La cattedrale di Rapolla - Consiglio Regionale della Basilicata

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LA CATTEDRALE DI RAPOLLA
In the Rapolla Cathedral numerous and interesting epigraphes, wich report notices relative to the building history, are placed. The architecture and the sculptures of this ancient
building introduce many unsolved problems that demand a carefull deepening.
L
’immagine che la
Storia ci ha restituito
di molti paesi della
Lucania è spesso fuorviante. Le catastrofi naturali vero tormento di queste
terre - e l’incuria dell’uomo
hanno spesso stravolto
l’aspetto originario degli
antichi centri. Succede
pertanto di scoprire, con
una certa meraviglia, alcune importanti testimonianze artistiche, uniche
tracce superstiti di un passato per altri aspetti irrimediabilmente perduto. È il
caso della cattedrale di Rapolla, crollata varie volte
nel corso dei secoli ma che
ancora oggi conserva interessanti elementi artistici e
architettonici di età medievale, manifestazioni da un
lato della cultura del maturo XII secolo, dall’altro di
un circuito di esperienze
collegate ai grandi cantieri
imperiali del XIII secolo.
Rapolla fu per tutto il Medioevo un importante centro
della zona del Vulture, vicina
alla via Appia e distante appena pochi chilometri da
Melfi, nel periodo normanno-svevo senza dubbio la
città più grande e importante della Basilicata1.
La prima attestazione di
una sede vescovile si ha in
un documento del 1037 in
cui compare un vescovo
Nando2. Poco attendibile è
l’ipotesi dello storico locale
Mauro Ala circa l’esistenza
di un vescovo rapollano
nel 603, basata sul ritrovamento, dopo il terremoto
del 1930, di una sepoltura,
in un luogo imprecisato
della chiesa, coperta da
una lastra in pietra con su
erano incise le parole
AGNUS EP…3. L’iscrizione è andata perduta ma tale dato potrebbe indicare
l’esistenza di un precedente edificio sacro (nel racconto dello storico sono
anche menzionate tracce di
alcuni muri non relazionabili all’attuale chiesa) che,
come di consueto, svolgeva
anche la funzione di luogo
di sepoltura. L’esistenza di
un vescovo Agnus assente
nella cronotassi vescovile
di Rapolla, pone invece il
problema della necessità di
ulteriori indagini nella documentazione scritta4.
Sia pure di dimendioni
modeste il piccolo centro
in epoca normanna non
venne inserito nella nuova
provincia ecclesistica luca-
na voluta da Papa Alessandro II nel 1068 ma risultò
essere sottoposto direttamente alla Sede Apostolica5. La motivazione di tale
assenza è stata spiegata come un atto di riconoscimento nei confronti dei
vescovi Oddone e Ursone
(quest’ultimo futuro potente arcivescovo barese), i
quali risultano essere tra i
più stretti collaboratori di
Roberto il Guiscardo6.
Il destino della città sembra segnato sin dall’inizio
da una serie di distruzioni.
La prima di esse avvenne
ad opera degli abitanti della vicina Melfi nel 1183 7;
una seconda distruzione si
ebbe nel 1255 ad opera del
suo stesso feudatario Galvano Lancia (ad extremam
quodammodo desolationem
civitas ipsa) in seguito alla
ribellione della città all’indomani della morte dello
Svevo8. All’azione dell’uomo in seguito si affiancò
quella dei terremoti. Se notizie certe non si hanno fino al terremoto del 1694 è
possibile ipotizzare che la
città del Vulture, sin dal
terremoto del 1284 abbia
subito numerosi danni, risultando i centri ad essa
— 87 —
di Luisa Derosa
immediatamente vicini
più volte distrutti 9 . Nel
1694 lo Strafforello riporta
che la “bella cattedrale…
ad eccezione del portone
nella facciata, fu atterrata
intieramente”10. Il quadro
del terremoto del 1851 appare ancora più desolante.
La città “ben difesa dalla
natura e dall’arte, che parte
scrollate e parte nereggianti esistono fiancheggiate da
quindici torri con castello
e fossata….non è rimasta
immune dal comune flagello” scrive il Paci, la cattedrale “che non poco avea
patito nel tremuoto degli 8
settembre 1664, quando
perdè il suo rinomato campanile….restituiti (la chiesa ed il campanile stesso)
alla decenza del culto…
dalla magnanimità di Mr.
Bovio, oggi non sono
più…. Questo duomo….
in un baleno cadde in rovina, e solo un mucchio d
pietre mostra ove già fu”11
L’illustrazione che accompagna il testo mostra un
edificio ormai diruto del
quale restano parte della
facciata con il portale,
stretto tra due barbacani
(un terzo si nota sul lato
destro della facciata), la cupola settecentesca per metà
crollata ed infine una piccola finestra a sesto scuto
in alto a sinistra in corrispondenza della navata laterale dell’edificio12. Un ulteriore distruzione si ebbe
per il terremoto del 1930.
Estremamente interessanti
sono le osservazioni dell’allora Sovrintendente Eduardo Galli. Vale la pena
riportarle: “La cattedrale di
Rapolla con l’annesso campanile…sono purtroppo
da annoverare fra gli edifizi
sacri più gravemente danneggiati dal terremoto,
non solo dall’ultimo movimento sismico del 23-24
(Foto Ottavio Chiaradia)
luglio di due anni fa, ma
anche dai precedenti sino a
quelli della metà circa del
secolo passato…È accaduto quindi che profonde alterazioni, anche di pianta,
subisse l’insigne tempio…
cosicchè ben poco è sopravanzato, specialmente nella parte absidale della chiesa, dell’opera di fra Melchiorre”. Di qui si passa ad
analizzare, nello specifico,
le condizioni dell’edificio:
“È rimasto perfettamente a
posto il portale originario…mentre la parte alta
ed aggiunta del prospetto è
caduta. Nell’interno sono
crollate tutta la volta della
cappella del Sacramento
sulla testata sinistra del
transetto…parte della vol-
ta della contrapposta cappella dell’altro lato, adiacente al campanile (il quale
ha perduto quasi tutta la
cella campanaria), parte
anche della volta di crociera…Di tutta la struttura
dell’edificio, gli elementi
che sembrano più solidi,
…sono i pilastri lapidei rimasti a piombo…” 13 .
Sull’esito dei restauri, la
cui storia è ancora tutta da
scrivere, ci da notizia Mauro Ala, spettatore all’epoca
dei fatti che riferisce dell’intervento di restauro del
Genio Civile sotto l’allora
Soprintendente Franco
Schettini14. I danni riportati dall’edificio risultarono così ingenti che venne
purtroppo deciso di radere
— 88 —
al suolo l’intero edificio
per ricostruirlo15. Una vecchia foto mostra l’interno
della chiesa nella ricostruzione ottocentesca, senz’altro molto più fedele all’aspetto originario della
chiesa. In tale occasione
furono completamente distrutte anche le numerose
cappelle che nel corso del
tempo erano state aggiunte
al vecchio edificio. I lavori
di restauro procedettero
comunque molto lentamente, interrotti dallo
scoppio della guerra. L’inaugurazione del nuovo
edificio avvenne solo il 15
agosto del 1959 (come ricorda la lapide inserita nella controfacciata della
chiesa, nella navata sinistra).
Eppure, nonostante le
continue distruzioni, quasi
per uno scherzo del destino, si sono conservate numerose iscrizioni relative
alla fabbrica medievale le
quali ci forniscono importantissimi dati relativi alle
fasi di costruzione, ai committenti, agli autori delle
opere, alle modalità di finanziamento della nuova
cattedrale.
La prima data che si ricava è quella del 1209, anno
in cui un magister di nome
Sarolo, originario della vicina città di Muro, attese
alla realizzazione del campanile ed ai rilievi raffiguranti l’Annunciazione e i
Progenitori. L’iscrizione è
incisa su una lastra in pietra attualmente murata alla
base del rilievo con l’Annunciazione. Un tempo
entrambe le lastre erano
inserite sulla parete ovest
del campanile, da cui furono spostate dopo i restauri
degli anni ’30 per essere
collocate sulla parete sud
della chiesa, dove ancora
oggi si trovano16.
Vale la pena riportarne il
testo, che a partire dalla
trascrizione fatta da Emile
Bertaux nel 189717 è stato
in genere pubblicato in
modo errato:
A(N)NI SU(N)T M(ONI)TI NUMERA(N)TIS MILLE
DUCE(N)TI / ATQU(E)
NOVE(M) PRIMO CU(M)
ME FU(N)DAVIT AB IMO
/ P(RE)SUL RICCARDUS
NEC OPE(M) NEC OPES
DARE TARD(US) / A(N)NUS
COLLATU(M) POST ILLI
PO(N)TIFICATU(M)/
T(ER)CIUS EX(TREMU)M LAPIDE(M) POSUIT
M(IH)I PRIM(US) / POST
QUE(M) DEVOTA GE(N)S ASTITIT AD PIA
VOTA/ILLE MAGIST(ER)
ERAT, SI Q(UI)S DE NOMINE QUERAT / MURANI SAROLI CUI CURA
FUIT DATA SOLI.
L’iscrizione presenta diverse difficoltà, che solo
un’accurata analisi epigrafica potrà risolvere. Un fatto singolare, stranamente
sfuggito a tutti coloro che
fino a questo momento si
sono occupati del monumento e del suo autore è
l’epigrafe in esame, divisa
in sei frammenti, durante i
restauri di inizio secolo
venne montata invertendo
i due frammenti sul lato
destro, la cui lettura risulta
pertanto incomprensibile.
Al contrario, spostando il
frammento inferiore destro
nella zona superiore il testo
si ricompone e la lastra ritorna ad avere la forma rettangolare originaria. Altro
elemento a nostro parere
importante è che il testo è
in esametri, segno dell’alto
livello culturale del committente che lo compose18.
Tale dato giustifica anche
la complessa costruzione
sintattica, ordinata in funzione del verso metrico. La
stessa successione metrica
Portale, particolare capitello
(Foto Ottavio Chiaradia)
consente, inoltre, di sciogliere alcune abbreviazioni
in modo più corretto, come nel caso del moniti
(dalla costruzione), che il
Bertaux interpreta come
munti. Altri problemi presenta l’espressione extremum lapidem: quest’ultima parola mostra, infatti,
una serie di segni, incisi
con un tratto leggermente
più sottile, che si sovrappongono gli uni agli altri.
Forse un errore dello scalpellino oppure una più tarda manomissione del testo
per un motivo che al momento ci sfugge?
Il senso dell’epigrafe è
comunque chiaro: il campanile venne innalzato sotto il vescovado di Riccar-
do, il dotto prelato che
ispirò il testo (un altro vescovo sconosciuto alla serie
dell’Ughelli), grazie alla generosità dei fedeli, nell’arco di un solo anno.
Altre iscrizioni accompagnano i due rilievi scultorei. In quello raffigurante
Adamo ed Eva, dopo il
Peccato originale, lungo la
cornice si legge:
ANNO MCC NONO
FRAUDE SUA COLUBER POMUM DECEPIT EVAM, DATQUE
VIRO MULIER MORTEM SIMUL ET IVI SEVAM EVE DAMNA PIA
REPARAVIT VIRGO MARIA DUM REGEM PEPERIT QUI FUIT EST
ET ERIT
— 89 —
Sulle edicole che separano le due figure dell’Annunciazione è invece riportato il brano del Vangelo di
Luca: AVE MARIA GRACIA PLENA D(OMI)N(U)S TECUM. La Vergine
è rappresentata con il fuso
in mano intenta a filare la
porpora per il velo del
Tempio, secondo la tradizione derivata dai Vangeli
Apocrifi. L’accostamento
della scena della Tentazione con l’Annunciazione è
abbastanza frequente nell’iconografia medievale e
sottolinea la virtù della madre di Cristo che dando alla
luce il Redentore riscatta
l’umanità dall’errore commesso da un’altra donna.
Anche i due rilievi sono
frutto di un tardo rimontaggio di vari frammenti
scultorei. Se la cornice modanata che racchiude la
scena del Peccato è frutto
di un vecchio restauro,
l’archivolto con girali, insieme alla colonnina che lo
sostiene ed al leone stiloforo, non sono pertinenti
all’opera di Sarolo. La presenza di una finestra sul lato sud del campanile, il cui
archivolto, sostenuto da
due mensole zoomorfe,
presenta un motivo a girali
affine a quello in esame
suggerisce l’appartenenza
di tali frammenti ad un’altra finestra andata distrutta
in seguito ad uno dei tanti
crolli della struttura.
In asse con la finestra ancora esistente è un rilievo
funerario di età romana la
cui presenza, piuttosto che
essere prova di una precedente occupazione del suolo, come sostenuto dal Rescio 19, è spiegabile con la
pratica medievale di inserire pezzi di spoglio sulle facciate o sui campanili degli
edifici sacri, per sottolineare il senso dell’antichità e
della continuità rispetto ad
un passato antico e nobile
(si pensa al caso della vicina Venosa)20.
Ricordiamo, inoltre, che
secondo una notizia riportata dal Chiaromonte sul
campanile della chiesa di
Rapolla fino al 1930 era visibile una lastra marmorea
che ricordava i lavori eseguiti dopo il terremoto del
1456 da Troilo Caraffa, vescovo di Rapolla dal 1488
al 149721. Di questi lavori
esile traccia potrebbe essere
la mensola inserita tra l’imposta dell’arco ed il capitello sulla lastra dell’Annunciazione.
Quanto all’autore la sua
firma compare su un’altra
iscrizione del 1197 incisa
sul portale della chiesa di
Santa Maria di Pierno, vicino San Fele (un edificio
di pellegrinaggio sorto nelle vicinanze della via Erculea). A questo maestro,
scultore e architetto, sulla
scia di alcune osservazioni
del Bertaux 22, sono state
attribuite la pressocché totale maggioranza di opere
romaniche della regione23.
È un problema che va chiaramente rivisto, così come
da poco si è cominciato a
fare24. Da un punto di vista
stilistico-formale i rilievi
del campanile di Rapolla
sono stati fatti derivare da
modelli pittorici, forse a
causa di quel certo illusionismo spaziale trasmesso
dalle figure fortemente aggettanti dal piano di fondo
della lastra, in particolare
nella scena dell’Annunciazione. Tanto l’Arcangelo
Gabriele quanto la Vergine
paiono mal sopportare
l’angusto spazio delle due
edicole in cui sono inserite.
Il seggio su cui è seduta la
Vergine, interessante rappresentazione di un sedile
medievale, occupa lo spa-
Portale
(Foto Ottavio Chiaradia)
zio destinato alla colonnina che sostiene l’arcata, la
quale risulta pertanto spezzata e sospesa nel vuoto. Le
ali dell’Arcangelo, invece,
impediscono addirittura
l’inserzione dei sostegni:
segni della difficoltà ma
anche della volontà del
maestro a cimentarsi con la
rappresentazione del corpo
umano. La stessa sensazione si ha nel rilievo di Adamo ed Eva. Anche in questo caso le figure dei progenitori paiono inserite quasi
forzatamente nello spazio
della lastra. Sicuramente
l’impresa di Rapolla aveva
posto all’artista problemi
di composizione più complessi del portale di Pierno,
che invece presenta un or-
namentazione assai semplice con stelle, pomi, animali e testine umane scolpite ciascuna su singoli
conci. Una plastica assai
diversa da quella di Anglona (da cui molto probabilmente il portale di Pierno
dipende) ed ancora più distante da quella di Acerenza, entrambe considerate
dalla critica opere di Sarolo25. Sicuramente lo scultore di Muro Lucano era a
conoscenza di queste opere, probabilmente già allora assai note nel panorama
artistico della regione. Accanto a questi modelli indubbio ci appare il legame
con alcune opere della Capitanata. Tale conoscenza
potrebbe essere avvenuta
— 90 —
nel cantiere di Monticchio,
dove, al contrario di quanto fino ad ora asserito dalla
critica, solo in un paio di
casi pare intravedersi la
mano dell’artista lucano26.
Una lontana eco del romanico di Capitanata (Troia,
Montesantangelo) pare intravedersi anche nella resa
dei panneggi delle figure
dell’Annunciazione, che
l’artista traduce con un fare essenziale e quasi grottesco. Le pieghe del maphorion della Vergine diventano nell’interpretazione di
Sarolo rigidi ed astratti
triangoli che incorniciano
il volto, al pari delle restanti pieghe del mantello di
sapore quasi metallico.
Il campanile terminato
nel 1209 affiancava probabilmente una chiesa più
piccola dell’attuale, di cui
si è persa completamente
la memoria. Attualmente,
infatti, tale struttura è inglobata per due terzi nella
navata laterale destra
dell’edificio, ostruendole il
passaggio e facendo perdere senso di un’itarietà allo
spazio. È lecito pensare che
nel successivo progetto di
ampliamento duecentesco
ne fosse previsto l’abbattimento. Tale ipotesi potrebbe fornire anche un dato
interessante relativo allo
stato a cui giunsero i lavori
della fabbrica in età manfrediana.
Secondo una parte della
critica la prima cattedrale
della città sarebbe stata la
vicina chiesetta di Santa
Lucia, un edificio dell’XI
secolo fortunatamente conservatosi quasi per intero
nel suo aspetto originario27.
Non si può escudere, ma al
momento non esistono
elementi a favore o contro
tale ipotesi la cui prova potrebbe forse trovarsi nella
documentazione scritta28.
Un dato interessante, riportato dal Galli è quello
relativo alla scoperta, nel
corso dei restauri della
chiesa di Santa Lucia, sotto
l’altare, di una capsula
marmorea ovoidale contenete alcuni frammenti di
ossa umane29.
Sicuramente, dunque, il
campanile progettato da
Sarolo non era destinato
alla chiesa che venne completata “nelle parti più alte” sotto il vescovo Giovanni nel 1253, come recita un’iscrizione sul portale
maggiore, ad opera dello
scultore Melchiorre da
Montalbano.
CUM QUINA DECIES
SUNT MCC ET TRES
COMPLETI POST PARTUM VIRGINIS ALME /
PRESUL ISTUD OPUS
PEREGIT CUM CURA
IOHANNIS QUI RAPOLLANUS EST HIIS
ANTISTES IN ANNIS
PARTIBUS / ECCLESIE
CUNCTIS EST ALTIOR
ILLA DICTUM QUAM
CEPIT SUPEREDIFICARE JOHANNES MUNERE PON / TIFICIS JAM
PER TRIA LUSTRA POTITUS CLERICUS ANGLONIS ALBANO MONTE NUTRITUS MELCHIOR EST FABER OPERIS LAUDABILIS HUJUS.
Melchiorre da Montalbano è un’artista noto e conosciuto, sul quale però,
oltre che sulla paternità
delle opere attribuitegli
(soprattutto da Èmile Bertaux), non è stato mai condotto uno studio approfondito30. Dopo l’impresa
di Rapolla il nome di Melchiorre ricompare un’altra
volta, esattamente ventisei
anni dopo (1279), sul pulpito della cattedrale di
Teggiano, dove il clerico di
Anglona si firma con la
semplice qualifica di magi-
Rapolla (Pz)
(Foto Ottavio Chiaradia)
ster. Allo stesso artista sono
stati attribuiti anche il portale della stessa chiesa ed i
lavori di ristrutturazioni eseguiti dopo gli anni Settanta 31. In veste di protomagister Melchiorre comparirebbe, sempre secondo
il Bertaux, nell’abbazia di
San Guglielmo al Goleto32.
Altre opere assegnate allo
scultore sono il candelabro
pasquale di Bominaco 33,
un capitello conservato ad
Atella34 e due portali a Marsico Nuovo e Calvello 35 ,
questi ultimi veramente distanti dalla cultura espressa
dal maestro tanto a Rapolla
quanto a Teggiano.
La formazione dell’artista sarebbe avvenuta nell’ambiente dei cantieri sve-
vi pugliesi, soprattutto Castel del Monte36. La forma
del portale lucano riecheggerebbe, secondo la Calò
Mariani, i portali a pian
terreno del castello pugliese37. Non estranea alla formazione di Melchiorre sarebbe, inoltre, l’esperienza
maturata nel vicino cantiere di Lagopesole. Rispetto
a quest’ultimo esempio,
però, l’opera di Rapolla è
caratterizzata da una maggiore sobrietà distante dal
senso di vigoroso naturalismo che caratterizza la decorazione plastica delle
mensole del castello lucano.
Un certo impoverimento
ed una certa improvvisazione emerge invece nei rilievi della lunetta a propo-
— 91 —
sito dei quali lo stesso Bertaux riconosce “que l’architecte était un Italien”38. È
un argomento su cui bisognerà tornare a riflettere.
Indubbi sono a mio parere
i rapporti con i cantieri
svevi pugliesi, piuttosto
che con Lagopesole, oltre
che con alcuni noti episodi
cistercensi, come Fossanova e Casamari. Lo stesso
Federico II, d’altro canto,
aveva chiamato per lavorare nei cantieri imperiali
maestranze cistercensi, come recita il noto passo della Cronaca di S. Maria de
Ferraria39. Un interessante
dato circa l’attività di Melchiorre potrebbe emergere
dall’analisi dei rapporti tra
l’artista e la potente famiglia dei Sanseverino, giunta nel Mezzogiorno al seguito dei Normanni, che
tra i tanti possedimenti
feudali ebbe anche la città
di Tursi. Ricordiamo che
Roberto di Sanseverino fu,
insieme a Carlo I d’Angiò,
il principale finanziatore
dei lavori della cattedrale
di Teggiano40.
All’interno l’edificio di
Rapolla conserva ancora esili tracce della fabbrica che,
molto presumibilmente, costruì Melchiorre da Montalbano. La chiesa si presenta con un impianto a
tre navate divise da pilastri
di cui i primi quattro hanno forma ottogonale. I primi due sono attualmente
inglobati nella facciata, che
un tempo doveva quindi
essere più avanzata. All’attività di Melchiorre sono
attribuiti i due imponenti
pilastri cruciformi con otto
colonnine incastrate ed i
semipilastri corrispondenti
nelle navate laterali41.
Le campate successive
sono frutto di un intervento trecentesco, come si apprende da un’iscrizione
murata sul lato sinistro
della facciata: HOC OPUS FIERI FECIT CU(M) TOTO CHORO/
PULPITO D(OMI)N(U)S FRAT(RES) PETRUS
D(E) CATALONIA VE(NERABILIS) HE(PISCOPIS) / RAPOLL(ENSIS) MITISSIM(US) Q(UOQUE) PI(US) ANNO D(OMINI) MCCC... L’arcivescovo Pietro di Catalogna,
famigliare e confessore di
re Roberto d’Angiò, nono
arcivescovo della serie dell’Ughelli, ampliò, secondo
il Bertaux, di una nuova
campata l’edificio duecentesco con l’inserzione di altre due absidi 42. Bisogna
osservare che il motivo a
zig-zag che occupa la parte
superiore della epigrafe ricorre anche su uno dei pilastri ottagoni della chiesa,
segno probabilmente di un
ulteriore intervento sulla
fabbrica trecentesca di cui
si è persa memoria. Allo
stato attuale una traccia di
questi lavori può intravedersi nella volta dell’abside
laterale destra, in seguito
riadattata a sacrestia della
chiesa. Tale destinazione
d’uso venne suggerita dalla
presenza del campanile di
Sarolo, inglobato nella navata duecentesca, all’altezza della quarta campata.
Ad un altro edificio (forse il palazzo vescovile?),
potrebbe invece appartenere la cappella che si apre
nella navata laterale sinistra, all’altezza della prima
campata, orientata in senso
inverso.
È difficile che dopo tante
distruzioni un’indagine archeologica possa dare risposte circa la presenza di
un precedente edificio di
culto. Bisogna sottolineare
che uno dei motivi della
estrema fragilità statica
dell’edificio risiede nella
presenza di una serie di
ambienti ipogeici scavati
per uso domestico, come
riferisce il Galli, sotto l’attuale edificio, colmati nei
restauri degli anni ’30 per
rendere più solida la struttura43. Una scelta infelice,
dunque, quella del sito su
cui edificare la chiesa, che
potrebbe anche spiegare la
mancata realizzazione del
progetto duecentesco. Forti elementi di dubbio circa
l’intervento di Melchiorre
risiedono anche nel dato,
ricavabile dall’iscrizione,
che sotto il vescovo Giovanni vennero portate a
termine le parti più alte
dell’edificio. Sicuramente
gli imponenti pilastri a fascio lasciano intravedere
un progetto grandioso, poco consono alla natura del
suolo. Le campate nella navata centrale, su modulo
quadrato, dovevano essere
coperte da crociere costolonate, al pari di quelle laterali. Attualmente tutto il
lato sinistro dell’edificio,
compresa la decorazione
plastica è frutto di restauro.
Quanto ai modelli architettonici i pilastri a fascio
di Rapolla si ispirano ai pilastri della Incompiuta di
Venosa. Tale confronto,
già avanzato dalla WagnerRieger, porta la studiosa ad
ipotizzare una influenza
francese, spiegabile a mio
parere solo attraverso l’adozione del modello venosino piuttosto che per la
diretta conoscenza da parte
delle maestranze lucane di
opere gotiche d’Oltralpe44.
In realtà ad una ottenta osservazione l’edificio ha ancora un forte sapore romanico, soprattutto nella plastica decorativa, non interamente ascrivibile all’attività di Melchiorre. Molto
interessanti, soprattutto da
un punto di vista iconografico sono i motivi scolpiti
sul pilastro a fascio del lato
destro della navata centrale
e quelli del pilastro corrispondente nella navata laterale. Nel pilastro della
Rapolla (Pz): semipilastro nav. later. dx
(Foto Ottavio Chiaradia)
— 92 —
navata centrale mentre sul
lato nord compaiono i
consueti ornamenti vegetali a crochets, sugli altri lati
spuntano tra le foglie teste
di leoncini e sul lato sud,
in successione, una testa di
ariete, una figura barbuta
sputaracemi ed una figuretta intera con un libro tra
le mani. Sul semipilastro
corrispondente si hanno in
successione, a partire da
est, un felino, un’altra figuretta uguale alla prima,
una testa femminile con
un diadema tra i capelli ed
un velo che le incornicia il
volto, un uomo barbuto
che stringe tra le labbra
una catena, un moro, un
orso, un pipistrello, un cobra, un aquila ed un elefante. Si tratta di simboli
allusivi al male su cui converrà ritornare in altra sede. Ciò che invece è importante sottolineare è che
se alcuni di questi soggetti,
come il moro, la testina
sputaracemi e le due figurette si incontrano frequentemente nella plastica
duecentesca la cultura espressa da queste opere ap-
partiene ancora a pieno diritto al mondo romanico.
Colpiscono, in modo particolare, le figure dei felini
che richiamano in modo
quasi inequivocabili le analoghe raffigurazioni venosine.
Tra le numerose sorprese
che l’edificio riserva vi è,
infine, da un’altra iscrizione murata sulla parete destra della facciata, finora
sfuggita alla critica. Il testo
è il seguente:
SACRO S(AN)C(T)E
CRUCI AGNEO/SACRE
VIRGINIS ROFFREDUS
EP(ISCOPU)S / DESU(M)PTU PECULIARI PRESULATUS SUI A(NNO)
XIIII.
Si tratta, ancora una volta, di un vescovo sconosciuto, Roffredo, che a sue
spese nel quattordicesimo
anno del suo presulato
consacrò l’edificio. Di un
Roffredus dà notizia Giustino Fortunato pubblicando
il testo di un’epigrafe murata nella parete destra della chiesa di San Michele a
Monticchio dove si farebbe
riferimento alla sepoltura
del vescovo Giovanni, nativo di Troia, ad opera del
fratello di costui, Roffredo 45 . Il problema è che
quest’ultimo nome non
compare nell’iscrizione di
Monticchio bensì in una
iscrizione del 1902 dipinta
nell’episcopio di Melfi che
fa riferimento a questa sepoltura.
Ancora un tassello, dunque, della storia di questo
affascinante ed enigmatico
edificio al quale bisognerebbe, una volta per tutte,
restituire il giusto posto
nella Storia.
Note
1
H. Houben, Melfi, Venosa,
in Itinerari e centri urbani nel
Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle decime giornate
normanno-sveve (Bari 21-24
ottobre 1991), a cura di G.
Musca, Bari 1993, pp. 311331;
2
Nitto De Rossi C.B. - Nitti Di
Vito F., Le pergamene del
Duomo di Bari (952-1264), in
Codice Diplomatico Barese,
1, Bari 1979, doc. n. 20; pp.
34 e ss.; Magistrale F., Notariato e documentazione di
Terra di Bari. Ricerche su forme, rogatari, credibilità dei
documenti latini nei secc. IXXI , (Società di Storia Patria
per la Puglia, Documenti e
Monografie 48), Bari 1984,
pp. 332-342. Per un riassunto
delle vicende della diocesi si
veda, inoltre, A. Pellettieri,
Rapolla, in AA.VV., Cattedrali di Basilicata, Lavello 1995,
pp. 81-86;
3
Ala M., Storia di Rapolla ,
Napoli 1983, I, pp. 58-61; si
vedano le osservazioni di Rescio P., Archeologia e Survey
sul Monte Vulture: nuove ricerche su Rapolla medievale,
in “Radici” 14 (1994), pp.
83-89;
4
Opera di riferimento per le
vicende della città rimangono
ancora oggi la monografia di
Chiaromonte F., Cenno storico sulla chiesa vescovile di
Rapolla, Melfi 1888; Racioppi
G., Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma
1902, pp. 172-243; Fortuna-
Rapolla (Pz): lato sx della facciata con iscrizione di Petrus de Catalogna
(Foto Ottavio Chiaradia)
— 93 —
to G., Rionero medievale, con
26 documenti inediti , Trani
1899;
5
Italia pontificia 9, a cura di
W. Holtzmann, Hildesheim
1986 (I ed. Berlin 1962), pp.
500-502; Fonseca C.D., L’organizzazione ecclesiastica
normanna tra l’XI ed il XII secolo: i nuovi assetti istituzionali, in Particolarismo istituzionale ed organizzazione ecclesistica nel Mezzogiorno meridionale, Galatina 1987, pp.
92-93; Idem, Gli assetti metropolitici del Mezzogiorno
tra Bisanzio e Roma, in Nel IX
centenario della Metropoli ecclesistica di Pisa, Atti del Convegno di Studi (7-8 maggio
1992), Pisa 1995, pp. 27-44.
Sullo stato della diocesi si vedano Jamison E., Catalogus
Baronum (1150-1168), p. 44;
Cuozzo E., Catalogus Baronum Commentario , Roma
1984;
6
H. Houben, Melfi, Venosa
cit., pp.318-319;
7
Annales Casinenses , ed.
G.H.Pertz, in Monumenta
Germaniae Historia SS., Hannover 1966, p. 313. Sulle motivazioni di tale distruzione si
veda H. Houben, Melfi, Venosa cit., p. 326; inoltre Colapietra R., Un profilo storico
dei principali centri della Basilicata (XI-XIX secolo), in “Archivio Storico per la Calabria
e la Lucania”, a. LIX (1992),
pp. 111-112;
8
Niccolò Jamsilla, De rebus
gestis Friderici II. Imperatoris
eiusque filiorum Conradi et
Manfredi, Apuliae et Siciliae
regum, in G. Del Re, Cronisti e
scrittori sincroni napoletani, II,
Napoli 1868, rist. Bologna
1975, pp. 156-157;
9
Giustiniani L., Dizionario
geografico-ragionato del Regno di Napoli, Napoli 1804,
VII, pp. 341-348, in part. p.
346; Claps V., Cronistoria dei
terremoti in Basilicata (anno I
d.C.-1980), Galatina 1982;
10
Idem, pp. 35-36;
Paci G.M., Il terremoto del
1851 in Basilicata , Napoli
1853, rist. Melfi 1990, pp.
48-48;
12
Idem, tav. V;
13
Galli E., Danni e restauri a
monumenti della zona del
Vulture, in “Bollettino d’Arte”
pp. 321-340, qui pp. 331333;
14
Ala M., Storia di Rapolla ,
Rionero s.d., pp. 159-160
15
Si vedano le foto in ibidem,
pp. 414-415;
16
I rilievi figurano nella parete
del campanile almeno fino al
1937: cfr. Attraverso l’Italia.
Puglia, Lucania, Calabria ,
VIII, Milano 1937, fig. 21, p.
128;
17
Bertaux È., I monumenti medievali della regione del Vulture, in “Napoli Nobilissima”,
VI (1897), p. III;
18
Sull’importanza delle iscrizioni medievali si veda Claussen P.C., Kathedralgotik und
anonymität 1130-1250 , in
“Wiener jahrbuch für Kunstgeschichte, XLVI/XLVII (1993:
94), pp. 141-160;
19
Tale è l’ipotesi di Rescio P.,
Archeologia e Survey cit. p.
89;
20
de Laschenal L., Reimpieghi
dell’antico ella cattedrale di
Acerenza , in AA.VV., Acerenza, Venosa 1995, pp.6576; Ead., Spolia. Uso e reimpiego dell’Antico dal III al XIV
secolo (Biblioteca di Archeologia, 24), Milano 1995;
Ead., I Normanni e l’Antico.
Per una ridefinizione dell’Abbaziale incompiuta di Venosa
in Terra Lucana, in “Bollettino
d’Arte”, LXXXI (1996), pp. 180; Todisco L., L’Antico nel
campanile di Melfi , in “Mélanges de L’Ecole Française
de Rome, Moyen Age-Temps
modernes”, 99(1987), pp.
123-158;
21
Ughelli F., Italia Sacra sive
de Episcopis Italiae , ed. S.
Coleti, VII, Venezia 1721, col.
883, Chiaromonte F., Cenno
storico cit, p. 13;
11
Bertaux È., L’Art dans l’Italie
cit., pp. 765;
39
Belli D’Elia P., Gli edifici sacri, in Federico II e l’Italia, Catalogo della mostra a cura di
C. D. Fonseca (Roma 22 dicembre 1995-30 aprile 1996),
Roma 1995 p. 86;
40
De Cunzo M., Note per una
storia dei monumenti di Teggiano cit., pp. 21-24; Giganti
A., I Sanseverino e la Basilicata tra Svevi e Angioini , in
AA.VV., Studi Storici della
Basilicata, Bari 1987, pp. 83130;
41
Calò Mariani M. S., Ancora
sulla scultura sveva , cit. p.
176;
42
Bertaux È., I monumenti medievali cit. p. VIII;
43
Galli E., Danni e restauri
cit., p. 333;
44
Wagner-Rieger R., Die italinische Baukunst zu Beginn der
Gotik , Graz-KÖln, 1957, II,
pp. 124-125;
45
Fortunato G., La Badia di
Monticchio, Venosa 1989 (rist. anast. dell’ed. del 1904),
pp. 333-342.
38
Bertaux È., L’Art dans L’Italie cit., p. 520-522;
23
De Pilato S., Architetti di Basilicata, Potenza 1932, p. 2;
Grelle Iusco A., Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri,
Roma 1981, p. 23; Garzya
Romano C., La Basilicata e la
Calabria [Italia Romanica 9],
Milano 1988, pp. 75-100;
24
Klaussen P.C., Il portico di
S. Maria di Anglona. Scultura
normanna nell’Italia meridionale del XII secolo. Santa Maria di Anglona e la SS. Trinià
di Venosa, in Santa Maria di
Anglona Atti del Convegno
internazionale di studio (Potenza-Anglona, 13-15 giugno
1991), a cura di C. D. Fonseca e V. Pace, Galatina 1996;
Derosa L., La chiesa medievale. La scultura, in La cattedrale
di Acerenza , a cura di P.B.
D’Elia, C. Gelao, pp. 51-68
(in corso di stampa);
25
Oltre alla bibliografia citata
nella nota 21 si vedano Prandi A., Arte in Basilicata, Milano 1964, pp. 179-180; Cappelli B., Aspetti e problemi
dell’arte medievale in Basilicata, in “Archivio Storico per
la Calabria e la Lucania”,XXXI
(1962) p. 263;
26
Sui rapporti tra i capitelli di
Monticchio e quelli dell’Abbazia di Monte Sacro sul Gargano: Federico II. Immagine e
potere, Catalogo della mostra
a cura di M.S. Calò Mariani, R.
Cassano (Bari 1995), Venezia
1995, scheda n. 12.3.2, pp.
511-512 (Derosa L.) con bibl.;
27
Unico studio monografico
del monumento risale al
1964: Mongiello G., La chiesa di Santa Lucia in Rapolla,
in “Bollettino d’Arte”, XLIX
(1964), pp. 165-173;
28
Sull’ubicazione delle cattedrali in generale: Fonseca C.
D., Ubicazione e dedicazione;
29
Galli E., Danni e restauri
cit., p. 331;
22
30
Bertaux È., L’Art dans l’Italie
cit., pp. 765-766; Si segnalano inoltre i diversi interventi in
Aggiornamento all’opera di
È. Bertaux, L’art dans l’Italie
méridionale (Parigi, 1903), a
cura di A. Prandi, Roma
1978, V, pp 967-968; 973974. Di Melchiorre da Montalbano, in generale, parlano
tutti gli autori citali per Sarolo
da Muro;
31
De Cunzo M., Note per una
storia dei monumenti di Teggiano , in Il Vallo ritrovato.
Scoperte e restauri nel vallo di
Diano , Napoli 1989, p. 23;
Calò Mariani M. S., Ancora
sulla scultura sveva in Puglia e
Lucania , in Atti delle terze
giornate federiciane (Oria,
26-27 ottobre 1974), Bari
1977, pp. 175-177. Ead.,
L’Arte del Duecento in Puglia,
Torino 1984, pp. 195-196;
Mormono M., Il pulpito di
Melchiorre da Montalbano
nella cattedrale di Teggiano,
in “Napoli Nobilissima”, XIX
(1980), pp. 165-173;
32
Bertaux È., L’Art dans l’Italie
cit., pp. 765-766; Idem, S.
Guglielmo al Goleto e il problema di Castel del Monte, in I
monumenti medievali della regione del Vulture cit., pp. II-V;
F. Aceto, La scultura dall’età
romanica al primo rinascimento, in Insediamenti verginiani in Irpina. Il Goleto Montevergine Loreto, a cura di V.
Pacelli, Cava dei Tirreni
1988, pp. 87-113; solo il
Cappelli ne ha respinto l’attribuzione ( Aspetti e problemi
cit., p. 297);
33
Calò Mariani Ancora sulla
scultura cit., p. 177;
34
ibidem;
35
A. Grelle, Arte in Basilicata
cit, pp. 25-26;
36
Bertaux È., L’Art dans l’Italie
cit., pp. 765;
37
Calò Mariani M. S., Ancora
sulla scultura sveva cit. p.176;
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