LA CATTEDRALE DI RAPOLLA In the Rapolla Cathedral numerous and interesting epigraphes, wich report notices relative to the building history, are placed. The architecture and the sculptures of this ancient building introduce many unsolved problems that demand a carefull deepening. L ’immagine che la Storia ci ha restituito di molti paesi della Lucania è spesso fuorviante. Le catastrofi naturali vero tormento di queste terre - e l’incuria dell’uomo hanno spesso stravolto l’aspetto originario degli antichi centri. Succede pertanto di scoprire, con una certa meraviglia, alcune importanti testimonianze artistiche, uniche tracce superstiti di un passato per altri aspetti irrimediabilmente perduto. È il caso della cattedrale di Rapolla, crollata varie volte nel corso dei secoli ma che ancora oggi conserva interessanti elementi artistici e architettonici di età medievale, manifestazioni da un lato della cultura del maturo XII secolo, dall’altro di un circuito di esperienze collegate ai grandi cantieri imperiali del XIII secolo. Rapolla fu per tutto il Medioevo un importante centro della zona del Vulture, vicina alla via Appia e distante appena pochi chilometri da Melfi, nel periodo normanno-svevo senza dubbio la città più grande e importante della Basilicata1. La prima attestazione di una sede vescovile si ha in un documento del 1037 in cui compare un vescovo Nando2. Poco attendibile è l’ipotesi dello storico locale Mauro Ala circa l’esistenza di un vescovo rapollano nel 603, basata sul ritrovamento, dopo il terremoto del 1930, di una sepoltura, in un luogo imprecisato della chiesa, coperta da una lastra in pietra con su erano incise le parole AGNUS EP…3. L’iscrizione è andata perduta ma tale dato potrebbe indicare l’esistenza di un precedente edificio sacro (nel racconto dello storico sono anche menzionate tracce di alcuni muri non relazionabili all’attuale chiesa) che, come di consueto, svolgeva anche la funzione di luogo di sepoltura. L’esistenza di un vescovo Agnus assente nella cronotassi vescovile di Rapolla, pone invece il problema della necessità di ulteriori indagini nella documentazione scritta4. Sia pure di dimendioni modeste il piccolo centro in epoca normanna non venne inserito nella nuova provincia ecclesistica luca- na voluta da Papa Alessandro II nel 1068 ma risultò essere sottoposto direttamente alla Sede Apostolica5. La motivazione di tale assenza è stata spiegata come un atto di riconoscimento nei confronti dei vescovi Oddone e Ursone (quest’ultimo futuro potente arcivescovo barese), i quali risultano essere tra i più stretti collaboratori di Roberto il Guiscardo6. Il destino della città sembra segnato sin dall’inizio da una serie di distruzioni. La prima di esse avvenne ad opera degli abitanti della vicina Melfi nel 1183 7; una seconda distruzione si ebbe nel 1255 ad opera del suo stesso feudatario Galvano Lancia (ad extremam quodammodo desolationem civitas ipsa) in seguito alla ribellione della città all’indomani della morte dello Svevo8. All’azione dell’uomo in seguito si affiancò quella dei terremoti. Se notizie certe non si hanno fino al terremoto del 1694 è possibile ipotizzare che la città del Vulture, sin dal terremoto del 1284 abbia subito numerosi danni, risultando i centri ad essa — 87 — di Luisa Derosa immediatamente vicini più volte distrutti 9 . Nel 1694 lo Strafforello riporta che la “bella cattedrale… ad eccezione del portone nella facciata, fu atterrata intieramente”10. Il quadro del terremoto del 1851 appare ancora più desolante. La città “ben difesa dalla natura e dall’arte, che parte scrollate e parte nereggianti esistono fiancheggiate da quindici torri con castello e fossata….non è rimasta immune dal comune flagello” scrive il Paci, la cattedrale “che non poco avea patito nel tremuoto degli 8 settembre 1664, quando perdè il suo rinomato campanile….restituiti (la chiesa ed il campanile stesso) alla decenza del culto… dalla magnanimità di Mr. Bovio, oggi non sono più…. Questo duomo…. in un baleno cadde in rovina, e solo un mucchio d pietre mostra ove già fu”11 L’illustrazione che accompagna il testo mostra un edificio ormai diruto del quale restano parte della facciata con il portale, stretto tra due barbacani (un terzo si nota sul lato destro della facciata), la cupola settecentesca per metà crollata ed infine una piccola finestra a sesto scuto in alto a sinistra in corrispondenza della navata laterale dell’edificio12. Un ulteriore distruzione si ebbe per il terremoto del 1930. Estremamente interessanti sono le osservazioni dell’allora Sovrintendente Eduardo Galli. Vale la pena riportarle: “La cattedrale di Rapolla con l’annesso campanile…sono purtroppo da annoverare fra gli edifizi sacri più gravemente danneggiati dal terremoto, non solo dall’ultimo movimento sismico del 23-24 (Foto Ottavio Chiaradia) luglio di due anni fa, ma anche dai precedenti sino a quelli della metà circa del secolo passato…È accaduto quindi che profonde alterazioni, anche di pianta, subisse l’insigne tempio… cosicchè ben poco è sopravanzato, specialmente nella parte absidale della chiesa, dell’opera di fra Melchiorre”. Di qui si passa ad analizzare, nello specifico, le condizioni dell’edificio: “È rimasto perfettamente a posto il portale originario…mentre la parte alta ed aggiunta del prospetto è caduta. Nell’interno sono crollate tutta la volta della cappella del Sacramento sulla testata sinistra del transetto…parte della vol- ta della contrapposta cappella dell’altro lato, adiacente al campanile (il quale ha perduto quasi tutta la cella campanaria), parte anche della volta di crociera…Di tutta la struttura dell’edificio, gli elementi che sembrano più solidi, …sono i pilastri lapidei rimasti a piombo…” 13 . Sull’esito dei restauri, la cui storia è ancora tutta da scrivere, ci da notizia Mauro Ala, spettatore all’epoca dei fatti che riferisce dell’intervento di restauro del Genio Civile sotto l’allora Soprintendente Franco Schettini14. I danni riportati dall’edificio risultarono così ingenti che venne purtroppo deciso di radere — 88 — al suolo l’intero edificio per ricostruirlo15. Una vecchia foto mostra l’interno della chiesa nella ricostruzione ottocentesca, senz’altro molto più fedele all’aspetto originario della chiesa. In tale occasione furono completamente distrutte anche le numerose cappelle che nel corso del tempo erano state aggiunte al vecchio edificio. I lavori di restauro procedettero comunque molto lentamente, interrotti dallo scoppio della guerra. L’inaugurazione del nuovo edificio avvenne solo il 15 agosto del 1959 (come ricorda la lapide inserita nella controfacciata della chiesa, nella navata sinistra). Eppure, nonostante le continue distruzioni, quasi per uno scherzo del destino, si sono conservate numerose iscrizioni relative alla fabbrica medievale le quali ci forniscono importantissimi dati relativi alle fasi di costruzione, ai committenti, agli autori delle opere, alle modalità di finanziamento della nuova cattedrale. La prima data che si ricava è quella del 1209, anno in cui un magister di nome Sarolo, originario della vicina città di Muro, attese alla realizzazione del campanile ed ai rilievi raffiguranti l’Annunciazione e i Progenitori. L’iscrizione è incisa su una lastra in pietra attualmente murata alla base del rilievo con l’Annunciazione. Un tempo entrambe le lastre erano inserite sulla parete ovest del campanile, da cui furono spostate dopo i restauri degli anni ’30 per essere collocate sulla parete sud della chiesa, dove ancora oggi si trovano16. Vale la pena riportarne il testo, che a partire dalla trascrizione fatta da Emile Bertaux nel 189717 è stato in genere pubblicato in modo errato: A(N)NI SU(N)T M(ONI)TI NUMERA(N)TIS MILLE DUCE(N)TI / ATQU(E) NOVE(M) PRIMO CU(M) ME FU(N)DAVIT AB IMO / P(RE)SUL RICCARDUS NEC OPE(M) NEC OPES DARE TARD(US) / A(N)NUS COLLATU(M) POST ILLI PO(N)TIFICATU(M)/ T(ER)CIUS EX(TREMU)M LAPIDE(M) POSUIT M(IH)I PRIM(US) / POST QUE(M) DEVOTA GE(N)S ASTITIT AD PIA VOTA/ILLE MAGIST(ER) ERAT, SI Q(UI)S DE NOMINE QUERAT / MURANI SAROLI CUI CURA FUIT DATA SOLI. L’iscrizione presenta diverse difficoltà, che solo un’accurata analisi epigrafica potrà risolvere. Un fatto singolare, stranamente sfuggito a tutti coloro che fino a questo momento si sono occupati del monumento e del suo autore è l’epigrafe in esame, divisa in sei frammenti, durante i restauri di inizio secolo venne montata invertendo i due frammenti sul lato destro, la cui lettura risulta pertanto incomprensibile. Al contrario, spostando il frammento inferiore destro nella zona superiore il testo si ricompone e la lastra ritorna ad avere la forma rettangolare originaria. Altro elemento a nostro parere importante è che il testo è in esametri, segno dell’alto livello culturale del committente che lo compose18. Tale dato giustifica anche la complessa costruzione sintattica, ordinata in funzione del verso metrico. La stessa successione metrica Portale, particolare capitello (Foto Ottavio Chiaradia) consente, inoltre, di sciogliere alcune abbreviazioni in modo più corretto, come nel caso del moniti (dalla costruzione), che il Bertaux interpreta come munti. Altri problemi presenta l’espressione extremum lapidem: quest’ultima parola mostra, infatti, una serie di segni, incisi con un tratto leggermente più sottile, che si sovrappongono gli uni agli altri. Forse un errore dello scalpellino oppure una più tarda manomissione del testo per un motivo che al momento ci sfugge? Il senso dell’epigrafe è comunque chiaro: il campanile venne innalzato sotto il vescovado di Riccar- do, il dotto prelato che ispirò il testo (un altro vescovo sconosciuto alla serie dell’Ughelli), grazie alla generosità dei fedeli, nell’arco di un solo anno. Altre iscrizioni accompagnano i due rilievi scultorei. In quello raffigurante Adamo ed Eva, dopo il Peccato originale, lungo la cornice si legge: ANNO MCC NONO FRAUDE SUA COLUBER POMUM DECEPIT EVAM, DATQUE VIRO MULIER MORTEM SIMUL ET IVI SEVAM EVE DAMNA PIA REPARAVIT VIRGO MARIA DUM REGEM PEPERIT QUI FUIT EST ET ERIT — 89 — Sulle edicole che separano le due figure dell’Annunciazione è invece riportato il brano del Vangelo di Luca: AVE MARIA GRACIA PLENA D(OMI)N(U)S TECUM. La Vergine è rappresentata con il fuso in mano intenta a filare la porpora per il velo del Tempio, secondo la tradizione derivata dai Vangeli Apocrifi. L’accostamento della scena della Tentazione con l’Annunciazione è abbastanza frequente nell’iconografia medievale e sottolinea la virtù della madre di Cristo che dando alla luce il Redentore riscatta l’umanità dall’errore commesso da un’altra donna. Anche i due rilievi sono frutto di un tardo rimontaggio di vari frammenti scultorei. Se la cornice modanata che racchiude la scena del Peccato è frutto di un vecchio restauro, l’archivolto con girali, insieme alla colonnina che lo sostiene ed al leone stiloforo, non sono pertinenti all’opera di Sarolo. La presenza di una finestra sul lato sud del campanile, il cui archivolto, sostenuto da due mensole zoomorfe, presenta un motivo a girali affine a quello in esame suggerisce l’appartenenza di tali frammenti ad un’altra finestra andata distrutta in seguito ad uno dei tanti crolli della struttura. In asse con la finestra ancora esistente è un rilievo funerario di età romana la cui presenza, piuttosto che essere prova di una precedente occupazione del suolo, come sostenuto dal Rescio 19, è spiegabile con la pratica medievale di inserire pezzi di spoglio sulle facciate o sui campanili degli edifici sacri, per sottolineare il senso dell’antichità e della continuità rispetto ad un passato antico e nobile (si pensa al caso della vicina Venosa)20. Ricordiamo, inoltre, che secondo una notizia riportata dal Chiaromonte sul campanile della chiesa di Rapolla fino al 1930 era visibile una lastra marmorea che ricordava i lavori eseguiti dopo il terremoto del 1456 da Troilo Caraffa, vescovo di Rapolla dal 1488 al 149721. Di questi lavori esile traccia potrebbe essere la mensola inserita tra l’imposta dell’arco ed il capitello sulla lastra dell’Annunciazione. Quanto all’autore la sua firma compare su un’altra iscrizione del 1197 incisa sul portale della chiesa di Santa Maria di Pierno, vicino San Fele (un edificio di pellegrinaggio sorto nelle vicinanze della via Erculea). A questo maestro, scultore e architetto, sulla scia di alcune osservazioni del Bertaux 22, sono state attribuite la pressocché totale maggioranza di opere romaniche della regione23. È un problema che va chiaramente rivisto, così come da poco si è cominciato a fare24. Da un punto di vista stilistico-formale i rilievi del campanile di Rapolla sono stati fatti derivare da modelli pittorici, forse a causa di quel certo illusionismo spaziale trasmesso dalle figure fortemente aggettanti dal piano di fondo della lastra, in particolare nella scena dell’Annunciazione. Tanto l’Arcangelo Gabriele quanto la Vergine paiono mal sopportare l’angusto spazio delle due edicole in cui sono inserite. Il seggio su cui è seduta la Vergine, interessante rappresentazione di un sedile medievale, occupa lo spa- Portale (Foto Ottavio Chiaradia) zio destinato alla colonnina che sostiene l’arcata, la quale risulta pertanto spezzata e sospesa nel vuoto. Le ali dell’Arcangelo, invece, impediscono addirittura l’inserzione dei sostegni: segni della difficoltà ma anche della volontà del maestro a cimentarsi con la rappresentazione del corpo umano. La stessa sensazione si ha nel rilievo di Adamo ed Eva. Anche in questo caso le figure dei progenitori paiono inserite quasi forzatamente nello spazio della lastra. Sicuramente l’impresa di Rapolla aveva posto all’artista problemi di composizione più complessi del portale di Pierno, che invece presenta un or- namentazione assai semplice con stelle, pomi, animali e testine umane scolpite ciascuna su singoli conci. Una plastica assai diversa da quella di Anglona (da cui molto probabilmente il portale di Pierno dipende) ed ancora più distante da quella di Acerenza, entrambe considerate dalla critica opere di Sarolo25. Sicuramente lo scultore di Muro Lucano era a conoscenza di queste opere, probabilmente già allora assai note nel panorama artistico della regione. Accanto a questi modelli indubbio ci appare il legame con alcune opere della Capitanata. Tale conoscenza potrebbe essere avvenuta — 90 — nel cantiere di Monticchio, dove, al contrario di quanto fino ad ora asserito dalla critica, solo in un paio di casi pare intravedersi la mano dell’artista lucano26. Una lontana eco del romanico di Capitanata (Troia, Montesantangelo) pare intravedersi anche nella resa dei panneggi delle figure dell’Annunciazione, che l’artista traduce con un fare essenziale e quasi grottesco. Le pieghe del maphorion della Vergine diventano nell’interpretazione di Sarolo rigidi ed astratti triangoli che incorniciano il volto, al pari delle restanti pieghe del mantello di sapore quasi metallico. Il campanile terminato nel 1209 affiancava probabilmente una chiesa più piccola dell’attuale, di cui si è persa completamente la memoria. Attualmente, infatti, tale struttura è inglobata per due terzi nella navata laterale destra dell’edificio, ostruendole il passaggio e facendo perdere senso di un’itarietà allo spazio. È lecito pensare che nel successivo progetto di ampliamento duecentesco ne fosse previsto l’abbattimento. Tale ipotesi potrebbe fornire anche un dato interessante relativo allo stato a cui giunsero i lavori della fabbrica in età manfrediana. Secondo una parte della critica la prima cattedrale della città sarebbe stata la vicina chiesetta di Santa Lucia, un edificio dell’XI secolo fortunatamente conservatosi quasi per intero nel suo aspetto originario27. Non si può escudere, ma al momento non esistono elementi a favore o contro tale ipotesi la cui prova potrebbe forse trovarsi nella documentazione scritta28. Un dato interessante, riportato dal Galli è quello relativo alla scoperta, nel corso dei restauri della chiesa di Santa Lucia, sotto l’altare, di una capsula marmorea ovoidale contenete alcuni frammenti di ossa umane29. Sicuramente, dunque, il campanile progettato da Sarolo non era destinato alla chiesa che venne completata “nelle parti più alte” sotto il vescovo Giovanni nel 1253, come recita un’iscrizione sul portale maggiore, ad opera dello scultore Melchiorre da Montalbano. CUM QUINA DECIES SUNT MCC ET TRES COMPLETI POST PARTUM VIRGINIS ALME / PRESUL ISTUD OPUS PEREGIT CUM CURA IOHANNIS QUI RAPOLLANUS EST HIIS ANTISTES IN ANNIS PARTIBUS / ECCLESIE CUNCTIS EST ALTIOR ILLA DICTUM QUAM CEPIT SUPEREDIFICARE JOHANNES MUNERE PON / TIFICIS JAM PER TRIA LUSTRA POTITUS CLERICUS ANGLONIS ALBANO MONTE NUTRITUS MELCHIOR EST FABER OPERIS LAUDABILIS HUJUS. Melchiorre da Montalbano è un’artista noto e conosciuto, sul quale però, oltre che sulla paternità delle opere attribuitegli (soprattutto da Èmile Bertaux), non è stato mai condotto uno studio approfondito30. Dopo l’impresa di Rapolla il nome di Melchiorre ricompare un’altra volta, esattamente ventisei anni dopo (1279), sul pulpito della cattedrale di Teggiano, dove il clerico di Anglona si firma con la semplice qualifica di magi- Rapolla (Pz) (Foto Ottavio Chiaradia) ster. Allo stesso artista sono stati attribuiti anche il portale della stessa chiesa ed i lavori di ristrutturazioni eseguiti dopo gli anni Settanta 31. In veste di protomagister Melchiorre comparirebbe, sempre secondo il Bertaux, nell’abbazia di San Guglielmo al Goleto32. Altre opere assegnate allo scultore sono il candelabro pasquale di Bominaco 33, un capitello conservato ad Atella34 e due portali a Marsico Nuovo e Calvello 35 , questi ultimi veramente distanti dalla cultura espressa dal maestro tanto a Rapolla quanto a Teggiano. La formazione dell’artista sarebbe avvenuta nell’ambiente dei cantieri sve- vi pugliesi, soprattutto Castel del Monte36. La forma del portale lucano riecheggerebbe, secondo la Calò Mariani, i portali a pian terreno del castello pugliese37. Non estranea alla formazione di Melchiorre sarebbe, inoltre, l’esperienza maturata nel vicino cantiere di Lagopesole. Rispetto a quest’ultimo esempio, però, l’opera di Rapolla è caratterizzata da una maggiore sobrietà distante dal senso di vigoroso naturalismo che caratterizza la decorazione plastica delle mensole del castello lucano. Un certo impoverimento ed una certa improvvisazione emerge invece nei rilievi della lunetta a propo- — 91 — sito dei quali lo stesso Bertaux riconosce “que l’architecte était un Italien”38. È un argomento su cui bisognerà tornare a riflettere. Indubbi sono a mio parere i rapporti con i cantieri svevi pugliesi, piuttosto che con Lagopesole, oltre che con alcuni noti episodi cistercensi, come Fossanova e Casamari. Lo stesso Federico II, d’altro canto, aveva chiamato per lavorare nei cantieri imperiali maestranze cistercensi, come recita il noto passo della Cronaca di S. Maria de Ferraria39. Un interessante dato circa l’attività di Melchiorre potrebbe emergere dall’analisi dei rapporti tra l’artista e la potente famiglia dei Sanseverino, giunta nel Mezzogiorno al seguito dei Normanni, che tra i tanti possedimenti feudali ebbe anche la città di Tursi. Ricordiamo che Roberto di Sanseverino fu, insieme a Carlo I d’Angiò, il principale finanziatore dei lavori della cattedrale di Teggiano40. All’interno l’edificio di Rapolla conserva ancora esili tracce della fabbrica che, molto presumibilmente, costruì Melchiorre da Montalbano. La chiesa si presenta con un impianto a tre navate divise da pilastri di cui i primi quattro hanno forma ottogonale. I primi due sono attualmente inglobati nella facciata, che un tempo doveva quindi essere più avanzata. All’attività di Melchiorre sono attribuiti i due imponenti pilastri cruciformi con otto colonnine incastrate ed i semipilastri corrispondenti nelle navate laterali41. Le campate successive sono frutto di un intervento trecentesco, come si apprende da un’iscrizione murata sul lato sinistro della facciata: HOC OPUS FIERI FECIT CU(M) TOTO CHORO/ PULPITO D(OMI)N(U)S FRAT(RES) PETRUS D(E) CATALONIA VE(NERABILIS) HE(PISCOPIS) / RAPOLL(ENSIS) MITISSIM(US) Q(UOQUE) PI(US) ANNO D(OMINI) MCCC... L’arcivescovo Pietro di Catalogna, famigliare e confessore di re Roberto d’Angiò, nono arcivescovo della serie dell’Ughelli, ampliò, secondo il Bertaux, di una nuova campata l’edificio duecentesco con l’inserzione di altre due absidi 42. Bisogna osservare che il motivo a zig-zag che occupa la parte superiore della epigrafe ricorre anche su uno dei pilastri ottagoni della chiesa, segno probabilmente di un ulteriore intervento sulla fabbrica trecentesca di cui si è persa memoria. Allo stato attuale una traccia di questi lavori può intravedersi nella volta dell’abside laterale destra, in seguito riadattata a sacrestia della chiesa. Tale destinazione d’uso venne suggerita dalla presenza del campanile di Sarolo, inglobato nella navata duecentesca, all’altezza della quarta campata. Ad un altro edificio (forse il palazzo vescovile?), potrebbe invece appartenere la cappella che si apre nella navata laterale sinistra, all’altezza della prima campata, orientata in senso inverso. È difficile che dopo tante distruzioni un’indagine archeologica possa dare risposte circa la presenza di un precedente edificio di culto. Bisogna sottolineare che uno dei motivi della estrema fragilità statica dell’edificio risiede nella presenza di una serie di ambienti ipogeici scavati per uso domestico, come riferisce il Galli, sotto l’attuale edificio, colmati nei restauri degli anni ’30 per rendere più solida la struttura43. Una scelta infelice, dunque, quella del sito su cui edificare la chiesa, che potrebbe anche spiegare la mancata realizzazione del progetto duecentesco. Forti elementi di dubbio circa l’intervento di Melchiorre risiedono anche nel dato, ricavabile dall’iscrizione, che sotto il vescovo Giovanni vennero portate a termine le parti più alte dell’edificio. Sicuramente gli imponenti pilastri a fascio lasciano intravedere un progetto grandioso, poco consono alla natura del suolo. Le campate nella navata centrale, su modulo quadrato, dovevano essere coperte da crociere costolonate, al pari di quelle laterali. Attualmente tutto il lato sinistro dell’edificio, compresa la decorazione plastica è frutto di restauro. Quanto ai modelli architettonici i pilastri a fascio di Rapolla si ispirano ai pilastri della Incompiuta di Venosa. Tale confronto, già avanzato dalla WagnerRieger, porta la studiosa ad ipotizzare una influenza francese, spiegabile a mio parere solo attraverso l’adozione del modello venosino piuttosto che per la diretta conoscenza da parte delle maestranze lucane di opere gotiche d’Oltralpe44. In realtà ad una ottenta osservazione l’edificio ha ancora un forte sapore romanico, soprattutto nella plastica decorativa, non interamente ascrivibile all’attività di Melchiorre. Molto interessanti, soprattutto da un punto di vista iconografico sono i motivi scolpiti sul pilastro a fascio del lato destro della navata centrale e quelli del pilastro corrispondente nella navata laterale. Nel pilastro della Rapolla (Pz): semipilastro nav. later. dx (Foto Ottavio Chiaradia) — 92 — navata centrale mentre sul lato nord compaiono i consueti ornamenti vegetali a crochets, sugli altri lati spuntano tra le foglie teste di leoncini e sul lato sud, in successione, una testa di ariete, una figura barbuta sputaracemi ed una figuretta intera con un libro tra le mani. Sul semipilastro corrispondente si hanno in successione, a partire da est, un felino, un’altra figuretta uguale alla prima, una testa femminile con un diadema tra i capelli ed un velo che le incornicia il volto, un uomo barbuto che stringe tra le labbra una catena, un moro, un orso, un pipistrello, un cobra, un aquila ed un elefante. Si tratta di simboli allusivi al male su cui converrà ritornare in altra sede. Ciò che invece è importante sottolineare è che se alcuni di questi soggetti, come il moro, la testina sputaracemi e le due figurette si incontrano frequentemente nella plastica duecentesca la cultura espressa da queste opere ap- partiene ancora a pieno diritto al mondo romanico. Colpiscono, in modo particolare, le figure dei felini che richiamano in modo quasi inequivocabili le analoghe raffigurazioni venosine. Tra le numerose sorprese che l’edificio riserva vi è, infine, da un’altra iscrizione murata sulla parete destra della facciata, finora sfuggita alla critica. Il testo è il seguente: SACRO S(AN)C(T)E CRUCI AGNEO/SACRE VIRGINIS ROFFREDUS EP(ISCOPU)S / DESU(M)PTU PECULIARI PRESULATUS SUI A(NNO) XIIII. Si tratta, ancora una volta, di un vescovo sconosciuto, Roffredo, che a sue spese nel quattordicesimo anno del suo presulato consacrò l’edificio. Di un Roffredus dà notizia Giustino Fortunato pubblicando il testo di un’epigrafe murata nella parete destra della chiesa di San Michele a Monticchio dove si farebbe riferimento alla sepoltura del vescovo Giovanni, nativo di Troia, ad opera del fratello di costui, Roffredo 45 . Il problema è che quest’ultimo nome non compare nell’iscrizione di Monticchio bensì in una iscrizione del 1902 dipinta nell’episcopio di Melfi che fa riferimento a questa sepoltura. Ancora un tassello, dunque, della storia di questo affascinante ed enigmatico edificio al quale bisognerebbe, una volta per tutte, restituire il giusto posto nella Storia. Note 1 H. Houben, Melfi, Venosa, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle decime giornate normanno-sveve (Bari 21-24 ottobre 1991), a cura di G. Musca, Bari 1993, pp. 311331; 2 Nitto De Rossi C.B. - Nitti Di Vito F., Le pergamene del Duomo di Bari (952-1264), in Codice Diplomatico Barese, 1, Bari 1979, doc. n. 20; pp. 34 e ss.; Magistrale F., Notariato e documentazione di Terra di Bari. Ricerche su forme, rogatari, credibilità dei documenti latini nei secc. IXXI , (Società di Storia Patria per la Puglia, Documenti e Monografie 48), Bari 1984, pp. 332-342. Per un riassunto delle vicende della diocesi si veda, inoltre, A. Pellettieri, Rapolla, in AA.VV., Cattedrali di Basilicata, Lavello 1995, pp. 81-86; 3 Ala M., Storia di Rapolla , Napoli 1983, I, pp. 58-61; si vedano le osservazioni di Rescio P., Archeologia e Survey sul Monte Vulture: nuove ricerche su Rapolla medievale, in “Radici” 14 (1994), pp. 83-89; 4 Opera di riferimento per le vicende della città rimangono ancora oggi la monografia di Chiaromonte F., Cenno storico sulla chiesa vescovile di Rapolla, Melfi 1888; Racioppi G., Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1902, pp. 172-243; Fortuna- Rapolla (Pz): lato sx della facciata con iscrizione di Petrus de Catalogna (Foto Ottavio Chiaradia) — 93 — to G., Rionero medievale, con 26 documenti inediti , Trani 1899; 5 Italia pontificia 9, a cura di W. Holtzmann, Hildesheim 1986 (I ed. Berlin 1962), pp. 500-502; Fonseca C.D., L’organizzazione ecclesiastica normanna tra l’XI ed il XII secolo: i nuovi assetti istituzionali, in Particolarismo istituzionale ed organizzazione ecclesistica nel Mezzogiorno meridionale, Galatina 1987, pp. 92-93; Idem, Gli assetti metropolitici del Mezzogiorno tra Bisanzio e Roma, in Nel IX centenario della Metropoli ecclesistica di Pisa, Atti del Convegno di Studi (7-8 maggio 1992), Pisa 1995, pp. 27-44. Sullo stato della diocesi si vedano Jamison E., Catalogus Baronum (1150-1168), p. 44; Cuozzo E., Catalogus Baronum Commentario , Roma 1984; 6 H. Houben, Melfi, Venosa cit., pp.318-319; 7 Annales Casinenses , ed. G.H.Pertz, in Monumenta Germaniae Historia SS., Hannover 1966, p. 313. Sulle motivazioni di tale distruzione si veda H. Houben, Melfi, Venosa cit., p. 326; inoltre Colapietra R., Un profilo storico dei principali centri della Basilicata (XI-XIX secolo), in “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, a. LIX (1992), pp. 111-112; 8 Niccolò Jamsilla, De rebus gestis Friderici II. Imperatoris eiusque filiorum Conradi et Manfredi, Apuliae et Siciliae regum, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, II, Napoli 1868, rist. Bologna 1975, pp. 156-157; 9 Giustiniani L., Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1804, VII, pp. 341-348, in part. p. 346; Claps V., Cronistoria dei terremoti in Basilicata (anno I d.C.-1980), Galatina 1982; 10 Idem, pp. 35-36; Paci G.M., Il terremoto del 1851 in Basilicata , Napoli 1853, rist. Melfi 1990, pp. 48-48; 12 Idem, tav. V; 13 Galli E., Danni e restauri a monumenti della zona del Vulture, in “Bollettino d’Arte” pp. 321-340, qui pp. 331333; 14 Ala M., Storia di Rapolla , Rionero s.d., pp. 159-160 15 Si vedano le foto in ibidem, pp. 414-415; 16 I rilievi figurano nella parete del campanile almeno fino al 1937: cfr. Attraverso l’Italia. Puglia, Lucania, Calabria , VIII, Milano 1937, fig. 21, p. 128; 17 Bertaux È., I monumenti medievali della regione del Vulture, in “Napoli Nobilissima”, VI (1897), p. III; 18 Sull’importanza delle iscrizioni medievali si veda Claussen P.C., Kathedralgotik und anonymität 1130-1250 , in “Wiener jahrbuch für Kunstgeschichte, XLVI/XLVII (1993: 94), pp. 141-160; 19 Tale è l’ipotesi di Rescio P., Archeologia e Survey cit. p. 89; 20 de Laschenal L., Reimpieghi dell’antico ella cattedrale di Acerenza , in AA.VV., Acerenza, Venosa 1995, pp.6576; Ead., Spolia. Uso e reimpiego dell’Antico dal III al XIV secolo (Biblioteca di Archeologia, 24), Milano 1995; Ead., I Normanni e l’Antico. Per una ridefinizione dell’Abbaziale incompiuta di Venosa in Terra Lucana, in “Bollettino d’Arte”, LXXXI (1996), pp. 180; Todisco L., L’Antico nel campanile di Melfi , in “Mélanges de L’Ecole Française de Rome, Moyen Age-Temps modernes”, 99(1987), pp. 123-158; 21 Ughelli F., Italia Sacra sive de Episcopis Italiae , ed. S. Coleti, VII, Venezia 1721, col. 883, Chiaromonte F., Cenno storico cit, p. 13; 11 Bertaux È., L’Art dans l’Italie cit., pp. 765; 39 Belli D’Elia P., Gli edifici sacri, in Federico II e l’Italia, Catalogo della mostra a cura di C. D. Fonseca (Roma 22 dicembre 1995-30 aprile 1996), Roma 1995 p. 86; 40 De Cunzo M., Note per una storia dei monumenti di Teggiano cit., pp. 21-24; Giganti A., I Sanseverino e la Basilicata tra Svevi e Angioini , in AA.VV., Studi Storici della Basilicata, Bari 1987, pp. 83130; 41 Calò Mariani M. S., Ancora sulla scultura sveva , cit. p. 176; 42 Bertaux È., I monumenti medievali cit. p. VIII; 43 Galli E., Danni e restauri cit., p. 333; 44 Wagner-Rieger R., Die italinische Baukunst zu Beginn der Gotik , Graz-KÖln, 1957, II, pp. 124-125; 45 Fortunato G., La Badia di Monticchio, Venosa 1989 (rist. anast. dell’ed. del 1904), pp. 333-342. 38 Bertaux È., L’Art dans L’Italie cit., p. 520-522; 23 De Pilato S., Architetti di Basilicata, Potenza 1932, p. 2; Grelle Iusco A., Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, Roma 1981, p. 23; Garzya Romano C., La Basilicata e la Calabria [Italia Romanica 9], Milano 1988, pp. 75-100; 24 Klaussen P.C., Il portico di S. Maria di Anglona. Scultura normanna nell’Italia meridionale del XII secolo. Santa Maria di Anglona e la SS. Trinià di Venosa, in Santa Maria di Anglona Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), a cura di C. D. Fonseca e V. Pace, Galatina 1996; Derosa L., La chiesa medievale. La scultura, in La cattedrale di Acerenza , a cura di P.B. D’Elia, C. Gelao, pp. 51-68 (in corso di stampa); 25 Oltre alla bibliografia citata nella nota 21 si vedano Prandi A., Arte in Basilicata, Milano 1964, pp. 179-180; Cappelli B., Aspetti e problemi dell’arte medievale in Basilicata, in “Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”,XXXI (1962) p. 263; 26 Sui rapporti tra i capitelli di Monticchio e quelli dell’Abbazia di Monte Sacro sul Gargano: Federico II. Immagine e potere, Catalogo della mostra a cura di M.S. Calò Mariani, R. Cassano (Bari 1995), Venezia 1995, scheda n. 12.3.2, pp. 511-512 (Derosa L.) con bibl.; 27 Unico studio monografico del monumento risale al 1964: Mongiello G., La chiesa di Santa Lucia in Rapolla, in “Bollettino d’Arte”, XLIX (1964), pp. 165-173; 28 Sull’ubicazione delle cattedrali in generale: Fonseca C. D., Ubicazione e dedicazione; 29 Galli E., Danni e restauri cit., p. 331; 22 30 Bertaux È., L’Art dans l’Italie cit., pp. 765-766; Si segnalano inoltre i diversi interventi in Aggiornamento all’opera di È. Bertaux, L’art dans l’Italie méridionale (Parigi, 1903), a cura di A. Prandi, Roma 1978, V, pp 967-968; 973974. Di Melchiorre da Montalbano, in generale, parlano tutti gli autori citali per Sarolo da Muro; 31 De Cunzo M., Note per una storia dei monumenti di Teggiano , in Il Vallo ritrovato. Scoperte e restauri nel vallo di Diano , Napoli 1989, p. 23; Calò Mariani M. S., Ancora sulla scultura sveva in Puglia e Lucania , in Atti delle terze giornate federiciane (Oria, 26-27 ottobre 1974), Bari 1977, pp. 175-177. Ead., L’Arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, pp. 195-196; Mormono M., Il pulpito di Melchiorre da Montalbano nella cattedrale di Teggiano, in “Napoli Nobilissima”, XIX (1980), pp. 165-173; 32 Bertaux È., L’Art dans l’Italie cit., pp. 765-766; Idem, S. Guglielmo al Goleto e il problema di Castel del Monte, in I monumenti medievali della regione del Vulture cit., pp. II-V; F. Aceto, La scultura dall’età romanica al primo rinascimento, in Insediamenti verginiani in Irpina. Il Goleto Montevergine Loreto, a cura di V. Pacelli, Cava dei Tirreni 1988, pp. 87-113; solo il Cappelli ne ha respinto l’attribuzione ( Aspetti e problemi cit., p. 297); 33 Calò Mariani Ancora sulla scultura cit., p. 177; 34 ibidem; 35 A. Grelle, Arte in Basilicata cit, pp. 25-26; 36 Bertaux È., L’Art dans l’Italie cit., pp. 765; 37 Calò Mariani M. S., Ancora sulla scultura sveva cit. p.176; — 94 —