione afferma semplicemente che le quattro variabili debbono sempre comportarsi in modo da rispettare il vincolo imposto. Aggiungiamo infine che la (1) può essere espressa così: (2) MV ≡ PY oppure 7 (3) MV ≡ PR dove Y è il reddito nazionale e R la ricchezza. Si ipotizza che nel periodo considerato esista una relazione costante tra il reddito Y , la ricchezza R e il volume delle transazioni T . Ovviamente, muta il significato di P : nella (2) P esprime il prezzo di ogni paniere di merci che costituisce il prodotto sociale, mentre nella (3) esprime il prezzo medio delle attività patrimoniali. 2.2 IL TEOREMA DEGLI SCAMBI L’identità degli scambi regge il teorema degli scambi, la cui espressione è identica a quella che designa l’identità degli scambi, ma il significato muta: (4) MV = PT teorema degli scambi Siamo di fronte ad un teorema, poiché affermiamo che una variazione in una qualsiasi delle variabili provocherà variazioni in una o più delle altre variabili, tale da ristabilire l’uguaglianza. Notiamo che: 1. il teorema degli scambi sta alla base di ogni teoria della moneta: esso è accettato da qualsiasi teorico; 2. si afferma che formuliamo una “teoria della moneta”, quando non ci limitiamo a constatare ciò che il teorema afferma, ma esprimiamo una “spiegazione” degli effetti che i cambiamenti di una qualsiasi delle quattro variabili generano su tutte le altre, affinché si ristabilisca l’eguaglianza. In altri termini, una teoria della moneta si differenzia dalle altre teorie per le ipotesi di comportamento che formula relativamente ad ognuna delle quattro variabili comprese nell’identità degli scambi. 2.3 TEORIE QUANTITATIVE E TEORIE NON QUANTITATIVE Possiamo introdurre a questo punto un’utile classificazione di base tra le molteplici possibili teorie della moneta (tante quante sono le ipotesi di 8 comportamento per ognuna delle quattro variabili che si è in grado di formulare). Distinguiamo cioè teorie “quantitative” della moneta e teorie “non quantitative”. Si dice che una teoria della moneta è quantitativa quando si introducono delle ipotesi di comportamento per ognuna delle quattro variabili del teorema degli scambi, tali che, almeno nel lungo periodo, vale quanto segue: ⎧ PT = M V ⎨ ⎩ P = P (M ) (5) Ciò significa che una teoria quantitativa poggia sulle seguenti ipotesi di comportamento: 1. una relativa al volume delle transazioni T , tale che, almeno nel lungo periodo, non cambia al variare di M e di P ; 2. una relativa alla velocità di circolazione della moneta V , tale che, almeno nel lungo periodo, non cambia al variare di M e di P ; 3. una, tale per cui variazioni esogene di M provocano variazioni di P nello stesso senso e della stessa intensità, affinché sia ristabilita l’eguaglianza MV = PT . Dunque non esiste una sola teoria quantitativa, ma ne esistono tante in relazione a: 1. le ipotesi di comportamento che vengono formulate per spiegare la costanza di T (o di Y o di R , se si utilizzano le altre due espressioni); 2. le ipotesi di comportamento che vengono formulate per spiegare la costanza di V ; 3. le ipotesi circa il legame funzionale tra M e P . Possiamo distinguere fin da ora due grandi classi di teorie quantitative (ma la distinzione vale per le teorie della moneta in generale), a seconda che il legame funzionale fra M e P sia diretto o mediato da variazioni del saggio di interesse: 9 1. nel primo caso si parla di meccanismo di trasmissione diretto (le variazioni di M si traducono in variazioni di P senza mediazioni); 2. nel secondo caso si parla di meccanismo di trasmissione indiretto (le variazioni di M si traducono in variazioni di P tramite variazioni del saggio di interesse monetario, dove, a sua volta, quest’ultimo può essere inteso come il prezzo del credito o il prezzo per la cessione della liquidità). 2.4 PREZZI ASSOLUTI E PREZZI RELATIVI Prima di analizzare alcune teorie della moneta dobbiamo mettere in evidenza un limite di validità delle teorie quantitative, enunciato già nel ‘700 da Cantillon. Come abbiamo visto per una teoria quantitativa della moneta, vale un legame funzionale tra la quantità di moneta disponibile per gli scambi (M ) e il livello generale dei prezzi (P ) , posto che V e T (o Y o R ) non variano. Ci chiediamo: quando siamo autorizzati ad ipotizzare che al variare di M varia il livello generale dei prezzi, ma non i prezzi relativi delle merci? In altri termini, a quali condizioni i prezzi delle merci variano tutti proporzionalmente al variare di M ? Cantillon giunge alle seguenti conclusioni: 1. se e soltanto se la nuova moneta immessa nel sistema economico si distribuisce fra tutti gli individui in modo da lasciare inalterata la precedente ripartizione della moneta, allora tutti i prezzi aumenteranno proporzionalmente; in tal caso l’espansione monetaria fa crescere il livello dei prezzi e vale la teoria quantitativa (ipotesi tacita della teoria quantitativa); 10 2. se invece la nuova moneta è destinata solo ad alcuni individui oppure, più in generale, viene ripartita nella collettività in modo non proporzionale alla ripartizione della moneta già disponibile, succede che: o muta la composizione del reddito speso: alcuni individui hanno più moneta di quella che avevano in precedenza e altri no, di conseguenza le merci che essi domandano sono destinate ad aumentare di prezzo relativamente alle merci richieste dagli altri. In altri termini, mutano i prezzi relativi delle merci; o muta di conseguenza la composizione del reddito Y prodotto, perché i vari settori produttivi vengono attivati in modo diverso; o muta anche la distribuzione del reddito, posto che in ogni settore è diversa la partecipazione di capitalisti e lavoratori alla produzione. Se alcuni settori risultano attivati più di altri, muteranno la quota dei profitti e la quota dei salari sul prodotto complessivo. Dunque, in generale, una variazione della quantità di moneta non genera una variazione nello stesso senso e della stessa intensità nel livello dei prezzi, ma ha effetti sulla composizione della spesa, sulla composizione della produzione (ossia attiva i settori produttivi in modo diverso), sui prezzi relativi delle merci e sul reddito distribuito. 11 3 – TEORIE NEOCLASSICHE DELLA MONETA 3.1 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE DIRETTO: LA TEORIA DI PIGOU Tra le molteplici teorie neoclassiche della moneta che mettono in risalto il meccanismo diretto di trasmissione consideriamo quella di Pigou, detta anche teoria di Cambridge. Essa è di particolare importanza come esempio di trattazione neoclassica della moneta, ma anche per gli sviluppi cui diede luogo in seguito. Pigou attribuisce alla moneta la funzione di mezzo di pagamento e di fondo di valore, ma con un particolare significato. Egli parte dalla constatazione che la ricchezza di un individuo assume varie forme, tra le quali vi è anche la forma monetaria: l’individuo trattiene moneta per garantirsi contro necessità improvvise di liquidità, derivanti ad esempio dalle diverse scadenze temporali dei pagamenti. Pigou aggiunge che l’individuo detiene in forma liquida una porzione costante della propria ricchezza complessiva. Se passiamo dalla considerazione del comportamento individuale alla collettività come somma di individui, aggregando le ricchezze individuali, possiamo designare con il simbolo R la ricchezza complessiva: questa comprende ogni forma possibile, denaro, terreni, immobili. In base alle ipotesi di comportamento introdotte sopra, possiamo affermare che kPR è la porzione di ricchezza che la collettività desidera detenere in forma liquida, dove R è la ricchezza in termini reali, moltiplicata per P che rappresenta il prezzo dell’unità patrimoniale. Ne segue quindi che la domanda di moneta nel sistema economico è pari a (1) L = kPR Ci chiediamo ora da cosa dipende esattamente la quota di ricchezza che l’individuo (e di conseguenza la collettività come somma di individui) detiene in forma liquida. In altri termini, ci chiediamo da che cosa dipende k . Secondo Pigou, k dipende fondamentalmente dal saggio di interesse (in relazione inversa); nella teoria neoclassica (vedi il paragrafo 3.2) il saggio di interesse è determinato nella sfera reale dell’economia (ossia è grandezza reale), in quanto corrisponde sia alla produttività marginale del fattore di produzione capitale (l’incremento del prodotto che si ottiene con un incremento del capitale), sia al 12 compenso per la rinuncia al consumo attuale a favore del consumo futuro (significato di risparmio nell’ottica neoclassica). Essendo quindi (2) k = k (i ) dove 0 < k < 1 la funzione di domanda di moneta può essere scritta come (3) L = k (i )PR Se ora consideriamo l’offerta di moneta esogena M , si avrà equilibrio monetario (cioè L = M ) quando (4) M = k (i )PR In particolare, una variazione di M dovrà generare una variazione nello stesso senso e proporzione in P , in quanto R e k sono determinati nella sfera reale e dunque non mutano al variare di M . Essendo quindi P = P(M ) possiamo concludere che la teoria di Pigou è un esempio di teoria quantitativa della moneta: (5) ⎧M = k (i )PR ⎨ ⎩ P = P (M ) Prima di verificare questa affermazione, constatiamo che la formulazione di Pigou della teoria quantitativa equivale a quella che abbiamo impiegato nel capitolo 2, seguendo la più comune formulazione di Fisher. Contrapponendo le due formulazioni: (6) Pigou: M = k PR (7) Fisher: M V = PT = PY = PR Come già detto, di norma si assume che nel breve periodo esista una relazione costante tra R , Y (reddito in termini reali) e T . Quindi la formulazione di Pigou può essere riscritta così: (8) M = kPT o anche 13 (9) M 1 = PT k Confrontando ora la formula così ottenuta con quella di Fisher, constatiamo che k non è altro che l’inverso di V , ovvero (10) 1 =V k Ciò era da attendersi, visto che V tiene conto della circolazione delle unità di moneta, mentre k considera le unità di moneta nel loro permanere presso gli individui, senza circolare. Possiamo ora dare una rappresentazione grafica del mercato della moneta nella teoria di Pigou e mostrare il meccanismo di trasmissione diretto che egli propone. Considerando la formula (1) e spostando P al primo membro possiamo riscrivere la domanda di moneta come (11) L 1 = kR P mentre l’offerta di moneta è esogena, quindi (12) M = MS Per quanto detto in precedenza riguardo a R e a k , la funzione della domanda di moneta è sicuramente un’iperbole equilatera, cioè il luogo dei punti in cui il prodotto di ascissa per ordinata è costante. Le variabili sono L e 1 , cioè il valore dell’unità monetaria, ossia quanto si ottiene in termini di P merci. Il mercato della moneta può quindi essere rappresentato così: 14 1 P 1 P1 E L MS L, M Il punto di intersezione E indica il valore della moneta di equilibrio, ovvero il suo potere d’acquisto (l’inverso del livello generale dei prezzi). Chiediamoci ora in che modo, secondo Pigou, un aumento della quantità di moneta offerta si traduce in un aumento del livello generale dei prezzi (meccanismo di trasmissione diretto). Supponiamo che vi sia una espansione monetaria (ad esempio che raddoppi l’offerta M ): ciò implica una maggiore disponibilità di moneta a quel livello dei prezzi. Ogni individuo, quindi, si trova a detenere una scorta di moneta eccessiva rispetto all’ammontare delle altre forme in cui detiene ricchezza. In sostanza, il k è troppo alto rispetto a quello di equilibrio: essendo stata alterata la composizione del portafoglio che ogni individuo giudicava di equilibrio, ognuno spende la moneta in eccesso per acquistare altre forme di ricchezza, al fine di ristabilire la composizione del portafoglio. Tuttavia, siccome il sistema neoclassico prevede che in situazione di equilibrio vi sia piena utilizzazione dei fattori produttivi, compreso anche il lavoro, non si può ottenere nessun cambiamento nella produzione dei beni ed i prezzi di tutte le merci devono aumentare fino ad un livello tale da assorbire tutta la moneta in eccesso. In conclusione, tutti i prezzi crescono in maniera proporzionale all’aumento della moneta, quindi il valore della moneta si riduce proporzionalmente. 15 1 P 1 P1 E’ 1 2 P1 E’’ M 2M L L, M In conclusione: la teoria della moneta di Pigou è una teoria quantitativa; egli sottolinea il legame tra M e P , in assenza di variazioni di V (o di k ) e di Y . Sfera reale e sfera monetaria sono nettamente distinte, vi è cioè dicotomia tra esse e qualsiasi politica di espansione o restrizione monetaria si risolve in instabilità dei prezzi. Il processo è reversibile e vale in senso opposto; non vi è nessuna efficacia sul mondo (sfera) reale, positiva o negativa. 3.2 UNA PREMESSA ALLE TEORIE NEOCLASSICHE DELLA MONETA CON MECCANISMO INDIRETTO DI TRASMISSIONE: LA DETERMINAZIONE DEL SAGGIO DI INTERESSE SECONDO GLI ECONOMISTI NEOCLASSICI Alcune teorie neoclassiche della moneta impiegano il meccanismo indiretto di trasmissione, fanno cioè riferimento al saggio di interesse. Salvo eccezioni, per la teoria neoclassica il saggio di interesse è il prezzo per l’uso del capitale, dove il capitale è grandezza reale. Infatti si definisce il capitale come il complesso delle merci non destinate al consumo attuale, ma risparmiate ed utilizzate come mezzi di produzione per altre merci, che saranno disponibili per il consumo in un istante futuro (beni intermedi). Si possono costruire una funzione di domanda e una funzione di offerta di capitale per il sistema economico; esse sono ottenute aggregando le funzioni di domanda e di offerta dei singoli individui, i quali agiscono in base al principio di massimizzazione (razionalità neoclassica). 16 Come si constata dalla definizione di capitale, la determinazione del saggio di interesse deriva da scelte compiute in un dato istante t0 con riferimento ad almeno due diversi istanti: lo stesso istante t0 attuale e l’istante t1 futuro, considerando in questo modo la nozione di passaggio del tempo. Due sono gli atti di scelta tra presente e futuro che ci interessano per costruire le funzioni di domanda e di offerta (individuali ed aggregate) di capitale: 1. l’atto di scelta del produttore, il quale in t0 sceglie tra produrre beni per il consumo presente (per l’istante stesso t0 ) oppure beni intermedi in base ai quali ottenere beni di consumo per l’istante futuro t1 . Di qui si trae la funzione di domanda del capitale, o funzione dell’investimento; 2. l’atto di scelta del consumatore, il quale in t0 sceglie tra consumare beni al tempo presente t0 oppure astenersi dal consumo, risparmiare e rinviare quindi il consumo al tempo futuro t1 . Di qui si trae la funzione di offerta di capitale, o funzione del risparmio. Procediamo seguendo 5 passaggi: 1. consideriamo separatamente l’equilibrio del produttore nella sua scelta intertemporale; 2. consideriamo separatamente l’equilibrio del consumatore nella sua scelta intertemporale; 3. consideriamo poi l’equilibrio simultaneo del produttore e del consumatore; 4. costruiamo quindi le funzioni di risparmio e di investimento; 5. definiamo infine il mercato del capitale (o dei beni) e determiniamo il saggio di interesse. 3.2.1 Scelta intertemporale di produzione L’individuo produttore ha la scelta tra produzione per il consumo presente e produzione di beni intermedi o beni capitali da destinare alla 17 produzione di beni per il consumo futuro; questa scelta equivale concettualmente a quella tra due beni distinti. Consideriamo un individuo che possiede una data dotazione di risorse per ogni periodo produttivo ed un dato tempo disponibile per la produzione per ogni periodo produttivo; è data anche la tecnica e questa situazione rimane immutata nel tempo considerato. In ogni istante temporale il produttore può produrre beni che soddisfano il consumo per ammontare massimo uguale a C . Consideriamo i due istanti temporali t0 e t1 e supponiamo che l’individuo utilizzi tutte le risorse di cui dispone in ognuno di essi per produrre beni destinati al consumo immediato; possiamo indicare con C sull’asse delle ascisse e delle ordinate la produzione istante per istante. C insomma rappresenta la massima produzione possibile di beni destinati al consumo in ogni istante, qualora tutte le risorse e tutto il tempo disponibili in quell’istante (e soltanto questi) siano impiegati nella produzione di beni di consumo. C1 (t1 ) B C C C0 (t0 ) Il punto B di coordinate (C , C ) rappresenta la situazione del produttore che decide di impiegare risorse e tempo di lavoro disponibili in ogni istante per produrre beni di consumo per quello stesso istante. 18 Consideriamo ora l’istante t0 (è questo il momento in cui avviene la scelta intertemporale): anziché utilizzare tutte le risorse (e tutto il tempo di lavoro) per produrre beni destinati al consumo in t0 l’individuo può dedicare parte del tempo e delle risorse a produrre oggi beni strumentali, con i quali potrà poi produrre beni di consumo nell’istante t1 in aggiunta a quelli producibili con le risorse ed il tempo disponibili per quell’istante. Si dice che in questo caso egli compie un atto di investimento: nella teoria neoclassica investire significa produrre non per il consumo di oggi ma per il consumo futuro. In t0 l’individuo si trova dunque di fronte ad un problema di scelta: quante risorse e quanto tempo destinare alla produzione di beni di consumo disponibili al tempo t0 e quanto invece destinare alla produzione di beni di consumo disponibili al tempo t1 . Egli seguirà il principio della massimizzazione dei profitti, ricordando che nella teoria neoclassica la produzione ha luogo con rendimenti marginali decrescenti. A parità di lavoro, per ogni incremento nell’utilizzazione dei beni intermedi (capitale), si ottiene un aumento della produzione dei beni per il consumo futuro meno che proporzionale. Si può anche affermare che, riducendo progressivamente di una unità infinitesima la produzione per il consumo C0 , si ottiene un aumento meno che proporzionale della produzione per il consumo C1 . Graficamente, le combinazioni di produzione per i due consumi praticabili al tempo t0 giacciono su una curva concava verso l’origine. C1 (t1 ) A C1 B C C0 C C0 (t0 ) 19 Definiamo questa funzione come funzione di trasformazione: è il luogo dei punti che esprimono le combinazioni di produzione per il consumo C0 e C1 praticabili nell’istante t0 date le risorse, il tempo e le tecniche disponibili; esiste una sola curva, al di sotto della quale c’è non convenienza mentre al di sopra della quale vi è impraticabilità date le risorse e la tecnica. La derivata prima in ogni punto misura l’incremento di prodotto consumabile al tempo t1 ottenibile con una unità infinitesima aggiuntiva di bene intermedio (produttività marginale del capitale) e, contestualmente, l’incremento di produzione per il consumo al tempo t1 ottenibile con un decremento infinitesimo di produzione per il consumo al tempo t0 . 3.2.2 Scelta intertemporale di consumo L’individuo consumatore guadagna in ogni istante un dato reddito (vincolo per la scelta delle curve di indifferenza) che può consumare interamente oppure solo in parte. In questo caso rinuncia al consumo presente in favore di un consumo futuro certo, compiendo quindi un atto di risparmio; nella teoria neoclassica risparmiare significa rinviare il consumo ad una data futura certa. Anche il consumatore si trova quindi a dovere effettuare una scelta, manifestando così la sua preferenza intertemporale tra consumo attuale e consumo futuro: quanta parte del reddito guadagnato all’istante t0 destinare al consumo attuale e quanta destinare al risparmio e quindi al consumo futuro? In questo caso egli seguirà il principio della soddisfazione, cioè la massimizzazione dell’utilità. Essendo per i neoclassici l’utilità marginale decrescente, la perdita di soddisfazione per ogni unità di consumo presente cui progressivamente rinuncerà è crescente; ne segue che deve crescere anche il consumo futuro reso possibile con quella rinuncia. Dunque l’individuo è disposto a risparmiare un’unità aggiuntiva di reddito a favore di un consumo futuro soltanto se questo cresce più che proporzionalmente. Da un punto di vista grafico, le combinazioni fra consumo presente e risparmio a favore del consumo futuro, che assicurano lo stesso livello di soddisfazione e utilità complessiva, giacciono su una funzione convessa, detta curva di indifferenza. Essa fa parte di un fascio di curve con utilità complessiva 20 crescente: quanto più la curva è a destra sul grafico, tanto maggiore è il livello di utilità complessiva. La praticabilità dipende dal livello del reddito di cui il consumatore dispone quando combina consumo presente e futuro in base ai proprio gusti. La derivata prima in un punto qualsiasi di una curva di indifferenza rappresenta l’incremento di consumo futuro reso possibile da un decremento infinitesimo del consumo attuale, mantenendo inalterato il livello di soddisfazione del consumatore. C1 (t1 ) B C1′ D’’ D’ D C0′ 3.2.3 C0 (t0 ) L’equilibrio del produttore e del consumatore (eguaglianza tra reddito prodotto e reddito disponibile per il consumatore) Il produttore è in grado di muoversi sulla curva di trasformazione, seguendo un comportamento massimizzante il profitto sotto vincolo delle risorse e della tecnica. Il consumatore cercherà di scegliere invece quella combinazione consentitagli dal suo reddito che giace sulla curva di indifferenza più a destra possibile, seguendo anch’egli un comportamento massimizzante la sua soddisfazione sotto il vincolo del reddito e dei gusti. Poiché in equilibrio deve valere in ogni istante l’eguaglianza tra reddito prodotto e reddito speso, l’equilibrio simultaneo è ottenuto nel punto di tangenza tra la curva di trasformazione e una curva di indifferenza. La coppia 21 di consumo presente e futuro corrispondente esprime appunto l’equilibrio simultaneo del produttore e del consumatore: E (C0 ,C1 ) . La derivata prima in quel punto indica: 1. il prezzo per la rinuncia al consumo presente, o coefficiente di capitalizzazione; 2. il rendimento del capitale (bene intermedio) destinato alla produzione per il consumo futuro, o produttività marginale del capitale. Per il consumatore, dato il reddito Y0 , sarà in t0 : (13) Y0 = C0 + S 0 dove S0 è il risparmio ed equivale a: S0 = (14) C0,1 (1 + i ) dove C0,1 è il consumo al tempo t1 reso possibile dal risparmio effettuato in t0 mentre (1 + i ) rappresenta l’attualizzazione derivata dal fatto che C0,1 è riferito ad un tempo futuro; i è il saggio di interesse. Sostituendo la (14) nella (13) si ottiene: (15) Y0 = C0 + C0,1 (1 + i ) dalla quale, risolvendo per C0,1 : (16) C0,1 = (1 + i )Y0 − (1 + i )C0 che rappresenta l’equazione di una retta y = a + bx , precisamente tangente nel punto E capitalizzazione. 22 con coefficiente angolare b = −(1 + i ) , o coefficiente di C1 (t1 ) C A E C 0′ D B C − (1 + i ) C 0′ C C0 (t0 ) Il saggio di interesse è: 1. il prezzo per la rinuncia al consumo presente, ossia il prezzo del risparmio; 2. la produttività dei beni intermedi o produttività marginale del capitale. Esso risulta determinato in ultima istanza sulla base dei dati (risorse e tecnica per il produttore e reddito e gusti per il consumatore) e del principio di comportamento massimizzante sia del produttore sia del consumatore, sottoposti a determinati vincoli. Il saggio di interesse è quindi grandezza reale, in quanto determinato in modo totalmente indipendente dalla presenza della moneta. 3.2.4 Le funzioni di risparmio e di investimento Consideriamo ora il sistema economico e supponiamo: ♦ che il bene capitale sia unico (ipotesi di omogeneità dei beni capitali, fisicamente confrontabili tra loro, altrimenti ci sarebbero i prezzi); ♦ che sia assente la moneta; ♦ che sia possibile aggregare le curve individuali di indifferenza e di trasformazione. 23 La curva di trasformazione AB (aggregata) consente di individuare il livello degli investimenti per ogni livello dato del tasso di interesse e quindi la funzione di domanda di investimento. Poiché tale curva è costruita sulla base dell’ipotesi di produttività marginale decrescente del capitale, ne deriva che a valori più elevati del saggio di interesse la domanda di capitale sarà più bassa; la derivata seconda della funzione è cioè negativa e spostandosi da B verso A il saggio di interesse i risulta decrescente. i I I La curva di indifferenza CD (aggregata) consente di individuare il livello di risparmio per ogni dato livello del saggio di interesse e dunque l’offerta di risparmio. Poiché la curva CD è costruita sulla base dell’ipotesi di utilità marginale decrescente, a valori più elevati del saggio di interesse si sarà più disposti alla rinuncia al consumo presente, ossia l’offerta di capitale sarà più elevata. i S S 24 3.2.5 Il mercato del capitale (o dei beni) e il saggio di interesse L’equilibrio sul mercato del capitale si ha nel punto d’incontro delle due curve aggregate individuate: i S E i* I S* = I * S, I Per concludere, possiamo osservare che nella teoria neoclassica: 1. il risparmio è definito come rinuncia al consumo presente a favore di un consumo futuro certo e a data certa e comporta decisioni diverse da quelle di investimento; 2. il saggio di interesse di equilibrio è una grandezza reale perché è ottenuto sulla base di dati riguardanti la sfera reale e sulla base del principio di comportamento massimizzante degli individui; 3. se si dà progresso tecnico, aumenta la produttività marginale di qualsiasi unità di capitale investito e la funzione I si sposta verso l’alto; 4. se diminuisce il desiderio di consumo futuro, ossia muta la preferenza intertemporale a favore del consumo presente, la funzione S si sposta verso l’alto, dato che occorre un maggiore tasso di interesse per rinunciare ad un dato ammontare di consumo presente; 25 5. se si introduce la moneta, l’analisi non viene modificata: si aggiungeranno soltanto una domanda e un’offerta di capitale in forma liquida ad un saggio di interesse monetario, che in equilibrio coinciderà con il saggio di interesse naturale (reale). 3.3 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE INDIRETTO: LA TEORIA DI WICKSELL Come abbiamo già visto considerando la teoria della moneta di Pigou, gli economisti neoclassici attribuiscono alla moneta anche funzioni diverse da quella di mezzo di pagamento, tuttavia considerano la moneta principalmente come mezzo di scambio e ritengono che le sue variazioni generino effetti unicamente sul livello generale dei prezzi almeno nel lungo periodo, anche se possono darsi influenze di breve periodo sulle variabili reali (reddito, occupazione, etc.). Tra le teorie della moneta neoclassiche che fanno riferimento al meccanismo di trasmissione indiretto, quella di Wicksell (di origine svedese) riveste particolare importanza. Essa parte dalla constatazione che nei sistemi economici moderni assume particolare rilievo la moneta bancaria, accanto a quella legale, e che il fenomeno del credito è molto diffuso. La cessione di moneta, dunque, comporta l’ottenimento di un interesse. Il prezzo dei fondi liquidi (attività patrimoniali monetarie) o saggio di interesse monetario im non può che coincidere con il saggio di interesse sul capitale reale, o saggio di interesse reale o naturale in (determinato nel paragrafo precedente). La situazione di equilibro è quindi (17) im = in Tuttavia, temporaneamente può esserci una divergenza tra i due saggi, che può generare effetti di breve periodo sulle variabili reali. Consideriamo un sistema economico e ricordiamo che per i neoclassici la produzione è il risultato della combinazione di tre fattori di produzione: terra, lavoro e capitale. Semplifichiamo senza tenere conto del fattore terra, sicché la funzione di produzione neoclassica risulta essere 26 (18) Y = f (K , L ) Ricordiamo inoltre che per i neoclassici l’unico equilibrio è quello di piena occupazione. Rappresentiamo l’equilibrio sul mercato del lavoro e l’equilibrio sul mercato del capitale con i seguenti grafici: w p i Ns ⎛ w⎞ ⎜⎜ ⎟⎟ ⎝ p⎠ S E im = in* * E I Nd N* N I,S I * = S* Supponiamo ora che questa situazione di equilibrio sia disturbata dal fatto che le banche concedono credito eccessivo rispetto alle esigenze di mercato, sicché, in sostanza, il “prezzo” del credito diminuisce e si verifica che (19) im < in Ne segue che la domanda di beni di investimento aumenta fino a I1 , mentre il flusso di risparmio diminuisce fino a S1 . 27 i S in im B A I S1 S * = I * I1 S, I Il fatto che il risparmio diminuisca implica che aumenti la domanda di beni di consumo (vista la definizione neoclassica di risparmio). Dunque la domanda globale di tutti i beni cresce, ma a ciò non corrisponde un aumento della produzione, poiché per i neoclassici l’equilibrio è sempre di piena occupazione (ovvero ci sono solo lavoratori disoccupati volontari). Anche i prezzi delle singole merci cominciano ad aumentare e variano i prezzi relativi. Ne segue che gli imprenditori sono disposti ad occupare un maggiore numero di lavoratori e offrono aumenti di salario monetario, che però non sono proporzionali agli aumenti dei prezzi. Quindi, in effetti, il saggio di salario reale w diminuisce: solo in questo modo si riesce ad aumentare la produzione, dato P che in ogni momento va rispettata l’eguaglianza tra salario reale e produttività marginale del lavoro. Questa situazione può generare due casi alternativi. 1. Se i lavoratori si rendono subito conto del fatto che i prezzi sono aumentati, chiedono un adeguamento immediato dei salari monetari, quindi il mercato del lavoro resta in equilibrio e l’occupazione e la produzione non aumentano. In questo caso l’espansione del credito non genera nessun effetto reale. L’effetto della riduzione di im è soltanto un aumento generalizzato dei prezzi, salario monetario compreso, che continua in modo cumulativo finché permane la causa che ha creato la differenza, ovvero finché im < in . 28 2. Se invece i lavoratori non sono in grado di percepire immediatamente l’aumento dei prezzi, posti di fronte all’offerta di un salario monetario più alto, ritengono che anche quello reale sarà più elevato e dunque alcuni disoccupati volontari si occuperanno. Questo significa che i lavoratori aumenteranno da N * fino a N 1 e con loro anche la produzione. In questo secondo caso l’espansione del credito genera degli effetti reali. Tuttavia, col tempo i lavoratori si accorgono dell’effettivo andamento dei prezzi e chiederanno aumenti salari adeguati. Graficamente, ciò significa che l’occupazione diminuisce da N1 a N * . Ciò significa che gli effetti reali generati dall’espansione del credito sono solo limitati al breve periodo e l’unico effetto durevole è l’aumento cumulativo di P e w fino a che permane la differenza tra im e in , ossia fino a che non viene attuata una politica di restrizione del credito. w P ⎛ w⎞ ⎜ ⎟ ⎝P⎠ Ns * ⎛ w⎞ ⎜ ⎟ ⎝ P ⎠1 B A Nd N0 N* N1 N Aggiungiamo ora qualche osservazione. 1. Il processo inflazionistico determinato dalla differenza im < in è cumulativo e permane fino a che rimane tale divario. Di fatto il processo ha limiti superiori di natura istituzionale: per esempio il vincolo di riserva imposto alle banche. Ciononostante, Wicksell aggiunge che qualora la restrizione monetaria con conseguente crescita 29 di im non abbia luogo nelle prime fasi del processo, essa potrà rivelarsi non sufficiente e dovrà essere sostenuta da altre politiche antinflazionistiche. 2. Nel caso in cui si diano le condizioni opposte alle precedenti, ossia abbia luogo una restrizione del credito, si ha che im > in e si determina un processo cumulativo inverso di riduzione dei prezzi e dei salari e quindi di deflazione, ma anche in questo caso la riduzione della produzione e dell’occupazione è provvisoria. 3. Infine sottolineiamo come secondo Wicksell la causa di divergenza tra im e in non è il comportamento delle banche. I processi cumulativi deflazionistici ed inflazionistici che caratterizzano il ciclo economico sono generati da cause reali, in particolare l’andamento del progresso tecnico, che fa variare la produttività marginale del capitale, ossia la profittabilità degli investimenti reali. Ciò significa che in aumenta o diminuisce, mentre le banche non sono in grado di adeguare immediatamente im . Graficamente il fenomeno può essere rappresentato così: i S in2 i n1 = im I2 I1 I1* = S1* I 2* = S 2* S, I In definitiva, non si può imputare alla politica di espansione o di contrazione della moneta (legale o bancaria) l’inflazione o la deflazione che 30 segnano i sistemi economici moderni. La causa dell’instabilità dei prezzi è reale; le istituzioni monetarie e creditizie hanno semmai un ruolo stabilizzante. Sebbene non possano essere immediatamente a conoscenza dell’andamento di in , tuttavia hanno il compito istituzionale di regolare im rispetto a in attraverso manovre di politica restrittiva o espansiva. In ultima istanza la teoria della moneta di Wicksell è quantitativa, poiché mette in relazione tra loro le due variabili M e P , in assenza di variazioni di V e con variazioni di Y solo nel breve periodo. La sfera reale e la sfera monetaria risultano distinte almeno nel lungo periodo. Vi è dicotomia tra esse: questa è una caratteristica di tutte le teorie della moneta di impostazione neoclassica. Occorre tuttavia sottolineare che, sul piano della politica economica, Wicksell si distingue dalla generalità degli economisti neoclassici, in quanto non sottolinea un legame causale tra variazione di M e variazioni di P . Come abbiamo visto, non imputa affatto alla politica monetaria o creditizia l’instabilità dei prezzi, ma anzi affida alle istituzioni monetarie e creditizie il compito di eliminare le instabilità dei prezzi generate da cause reali. 31 4 – KEYNES: L’ECONOMIA CAPITALISTICA COME ECONOMIA MONETARIA 4.1 KEYNES DI FRONTE ALLA DICOTOMIA NEOCLASSICA Keynes si rifiuta di accettare la dicotomia neoclassica tra settore monetario e reale: sostiene anzi che nell’economia capitalistica le due sfere si influenzano reciprocamente. La dicotomia neoclassica – a suo parere – mette in evidenza un’ipotesi tacita della teoria neoclassica stessa: quella di una completa coordinazione tra decisioni di produzione, di consumo, di risparmio e di investimento. I neoclassici ragionano “come se” l’economia capitalistica non fosse fondata sulle decisioni individuali e decentralizzate di individui che non hanno una conoscenza completa della situazione, bensì fosse fondata o su individui onniscienti oppure su un organismo centrale di controllo che ha una completa e perfetta conoscenza del presente e del futuro. Al contrario, secondo Keynes, in un’economia capitalistica: 1. le decisioni sono di natura individuale e sono prese da individui che possiedono conoscenze limitate: essi agiscono in un mondo di incertezza, usando quella conoscenza che possiedono secondo un comportamento perfettamente razionale (ma non di razionalità neoclassica); 2. le decisioni sono prese in un tempo collocato fra un passato irrevocabile e un futuro incerto, del quale si ha una conoscenza limitata. Ogni individuo agisce sulla base di aspettative ed assume decisioni che debbono potere essere facilmente soggette a revisione. Infatti il futuro potrebbe essere diverso da quello atteso e quindi le decisioni non devono essere assolute. Ecco che la moneta diventa un’istituzione necessaria, indispensabile ed ineliminabile. Per rendercene conto immediatamente e sia pure in modo sommario prendiamo in considerazione – così come Keynes ce le presenta – le decisioni alle quali si trovano di fronte rispettivamente un percettore di reddito ed un imprenditore. Analizziamo cioè le decisioni di consumo e di investimento. 32 Colui che percepisce un reddito deve decidere in primo luogo quanta parte di esso consumare e quanta parte risparmiare: (1) Y =C+S dove ovviamente Y è il reddito, C il consumo e S il risparmio. Non dimentichiamo che per i neoclassici il risparmio è astensione e rinuncia al consumo presente per un consumo futuro di beni definiti a data “certa”. Per Keynes invece il risparmio è soltanto rinuncia al consumo presente e può assumere qualsiasi natura: esso è definito senza indicazione del tempo e del modo in cui l’individuo in questione utilizzerà il reddito risparmiato. Il percettore del reddito deve decidere quanta parte consumare e quante parte risparmiare: detenere fondi liquidi (moneta a disposizione, depositi bancari) oppure acquistare altre attività patrimoniali (ad esempio acquisto di titoli). Egli decide non soltanto e non tanto in base alle necessità di cassa che prevede gli si presenteranno (questa è la concezione della moneta come fondo di valore di tipo pigouviano), bensì anche e soprattutto in funzione delle sue attese circa il futuro andamento del corso dei titoli. Come si vede, la presenza della moneta è essenziale per le decisioni del percettore di reddito circa quanta parte consumare, quanta risparmiare e quali forme patrimoniali detenere. Anche colui che assume decisioni di investimento produttivo è presentato da Keynes in termini molto diversi da quelli adottati nell’economia neoclassica. Per i neoclassici l’individuo sceglie tra produrre per il consumo attuale ed il consumo futuro, dove ambedue i termini della scelta sono certi e definiti nelle loro caratteristiche. Per Keynes invece la decisione di investimento produttivo comporta aspettative sui redditi monetari cui esso può dar luogo in futuro. Se ritiene che la propria conoscenza non sia sufficiente per agire ovvero troppo limitata, allora rimanda la decisione di investimento e trattiene moneta. Come nel caso del percettore di reddito, anche in questo dell’imprenditore la presenza della moneta risulta essenziale per assumere decisioni di produzione. 33 In generale, Keynes presenta la moneta come uno “scudo contro l’incertezza”: in quanto unità di conto che assomma le due caratteristiche di mezzo di pagamento universalmente accettato (moneta legale) e di attività patrimoniale. Per questa sua peculiarità essa è l’unico mezzo che consente di rinviare qualsiasi decisione (di investimento finanziario, produttivo). Le attività finanziarie sono soltanto sostituti parziali della moneta, nel senso che hanno solo la funzione di fondo di valore, ma non sono universalmente accettate come mezzo di pagamento. Chi possiede attività finanziarie e voglia disporre di mezzi di pagamento per far fronte ai suoi impegni contrattuali, deve “convertirle” in moneta e questa conversione ha un costo positivo ma soprattutto incerto, in quanto muta in funzione delle aspettative circa il loro valore futuro. Ciò ci guida allo studio della relazione tra domanda di moneta e saggio di interesse secondo Keynes. 4.2 DOMANDA DI MONETA E SAGGIO DI INTERESSE Secondo Keynes ci sono almeno tre motivi per domandare moneta: quello delle transazioni, quello precauzionale e quello speculativo. La domanda di moneta connessa ai primi due motivi dipende dal reddito Y , mentre la domanda speculativa è funzione del saggio di interesse i . La funzione della domanda di moneta può essere espressa così: L = L1 (Y ) + L2 (i ) (2) Ogni individuo sceglie tra detenere moneta e acquistare titoli in base al confronto fra il saggio di interesse i vigente sul mercato e il saggio di interesse ie che si attende per il futuro: ♦ se i > ie allora l’individuo acquista titoli e rinuncia alla liquidità 1 + ie (ipotesi rialzista sul corso dei titoli); ci si aspetta che nel futuro i titoli valgano di più e la preferenza per la liquidità diminuisce; ♦ se i < ie allora l’individuo non investe e trattiene moneta (ipotesi 1 + ie ribassista sul corso dei titoli). 34 Graficamente, la funzione di domanda di moneta (o funzione di preferenza per la liquidità) ha il seguente andamento ed è parametrica rispetto a ie . i L1 + L2 L Dato ie , quanto più è basso i tanto più è alta la quantità di moneta trattenuta: per ogni aspettative sul futuro corso del saggio di interesse, la funzione di domanda di moneta è decrescente. Al variare del valore di ie muta la preferenza per la liquidità della collettività, ossia muta la tendenza a detenere scorte liquide piuttosto che altre forme di ricchezza (principalmente attività finanziarie). Graficamente questo significa che la funzione di domanda di moneta è parametrica rispetto a ie e si sposta nel piano considerato al variare di ie . Se le aspettative circa il futuro corso dei titoli sono pessimistiche (ossia ci si attende un aumento di ie ed un ribasso del prezzo dei titoli), allora la preferenza per la liquidità aumenta e la funzione di domanda si sposta verso l’alto/destra; viceversa nel caso contrario. 35 i ie2 > ie1 L1 + L2 , dato ie2 L1 + L2 , dato ie1 L Dato un certo ie e perciò data una preferenza per la liquidità e data l’offerta di moneta, si determina il saggio di interesse i * come prezzo per la rinuncia alla liquidità ( i è variabile monetaria e non reale). i E i* L1 + L2 M L, M Dobbiamo ancora capire, però, cosa determina la preferenza per la liquidità e quindi cosa determina ie e la posizione della funzione di domanda di 36 moneta L nel piano (i, L ) . Per fare questo bisogna considerare la forma di ricchezza più prossima (quanto a caratteristiche) alla moneta: le attività finanziarie, che sono le più facilmente convertibili in liquidità, anche se non possono essere considerate mezzo di pagamento diretto. Consideriamo dunque il mercato dei titoli. 4.3 IL MERCATO DEI TITOLI E LA SPECULAZIONE Sul mercato dei titoli si incontrano una domanda e un’offerta di titoli: ♦ offrono titoli coloro che nutrono un’opinione ribassista: essi credono che il prezzo dei titoli si abbasserà e il saggio di interesse si alzerà, quindi vendono titoli contro moneta; ♦ domandano titoli coloro che nutrono un’opinione rialzista: essi credono che il prezzo dei titoli si alzerà e il saggio di interesse si abbasserà, quindi comprano titoli cedendo moneta. Il prezzo dei titoli si fissa al punto di incontro tra domanda e offerta. Il mercato dei titoli sarà tanto più stabile quanto più – date le regolamentazioni istituzionali del mercato stesso – le opinioni sul futuro corso dei titoli sono divergenti. Questo però non sempre accade: possono verificarsi fenomeni di “psicologia collettiva”, tali che gli operatori in media non mutano il loro comportamento ma sono pronti a farlo per imitazione. È cioè sufficiente che qualcuno agisca nella direzione nella quale l’opinione media tenderebbe perché di fatto si abbia la presenza di comportamenti ribassisti o rialzisti generalizzati. Questo succede a causa della presenza degli speculatori in titoli. Keynes li definisce come “coloro che svolgono una attività di previsione della psicologia di mercato”. Essi dispongono di moneta (o comunque di credito), svolgono la loro attività di previsione e da tale attività traggono profitti e perdite. Speculatore insomma è colui che acquista o vende titoli “riponendo le speranze di guadagno non tanto nel futuro rendimento dei titoli stessi quanto in un mutamento a lui favorevole dell’opinione media”. 37 Egli cerca fondamentalmente di comprendere meglio di altri quale è l’opinione media sul futuro corso dei titoli e di anticiparla. Chi al momento possiede più di altri questa capacità acquista (o vende) titoli: con ciò mette in moto un processo effettivo di aumento (o riduzione) del loro corso, in quanto gli altri operatori lo seguiranno, modificando la loro preferenza per la liquidità. L’opinione media diventa allora di fatto rialzista (o ribassista) e quindi il corso dei titoli di fatto si alzerà (o si abbasserà) ed il saggio di interesse si abbasserà (o si alzerà). Ad esempio, dati il prezzo dei titoli e l’offerta di moneta, se l’opinione media è ribassista e qualche speculatore la coglie, la anticipa e vende i titoli, allora influenza gli altri cosicché tutti vendono titoli e a quel saggio di interesse la quantità di moneta trattenuta aumenta. Graficamente ciò significa che la funzione di domanda di moneta (che è parametrica rispetto a ie ossia alle attese sul prezzo dei titoli) si sposterà verso l’alto/destra e data M il saggio di interesse si alzerà. i iB iA M L, M In ultima istanza si può constatare che il saggio di interesse varia in funzione delle aspettative circa il futuro andamento del saggio in interesse. Se non si accetta che il futuro sia uguale al presente, le aspettative sul futuro determinano la situazione presente, ovvero quello che accade oggi è funzione della aspettative su quello che accadrà domani. Ecco dunque come il saggio di interesse vigente sul mercato risulta essere una “variabile altamente convenzionale”, poiché dipende da un’opinione collettiva sul futuro andamento del saggio di interesse. 38 Nel mercato dei titoli tutti gli operatori sono virtualmente degli speculatori, ma ognuno di essi sa di partecipare ad una attività in cui può risultare perdente. Di fatto, guiderà il mercato e trarrà profitti speculativi soltanto colui che meglio degli altri saprà prevedere ed anticipare l’opinione media su quella che sarà l’opinione media. Dice Keynes: “Si instaura una guerra che assomiglia al gioco dell’uomo nero o delle sedie musicali, un passatempo nel quale vince chi riesce a passare l’uomo nero al compagno al momento giusto, o chi riesce a conquistarsi una sedia quando la musica smette di suonare. Questi giochi possono farsi con gusto e diletto, benché tutti i giocatori sappiano che l’uomo nero sta circolando o che, quando la musica termina, alcuni di loro si troveranno senza sedia. Oppure, per variare leggermente la metafora, l’investimento professionale in titoli può essere paragonato a quei concorsi dei giornali, nei quali i concorrenti devono scegliere i sei volti più belli fra un centinaio di fotografie, e nel quale vince il premio il concorrente che si è avvicinato, con la sua scelta, alla media fra tutte le risposte; cosicché ciascun concorrente deve scegliere, non quei volti che egli ritiene più belli, ma quelli che ritiene attirino con maggiore probabilità i gusti degli altri concorrenti, i quali, a loro volta, affrontano tutti il problema dallo stesso punto di vista. Non si tratta di scegliere quelli che, giudicati obiettivamente, sono realmente i più belli, e nemmeno quelli che una genuina opinione media ritenga i più belli. Abbiamo raggiunto il terzo grado, nel quale la nostra intelligenza è rivolta ad indovinare come l’opinione media immagina sia fatto l’opinione media medesima. E credo che vi siano alcuni i quali praticano il quarto, il quinto grado e oltre.” La speculazione dunque tende a fare convergere le opinioni degli operatori e a rendere instabile il mercato dei titoli, anche se questo è ben organizzato. Ma soprattutto la speculazione rende difficile la regolazione del saggio di interesse da parte dell’autorità monetaria. I mutamenti nella preferenza per la liquidità (gli spostamenti della funzione L nel piano) possono contrastare e addirittura vanificare i tentativi da parte della Banca Centrale di influenzare la sfera reale. Vediamo graficamente come una politica monetaria destinata a ridurre il saggio di interesse per favorire gli investimenti e dunque generare un aumento del reddito e dell’occupazione non raggiunga lo scopo a causa di un movimento speculativo che la contrasta. 39 i (1) (2) Politica monetaria (1) Speculazione (2) i3 i1 (2) (2) (1) i2 (2) M1 (1) M2 L, M Secondo Keynes è dunque assolutamente necessario evitare che la speculazione (“attività di previsione della psicologia di mercato”) domini sull’intraprendenza (“attività di previsione del rendimento prospettivo dei beni capitali”). Quindi per Keynes la politica economica è necessaria, poiché è indispensabile: ♦ una regolazione istituzionale del mercato dei titoli; ♦ un intervento che renda meno limitata la conoscenza del futuro da parte dell’imprenditore, ad esempio mediante politiche per la stabilità dei prezzi o per la rigidità dei salari monetari. Secondo la teoria keynesiana, dunque, non esiste la dicotomia neoclassica che separa la sfera reale da quella monetaria e, tornando all’equazione degli scambi, le quattro variabili M , V , P e Y sono tutte strettamente dipendenti l’una dall’altra e non ha senso porre particolari legami privilegiati fra M e P come fanno i teorici quantitativisti. 40 4.4 LA DOMANDA DI MONETA A SCOPO FINANZIARIO Accanto ai tre motivi per chiedere moneta elencati sopra (transazionale, precauzionale e speculativo), Keynes pone anche quello finanziario, ovvero il motivo della copertura finanziaria dei progetti d’investimento. La moneta è cioè domandata anche per coprire l’intervallo di tempo che intercorre tra il momento in cui una decisione di investimento viene presa (sulla base di un confronto tra l’efficienza marginale dell’investimento e ed il saggio di interesse i , ovvero se i < e allora realizzo l’investimento mentre se i > e allora trattengo moneta) ed il momento in cui l’effettivo investimento dà luogo a redditi. Keynes considera qui, in sostanza, il credito concesso agli imprenditori, ma ritiene che la corrispondente domanda di moneta sia più assimilabile alla domanda di moneta per transazioni che a quella per scopi speculativi. Infatti l’unica differenza rispetto alla domanda di moneta per transazioni sta nel fatto che in quest’ultimo caso la domanda di moneta segue ad una decisione di spesa attuale, mentre nel caso della domanda di moneta a scopo finanziario la decisione di spesa è solo programmata. 4.5 GLI EFFETTI DI UNA ESPANSIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA Siamo ora in grado di considerare gli effetti della politica monetaria sull’economia reale e sui prezzi secondo Keynes. Dobbiamo separare nettamente il caso dell’espansione monetaria da quello della restrizione poiché per Keynes gli effetti non sono affatto speculari. Consideriamo per primi gli effetti di una politica monetaria espansiva. Seguendo Keynes, non si può più affermare che a seguito di un’espansione monetaria aumenta il livello generale dei prezzi e neppure che, se si hanno effetti reali, questi saranno soltanto limitati al breve periodo (come sosteneva Wicksell). Mentre per i neoclassici la norma è la piena occupazione (con eventuale presenza di disoccupati volontari) per Keynes esiste una disoccupazione involontaria, ovvero vi sono lavoratori che sono disposti ad occuparsi al saggio di salario vigente ma non trovano lavoro per mancanza di domanda effettiva. Questa disoccupazione involontaria, insieme alla nuova concezione di moneta, 41 fa sì che un aumento di M provochi variazioni in ognuna delle altre variabili del teorema degli scambi. Vediamo come ciò avviene procedendo per approssimazioni successive: 1. in primo luogo considereremo il caso in cui l’espansione monetaria non provochi nessuna variazione né nella preferenza per la liquidità né nelle aspettative degli imprenditori ( i ed e sono costanti, L non varia); 2. elimineremo poi questa ipotesi; 3. infine considereremo gli effetti duraturi dell’espansione monetaria sull’economia reale. 4.5.1 In prima istanza assumiamo che la variazione della quantità di moneta M non modifichi: 1. lo stato delle aspettative sul prezzo dei titoli, ossia non generi variazioni della preferenza per la liquidità; 2. lo stato delle aspettative sul rendimento dei capitali e dunque l’efficienza marginale del capitale. Sotto queste ipotesi, l’espansione monetaria farà abbassare il saggio di interesse e genererà un aumento del reddito e dell’occupazione: a parità di salario monetario, ciò si traduce in un aumento del livello generale dei prezzi. Graficamente la situazione può essere rappresentata come segue: 42 M M' i i i0 i1 L EMC I0 L, M I1 I C+I I C + I1 C + I0 C 45° 45° Y0 I N N 45° W P W0 P0 W0 P1 Y Y1 N0 N1 Y N Nd N0 N1 N 4.5.2 Eliminiamo ora le ipotesi introdotte, ovvero quelle di invarianza della preferenza per la liquidità e dell’efficienza marginale di capitale. Secondo Keynes è difficile che nel breve periodo e nel caso di espansione la politica 43 monetaria riesca a raggiungere gli effetti descritti sopra, a causa di alcuni impedimenti o controtendenze che si manifestano nel sistema economico. Per quanto riguarda la preferenza per la liquidità, vediamo due casi: 1. se la politica espansiva è considerata dall’opinione media come “immoderata” (eccessiva), muta la preferenza per la liquidità. La collettività pensa che prima o poi le autorità torneranno sui propri passi e quindi decide di aspettare ad effettuare gli investimenti produttivi, nonostante la caduta del saggio di interesse. Quindi, l’aumento della preferenza per la liquidità finisce per contrastare o neutralizzare la caduta del saggio di interesse. Vi sono in questa situazione tutte le condizioni per investire ma ciò non accade. Graficamente la funzione di domanda di moneta si sposta verso l’alto; i (2) i2 i0 (2) (1) (2) i1 M1 (1) M2 L, M 2. la politica monetaria espansiva può anche avere luogo in una situazione di saggio di interesse talmente basso che si ritiene che esso non possa mutare nonostante l’espansione della quantità di moneta, sicché la maggiore moneta viene assorbita e trattenuta (ci troviamo in quella che è stata definita, a partire da Hicks, la “trappola della liquidità”). 44 i i0 M1 M2 L, M Per quanto concerne le aspettative di reddito, vediamo due casi: 1. superiamo le controtendenze appena viste, ammettendo che quanto appena descritto non si verifichi e supponiamo che il saggio di interesse si abbassi. Vediamo ora quali mutamenti può comportare l’espansione monetaria nelle aspettative di reddito. Se l’espansione monetaria ha luogo in una situazione di crescente pessimismo circa la domanda futura, lo stimolo del saggio d’interesse decrescente risulta vano. Se le aspettative peggiorano, infatti, per ogni progetto di investimento diminuisce l’efficienza marginale del capitale e. Graficamente significa che la funzione degli investimenti, parametrica rispetto a e , si sposta verso il basso nel piano (i, I ) , cosicché alla riduzione del saggio di interesse non segue un aumento degli investimenti come ci si sarebbe aspettato. 45 i I 2 ≤ I1 i0 (1) (3) i1 I0 (3) I2 I I1 (2) 2. Se invece la politica espansiva è giudicata “modesta”, anche a parità di attese sul reddito futuro non si avranno incrementi nella domanda di investimenti. Possiamo rappresentare un po’ approssimativamente tale situazione, considerando una funzione degli investimenti piuttosto rigida rispetto al saggio di interesse. i I 2 > I1 i0 i1 I0 46 I1 I 4.5.3 Infine ed in termini più generali, per concludere il nostro ragionamento dobbiamo constatare che l’equilibrio si ha normalmente con disoccupazione involontaria, la quale crea un circolo vizioso che impedisce alla politica monetaria espansiva di sortire effetti sull’attività di investimento tali da portare il sistema verso un equilibrio di piena occupazione. Accade infatti che si dia un basso livello di domanda effettiva, con bassa propensione marginale al consumo e con aspettative di invarianza sul rendimento prospettico dei beni capitali. Di conseguenza la domanda effettiva resta bassa ed una politica monetaria espansiva difficilmente è in grado di cambiare le aspettative di lungo periodo. Perché il sistema economico esca dalla situazione di equilibrio in cui si trova occorre che la politica monetaria espansiva sia condotta in modo tale da generare aspettative di reddito ottimistiche. Ciò può avvenire, secondo Keynes, solo se la politica monetaria espansiva è condotta con continui e lenti abbassamenti del saggio di interesse, tali da consentire alla collettività di adattarsi al suo nuovo valore con continuità. La politica monetaria deve insomma essere e soprattutto apparire all’opinione pubblica come “persistente e coerente”. L’autorità monetaria opera una modesta riduzione del saggio di interesse, lascia che la collettività vi si adatti, prosegue con continuità: “ogni movimento prepara il successivo” e l’attività reale ne risulta effettivamente influenzata. 4.6 GLI EFFETTI DI UNA RIDUZIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA Secondo Keynes, gli effetti della politica monetaria restrittiva non sono affatto speculari a quelli della politica monetaria espansiva. La politica restrittiva ha molte più opportunità di risultare efficace. Infatti essa condiziona comunque l’attività d’investimento riducendola, perché il saggio di interesse costituisce la soglia al di sotto della quale l’efficienza marginale del capitale non può cadere. Di conseguenza, una politica monetaria restrittiva che aumenta il saggio di interesse ovvero eleva la soglia, necessariamente costringe i produttori a scartare alcuni progetti di investimento che avrebbero realizzato in assenza di intervento dell’autorità monetaria. Keynes sottolinea anche la 47 peculiarità di tale politica, qualora venga attuata nei confronti di una collettività già incline al pessimismo e di investitori già inclini alla riduzione dell’attività produttiva. In questo caso la restrizione monetaria si presenta come “un rimedio che cura la malattia uccidendo il paziente”. 4.7 MONETA, MERCATO DEL LAVORO E LIVELLO GENERALE DEI PREZZI Nella teoria di Keynes, diversamente da quelle neoclassiche, non esiste un nesso funzionale diretto tra M e P in assenza di variazioni durature di V e Y (come accade per le teorie quantitative). Una variazione di M influenza P solo dopo avere provocato variazioni nell’uso della moneta e nel livello del reddito (vedi il paragrafo 4.5.1). Inoltre, P dipende fondamentalmente non da M , bensì da un fenomeno attinente alla sfera reale: il contratto di lavoro. Il salario monetario w è la variabile principale nella determinazione di P . In altri termini, per Keynes è: (3) P = P (w, Y ) e non come per i quantitativisti: (4) P = P (M ) Infatti variazioni nel livello di reddito Y e dell’occupazione N comportano una crescita dei prezzi delle merci a causa della generale tendenza a nutrire aspettative più ottimistiche sulla domanda futura, ma tale causa di variazione è secondaria rispetto ai salari monetari e comunque controllabile da parte dell’autorità che abbia avviato una politica di aumento del reddito e dell’occupazione. Come si vede dai grafici del paragrafo 4.5.1, al livello di produzione che soddisfa la domanda effettiva Y corrisponde un certo livello di occupazione N , che dipende, in ultima istanza, dalle tre variabili che determinano il reddito stesso Y , ovvero la propensione marginale al consumo c , l’efficienza marginale del capitale e ed il saggio di interesse i . Per determinare il livello dei prezzi P è inoltre necessario tenere conto del saggio di salario monetario w , contrattato tra sindacati degli operai e degli imprenditori. 48 A questo proposito si può aggiungere che il grafico più in basso nell’insieme dei grafici del paragrafo 4.5.1 (pagina 43) assomiglia a quello di un mercato di lavoro neoclassico, ma non è così. Nella teoria di Keynes manca un mercato del lavoro di tipo neoclassico, per determinare occupazione e salario reale del lavoratore. Troviamo al suo posto una funzione di produttività marginale del lavoro decrescente, che serve a determinare il livello dei prezzi sulla base del salario monetario contrattato istituzionalmente e sulla base del reddito Y determinato dalle tre variabili c , e ed i , in assenza di una funzione di offerta di lavoro. Nell’analisi neoclassica si hanno una funzione di domanda e una di offerta di lavoro costruite secondo i noti principi marginalistici. Il loro punto di incontro fissa il salario reale ed il livello di occupazione, che è piena occupazione in condizione di equilibrio. Nell’analisi di Keynes invece manca in primo luogo la funzione di offerta di lavoro, perché la presenza di disoccupazione involontaria impedisce di affermare che il lavoratore offre lavoro fino al punto in cui il saggio di salario reale eguaglia la disutilità del lavoro. Il disoccupato involontario offre lavoro ad un saggio di salario reale vigente ma non trova lavoro. Inoltre, c’è una funzione di produttività marginale del lavoro, ma essa non assolve al ruolo di funzione di domanda di lavoro, in base alla quale determinare occupazione e salario reale. Essa serve, dato il livello di occupazione determinato in base a Y ed in ultima istanza in base a c , e ed i , per fissare il livello dei prezzi in presenza di un salario monetario w contrattato istituzionalmente. 49 w P w0 P0 ⎛ w⎞ ⎜ ⎟ ⎝P⎠ N 0 è determinato da c , e , i w è oggetto di contrattazione * Nd N0 N* N Nell’analisi di Keynes, per concludere, fino al livello di piena occupazione: ♦ i lavoratori non sono in grado di influire direttamente su N mediante variazioni di w ; ♦ essi possono solo contrattare il salario monetario, ma il loro salario reale w dipende, oltre che dal salario monetario, anche dal reddito Y e P quindi anche da c , e ed i . In particolare, dipende dalle decisioni di investimento degli imprenditori, mentre nella teoria neoclassica accade il contrario: gli imprenditori decidono il livello di produzione in base al salario reale che si forma sul mercato del lavoro. Se il livello di occupazione non è quello di piena occupazione, non è la riduzione del salario monetario che consente di modificarlo, ma soltanto un aumento del reddito e dunque una variazione di c , e ed i . In sostanza i lavoratori sono assai poco responsabili del livello di occupazione. Lo sono in quanto il salario monetario che essi chiedono ed ottengono influenza c , e ed i , ovvero le decisioni di consumo, di investimento e di uso della moneta da parte della collettività. 50 5 – LA TEORIA NEONEOCLASSICA DELLA MONETA 5.1 I SALDI REALI DI CASSA E LA DOMANDA DI MONETA La teoria neoneoclassica risale agli anni ’50 e deriva la sua concezione della moneta da Pigou; essa mostra che la moneta è trattenuta dall’individuo come riserva di valore, poiché consente di fare fronte a scarsità improvvise di liquidità dovute principalmente a variazioni nel livello generale dei prezzi o nei prezzi di singole merci, che non possono essere previste in ogni istante del tempo. La moneta è quindi una forma patrimoniale il cui valore è il potere 1 , determinato dall’incontro della domanda e P dell’offerta di moneta. Il concetto chiave su cui si basa la teoria neoneoclassica è d’acquisto sulle merci, ossia quello di “saldi reali di cassa”, o scorta di liquidità in termini reali a disposizione di un individuo o, per aggregazione, della collettività: M . P Come Pigou, anche i neoneoclassici, tra cui Patinkin, sostengono che ogni individuo trattiene sotto forma liquida una quota della sua ricchezza. Di conseguenza la domanda di moneta è esprimibile con la funzione (1) L = kPR La ricchezza è quindi esprimibile in questo modo: (2) R= M K + TS + P P dove K è il capitale reale e TS i titoli di stato. La differenza fondamentale rispetto alla teoria di Pigou sta nel fatto che per i neoneoclassici ogni individuo detiene in forma liquida una porzione di ricchezza che dipende non soltanto dalla variabili reali, ma anche dai saldi reali di cassa. Questo significa che k non è invariante al variare di M : se aumenta la moneta disponibile per un individuo ad un dato livello dei prezzi, aumenta anche il desiderio di detenere ricchezza in forma liquida da parte dell’individuo in questione, poiché questi si sente più ricco. Analogamente, se si riduce il 51 livello generale dei prezzi, a data quantità di moneta disponibile, aumenta per l’individuo il desiderio di detenere ricchezza in forma liquida. Accade il contrario se invece diminuisce M o aumenta P . Questo fenomeno è noto come “effetto ricchezza”. Come si può constatare, Patinkin introduce un’ipotesi di comportamento diversa da quella di Pigou quando deve definire l’ammontare di ricchezza che un individuo desidera trattenere in forma liquida e, dunque, la domanda di moneta. Risulta infatti che (3) ⎛ M⎞ k = k ⎜ i, ⎟ ⎝ P⎠ e di conseguenza che (4) ⎛ M L = k ⎜ i, ⎝ P ⎞ ⎟ PR ⎠ o anche, poiché in equilibrio neoclassico il rapporto (5) ⎛ M L = k ⎜ i, ⎝ P ⎞ ⎟ PY ⎠ L ⎛ M = k ⎜ i, P ⎝ P ⎞ ⎟R ⎠ R è una costante Y o anche (6) Consideriamo ora le caratteristiche della funzione di domanda di moneta secondo Patinkin. Supponiamo che ad un dato livello dei prezzi gli individui detengano una scorta di moneta pari ad M . Se il livello dei prezzi aumenta, essi fanno fronte alla loro spesa aumentando la domanda di moneta, ma contemporaneamente riducono le loro scorte liquide (ovvero k diminuisce) poiché si sentono più poveri, proprio in quanto il livello dei prezzi è aumentato. Questo significa che all’aumentare del livello dei prezzi, la domanda di moneta aumenta, ma meno che proporzionalmente. 52 Viceversa, se il livello dei prezzi diminuisce, gli individui domandano meno moneta, ma contemporaneamente aumentano le scorte liquide (ovvero k aumenta) poiché si sentono più ricchi in quanto il livello dei prezzi è diminuito. Questo significa che al diminuire dei prezzi la domanda di moneta diminuisce ma meno che proporzionalmente. ⎛ 1⎞ La funzione di domanda di moneta nel piano ⎜ L, ⎟ è decrescente, ma ⎝ P⎠ con una inclinazione diversa rispetto a quella prevista da Pigou. Per Pigou, infatti, k è costante al variare della quantità di moneta o al variare del livello dei prezzi (dipende infatti soltanto da i , che è variabile reale), sicché domanda di moneta e livello generale dei prezzi variano in maniera proporzionale. Per M , sicché la quantità di moneta P domandata aumenta al crescere del livello dei prezzi, ma meno che Patinkin, invece, k è anche funzione di proporzionalmente. La funzione è dunque più rigida rispetto alla iperbole equilatera. 1 P L Introducendo anche la funzione di offerta di moneta M esogena, si individua l’equilibrio sul mercato della moneta. 53 1 P E 1 P1 M L, M 5.2 IL MECCANISMO DIRETTO DI TRASMISSIONE E GLI EFFETTI DI UNA VARIAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA Al crescere di M ed a parità di livello dei prezzi aumenta la disponibilità di moneta, ossia ogni individuo si trova possedere una maggiore quantità di moneta. Ma cosa accade ora alla funzione L che rappresenta la domanda di ⎛ 1⎞ moneta nel piano ⎜ L, ⎟ ? Sappiamo che tale funzione è parametrica rispetto ad ⎝ P⎠ M , cioè che se varia la quantità di moneta muta anche la posizione della funzione L nel piano considerato. Questo spostamento è dovuto all’effetto ricchezza. Infatti, a quel livello dei prezzi, ogni individuo, possedendo una maggiore quantità di moneta, si sente più ricco ed aumenta le proprie scorte liquide: k aumenta per il sistema nel complesso. Quando M aumenta, tuttavia, non tutta la maggior moneta disponibile viene trattenuta. Graficamente ciò significa che la funzione L non si sposta fino al punto di ascissa B e ordinata 1 , ma si sposta fino ad un punto compreso nel segmento E ′B , che indichiamo P1 con A . Infatti, ogni individuo desidera non solo aumentare le sue scorte di liquidità, ma a quel livello dei prezzi desidera anche aumentare la disponibilità di tutte le altre forme patrimoniali. Dunque ogni individuo si trova a disporre di un eccesso di saldi di cassa reali rappresentato graficamente dal segmento AB . 54 1 P (2) 1 P1 E’ A B (1) (2) (3) (4) (3) E’’ 1 P2 LA M1 LB M2 (4) L, M (1) L’eccesso di saldi reali di cassa provoca una maggiore spesa. Ma, in condizioni di equilibrio neoclassico (cioè in equilibrio di piena occupazione), la maggiore spesa fa aumentare i prezzi. Gli individui continuano a spendere i saldi in eccesso. Graficamente ciò significa che ora ci si muove lungo la funzione LB , fintanto che l’aumento di P non abbia completamente assorbito l’intera moneta aggiuntiva. Nel contempo k , che era aumentato, si riduce M torna ad un P valore esattamente pari a quello che aveva nel punto E ′ , ossia k assume il suo progressivamente a mano a mano che aumenta P . Ciò perché valore originario: per ogni individuo si è ristabilita la composizione di portafoglio che si aveva nella posizione di equilibrio iniziale. L’effetto definitivo dell’espansione monetaria è un aumento del livello generale dei prezzi. Ogni posizione di equilibrio presenta un M costante, ossia un k costante. Il luogo di P tali punti è un’iperbole equilatera. Riassumendo i vari passaggi: 1. aumenta la quantità offerta di moneta e M 1 si sposta verso destra; 2. i consumatori, a quel livello dei prezzi, si sentono più ricchi e quindi la funzione di domanda di moneta si sposta verso destra. Tuttavia, lo spostamento non arriva al punto B , poiché la moneta in eccesso viene 55 spesa solo in parte ( AB ) , mentre in parte viene trattenuta – saldi reali di cassa (E ′A) ; 3. poiché la maggiore moneta è spesa in una situazione di equilibrio neoclassico di piena occupazione (le quantità prodotte rimangono le stesse), i prezzi aumentano. Questo significa che il potere d’acquisto della moneta si riduce: ci si sposta lungo LB verso il basso, fino a quando i prezzi assorbono tutta la maggiore moneta disponibile, ovvero fino al punto E ′′ . A mano a mano i prezzi aumentano, gli individui si sentono più poveri e spendono le riserve. Nel punto E ′′ il k è uguale a quello del punto E ′ , ovvero, per ogni individuo si è ristabilita la composizione di portafoglio che aveva all’inizio; 4. l’effetto definitivo è un aumento del livello generale dei prezzi, mentre ogni punto di equilibrio presenta la stessa quota di ricchezza trattenuta in forma liquida, ovvero k è costante. In sostanza viene riconfermata la soluzione di Pigou, ma con un meccanismo di trasmissione modificato. La moneta assolve la funzione di fondo di valore, come Pigou affermava, ossia viene trattenuta a causa dell’incertezza derivante dalla incompleta conoscenza dei prezzi e delle quantità di merci scambiate nel futuro. Si noti, tuttavia, che questa concezione della moneta come fondo di valore non ha nulla a che fare con l’incertezza keynesiana e con il conseguente motivo speculativo per domandare moneta. Semmai si ha somiglianza con il motivo precauzionale della teoria keynesiana. 5.3 IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE INDIRETTO E GLI EFFETTI DELLA VARIAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MONETA: LO SCHEMA IS − LM Patinkin realizza la “sintesi neoclassica”, cercando di rendere compatibili la teoria di Pigou e quella di Keynes. A tale scopo adotta da un lato lo schema IS − LM assumendo che esso riassuma correttamente la teoria di Keynes (si ricordi che nello schema IS − LM sono state eliminate le aspettative di reddito oltre che le aspettative sul saggio di interesse, ossia i caratteri più originali della teoria di Keynes); dall’altro lato assume la tesi neoclassica secondo cui il saggio di interesse ha natura reale e intende l’equilibrio come equilibrio di piena occupazione. Si viene dunque a riaffermare la distinzione tra saggio di interesse 56 reale e monetario, e viene riaffermato che il saggio di interesse monetario (prezzo per i fondi liquidi) si uniforma al saggio di interesse reale qualora per qualche motivo sia avvenuto uno scostamento tra i due. Ad assicurare l’eguaglianza tra i due tassi è il principio delle scelte di portafoglio: ogni individuo sceglie la composizione del proprio portafoglio guardando al saggio di rendimento delle varie attività patrimoniali e si trova in equilibrio quando i vari saggi di rendimento sono eguali, compresso il saggio di interesse monetario. In altri termini, vi è per Patinkin elevata sostituibilità tra le varie attività patrimoniali e la moneta. Per convertire in moneta un’attività patrimoniale l’individuo va incontro a rischi calcolabili (tanto più quanto più stabile è il sistema nell’equilibrio di piena occupazione). Proprio grazie all’elevata sostituibilità tra attività patrimoniali e moneta, l’individuo detiene le varie forme patrimoniali in modo da rispettare il principio di eguaglianza dei saggi di rendimento, cosicché anche il saggio di interesse monetario tende ad eguagliare il saggio di interesse reale. Chiediamoci ora quali sono gli effetti di una espansione monetaria quando il sistema si trova nella normale condizione di equilibrio di piena occupazione neoneoclassica; utilizziamo a questo scopo lo schema IS − LM , tenendo però conto degli effetti che i saldi reali di cassa hanno sulla domanda di moneta e sulla domanda di beni. La funzione LM nell’ottica neoneoclassica deve essere formulata come segue: (7) ⎛ M M = k ⎜ i, ⎝ P ⎞ ⎟ PY ⎠ M ⎛ M = k ⎜ i, P ⎝ P ⎞ ⎟Y ⎠ o anche (8) Questo significa che la LM nel piano (i, Y ) è parametrica rispetto a M . P A sua volta, la funzione IS sarà ottenuta tenendo conto del fatto che il consumo dipende non solo dal reddito ma anche dal saggio di interesse e dalla 57 ricchezza finanziaria in termini reali (nella quale sono compresi anche i saldi reali di cassa), ossia (9) C = C (Y , i, R ) Ne segue che la funzione di risparmio sarà data da (10) S = S (Y , i, R ) Possiamo inoltre ipotizzare, come nel modello Hicks – Hansen che (11) I = I (i ) e dunque la IS neoneoclassica sarà espressa così: (12) S (Y , i, R ) = I (i ) Ciò significa che al variare di parametrica rispetto a M essa si sposta nel piano (i, Y ) : è dunque P M . P Consideriamo gli effetti di una espansione monetaria. In primo luogo si verifica una diminuzione del saggio di interesse monetario, ossia la LM si sposta verso il basso. La riduzione del saggio di interesse monetario fa aumentare la domanda di beni di investimento. Nel contempo aumentano i saldi di cassa reali e se ne ha un eccesso, per cui vengono spesi in beni di consumo durevole. Graficamente ciò significa che non solo la LM si sposta verso il basso, ma che si ha anche un aumento della domanda complessiva, ossia che anche la IS dovrebbe spostarsi verso destra. 58 i LM 0 (2) (3) LM 1 (1) i* IS1 IS0 Y* Y Tuttavia, poiché abbiamo ipotizzato la situazione di piena occupazione, a mano a mano che aumenta la domanda complessiva di beni la produzione rimane inalterata con la conseguenza di un forte aumento dei prezzi P : dunque lo spostamento della IS è solo virtuale, ossia non ha luogo. A sua volta, inoltre, la LM , che si è spostata verso il basso, torna nella posizione originaria, poiché l’aumento dei prezzi assorbe la maggiore moneta e il saggio di interesse monetario automaticamente ritorna al livello iniziale. In sostanza, il sistema rimane nella posizione di equilibro iniziale, salvo che si è verificato un aumento del livello dei prezzi proporzionale all’aumento della quantità di moneta: vale dunque la teoria quantitativa. Da quanto precede possiamo trarre un’indicazione di politica economica: se il sistema economico si trova in equilibrio di piena occupazione, la politica monetaria è solo fattore di disturbo, dunque è inopportuna. Infatti: 1. se la moneta è distribuita in modo da lasciare inalterata la precedente ripartizione, si ha inflazione; 2. se questo non accade, si ha anche variazione dei prezzi relativi e questo disturba l’attività reale che aveva trovato da sé la sua posizione di equilibrio (effetto Cantillon). 59 Supponiamo ora che il sistema economico non si trovi in equilibrio di piena occupazione, bensì si trovi nella situazione keynesiana di non piena occupazione, per cui N < N * e Y < Y * . Analizziamo gli effetti di una variazione della quantità di moneta, che viene attuata perché, per esempio, si ritiene, keynesianamente, che possa portare verso la piena occupazione. L’aumento di M provoca un abbassamento del saggio di interesse monetario e uno spostamento verso il basso della LM . Intanto si verifica un effetto ricchezza e, insieme, un eccesso di saldi di cassa reali. Gli individui non solo aumentano le scorte liquide, ma spendono parte della maggiore moneta di cui dispongono. Poiché non si è in equilibrio di piena occupazione, la maggiore domanda di beni attiva la produzione: la caduta di i provoca un aumento della domanda di beni di investimento ed un aumento della domanda di beni di consumo durevole. Dunque si sposta anche la IS verso destra (questa volta di fatto). Cresce il reddito reale e cresce l’occupazione, e ciò può proseguire finché non sia raggiunta la piena occupazione. IS2 i IS1 LM 1 LM 2 (1) (2) i1 i2 Y1 60 (3) Y2 Y* Y Si può quindi affermare che in questo caso (dove Y < Y * ) la politica monetaria espansiva è opportuna ed efficace. Tuttavia, i neoneoclassici osservano che il sistema economico si trova normalmente in equilibrio di piena occupazione. Se vi fosse equilibrio di sottoccupazione sarebbe solo per cause di tipo transitorio, o per imperfezioni del mercato o rigidità che mantengono tale sottooccupazione. Se questi fenomeni venissero eliminati, lascerebbero il sistema libero di tornare automaticamente alla piena occupazione. I neoneoclassici ne concludono che la politica monetaria non è in sé necessaria; può al massimo servire a favorire un movimento che avrebbe comunque luogo automaticamente ed accelerare i tempi di ritorno alla “normalità” dell’equilibrio di piena occupazione. Le rigidità cui fanno riferimento i neoneoclassici sono per esempio: ♦ un salario monetario rigido, ossia troppo alto rispetto alla produttività marginale del lavoro a quel livello dei prezzi: in questo caso è l’atteggiamento dei sindacati dei lavoratori a tenere il sistema in disoccupazione. (Si noti che in questo modo è stata completamente ribaltata la tesi di Keynes circa l’opportunità di salari rigidi verso il basso per ottenere la piena occupazione, così come si è capovolta la sua tesi circa l’impossibilità dei lavoratori di influire sul livello di occupazione); ♦ un saggio di interesse monetario troppo elevato rispetto al saggio di interesse reale. In questo caso particolare gli individui rinunciano ad attività di investimento e dunque Y < Y * . La responsabilità della disoccupazione sta nella politica attuata dall’autorità monetaria o dalle banche e la disoccupazione deriva da una carenza di liquidità per il finanziamento del settore privato. In definitiva, lasciando che il salario monetario ed il saggio di interesse monetario si muovano liberamente, si creano effetti identici a quelli ottenibili con una espansione della quantità di moneta. Infatti una loro diminuzione provoca una riduzione di P e dunque un aumento della quantità di moneta in termini reali, proprio come se si fosse aumentata M a parità di P . 61 Se ne può concludere che la teoria neoneoclassica della moneta è una teoria quantitativa, che riafferma la tesi neoclassica circa il nesso funzionale tra M e P nel lungo periodo, a parità di Y e V . Variazioni di M provocano variazioni di k (e dunque di V ) solo nel breve periodo. Quanto a Y , esso varia al variare di M nel caso in cui il sistema sia fuori dall’equilibrio di piena occupazione, ma la politica monetaria serve soltanto ad accelerare una tendenza al ripristino dell’equilibrio di piena occupazione che è intrinseca al sistema reale. 62 6 – I NEOKEYNESIANI 6.1 LA NEW ECONOMICS A partire dalla fine della seconda guerra mondiale le idee keynesiane cominciarono ad essere sostenute tra gli economisti, in particolare negli Stati Uniti, sebbene ci fossero molti ostacoli alla loro diffusione. James Tobin – certamente l’economista statunitense che più a buon diritto può essere definito keynesiano – osserva a questo proposito che tre furono gli ostacoli fondamentali all’accettazione del keynesismo: ♦ l’opinione che la disoccupazione corrente fosse non di natura involontaria (come affermava Keynes), ma da imputare prevalentemente a qualifiche inadeguate e a scarsa formazione professionale; ♦ l’opinione che la politica di spesa pubblica in deficit fosse nociva agli investimenti privati; ♦ l’opinione che le fluttuazioni cicliche, con i conseguenti allontanamenti dall’equilibrio di piena occupazione, fossero connaturate al sistema economico, e dunque inevitabili. In base a queste opinioni generalizzate la tesi di Keynes che la disoccupazione involontaria costituisca il male peggiore dei sistemi economici capitalistici e la conseguente proposta di attribuire alla politica economica il compito prioritario di contrastare la normale condizione di equilibrio di sottoccupazione risultavano difficilmente sostenibili. Si preferivano politiche economiche congiunturali, mirate all’attenuazione dei fenomeni ciclici e tendenti a rispettare il principio del bilancio statale in pareggio. Soltanto con l’amministrazione Kennedy ci fu la tendenza a favorire una politica economica mirata a modificare strutturalmente il livello del reddito e dell’occupazione. Per questo si parla di “New Economics” e di impostazione keynesiana sia della teoria economica che della politica economica. Il richiamo alle tesi espresse da Keynes nella General Theory resta peraltro molto labile, in primo luogo per il fatto che si accettò lo schema analitico Hicks – Hansen in 63 termini di relazioni di equilibrio IS e LM , assai poco rispettoso della complessa impostazione teorica di Keynes. Tra gli economisti che caratterizzarono la corrente neokeynesiana si possono citare Paul Samuelson e Franco Modigliani. 6.2 LA PRIMA FASE DELL’ECONOMIA NEOKEYNESIANA: GLI INTERVENTI DI POLITICA ECONOMICA PER RAGGIUNGERE L’EQUILIBRIO DI PIENA OCCUPAZIONE 6.2.1 Lo schema IS − LM e le ipotesi di comportamento proposte dai neokeynesiani Ciò che caratterizza fortemente la teoria neokeynesiana sono le ipotesi di comportamento che riguardano le decisioni investimento e di impiego della moneta, tali per cui le funzioni IS e LM assumono particolari elasticità nel piano (Y , i ) . Analizziamo per prima cosa le ipotesi sulla funzione degli investimenti. Le decisioni di investimento produttivo sono considerate indipendenti dal saggio di interesse: esse dipendono fondamentalmente dal saggio di profitto ottenuto. Di conseguenza, la funzione di investimento (1) I = I (i ) tende alla verticale, e di conseguenza anche la IS . 64 i i I = I (i ) IS Y I Analizziamo ora invece le ipotesi sui mercati della moneta e dei titoli. Per i neokeynesiani c’è elevata sostituibilità tra moneta e attività finanziarie. Di conseguenza, modesti aumenti del saggio di interesse convincono gli individui a rinunciare alle scorte di moneta per acquistare attività finanziarie che garantiscono un rendimento positivo. La domanda di moneta L è quindi molto elastica, e per costruzione lo sarà anche la LM . i i LM L L Y 65 6.2.2 Gli effetti della politica monetaria e della politica fiscale sull’economia reale Grazie alle ipotesi di comportamento appena introdotte i neokeynesiani possono affermare che la politica fiscale (politica di aumento della spesa pubblica o di riduzione delle imposte) è più efficace della politica monetaria per aumentare il reddito Y e l’occupazione N . Date le inclinazioni della IS e della LM , un’espansione monetaria genera modesti effetti sul reddito, come mostrato dal grafico. i IS LM 1 LM 2 i1 i2 Y1 Y2 Y* Y Invece, la politica fiscale influenza il livello del reddito, senza rilevanti effetti sul saggio di interesse, e dunque senza spiazzamenti degli investimenti privati (dove per spiazzamento s’intende il fenomeno per cui, attraverso una maggiore spesa pubblica, il tasso di interesse aumenta, facendo diminuire gli investimenti privati). 66 IS2 i IS1 LM 1 i2 i1 Y1 Y2 Y* Y Infine, si può osservare che, contrariamente a quanto affermava Keynes e in accordo invece con le tesi neoclassiche e neoneoclassiche, per i neokeynesiani la flessibilità dei salari monetari è in grado di aumentare il livello del reddito e dell’occupazione. Sulla base dello schema IS − LM e tendendo conto delle ipotesi precedenti, una riduzione dei salari monetari, e conseguentemente dei prezzi, provoca uno spostamento a destra della LM , perché diminuisce la domanda di moneta transazionale, e anche della IS , per l’effetto ricchezza, con gli effetti indicati su Y e N . IS2 i IS1 LM 1 LM 2 i1 i2 Y1 Y2 Y* Y 67 6.3 IL COMPROMESSO CON I NEONEOCLASSICI (E I MONETARISTI) Nel corso del tempo i neokeynesiani sono sempre più disposti ad accettare il concetto di saldi reali di cassa. Di conseguenza convergono verso un modello molto prossimo a quello neoneoclassico. Ne deriva in particolare che ora risulta efficace anche la politica monetaria per aumentare reddito e occupazione, indipendentemente dalle ipotesi di comportamento analizzate sopra. A ciò si aggiunge che nei primi anni ’60 si raggiunge un “modello generale di consenso”, in base al quale la IS e la LM risultano rispettivamente meno rigida e meno elastica: questo accentua la rivalutazione della efficacia della politica monetaria da parte dei neokeynesiani. Contestualmente, cade il concetto di disoccupazione involontaria introdotto da Keynes e si afferma che la disoccupazione è connessa prevalentemente a imperfezioni del mercato del lavoro. Il normale livello di occupazione è mantenibile con interventi sia di politica monetaria che fiscale, opportunamente dosati (policy mix) in modo da raggiungere uno specifico obiettivo di breve periodo, che può variare a seconda delle circostanze. Per esempio, nel breve periodo per mantenere un dato livello di reddito e di occupazione: ♦ in alcune circostanze, ad esempio fasi espansive del ciclo economico, sarà opportuno provocare un elevato saggio di interesse, per prevenire spinte inflazionistiche. In questo caso si adotterà un mix di politica monetaria restrittiva e politica fiscale espansiva (elevata spesa pubblica Æ linea di azione interventista); ♦ in altre circostanze, come nel caso di fasi depressive, sarà opportuno provocare un basso saggio di interesse per favorire la domanda privata di consumi e investimenti. Si adotterà allora un mix di politica monetaria espansiva e politica fiscale restrittiva (bassa spesa pubblica Æ linea di azione liberista). Fondamentalmente, la politica economica deve essere facilmente adattabile alle circostanze ed è mirata all’eliminazione o alla riduzione delle fluttuazioni cicliche intorno a un livello di reddito e di occupazione giudicato normale. Si utilizzano gli strumenti disponibili per fornire una “regolazione 68 fine” (fine tuning) del sistema economico. Questo programma di interventi allontana ulteriormente i neokeynesiani da Keynes, il quale era assai più preoccupato di uscire da equilibri di sottoccupazione e intendeva il problema della disoccupazione più come problema strutturale che congiunturale. 6.4 LA SECONDA FASE DELL’ECONOMIA NEOKEYNESIANA: IL PROBLEMA DELL’INFLAZIONE E I NUOVI STRUMENTI DI ANALISI 6.4.1 Le funzioni di domanda e di offerta aggregata Col passare del tempo nuovi obiettivi di politica economica si affiancarono ai precedenti e stimolarono la ricerca di nuovi strumenti teorici, ai quali gli economisti potessero affidarsi per affrontarli al meglio. Alla fine degli anni ’60 due problemi dominano la ricerca economica: ♦ il problema dell’inflazione ♦ il problema del saldo della bilancia dei pagamenti internazionali. Il secondo problema verrà affrontato nell’appendice sull’economia aperta, mentre qui consideriamo brevemente la natura del nuovo schema analitico di riferimento introdotto per affrontare il problema dell’inflazione. Spostando l’analisi sull’inflazione, l’attenzione si sposta alla coppia di valori Y e P , ossia livello del reddito e livello dei prezzi. Introduciamo quindi il nuovo schema analitico in queste due variabili: lo schema di domanda aggregata e lo schema di offerta aggregata nelle due funzioni AD e AS . La funzione di domanda aggregata AD è la seguente: (2) ( P = D Y , R , T ,G , M ) dove D′( y ) < 0 69 i P LM (P2 ) IS LM (P3 ) i1 i2 i3 P1 > P2 > P3 AD Y Y1 Y2 Y3 Essa è una relazione di equilibrio che esprime le coppie di valori (Y , P ) che assicurano l’equilibrio simultaneo sul mercato dei beni e sul mercato della moneta. Tale funzione è parametrica rispetto alle altre variabili indicate. Essa può essere costruita in modo molto semplice, partendo da uno schema IS − LM (che appunto individua l’equilibrio simultaneo sul mercato della moneta e sul mercato dei beni, ma con riferimento alle variabili Y e i ). È sufficiente considerare i valori che Y assume al variare del livello dei prezzi (ossia spostando la funzione LM ). Si constata che al diminuire di P il reddito Y che assicura l’equilibrio simultaneo sui mercati dei beni e della moneta cresce. Quindi la AD è decrescente. La funzione di offerta aggregata AS è invece la seguente: (3) P = S(y) dove S ' ( y ) > 0 Essa esprime le coppie di valori (Y , P ) che garantiscono l’equilibrio nella sfera della produzione (equilibrio del sistema delle imprese; nel breve periodo è possibile limitarsi al mercato del lavoro, che è l’unico fattore variabile). È costruita partendo dalla considerazione della funzione di produzione di breve periodo (con K e T costanti) 70 Y (4) Y = Y (N ) ⎧Y ′ > 0 dove ⎨ ⎩Y ' ' < 0 Infatti al crescere del fattore lavoro il reddito aumenta (Y ' > 0 ) , mentre il prodotto cresce ma con rendimenti decrescenti (Y ' ' < 0 ) . Da tale funzione deriva la funzione neoclassica di domanda di lavoro (5) w = Y ' (N ) P che viene accettata dai neokeynesiani. Per quanto riguarda invece la funzione di offerta di lavoro, i neokeynesiani rifiutano la formulazione neoclassica e propongono la seguente: (6) w = w0 + w( N ) dove w0 è il salario contrattato. I neokeynesiani assumono cioè che i lavoratori contrattino un salario monetario w che è composto di una parte indipendente dal livello di occupazione ed una parte che tende a crescere quando si raggiungono livelli di occupazione prossimi a N * . Ne segue che il valore di w che assicura l’equilibrio del mercato del lavoro è determinato dalla soluzione di questo sistema: (7) ⎧w = Y ' (N )P ⎨ ⎩w = w0 + w( N ) ossia (8) Y ' (N )P = w0 + w(N ) . Risolvendo in P troviamo (9) P= w0 + w( N ) Y ' (N ) o anche 71 (10) P= w0 + w(Y −1 (Y )) Y ' (Y −1 (Y )) La formula (9) [o la (10)] esprime una S (Y ) , dove S ' (Y ) > 0 perché Y ′′( N ) < 0 e w′( N ) > 0 . Essa è una funzione di offerta aggregata in base alle ipotesi di comportamento introdotte dai neokeynesiani per il mercato del lavoro. Essa può essere così rappresentata graficamente: P AS Y* Y Considerando ora le due funzioni di domanda e di offerta aggregata simultaneamente, si ottiene la coppia (Y , P ) che assicura l’equilibrio ♦ sul mercato dei beni; ♦ sul mercato della moneta; ♦ sul mercato del lavoro. Può trattarsi di un equilibrio di piena occupazione (punto E ' ) oppure di un equilibrio di sottoccupazione (punto E ' ' ). 72 AS AD P E’ AD E’’ Y* Y 6.4.2 Inflazione da domanda e inflazione da costi Lo schema AS − AD viene impiegato dai neokeynesiani per distinguere l’inflazione da domanda dall’inflazione da costi. 1. L’inflazione da domanda è generata da variazioni delle variabili che determinano la posizione della AD nel piano (P, Y ) : aumenti della spesa pubblica G , espansioni di M , riduzione delle imposte T ecc. L’effetto è sempre un aumento dei prezzi. Nel caso in cui N < N * , si può anche avere un modesto incremento del reddito. P AD1 AD1 AD2 AS AD2 P2 P1 Y1 Y2 Y* Y 73 2. L’inflazione da costi è generata da aumenti nelle componenti del costo di produzione: nel breve periodo si tratta, tipicamente, di aumenti nel costo del lavoro. L’effetto è ancora un aumento dei prezzi, accompagnato da una riduzione del reddito. P AD P2 P1 AS 2 AS1 Y2 Y1 Y* Y 6.4.3 La curva di Phillips e la funzione di Samuelson – Solow Accanto allo schema AS − AD viene introdotto un altro strumento analitico per affrontare il problema dell’inflazione. Anziché le variazioni del livello dei prezzi P in assoluto, istante per istante, si preferisce considerare il tasso di crescita dei prezzi o tasso di inflazione. Esso individua gli incrementi di P relativamente al livello di inflazione già raggiunto: (11) dP dP 1 p& = P = ⋅ dt dt P 1 Tenendo conto che ci si sta occupando di variazioni nel breve periodo, si parte dalla considerazione di una relazione empirica che era stata individuata negli anni ’50, detta curva di Phillips: questa relazione mostra che il tasso di 74 crescita dei salari monetari sta in relazione inversa rispetto al tasso di occupazione. Definiti il tasso di crescita dei salari monetari come (12) w& = dw 1 ⋅ dt w e il tasso di disoccupazione come (13) u= U popolazione attiva dove U indica il numero dei disoccupati e la popolazione attiva indica gli individui che possono lavorare, ovvero in età da lavoro. Allora la funzione di Phillips è la seguente (14) w& = g (u ) ⎧ g ' (u ) < 0 dove ⎨ ⎩ g ' ' (u ) > 0 w& u* u Come mostra il grafico, se il tasso di disoccupazione diminuisce – ovvero aumenta il numero degli occupati – il tasso di crescita dei salari monetari cresce tanto più rapidamente quanto più u si avvicina a zero. Il punto u * indica il tasso di disoccupazione esistente a tasso di crescita dei salari nullo (salari 75 monetari stabili). Questo tasso è ineliminabile e per questo è definito tasso di disoccupazione naturale. La relazione di Phillips rappresenta in origine solo una regolarità empirica, cui si cercò di dare dignità teorica in vari modi. Per esempio, si rilevò che il tasso di crescita dei salari è positivo e rapidamente crescente quando la domanda di lavoro è particolarmente vivace; viceversa, quando aumenta la disoccupazione, i lavoratori sono disposti a salari più bassi. Dalla relazione di Phillips i neokeynesiani Samuelson e Solow trassero una relazione assolutamente identica tra tasso di crescita dei prezzi nel breve periodo e tasso di disoccupazione: (15) p& = f (u ) ⎧ f ' (u ) < 0 dove ⎨ ⎩ f ' ' (u ) > 0 p& u* u Questa relazione individua un trade–off tra inflazione e disoccupazione. Ciò significa che non è possibile ridurre il tasso di inflazione senza incorrere in un aumento del tasso di disoccupazione e viceversa. In altri termini, la politica economica diretta alla soluzione di un problema inevitabilmente comporterebbe effetti negativi per la soluzione dell’altro. Il compito fondamentale per la politica economica è dunque quello di scegliere una combinazione di inflazione e disoccupazione in base a qualche criterio particolare. 76 Sono state proposte molteplici soluzioni alternative per la determinazione del criterio di riferimento. 1. Muovendosi in una prospettiva neoclassica, Lipsey individua una funzione di benessere sociale e trova la combinazione ( p& , u ) che massimizza il benessere sociale, sotto vincolo della curva di Samuelson – Solow. 2. Muovendosi in una prospettiva neokeynesiana, Modigliani afferma che esistono varie posizioni di equilibrio per il sistema economico (una di piena occupazione e molteplici di sottoccupazione), ognuna caratterizzata da una diversa coppia ( p& , u ) . Il compito della politica economica consiste nello scegliere di volta in volta la coppia di valori più consona alle circostanze contingenti. 3. Muovendosi in una prospettiva neoneoclassica, si afferma che esiste un equilibrio al quale il sistema tende: quello nel quale il tasso di inflazione è nullo. Tale posizione è definita “equilibrio di disoccupazione naturale”, perché esprime una situazione nella quale non ci sono eccessi di domanda o di offerta per nessuna merce. 77 7 – I MONETARISTI 7.1 LA PRIMA FASE: LA CONTRAPPOSIZIONE CON I NEOKEYNESIANI SULLA BASE DELLO SCHEMA IS − LM Come si è visto, la New Economics dei neokeynesiani tende a ripristinare l’interventismo in politica economica, assumendo Keynes come suo punto di riferimento, anche se di fatto gli strumenti analitici adottati (lo schema IS − LM in una prima fase, lo schema AS − AD e le funzioni di Phillips e di Samuelson – Solow in una seconda fase) inducevano a proposte di politica economica non esattamente concordi con quelle di Keynes. In ogni caso, i neokeynesiani riuscirono a spostare l’attenzione degli economisti sul problema dell’intervento pubblico in economia, soprattutto nell’ambito fiscale. A loro si opposero i monetaristi, così chiamati non certo perché abbiano difeso la politica monetaria nei confronti dei neokeynesiani inclini a favorire l’intervento di tipo fiscale, ma perché concentrarono l’attenzione sugli effetti della politica monetaria, che, come vedremo, essi giudicarono negativamente, almeno per quanto riguarda la politica monetaria espansiva. I monetaristi ebbero il loro centro teorico a Chicago, cosicché vengono spesso indicati anche come “scuola di Chicago” e il loro capostipite è Milton Friedman. Per elaborare le loro tesi sulla politica economica essi accolsero gli strumenti analitici proposti dai neokeynesiani, cosicché anche per loro possiamo distinguere due periodi: il primo è caratterizzato dall’impiego dello schema IS − LM , mentre il secondo è caratterizzato dall’impiego dello schema AS − AD e dalla curva di Samuelson – Solow. Ovviamente, ciò che li distingue sono le ipotesi di comportamento che essi introducono e che sono radicalmente diverse da quelle dei neokeynesiani. Ne segue inevitabilmente che anche le loro tesi sugli effetti e sulla validità della politica monetaria e della politica fiscale sono totalmente diversi. Sinteticamente, il loro obiettivo teorico consiste nel riproporre la teoria quantitativa della moneta, mentre il loro obiettivo di politica economica consiste nel sostenere che la politica monetaria espansiva e la politica fiscale espansiva sono inefficaci o destabilizzanti. 78 Nel successivo paragrafo consideriamo la prima fase del monetarismo: ci riferiamo, dunque, allo schema IS − LM . 7.1.1 Le premesse fondamentali della teoria monetarista Rifacendosi al meccanismo dei saldi reali di cassa di Patinkin, Friedman parte da due premesse: 1. il sistema economico si trova normalmente in un equilibrio stabile, al quale tende anche quando ne è allontanato per effetto di shock esogeni da domanda o per effetto di rigidità interne (dei salari monetari o del saggio di interesse); 2. gli individui agiscono sulla base di aspettative. 7.1.2 La teoria monetarista delle aspettative e il concetto di reddito atteso Consideriamo subito la teoria monetarista delle aspettative (alla quale è connessa una nuova formulazione del concetto di ricchezza). Per comprendere le tesi monetariste, consideriamo le aspettative che l’individuo formula circa il suo reddito. Riferiamoci ad un individuo che, alla fine di un periodo t (anno, mese), valuta il suo reddito per il successivo periodo t + 1 . Indichiamo con ytP tale reddito previsto per il prossimo periodo. L’individuo, poiché agisce all’interno di un sistema stabile, formula la sua previsione sulla base della previsione che aveva formulato nel periodo precedente per il periodo appena trascorso. Si limita a correggere tale previsione in base all’errore che ha potuto riscontrare tra reddito previsto e reddito effettivamente percepito. Sarà perciò: (1) ( ytP = ytP−1 + ϑ yt − ytP−1 ) dove 0 < ϑ ≤ 1 79 e dove ytP−1 è appunto il reddito che l’individuo aveva previsto per il periodo appena trascorso. A partire dalla (1) si può ottenere, mediante un processo iterativo, una seconda formulazione delle aspettative di reddito: (2) y tP n ϑ ∑ (1 − ϑ )i y t −i i =0 Possiamo interpretare il risultato come segue: ♦ l’individuo formula le sue aspettative sul futuro in base alle esperienze che ha avuto nel passato; ♦ attribuisce maggior peso alle esperienze più prossime nel tempo rispetto a quelle più lontane; ♦ “calcola” il suo reddito per il prossimo periodo mediante una media dei redditi ottenuti in passato, moltiplicando ogni termine per un fattore di ponderazione tanto più basso quanto più lontano nel tempo è il reddito cui si riferisce; ♦ il simbolo n indica la “memoria” dell’individuo, ossia il numero di periodi considerati; ♦ il simbolo ϑ è un indice di stabilità: un ϑ molto basso o tendente allo zero rappresenta il caso in cui l’individuo deve ricorrere a molte esperienze passate per formulare la sua aspettativa. Deve comportarsi così perché constata che nel tempo il reddito che percepisce varia di anno in anno, anche se con una regolarità intrinseca (per esempio ciclica). Viceversa, un ϑ elevato o molto prossimo all’unità indica che poche esperienze sono sufficienti per la previsione, poiché il reddito percepito è sostanzialmente uniforme nel tempo o ha un andamento regolarmente crescente o decrescente; ♦ si noti che se ϑ = 1 o se i = 0 il reddito è costante. 80 7.1.3 I concetti di reddito permanente e di ricchezza secondo i monetaristi Dal concetto di reddito atteso per il prossimo periodo, si passa al concetto di reddito permanente Y P , o reddito atteso per i periodi futuri in condizioni di stabilità. In base a questo reddito, Friedman definisce un nuovo concetto di ricchezza, inteso come il valore attuale del reddito permanente: (3) R= YP i 7.1.4 Lo schema IS − LM in base alle ipotesi di comportamento dei monetaristi Su queste basi Friedman determina in modo nuovo i consumi, gli investimenti e la domanda di moneta. Analizziamoli ora singolarmente. 1) Consumi L’individuo decide il consumo al tempo t non in base al reddito percepito YP . Egli non può che i comportarsi così sulla base delle premesse monetariste introdotte sopra, poiché al tempo t , bensì in base alla ricchezza, ovvero il reddito al tempo t può essere soggetto a variazioni del tutto occasionali, rispetto al normale trend. È ragionevole che un individuo si riferisca al reddito che normalmente percepisce o, più in generale, all’esperienza passata di flusso di reddito, per programmare i suoi consumi al tempo t , piuttosto che guardare a variazioni occasionali. In sintesi, date le ipotesi monetariste esposte in precedenza, il reddito permanente è il migliore indice di riferimento per decidere il consumo in qualsiasi momento. Per definire i consumi al tempo t non vale la relazione propria dell’economia keynesiana (4) Ct = C (Yt ) ossia, in forma lineare 81 (5) Ct = C0 + bYt bensì la relazione (6) Ct = C (R ) dove YP R= i ossia (7) ( Ct = C Y P , i ) che in forma lineare diventa (8) Ct = c YP = cR i In base a questa formula, il consumo risulta appunto sostanzialmente stabile nel tempo e indipendente da variazioni occasionali del reddito corrente. Ct C (Y ) Yt A questo si aggiunge che il consumo al tempo t (e in particolare il consumo di beni durevoli) dipende anche dal saggio di interesse. A parità di Y P , il consumo cresce quando il saggio di interesse diminuisce. 82 i C (i ) Ct 2) Investimenti Poiché ci si attende stabilità nel futuro e scostamenti solo occasionali, l’individuo detiene moneta solo per far fronte a occasionali carenze di liquidità. In altri termini, la sostituibilità delle attività patrimoniali di qualsiasi genere (non solo obbligazioni, ma anche azioni, capitale reale, capitale umano, beni di qualsiasi natura) rispetto alla moneta è molto elevata: in un sistema stabile la conversione in moneta è soggetta soltanto a rischi calcolabili. Ne segue che gli investimenti produttivi saranno molto sensibili alle variazioni del saggio di interesse. Questo significa che anche piccole variazioni al ribasso del saggio di interesse monetario rispetto al saggio di rendimento della attività reali indurranno ad aumentare di molto gli investimenti. La funzione degli investimenti è quindi molto elastica: i I (i ) I 83 In base al comportamento descritto relativamente a consumi ed investimenti, si deduce che la funzione IS è molto elastica: i IS Y Essa può essere espressa così per i monetaristi: (9) ( ) Y = C Y P , i + I (i ) + G oppure così (10) S (Y P , i ) = I (i ) dove S indica il risparmio. 3) La domanda di moneta Posto che il sistema è stabile, anche le aspettative di reddito sono stabili. Dunque non vi è motivo di trattenere moneta oltre le necessità correnti. Non esiste domanda di moneta per scopo speculativo e la domanda a scopo precauzionale è quasi nulla. 84 i L La domanda può essere formulata come segue: (11) ( ) L = k Y P , i, p& PY La domanda di moneta è molto stabile, fatto salvo il caso in cui nel sistema economico si dia un innalzamento del tasso di inflazione. In questo caso gli individui diminuiranno l’ammontare dei saldi di cassa reali, ossia “fuggiranno” dalle scorte liquide. Graficamente, ciò significa che la funzione L è parametrica rispetto a Y P e rispetto a p& . Ne segue che la LM sarà tendenzialmente rigida. La formula della LM è data da: (12) ( ) M S = k Y P , i, p& PY i LM Y 85 7.1.5 Il giudizio dei monetaristi sulla politica monetaria e sulla politica fiscale In base alle ipotesi di comportamento introdotte, possiamo ora impiegare lo schema IS − LM per vedere come i monetaristi valutano gli effetti della politica monetaria espansiva e della politica fiscale espansiva. 1) Politica fiscale Consideriamo due casi: equilibrio di sottooccupazione (anomala per i monetaristi) e di piena occupazione. 1. Se Y < Y * si può constatare che una politica fiscale espansiva provoca variazioni del reddito, ma modeste. Viceversa, si danno variazioni rilevanti del saggio di interesse, con notevole spiazzamento degli investimenti privati. i LM i2 i1 IS2 IS1 Y1 86 Y2 Y* Y 2. Se invece Y = Y * una politica fiscale espansiva crea immediatamente effetti reali (disoccupati volontari che si occupano) e aumenti del saggio di interesse, ma anche aumenti dei prezzi, ossia un p& positivo. Come riportato nel grafico seguente, si ha dunque uno spostamento della IS verso l’alto, ma anche uno spostamento della LM verso l’alto, poiché gli individui riducono i loro saldi di cassa e fanno crescere P . (2) LM 2 i LM 1 B i2 (3) (1) i1 A (1) IS2 IS1 (2) Y* Y Ne segue che: ♦ gli effetti reali sono assorbiti; ♦ la crescita dei prezzi si blocca (ovvero l’inflazione ( p& ) si annulla); ♦ il saggio di interesse i aumenta e lo spiazzamento è totale; ♦ nel punto B , l’equilibrio finale, il livello di reddito è lo stesso di quello iniziale, poiché non è possibile produrre di più. Dunque, secondo i monetaristi, e in contrasto con i neokeynesiani, la politica fiscale spiazza comunque gli investimenti privati ed è: ♦ efficace, ma in modo modesto, se Y < Y * ; ♦ inefficace ed inopportuna se Y = Y * . 87 2) Politica monetaria Consideriamo anche qui due casi: equilibrio di sotto occupazione e di piena occupazione. MS 1. Se Y < Y , aumenti di provocano riduzioni di i e spostamenti P della LM con forti variazioni di Y . In prima istanza, dunque, la * politica sembrerebbe essere opportuna. i LM 1 LM 2 i1 i2 IS Y1 Y2 Y* Y 2. Se invece Y = Y * si hanno solo effetti finali sui prezzi e nessun effetto reale: infatti, l’espansione monetaria sposta la LM e si ha un nuovo equilibrio con reddito più elevato. Però, per effetto delle aspettative adattive, aumentano i prezzi e il tasso di inflazione p& diventa positivo. Ne segue che la LM si sposta di nuovo e torna nel punto di equilibrio iniziale, poiché tutta la maggiore moneta è assorbita dai prezzi. L’unico effetto di lungo periodo è l’aumento dell’inflazione. 88 i LM 1 LM 2 (1) (2) IS Y* Y In conclusione, sebbene la politica monetaria possa generare effetti reali, specie se Y < Y * , l’effetto di lungo periodo è l’instabilità sia dei mercati finanziari che dei mercati reali. Infatti, in opposizione a Keynes, per il quale l’instabilità del mercato della moneta e dell’economia reale trova la sua fonte principale nella speculazione, ossia nella domanda di moneta, Friedman afferma che la domanda di moneta è stabile, perché le aspettative di reddito sono stabili e dunque sono stabili tutte le variabili che entrano nella funzione L di domanda di moneta (compreso il tasso di inflazione p& ). L’equilibrio sul mercato della moneta è dato da (13) M = k (Y P , i, p& )PY ossia (14) M 1 = PY k o anche (15) M V = PY dove k è stabile e quindi lo è anche V . 89 Se si dà variabilità di PY , ciò è solo dovuto alla politica monetaria attuata dalla Banca Centrale: viene quindi riconfermata la validità della teoria quantitativa, dato che l’instabilità dei prezzi è generata dalle variazioni dell’offerta di moneta, indipendenti dalle necessità dell’economia reale. Secondo Friedman, quando varia M varia anche PY per effetto di due meccanismi: 1. meccanismo diretto di trasmissione (per il quale i prezzi aumentano immediatamente); 2. meccanismo indiretto di trasmissione (poiché i diminuisce e aumenta la domanda di beni di consumo e di investimento). Perciò Y aumenta nel breve periodo, ma nel lungo periodo l’effetto è unicamente sul livello dei prezzi, ossia si ha un tasso di inflazione p& positivo. L’instabilità dei prezzi trova tra le sue cause la politica monetaria discrezionale della Banca Centrale, poiché essa governa la moneta indipendentemente dalle necessità dell’economia reale. Nel caso in cui Y < Y * , la Banca Centrale non può pensare di ripristinare l’equilibrio di piena occupazione mediante la politica monetaria espansiva: infatti, se intervenisse, non farebbe altro che accrescere l’instabilità in atto, in quanto non sarebbe comunque in grado di intervenire in tempo opportuno, non essendo infatti in grado di conoscere la situazione. Al contrario, se si astenesse dall’intervenire, i meccanismi automatici insiti nel sistema economico riassorbirebbero gli shock esogeni. In sostanza, una politica monetaria anticiclica rischia di rivelarsi di fatto prociclica, mentre il sistema lasciato a sé stesso tornerebbe all’equilibrio. Questa conclusione si può sintetizzare con il seguente grafico: l’intervento della Banca Centrale genera ulteriore squilibrio e allontana nel tempo il ripristino dell’equilibrio (linea tratteggiata), mentre i meccanismi automatici insiti nel sistema (linea piena) conducono più rapidamente e dolcemente l’economia verso l’equilibrio (grazie alle aspettative che si fanno ogni anno più corrette). 90 Y reddito stabile 0 t1 tt In conclusione, per i monetaristi: 1. la moneta influisce sull’economia reale, non vi è dunque dicotomia tra sfera reale e sfera monetaria; 2. la moneta influisce in modo destabilizzante; 3. occorre eliminare la discrezionalità dell’autorità monetaria; 4. la Banca Centrale dovrebbe attenersi alla “regola rigida”: variare la quantità di moneta nel tempo a un tasso di incremento prefissato, tendenzialmente eguale al tasso di incremento medio del reddito reale nel lungo periodo (il tempo necessario affinché gli individui riescano ad avere aspettative corrette dopo lo shock esogeno). 7.2 LA SECONDA FASE DEL MONETARISMO: L’ACCETTAZIONE DELLO SCHEMA AS − AD E DELLA CURVA DI PHILLIPS 7.2.1 Lo schema AS − AD secondo le ipotesi di comportamento dei monetaristi Come si è visto nel paragrafo 6.4.1, alla fine degli anni ’60 il problema dell’inflazione diventa fondamentale e i neokeynesiani adottano un nuovo 91 schema analitico di riferimento. Anche i monetaristi lo adottano, per raggiungere conclusioni anti–interventiste e, dunque, opponendosi sia a Keynes che ai neokeynesiani. Consideriamo in primo luogo lo schema AS − AD e riformuliamo le funzioni in base alle ipotesi di comportamento monetariste, che rimangono quelle indicate nella sezione 7.1. Per quanto riguarda la funzione AD , la sua formulazione non si discosta da quella dei neokeynesiani. Diversa è invece la formulazione della funzione AS poiché in parte diverse sono le ipotesi relative al mercato del lavoro. Come i neokeynesiani, i monetaristi accettano la funzione di domanda di lavoro neoclassica, ossia (14) w = Y ' (N ) P Per quanto concerne invece l’offerta di lavoro, i monetaristi accusano i neokeynesiani di attribuire ai lavoratori una illusione monetaria, in quanto formulano la funzione di offerta di lavoro in termini di salario monetario. Non solo, i monetaristi rifiutano anche l’offerta di lavoro neoclassica, fondata sul confronto fra disutilità marginale del lavoro e saggio di salario reale. I monetaristi, invece, affermano che i lavoratori contrattano il salario monetario w , ma formulano aspettative, tipicamente adattive, sull’andamento del livello w . In altri P termini, i lavoratori non formulano richieste salariali in base al saggio di salario reale, perché non conoscono l’effettivo andamento dei prezzi, ma in base ad aspettative sul futuro andamento dei prezzi. dei prezzi P , cercando di prevedere quale sarà il loro salario reale A questo punto dobbiamo chiederci in che modo sono formulate le aspettative adattive sul futuro andamento dei prezzi. Sulla base di un ragionamento analogo a quello fatto per le aspettative di reddito (paragrafo 7.1.2), sarà: (15) da cui segue 92 ( Pt e = Pt e−1 + ϑ Pt − Pt e−1 ) Pt e (16) n ϑ ∑ (1 − ϑ )i Pt −i . i =0 Consideriamo ora un individuo che abbia un’esperienza di prezzi stabili a livello P A : sarà quindi P e = P A . Se improvvisamente i prezzi aumentano, ovvero se P B > P A , occorre un certo intervallo di tempo affinché l’individuo modifichi le sue aspettative, ma prima o poi l’errore di previsione si annullerà e i prezzi effettivi e quelli attesi coincideranno. P PB ϑ =1 0 <ϑ <1 PA t0 tt t1 Infatti, prima o poi i lavoratori arriveranno ad adeguarsi perché le aspettative più vecchie avranno sempre meno rilevanza. Periodo dopo periodo i lavoratori si accorgono che il loro potere d’acquisto è inferiore e cercheranno di fare previsioni sempre più corrette. Il tempo che i lavoratori impiegano a rendersi conto e a chiedere aumenti salariali dipende da ϑ : tanto minore, tanto maggiore è il tempo. I monetaristi definiscono il lungo periodo come l’intervallo di tempo necessario affinché l’individuo, che formula aspettative adattive, raggiunga previsioni corrette. Torniamo ora al mercato del lavoro, che presenta queste caratteristiche: ♦ i datori di lavoro hanno conoscenza completa di w e di P ; ♦ i lavoratori conoscono solo w ed offrono lavoro confrontando la disutilità marginale del lavoro non con w w ma con e ; P P ♦ l’informazione è dunque incompleta e asimmetrica. 93 Di conseguenza, il mercato del lavoro può essere rappresentato così: w P ( N s* P e = P ⎛ w⎞ ⎜ e⎟ ⎝ P ⎠1 ⎛ w⎞ ⎜ ⎟ ⎝P⎠ ) ( N s1 P e < P ) E * ⎛ w⎞ ⎜ ⎟ ⎝ P ⎠1 Nd N* N1 N Esiste una sola curva di domanda di lavoro, dato che gli imprenditori confrontano il saggio di salario e la produttività marginale del lavoro e formulano i prezzi, mentre invece la curva di offerta di lavoro è parametrica rispetto alle attese di prezzo P e . Solo la funzione N s* consente di individuare l’equilibrio di lungo periodo, mentre la funzione N s1 rappresenta la curva di offerta di lavoro nel caso in cui P sia aumentato, mentre per un certo periodo i lavoratori ne sottostimano l’aumento, e perciò offrono lavoro supplementare, perché ottengono aumenti salariali tali che cresce il salario reale atteso mentre diminuisce w , Pe w w w . In sostanza, per P e < P sarà < e e quindi N1 > N 0 . P P P La funzione di offerta di lavoro risulta quindi essere formulata come segue: (17) 94 w = h(N ) Pe o anche in termini di N (18) ⎛ w⎞ N = h −1 ⎜ e ⎟ ⎝P ⎠ Mettendo a sistema domanda e offerta di lavoro otteniamo (19) ⎧w = P ⋅ Y ′(N ) ⎨ e ⎩w = P ⋅ h( N ) da cui si ottiene la funzione di offerta aggregata AS secondo le ipotesi dei monetaristi: (20) Y ′( N ) = Pe ⋅ h( N ) P P = Pe ⋅ h( N ) Y ' (N ) ovvero (21) 1. Se P e = P la AS si semplifica in (22) Y ′( N ) = h( N ) o anche (23) Y ' (N ) =1 h( N ) Questa è dunque la AS “di lungo periodo” (perché nel lungo periodo prezzi attesi e prezzi effettivi corrispondono) che corrisponde ad una verticale nel punto di ascissa Y * . e 2. Se invece P ≠ P si ha una situazione di breve periodo e la AS risulta: (24) P = P e ⋅ ( ) h( N ) P e ⋅ h Y −1 (Y ) = = P e ⋅ P (Y ) . −1 Y ' (N ) Y ' Y (Y ) ( ) e Si tratta di una funzione crescente e parametrica rispetto a P , ovvero ( (25) P = S Y , P e ) 95 La funzione AS di breve periodo esprime quanto segue: all’aumentare di P , i lavoratori sottostimano tale aumento e accettano salari monetari che sono cresciuti, ma meno che proporzionalmente rispetto ai prezzi. Credono di ricevere un salario reale più alto w , mentre in realtà ne Pe w . Dunque si occupano in maggiore numero e P ricevono uno più basso il reddito cresce. La AS può inoltre essere semplificata passando ad una funzione (lineare) nei logaritmi. Risolvendo in yt è: (26) ( pt = pte + α −1 yt − y * ) oppure risolvendo in pt (27) ( yt = y * + α pt − pte ) Questa è la funzione di Friedman – Phelps. Come si vede, quando yt = y * la funzione è una retta verticale, mentre quando yt ≠ y * è una retta crescente. p AS ( L.P.) AS ( B.P.) y* 96 y 7.2.2 La riformulazione monetarista delle funzioni di Phillips e di Samuelson – Solow Anche le funzioni di Phillips e di Samuelson – Solow vengono considerate dai monetaristi, ma rielaborate in base alle loro ipotesi di comportamento, ossia, fondamentalmente, in base all’ipotesi che gli individui formulino aspettative adattive di prezzo e che tali aspettative abbiano natura adattiva. Poiché i lavoratori sono interessati al salario reale, ma non conoscono l’andamento del livello dei prezzi P , sono costretti a formulare aspettative adattive. Perciò la Phillips – Friedman risulta essere così costruita (28) w& = g (u ) + p& e e di conseguenza la Samuelson – Solow – Friedman – Phelps sarà (29) p& = f (u ) + p& e Si osservi che se p& = p& e , ossia nel breve periodo, l’andamento del livello dei prezzi è stimato correttamente, i lavoratori chiederanno adeguamenti salariali corretti, cosicché p& = w& . Le due funzioni si semplificano nelle seguenti (30) g (u ) = 0 (31) f (u ) = 0 . Questo significa che le due funzioni di lungo periodo sono verticali, mentre nel breve periodo (quando cioè p& ≠ p& e ) corrispondono alle funzioni originali, anche se sono parametriche rispetto a p& e . Graficamente si ha: 97 w& B.P. p& L.P. u* u B.P. L.P. u* u Il punto u * rappresenta la posizione di equilibrio, in quanto esprime il cosiddetto tasso di disoccupazione naturale, ossia quel tasso di disoccupazione che, secondo i monetaristi, è ineliminabile perché tiene conto dei lavoratori che sono disoccupati per imperfezioni del mercato del lavoro (scarsa informazione, ostacoli all’incontro della domanda e dell’offerta, ecc). Si noti in particolare che, grazie alle ipotesi monetariste, nel lungo periodo il livello dei prezzi e il tasso di crescita dei prezzi possono essere qualsiasi e scompare il trade–off tra inflazione e disoccupazione, sul quale insistono i neokeynesiani. Nel lungo periodo il sistema è stabile e l’eventuale inflazione è correttamente prevista. 7.3 GLI EFFETTI DELLA POLITICA MONETARIA ESPANSIVA MEDIANTE LA FUNZIONE DI SAMUELSON – SOLOW – FRIEDMAN Consideriamo un equilibrio di lungo periodo, per semplicità quello a ( ) prezzi stabili, di coordinate u * ,0 , dove p& = 0 . Supponiamo che l’autorità monetaria ritenga sia possibile diminuire il tasso di disoccupazione u * mediante un’espansione monetaria a un tasso di crescita della moneta pari a M& , costante nel tempo. 98 Tramite i meccanismi di trasmissione diretto e indiretto (diminuisce infatti il tasso di interesse), l’espansione monetaria in parte fa aumentare i prezzi e in parte fa ridurre il saggio di interesse, con conseguente aumento della domanda aggregata in termini monetari PY . Inoltre, poiché la maggiore quantità di moneta viene utilizzata anche per gli investimenti, il tasso di crescita dei prezzi è positivo ma comunque inferiore rispetto al tasso di crescita della quantità di moneta p& < M& . D’altra parte, poiché la riduzione di i fa aumentare i consumi ( ) 1 C e gli investimenti I , le imprese cercano di aumentare la produzione e gli investimenti. I produttori offrono ai lavoratori un salario monetario più alto, ma debbono muoversi lungo la funzione di domanda di lavoro, sicché il salario monetario non può crescere quanto i prezzi (per potere rispettare l’eguaglianza w = Y ' (N ) ). In un primo tempo, i lavoratori non si accorgono dell’effettiva P crescita dei prezzi perché hanno aspettative adattive e accettano il maggiore salario monetario w . Aumenta anche il loro salario reale atteso in effetti il salario reale w nonostante Pe w sia diminuito. Di conseguenza la disoccupazione u P diminuisce, e aumentano l’occupazione N e il reddito Y . w P ( N S* P e = P L.P. (3) ⎛ w⎞ ⎜ ⎟ ⎝P⎠ ) ( N S1 P e < P p& ) B.P. L.P. M& C A * (2) (2) B.P. (3) (3) B ⎛ w⎞ ⎜ ⎟ ⎝ P ⎠1 B Nd p& 1 (2) (1) A N* (3) (2) N1 N u1 (1) u* u Tuttavia, per effetto delle aspettative adattive, i lavoratori prima o poi si accorgono dell’errore commesso e formulano aspettative adattive al rialzo sul 99 tasso di inflazione, ossia p& e diventa positivo e continua a crescere. Poiché i lavoratori non sono disposti a lavorare a quel saggio di salario, l’occupazione N diminuisce e la disoccupazione u aumenta. Nel tempo, in sostanza, sia p& e sia w& tendono a p& . Intanto la crescita continua di p& e spinge verso l’alto anche p& e il processo si ferma quando p& = M& e anche w& = p& = p& e , ovvero quando il meccanismo di trasmissione indiretto cessa di operare. L’effetto di lungo periodo dell’espansione monetaria a tasso di crescita costante nel tempo è solo un tasso di crescita dei prezzi positivo, senza risultati reali, dato che reddito e occupazione rimangono inalterati. Ne concludiamo che l’espansione monetaria: ♦ ha effetti reali solo nel breve periodo; ♦ è fattore destabilizzante, perché nel lungo periodo crea solo inflazione; ♦ nel lungo periodo non crea trade–off tra inflazione e disoccupazione. P& E M& p& 1 B A u1 u* u Se si volessero ottenere altri effetti reali di breve periodo, bisognerebbe aumentare il tasso di crescita della moneta – “teorema dell’accelerazione” – e gli effetti della manovra risulterebbero prima o poi insostenibili. Tra l’altro l’accelerazione introduce elementi di distorsione nell’uso delle risorse che potrebbero agire come fattore di aumento della disoccupazione (graficamente la funzione LP si inclina positivamente). 100 Va sottolineato, infine, che il passaggio dal punto B al punto E del grafico non avviene direttamente, ma attraverso un percorso analogo a quello indicato nel grafico seguente. D p& E M& p& 1 B A u1 u* u Nel grafico sopra riportato è rappresentato il fenomeno dell’overshooting, secondo il quale si alternano fasi in cui le due variabili u e p& si muovono nella stessa direzione e fasi in cui si muovono invece in maniera contrastante. È impossibile spiegare dettagliatamente le ragioni per le quali ciò accade, perché il percorso è il risultato di una serie di concause che si sommano tra loro o si contrastano. Va ricordato soltanto che un aumento del tasso di crescita dei prezzi oltre il tasso di variazione della moneta è giustificato dal fatto che in periodi di inflazione gli agenti reagiscono rinunciando alle scorte liquide che hanno accumulato, sicché contribuiscono a creare ulteriore inflazione. In conclusione, la politica monetaria espansiva risulta essere del tutto inefficace per aumentare reddito e occupazione, ed è solo generatrice di inflazione. Su questa conclusione torneremo più avanti, per esprimerla in termini più completi. 101 7.4 GLI EFFETTI DELLA POLITICA FISCALE ESPANSIVA MEDIANTE LA FUNZIONE DI SAMUELSON – SOLOW – FRIEDMAN Prendiamo ora in esame gli effetti della politica fiscale espansiva. Consideriamo come punto di partenza ancora l’equilibrio di lungo periodo, con ( ) prezzi stabili, di coordinate u * ,0 . Supponiamo che il governo decida un aumento della spesa pubblica G , finanziandolo mediante una emissione di titoli di Stato acquistati dal sistema bancario, cosicché aumenta M . L’effetto di breve periodo è identico a quello considerato con l’espansione monetaria e pertanto non se ne ripete qui la descrizione. Dopodiché, tuttavia, non appena le aspettative di prezzo dei lavoratori vengono riviste, si ha una convergenza verso la funzione di lungo periodo LP . Ora però, diversamente dal caso di espansione monetaria, accade che la M e P questa è diminuita per effetto dell’aumento dei prezzi. Posto che la Banca domanda aggregata è vincolata dall’offerta di moneta in termini reali Centrale non sovvenziona più la spesa, il tasso di crescita dei prezzi si annulla e P non cresce più. Il punto di equilibrio finale risulta pertanto identico a quello iniziale: si ha un fenomeno di disinflazione. Anche in questo caso il tragitto è caratterizzato dal fenomeno dell’overshooting. p& p& 1 B A u1 102 u* u Per quanto riguarda invece il saggio di interesse i , nella nuova situazione esso risulta più elevato, e questo provoca spiazzamento dell’investimento privato. In conclusione, anche la politica fiscale espansiva è inefficace per aumentare reddito e occupazione. Anche su questa conclusione torneremo più avanti, per esprimerla in termini più completi. 7.5 GLI EFFETTI DELLA POLITICA MONETARIA RESTRITTIVA (DISINFLAZIONISTICA) MEDIANTE LA FUNZIONE DI SAMUELSON – SOLOW – FRIEDMAN Per i monetaristi, l’autorità monetaria può e deve attuare una politica monetaria espansiva sono nel senso di sostenere la crescita dell’economia (“regola fissa”). Essi affermano inoltre che l’autorità monetaria deve controllare il tasso di inflazione mediante politiche restrittive. Vediamo come si giustifica quest’ultima indicazione di politica economica. Se p& risulta troppo elevato rispetto ad un livello considerato sopportabile, occorre ridurre M& , dando luogo a un processo inverso rispetto a quello considerato con la politica espansiva. Supponiamo p& 1 tale per cui l’equilibrio è ottenuto al punto A , livello giudicato insostenibile, e che richiede dunque l’attuazione di una politica restrittiva. Consideriamo due alternative. p& “doccia fredda” A p& 1 B p& 2 C u* u1 u 103 1. In base alla prima, si attua una drastica riduzione di M& (la cosiddetta “doccia fredda”), azzerandolo di colpo. Accade che tramite il meccanismo diretto di trasmissione, anche p& si riduce, ma senza azzerarsi. Infatti, per l’operare del meccanismo indiretto, aumenta il tasso di interesse i , e quindi i consumi e gli investimenti si riducono, mentre aumenta la disoccupazione u . I lavoratori, che hanno aspettative adattive, riducono w , ma sbagliano a valutare la caduta del saggio di crescita dei prezzi p& : credono che i prezzi si riducano, ma meno di quanto non sia realmente. Perciò abbassano w ma meno di P . w , ma non è così. P w In realtà, a seguito del loro comportamento, si abbassa e ma si alza P w e dunque aumenta ancora la disoccupazione u e si raggiunge il P punto B . Con il tempo, i lavoratori rivedono le proprie aspettative al In questo modo credono di abbassare il salario reale ribasso su p& , e , prima o poi, arrivano a valutare correttamente la sua w più basso e l’occupazione P aumenta, ossia u si riduce. Nel contempo, anche p& continua a ridursi, caduta. Accettano perciò un salario reale fino ad azzerarsi quando le aspettative saranno corrette, e si raggiunge quindi il punto C . Dunque la politica disinflazionistica ha avuto successo, con “costi” in termini di maggiore tasso di disoccupazione solo nel breve periodo. Nel lungo periodo non ci sono “costi” in termini di N e di Y . Detto in altro modo, la politica monetaria disinflazionistica ottiene il risultato desiderato di ridurre il tasso di inflazione e ciò accade in assenza di fenomeni di disoccupazione di lungo periodo: si crea disoccupazione soltanto nel breve periodo. 2. Il caso alternativo è quello di una politica monetaria restrittiva graduale. La sola variante rispetto al caso precedente è data dal fatto che M& diminuisce lentamente, e con esso anche p& . Il processo di disinflazione risulta essere più lento ma meno traumatico in termini di aumento del tasso di disoccupazione nel breve periodo. Se ora ci si chiede quale tra le due alternative sia la più raccomandabile, i monetaristi rispondono che un governo “forte” sceglierà la prima, mentre un governo “debole” preferirà la seconda. 104 In conclusione, per i monetaristi, la politica monetaria restrittiva è opportuna ed efficace per contrastare l’inflazione, visto che i costi in termini di disoccupazione sono solo di breve periodo e modificabili in base ai tempi della manovra. Ciò che conta è che nel lungo periodo è eliminata l’inflazione, causa di instabilità dell’economia reale. Se vogliamo ora trarre una conclusione generale circa l’efficacia e l’opportunità della politica economica nell’ottica monetarista, possiamo riconsiderare i risultati raggiunti alla fine della sezione 7.1, confermarli e avvalorarli. 1. La moneta influisce sull’economia reale: non esiste dicotomia tra sfera reale e sfera monetaria; tuttavia, essa influisce in maniera destabilizzante, perciò bisogna eliminare la discrezionalità dell’autorità monetaria. 2. La Banca centrale dovrebbe attenersi alla “regola rigida”, ovvero variare la quantità di moneta nel tempo ad un tasso di incremento prefissato, tendente al tasso di incremento medio del reddito reale nel lungo periodo. 3. Non solo la politica monetaria espansiva è inefficace e inopportuna. Anche la politica fiscale espansiva è inefficace e inopportuna: neppure essa genera aumento del reddito e occupazione, bensì genera piazzamento degli investimenti privati. 4. L’unico intervento di politica economica discrezionale che appare giustificato è relativo alla politica disinflazionistica tramite restrizione dell’offerta di moneta. Essa raggiunge il risultato di togliere la causa di instabilità senza provocare danni all’occupazione, almeno nel lungo periodo. NB: si suggerisce di confrontare queste conclusioni con quelle che si raggiungono con l’approccio di Keynes. Si constaterà che i giudizi sugli effetti della politica economica sono radicalmente contrastanti e si comprenderà quanto l’impostazione di una teoria sia determinante per trarre conclusioni di politica economica. 105 8 – LA NUOVA MACROECONOMIA CLASSICA 8.1 LE PREMESSE FONDAMENTALI Questa scuola, che si impone a partire dagli anni ’80, è diretta filiazione del monetarismo. Come vedremo, essa supera il monetarismo sul piano della teoria, perché ne mette in crisi alcuni caratteri fondamentali, ma nello stesso tempo ne accoglie le conclusioni di politica economica, che anzi porta alle estreme conseguenze. La prima caratteristica della nuova corrente è l’accettazione del principio neoclassico di razionalità massimizzante e la sua applicazione nello studio delle variabili aggregate. In sostanza, questa corrente cerca di dare alla macroeconomia un fondamento microeconomico (neoclassico) più robusto di quanto non avessero fatto i monetaristi. In questo senso va letto l’appellativo “macroeconomia classica”, dove “classico” sta per “neoclassico”. Fondamentalmente si afferma che: ♦ gli individui massimizzano qualsiasi funzione obbiettivo; ♦ i mercati sono bene organizzati: non esistono impedimenti al raggiungimento dell’equilibrio su tutti i mercati; ♦ i prezzi forniscono quindi segnali in modo efficace: prezzi flessibili, che mutano continuamente; ♦ l’equilibrio è ottenuto su tutti i mercati istantaneamente; ♦ non esistono per nessun motivo equilibri diversi da Y * o Yn (reddito di piena occupazione o di disoccupazione naturale). Sul piano degli strumenti di analisi le due novità di rilievo sono le seguenti: 1. una teoria delle aspettative diversa da quella monetarista; 2. la considerazione di un contesto stocastico–probabilistico, anziché deterministico. 106 Secondo i nuovi macroeconomisti, gli individui effettuano le loro scelte di produzione e di spesa sulla base di: ♦ segnali di prezzo: se non vi sono shock esogeni di natura reale o monetaria, non vi sono neppure “disturbi” (noises) nei prezzi, che trasmettono dunque segnali efficaci per il mantenimento dell’equilibrio; ♦ informazioni che posseggono: tali informazioni sono incomplete ed asimmetriche. Ogni individuo possiede solo parte delle informazioni disponibili e ogni singolo individuo possiede informazioni diverse per quantità e contenuto da quelle possedute dagli altri. Si parla di “paradigma delle isole Phelps”, con riferimento a uno dei massimi esponenti della corrente in questione. Ad esempio, nella sfera della produzione accade che ogni individuo (indipendentemente dalla sua specifica funzione di lavoratore, imprenditore, ecc) conosca il prezzo dei mercati nei quali è venditore di qualche bene o servizio, ma non i prezzi dei mercati nei quali è compratore. Perciò ogni individuo deve formulare aspettative di prezzo relativamente a questi ultimi. In sintesi, data una struttura delle aspettative: ♦ tutti i mercati sono in equilibrio perché i prezzi sono perfettamente flessibili; ♦ se non ci sono shock esogeni la posizione di equilibrio è sempre Yn ; ♦ se si verificano degli shock il sistema esce dall’equilibrio, ma solo temporaneamente, poiché grazie alle aspettative vi ritorna subito. 8.2 LA FUNZIONE AS DI LUCAS La AS è apparentemente analoga a quella dei monetaristi, salvo l’aggiunta della variabile ut . Tale variabile esprime l’influenza sul reddito di possibili shock di offerta, di natura casuale: (1) ( ) yt = yn + α pt − pte + ut 107 Ciò significa che il reddito al tempo t è il reddito di disoccupazione naturale, a meno che non ci siano shock esogeni o aspettative errate. La funzione AS può essere costruita aggregando le singole funzioni individuali di offerta. Ogni individuo, per decidere di aumentare l’offerta di ciò che produce o possiede, deve formulare aspettative circa la variazione del suo prezzo. Se vede che esso aumenta, deve cercare di capire: ♦ se è aumentata la domanda reale del bene; ♦ oppure se è aumentata la domanda nominale del bene, ossia se sono aumentati tutti i prezzi. Nel primo caso constaterà che c’è stato uno spostamento delle preferenze dei consumatori a suo favore e deve perciò aumentare la produzione; nel secondo caso, invece, si renderà conto che è in atto semplicemente un processo inflazionistico, senza nessun effetto sulla produzione del bene o del servizio che offre. Perciò per decidere se aumentare la produzione, ogni individuo è costretto a formulare aspettative sui prezzi dei beni e dei servizi che non produce. 8.3 LE ASPETTATIVE RAZIONALI ALLA LUCAS Entra dunque in gioco la teoria delle aspettative, dette “razionali” – che si basano cioè sulla razionalità massimizzante di tipo neoclassico – detta anche teoria delle aspettative alla Lucas, dal nome del massimo rappresentante di questa corrente di pensiero. Le aspettative sono formulate da individui: ♦ che seguono il principio di razionalità neoclassica massimizzante; ♦ in un contesto stocastico. Ogni individuo per formulare tali aspettative di prezzo per i mercati nei quali è compratore, massimizza il risultato che può ottenere dalle informazioni disponibili. Nel caso l’individuo debba formulare aspettative di prezzo, sarà: (2) 108 pte = E ( pt Inf t −1 ) ossia, la previsione soggettiva di P equivale alla speranza matematica o valore atteso di P , condizionale alle informazioni disponibili nel momento in cui l’individuo formula la previsione. Dunque la previsione non è esatta, ma è in media esatta, ossia gli errori di previsione hanno queste caratteristiche: ♦ pt − pte = ε dove E (ε t ) = 0 (media nulla degli errori di previsione) ♦ E (ε t , ε t −i ) = 0 (assenza di correlazione seriale tra i valori assunti dagli errori in istanti diversi – i valori degli errori sono indipendenti). Ogni individuo “razionale” (in senso neoclassico) utilizza tutte le informazioni che sono a sua disposizione e perciò non può che compiere solamente errori casuali: sono impossibili errori sistematici, perché compierli significherebbe non utilizzare le informazioni disponibili ed essere quindi “irrazionali”, ossia comportarsi in modo tale da essere costretti ad uscire dai mercati. La teoria delle aspettative razionali è, insieme, un perfezionamento e un superamento critico della teoria monetarista delle aspettative adattive. Infatti, per i monetaristi, nessuna informazione circa i prezzi futuri viene presa in considerazione dagli individui che formulano aspettative adattive. Ciò significa che l’individuo dei monetaristi è indotto a compiere errori sistematici di previsione. Si accorge di sbagliare, ma non fa nulla per migliorare la propria previsione, ovvero non si informa. La teoria delle aspettative razionali presuppone che l’individuo formuli le sue aspettative sulla base di un modello completo del funzionamento del sistema economico. Solo a questa condizione le sue aspettative risulteranno in media esatte. Questo significa che: ♦ esiste un modello – definito “vero” – di funzionamento del sistema economico, ossia del sistema delle relazioni individuali. Esso è individuato dalla teoria economica; 109 ♦ tutti gli individui lo conoscono o imparano a conoscerlo e lo utilizzano per formulare le aspettative. In questo modo le loro aspettative sono “razionali” e, come ultima conseguenza, il sistema è stabile nella posizione y n . 8.4 LA FUNZIONE AD AS DI LUCAS ( ) E IL SIGNIFICATO DI pt − pte NELLA FUNZIONE Consideriamo in primo luogo la funzione AD secondo Lucas. La funzione AD è ricavata dall’equazione degli scambi, che assicura appunto l’equilibrio simultaneo sui mercati della moneta e delle merci: (3) MV = PY Passando ai logaritmi essa diventa (4) mt + vt = yt + pt dove vt è una variabile casuale che esprime gli shock da domanda di moneta. Risolvendo in pt o yt si ha: (5) pt = mt − yt + vt (6) yt = mt − pt + vt dove P = D(Y ) con D' < 0 che rappresentano entrambe una AD . Consideriamo ora la AS e la AD risolte in yt per determinare il valore di pt che assicura l’equilibrio in tutti i mercati. Risolviamo quindi il seguente sistema : (7) 110 ( ) ⎧ yt = y n + α pt − pte + ut ⎨ ⎩ yt = mt − pt + vt (AS) (AD) da cui, per una serie di passaggi, otteniamo il valore di pt che assicura l’equilibrio simultaneo sui mercati dei beni, della moneta e del lavoro: pt = (8) ( 1 mt − y n + α ⋅ pte + vt − ut 1+ α ) Ora accostiamo a questa equazione una formula di pte , ricordando quanto già messo in evidenza riguardo all’errore, ossia che pt − pte = ε e che E (ε ) = 0 e constatiamo che: ( ) pte = E pt (9) il che significa che le previsioni di prezzo sono in media corrette. Guardando alla formula (8), possiamo modificarla come segue: (10) pte = ( ( ) ) 1 E (mt ) − E ( y n ) + α ⋅ E pte + E (vt ) − E (ut ) 1+ α Tuttavia, essendo che : ♦ E (vt ) = 0 per le ipotesi fatte sopra su vt (la velocità di circolazione della moneta è variabile casuale); ♦ E (ut ) = 0 per la definizione stessa di ut ; ♦ E (mt ) = mte perché, come per pt , l’individuo fa previsioni sull’offerta di moneta in media corrette; ( ) ♦ E pte = pte perché la media di un valore è il valore stesso; ♦ E (Yn ) = Yn per lo stesso motivo; la formula si semplifica in: (11) pte = ( 1 mte − y n + α ⋅ pte 1+ α ) 111 Ora accostiamo le formule (8) e (11): (12) 1 ⎧ e ⎪⎪ pt = 1 + α (mt − y n + α ⋅ pt + vt − ut ) ⎨ ⎪ p e = 1 (m e − y + α ⋅ p e ) t t n t 1+ α ⎩⎪ Consideriamo ora le due variabili ed esprimiamole diversamente. Partiamo dall’emissione di moneta da parte dell’autorità monetaria, la quale può agire secondo due direttrici di fondo: ♦ seguendo la regola fissa, conosciuta dagli individui; ♦ emettendo moneta con una componente stocastica non conosciuta dagli individui. (13) mt = c + μt Gli individui si informano sulla politica monetaria e formulano seguenti aspettative: (14) mte = E (mt Inf t −1 ) ossia (15) mte = E (c + μ t ) dove E (μt ) è il valore atteso della componente casuale, ossia uguale a zero, mentre c è noto agli individui, per cui la (15) si semplifica in: (16) mte = c Torniamo ora al sistema (12) e sostituiamo: (17) 112 1 ⎧ ( = p c + μ t − y n + α ⋅ pte + vt − ut ) t ⎪⎪ 1+α ⎨ ⎪ p e = 1 (c − y + α ⋅ p e ) n t ⎪⎩ t 1 + α Ora sottraiamo la seconda equazione dalla prima e constatiamo che alcuni termini si annullano, cosicché: (18) pt − pte = 1 (μt + vt − ut ) 1+ α La (18) afferma che: ♦ l’errore di previsione è una variabile casuale, come già sappiamo; ♦ l’errore di previsione è scomposto in tre componenti: ♦ ut ovvero shock esogeni reali; ♦ μt ovvero shock da offerta di moneta ♦ vt ovvero shock da domanda di moneta. Torniamo adesso alla AS di Lucas e modifichiamola in base a quanto detto fin qui circa la natura degli shock esogeni che generano gli errori di previsione. La formula (1) ( ) yt = yn + α pt − pte + ut diventa (19) yt = y n + α (μt + vt − ut ) + ut 1+α da cui con semplici passaggi algebrici si ottiene: (20) yt = y n + α ⎛ 1 ⎞ ⎜ μ t + vt + u t ⎟ α ⎠ 1+ α ⎝ che significa che il reddito corrente yt coincide con il reddito naturale yn a meno di shock esogeni da domanda, da offerta o da variazioni erratiche dello stock di moneta. 113 Dunque: ♦ la AS graficamente risulta essere sempre una verticale; ♦ non c’è nessuna possibilità di influenzare l’economia in maniera sistematica mediante la politica economica (monetaria o fiscale). p AS yn y Per esempio, non solo una variazione sistematica della quantità di moneta M provoca solo variazioni di prezzo e delle attese di prezzo senza modificare il reddito, ma lo stesso risultato si ha anche con variazioni erratiche preannunciate, ossia note agli individui in anticipo. In ultima istanza è riconfermata (con strumenti analitici nuovi) la teoria quantitativa della moneta. 8.5 IL GIUDIZIO SULLA POLITICA ECONOMICA DA PARTE DEI NUOVI MACROECONOMISTI CLASSICI 8.5.1 La distinzione tra politiche economiche anticipate e non anticipate Mostriamo ora, con l’aiuto dei grafici, quanto si è affermato sopra. La conclusione è che la politica economica è inefficace, ossia non produce effetti reali, se è sistematica oppure se è erratica ma anticipata. 114 Consideriamo lo schema AS − AD . In presenza di una politica monetaria espansiva si verifica uno spostamento della AD e l’effetto è unicamente sul livello dei prezzi. La stessa cosa succede per la politica fiscale espansiva. p AS B p2 p1 AD2 A AD1 y yn Se invece la politica economica (monetaria o fiscale) non è annunciata, gli individui compiono errori, ma hanno l’informazione che consente loro di avere delle aspettative in media corrette. Possiamo rappresentare questa situazione immaginando che esista una funzione AS di breve periodo: il reddito aumenta per poi tornare al livello yn . p AS AS 2 ( BP) AS1 ( BP) C p2 B A p1 AD2 AD1 yn y 115 In ogni caso si ha inflazione e anche la variabilità del reddito non è auspicabile, perché genera instabilità. Infatti, nulla garantisce che il reddito aumenti: esso può anche diminuire, perché gli individui sono stati disturbati nel loro comportamento dall’intervento erratico. Considerando la funzione di Samuelson – Solow, i nuovi macroeconomisti classici affermano che non c’è mai trade–off tra inflazione e disoccupazione. La funzione Samuelson – Solow è una verticale nel punto di ascissa un . p& B A un u ♦ Politiche monetarie espansive sistematiche o erratiche e annunciate sono avvertite immediatamente dagli individui e l’effetto è un tasso di inflazione positivo, senza effetti reali. ♦ Politiche fiscali espansive sistematiche o erratiche e annunciate, provocano un tasso di inflazione positivo, ma, se sono state finanziate una tantum, l’effetto finale è una crescita del livello dei prezzi e il tasso di inflazione torna ad annullarsi. 116 p& B (2) (1) A u un ♦ Politiche economiche erratiche e non annunciate provocano instabilità nell’economia reale di tipo momentaneo, salvo generare poi gli stessi effetti delle precedenti. 8.5.2 L’opportunità e l’efficacia delle politiche economiche disinflazionistiche Le politiche economiche disinflazionistiche non sono sempre efficaci, ma non presentano nemmeno “costi” di breve periodo, dato che il tasso di disoccupazione non si allontana mai da quello naturale. p& A B un u 117 In conclusione, per in Nuovi Macroeconomisti Classici valgono le tesi dei monetaristi, ma radicalizzate nella direzione neoliberista (e contraria a quella assunta da Keynes): ♦ in condizioni di prezzi (compreso w ) perfettamente flessibili, il sistema si colloca intorno a yn con scostamenti di natura stocastica; ♦ politiche sistematiche o erratiche ma anticipate sono inefficaci per aumentare reddito e occupazione; ♦ politiche erratiche ma non anticipate potrebbero essere efficaci, ma introducono variabilità intorno a yn e sono quindi destabilizzanti; ♦ le autorità (monetaria o governativa) dovrebbero adottare regole di politica economica facili da apprendere per evitare scostamenti da yn – “regola fissa”; ♦ politiche economiche restrittive disinflazionistiche, purché sistematiche o note, riducono p& senza conseguenze reali neppure nel breve periodo. 118 APPENDICE: L’ECONOMIA APERTA 1 – LA BILANCIA DEI PAGAMENTI 1.1 Le sezioni della bilancia dei pagamenti I rapporti di un sistema economico con il resto del mondo sono contabilizzati nella Bilancia dei pagamenti internazionali ( BP ), che è suddivisa nelle seguenti sezioni: 1. Bilancia delle Partite Correnti ( BPC ), che contiene: o le relazioni commerciali, sotto forma di esportazioni (flussi di fondi in entrata come corrispettivo di beni venduti all’estero) e importazioni (flussi di fondi in uscita come corrispettivo di beni e servizi acquistati all’estero). La differenza tra esportazioni e importazioni è il saldo della bilancia commerciale; o i trasferimenti (flussi di fondi non legati a transazioni commerciali – donazioni, rimesse, aiuti..); 2. Movimenti di capitale ( MC ): contiene i trasferimenti di moneta, come gli afflussi di capitale (fondi in entrata come corrispettivo monetario di aumenti delle passività finanziarie o diminuzioni delle attività finanziarie verso l’estero) e i deflussi di capitale (fondi in uscita come corrispettivo monetario di aumenti della attività finanziarie o di diminuzioni delle passività finanziarie verso l’estero). 3. Alle due precedenti sezioni si aggiungono i Movimenti Monetari compensativi, come le variazioni delle riserve o i debiti e crediti nei confronti dell’estero. Quindi la BP è così composta: (1) BP = BPC + MC Consideriamo per ora la sola sezione BPC e specificatamente la bilancia commerciale. 119 1.2 Il moltiplicatore di mercato aperto Indicando con X le esportazioni e con Z le importazioni, la definizione di domanda effettiva del sistema economico è la seguente: Y = C + I +G+ X −Z . (2) Le esportazioni X dipendono dalla domanda estera DX e dalla ragione di scambio P0 che esprime le unità di esportazioni necessarie ad ottenere un’unità di importazioni, in moneta nazionale. Indicando con: ♦ p X il prezzo delle esportazioni (in valuta nazionale); ♦ pZ ♦ E il prezzo delle importazioni (in valuta estera); il tasso di cambio, definito qui come il numero di unità di moneta nazionale necessario per ottenere una unità di valuta estera. (Qualora si definisca il tasso di cambio come il numero di unità di valuta estera necessarie per ottenere una unità di moneta nazionale, tale definizione coincide con 1 ). E Possiamo definire la ragione di scambio come (3) P0 = pZ E pX ovvero il rapporto tra il prezzo delle importazioni in moneta nazionale e il prezzo delle esportazioni in moneta nazionale. Le esportazioni saranno definite così: (4) X = X (D X , P0 ) mentre le importazioni, che dipendono dal reddito interno e dalla ragione di scambio, saranno definite così: (5) 120 Z = Z (Y , P0 ) Dato P0 possiamo introdurre due semplici relazioni lineari per esprimere esportazioni (che dipendono esclusivamente dalla domanda estera) e importazioni (che hanno invece una componente autonoma e una componente dipendente dal reddito): (6) X = X0 (7) Z = Z 0 + mY dove m = dZ per 0 < m < 1 dY In particolare, m rappresenta la propensione marginale all’importazione, ossia l’incremento infinitesimo di Z per ogni incremento infinitesimo di Y . Ne segue che la funzione IS espressa in forma lineare è: (8) Y = [C0 + b(1 − t )Y ] + [I 0 − ai ] + G + X − [Z 0 + mY ] da cui, risolvendo o per il reddito o per il saggio di interesse si ottiene: (9) Y = 1 a (C0 + I 0 + G + X − Z 0 ) − i 1 − b(1 − t ) + m 1 − b(1 − t ) + m (10) i= 1 (C0 + I 0 + G + X − Z 0 ) − 1 − b(1 − t ) + m Y a a Da ciò risulta che il moltiplicatore per un’economia aperta è pari a (11) 1 1 − b(1 − t ) + m ed è inferiore al moltiplicatore di un’economia chiusa, infatti (12) 1 1 < 1 − b(1 − t ) + m 1 − b(1 − t ) poiché 0 < m < 1 121 1.3 Se il saldo BPC < 0 , esistono meccanismi automatici per ristabilire il pareggio? Ci sono due alternative per ristabilire l’equilibrio del conto BPC : 1. variare la domanda effettiva, ossia aumentare le esportazioni, oppure ridurre le importazioni; 2. variare la ragione di scambio, ossia variare p X oppure E , dato pZ . Consideriamo le due alternative separatamente. 1) Variano le quantità esportate Q X (a parità di p X e di E ) Questo consente sicuramente di ottenere il risultato, perché ogni aumento di X fa aumentare il reddito e anche le importazioni Z , ma queste ultime aumentano in modo meno che proporzionale. Infatti: (13) 1 ⎧ ΔX ⎪ΔY = 1 − b(1 − t ) + m ⎨ ⎪ΔZ = mΔY ⎩ posto che 0 < b < 1 ossia (14) ΔZ = m 1 ΔX 1 − b(1 − t ) + m dove 0< m <1 1 − b(1 − t ) + m 2a) Varia p X Supponiamo che il cambio E sia fisso, e che un sistema economico debba produrre le merci esportate ad un prezzo più alto, ossia p X è cresciuto. A questo punto, la BPC che era in pareggio, va in deficit. Come ristabilire il pareggio? Il riequilibrio avviene in modo automatico? Dato che E è fisso, la riduzione delle esportazioni X comporta un minore ingresso di valuta estera, cosicché non c’è valuta sufficiente per pagare le 122 importazioni Z . Deve quindi intervenire la Banca Centrale, cedendo parte delle proprie riserve di valuta e ritirando moneta nazionale. Questa restrizione monetaria fa diminuire i prezzi interni, riportandoli al livello iniziale, in modo che aumentano le esportazioni e la BPC è nuovamente in pareggio ( BPC = 0 ). 2b) Varia E Il tasso d cambio E è determinato dall’incontro delle funzioni di domanda e di offerta di valuta estera, sul mercato della valuta. La domanda di valuta estera DV proviene dagli importatori di merci (oltre che dagli esportatori di capitali), ed è pari a (15) DV = QZ ⋅ p Z Se E aumenta, la valuta estera diventa più cara (infatti si svaluta la moneta nazionale) e, ceteris paribus, gli importatori diminuiranno le quantità importate QZ e quindi anche la stessa domanda di valuta. Vale quindi la relazione, decrescente, (16) DV = D(E ) con DV′ < 0 L’offerta di valuta estera SV proviene invece dagli esportatori di merci ed è pari a (17) SV = QX ⋅ p X E Se E aumenta, la moneta nazionale si svaluta e il prezzo delle merci pX . Le E merci nazionali diventano quindi più competitive e, ceteris paribus, aumentano nazionali espresso in valuta estera scende, ossia diminuisce il rapporto le quantità esportate QX . È chiaro dunque come l’offerta di moneta estera da parte degli esportatori “può” aumentare. Perché essa aumenti con certezza occorre che Q X aumenti più che proporzionalmente rispetto a E , ossia deve essere (18) ε X ,E = dQ X E ⋅ >1 Q X dE 123 In questo caso la funzione SV = S (E ) (19) è una regolare funzione di offerta crescente. Possiamo dunque rappresentare il mercato della valuta come segue: E SV DV S V , DV Il punto d’incontro tra SV e DV offre il tasso di cambio E di equilibrio. Dato E , spostamenti verso destra della DV (dovuti ad esempio ad aumenti di Y ) generano un deficit; spostamenti verso destra della SV (dovuti ad esempio ad aumenti della domanda estera), invece, generano surplus. E DV1 DV2 SV2 B A E1 SV1 E E1 SV1 DV B A SV , DV SV , DV Deficit 124 SV2 Surplus 1.4 Il problema di un riequilibrio della BPC dopo che si è creata la situazione BPC<0 1) Caso in cui E è fisso Supponiamo che da una posizione di equilibrio aumenti la domanda di valuta estera, cosicché BPC < 0 . Il riequilibrio non può che avvenire con un intervento della Banca Centrale che cede valuta estera attingendo alle riserve e riduce quindi la quantità di moneta nazionale. La SV si sposta fino ad un nuovo punto di equilibrio. E DV1 (1) DV2 E1 SV1 (2) SV2 SV , DV 2) Caso in cui E è flessibile Se BPC < 0 il deficit “può” essere sanato svalutando la moneta, ossia aumentando E , purché venga rispettata la condizione di Marshall – Lerner. Tale condizione afferma che: “dati i prezzi p X e pZ , il deficit di BPC può essere eliminato aumentando E , purché la somma delle elasticità in modulo della domanda di esportazioni e della domanda di importazioni rispetto al tasso di cambio sia maggiore dell’unità”. 125 In sostanza, definiti (20) ε X ,E = dQ X E Q X dE (21) ε Z ,E = dQZ E QZ dE deve essere (22) ε X ,E + ε Z ,E > 1 Non dimostriamo la proposizione ma ne spieghiamo il significato. 1. Consideriamo prima un caso particolare, ma semplice. Supponiamo che le quantità importate QZ siano rigide rispetto al tasso di cambio, ossia che all’aumentare di E non varino le quantità importate (ad esempio si tratta di merci assolutamente indispensabili per il sistema economico). Sia BPC < 0 e si cerchi il pareggio mediante un aumento di E ; per le ipotesi introdotte accade che gli importatori non varino la loro domanda di valuta, quindi per ottenere il pareggio è necessario aumentare l’offerta di valuta SV = QX ⋅ p X . Dunque, all’aumentare del E tasso di cambio, le quantità esportate QX devono aumentare in maniera più che proporzionale. Ciò significa che deve essere ε X , E > 1 ossia ε X , E + ε Z , E > 1 come volevasi dimostrare. 2. Consideriamo ora invece il caso generale, in cui anche le importazioni sono sensibili al variare del tasso di cambio. Sia ancora BPC < 0 e si cerchi il pareggio mediante un aumento di E . Ora supponiamo però che all’aumentare di E le quantità diminuiscano. Sarà dunque ε Z , E < 0 e ε Z , E > 0 . Ora per raggiungere il pareggio non è più necessario che sia ε X , E > 1 ma è sufficiente che sia dimostrare. 126 ε X , E + ε Z , E > 1 come volevasi 2 – IL SISTEMA APERTO E GLI EFFETTI DELLA POLITICA MONETARIA E FISCALE 2.1 Il modello di riferimento Consideriamo un sistema economico in equilibrio interno (sui mercati dei beni e della moneta) ed esterno, tale che BP = 0 ovvero BPC + MC = 0 . Tuttavia ipotizziamo che questo equilibrio sia un equilibrio tipicamente keynesiano, di non piena occupazione, per cui assumiamo Y < Y * . Ci chiediamo se la politica monetaria e quella fiscale possono ottenere aumenti del reddito e dell’occupazione senza disturbare questi equilibri. Utilizziamo il modello di Mundell – Fleming (1968), fondato sullo schema IS − LM e introduciamo queste ipotesi limitatrici: 1. tutte le ipotesi già introdotte riguardanti lo schema IS − LM riferito all’economia chiusa; 2. ipotesi relative alla sezione BPC : o p X e pZ sono invarianti e non ci sono aspettative di loro variazioni; o si esclude la speculazione sui cambi, quindi non ci sono aspettative di variazioni di E ; 3. ipotesi relative alla sezione MC : o i capitali entrano ed escono dal sistema economico esclusivamente in funzione del differenziale tra i tassi di interesse interno ed estero, ossia (23) ( MC = f i − i * ) Per semplicità assumiamo come dato il tasso di interesse estero i * e consideriamo gli effetti su MC di variazioni del saggio di interesse interno i ; 127 o si esclude speculazione sui divari fra i saggi di interesse, ossia le aspettative in proposito non mutano. 2.2 Il caso dei cambi fissi 2.2.1 L’equilibrio esterno e la relazione BB Per semplicità introduciamo una relazione di equilibrio dei conti con l’estero lineare. Le due sezioni della BP possono essere espresse così: (24) BPC = X 0 − (Z 0 + mY ) (25) MC = MC0 + ni e l’equilibrio della BP è dato quindi da X 0 − (Z 0 + mY ) + MC0 + ni = 0 (26) Risolvendo rispetto al reddito Y o rispetto al tasso di interesse i otteniamo: (27) Y= (28) i= 1 ( X 0 − Z 0 + MC0 ) + n i m m Z 0 − X 0 − MC0 m + Y n n Chiamiamo BB tale relazione. Essa è la relazione di equilibrio del conto con l’estero nelle variabili Y e i ed è una relazione crescente nel piano (Y , i ) . m è alto n – caso A); tende invece all’orizzontale quando, dato m , n è alto (quindi il Essa tende alla verticale quando, dato m , n è basso (quindi il rapporto rapporto 128 m è basso – caso B). n i A B Y Dal punto di vista economico, la BB è crescente perché più alti livelli di reddito Y fanno crescere le importazioni e dunque generano deficit nella sezione BPC . Per restare in pareggio (a tasso di cambio fisso) occorre quindi aumentare il tasso di interesse i affinché si abbia un surplus compensativo nella sezione MC . I punti al di sopra e al di sotto della BB esprimono rispettivamente situazioni di surplus e di deficit. Se n è basso e la BB tende alla verticale, un aumento del reddito e delle importazioni richiede un forte aumento di i ; i capitali sono scarsamente sensibili alle variazioni di i . Viceversa, se n è alto, i capitali sono molto sensibili alle variazioni di i . i Surplus BB Deficit Y 2.2.2 Le relazioni IS e LM in regime di cambi fissi Partendo da funzioni lineari dei consumi e degli investimenti e tendendo conto delle esportazioni e delle importazioni, che sono voci rispettivamente 129 positiva e negativa della domanda (vedi paragrafo 1.2), la IS può essere espressa come segue: (29) Y= 1 a (C0 + I 0 + G + X 0 − Z 0 ) − i 1 − b(1 − t ) + m 1 − b(1 − t ) + m oppure risolvendo in i : (30) i= 1 (C0 + I 0 + G + X 0 − Z 0 ) − 1 − b(1 − t ) + m Y a a Date la semplice funzione lineare di domanda di moneta (31) L = L1 (Y ) + L2 (i ) = kY − hi e di offerta di moneta esogena (32) M =MS la LM risulta essere espressa come (33) M S = kY − hi o risolvendo in i : (34) k MS i= Y− h h 2.2.3 L’equilibrio simultaneo del mercato dei beni (IS ) , della moneta (LM ) e dei conti con l’estero (BB ) in regime di cambi fissi IS , LM e BB sono tre equazioni in due incognite. Affinché si dia equilibrio simultaneo, occorre quindi individuare una variabile che assuma uno e un solo valore per ogni coppia di valori (Y , i ) . Poiché il sistema di relazioni di equilibrio è sovradeterminato, occorre individuare i valori di M che, a date coppie di valori (Y , i ) , garantiscono la soluzione. Data la BB e la IS , esiste una sola posizione della LM simultaneo sui tre mercati. 130 nel piano (Y , i ) che può garantire l’equilibrio 1. Se la LM giace al di sotto di tale posizione, ossia M è più elevata, si ha equilibrio sui mercati dei beni e della moneta, ma non si ha equilibrio esterno, quindi la BP è in deficit (caso LM ' ). 2. Se la LM giace al di sopra di tale posizione, ossia M è più bassa, si ha equilibrio sui mercati della moneta e dei beni, ma non equilibrio esterno, e la BP è in surplus (caso LM ' ' ). i LM ' ' LM LM ' Surplus BB Deficit IS Y 2.2.4 Gli effetti di una politica monetaria (espansiva) in regime di cambi fissi (nel caso Y < Y * ) Si supponga un’espansione della quantità di moneta M al fine di aumentare il reddito. Il primo effetto consiste in una diminuzione del tasso di interesse i e un aumento del reddito Y . Graficamente, la LM si sposta verso il basso. Poiché diminuisce i , la sezione MC va in deficit e, poiché aumenta Y , aumentano le importazioni Z e anche la sezione BPC va in deficit. Quindi la BP va in deficit, ossia, a quel tasso di cambio, la domanda di valuta eccede l’offerta. Interviene quindi la Banca Centrale che cede valuta, riducendo le proprie riserve e ritirando moneta nazionale. La LM a questo punto torna nella posizione originaria, e si ha nuovamente equilibrio su tutti i mercati, senza nessun effetto su reddito e occupazione. 131 La politica monetaria in regime di cambi fissi è inefficace. Ovvero in cambi fissi la politica monetaria è vincolata al mantenimento del tasso di cambio. i LM 2 LM 1 (2) (1) i1 (2) BB A (1) B i2 IS Y1 (1) Y2 Y* Y (2) 2.2.5 Gli effetti di una politica fiscale “pura” espansiva in regime di cambi fissi (nel caso Y < Y * ) Si supponga una politica fiscale espansiva – aumento della spesa pubblica – per aumentare il reddito. Si supponga anche che la maggiore spesa sia finanziata dalla Banca Centrale. Il primo effetto consiste nell’aumento del reddito Y e del tasso di interesse i : nel grafico la IS si sposta verso destra. Poiché aumenta il reddito, aumentano le importazioni Z e la sezione BPC va in deficit. Poiché aumenta il saggio di interesse, la sezione MC va in surplus. Distinguiamo ora due casi: 1. se la sensibilità dei capitali alle variazioni del tasso di interesse è elevata ( n è alto e la BB tende all’orizzontale), allora prevale il surplus di MC . Questo significa che, in regime di cambi fissi, deve intervenire la Banca centrale ritirando valuta estera e cedendo moneta. Nel grafico, la LM si sposta verso il basso fino a ristabilire l’equilibrio ad un livello di reddito più alto. La politica fiscale risulta quindi molto efficace; 132 LM 1 i LM 2 (1) B iB (2) (2) (1) C iC iA BB A (1) YA (1) IS 2 IS1 (2) (2) YB Y Y* YC 2. se la sensibilità dei capitali alle variazioni del tasso di interesse è bassa ( n è basso e la BB tende alla verticale) prevale invece il deficit della BPC . Questo significa che la Banca Centrale deve intervenire cedendo valuta e ritirando moneta. Nel grafico, la LM si sposta verso l’alto fino a ristabilire l’equilibrio a un livello di reddito più alto, anche se la variazione è più modesta rispetto al caso precedente. La politica fiscale in cambi fissi risulta ancora efficace. BB i LM 2 (1) C iC (2) (1) (2) iB B A iA LM 1 (2) (1) IS 2 IS1 YA YC (2) YB Y* Y (1) 133 Va comunque osservato che la politica fiscale risulta sempre efficace, ma un’elevata sensibilità dei capitali, pur producendo effetti più significativi sul reddito, è connessa ad una forte dipendenza del saggio di interesse interno dal saggio di interesse estero. Questo di fatto toglie efficacia alla politica economica nazionale. 2.3 Il caso dei cambi flessibili 2.3.1 L’equilibrio esterno e la relazione BB Poiché importazioni ed esportazioni sono espresse come (35) Z = Z (Y , P0 ) (36) X = X (D X , P0 ) dove P0 = pZ E pX considerando relazioni lineari: 1. Le esportazioni sono pari a (37) X = X 0 + gE ossia il valore delle esportazioni in moneta nazionale cresce al crescere del tasso di cambio. Sottostante è solo l’ipotesi ε X , E > 0 . Infatti si afferma solo che al crescere di E deve crescere Q X , poiché il prezzo delle esportazioni p X è considerato costante. Non si pretende che le esportazioni X crescano più che proporzionalmente rispetto a E . 2. Le importazioni sono pari a (38) Z = Z 0 + mY − fE ossia il valore delle importazioni in moneta nazionale diminuisce al crescere del tasso di cambio. In questo caso non è sufficiente assumere che ε Z , E > 0 , ossia che al crescere del tasso di cambio diminuiscono le quantità importate QZ . Infatti, al 134 crescere di E , aumenta il prezzo delle merci importate espresso in moneta nazionale, ovvero p Z E . Poiché deve essere (39) Z = QZ p Z E affinché valga la relazione indicata, occorre assumere ε Z , E > 1 , ossia che QZ diminuisca più che proporzionalmente al crescere di E . In definitiva deve valere la condizione di Marshall – Lerner. In cambi flessibili, dunque, la relazione BB è esprimibile così: (40) ( X 0 + gE ) − (Z 0 + mY − fE ) + (MC0 + ni ) = 0 ossia, risolvendo per il reddito: (41) Y= 1 [X 0 − Z 0 + MC0 + ni + (g + f )E ] . m 2.3.2 Le relazioni IS e LM in regimi di cambi flessibili La IS è data da (42) Y = [C0 + b(1 − t )Y ] + [I 0 − ai ] + G + ( X 0 + gE ) − (Z 0 + mY − fE ) ossia risolvendo in Y (43) Y= C0 + I 0 + G + X 0 − Z 0 a g+ f − i+ E 1 − b(1 − t ) + m 1 − b(1 − t ) + m 1 − b(1 − t ) + m La LM , che non dipende dal tasso di cambio, è data invece da (44) k MS i= Y− h h 2.3.3 L’equilibrio simultaneo del mercato dei beni (IS ) , della moneta (LM ) e dei conti con l’estero (BB ) in regime di cambi flessibili A differenza del caso illustrato precedentemente, dove il cambio è fisso e quindi dato, ora disponiamo di tre equazioni in tre incognite: Y , i ed e . La 135 rappresentazione grafica può avvenire anche a due dimensioni, utilizzando un piano (Y , E ) nel quale considerare le funzioni IS e BB , che saranno parametriche rispetto a i . Accanto consideriamo poi un piano (Y , i ) nel quale compaiono le relazioni IS e LM . Prendiamo in esame l’andamento delle relazioni BB e IS nel piano (Y , E ) . Se consideriamo la formula (41) introdotta sopra, constatiamo che la BB è crescente: infatti, dal punto di vista algebrico, fissato i , E deve crescere al crescere di Y . Dal punto di vista economico, possiamo affermare che per valori più alti di Y , si hanno valori più alti di Z , che, come detto in precedenza, producono un deficit della BPC , e quindi per mantenere l’equilibrio esterno E deve aumentare. Nel piano (Y , E ) , anche la IS è crescente: considerando la formula (43), fissato i , E deve crescere al crescere di Y . Dal punto di vista economico possiamo affermare che per valori più alti di E si hanno valori più alti di X . Dunque, a parità di i , l’equilibrio sul mercato dei beni non può che avvenire a valori più alti di Y con conseguente aumento delle importazioni Z e il mantenimento dell’equilibrio esterno. Osserviamo infine che, risolvendo le due equazioni in termini di E , il coefficiente angolare della IS (45) 1 − b(1 − t ) + m g+ f è maggiore di quello della BB (46) m g+ f ossia (47) 136 1 − b(1 − t ) + m > m E IS BB Y 2.3.4 Gli effetti di una politica monetaria espansiva in regime di cambi flessibili (nel caso Y < Y * ) Data una situazione di equilibrio tale che: ♦ I =S ♦ MS = L ♦ BP = 0 ♦ Y <Y* esaminiamo l’ipotesi per cui si espanda la moneta per aumentare il reddito. Considerando il piano (Y , i ) , sappiamo che l’effetto è un aumento del reddito e una diminuzione del saggio di interesse. Sul piano (Y , E ) , invece, la IS si deve spostare a destra, perché a pari valori di E si hanno più alti valori di reddito Y . Anche la BB deve spostarsi, essendo parametrica rispetto al tasso di interesse. Essendo i più basso, la sezione MC va in deficit e per mantenere l’equilibrio dei conti con l’estero si può agire sul tasso di cambio E aumentandolo. Quindi la BB si sposta verso l’alto. Il nuovo punto di equilibrio si trova ad un tasso di interesse i più basso, a un reddito Y più elevato e ad un tasso di cambio E maggiore. Infatti, occorre 137 che E aumenti affinché il conseguente aumento delle esportazioni controbilanci l’aumento delle importazioni e il deficit della sezione MC . Se ne conclude che, in cambi flessibili, la politica monetaria è efficace, anche se l’aumento di E , ovvero la svalutazione della moneta nazionale, può introdurre inflazione nel sistema economico. IS1 E (2) IS2 BB2 B (3) BB1 A Y1 i Y Y2 IS LM 1 LM 2 (1) A iA iB B (1) Y1 138 Y2 Y* Y 2.3.5 Gli effetti di una politica fiscale “pura” espansiva in regimi di cambi flessibili (nel caso Y < Y * ) Data una situazione di equilibrio tale che: ♦ I =S ♦ MS = L ♦ BP = 0 ♦ Y <Y* valutiamo l’ipotesi per cui si espanda la spesa pubblica per aumentare il reddito. Considerando il piano (Y , i ) , sappiamo che aumentano sia il reddito che il saggio di interesse. Consideriamo ora il piano (Y , E ) : la IS si deve spostare verso destra, poiché a pari valori di E si hanno valori più alti di Y . Essendo inoltre che l’aumento del saggio di interesse provoca spiazzamento degli investimenti privati, lo spostamento può essere più o meno rilevante. Ma anche la BB deve spostarsi. Infatti, ad un tasso di interesse i più alto, la sezione MC va in surplus – per comodità supponiamo che questo surplus sia più significativo del deficit della BPC. Per mantenere l’equilibrio dei conti con l’estero si può ridurre il tasso di cambio E , quindi la BB si sposta verso il basso. Il nuovo punto di equilibrio si trova ad un tasso di interesse i più alto, ad un reddito Y più o meno prossimo a quello iniziale e ad un tasso di cambio E più basso. Se ne conclude quindi che, in regime di cambi flessibili, la politica fiscale è poco efficace. 139 IS1 (2) E IS2 BB1 (3) A BB2 B Y1 Y2 LM IS2 i IS1 Y (1) iB iA B A (1) Y1 140 Y2 Y* Y