Riassunto diritto commerciale : FERRI

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Riassunto diritto commerciale : FERRI
INTRODUZIONE
L’attività commerciale ha sempre avuto nel corso dei secoli una disciplina particolare anche se non ha
sempre costituito una branca del diritto completamente autonoma rispetto al diritto civile. La società
romana non ebbe un sistema unitario di diritto commerciale e lo jus civile non poneva le regole
riguardanti la produzione e gli scambi commerciali in quanto esse erano considerate attività inferiori
da parte delle stesse classi plebee. Le origini del diritto commerciale vanno ricercate nell’età comunale
grazie al grande sviluppo del commercio e alla nascita delle corporazioni di arti e mestieri.
Successivamente l’affermarsi dei traffici marittimi sulle grandi tratte oceaniche determinò la nascita
dei titoli documentali di credito per agevolare i pagamenti su piazze lontane. Con la rivoluzione
francese del 1789 le corporazioni vennero travolte perché contrarie ai principi liberali e quindi il
diritto commerciale perse il suo carattere di specialità soggettiva ( in quanto diritto dei e per i
commercianti) e si passò a considerare commerciale ogni singolo atto che interessasse il commercio. Si
aprì così la strada alle grandi codificazioni dove il diritto commerciale era ormai oggettivizzato: nel
codice di commercio napoleonico del 1808 l’atto di commercio, da chiunque compiuto, divenne l’unico
criterio di applicabilità del diritto commerciale. Il primo codice italiano di commercio venne
pubblicato nel 1865 e ricalcava largamente i principi del codice francese introdotto in Italia con le
guerre napoleoniche. Il diritto commerciale venne ad affermarsi quindi come sistema di norme
autonome rispetto al diritto civile, prevalente su di esso per il principio di specialità e caratterizzato
dall’esistenza di principi generali propri dei rapporti commerciali. Con il codice civile del 1942 venne
deciso di unificare il codice civile e il codice di commercio per unificare il diritto delle obbligazioni,
partendo dalla considerazione unitaria di ogni attività economica facente capo alla figura
dell’imprenditore commerciale. Allo stato attuale possiamo chiederci se il diritto commerciale
costituisca un sistema di norme che si contrappone al diritto civile come diritto speciale contrapposto
al diritto generale dove il secondo regolerebbe i rapporti privati in generale mentre il primo solo una
categoria particolare di tali rapporti. Dobbiamo però rispondere negativamente. Infatti se è indubbio
che i rapporti commerciali costituiscono una categoria differenziata nell’ambito dei rapporti privati e
che sono soggetti ad una particolare disciplina giuridica posta da norme speciali o eccezionali è anche
vero che perché possa parlarsi di diritto speciale come sistema contrapposto al diritto generale
occorre che i due sistemi di norme non si pongano sullo stesso piano. Ciò non è ovviamente il caso del
diritto commerciale che attualmente, come si è detto, è collocato all’interno del diritto civile. Nel
sistema precedente del codice invece veniva stabilito che i rapporti commerciali erano regolati in
primo luogo dalle norme commerciali (scritte o consuetudinarie) e che le eventuali lacune dovevano
essere colmate con l’applicazione analogica della norme commerciali Solo quando ciò non era
possibile poteva essere applicato il diritto civile. Si era quindi in presenza di due sistemi di norme
poste su due piani diversi in quanto solo quando fosse esaurito il primo sistema era possibile fare
ricorso al secondo. La situazione non è più così nel sistema vigente dove le norme commerciali sono
state poste sullo stesso piano delle norme civili e pertanto tra di esse non vi è differenza dal punto di
vista formale tanto è vero che l’unico criterio di prevalenza che rimane applicabile alle norme
commerciali è quello generale della specialità o eccezionalità della norma. Ne deriva che il diritto
commerciale deve essere considerato come un complesso di norme che regola una speciale categoria
di rapporti privati, che si pone sullo stesso piano delle norme contenute nel codice civile
differenziandosene solo per la specialità dal punto di vista del contenuto della materia trattata Da ciò
che abbiamo detto risulta chiaro che l’autonomia del diritto commerciale rispetto al diritto civile può
oggi essere sostenuta solo dal punto di vista sostanziale e cioè della particolarità della materia trattata
che conduce inevitabilmente ad una specializzazione e differenziazione della relativa disciplina
giuridica. Occorre anche esaminare i rapporti tra diritto commerciale e diritto della navigazione. Nella
codificazione del 1942 insieme alla unificazione tra codice civile e codice di commercio venne
attribuita autonomia al diritto della navigazione e venne affermato all’art.1 del codice della
navigazione la prevalenza assoluta delle norme contenute nel codice, nelle leggi, nei regolamenti e
negli usi riguardanti la specifica materia nonché di quelle desumibili per analogia sulle norme del
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diritto civile. Per effetto di ciò le norme di diritto commerciale si pongono attualmente in una
posizione subordinata rispetto alle norme del codice della navigazione in quanto il diritto
commerciale risulta oggi compreso nel codice civile e quindi applicabile alla materia della navigazione
solo in mancanza di norme espresse o ricavabili per analogia Tuttavia tale posizione subordinata è più
formale che sostanziale. Infatti se guardiamo al contenuto del codice della navigazione e del diritto
commerciale rileviamo che diritto commerciale e diritto della navigazione regolano in genere rapporti
diversi e anche quando regolano gli stessi fenomeni (nel campo dell’impresa e dell’attività
imprenditrice) lo fanno da punti di vista diversi in modo tale che la disciplina del codice della
navigazione non esclude
quella dettata nel codice civile ma si aggiunge ad essa. Occorre
ricordare infatti che impresa ai sensi del codice civile è nozione diversa da impresa di navigazione che
consiste nel semplice esercizio di una nave o di un aeromobile non richiedendo necessariamente quei
caratteri che sono invece necessari perché si abbia impresa economica alla quale è applicabile lo
statuto dell’imprenditore. Trattandosi quindi di fenomeni diversi e non esistendo nel codice della
navigazione un regolamento dell’impresa economica se nel campo della navigazione viene a
configurarsi una impresa economica ad essa è applicabile lo statuto dell’imprenditore anche se sono
applicabili anche i principi particolari del diritto della navigazione. Le norme del diritto di navigazione
quindi integrano ma non sostituiscono le norme sull’impresa economica e quindi il diritto della
navigazione non si pone rispetto al diritto commerciale come diritto speciale rispetto ad un diritto
generale ma si pone come complesso di norme parallelo che regola istituti non regolati dal diritto
commerciale, istituti che possono trovare applicazione nell’esercizio dell’impresa. Per comprendere il
sistema attuale del diritto commerciale occorre tenere conto della evoluzione che si è verificata nei
principi generali alla base della iniziativa economica in quanto nel tempo si è passati da una
concezione liberistica che sosteneva l’assoluta autonomia dell’iniziativa economica rispetto allo stato
(in quanto il processo economico sarebbe stato in grado di autoregolarsi sulla base delle proprie leggi
basate sul meccanismo della domanda e dell’offerta) ad una concezione sociale dell’iniziativa
economica in base alla quale essa non può godere di libertà assoluta nella misura in cui deve
soddisfare, oltre ai bisogni individuali anche quelli della collettività. La concezione sociale della
iniziativa economica può condurre anche all’abrogazione della proprietà privata dei mezzi di
produzione ma anche negli stati in cui ciò non accade è chiaro che essa non può essere rimessa
esclusivamente ai privati e comunque non può esplicarsi senza limiti e interventi statali diretti ad
adeguare l’azione del privato alla funzione sociale che essa deve esplicare. Nel nostro paese il
principio della concezione sociale dell’impresa economica viene consacrato per la prima volta nella
Carta del Lavoro del 1927 ma è sancito anche dalla nostra costituzione. Infatti la costituzione pur
sancendo all’art. 41 che l’iniziativa economica privata è libera stabilisce anche che essa non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e che la legge deve determinare i programmi e i controlli
opportuni affinché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali. Ovviamente la costituzione pone il principio che deve essere applicato in base alle scelte del
legislatore ma tale principio sussiste e quindi non si può sostenere la libertà di iniziativa economica di
cui al primo comma senza tenere conto dello svuotamento che di essa può essere fatto rispetto ai
commi successivi. Occorre dire che senza dubbio la costituzione permette di restringere il campo di
applicazione del principio di libertà di iniziativa economica privata assicurando la sola garanzia della
necessità di una legge. Nel momento attuale imprese pubbliche e private coesistono nell’ambito dello
stesso sistema economico operando in un regime di libera iniziativa economica e di libera concorrenza
anche se non mancano limitazioni alla iniziativa privata poste attraverso la determinazione legale di
prezzi massimi o minimi, o attraverso il controllo delle esportazioni e importazioni o del mercato dei
capitali e delle divise. Non sono mancate inoltre anche fenomeni di dirigismo economico come nel caso
delle leggi contenenti provvedimenti per il mezzogiorno che hanno imposto addirittura l’obbligo per le
imprese di investire parte dei capitali nel territorio del mezzogiorno. Non si deve però trascurare, il
fatto che nell’ultimo periodo abbiamo assistito ad una specie di riaffermazione del liberalismo
economico attraverso la globalizzazione dell’economia che ha reso possibile agli imprenditori di
delocalizzare le attività produttive scegliendo così il contesto giuridico in cui operare e sottraendosi in
tal modo alla imperatività delle norme dello stato localizzando in altro territorio l’impresa. Per
comprendere l’ordinamento commerciale vigente occorre tenere conto anche della comunità europea
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tesa alla soppressione di ogni limite statale alla libertà dei traffici ed alla integrazione delle economie
dei vari paesi determinando un nuovo ordinamento giuridico che concorre con l’ordinamento statale
nelle materie che formano oggetto dell’attività della comunità. Poiché l’ordinamento comunitario
integra l’ordinamento interno soprattutto per quanto riguarda l’attività economica e i rapporti tra gli
imprenditori esso permea profondamente gli istituti del diritto commerciale attribuendo ad esso un
rilievo europeo.
CAPITOLO I: L’ATTIVITA DELL’IMPRENDITORE
18) L’impresa come attività nel codice di commercio e nel codice vigente - L’impresa era stata oggetto
di considerazione anche da parte del legislatore del 1882 solo che in questo codice essa non era
considerata come organismo economico e pertanto rientravano nel concetto di impresa anche gli atti
speculativi isolati che non davano luogo alla creazione di un organismo produttivo mentre non vi
rientravano ad esempio le imprese artigiane in quanto non realizzavano una intermediazione a scopo
speculativo. Il codice civile del 1942 invece non considera l’impresa ma l’imprenditore e ne deriva
pertanto che la definizione di impresa deve ricavarsi dalla nozione di imprenditore.
19) L’impresa come attività economica – Secondo l’art. 2082 cc l’imprenditore è colui che esercita
professionalmente una attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni
o di servizi. Ne deriva che impresa è innanzitutto attività economica e pertanto non costituisce
impresa l’esercizio di attività non economiche anche se attuata professionalmente e attraverso una
organizzazione. Non sono pertanto imprenditori ai sensi del codice civile il medico o l’avvocato anche
se l’esercizio della professione implica necessariamente una stabile organizzazione. Soltanto quando
l’esercizio della professione si inserisce in una attività economica organizzata e professionale può
configurarsi l’impresa (es. quando un medico istituisce una casa di cura e in essa esercita la sua
professione).
20) L’impresa come attività professionale – Anche l’elemento della professionalità è essenziale per
l’esistenza dell’impresa e quindi non vi è impresa in caso di attività isolata anche se per l’attuazione di
essa è necessaria una organizzazione di capitale e di lavoro (es. non è impresa l’organizzazione una
tantum di uno spettacolo pubblico). Il termine professionalità sta quindi a significare abitualità ma
non vuol dire permanenza né esclusività. Pertanto se non sono imprese le attività occasionali (es.
costruzione di un edificio da parte del libero professionista che dispone di eccedenze liquide) lo sono
le imprese stagionali come ad esempio gli stabilimenti balneari e le imprese di trasformazione dei
prodotti agricoli. Non è inoltre impresa l’attività economica organizzata per il soddisfacimento dei
propri bisogni e quindi non è imprenditore chi produce per sé stesso mancando in questa ipotesi il
requisito della professionalità in quanto deve ritenersi che chi produce professionalmente beni o
servizi necessariamente li produce per altri.
21) L’impresa come attività organizzata: impresa e piccola impresa – Impresa è anche attività
organizzata e quindi attività che si realizza attraverso la collaborazione di altri soggetti sulla base di
una precisa organizzazione. Se manca l’organizzazione non vi è impresa. Il codice civile all’art. 2083
stabilisce una disciplina differenziata per la piccola impresa. Anche per la piccola impresa è richiesto il
requisito della professionalità e dell’organizzazione solo che in questo caso l’organizzazione presenta
caratteri diversi rispetto a quella della impresa. La differenza tra impresa e piccola impresa è
innanzitutto quantitativa come si evince dalla stessa terminologia usata dalla legge ma anche
qualitativa. Elemento qualificante dell’impresa è che l’attività dell’imprenditore si attua in un
organismo economico che ha una propria autonomia e una propria funzionalità indipendentemente
dalla persona che la ha creata e che presiede al suo funzionamento. La piccola impresa invece è
l’attività personale del soggetto che si avvale di altri mezzi per esplicarla, ma si tratta di attività
esecutiva piuttosto che di organizzazione vera e propria. Pertanto nell’impresa l’organismo
economico assume un rilievo preminente mentre nella piccola impresa è prevalente l’attività
personale del soggetto e quindi in essa vi è attività professionale ma non vi è azienda intesa come
entità oggettiva dotata di una propria autonomia economica e di una propria produttività
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indipendentemente dall’imprenditore che ne cura il funzionamento. Ne deriva anche una differenza di
finalità in quanto nell’impresa l’organizzazione è il mezzo per realizzare l’obiettivo economico voluto
dall’’imprenditore mentre nella piccola impresa l’organizzazione è il mezzo per lo svolgimento
dell’attività lavorativa del piccolo imprenditore stesso. Alla piccola impresa non si applicano, per
espressa previsione di legge i principi che sono propri dell’impresa, quali l’iscrizione nella sezione
ordinaria del registro delle imprese, la tenuta delle scritture contabili e il fallimento .ma, in assenza di
precisa norma espressa, non si applicano anche le disposizioni relative all’imprenditore ogni volta che
la legge non stabilisca che il precetto non è in relazione alle dimensioni o alle caratteristiche
dell’impresa stessa.
22) continua - la piccola impresa tra il codice e le leggi speciali - Abbiamo detto che la differenza tra
impresa e piccola impresa non è solo quantitativa e infatti la legge non fissa un limite di dimensione
per distinguere le due figure ma comprende nella categoria della piccola impresa i coltivatori diretti
del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e in genere coloro che esercitano una attività
professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia (art.
2083 cc). In base all’art. 2083 quindi il criterio di distinzione si basa essenzialmente sulla prevalenza
del lavoro proprio o dei familiari del piccolo imprenditore. Dobbiamo però chiederci se il lavoro
proprio debba considerarsi prevalente rispetto al lavoro altrui, al capitale investito o alla stessa
organizzazione. Secondo parte della dottrina la prevalenza dovrebbe sussistere sia rispetto al lavoro
altrui che al capitale investito. Tuttavia se osserviamo la legislazione speciale riguardante i piccoli
imprenditori questo criterio non appare confermato. Infatti le leggi speciali non consentono di riferire
la prevalenza del lavoro proprio al lavoro altrui in quanto ad. Es. per il coltivatore diretto la legge
ammette espressamente che il lavoro proprio e quello dei familiari possa rappresentare solo un terzo
di quello necessario alla coltivazione del fondo. Le leggi speciali non permettono neanche di riferire la
prevalenza del lavoro proprio al capitale investito in quanto a questo criterio si fa ricorso solo con
riferimento alle imprese artigiane costituite in forma di società (tale costituzione può avvenire a
condizione che il lavoro proprio della maggioranza dei soci abbia funzione preminente sul capitale).
Posto questo dobbiamo stabilire che in base alle disposizioni del codice e delle leggi speciali la
prevalenza del lavoro del piccolo imprenditore va riferita essenzialmente all’organizzazione. Infatti
non a caso nelle leggi speciali si insiste nel considerare come elemento essenziale del piccolo
imprenditore la sua partecipazione diretta all’attività esecutiva anche se manuale. La prevalenza del
lavoro proprio del piccolo imprenditore va quindi intesa soprattutto con riferimento
all’organizzazione nel senso che essa non deve essere tale da trasformare il lavoratore autonomo in
imprenditore e cioè la sua attività da esecutiva ad organizzativa.
23) L’impresa familiare - L’impresa familiare è una impresa (generalmente piccola impresa) che si
attua nell’ambito della famiglia con la collaborazione dei familiari che svolgono una attività di lavoro
sulla base del rapporto di famiglia e non di un rapporto di lavoro subordinato. Tale istituto è stato
introdotto con la riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha inserito nel codice civile l’art. 230 bis
che la definisce come impresa in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini
entro il secondo. Tale istituto presuppone che i familiari facciano parte della famiglia (e quindi
convivano) e svolgano una attività nell’ambito della famiglia anche se non necessariamente
nell’ambito della impresa familiare. I singoli familiari che prestano la loro attività hanno diritto al
mantenimento e alla partecipazione, in base al lavoro prestato, agli utili realizzati attraverso l’esercizio
della impresa. L’impresa familiare ha punti di contatto sia con la piccola impresa che con la comunione
tacita familiare. Il punto di contatto con la piccola impresa è l’esercizio di una attività professionale
organizzata (anche se in modo esclusivo e non prevalente) con il lavoro proprio e dei familiari, mentre
il punto di contatto con la comunione tacita familiare è il fatto che essa si realizza tra persone legate da
vincoli di parentela o affinità ed ha uno scopo più ampio di quello economico e cioè quello
dell’assistenza morale, spirituale e materiale. L’impresa familiare rimane comunque una impresa
individuale in quanto preoccupazione del legislatore non è quella della responsabilità e della posizione
dell’imprenditore nei confronti di terzi ma piuttosto quella di tutelare i familiari che collaborano
all’impresa stabilendo per essi oltre al diritto al mantenimento e alla partecipazione agli utili anche un
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potere di codeterminazione con l’imprenditore per quanto riguarda gli impieghi degli utili, gli indirizzi
produttivi e la cessazione della impresa, poteri da esercitarsi mediante una decisione di maggioranza.
24) L’impresa e lo scopo di lucro - L’impresa presuppone uno scopo di lucro nel senso del
conseguimento di un guadagno attraverso l’esplicazione di una attività economica. Perché vi sia
impresa è necessario che l’attività sia diretta a produrre ricchezza anche se non è indispensabile che
la ricchezza prodotta sia devoluta all’imprenditore e che quindi al suo scopo di lucro inteso come
produzione di ricchezza (lucro oggettivo) corrisponda anche il lucro soggettivo (ossia l’appropriazione
della ricchezza stessa da parte dell’imprenditore). Ciò permette di giustificare l’esistenza di imprese
senza scopo di lucro (inteso in senso soggettivo) e quindi la possibilità che vi siano imprese esercitate
da enti pubblici per i quali l’esistenza de lucro soggettivo non appare configurabile. Gli enti pubblici
imprenditori infatti si propongono, al pari di tutti gli altri imprenditori, la produzione di un reddito
anche se destinano il reddito realizzato a scopi di pubblica utilità. Nel caso quindi delle imprese
esercitate da enti pubblici, e delle imprese mutualistiche quello che è essenziale è la economicità della
gestione e cioè la capacità di ricavare dalla attività svolta quanto occorre per coprire con i ricavi i costi
di produzione.
25) continua . Le imprese sociali - A fronte del moltiplicarsi dei casi in cui l’attività imprenditoriale
viene svolta per finalità sociali e non egoistiche il legislatore ha cercato di disegnare una disciplina
unitaria con il decreto legislativo del 2006 in tema di impresa sociale. La disciplina è basata sulla
individuazione delle caratteristiche che una impresa deve avere per poter essere definita sociale e
sulla definizione di un trattamento legislativo che nelle intenzioni del legislatore deve essere di
agevolazione. In primo luogo occorre dire che la legge si riferisce a tutte le organizzazioni private
(escludendo quindi le imprese pubbliche e gli imprenditori individuali) che devono presentare i
seguenti requisiti: lo svolgimento in via stabile o principale di una attività di produzione o scambio di
beni o servizi di utilità generale che deve essere diretta a realizzare finalità di interesse generale senza
scopo di lucro. La legge si riferisce ovviamente al lucro soggettivo (così come lo abbiamo definito
sopra) in quanto stabilisce che gli utili devono essere destinati allo svolgimento dell’attività o
all’incremento del patrimonio vietando la distribuzione anche indiretta di utili a favore di soci,
amministratori o collaboratori. L’acquisto della qualifica di impresa sociale avviene sulla base di un
atto costitutivo stipulato in forma pubblica che deve essere iscritto in una apposita sezione del
registro delle imprese e comporta l’applicazione di specifiche regole in materia di contabilità e la
sottoposizione ai poteri ispettivi del Ministero Il privilegio riconosciuto alle imprese sociali consiste
nella limitazione della responsabilità per le obbligazioni assunte quando il patrimonio dell’impresa è
superiore a 20.000 euro. Ovviamente tale privilegio ha un valore concreto solo per le società che in via
di principio non lo prevedono e quindi per le società di persone e per le associazioni non riconosciute.
Il beneficio si perde quando il patrimonio diminuisce per oltre un terzo rispetto all’importo di 20.000
euro ma ha come conseguenza la responsabilità solo di coloro che hanno agito in nome e per conto
dell’impresa e non anche dei soci che sarebbero invece illimitatamente responsabili in conseguenza
del tipo di società adottato.
26) L’impresa agricola . La nozione di imprenditore delineata dall’art. 2082 è una nozione generale
che è valida in tutti i campi dell’economia e quindi anche in quello agricolo. Occorre però accennare
alla profonda evoluzione che si è avuta nel ruolo che il sistema originario del codice del 1942
assegnava all’imprenditore agricolo. Infatti il testo originario dell’art. 2135 del cc definiva
imprenditore agricolo colui che esercita una attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura,
all’allevamento del bestiame e attività connesse, definendo queste ultime come attività dirette alla
trasformazione o vendita dei prodotti agricoli che rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura. Se
ne desumeva quindi che le attività connesse non rientravano nell’attività agricola e venivano sottratte
alla disciplina propria delle attività industriali e commerciali (per essere assoggettate ai principi
regolanti le attività agricole) solo quando erano collegate alle attività di produzione agricole secondo
un criterio di normalità. Se ne deduceva anche che il fine di lucro veniva a mancare nel caso
dell’imprenditore agricolo il quale aveva lo scopo di ricavare i frutti della sua attività ma non quello di
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vendere e quindi di esercitare una attività intermediaria a fine di lucro. Nel testo originario dell’art.
2135 quindi la funzione dell’imprenditore agricolo si esauriva essenzialmente nell’attività produttiva
in quanto l’attività di trasformazione e di scambio veniva considerata non rientrante di per sé
nell’attività agricola ma veniva considerata come connessa ad essa solo quando rientrasse
nell’esercizio normale dell’agricoltura. Qualora invece l’attività produttiva fosse voluta come mezzo
per realizzare un lucro attraverso la vendita sul mercato non si era nella sfera regolata dall’art. 2135 e
quindi non si configurava impresa agricola ma impresa industriale ai sensi dell’art. 2195 del cc. Nel
testo originario dell’art. 2135 pertanto l’impresa agricola non rientrava nella nozione di impresa ai
sensi dell’art. 2082 del cc. Infatti ai sensi dell’art. 2082 l’attività economica è organizzata al fine della
produzione o scambio di beni o servizi mentre ai sensi dell’art. 2135 l’attività è diretta alla coltivazione
del fondo . Il soddisfacimento dei bisogni del mercato è quindi lo scopo dell’impresa ai sensi dell’art.
2082 ma non della impresa agricola ai sensi del testo originario dell’art. 2135 per il quale tale scopo
può aggiungersi e considerarsi connesso all’attività agricola solo se rientra nell’esercizio normale
dell’agricoltura. La materia ha subito nel tempo una profonda trasformazione in quanto il nuovo art.
2135 stabilisce che è imprenditore agricolo chi esercita una delle cosiddette attività principali, ossia la
coltivazione del fondo, la selvicoltura, o l’allevamento di animali ma precisa che tali attività devono
essere dirette alla cura o sviluppo di un ciclo biologico di carattere vegetale o animale che utilizza o
può utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. L’art. 2135 precisa che devono
essere considerate come attività connesse le attività esercitate dallo stesso imprenditore agricolo
dirette alla manipolazione, trasformazione e commercializzazione che abbiano per oggetto i prodotti
ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o dall’allevamento di animali o le attività dirette
alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione di attrezzature o risorse dell’azienda
normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata. In tal modo la figura dell’imprenditore
agricolo risulta ampliata rispetto a quella originaria.. All’imprenditore agricolo è quindi ora equiparato
l’imprenditore ittico e viene considerata agricola l’attività di agriturismo e l’apicoltura. Occorre
sottolineare che la legge definisce come attività agricole principali non tutte le forme di coltivazione
del fondo o di allevamento di animali ma solo quelle dirette alla cura o sviluppo di un ciclo biologico
che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque. La necessità di un collegamento ad un
ciclo biologico e il fatto che l’attività può prescindere dall’utilizzo del fondo dimostrano la necessità di
distinguere l’imprenditore agricolo dal proprietario che si limita a compiere atti di godimento o di
disposizione sul fondo di cui è proprietario, soggetto quest’ultimo che rappresentava invece il
prototipo dell’imprenditore agricolo secondo il testo precedente dell’art. 2135. Si deve inoltre
sottolineare come il criterio per individuare le attività connesse (che vengono ad essere sottratte alla
sfera di applicazione della disciplina dell’impresa commerciale) non è più quello di normalità ma
quello della prevalenza. Si qualificano infatti come attività agricole connesse le attività che hanno per
oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio da parte dello stesso imprenditore agricolo di
una delle attività principali. Tale criterio di prevalenza però può condurre a disparità di trattamento
giuridico tra situazioni analoghe (es. l’albergatore ha qualifica di imprenditore commerciale mentre il
gestore di un agriturismo è considerato come imprenditore agricolo) e pertanto è necessario, al di là
della formula unificante adottata dal legislatore, distinguere i diversi fenomeni economici che possono
verificarsi in materia agricola. Pertanto qualora la produzione e trasformazione dei beni o la fornitura
di servizi assume carattere di attività industriale allora siamo in presenza di vere e proprie imprese
commerciali ai sensi dell’art. 2195 cc e come tali soggette allo statuto dell’imprenditore commerciale
in quanto in questo caso. la coltivazione del fondo, o l’allevamento di animali non sono che una fase di
una attività economica più complessa che culmina in un atto di scambio Al di fuori di questa ipotesi
invece vi è attività organizzata ma non impresa mancando lo scopo determinante dell’attività
imprenditoriale che consiste nell’attività diretta a soddisfare i bisogni del mercato.. Ragionando in
questi termini possiamo quindi comprendere come non esista uno statuto dell’imprenditore agricolo
distinto dallo statuto dell’imprenditore commerciale ma solo uno statuto dell’imprenditore valido in
tutti i campi, ma anche come non esista un imprenditore agricolo (ai sensi del nuovo art. 2135) che
non sia anche imprenditore commerciale. In definitiva mentre nel sistema originario la figura
dell’imprenditore agricolo risultava estranea ed alternativa a quella dell’imprenditore commerciale in
quanto finiva con il coincidere con quella di proprietario attualmente la situazione si è capovolta nel
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senso che nel vigente sistema per imprenditore agricolo si intende non solo un imprenditore ai sensi
dell’art. 2082 cc ma anche un imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2195. Nonostante le
profonde modificazioni della disciplina dell’impresa agricola resta quindi fermo che non esistono
imprese diverse da quella commerciale. Nel sistema originario si perveniva a questa conclusione
negando all’impresa agricola il carattere di impresa mentre nel sistema attuale si perviene alla stessa
conclusione prendendo atto del fatto che l’impresa agricola definita dal testo attuale dell’art. 2135 non
è altro che una impresa commerciale ed in particolare una impresa industriale operante nel campo
dell’agricoltura.
27) La nozione di impresa e la cosiddetta impresa di navigazione - Anche nel codice della navigazione
si parla di impresa ma in realtà l’impresa di navigazione è concetto diverso da quello di impresa
economica. Infatti anche l’impresa di navigazione si attua attraverso una organizzazione di elementi
personali e patrimoniali ma la sua attività consiste nel semplice esercizio di una nave o di una
aeromobile prescindendo dal carattere professionale dell’esercizio stesso e dal conseguimento di
finalità di tipo economico. Si ha infatti impresa di navigazione anche quando l’esercizio della nave o
dell’aeromobile si attua per i bisogni propri dell’armatore o per scopi scientifici e anche quando
l’esercizio stesso è soltanto occasionale. Se però l’esercizio della nave o dell’aeromobile viene attuato
per il soddisfacimento di bisogni del pubblico e a scopo di lucro essa viene a configurare anche una
impresa economica e pertanto ad esse si applicheranno anche i principi dello statuto dell’imprenditore
accanto ai principi stabiliti dal codice di navigazione per l’esercizio dell’impresa di navigazione. La
stessa persona pertanto può assumere sia la qualifica di armatore/esercente che quella di
imprenditore e in tal caso sarà soggetta sia allo statuto dell’imprenditore che a quello
dell’armatore/esercente.
28) Le imprese pubbliche – Una attività economica organizzata ai fini della produzione e dello
scambio di beni e servizi può essere esercitata anche dallo stato, dagli enti pubblici territoriali o dagli
altri enti pubblici. Se è vero che nel momento attuale l’iniziativa dello stato in campo economico
avviene seguendo la tendenza alla privatizzazione e quindi della trasformazione di figure
originariamente pubblicistiche in società per azioni è anche vero che non mancano imprese che fanno
capo allo stato o agli altri enti pubblici alle quali può essere applicato lo statuto dell’imprenditore. Tra
le imprese pubbliche possiamo distinguere due categorie di imprese: le cosiddette imprese organo che
sono gestite autonomamente da un organo dello stato o di un ente territoriale e le cosiddette impreseente pubblico che pur essendo strumentali rispetto allo stato hanno come scopo principale o esclusivo
l’esercizio di una impresa. Solo per la seconda categoria di imprese abbiamo l’acquisto della qualifica
di imprenditore e quindi l’applicazione di tutte le norme che ne costituiscono lo statuto ad eccezione
del fallimento. Per la prima categoria invece pur essendo i singoli atti nei quali l’esercizio dell’impresa
si esercita soggetti alle norme di diritto comune, non vi è acquisto da parte dell’ente stesso della
qualità di imprenditore. La spiegazione del fatto che le imprese organo siano sottratte alle norme di
diritto comune sta nel fatto che esse pur dotate di una autonomia di gestione restano un organo
dell’amministrazione dello stato o comunale o provinciale e in quanto totale soggetto alla legislazione
amministrativa e quindi ai controlli e alle norme di contabilità pubblica.
CAPITOLO III – LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE
1)
Lo statuto generale –
29)
Imprese agricole e imprese soggette a registrazione - La legge fissa accanto ad uno statuto
generale che riguarda ogni imprenditore anche statuti speciali applicabili a singole categorie di
imprenditori in base all’oggetto dell’attività da loro esercitata. E’ comunque centrale la categoria
individuata dall’art. 2195 cc delle imprese soggette a registrazione: in questa categoria rientrano
imprese che pur essendo economicamente diverse (imprese commerciali, industriali, assicurative,
bancarie, di trasporti, ausiliarie) vengono comunque equiparate, in quanto soggette a registrazione,
alle imprese commerciali. Nella originaria visione del codice infatti alla impresa commerciale veniva
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contrapposta l’impresa agricola che invece oggi è soggetta a registrazione anche se in una sezione
speciale del registro delle imprese con effetto di pubblicità dichiarativa. Del resto abbiamo già
sottolineato in precedenza come il nuovo articolo 2135 cc qualifica come impresa agricola una impresa
commerciale operante nel ramo dell’agricoltura. Appare quindi oggi superata la tradizionale
contrapposizione tra attività agricola e attività commerciale.
30)
La capacità all’esercizio dell’impresa – Lo statuto generale dell’imprenditore riguarda
soprattutto la capacità del soggetto e l’imposizione allo stesso di determinati obblighi professionali. La
capacità all’esercizio dell’impresa spetta a tutti, cittadini o stranieri, che abbiano la capacità di agire
che si acquista, secondo il codice civile, a 18 anni. La legge può inoltre subordinare l’esercizio
dell’impresa a determinate condizioni legali (autorizzazioni, concessioni, ecc) o può vietarla a coloro
che esercitano determinate professioni (incompatibilità) ma la mancanza di tali condizioni o
l’inosservanza dei divieti non escludono la validità degli atti posti in essere dall’imprenditore e non
impediscono il verificarsi degli effetti che la legge connette all’esercizio dell’impresa ma comportano
solo l’applicazione delle sanzioni penali o amministrative previste. Invece l’esercizio dell’impresa da
parte di incapaci è ammesso solo se consentito dalla legge e dopo l’ottenimento delle necessarie
autorizzazioni con la conseguenza che in mancanza di ciò l’incapace non assume la qualifica di
imprenditore. Per quanto riguarda i minori, gli interdetti e gli inabilitati è ammessa solo la
continuazione dell’esercizio di una impresa già esistente e previa autorizzazione del tribunale su
parere del giudice tutelare. Il minore emancipato (maggior di sedici anni che ha contratto
matrimonio) può essere invece autorizzato dal tribunale (previo parere del giudice tutelare e sentito il
curatore) anche ad iniziare ex novo l’esercizio di una impresa e in questo caso acquista capacità
generale anche con riguardo agli atti non inerenti all’esercizio dell’impresa. Per l’inabilitato il rilascio
dell’autorizzazione può essere subordinato alla nomina di un institore e può essere revocata qualora il
rappresentante dell’incapace non si adegui alle disposizioni del tribunale o quando l’esercizio risulti a
danno dell’incapace stesso. Anche per il minore emancipato l’autorizzazione può essere revocata
d’ufficio o su richiesta del curatore. L’incapace che ottiene l’autorizzazione assume la qualifica di
imprenditore con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano ma i relativi obblighi e le eventuali
sanzioni penali ricadono sul rappresentante legale o sull’institore (nel caso di inabilitato). . Le
limitazioni di capacità nel sistema originario del codice non riguardavano né l’impresa agricola né la
piccola impresa. Per quanto riguarda la prima però sono venute meno le ragioni di tale esclusione che
erano giustificate solo con l’identificazione del l’imprenditore agricolo con il proprietario.. Le ragioni
dell’esclusione sono invece ancora valide per la piccola impresa. Ci sono inoltre alcune ipotesi in cui
l’esercizio dell’impresa è consentito solo a determinati soggetti (es. società per azioni con riferimento
all’attività bancaria o assicurativa). In questo caso l’inibizione riguarda il soggetto ma costituisce un
limite non alla sua capacità ma alla sua libertà. Ne consegue che l’esercizio dell’impresa da parte del
soggetto che non ha i requisiti richiesti dalla legge non determina l’invalidità degli atti posti in essere
ma solo l’applicazione delle sanzioni penali o amministrative previste dalla legge (oltre che la
possibilità di liquidazione coatta dell’impresa). Pertanto l’esercizio dell’impresa da parte del soggetto
che non ha i requisiti previsti è equiparato a quello del soggetto non autorizzato con la sola differenza
che in questo secondo caso la violazione del divieto può essere sanata attraverso l’ottenimento della
autorizzazione stessa.
31)
Obblighi professionali dell’imprenditore e loro caratteri Obblighi fondamentali
dell’imprenditore sono quello dell’iscrizione nel registro delle imprese e quello della tenuta della
contabilità e della documentazione delle operazioni dell’impresa. Al disopra di questi obblighi vi è
comunque un obbligo che la legge non pone espressamente ma si desume dalle altre disposizioni di
legge e precisamente l’obbligo all’osservanza delle regole di correttezza professionale nell’esercizio
dell’impresa, obbligo che incide in via di principio su ogni imprenditore. Gli obblighi professionali
incidono sull’imprenditore in quanto tale e quindi egli risponde della loro violazione (che comporta
anche sanzioni di carattere penale) anche se essa è attribuibile anche per dolo all’attività dei suoi
dipendenti. Tuttavia nel caso in cui l’impresa sia esercitata a mezzo di un rappresentante generale la
violazione degli obblighi professionali ricade su di esso o anche su di esso. Per le società gli obblighi
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incombono sugli amministratori che rispondono della loro violazione anche se l’esecuzione è stata
affidata ad uno solo di essi.
32)
Obbligo della iscrizione nel registro delle imprese a) il registro delle imprese . Il registro delle
imprese è un registro pubblico, tenuto dall’ufficio del registro delle imprese presso la camera di
commercio posto sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di
provincia. Tale registro opera sul piano della pubblicità con lo scopo principale di portare a
conoscenza dei terzi elementi rilevanti nelle contrattazioni e sul piano della responsabilità..
L’iscrizione viene effettuata su domanda scritta dell’interessato o su iniziativa di ufficio nel caso di
mancata richiesta di una iscrizione obbligatoria da parte dell’interessato. L’ufficio prima di procedere
alla iscrizione effettua i necessari controlli sia circa il riscontro del fatto dichiarato a quello previsto
dalla legge sia circa la stessa esistenza del fatto di cui si richiede l’iscrizione. L’ufficio deve effettuare
anche un controllo di regolarità formale e di completezza della documentazione. Contro il rifiuto di
iscrizione è ammesso ricorso al giudice del registro che provvede con decreto impugnabile davanti al
tribunale,. Sono anche impugnabili i decreti con cui il giudice del registro ordina d’ufficio l’iscrizione di
un fatto o la cancellazione di un fatto iscritto.
33)
Continua – b) l’efficacia dell’iscrizione - Il sistema del registro delle imprese secondo
l’ordinamento vigente prevede tre forme di efficacia della pubblicità: a) pubblicità notizia che si
ottiene con l’iscrizione in sezioni speciali dei piccoli imprenditori e delle società semplici ad eccezione
di quelle che esercitano attività agricola; b) pubblicità dichiarativa prevista in un primo tempo per i
soli imprenditori commerciali (art. 2195 cc) e ora estesa agli imprenditori agricoli (che vengono
iscritti in una sezione speciale) c) pubblicità costitutiva. Iniziando dalla pubblicità dichiarativa essa ha
lo scopo di fornire all’imprenditore commerciale (e all’imprenditore agricolo) uno strumento utile per
agevolare i rapporti con i terzi. Grazie a tale strumento infatti l’imprenditore è in grado di ottenere la
opponibilità dei fatti rilevanti nei rapporti con i terzi a prescindere dall’effettiva conoscenza dei fatti
stessi da parte dei terzi. Ne risulta un sistema per cui una volta avvenuta l’iscrizione è possibile
opporla ai terzi anche se essi non hanno avuto la materiale possibilità di conoscere l’iscrizione stessa
mentre per i fatti non iscritti essi possono essere opposti solo se i terzi ne erano effettivamente a
conoscenza non essendo sufficiente che potessero conoscerli usando la normale diligenza (art. 2193
cc). La pubblicità notizia risponde invece ad una semplice esigenza di trasparenza delle attività
economiche. Essa pertanto non è in grado di produrre l’opponibilità ai terzi. Ne deriva anche
l’esigenza di distinguere tra l’iscrizione nella sezione ordinaria e quella nelle sezioni speciali del
registro delle imprese. La loro diversa funzione fa sì che l’iscrizione in una sezione speciale non può
essere sufficiente ai fini dell’art. 2193 se in realtà l’iscrizione doveva avvenire in una sezione ordinaria
e che nello stesso tempo l’iscrizione in una sezione ordinaria non è sufficiente ad ottenere i risultati
propri della pubblicità dichiarativa se invece l’iscrizione doveva essere effettuata in una sezione
speciale. Tutto ciò vale ovviamente solo per la iscrizione nella sezione speciale dei piccoli imprenditori
e non per l’iscrizione nella sezione speciale degli imprenditori agricoli in quanto a quest’ultima come si
è detto è oggi riconosciuta efficacia dichiarativa. La pubblicità costitutiva infine non riguarda un
problema di opponibilità di fatti a terzi ma rappresenta il mezzo necessario per la produzione di
determinati effetti ( Ad esempio se manca l’iscrizione dell’atto costitutivo una società per azioni o una
società a responsabilità limitata non sorge nemmeno). Possiamo avere una efficacia totalmente
costitutiva e una efficacia parzialmente costitutiva. Nel primo caso in mancanza della pubblicità il
negozio giuridico non è in grado di produrre effetti nemmeno tra le parti mentre nel secondo caso il
negozio giuridico non produce effetti solo nei confronti dei terzi. Esempi del primo tipo li abbiamo per
la pubblicità prescritta per l’atto costitutivo delle società per azioni, delle società a responsabilità
limitata o delle società operative in quanto finchè non avviene l’iscrizione non si acquista personalità
giuridica e neanche sussiste il rapporto di società. Esempio del secondo tipo si hanno per la riduzione
di capitale e per la proroga di società di persone commerciali.
34)Obbligo della tenuta della contabilità : a) funzioni e contenuto - La funzione della contabilità è
duplice: fornire all’imprenditore uno strumento di controllo sull’andamento dell’impresa e
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sull’operato dei dipendenti e permettere la ricostruzione dei rapporti tra l’imprenditore e i terzi..
Secondo il cc l’imprenditore deve tenere (anche tramite strumenti informatici) una contabilità
adeguata alle dimensioni dell’impresa e in ogni caso deve tenere il libro giornale, il libro degli inventari
e deve conservare gli originali delle lettere, telegrammi e fatture ricevute nonché le copie delle lettere,
telegrammi e fatture spedite. Per alcune categorie di imprese (es. assicurazioni e banche) le leggi
speciali prevedono la tenuta di altri libri oltre a quelli sopra indicati. I documenti devono essere
conservati dall’impresa per dieci anni dall’ultima scritturazione e tale obbligo incombe
sull’imprenditore anche in caso di cessazione dell’attività e si trasmette ai suoi eredi in caso di morte. I
libri contabili devono essere tenuti osservando alcune formalità, sia estrinseche e cioè relative alla
esteriorità dei registri e formalità intrinseche ossia relative al modo in cui le scritture devono essere
effettuate nei libri stessi. Per quanto riguarda le prime è prescritto che i registri devono essere
numerati progressivamente in ogni pagina ed avere nell’ultima pagina la dichiarazione del numero di
fogli di cui il registro si compone. Per quanto riguarda le seconde le scritture contabili devono essere
tenute secondo le norme di una ordinata contabilità (assenza di abrasioni, spazi in bianco e deve
essere realizzata una concordanza delle risultanze delle varie scritturazioni). Per quanto riguarda il
libro giornale la legge dispone che le operazioni devono essere annotate giorno per giorno mentre
direttive speciali sono fissate per i libro degli inventari. L’inventario è comprensivo del bilancio in
quanto si compone del conto patrimoniale (o inventario propriamente detto) che permette una
visione statica del patrimonio dell’imprenditore e del conto economico che permette di mettere in luce
il risultato della impresa. L’inventario deve essere redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa e
successivamente ogni anno. Funzione del bilancio è quella di dimostrare con evidenza gli utili
conseguiti o le perdite subite.
35) continua b) efficacia delle annotazioni contabili - Le scritture contabili hanno efficacia probatoria
non soltanto contro l’imprenditore ma in alcune ipotesi anche a suo favore Contro l’imprenditore le
scritture contabili possono fare prova anche se la contabilità non è stata tenuta secondo le prescrizioni
di legge mentre a favore dell’imprenditore possono fare prova solo se contenute in documenti
informatici osservando le formalità richieste dalla legge e solo in caso di controversie tra imprenditori
tenuti all’obbligo della contabilità, per cause inerenti all’esercizio dell’impresa. Tale deroga al
principio generale è ammessa quindi solo tra imprenditori in quanto entrambi hanno la possibilità di
utilizzare le scritture contabili a proprio favore e alle scritture di uno fanno riscontro le scritture
dell’altro e pertanto tra di essi esiste una parità di posizione il che consente l’eccezione ai principi
normali in tema di prova. Dobbiamo precisare però che le scritture contabili non fanno prova ma
possono fare prova il che significa che la loro efficacia probatoria è rimessa alla discrezionalità del
giudice.
36) Responsabilità dell’imprenditore - Nel sistema originario del codice l’art. 2088 cc poneva l’obbligo
per l’imprenditore di uniformarsi ai principi dell’ordinamento corporativo.. Attualmente l’art. 2088 è
abrogato implicitamente e quindi un esempio di responsabilità dell’imprenditore può trovarsi nell’art.
28 dello statuto dei lavoratori che sanziona i comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio
della attività sindacale o del diritto di sciopero. In tal caso il giudice può ordinare all’imprenditore la
cessazione del comportamento e la rimozione dei suoi effetti e sono previste sanzioni penali nel caso
di inottemperanza all’ordine del giudice stesso.
37) La responsabilità dell’imprenditore-produttore Una forma di responsabilità civile
dell’imprenditore è prevista dalla direttiva Cee del 1985 (in tema di danno da prodotti difettosi) che
afferma il principio per cui l’imprenditore è responsabile dei danni cagionati da difetti del suo
prodotto in adattamento al principio costituzionale per cui l’iniziativa economica non può svolgersi in
modo da determinare danno alla sicurezza (art. 41 cost). In tal caso il produttore (o l’importatore nel
caso di prodotti esterni alla Ue) risponde dei danni personali e materiali derivanti dal difetto purchè
superiori alla somma di 387 euro. La responsabilità è esclusa se il produttore non ha fabbricato il
prodotto per la vendita o non lo ha fabbricato o distribuito nell’ambito della sua attività professionale.
Il criterio della responsabilità è quello della responsabilità oggettiva in quanto il danneggiato deve
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provare il difetto, il danno e la connessione causale tra difetto e danno. La responsabilità
dell’imprenditore è esclusa se lo stato delle conoscenze scientifiche o tecniche al momento in cui il
prodotto è stato posto in circolazione non permettevano di considerare il prodotto stesso come
difettoso. Se l’individuazione del produttore non è possibile la responsabilità cade sul fornitore salva
la sua possibilità di regresso nei confronti del produttore o del precedente fornitore. Per l’esercizio
dell’azione di responsabilità si prevede un termine di prescrizione triennale e una decadenza
decennale dalla messa in circolazione del prodotto. Quando il difetto è comune ad una serie di
prodotti è ammessa l’azione risarcitoria in forma collettiva (class action).
2) Categorie di imprenditori e statuti speciali
38) Le singole categorie di imprenditori - Accanto allo statuto generale che si applica all’imprenditore
in quanto tale vi sono statuti speciali applicabili a singole categorie di imprenditori in base all’oggetto
dell’attività esercitata. L’art. 2195 del cc distingue sei categorie di imprese: a) imprese industriali –
Sono le imprese che attraverso la trasformazione delle materie prime creano nuovi prodotti o
attraverso la organizzazione di capitale e lavoro predispongono servizi. Sono le imprese
manifatturiere, minerarie ma anche quelle cinematografiche o alberghiere oltre alle imprese agricole o
di allevamento. B) imprese commerciali - Sono le imprese che attuano una intermediazione nello
scambio dei beni c) imprese di trasporto – Si propongono lo spostamento di persone e beni per terra,
acqua o mare. In questi due ultimi casi l’impresa è soggetta anche alle norme del codice della
navigazione d) imprese bancarie – La definizione di impresa bancaria non è presente nel codice ma si
ricava da una legge speciale, il testo Unico in materia bancaria e creditizia per la quale l’attività
bancaria è costituita dalla raccolta del risparmio tra il pubblico e dall’esercizio del credito. Perché ci sia
impresa bancaria è quindi necessario che l’attività di raccolta del risparmio sia collegata a quella di
esercizio del credito (infatti il legislatore afferma che l’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico
non collegata con l’esercizio del credito sia effettuata anche da soggetti diversi dalle banche). Poiché
tali operazioni assumono grande rilievo per gli interessi generali per le imprese bancarie è dettata dal
legislatore una disciplina pubblicistica. E) imprese di assicurazione – Sono poste dalla legge sullo
stesso piano di quelle bancarie e sono quelle imprese che raccolgono, attraverso i premi pagati dai
clienti, i capitali necessaria per soddisfare quei clienti per i quali si verifica l’evento per il quale si è
stipulata l’assicurazione stessa. La legge speciale (codice delle assicurazioni private) fissa anche per le
imprese di assicurazione lo statuto di diritto pubblico f) imprese ausiliarie - In questa categoria
rientrano tutte quelle imprese che direttamente o indirettamente agevolano l’attività di altre imprese
e hanno rispetto a queste una funzione complementare (es. agenzie di mediazione, di affari, di
rappresentanza commerciale).
39) Categorie corrispondenti nei piccoli imprenditori e nelle imprese cooperative - Alle categorie di
imprese su descritte corrispondono categorie nell’ambito della piccola impresa (ad eccezione delle
imprese bancarie ed assicurative per le quali la legge prevede un limite minimo di dimensioni) (es-. i in
corrispondenza dell’impresa industriale l’impresa artigiana, dell’impresa agricola il coltivatore diretto
del fondo),. La stessa cosa avviene per l’impresa mutualistica che assume la forma della cooperativa
(che non è organizzata su base speculativa mancando il profitto). Anche alle imprese cooperative si
applica lo statuto generale dell’imprenditore.
40) Funzione dell’art. 2195 cc - La funzione dell’art. 2195 non è quella di stabilire a quali categorie si
applichi lo statuto generale dell’imprenditore (dato che esso si applica all’intero campo delle imprese
economiche) ma quella di individuare singole categorie di imprese alle quali si applica anche uno
statuto particolare che integra o modifica lo statuto generale dell’imprenditore. Particolare rilievo
assume lo statuto del banchiere e dell’assicuratore del quale parleremo subito mentre per quanto
riguarda le altre categorie se ne parlerà in occasione dell’esame delle relative operazioni.
41) Lo statuto particolare dell’impresa bancaria a) l’attività bancaria come attività di impresa – Lo
statuto dell’impresa bancaria è oggi fissato, al termine di una lunga evoluzione influenzata anche dalla
normativa europea, dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D. Lgs 385 del
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1993 e successive modificazioni, La principale novità portata dalla normativa suddetta rispetto alla
precedente è la considerazione del carattere di impresa dell’attività bancaria Nella normativa
precedente infatti la banca era considerata come svolgente pubblico servizio e quindi come strumento
dell’azione della pubblica amministrazione. Ne derivava che la nozione di impresa bancaria non
nasceva dalla funzione che essa realizzava ma da un rapporto tra stato e impresa che si realizzava con
un atto formale, quello dell’iscrizione della banca nell’apposito albo previsto dalla legge che era il
presupposto fondamentale perché l’impresa bancaria divenisse strumento dell’azione pubblica dello
stato. Tale posizione è da considerarsi superata con la esplicita formulazione dell’art. 10 del Testo
Unico per cui l’attività bancaria ha carattere di impresa.
42) continua – requisiti dell’impresa bancaria - I requisiti richiesti dal Testo Unico perché la banca
ottenga la autorizzazione della Banca d’Italia riguardano in primo luogo la struttura organizzativa
dell’impresa e in secondo luogo l’aspetto soggettivo dei titolari delle partecipazioni qualificate e dei
componenti degli organi della banca stessa. Sotto il secondo aspetto a queste persone devono
riconoscersi i requisiti di onorabilità e la verifica di tali requisiti deve essere tale da far considerare
garantita la sana e prudente gestione dell’impresa. Sotto il primo aspetto l’attività bancaria è riservata
alle società per azioni e alle società cooperative per azioni. Altro carattere della nuova normativa è
quello di porre una autorizzzazione unica all’esercizio dell’attività bancaria permettendo alla banca di
raccogliere il risparmio senza limiti di importo e di durata e di svolgere le operazioni di credito un
tempo consentite solo agli istituti di credito speciale. Quanto sopra allo scopo di uniformare la banca
italiana a l modello di banca universale presente negli altri paesi europei al fine di consentire una
armonizzazione delle normative nazionali idoneo a permettere il riconoscimento reciproco tra le varie
banche europee. Pertanto, sulla base delle normative comunitarie, si è affermato il principio per cui la
banca è sottoposta alla vigilanza dello stato membro di origine che è sufficiente per permetterle di
operare in tutta la comunità.
43) continua – controlli e vigilanza.- Secondo il testo unico le autorità creditizie preposte al controllo
sul sistema bancario sono il CICR (comitato interministeriale per il credito e il risparmio presieduto
dal Ministro delle finanze), il Ministro delle finanze e la Banca d’Italia. Il loro compito principale è
quello di vigilare sulle banche e sugli intermediari finanziari con riguardo alla sana e prudente
gestione, alla competitività del sistema finanziario e alla osservanza delle norme stabilite in materia
creditizia. L’attività di vigilanza può essere informativa, regolamentare e ispettiva. La vigilanza
informativa consiste nel potere della Banca d’Italia di ricevere notizie e segnalazioni dalle banche e da
altre organizzazioni come la centrale dei rischi. La vigilanza regolamentare consiste nel potere della
banca d’Italia di dettare disposizioni generali riguardanti l’organizzazione delle banche e di emanare
provvedimenti specifici nei confronti di singole banche. La vigilanza ispettiva consiste nel potere della
Banca d’Italia di effettuare ispezioni e di richiedere l’esibizione di documenti ritenuti necessari. La
Banca d’Italia può esercitare tali poteri di controllo sia circa l’organizzazione delle banche che con
riferimento ai soggettivi che vi partecipano. Sotto il primo aspetto la Banca d’Italia deve verificare che
gli statuti delle banche non contrastino con una sana e prudente gestione e tale accertamento
condiziona l’iscrizione della banca nel registro delle imprese, deve autorizzare le fusioni e scissioni
delle banche, le cessioni di rami di azienda e le operazioni di maggiore rilevanza. Sotto il secondo
aspetto la banca di Italia deve autorizzare l’acquisto di partecipazioni che comportano il controllo della
banca o una influenza notevole sotto l’aspetto del diritto di voto sulla base dell’accertamento delle
qualità del potenziale acquirente onde garantire una sana e prudente gestione della banca stessa. Il
sistema della vigilanza bancaria inoltre prevede una serie di interventi in ipotesi di crisi.
44) Lo statuto particolare dell’impresa assicurativa - Anche l’esercizio dell’attività assicurativa ha
subito una lunga evoluzione, influenzata dalle normative europee, per cui gran parte delle leggi
speciali emanate in materia sono confluite nel codice delle assicurazioni private di cui al D. Lgs n. 209
del 2005. L’esercizio di questa attività è riservato alle società per azioni, alle società cooperative, alle
società di mutua assicurazione per azioni ed alle società europee ed è subordinato al fatto che il loro
oggetto sia esclusivamente l’attività assicurativa. L’esercizio della attività assicurativa de ve essere
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autorizzato dall’ISVAP (istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo) e
tale autorizzazione è richiesta per l’iscrizione nel registro delle imprese. Per quanto riguarda le
imprese europee la normativa è analoga a quella del controllo da parte dello stato di origine che
abbiamo visto operante per le banche. L’attività di assicurazione è vincolata a precise regole. A)
l’impresa deve svolgere una attività corrispondente a quella per la quale è stata richiesta
l’autorizzazione b) è vietato l’esercizio congiunto delle assicurazioni sulla vita e delle assicurazioni
contro i danni c) l’impresa deve disporre di un margine di solvibilità per l’intera attività esercitata sia
in Italia che all’estero. Particolari norme sono dettate anche per la tenuta della contabilità e per la
formazione del bilancio. La vigilanza sulle imprese di assicurazioni è svolta dall’Isvap. Anche per le
imprese assicurative è prevista una serie di interventi in caso di irregolarità o crisi.
4) Acquisto della qualità di imprenditore e cessazione della impresa
46) Presupposti della qualità di imprenditore: potere di gestione e responsabilità – La qualità di
imprenditore si acquista attraverso l’esercizio della impresa e cioè attraverso l’esercizio professionale
di una attività economica organizzata. Nel nostro ordinamento però vige il principio secondo il quale il
centro di imputazione degli effetti dei singoli atti giuridici posti in essere è il soggetto il cui nome è
stato validamente speso nei singoli atti stessi. Pertanto diventa imprenditore colui che esercita
personalmente l’attività di impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi e quindi colui che ha
l’iniziativa e il rischio dell’impresa.. Se l’esercizio dell’impresa avviene attraverso un rappresentante
legale l’acquisto della qualità di imprenditore avviene da parte del rappresentato anche se
materialmente l’esercizio dell’impresa è opera del rappresentante . Se vi può essere nel caso di
esercizio di impresa attraverso un rappresentante legale o volontario una dissociazione tra chi
esercita il potere di gestione e l’imprenditore occorre dire che il rappresentante non ha un potere di
gestione autonomo ma esercita un potere che spetta al rappresentato sul quale solo ricade la
responsabilità.
47).- L’imprenditore occulto - L’esattezza dei principi su esposti è stata contestata nel caso del
cosiddetto imprenditore occulto, ossia del fenomeno per cui l’impresa viene esercitata tramite
interposta persona. In questo caso vi è un soggetto, il prestanome, che compie gli atti dell’impresa ed
un altro soggetto, detto imprenditore occulto, che mette a disposizione i fondi e dà l’indirizzo
all’impresa. Fermo restando che imprenditore rimane il prestanome occorre stabilire se alcune
conseguenze derivanti dall’esercizio dell’impresa (in particolare la responsabilità di impresa e la
soggezione al fallimento) si producano anche a carico di colui che l’impresa effettivamente esercita
sotto nome altrui (l’imprenditore occulto). Un tentativo per affermare la responsabilità (e quindi
anche la soggezione al fallimento) dell’imprenditore occulto può essere fatto distinguendo l’agire per
mezzo di altri e quindi di un gestore, dall’agire sotto nome altrui e dunque attraverso un prestanome.
Le due situazioni infatti non si identificano in quanto anche se in entrambe la titolarità dell’interesse
spetta ad una persona diversa da quella che appare esternamente è anche vero che quando si agisce
per mezzo di un gestore l’attività volitiva è del gestore che agisce spendendo il proprio nome mentre
quando si agisce sotto nome altrui l’attività volitiva è dell’imprenditore occulto e non del prestanome
L’agire per conto altrui presuppone che l’atto è il risultato della volontà dell’agente e quindi del
gestore mentre il prestanome anche se spende il proprio nome è solo un tramite materiale della
volontà di chi lo utilizza. Il problema dell’imprenditore occulto è quello di stabilire se a fronte dello
sdoppiamento dell’attività volitiva e della attività esterna (spendita del nome) si debba dare
prevalenza alla prima o alla seconda per quanto riguarda la produzione dell’effetto giuridico. Ora se è
vero che la spendita del nome comporta che il prestanome (imprenditore palese) sia obbligato ciò non
esclude che qualora si accerti che il prestanome è stato solo un tramite materiale, le conseguenze
dell’atto compiuto e la relativa responsabilità ricadano anche su colui che è titolare dell’interesse e ha
voluto l’atto e quindi sull’imprenditore occulto. Deriva da quanto detto che nel caso dell’imprenditore
occulto imprenditore rimane chi ha speso il nome (e quindi il prestanome) ma la responsabilità di
impresa si estende anche all’imprenditore occulto che risulta quindi, in caso di dissesto, soggetto al
fallimento. Si deve però chiarire che si tratta di estensione ad altro soggetto della responsabilità di
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impresa e non della sostituzione di un soggetto ad un altro nella qualità di imprenditore. La
responsabilità dell’imprenditore occulto si aggiunge a quella del prestanome- imprenditore ma non la
sostituisce e quindi l’estensione riguarda la sola responsabilità e non gli obblighi che all’imprenditore
fanno carico (iscrizione nel registro delle imprese, tenuta della contabilità) che gravano invece
esclusivamente sull’imprenditore.
48) Condizioni per l’acquisto della qualità di imprenditore per le persone fisiche, per le società e per le
persone giuridiche private - La qualità di imprenditore può essere assunta sia da una persona fisica
che da una persona giuridica o da una organizzazione sociale non riconosciuta come persona giuridica.
Nelle diverse ipotesi sono diversi i presupposti per l’acquisto della qualità di imprenditore. Per le
persone fisiche l’acquisto della qualità di imprenditore si ha con l’inizio dell’attività imprenditrice.
Poiché però nel caso di persona fisica vi è una pluralità di atti che possono essere posti in essere e una
pluralità di scopi da perseguire è necessario comprendere quali atti debbano essere compiuti perché
l’impresa possa considerarsi iniziata. e quindi quando si determinano in concreto quelle conseguenze
che la legge ricollega all’inizio dell’impresa (obbligo di iscrizione nel registro dell’impresa, obbligo
della tenuta della contabilità, assoggettamento alle procedure concorsuali). Alcuni autori hanno
distinto tra atti di organizzazione, tesi attraverso l’organizzazione di beni e capitale alla creazione
dell’impresa e atti dell’organizzazione che sono quelli in cui si concreta l’attività economica
dell’imprenditore e che presuppongono già creata l’organizzazione imprenditoriale, ricollegando solo
a questi ultimi l’acquisto della qualità di imprenditore, mentre gli atti di organizzazione sarebbero
insufficienti a tale fine costituendo solo atti preparatori. Tale tesi non è però convincente in quanto nel
fenomeno imprenditoriale non sono individuabili come fasi distinte quella della creazione
dell’organizzazione e quella della sua utilizzazione essendo l’attività stessa composta da una serie di
atti unificati in vista di un fine economico. Pertanto non vi è dubbio che l’impresa debba considerarsi
iniziata quando si compiono atti diretti a creare l’organizzazione stessa (es. se si costruiscono gli
impianti necessari per una attività, si chiedono le licenze e si acquistano macchinari non vi è dubbio
che l’attività imprenditrice è iniziata anche se non si sono ancora realizzati e venduti prodotti).
L’esercizio effettivo della attività economica è necessario per le persone fisiche ma non per le persone
giuridiche e le organizzazioni sociali non riconosciute. Queste infatti si costituiscono fin dall’origine
per uno scopo ben preciso e quindi se si costituiscono per l’esercizio di una attività economica è
evidente la presenza dell’elemento della professionalità che non deve quindi essere dimostrato in altro
modo. La società costituita per l’esercizio di una attività economica è quindi imprenditore per il fatto
stesso della sua costituzione, e costituendo l’esercizio dell’impresa lo scopo della loro attività non è
necessario ricercare nell’attività concreta i presupposti della nozione di imprenditore. La qualità di
imprenditore può essere assunta anche da altre persone giuridiche private ma per esse, al pari delle
persone fisiche, è necessario l’esercizio dell’attività economica in forma di impresa.
49) Cessazione dell’impresa – Fissare il termine di cessazione dell’impresa è importante non solo per
quanto riguarda l’obbligo della iscrizione di tale fatto per l’attuazione della relativa pubblicità ma
anche per fissare il termine di decorrenza dell’anno entro il quale può essere dichiarato il fallimento
dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa. La cessazione dell’impresa coincide per le
società o enti pubblici che hanno per oggetto principale o esclusivo l’esercizio di una attività
economica con la loro estinzione. Per gli imprenditori individuali la cessazione dell’impresa può
dipendere da cause indipendenti dalla loro volontà (revoca dell’autorizzazione concessa al soggetto
limitatamente capace o al rappresentante dell’incapace, revoca dell’emancipazione o della
autorizzazione concessa alla incapace, morte dell’imprenditore) ma può realizzarsi anche per la
volontà dell’imprenditore stesso. In questo ultimo caso possiamo distinguere due ipotesi : a) la
cessazione dipende da un mutamento della titolarità dell’azienda per effetto di un contratto (vendita
della azienda o concessione dell’azienda in usufrutto o affitto). In questo caso la cessazione
dell’impresa da parte di un soggetto e l’inizio dell’impresa da parte dell’altro soggetto si verificano nel
momento in cui il contratto produce i suoi effetti. B) la cessazione dell’impresa si attua con la
liquidazione dell’azienda. In questo caso si pone il dubbio se la cessazione dell’impresa coincida con la
cessazione della normale attività e l’inizio della liquidazione o invece coincida con la chiusura della
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liquidazione , Sembra preferibile quest’ultima ipotesi in quanto se è vero che l’organizzazione è
elemento caratteristico della impresa allora l’attività di disgregazione dell’azienda è anch’essa attività
di impresa non meno che l’attività dell’organizzazione dell’azienda. Queste considerazioni spiegano
perché con riferimento alla materia fallimentare si abbia la necessità di accertare la cessazione
dell’impresa in base a criteri formali e anche perché è articolato il ruolo che si può riconoscere nelle
varie ipotesi al dato formale della cancellazione dal registro delle imprese. Per quanto riguarda
l’imprenditore individuale la cancellazione avviene in base ad una dichiarazione della cessazione
dell’attività imprenditoriale da parte dell’imprenditore stesso o d’ufficio. Nel primo caso a tale
dichiarazione può riconoscersi un valore presuntivo salva la possibilità di una prova contraria e cioè
della prova del fatto che invece l’attività è di fatto proseguita. Questa soluzione non è invece
pienamente attuabile nel caso delle società dove esistenza dell’impresa ed esistenza della società
stessa vengono a coincidere. Pertanto il problema non si può risolvere nella distinzione posta dalla
legge fallimentare tra i casi in cui opera o non opera la presunzione basata sulla cancellazione dal
registro delle imprese. Si deve ritenere cioè che anche se la legge ammette una prova contraria nel
caso della cancellazione d’ufficio ciò non sia possibile nel caso delle società di capitali. Infatti la legge
stessa dispone in tal caso che dalla cancellazione derivi la estinzione della società per cui non ha senso
l’eventualità di una prova contraria.
Capitolo IV
Gli ausiliari dell’imprenditore - All’attività imprenditoriale partecipano diversi soggetti. Questa
collaborazione si attua mediante la prestazione d’opera sia da parte di persone estranee
all’organizzazione (ausiliari autonomi) sia da parte di persone che agiscono nell’ambito dell’impresa e
si pongono rispetto all’imprenditore in una posizione di subordinazione (ausiliari subordinati).
55) Institori – Tra gli ausiliari dell’imprenditore muniti di rappresentanza assume una posizione di
rilievo l’institore il quale è colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa commerciale o di
una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa. Nel linguaggio comune l’institore è il
direttore generale dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo e quindi praticamente un
lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente al vertice della gerarchia del personale in virtù di
un atto di preposizione dell’imprenditore. La posizione di preposizione comporta che l’institore è
tenuto, congiuntamente con l’imprenditore all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro
delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede o del ramo cui è preposto.
Questi obblighi sussistono nei confronti dell’imprenditore e dei terzi ma tuttavia l’inosservanza di essi
da parte dell’institore non esonera l’imprenditore da responsabilità in quanto la legge parla di un
obbligo dell’institore analogo a quello che incombe sull’imprenditore e che non viene meno per effetto
della preposizione institoria. Nel caso di fallimento invece fermo restando che solo l’imprenditore può
essere dichiarato fallito e solo lui sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento
trovano applicazione anche nei confronti dell’institore le sanzioni penali disposte a carico del fallito.
Essendo l’institore preposto all’esercizio dell’impresa dal fatto stesso della preposizione deriva il
potere di compiere tutti gli atti che si riferiscono all’impresa, alla filiale o al ramo particolare senza che
vi sia bisogno di un particolare conferimento di poteri. La legge quindi riconosce all’institore
indipendentemente da una espressa dichiarazione di volontà (procura) ampi poteri rappresentativi. I
poteri dell’institore tuttavia per quanto ampi riguardano l’esercizio dell’impresa e non la
trasformazione o la vendita di essa o dei suoi elementi costitutivi o l’impiego di capitali in altre
imprese. Ne deriva che tali atti esulano dai poteri dell’institore e quindi il potere di vendere gli
immobili o concedere le ipoteche è subordinato alla espressa autorizzazione da parte
dell’imprenditore stesso. E’ necessaria quindi una procura se l’imprenditore vuole ampliare o limitare
i poteri rappresentativi dell’institore. Per quanto riguarda le limitazioni però esse saranno opponibili
ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro
delle imprese in quanto se manca tale pubblicità la rappresentanza si considera generale salvo la
prova da parte dell’imprenditore che i terzi effettivamente conoscevano l’esistenza di limitazioni al
momento della conclusione dell’affare. Così come deve essere pubblicata la procura institoria così
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devono essere pubblicate le modificazioni o la revoca della stessa in quanto in mancanza le
modificazioni e la revoca sono opponibili ai terzi solo se questi le conoscevano. L’institore, a
prescindere da un espresso conferimento di procura, può stare in giudizio a nome dell’imprenditore
per le obbligazioni dipendenti dagli atti compiuti nell’esercizio dell’impresa cui è preposto
(rappresentanza processuale).
L’institore, come rappresentante, deve agire nel nome
dell’imprenditore e quindi se omette di far conoscere al terzo la sua qualità di institore assume
obbligazione personale, assumendosi diritti e obblighi derivanti dall’atto. Tuttavia la legge prevede
una responsabilità dell’imprenditore per gli atti compiuti dall’institore che siano pertinenti
all’esercizio dell’impresa cui è preposto (art. 2208 cc). Per l’applicazione di tale articolo però l’atto
deve essere compiuto in nome proprio dall’’institore ma nell’interesse dell’imprenditore e quindi
occorre che pur non avendo manifestato al terzo la propria qualità di rappresentante l’institore agisca
in attuazione dell’incarico affidatogli e che l’atto possa essere concretamente riferito all’impresa. Il
fondamento di tale disposizione sta nel fatto che la contemplatio domini (ossia l’agire come
rappresentante dell’imprenditore) è presunta negli atti compiuti in attuazione della preposizione
institoria e quindi l’imprenditore è vincolato. Tale presunzione però può essere solo invocata dal terzo
per affermare la responsabilità dell’institore ma non dall’institore stesso al fine di escludere
l’obbligazione personale a suo carico derivante dall’aver agito a nome proprio.
56) Procuratori – Figura distinta dall’institore è quella del procuratore (art. 2209 cc). Il procuratore è
come l’institore rappresentante dall’imprenditore a cui è legato da un rapporto di lavoro stabile ma la
sua rappresentanza non deriva dalle funzioni a lui affidate nell’organizzazione dell’impresa. Il
procuratore infatti non ha potere di gestione in quanto non sostituisce l’imprenditore nella gestione
dell’impresa ma è rappresentante in virtù di un apposito conferimento di poteri e le sue funzioni si
esplicano solo nel campo esecutivo. Pertanto saranno applicabili al procuratore le disposizioni che
hanno il loro fondamento nella generalità della rappresentanza e non quelle che trovano la loro
giustificazione nel potere di gestione. Anche per il procuratore è prevista la pubblicità della procura o
della sua modificazione o revoca analogamente a quanto è previsto per l’institore. Non gravano però
sul procuratore gli obblighi inerenti all’esercizio dell’impresa (iscrizione e tenuta delle scritture
contabili) in quanto essi hanno il loro fondamento nel potere di gestione e non compete al procuratore
la legittimazione processuale attiva e passiva se non in base ad un apposito conferimento di poteri.
Non si applica al procuratore nemmeno l’art. 2208 cc in quanto la presunzione della contemplatio
domini può essere giustificata per l’institore ma non per il procuratore al quale è concesso il solo
potere di rappresentanza e per il quale quindi il riferimento dell’atto all’impresa può risultare solo dal
fatto che l’atto è compiuto in nome dell’imprenditore.
57) Commessi - Alle figure dell’institore e del procuratore cui spetta un potere generale di
rappresentanza si contrappone quella dei commessi, che sono gli ausiliari dell’imprenditore cui sono
affidate funzioni tecniche limitate da attuarsi sotto la direttiva dell’imprenditore o dell’institore. In
questa categoria rientrano quindi tutti gli altri ausiliari dipendenti dall’imprenditore che possono
compiere solo gli atti che comportano le mansioni di cui sono incaricati. Anche per quanto riguarda i
commessi la rappresentanza è solo una conseguenza dell’attribuzione di funzioni nell’ambito
dell’impresa e quindi sussiste solo nei limiti in cui le funzioni le richiedono. Non si verifica quindi
neanche per i commessi la disposizione che si attua per l’institore in base all’art. 2008 cc. . La legge
detta norme specifiche per i commessi preposti alla vendita e per i commessi preposti alla vendita nei
locali dell’impresa inoltre i poteri sussistono solo se gli atti sono conclusi nei locali dell’impresa stessa.
Anche per il commesso non è prevista la legittimazione processuale attiva e passiva.
Capitolo V – L’individuazione dell’impresa
58) I mezzi di individuazione dell’impresa - L’impresa economica, operando in un regime di
concorrenza deve poter essere individuata e localizzata in quanto deve esistere la possibilità di
individuare e quindi di distinguere l’impresa e i suoi prodotti. L’individuazione della impresa è resa
possibile attraverso tre diversi aspetti: l’individuazione dell’impresa come tale (ditta), l’individuazione
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dei prodotti dell’impresa (marchio), l’individuazione dei locali in cui l’attività imprenditoriale si
esplica (insegna). Tali segni distintivi sono tutelati dalla legge che riconosce all’imprenditore
l’esclusività dell’uso e impedisce che altri se ne possano avvalere. Tale posizione di esclusività gode in
linea di principio di una tutela solo relativa perchè quando non esiste possibilità di confusione è
possibile l’uso contemporaneo da parte di più persone dello stesso segno distintivo. I segni distintivi
devono avere due requisiti speciali: quello della verità e quello della originalità. Il segno distintivo
infatti non può essere scelto in modo da venire meno alla sua funzione e quindi in modo da trarre in
inganno il pubblico sulla natura dell’impresa o sull’origine e la provenienza dei suoi prodotti e inoltre
deve essere originale e quindi avere capacità distintiva in modo da assolvere alla funzione che gli è
propria.
59) La ditta originaria e la ditta derivata – Tra i segni distintiva la ditta (ossia il nome sotto il quale
l’imprenditore esercita la sua attività).è il più importante in quanto serve a contraddistinguere tutta
l’attività dell’impresa e non singoli elementi di essa e inoltre, a differenza del marchio e dell’insegna
che hanno carattere facoltativo, essa è un mezzo di individuazione necessario dell’impresa economica.
Come ogni persona ha un nome anche ogni impresa ha una ditta che può corrispondere al nome
dell’imprenditore ma soggiace ad un diverso regime giuridico. Infatti se due imprenditori hanno lo
stesso nome non vi può essere omonimia tra due ditte in quanto se la ditta è uguale o simile a quella
usata da un altro imprenditore e può creare confusione essa deve essere differenziata e l’obbligo di
modificarla grava sulla ditta adottata in un periodo cronologicamente successivo o, in caso di imprese
soggette all’obbligo di registrazione, sulla ditta registrata successivamente. In secondo luogo il nome di
una persona cessa la sua funzione con la morte della persona stessa e non può essere trasferito mentre
la ditta, come mezzo di identificazione dell’impresa, mantiene la sua funzione anche in caso di morte
dell’imprenditore o cessazione della sua attività purchè l’impresa sussista, Ne deriva la trasmissibilità
della ditta in caso di successione mortis causa dell’azienda e di continuazione da parte di altri
dell’attività imprenditrice.
Nell’ordinamento italiano la ditta è collegata più alla persona
dell’imprenditore ( e quindi è mezzo di individuazione dell’imprenditore e non dell’azienda) che
all’azienda. Infatti la legge richiede che la ditta contenga almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore
e che il trasferimento della ditta non possa attuarsi senza l’esplicito consenso dell’imprenditore. Il
fatto che la ditta debba contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore non è però una
esigenza inderogabile in quanto per le ditte derivate (che sono trasmesse in occasione di successione o
di trasferimento dell’azienda) tale esigenza non sussiste. Non manca però nel codice italiano un
riferimento anche all’azienda (e quindi ai beni che costituiscono strumento dell’attività
dell’imprenditore) in quanto la legge non ammette un trasferimento della ditta che non sia collegato
anche al trasferimento dell’azienda60) Tutela della ditta - La tutela della ditta consiste nel riconoscere all’imprenditore la esclusività
nell’uso della ditta da lui prescelta il che comporta da un lato la possibilità di respingere la pretesa
altrui diretta a contestare l’uso che egli faccia della ditta sia la possibilità di impedire che altri usino la
ditta da lui prescelta. La tutela si esplica erga omnes e quindi il diritto alla ditta è un diritto assoluto
come il diritto al nome ma occorre ricordare che la tutela è apprestata nei limiti in cui sia necessaria ai
fini dell’individuazione e quindi finché l’impresa sussista e nei limiti in cui la ditta serva a
differenziarla.
61) L’insegna - L’insegna è il segno distintivo dei locali nei quali si svolge l’attività dell’imprenditore.
Essa può corrispondere alla ditta (e in tal caso la tutela dell’insegna è un riflesso della tutela della
ditta) o avere contenuto diverso e può consistere in una denominazione o in una figura o un simbolo.
La tutela dell’insegna presuppone che essa abbia carattere di originalità e quindi capacità distintiva e
che abbia carattere di novità e quindi non sia tale da generare confusione, in relazione al luogo e
all’oggetto dell’attività, con l’insegna adottata da altro imprenditore. Il diritto all’uso esclusivo
dell’insegna quindi non sussiste nel caso essa sia costituita da una denominazione generica (caffè,
ristorante) che può essere utilizzata da tutti gli imprenditori in quanto in questo caso manca il
requisito della capacità distintiva. Quando l’insegna adottata è tale da generare confusione con quella
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di altra impresa la legge prescrive l’obbligo della differenziazione a carico dell’imprenditore che ha
prescelto l’insegna in un momento successivo. E’ quindi decisivo stabilire il momento dell’adozione
dell’insegna ma nel caso in cui essa corrisponda alla ditta si farà riferimento alla priorità di iscrizione
della ditta nel registro delle imprese.
62) Sede dell’impresa : sede secondaria e sede principale – La sede dell’impresa ha rilevanza sotto
diversi aspetti, in primo luogo ai fini dell’iscrizione nel registro dell’impresa che va compiuta presso
l’ufficio del registro situato nella circoscrizione in cui ha sede l’impresa e in secondo luogo ai fini della
competenza circa la dichiarazione di fallimento, che è attribuita al tribunale del luogo dove è posta la
sede dell’impresa.
La legge ammette la possibilità di decentramento dell’amministrazione
dell’impresa ammettendo la possibilità di sedi secondarie accanto alla sede principale
63) Il marchio - Il marchio è il segno che si pone sul prodotto e ne costituisce la marca e quindi
costituisce il segno distintivo del prodotto o del servizio e precisamente il segno che ne attesta la
provenienza da una particolare impresa. Il suo ruolo centrale tra gli elementi distintivi è dimostrato
dal fatto che gli viene destinata una disciplina più completa e articolata rispetto a quanto avviene per
gli altri elementi distintivi costituita oltre che dalle norme del codice civile anche dalle norme
contenute nel codice della proprietà industriale . Ciò permette di ravvisare principi comuni tra il
marchio e le invenzioni e gli altri prodotti dell’ingegno. Tali principi comuni non eliminano però il
fatto che il marchio è rilevante soprattutto per la sua funzione distintiva e in questa veste assume una
configurazione ben diversa rispetto ai diritti sulle opere dell’ingegno. Come segno distintivo il marchio
deve consistere in qualcosa di esterno al prodotto e al suo involucro che si aggiunge al prodotto per
indicarne la provenienza ma da esso separabile senza snaturarlo. Il prodotto quindi deve essere
completo senza il marchio che non può quindi consistere nella forma del prodotto o nell’involucro. Il
marchio può essere nominativo e quindi risultare da una denominazione o emblematico e quindi
consistere in segni, simboli o figure o misto ossia consistere insieme in figure, simboli e
denominazioni. Alla disciplina interna del marchio si aggiunge la disciplina del marchio comunitario,
ossia il marchio unitariamente disciplinato per l’intera comunità.
64) Tutela del marchio - La tutela del marchio consiste essenzialmente nell’attribuire all’imprenditore
il diritto esclusivo all’uso del marchio, il diritto a che il marchio non venga soppresso da altri (es il
rivenditore può aggiungere il suo marchio di commercio ma non può sopprimere il marchio di
fabbrica), e il diritto di vietarne l’uso a terzi senza il proprio consenso. La tutela del marchio in sede
civile è apprestata per il solo fatto dell’uso del marchio da parte di persona diversa dal titolare senza
che sia necessaria una indagine sulla colpevolezza di tale uso o del danno. La tutela del marchio pone
anche problemi di estensione in quanto è necessario precisare i parametri sulla cui base l’uso altrui del
marchio può comportare lesione del diritto. A questo proposito occorre dire che la tutela del marchio
è apprestata nell’ipotesi in cui esso venga utilizzato per prodotti identici o affini determinando in tal
modo un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione
tra i due segni. Vi è poi la questione del marchio celebre o di altra rinomanza A tale proposito la legge
stabilisce che il titolare del diritto di marchio può vietare a terzi di usare un segno identico o simile per
prodotti o servizi non simili se il marchio registrato gode di alta rinomanza e quindi l’uso del segno
senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio o di recare pregiudizio al marchio
stesso.
65) Presupposti della tutela del marchio – Il codice di proprietà industriale stabilisce che il titolo di
proprietà industriale relativo al marchio con i diritti esclusivi che conferisce si acquista con la
registrazione. L’uso con notorietà generale di un marchio non registrato può impedire l’altrui
registrazione nell’ambito della disciplina della concorrenza sleale ma non può attribuire un diritto
esclusivo impedendo che altri ne facciano uso. D’altra parte poiché la registrazione non pregiudica
l’appartenenza dei diritti di proprietà industriale è possibile che il precedente uso del marchio
legittimi all’azione di rivendica per ottenere che la domanda di registrazione o la registrazione già
avvenuta siano trasferite a chi invoca tale tutela sulla base del proprio uso. La questione si ricollega a
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quello che è il più importante presupposto della tutela del marchio ossia quello della sua novità. Tale
requisito è assente quando il marchio è già stato notoriamente usato o registrato da altri con la
conseguenza che il proprio uso del marchio se non attribuisce un diritto esclusivo permette però di
prevalere rispetto all’altrui registrazione facendola propria o chiedendo che ne sia dichiarata la nullità.
Il codice di proprietà industriale esclude la presenza del requisito della novità quando il marchio sia
identico o simile ad altro segno registrato da altri o da altri usato come marchio o come altro segno
distintivo. Ne deriva che la mancanza di novità del marchio può derivare da una altrui precedente
registrazione o dall’altrui uso ma nel primo caso l’impedimento ha carattere assoluto (e quindi può
ricostituirsi la novità solo quando la precedente registrazione abbia perso efficacia per scadenza o non
uso) mentre nel secondo caso occorre che l’uso altrui del segno deve avere rilevanza non puramente
locale ma generale. Se la rilevanza è solo locale il marchio può essere registrato ma il terzo ha diritto a
continuare ad usarlo nei limiti in cui lo usava prima della registrazione, Il marchio, oltre al requisito
della novità deve avere quello della capacità distintiva e quindi deve essere suscettibile di
appropriazione individuale. Il requisito della capacità distintiva determina i due istituti della
volgarizzazione (decadenza del marchio quando per attività o inattività del suo titolare sia divenuto
denominazione generica del prodotto perdendo la sua capacità distintiva) e della secondary meaning
(per cui non può essere dichiarata la nullità del marchio se prima della eccezione di nullità il segno, a
seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva). Terzo requisito è quello della
liceità che comporta che il marchio non deve essere contrario alla legge, all’ordine pubblico e al buon
costume, che l’uso del marchio non deve comportare violazione di un diritto esclusivo di terzi (es. uso
come marchio del ritratto o nome altrui), che non sia idoneo ad ingannare il pubblico. La legge non
individua solo i requisiti che il marchio deve avere al momento della registrazione ma anche di quelli
che deve avere nei momenti successivi disciplinando anche l’uso del marchio. Infatti il mancato uso
del marchio se protratto oltre cinque anni determina la decadenza del diritto, e ugualmente si ha
decadenza del diritto se il marchio, di per sé non ingannevole, viene usato in modo idoneo ad
ingannare il pubblico (uso decettivo del marchio) E’ evidente quindi che se la registrazione del
marchio è necessaria per determinare una posizione di esclusività e quindi può implicare una
presunzione di validità del marchio registrato, tuttavia i requisiti richiesti dalla legge devono
sussistere in concreto. La legge infatti regola la disciplina della azioni di nullità e decadenza del diritto
affermando l’efficacia erga omnes della sentenza che accerta la nullità o decadenza del marchio. Per
quanto riguarda la legittimazione a tali azioni la legge dopo aver stabilito in via generale che essa
spetta al p.m, e a chiunque ne abbia interesse , stabilisce che l’azione di nullità nel caso sia motivata
dalla sussistenza di diritti anteriori, dalla violazione di altrui diritti esclusivi o per essere stato
registrato da persona diversa dall’avente diritto, può essere esercitata solo dal titolare dei diritti
anteriori o dall’avente diritto. Ne risulta un sistema in cui alla soluzione di carattere generale della
nullità assoluta si affianca quella della nullità relativa nelle ipotesi suddette dove con la nullità in
sostanza si tutela i titolari di diritti anteriori.
66) Trasferibilità del marchio – Si ha cessione del marchio quando il titolare si spoglia definitivamente
di tale titolarità a favore di un altro soggetto. A proposito del trasferimento del marchio si è avuta una
evoluzione profonda nella disciplina adottata dal legislatore a seguito della attuazione della Direttiva
Cee del 1989 Infatti la disciplina originaria prevedeva il cosiddetto vincolo aziendale ossia il fatto che
il marchio potesse essere trasferito solo insieme all’azienda o ad un ramo di essa prevedendo
esplicitamente che il trasferimento del marchio avvenisse per l’uso di esso a titolo esclusivo. La
disciplina attuale invece non menziona il vincolo aziendale prevedendo anzi che le licenze di marchio
possano essere esclusive e non esclusive stabilendo solo che dal trasferimento o dalla licenza di
marchio non debba derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o dei servizi che sono essenziali
nell’apprezzamento del pubblico. Il marchio, oltre che ceduto può essere concesso in licenza. Il
contratto di licenza è quello mediante il quale il titolare del marchio (licenziante) pur conservandone
la titolarità ne attribuisce l’uso e il godimento ad un terzo (licenziatario). Per quanto riguarda la
licenza il legislatore stabilisce che essa possa essere anche non esclusiva ma in tal caso è necessario
che il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per prodotti o servizi uguali a quelli
messi in circolazione nel territorio dello stato dal licenziante e ciò per consentire al licenziante stesso
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una qualche forma di controllo circa le caratteristiche qualitative del prodotto riservar dogli la
legittimità ad agire nel caso di violazione di tale clausola non solo con l’azione contrattuale ma anche
sulla base del suo diritto all’uso esclusivo del marchio. La legge sottopone le vicende attinenti al
marchio registrato ad un regime di trascrizione simile a quello previsto per i beni mobili registrati La
trascrizione che si effettua presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi condiziona non la validità dell’atto
ma la sua opponibilità a terzi.
67) I contratti di merchandising – Sono denominati contratti di merchandising quei contratti con cui il
titolare di un marchio notorio concede a terzi la facoltà di usare il marchio per prodotti notevolmente
diversi dai propri (es. un marchio di una nota azienda turistica viene utilizzato da un altro
imprenditore per prodotti di abbigliamento). Ciò consente di sfruttare la notorietà che il marchio ha
presso i consumatori e pertanto spesso in tali contratti viene previsto un potere di controllo del
concedente circa la qualità dei prodotti. Un’altra ipotesi di contratto di merchandising si ha con
oggetto segni diversi dal marchio (es, nomi di personaggi famosi dello sport o dello spettacolo). E’
evidente che tale seconda ipotesi non riguarda le vicende del marchio mentre la prima può essere
considerata come una specie di licenza di marchio caratterizzata dal fatto che essa viene utilizzata per
prodotti diversi da quelli forniti dal licenziante e solo per marchi dotati di rinomanza. L’operazione è
ammessa dalla legge in linea di principio ma non deve essere tale, nella circostanza concreta, da
svolgere un ruolo decettivo (ossia ingannevole) nei confronti dei consumatori perché in tal caso
incorrerebbe nel divieto posto dalla legge e nella conseguente decadenza da essa prevista.
Capitolo VI . La disciplina dell’attività imprenditrice
1)
Premesse
68) Libera concorrenza e interessi giuridicamente rilevanti –L’art. 41 cost. garantisce la libertà di
iniziativa economica privata ma prevede accanto ad essa un intervento pubblico nell’economia
stabilendo che l’iniziativa privata economica deve esplicarsi nell’ambito delle regole dettate dallo
stato. Il nostro ordinamento adotta il principio della libera concorrenza in quanto si ritiene che la
concorrenza induca gli imprenditori a migliorare la qualità dei propri prodotti e a diminuire i prezzi.
Scopo dell’intervento statale è quindi di garantire il libero svolgimento della concorrenza cercando nel
contempo di salvaguardare la libertà individuale dei singoli operatori economici. A tale scopo è stata
emanata la disciplina, sia generale che speciale, della tutela della concorrenza e del mercato che si
propone di raggiungere gli obiettivi suddetti fissando le regole perché possa svolgersi una corretta
competizione tra i vari operatori economici allo scopo di reprimere la concorrenza sleale. Inoltre
poiché una posizione significativa tra i protagonisti del mercato deve essere riconosciuta anche ai
consumatori è stata emanata la disciplina delle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori
al fine di garantire in concreto la libertà di scelta dei consumatori. E’ ovvio che le due prospettive che
tutelano interessi diversi in concreto possono spesso incrociarsi: ad esempio nell’ipotesi di pubblicità
ingannevole è rilevante sia una tutela dei concorrenti e del mercato e quindi l’intervento dell’Autorità
garante della concorrenza e del mercato sia la tutela dei consumatori a fronte di una pratica sleale.
2) Mercato e concorrenza
69) La tutela della concorrenza e del mercato. Per quanto riguarda l’esigenza della tutela della
concorrenza come situazione di mercato essa è stata riconosciuta nell’ordinamento italiano con la
legge 10 ottobre 1990 n. 287 che stabilisce le norme per la tutela della concorrenza e del mercato.
Accanto ad essa opera la disciplina adottata dalla comunità europea. La legge 287 dichiara nulle le
intese restrittive della concorrenza che hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale. Il trattato
Ce dal canto suo vieta le intese che possano pregiudicare il commercio tra gli stati membri e che
abbiano per oggetto o perfetto di impedire, falsare o restringere il gioco della concorrenza all’interno
del mercato comune.
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70) Le fattispecie vietate – Le intese restrittive - Sia il sistema nazionale che quello comunitario si
riferiscono a tre fattispecie vietate_ le intese restrittive, l’abuso di posizione dominante e le
concentrazioni. Per quanto riguarda le intese restrittive i due sistemi forniscono una definizione
generale delle fattispecie vietate e una elencazione delle operazioni che vengono ritenute comprese
nel divieto. Entrambi i legislatori non si limitano a vietare i formali accordi contrattuali ma si
riferiscono anche a pratiche concordate e quindi a quei comportamenti consapevolmente comuni a più
imprese e a decisioni e deliberazioni di associazioni di imprese e simili. Entrambe le discipline
prevedono che le intese restrittive della concorrenza siano di per sé vietate ma prevedono la
possibilità di deroghe o esenzioni nel caso l’intesa sia giustificata nella prospettiva del progresso
economico e vada a favore dei consumatori. L’operatività di tali deroghe è però diversa nei due
ordinamenti. Il legislatore italiano le intese restrittive sono considerate di per sé vietate salvo che non
siano autorizzate dall’autorità garante per la concorrenza ed il mercato mentre il legislatore europeo
prevede il sistema della eccezione legale ossia la regola per la quale le intese restrittive che rispettano i
criteri previsti per la deroga sono di per sé lecite indipendentemente da una previa decisione in tal
senso (salvo la sussistenza dell’onere della prova a carico dell’impresa per quanto riguarda la
sussistenza di tali condizioni).In entrambi gli ordinamenti alla violazione del divieto consegue la
nullità delle intese anche se tale tipo di sanzione può risultare non efficace in quanto gli accordi, sia
pure invalidi, possono essere volontariamente eseguiti dalle parti o può trattarsi di comportamenti di
fatto come le pratiche concordate, per le quali la sanzione della nullità non è significativa.. Pertanto la
disciplina europea prevede che la commissione possa infliggere alle imprese ammende o penalità di
mora e la disciplina italiana prevede l’applicazione da parte dell’autorità di sanzioni amministrative
calcolate sul fatturato delle imprese interessate.
71) continua – l’abuso di posizione dominante - La normativa italiana e quella comunitaria vietano
rispettivamente l’abuso e lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante stabilendo una serie di
comportamenti che sono ritenuti di per sé ricadenti sotto il divieto. E’ ovvio che tra le intese
restrittive e l’abuso di posizione dominante vi è una stretta connessione in quanto le prime possono
essere lo strumento per creare quella situazione di dominio che funge da presupposto per il secondo e
ciò rende possibile il cumulo delle due discipline. E’ anche ovvio che entrambe le discipline, italiana e
comunitaria, non considerano illecita di per sé una posizione dominante ma solo il suo abuso o il modo
in cui essa è stata conseguita.
72) continua – le concentrazioni – La disciplina italiana e quella comunitaria vietano le operazioni di
concentrazione quando comportano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul
mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale la concorrenza e quando
ostacolano in modo significativo la concorrenza nel mercato comune o in una parte di esso in
particolare grazie alla creazione o al rafforzamento di una posizione dominante. Entrambe le
normative pongono dei livelli quantitativi individuati con riferimento al fatturato delle imprese
coinvolte stabilendo l’obbligo di comunicare l’operazione di concentrazione alla Autorità nazionale o
alla commissione Ce. Nella normativa italiana l’autorità può disporre il divieto di attuare la
concentrazione prima degli accertamenti volti a verificarne la compatibilità con il sistema mentre nella
normativa comunitaria tale divieto opera automaticamente. Anche per le concentrazioni l’eventuale
problema di coordinamento tra la normativa italiana e quella comunitaria opera nel senso della
prevalenza della seconda Il criterio regolante è quello della dimensione comunitaria dell’operazione
che se è raggiunta fa sì che la disciplina applicabile sia solo quella comunitaria. La nozione di
concentrazione in entrambe le disciplina comprende la fusione tra imprese, gli acquisti di imprese o
del controllo su di esse. Conseguenza dell’attuazione di concentrazioni ritenute incompatibili con il
sistema antitrust è l’applicazione di sanzioni pecuniarie e l’adozione delle misure necessarie per
ripristinare nel mercato condizioni di concorrenza effettiva il che può essere raggiunto soprattutto
grazie alla dissoluzione della concentrazione mediante separazione tra le imprese. Anche per le
concentrazioni al pari di quello che avviene per le intese restrittive (ma non per l’abuso di posizione
dominante) sono previste deroghe al divieto generalmente imposto le quali però possono essere
21
concesse dall’autorità solo in base a criteri preventivamente determinati dal governo e per rilevanti
interessi dell’economia nazionale nell’ambito della integrazione europea.
3) La concorrenza sleale
73) Libera concorrenza e concorrenza sleale - Concorrenza è competizione tra più imprenditori e
quindi libera concorrenza è anche libertà di competizione. La legittimità della competizione è
espressamente riconosciuta dalla legge e quindi legittimi sono anche i risultati della competizione
anche se questi si traducono in un danno per qualcuno di coloro che partecipano alla competizione
stessa. La legge richiede però che siano rispettate le regole del gioco e quindi che il comportamento dei
singoli competitori sia attuato con il rispetto di quelle norme di costume che si riassumono nella
correttezza professionale. Una concorrenza sleale, ossia attuata senza il rispetto di queste norme, è un
comportamento antigiuridico in quanto contrasta con le convinzioni e il costume della categorie
professionali interessate..
74) Norme interne e norme internazionali in tema di concorrenza sleale . In sede internazionale la
repressione della concorrenza sleale è attuata in base all’art. 10 introdotto con una revisione de 1925
alla Convenzione internazionale stipulata a Parigi nel 1883. Nel diritto interno invece le norme
riguardanti la concorrenza sleale sono poste agli art. 2598 – 2601 del codice civile.
75) Delimitazione della categoria nei due sistemi di norme . In entrambe le normative, interna ed
internazionale, viene delimitata la categoria della concorrenza sleale mediante l’enunciazione esplicita
di alcuni atti qualificati come atti di concorrenza sleale e mediante la enunciazione di un criterio
generale per valutare gli atti non specificamente qualificati come atti di concorrenza sleale. Occorre
subito dire che non vi è una perfetta coincidenza tra le formule usate nelle due normative. Infatti la
convenzione considera atto di concorrenza sleale le false affermazioni fatte nell’esercizio del
commercio idonee a determinare il discredito dello stabilimento, dei prodotti e dell’attività industriale
o commerciale di un concorrente mentre la normativa italiana (art. 2598) considera atto di
concorrenza sleale la diffusione di notizie e di apprezzamenti sui prodotti o sull’attività di altri
concorrenti in modo da provocarne il discredito, o l’appropriarsi di pregi dei prodotti o dell’attività dei
concorrenti. Non vi è quindi nella normativa italiana un riferimento alla falsità delle notizie o degli
apprezzamenti e dell’occasione in cui esse vengono fatte e inoltre la normativa italiana considera
l’appropriazione di pregi come atto di concorrenza sleale mentre questo non avviene nella
convenzione. Il criterio generale posto dalla convenzione per valutare gli atti non espressamente
qualificati come atti di concorrenza sleale è quello della contrarietà dell’atto agli usi onesti industriali e
commerciali mentre quello posto dalla normativa italiana è la non conformità dell’atto alla correttezza
professionale e la sua idoneità a danneggiare gli altri imprenditori. Tuttavia, al di la delle differenze
sembra che il criterio posto non sia sostanzialmente differente in quanto non vi è dubbio che i principi
di correttezza professionale della normativa italiana corrispondano agli usi onesti industriali e
commerciali della convenzione in quanto i principi di correttezza professionale altro non possono
essere che le norme di costume elaborate dalla categoria professionale nell’ambito dei rapporti tra i
rappresentanti della categoria stessa.
76) Le categorie specifiche di concorrenza sleale – Una prima categoria è rappresentata da quegli atti
che sfruttano l’affermazione sul mercato di una ditta concorrente tentando di confondersi con questa o
mediante l’uso di segni distintivi da essa legittimamente usati o mediante l’imitazione dei suoi prodotti
o mediante il compimento di atti comunque idonei a creare confusione con i prodotti o le attività della
ditta concorrente (concorrenza sleale per confusione) . Naturalmente l’art. 2598 precisa che sono fatte
salve le disposizioni che riguardano la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto in quanto la
disciplina della concorrenza sleale e le discipline dei segni distintivi sono collegate dal punto di vista
pratico (es. la violazione di un brevetto rileva sia dal punto di vista della contraffazione del brevetto
che da quello della concorrenza sleale). D’altronde la tutela dell’art. 2598 cc è prestata quando i segni
distintivi siano legittimamente usati e quindi è esclusa tutela a favore di colui che a sua volta usi i
segni distintivi altrui o confondibili con quelli altrui compiendo a sua volta un atto di concorrenza
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sleale. Altra categoria di atti di concorrenza sleale è rappresentata dalla diffusione di notizie o
apprezzamenti sull’attività di un concorrente idonei a determinarne il discredito (concorrenza sleale
per denigrazione). Nel sistema del codice come abbiamo detto a differenza dalla disciplina
internazionale non è richiesto che le notizie o gli apprezzamenti siano falsi e quindi deve ritenersi che
la concorrenza sleale per denigrazione si verifichi anche con la diffusione di notizie idonee a
danneggiare il concorrente anche se si tratta di notizie vere o sorrette dall’opinione di esperti.
Ovviamente la legge richiede la diffusione di notizie e ciò significa che deve trattarsi di notizie o
apprezzamenti diretti alla generalità e quindi ad una serie indeterminata di persone e non a singoli
soggetti. Naturalmente inoltre la diffusione di notizie ed apprezzamenti deve avvenire ad opera di un
concorrente nell’ambito della sua attività imprenditrice e pertanto se la diffusione avviene ad opera di
un consumatore o in sede scientifica non siamo in presenza di un atto di concorrenza sleale. Una terza
categoria di atti è quella degli imprenditori che si appropriano dei pregi dei prodotti della impresa
concorrente (concorrenza sleale per sottrazione). Ovviamente la legge non si riferisce al fatto
dell’imprenditore che utilizza i risultati sostanziali dell’esperienza altrui ma al fatto dell’imprenditore
che fa apparire nella pubblicità dei prodotti o nella presentazione al pubblico della sua impresa meriti
e riconoscimenti che invece sono propri dei prodotti dell’impresa concorrente.
77) continua . La pubblicità ingannevole e la pubblicità comparativa - Due ipotesi particolari sono
quelle della pubblicità ingannevole e della pubblicità comparativa introdotte in attuazione a due
direttive comunitarie. La pubblicità ingannevole è costituita da qualunque pubblicità che in qualunque
modo è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche cui è rivolta e che a causa di tale
carattere possa pregiudicare il comportamento economico dei consumatori o possa ledere un
concorrente. La pubblicità comparativa invece è quella pubblicità basata sul raffronto tra il prodotto
di un soggetto e quello di un suo concorrente. La pubblicità comparativa è oggi, a seguito di attuazione
di una direttiva comunitaria, ammessa a patto che non sia ingannevole e si presenti in termini di
oggettività non assumendo caratteri confusori o denigratori nei confronti dei concorrenti. E’ evidente
che in tali ipotesi non vengano ad essere tutelati solo i concorrenti ma anche i consumatori in quanto
l’interesse che potrebbe essere leso è quello generale al corretto svolgersi del meccanismo di mercato.
Per tale motivo la legge prevede un duplice sistema di tutela. Infatti dal un lato esiste la disciplina
codicistica della concorrenza sleale e la giurisdizione del giudice ordinario e dall’altro un
procedimento di tipo amministrativo in grado di tutelare l’interesse generale suddetto in cui è
competente l’autorità garante della concorrenza e del mercato. A tale autorità si può rivolgere per
chiedere l’inibizione degli atti della pubblicità ingannevole ogni soggetto o organizzazione che ne abbia
interesse. L’autorità in caso di urgenza può disporre la sospensione della pubblicità comparativa o
ingannevole ritenuta illecita e al termine dell’istruttoria, se accoglie il ricorso, inibisce la continuazione
della pubblicità applicando una sanzione amministrativa. I ricorsi contro i provvedimenti dell’autorità
rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
78) La categoria generale - Al di fuori delle categorie su esposte che sono espressamente qualificate
come atti di concorrenza sleale il terzo comma dell’art. 2598 ne pone altre in base al criterio generale
per il quale compie atti di concorrenza sleale chiunque si avvale direttamente o indirettamente di ogni
altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale idoneo a danneggiare l’altrui
azienda. Sono così considerati atti di concorrenza sleale lo storno dei dipendenti,o il boicottaggio
del’impresa. Quello che ci preme tuttavia non è scendere nel dettaglio delle singole ipotesi ma
piuttosto approfondire il criterio generale . In primo luogo occorre dire che l’atto di concorrenza sleale
è un atto di concorrenza e pertanto deve inserirsi nei rapporti di competizione con gli altri
imprenditori. Non costituiscono quiindi atti di concorrenza sleale gli atteggiamenti dell’imprenditore
che non sono inerenti alla competizione ma all’organizzazione interna della propria impresa anche se
in tal modo si violano norme penali o amministrative (es. non pagare i dazi o i tributi non assume
rilievo per la concorrenza sleale ma per altri profili, penali, tributari o amministrativi. Ne deriva anche
che soggetto attivo dell’atto di concorrenza sleale può essere solo un imprenditore in quanto facendo
la legge riferimento alla correttezza professionale non sarebbe configurabile tale ipotesi nei confronti
di un non imprenditore. Inoltre occorre il rapporto di concorrenza in quanto se ad. Esempio due
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imprenditori svolgono una attività locale in luoghi lontanissimi tra di loro viene meno la possibilità
stessa della concorrenza sleale. Possiamo quindi dire in generale che si considera concorrenza sleale
ogni atto del concorrente che tenti di alterare la competizione volgendola a proprio vantaggio non in
base alla propria capacità organizzativa ma avvalendosi della capacità organizzativa altrui. Occorre
pertanto (come espressamente dice la legge) anche l’idoneità del mezzo a danneggiare l’altrui azienda.
Infatti non basta avere l’intenzione di sovvertire il risultato della gara ma occorre anche che il mezzo
usato sia idoneo al raggiungimento di tale risultato.
79) La repressione della concorrenza sleale – La repressione della concorrenza sleale si attua
principalmente mediante la inibizione degli atti di concorrenza e mediante l’eliminazione dei mezzi
che consentono di realizzarli (sequestro, rimozione o distruzione dei mezzi attraverso i quali la
concorrenza si realizza). L’azione è consentita per il solo fatto che vi sia stato un atto di concorrenza
sleale a prescindere dal verificarsi di un danno attuale e concreto e legittimati all’azione stessa sono gli
imprenditori concorrenti per i quali sussiste l’interesse ad agire e le associazioni professionali che
siano stati pregiudicati dall’atto di concorrenza sleale. All’inibitoria può aggiungersi anche il
risarcimento del danno ma solo quando l’atto di concorrenza sleale sia effetto di dolo o colpa
dell’imprenditore., Spetta all’attore di provare l’atto di concorrenza sleale mentre spetta al convenuto
dimostrare la non colpevolezza in quanto una volta accertato l’atto di concorrenza sleale la colpa si
presume. Il danno risarcibile è rappresentato dal danno emergente e dal lucro cessante e una forma
specifica di risarcimento del danno consiste nella pubblicazione della sentenza che accerta la
concorrenza sleale.
80) Atto di concorrenza sleale e atto illecito . Prima che intervenisse la disciplina specifica posta
dall’art. 2598 cc la concorrenza sleale veniva repressa sulla base dell’art. 2043 cc. Si trattava però di
una impostazione completamente diversa in quanto in base all’art. 2043 l’atto di concorrenza sleale
era inquadrato nella categoria degli atti illeciti e quindi rilevava non l’antigiuridicità del
comportamento ma il fatto che dal comportamento stesso fosse derivato un danno. Ovviamente però
era necessario individuare il bene protetto dalla norma la cui lesione avrebbe provocato la
responsabilità dell’imprenditore. Tale bene era individuato in un diritto di personalità consistente nel
far propri i risultati della propria attività o nel diritto alla individuazione o in un diritto patrimoniale
costituito dall’avviamento, dall’azienda o dalla clientela Inoltre era necessaria la presenza
dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) senza il quale non era possibile la responsabilità
dell’imprenditore.. Nella impostazione attuale invece l’antigiuridicità del comportamento è valutata a
prescindere dal danno e dalle conseguenze patrimoniali e può sussistere a prescindere dal dolo e dalla
colpa in quanto una volta accertato l’atto di concorrenza sleale la colpa è presunta e può essere
dimostrata inesistente ma in questo caso viene meno il diritto al risarcimento del danno ma non il
diritto alla inibizione. Il fondamento della tutela accordata dalla legge nella impostazione attuale (art.
2598) è quindi l’antigiuridicità del comportamento in sé stesso e non la lesione del bene e ne consegue
quindi che viene meno la necessità di individuare un bene per la tutela del quale siano poste le norme
sulla concorrenza sleale.
4) Pratiche sleali e tutela del consumatore
81) Le pratiche commerciali sleali – E’ evidente che nel gioco della concorrenza svolgono un ruolo di
rilievo anche i consumatori. Infatti presupposto di un sistema concorrenziale non è solo la libertà di
iniziativa economica degli imprenditori ma anche la libertà di scelta dei consumatori dato che la
competizione degli imprenditori si volge al fine di ottenere il consenso dei consumatori stessi. Fanno
parte pertanto delle regole della concorrenza anche le norme che tendono a tutelare la libertà di scelta
dei consumatori assicurando che la stessa non sia alterata, cosa che provocherebbe l’alterazione dei
risultati della competizione stessa. Tale tutela si compone di strumenti che perseguono una tutela
individuale dei consumatori (soprattutto al momento della stipulazione e dell’esecuzione del rapporto
contrattuale con l’impresa) o che perseguono una tutela generale del consumatore come categoria
considerando in generale il rapporto dell’imprenditore con la categoria generale dei consumatori
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(esempio rilevante è la disciplina delle pratiche commerciali scorrente inserita nel codice di consumo
e che dà la possibilità di una tutela inibitoria a seguito di procedimento amministrativo davanti
all’autorità garante della concorrenza e del mercato) Le pratiche commerciali scorrette sono
caratterizzate dalla loro idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento del consumatore
medio e sono classificate nel codice di consumo nelle due categorie delle pratiche ingannevoli e delle
pratiche aggressive . Le pratiche ingannevoli coincidono in generale con quelle relative alla pubblicità
ingannevole con la differenza che nelle prime non vi è esplicito riferimento alla idoneità a ledere un
concorrente essendo invece posto l’accento sull’idoneità ad indurre il consumatore medio ad assumere
una decisione di consumo che non avrebbe invece preso. Ciò non toglie però la rilevanza delle pratiche
ingannevoli anche sul piano della concorrenza sleale. Le pratiche aggressive si imperniano sulle
nozioni di molestia e indebito condizionamento in grado di alterare la decisione del consumatore
medio, che possono rilevare anche in sede di applicazione della disciplina antitrust.
5) le limitazioni legali all’attività imprenditrice
A)
I monopoli –
82) Regime di monopolio - Le limitazioni legali della concorrenza trovano la loro fonte nella legge e nel
sistema attuale consistono nei cosiddetti monopoli legali. Monopolio legale si ha quando la legge
riserva ad un soggetto (normalmente lo stato) una posizione di esclusività nell’esercizio di una
determinata attività economica per motivi di ordine fiscale o economico. La tendenza attuale è però
quella di eliminare o almeno ridurre i monopoli ammettendo la presenza di una pluralità di operatori
anche in settori dove in precedenza ciò non era possibile (settore radiotelevisivo o della produzione di
energia). E’ quindi imposto dalla legge (in recepimento della normativa europea) che le deroghe al
sistema della concorrenza disposte per servizi di interesse generale siano limitate a quanto serve per
la specifica missione ad esse affidata.
83) Esercizio dell’impresa in regime di monopolio - In regime di monopolio è necessario assicurare
che tutti possano usufruire dei beni e dei servizi prodotti e che non ci siano discriminazioni tra i
consumatori attraverso l’applicazione di prezzi diversi. La legge assicura ciò imponendo
all’imprenditore che opera in regime di monopolio l’obbligo legale di contrattare con chiunque
richieda le prestazioni e di osservare la parità di trattamento stabilendo in caso di violazione
l’applicazione di una sanzione amministrativa. La violazione però non determina l’attribuzione ai
privati di una posizione soggettiva che li legittimerebbe all’azione nel caso di rifiuto dell’imprenditore.
Infatti dato che la posizione di monopolio trae la sua fonte in un provvedimento amministrativo di
concessione la inosservanza delle condizioni fissate rileva solo nei rapporti tra ente concedente e
imprenditore (che può determinare anche la decadenza della concessione stessa) ma non vale a creare
un rapporto specifico tra imprenditore e consumatori sulla cui base si possa creare una posizione
soggettiva che legittimerebbe all’azione.
b) I diritti di privativa
84) Le creazioni intellettuali e la loro tutela - La libertà di iniziativa economica trova un limite anche
nel riconoscimento da parte dell’ordinamento di alcune posizioni di esclusività a coloro che hanno
contribuito, attraverso la loro attività creativa in diversi campi, ad incrementare le conoscenze e le
esperienze destinate a diventare patrimonio comune di tutti. Queste posizioni di esclusività
corrispondono ai diritti di autore e ai brevetti per le invenzioni industriali e comunque a coloro che
hanno realizzato una creazione intellettuale Il sistema del codice vigente ha inquadrato la trattazione
dei diritti sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali nel libro del lavoro in sede di
regolamentazione dell’attività economica e ha precisato il contenuto di tale diritto stabilendo che
all’autore di una opera dell’ingegno spetta il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla
economicamente mentre a colui che ha ottenuto un brevetto per una invenzione industriale spetta l
diritto esclusivo di attuare l’invenzione e di disporne entro i limiti stabiliti dalla legge. L’esclusività è
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quindi configurata come sfruttamento e utilizzazione economica dell’opera intellettuale e quindi ha un
contenuto ben diverso dal diritto di proprietà invece definito come diritto di godere e disporre della
cosa in modo pieno ed esclusivo entro i limiti stabiliti dalla legge.
85) Presupposti, fondamento e caratteri delle tutela delle creazioni intellettuali - E’ necessario trovare
il fondamento delle creazioni intellettuali. L’idea creativa matura nella mente del suo autore ed è frutto
della sua fantasia ma ovviamente si materializza attraverso una cosa materiale o una energia (es. uno
scritto, un disegno, un suono ecc). Solo in questo momento l’idea si materializza e diventa una entità
autonoma rispetto al suo autore e solo in questo momento essa può avere autonomo rilievo
nell’ambito dell’ordinamento giuridico che gli attribuisce tutela. L’ordinamento giuridico pertanto
tutelando la cosa materiale o l’energia attraverso la quale l’idea si materializza tutela l’idea stessa
operando sulla riproducibilità della cosa materiale stessa e cioè attribuendo a chi ha avuto l’idea
l’esclusività della riproduzione della cosa materiale (o della energia) e inibendo agli altri la
riproduzione stessa. Tale tutela avviene negli ordinamenti moderni attraverso il riconoscimento del
diritto di autore o attraverso i brevetti di riproduzione industriale.
86) Diritto di proprietà e diritto sulle creazioni industriali - Appare evidente quindi la diversità tra i
diritti sulle creazioni intellettuali e il diritto di proprietà. Il diritto di proprietà riguarda una posizione
di esclusività che già esiste sulla cosa e che l’ordinamento può riconoscere o meno, mentre il diritto
sulle creazioni intellettuali è un diritto creato artificialmente dall’ordinamento e che pertanto
l’ordinamento stesso può configurare come meglio crede al fine di contemperare l diverse esigenze
sociali ed individuali. (da un lato l’esigenza sociale di rendere comuni a tutti le idee e creazioni
intellettuali e dall’altro l’esigenza individuale di un riconoscimento all’autore o all’inventore in
mancanza del quale l’attività creatrice rischierebbe di arrestarsi). Se pertanto la posizione di
esclusività garantita alla creazione di opere intellettuali è creata dall’ordinamento giuridico essa trova
nell’ordinamento stesso i suoi presupposti e i suoi limiti. In primo luogo la tutela giuridica non è
generale e quindi non riguarda tutte le creazioni intellettuali (es le creazioni intellettuali non
riproducibili o quelle riproducibili che non possono essere sottratte alla libera disponibilità di tutti
come i principi scientifici). In secondo luogo la tutela della creazione intellettuale non è illimitata nel
tempo, in terzo luogo non è assoluta potendo essere subordinata al rilascio di un brevetto, potendo
essere accordata a persone diverse dal creatore e potendo essere subordinata all’adempimento di
particolari oneri. Detto questo appare chiaro che i diritti sulle creazioni intellettuali si inquadrino più
nel monopolio che nella proprietà con la differenza che essi riguardano non l’esercizio di una attività
economica ma la riproducibilità di una idea e che hanno un valore economico trasferibile ad altri. Ciò
spiega perché con riferimento al diritto sulla creazione intellettuale talvolta si parli di proprietà e
perché tale termine spesso viene usato anche dal legislatore.
87) Norme interne e norme internazionali in tema di creazioni intellettuali - Le creazioni intellettuali
si dividono in due categorie: le invenzioni industriali e i diritti di autore. Le invenzioni industriali sono
regolate negli aspetti generali dal codice civile e negli aspetti specifici dal codice della proprietà
industriale A questa disciplina si aggiungono copiosi interventi a livello internazionale e comunitario.
I diritti di autore sono regolati negli aspetti generali dal codice cvile e negli aspetti particolari nella
legge sul diritto di autore e anche in questo campo occorre registrare le molteplici convenzioni
europee ed internazionali. Non deve stupire l’enorme rilevanza internazionale in queste discipline e
ciò non solo per la dimensione degli interessi in questione ma anche per il fatto che l’immaterialità dei
beni tutelati rende molto agevole la possibilità che le attività oggetto della disciplina siano
delocalizzate. Si viene a creare quindi una dialettica tra il fatto che le attività in questione possano
essere delocalizzate e il fatto che la protezione accordata dall’ordinamento ha carattere artificiale cosa
che indurrebbe a ritenere tale protezione limitata all’ambito territoriale di efficacia dell’ordinamento
stesso. Tale dialettica rende quindi necessaria una elaborazione della disciplina stessa a livello
internazionale.
aa) i Brevetti industriali
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88) Invenzioni, modelli di utilità, disegni e modelli – Rientrano nella categoria delle invenzioni
industriali oltre alle invenzioni vere e proprie (che hanno cioè per oggetto un nuovo prodotto o un
nuovo procedimento), i modelli di utilità (ossia quelle invenzioni idonee a conferire particolare
efficacia o comodità di applicazione a macchine o strumenti) e i disegni e modelli (creazione di nuovo
aspetto del prodotto che risulta dalle caratteristiche dei colori o della forma del prodotto o dai
materiali o dall’ornamento del prodotto stesso). Presupposto generale della tutela giuridica
dell’invenzione industriale è la sua novità e la sua industrialità mentre per i disegni e modelli è
richiesto oltre alla novità anche il carattere individuale. Il criterio di novità richiede che l’invenzione
oltre ad essere nuova deve essere anche non divulgata. Il criterio della novità differenzia l’invenzione
dal semplice progresso tecnico. Il criterio utilizzabile per la distinzione può essere quello della
difficoltà vinta o del risultato inatteso per cui non basta perché si abbia invenzione l’applicazione di
risorse tecniche già conosciute ma occorre anche che si sia superata una difficoltà ritenuta in
precedenza insuperabile o si sia ottenuto un risultato in precedenza non ottenibile e per questo
inaspettato. La divulgazione invece impedisce la tutela dell’invenzione anche se si è determinata per
fatto illecito di altri. Non vale però come divulgazione quella che si è attuata nei sei mesi precedenti il
deposito della domanda di brevetto e derivante direttamente da un abuso evidente ai danni del
richiedente. Non impedisce la brevettabilità anche la divulgazione avvenuta in esposizioni ufficiali ed
ufficialmente riconosciute ai sensi della convenzione di Parigi. Altro requisito per la brevettabilità è
quello della industrialità ossia l’idoneità della invenzione ad avere applicazione industriale e ad essere
utilizzata in un ramo qualunque della produzione. Ne deriva che una scoperta scientifica non può
essere protetta in quanto tale mentre può essere protetta l’applicazione tecnica di essa. Nei disegni e
nei modelli si richiede invece oltre alla novità anche il carattere individuale ossia l’idoneità a suscitare
nell’utilizzatore una impressione generale diversa da quella suscitata da qualsiasi disegno o modello
divulgato prima della data di presentazione della domanda di brevetto.
89) Presupposti e limiti della tutela delle invenzioni – La tutela giuridica dell’invenzione industriale è
temporanea : 20 anni per le invenzioni vere e proprie, 10 anni per i modelli di utilità e 5 anni
(prorogabili per massimo 25 anni) per i modelli e i disegni. La tutela giuridica si ottiene solo mediante
registrazione (che per le invenzioni vere e proprie e per i modelli di utilità si chiama brevettazione in
quanto è accompagna dal rilascio di un brevetto). La registrazione ha effetto costitutivo e in mancanza
di essa non si acquista il diritto alla tutela che consiste nel diritto esclusivo di attuare l’invenzione e di
disporne. Una volta ottenuta la registrazione gli effetti giuridici sono retroattivi fino al momento della
presentazione della domanda. La domanda di registrazione o del brevetto deve essere presentata
all’Ufficio Italiano Brevetti e Marche, corredata della documentazione necessaria. L’ufficio deve
accertare la regolarità formale della domanda, la presenza dei requisiti descritti in precedenza oltre a
quello della liceità (l’invenzione non deve essere contraria alla legge, all’ordine pubblico e al buon
costume). La concessione del brevetto non pregiudica l’esercizio delle azioni giudiziaria circa la
validità del brevetto stesso ma serve solo a spostare l’onere della prova della mancanza dei requisiti
per la brevettabilità a carico di chi intende impugnarne la validità. Il brevetto è nullo se : a)
l’invenzione manca del carattere della novità o della industrialità b) se la descrizione allegata alla
domanda non comprende tutte le indicazioni necessarie per mettere in pratica l’invenzione c) se
l’oggetto del brevetto si estende oltre al contenuto della domanda d) se il titolare del brevetto non
aveva il diritto di ottenerlo e l’inventore non abbia fatto valere i suoi diritti. L’azione di nullità è
imprescrittibile e può essere esercitata dagli interessati e dal pubblico ministero e la relativa sentenza
che pronuncia la nullità del brevetto fa stato erga omnes. La sentenza di nullità è oggetto di pubblicità
ed ha efficacia retroattiva fermi restando gli atti già compiuti e i contratti già eseguiti aventi ad oggetto
l’invenzione stessa fermo restando l’eventuale rimborso deciso dal giudice.
90) Soggetti del diritto di brevetto: le invenzioni di stabilimento - All’inventore che abbia ottenuto il
brevetto spetta sia il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione (diritto personale e
intrasmissibile) sia i diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione stessa. Particolari principi vigono
quando l’invenzione è fatta dal prestatore di lavoro nel campo di attività dell’impresa o della pubblica
amministrazione (invenzioni di stabilimento). Se l’invenzione è fatta nell’esecuzione di un rapporto di
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lavoro al prestatore di lavoro spetta il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione e il diritto
di ricevere un equo premio (quest’ultimo solo se non è stabilita nel rapporto di lavoro una
retribuzione particolare per l’attività inventiva) mentre la facoltà di chiedere il brevetto e i diritti
patrimoniali nascenti dall’invenzione spettano al datore di lavoro . Se l’invenzione non si attua nello
svolgimento del rapporto di lavoro ma si attua comunque nel campo di attività dell’impresa privata i
diritti patrimoniali spettano all’inventore ma al datore di lavoro spetta un diritto di prelazione per
l’uso dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto. . Se l’invenzione è fatta nel corso di un rapporto di
lavoro con una università o una p.a. che ha tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca l’inventore è
titolare di tutti i diritti.
91) Contenuti e trasferimento del diritto di brevetto – La tutela giuridica dell’invenzione consiste
nell’attribuzione al titolare della esclusività nell’attuazione dell’invenzione e del diritto di disporne e
quindi di trarne profitto nel territorio dello stato nonché la facoltà di commercio del prodotto ma tale
facoltà di estingue una volta che il prodotto sia messo in commercio dal titolare o con il suo consenso
nel territorio dello stato o in quello di altro stato membro della Ce. Il diritto di brevetto non impedisce
l’attuazione dell’invenzione per fini privati non commerciali o in via sperimentale. Per quanto
riguarda i modelli di utilità e i modelli e i disegni, per i primi l’esclusività del brevetto riguarda sia
l’attuazione del modello che il commercio dei prodotti in cui modello viene applicato mentre per i
secondi la sola utilizzazione. Nel caso in cui l’invenzione sia un perfezionamento di una precedente
invenzione coperta da precedente brevetto essa non pregiudica il diritto del titolare del precedente
brevetto e anzi l’invenzione pur avendo ottenuto il brevetto non può essere attuata senza il consenso
del titolare del precedente brevetto. La legge tuttavia prevede che il titolare del secondo brevetto
possa ottenere dal titolare del brevetto precedente la licenza obbligatoria quando la seconda
invenzione costituisce rispetto alla precedente un importante progresso tecnico di rilevanza
economica. I diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione sono liberamente trasferibili, possono essere
ceduti o costituire oggetto di esecuzione forzata, possono essere espropriati per pubblica utilità e su di
essi possono essere costituiti diritti reali di godimento o di garanzia e possono essere concessi in uso.
Gli atti di trasferimento tra vivi e di costituzione di diritti reali sono soggetti a pubblicità dichiarativa
presso l’Ufficio dei brevetti in mancanza della quale essi sono privi di efficacia nei confronti di terzi che
abbiano acquistato diritti sul brevetto stesso. La trascrizione dei trasferimenti mortis causa invece è
diretta ad assicurare la continuità dei trasferimenti.
92) Estinzione del diritto di brevetto – I diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione si estinguono per
decorso del termine o anche prima per il verificarsi delle seguenti cause di decadenza: a) mancata
attuazione dell’invenzione. La mancata attuazione dell’invenzione entro i termini fissati (3 anni per le
invenzioni vere e proprie, un anno per i modelli di utilità e per i modelli e disegni) comporta l’obbligo
dell’inventore a concedere a chi ne fa richiesta la licenza obbligatoria per l’uso non esclusivo
dell’invenzione. Il brevetto decade se entro due anni dalla concessione della licenza obbligatoria non
viene attuato. B) mancato pagamento del diritto annuale di brevetto entro sei mesi per le invenzioni
vere e proprie.
93) Azioni a tutela del diritto di brevetto e dei diritti di proprietà industriale. – L’azione concessa a
tutela del diritto di brevetto è detta azione di contraffazione che può essere esercitata in sede civile e
penale. Il codice della proprietà industriale prevede una disciplina unificata per l’azione di
contraffazione e per le altre azioni stabilite a tutela dei singoli diritti di proprietà industriale. Con
l’azione di contraffazione il titolare di brevetto ( o chi ha diritti reali su di esso) è legittimato ad agire
in giudizio contro il terzo che senza autorizzazione fa uso dell’invenzione brevettata. Il giudizio di
contraffazione è affidato all’autorità giudiziaria ordinaria e si svolge davanti al giudice territorialmente
competente. L’onere di provare la contraffazione spetta al titolare del brevetto. Con la sentenza che
accerta la contraffazione il giudice può disporre a carico del soccombente le seguenti sanzioni: a)
inbitoria che consiste nell’ordine al contraffattore di cessare l’attività illecita b) la rimozione,
distruzione o assegnazione in proprietà dei prodotti brevettati o dei mezzi usati per la contraffazione
c) il risarcimento del danno d) la pubblicazione della sentenza e) la condanna in futuro che consiste
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nella liquidazione di una somma che il contraffattore dovrà versare nell’ipotesi di mancata cessazione
o successiva ripresa dell’attività illecita.
94) Tutela internazionale delle invenzioni industriali – La tutela del diritto di privativa può attuarsi
anche al di fuori dei confini dello stato, nel territorio degli stati aderenti all’Unione di Parigi per la
tutela della proprietà industriale.
bb) Il diritto di autore
95) Contenuto del diritto di autore - Con il diritto di autore la legge tutela le opere dell’ingegno di
carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, al
teatro o alla cinematografia e attualmente tale tutela è stata estesa alle fotografie di carattere creativo,
ai programmi per elaboratore, alle banche dati e alle opere di disegno industriale, Oggetto della tutela
è la creazione ossia la manifestazione originale della personalità umana e l’effettivo valore letterario e
artistico non è rilevante in quanto la tutela è accordata anche alle opere modeste o le opere che
affrontano problemi già conosciuti purchè originale sia la forma rappresentativa ossia la
manifestazione del pensiero. Ne deriva quindi una diversità con le invenzioni industriali le quali sono
tutelate dalla legge proprio in funzione della loro utilità pratica. L’acquisto del diritto di autore è
automatico per il solo fatto che l’opera è stata creata e non è subordinato alla registrazione, la quale a
differenza delle invenzioni industriali non ha quindi effetto costitutivo ma solo effetto amministrativo
e probatorio. La tutela giuridica ha una durata lunga e precisamente tutta la vita dell’autore e fino al
termine dei 70 anni successivi alla morte e si attua a prescindere da qualsiasi utilizzazione pratica
dell’opera riconoscendo anzi all’autore il cosiddetto diritto di inedito e cioè di impedire la divulgazione
dell’opera.
96) Diritto morale e diritto di utilizzazione economica - La tutela giuridica del diritto di autore si attua
mediante il riconoscimento all’autore di un diritto personale (diritto morale) e di un diritto
patrimoniale (diritto di utilizzazione economica). Il diritto morale comprende le seguenti facoltà: a)
diritto di essere riconosciuto autore dell’opera e rivendicarne la paternità b) diritto di anonimo e
quindi diritto dell’autore a non rivelarsi al momento della pubblicazione dell’opera c) diritto di inedito
ossia di non pubblicare l’opera o di ritirare l’opera dal commercio per gravi ragioni morali
indennizzando ovviamente coloro che hanno acquistato diritti patrimoniali sull’opera stessa d) diritto
di opporsi a mutlazioni, deformazioni o modificazioni dell’opera, diritto che trova alcune limitazioni
nella cinematografia e nelle opere di architettura. Il diritto morale di autore come diritto personale è
intrasmissibile ma dopo la morte dell’autore esso può essere esercitato (tranne che per la facoltà di
ritirare l’opera dal commercio) dagli aventi causa. In questo modo non si ammette la successione in un
diritto personale ma si tratta di un diritto proprio dei familiari esercitato per ragioni familiari degne di
essere protette così come avviene per la tutela del nome. Nel diritto patrimoniale di autore rientrano
invece il diritto di pubblicazione, di riproduzione e di smercio.
97) Soggetti del diritto di autore : opere in collaborazione . Soggetto del diritto di autore è l’autore
dell’opera e per quanto riguarda i diritti patrimoniali anche i suoi aventi causa. L’opera di ingegno può
essere il risultato della collaborazione di più persone. Nel caso in cui la collaborazione si attua per
parti distinte (es, enciclopedie e dizionari) l’opera di ciascun autore è ben individuata e autonoma nel
suo complesso. In questo caso il diritto di autore di ciascun collaboratore è distinto da quello dell’altro.
La collaborazione può invece attuarsi senza la possibilità di distinguere le parti mediante
l’effettuazione di attività separate e in questo caso abbiamo una comunione pro indiviso dell’opera
regolata dai principi generali sulla comunione.
98) Acquisto e disposizione del diritto di autore – contratti di edizione - L’acquisto del diritto d’autore
si ha come si è detto con la stessa creazione dell’opera. Solo ai fini amministrativi e probatori è
richiesta la registrazione nel registro pubblico generale delle opere protette. In tale registro devono
essere annotati gli atti di trasferimento dei diritti di autore e la registrazione fa fede, fino a prova
contraria, dell’esistenza dell’opera, della sua pubblicazione e degli eventuali atti di disposizioni
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compiuti su di essa. Tra gli atti di disposizione ricordiamo il contratto di edizione con il quale l’autore
concede ad un’altra persona (editore) il diritto di pubblicare l’opera a proprie spese e l’editore si
obbliga a riprodurre l’opera, a metterla in vendita e a pagare il compenso pattuito (si tratta quindi di
un contratto a prestazioni corrispettive) L’autore può richiedere la risoluzione del contratto se
l’editore non effettua la pubblicazione nei tempi stabiliti e anche dopo la stipulazione del contratto è
consentito all’autore per gravi motivi morali di ritirare l’opera dal commercio tenendo però indenne
l’editore.
99) Tutela delle opere dell’ingegno - La durata della tutela come abbiamo detto è piuttosto lunga
prevedendo l’intera vita dell’autore fino al settantesimo anno successivo alla morte di esso. Per le
opere compiute in collaborazione per le quali non sia possibile la distinzione in parti la protezione si
effettua in funzione del collaboratore che muore per ultimo. Per quanto riguarda le opere anonime o
pseudonime la protezione è concessa per settanta anni dalla pubblicazione mentre per le opere
postume la tutela è di 70 anni a partire dalla morte dell’autore. Per quanto riguarda le tecniche
processuali esse coincidono con quelle adottate per la proprietà industriale e quindi sono previsti
provvedimenti di inibitoria, la condanna al risarcimento del danno (che comprende in questo caso
anche il danno morale) e la distruzione dei mezzi impiegati per la violazione.
100) Diritti del progettista – Accanto al diritto di autore la legge regola il diritto del progettista di
lavori nel caso in cui esso costituisca soluzioni originali di problemi tecnici. In questo caso a lui
compete l diritto esclusivo di riproduzione dei piani e dei disegni e il diritto di ottenere equo
compenso da parte di coloro che,senza il suo consenso, eseguono il progetto stesso a scopo di lucro.
101) Tutela del software e della banca dati – Abbiamo detto che la disciplina del diritto di autore è
stata recentemente estesa anche al software e alle banche dati. Tale tutela comprende il diritto
esclusivo di riproduzione, traduzione o modifica del programma o della banca dati e il diritto di
distribuzione al pubblico. All’acquirente del programma è comunque concessa la riproduzione e la
modifica se necessarie per il proprio uso. Il legislatore ha inoltre dettato una apposita norma per il
caso in cui l’autore del software sia un lavoratore dipendente, disciplina che ricalca quella prevista per
le invenzioni di stabilimento con la differenza che la legge non parla espressamente di un diritto
morale spettante all’autore né dell’eventualità per cui al dipendente possa spettare un particolare
compenso per la sua opera creativa.
6) Limitazioni convenzionali dell’attività imprenditrice
102) Limitazioni convenzionali della concorrenza - Limitazioni della concorrenza ossia della libertà di
iniziativa economica possono essere poste dalla legge o in conseguenza di un contratto e quindi
possono essere effetto di accordi volontari o di norme che in determinati settori e in determinati limiti
escludono la libertà di iniziativa economica dei soggetti. La violazione delle limitazioni convenzionali
o legali della concorrenza costituiscono concorrenza illecita e non concorrenza sleale. L’astensione
dalla concorrenza infatti in questi casi è un obbligo sorgente da contratto o da legge e il compimento
quindi di un atto di concorrenza costituisce quindi un atto illecito anche quando sia compiuto nel
rispetto dei principi di correttezza professionale.
103) Limitazioni convenzioni indirette e dirette – Le limitazioni convenzionali alla concorrenza
possono essere l’effetto di un contratto che non ha per oggetto la limitazione della concorrenza
(limitazioni indirette) o possono essere l’effetto di un contratto che ha per oggetto specifico la
limitazione della concorrenza (limitazioni dirette). Si ha ad esempio limitazione indiretta in materia
di rapporti di lavoro dove il codice civile prevede che il prestatore di lavoro non deve trattare affari in
concorrenza con l’imprenditore da cui dipende. Esempi di limitazione diretta della concorrenza sono
quelli che si attuano mediante accordi bilaterali o plurilaterali tra imprese che assumono il nome di
cartelli con i quali i singoli imprenditori si impegnano a non vendere i loro prodotti nella zona
riservata ai loro concorrenti (cartelli di zona) o a non vendere al di sotto o al di sopra dei prezzi
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stabiliti (cartelli di prezzi) o a non vendere a condizioni contrattuali diverse da quelle stabilite (cartelli
di condizioni contrattuali).
104) Valutazione normativa dei patti limitativi della concorrenza – L’ordinamento giuridico italiano
valuta le limitazioni convenzionali della concorrenza sia dal punto di vista dei soggetti in quanto esse
comportano una limitazione della libertà personale sia dal punto di vista oggettivo e quindi per
l’influenza che esse esercitano sul mercato eliminando il libero gioco della concorrenza. Infatti la legge
287 del 1990 vieta le intese restrittive della concorrenza qualora siano idonee a produrre effetti sul
mercato o su una sua parte rilevante e del pari l’art. 81 del Trattato Ce prevede la stessa cosa quando
tali effetti si manifestano nel mercato comune europeo. Per quanto riguarda il punto di vista della
libertà economica del soggetto l’art. 2596 cc richiede che il patto limitativo della concorrenza debba
essere provato per iscritto e richiede anche per la sua validità che esso sia circoscritto nell’oggetto,
nello spazio e nel tempo precisando che la sua durata non possa eccedere il quinquennio.
7) I consorzi tra imprenditori
105) Il consorzio e le sue molteplici applicazioni . Il consorzio è una associazione di persone fisiche o
giuridiche per la realizzazione di un interesse comune ad esse. L’organizzazione in comune si pone
quindi come uno strumento per la realizzazione di interessi propri di ciascun consorziato che non
potrebbero essere realizzati singolarmente o che non potrebbero essere realizzati alle stesse
condizioni economiche. Nel diritto pubblico sono previsti consorzi volontari, obbligatori e coattivi
mentre nel diritto privato il consorzio tra imprenditori è solo volontario e quindi la sua fonte è nella
volontà dei singoli imprenditori fissata in un contratto.
106) Il consorzio nella vigente disciplina del codice civile - La nozione di consorzio contenuta
nell’originario art. 2602 cc comprendeva unicamente i contratti tra imprenditori esercenti la stessa
attività economica o attività connesse e che avessero per oggetto il coordinamento della produzione e
degli scambi e quindi la disciplina delle attività economiche stesse. Nel nuovo articolo 2602 del cc
invece si stabilisce che con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione
comune per la disciplina e lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Nella versione
originale dell’art. 2602 la disciplina era posta essenzialmente in funzione delle limitazioni che il
consorzio poteva portare alla libertà di iniziativa economica dei singoli consorziati e alla incidenza che
il consorzio poteva avere come fattore di distorsione della libera concorrenza sul mercato e pertanto
erano previsti limiti di durata, la necessità di autorizzazione amministrativa e la sottoposizione a
controlli pubblici. Con il nuovo articolo 2602 la disciplina è rimasta invariata (al di là dell’abolizione
del limite di durata) ma è mutata la prospettiva in quanto attualmente un rapporto concorrenziale
potrebbe addirittura non esserci tra i consorziati. Infatti la nozione attuale di consorzio comprende
due distinti fenomeni. A) i consorzi dove l’organizzazione in comune è creata per la disciplina di fasi
delle rispettive imprese, tra i quali abbiamo i consorzi tra imprenditori concorrenti creati per il
coordinamento della produzione e degli scambi b) i consorzi in cui l’organizzazione comune è creata
invece per lo svolgimento di determinate fasi delle imprese stesse. Non è quindi adeguata una
disciplina che pretenda di trattare unitariamente i due diversi tipi di consorzio. Il collegamento con la
disciplina della concorrenza ha infatti senso per il primo tipo di consorzio ma non per il secondo in
quanto in tal caso siamo di fronte ad un fenomeno di cooperazione nell’esercizio dell’impresa. Nello
stesso modo l’eliminazione nel nuovo articolo 2602 del limite di durata ha senso con riferimento al
secondo fenomeno ma non al primo. Infatti rispetto ad un fenomeno di cooperazione tra imprenditori
operanti in settori economici diversi e diretto alla creazione di impianti comuni o alla realizzazione di
economie di spese i limiti legali non hanno ragione di essere e sono solo i consorziati a dover valutare
quale sia la loro convenienza. Per quanto riguarda la responsabilità l’attuale art. 2615 sottrae il
consorzio al regime di responsabilità proprio delle associazioni non riconosciute che prevede accanto
alla garanzia data dal fondo consortile la responsabilità solidale e illimitata delle persone che agiscono
a nome del consorzio stabilendo che il consorzio sia una organizzazione a responsabilità limitata e non
prevedendo nemmeno un ammontare minimo del fondo consortile. Per quanto riguarda la struttura
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consortile è previsto che essa possa assumere oltre che la forma del consorzio quella propria di altre
società (e anzi in alcuni casi deve per forza assumerla come nel caso dei consorzi agrari che sono
costituiti con la forma di società cooperativa). Per il resto la disciplina rimane quella originaria e
quindi si continuano a prevedere i controlli pubblici e la loro applicabilità anche ai consorzi costituiti
in forma di società.
107) Il codice dispone che per la costituzione (in qualunque forma avvenga) dei consorzi che possono
influire sul mercato dei beni in essi contemplati è necessaria l’approvazione dell’autorità governativa
e che l’attività dei consorzi (qualunque sia la loro influenza sul mercato) è soggetta alla vigilanza
dell’autorità governativa che ha il potere di scioglierne gli organi sostituendoli con un commissario
governativo o addirittura nei casi più gravi di sciogliere il consorzio stesso.
108) La qualità di imprenditore come presupposto della partecipazione al consorzio – La
partecipazione al contratto di consorzio richiede la qualità di imprenditore e tale requisito deve
permanere anche durante lo svolgimento del consorzio stesso. Se infatti uno dei contraenti cessa dalla
qualità di imprenditore nella categoria descritta nel contratto di consorzio viene meno la sua
partecipazione al consorzio stesso in quanto egli non ha più interesse a partecipare ad una
organizzazione che non lo riguarda. Pertanto nel contratto di consorzio sono previste cause di recesso
o di esclusione nel caso in cui tale evento si verifichi. In conseguenza dell’esercizio del recesso o della
esclusione il contratto si scioglie relativamente a quel consorziato permanendo invece tra gli altri. Se la
cessazione dell’esercizio dell’impresa da parte del consorziato è invece effetto del trasferimento ad
altri dell’azienda allora non si ha scioglimento del rapporto ma sostituzione dell’acquirente al
venditore. Solo in caso sussista una giusta causa (e limitatamente all’ipotesi di trasferimento per atto
tra vivi) gli altri consorziati possono deliberare entro un mese dal trasferimento l’esclusione
dell’acquirente dal consorzio.
109) Costituzione del consorzio – I consorzi volontari si costituiscono tramite contratto il quale ai
sensi del codice civile deve essere fatto per iscritto e a pena di nullità. Il contratto deve indicare: a)
l’oggetto e la durata del consorzio. Se la durata non è determinata il contratto si intende stipulato per
dieci anni salvo proroga b) la sede dell’ufficio c) gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati
d )le attribuzioni e i poteri degli organi consortili. Il codice non precisa espressamente quali debbano
essere gli organi consortili ma facendo riferimento al fatto che alcune decisioni debbano essere prese
con la maggioranza dei consorziati implicitamente prevede come organo del consorzio l’assemblea dei
consorziati. Accanto all’assemblea il contratto può prevedere altri organi amministrativi e di controllo
e prevederne le attribuzioni e i poteri – e) Le condizioni di ammissione di nuovi consorziati –
Normalmente il contratto di consorzio è un contratto aperto che consente la partecipazione di nuovi
contraenti. Tale partecipazione può avvenire però solo se prevista nel contratto che in tal caso deve
specificare i requisiti oggettivi e soggettivi della partecipazione. F) i casi di recesso e di esclusione. Non
possono essere disposti recesso e esclusione se il contratto non prevede tali ipotesi. G) le sanzioni per
gli inadempimenti degli obblighi dei consorziati - Si tratta di penali che vengono inflitte ai consorziati
inadempienti che possono essere inflitte solo se previste dal contratto- h) le quote dei singoli
consorziati o i criteri per la determinazione di essi. Tale determinazione è in genere affidata alla
volontà dei consorziati ma può essere rimessa nel contratto ad un organo consortile Le modificazioni
del contratto devono essere fatte anch’esse per iscritto a pena di nullità. Tale facoltà esula dalle
competenze degli organi consortili essendo possibile solo con il consenso di tutti i consorziati con
l’unica eccezione della trasformazione in società di capitali che deve essere assunta con la
maggioranza assoluta dei consorziati. La legge però prevede che il contratto stabilisca diversamente e
pertanto può essere demandato all’assemblea dei consorziati la facoltà di apportare modificazioni al
contratto con deliberazione a maggioranza semplice o qualificata.
110) Scioglimento del contratto .- Il contratto consortile si scioglie, oltre che per volontà unanime di
tutti i consorziati e per il decorso del tempo previsto per la sua durata o per le altre cause previste nel
contratto, per il conseguimento dell’oggetto o per l’impossibilità di conseguirlo, per deliberazione dei
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consorziati se sussiste una giusta causa o per provvedimento dell’autorità governativa nei casi previsti
dalla legge.
111) Consorzi con attività interna, cartelli, patti di concorrenza - Il consorzio può avere una funzione
solo interna e quindi riguardare unicamente i rapporti tra i consociati o può avere anche una funzione
esterna e quindi riguardare anche i rapporti tra consociati e terzi. Anche nel caso si tratti di consorzio
con attività solo interna esso non va confuso con i cartelli o i patti di concorrenza tra le imprese.
Effetto di queste ultime infatti è quella di creare per gli imprenditori solo una obbligazione negativa e
comunque anche se ad essi partecipano più imprenditori vengono a crearsi solo rapporti biliaterali tra
ciascun imprenditore e tutti gli altri. Il consorzio invece prevede la creazione di una organizzazione
unitaria che coordina l’attività di tutti i partecipanti e fissa direttive alle quali essi devono attenersi
motivo per cui l’eventuale obbligazione di non facere assunta dai partecipanti è solo effetto indiretto
dell’accordo. Inoltre l’obbligazione negativa di coloro che stipulano un patto di concorrenza o un
cartello è determinata fin dall’inizio mentre le limitazioni alla iniziativa economica derivanti dalla
creazione del consorzio non sono necessariamente determinate fin dall’inizio ma potranno dipendere
dalle direttive di volta in volta impartite dall’organizzazione consortile stessa.
112) Consorzi con attività esterna – Il consorzio con attività esterna come abbiamo detto ha rapporti
con i terzi e quindi si pone il problema di far conoscere ai terzi che trattano con il consorzio gli
elementi necessari per lo svolgimento del rapporto stesso e di attribuire al consorzio una autonomia
patrimoniale costituendo un fondo sul quale i terzi possano soddisfarsi per le obbligazioni assunte dal
consorzio stesso. A tali esigenze provvede la legge che da un lato impone la pubblicità del consorzio
stabilendo che essa debba essere attuata mediante il deposito del contratto e delle eventuali
modificazioni per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese, dall’altro prevede
l’indisponibilità del fondo consortile da parte dei singoli consorziati per tutta la durata del consorzio
sottraendolo così all’azione dei creditori particolari dei consorziati stessi. Il fondo consortile è
costituito dai contributi e dai beni acquistati con essi e costituisce oggi la sola garanzia per i creditori
del consorzio.
113) continua – obbligazioni del consorzio per conto dei singoli consorziati - Particolari principi
vigono per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati. La
disciplina prevede una deroga al principio generale per cui il terzo contraente non può agire nei
confronti dell’interessato in quanto in tema di consorzio si afferma la responsabilità del singolo
consorziato, solidalmente con il fondo consortile, nei confronti dei terzi e si stabilisce, in caso di
insolvenza del consorziato obbligato, la ripartizione del debito dell’insolvente tra tutti i consorziati in
proporzione della quota.
114) Consorzi costituiti in forma di società – Già prima della legge del1976 nella pratica si utilizzava
per la costituzione di consorzi la forma della società a responsabilità limitata o della società per azioni
sia per usufruire della loro forma di organizzazione sia per beneficiare della limitazione di
responsabilità. Ora la legge del 1976 prevede espressamente la responsabilità limitata al fondo
consortile e introduce la categoria delle società consortili stabilendo che esse siano costituite in forma
di società per azioni o responsabilità limitata (ma anche società in nome collettivo o in accomandita
semplice). Pertanto oggi la costituzione del consorzio in forma di società risponde piuttosto alla
esigenza di conferire al consorzio una maggiore credbilità nei rapporti con i terzi grazie
all’utilizzazione delle strutture organizzative societarie. Non si deve però dimenticare che anche se le
società consortili hanno la struttura organizzativa e il regime di responsabilità tipico delle società, a
differenza di queste non si propongono di realizzare attraverso l’organizzazione comune una attività
imprenditoriale né di realizzare uno scopo lucrativo ma piuttosto di risolvere, attraverso tale
organizzazione comune, problemi economici o tecnici che i singoli consorziati non potrebbero
risolvere individualmente. Pertanto l’organizzazione comune creata dalle società consortili è uno
strumento per realizzare interessi propri di ciascun consorziato. Ne risulta una situazione per cui
anche se la struttura organizzativa è quella di una società la società consortile ha la disciplina propria
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del consorzio tanto è vero che il passaggio da società consortile a società non consortile o viceversa è
qualificato come trasformazione anche se in realtà in questo caso siamo in assenza di una
modificazione della struttura organizzativa. Quanto sopra è confermato anche dal fatto che la legge
estende anche alle società consortili la vigilanza da parte dell’autorità governativa. Pertanto saranno
applicabili alle società consortili principi propri delle società per quanto riguarda la convocazione
delle assemblee, il calcolo delle maggioranze o il funzionamento degli organi e soprattutto per lo
svolgimento dell’attività esterna ma i poteri degli organi nei rapporti tra in consorziati saranno quelli
derivanti dal contratto.
115) Il Gruppo Europeo di interesse economico - Una particolare forma di consorzio è la nuova forma
organizzativa rappresentata dal Gruppo Europeo di interesse economico (GEIE) prevista dal
regolamento europeo. La funzione del GEIE è quello di costituire uno strumento per la cooperazione
tra operatori economici appartenenti a diversi stati membri della comunità, migliorando e agevolando
la loro attività . L’attività del Geie si pone quindi come ausiliaria rispetto all’attività economica dei suoi
membri e non ha lo scopo di realizzare profitti per sé stesso. Se per tale verso il GEIE si assimila al
consorzio non mancano differenze nella disciplina. In primo luogo è diverso il regime della
responsabilità in quanto per il GEIE si prevede la responsabilità solidale ed illimitata di ogni membro
per le obbligazioni assunte dal GEIE stesso. Diverso è anche il procedimento di costituzione in quanto
il consorzio si costituisce con il contratto avendo l’iscrizione nel registro funzione soltanto dichiarativa
mentre per il GEIE l’iscrizione al registro delle imprese ha efficacia costitutiva.. Inoltre il GEIE rispetto
al consorzio ha una struttura più rigida e meno rimessa alle scelte contrattuali tra le parti in quanto
sono previsti sia un organo amministrativo che l’assemblea dei membri, viene dettata una disciplina
del potere di rappresentanza degli amministratori, sono previsti obblighi particolari di tenuta di
contabilità, e sono estesi agli amministratori e liquidatori del GEIE le previsioni penali del codice civile
in materia di reati societari.
116) Le reti di imprese – Su un piano omogeneo con il consorzio si pone la figura delle reti di imprese,
che si hanno quando due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività
economiche rientranti nei loro oggetti sociali allo scopo di accrescere la loro capacità innovativa e la
loro competitività sul mercato. Dal punto di vista giuridico questa figura è assimilabile al consorzio in
quanto le indicazioni richieste per il contratto coincidono con quelle richieste per la costituzione del
consorzio e sono applicabili al fondo patrimoniale comune le disposizioni relative al fondo consortile.
117) Le associazioni temporanee e i raggruppamenti di imprese – Su un piano operativo simile a
quello del consorzio e del GEIE ma da essi giuridicamente distinto è il fenomeno che va sotto il nome di
associazioni temporanea o raggruppamento di imprese. SI tratta di una ipotesi in cui pur essendo il
contratto di concessione unitario e quindi riguardante l’opera nella sua totalità in esso è previsto che
la sua esecuzione è attuata da imprese diverse in relazione alla diversa natura dei lavori o alle diverse
parti dell’opera, utilizzando le singole imprese nel settore in cui esse sono specializzate. In questo
modo si mira a favorire l’unione di più operatori economici associando mezzi tecnici di diversa
provenienza e specifiche capacità per l’esecuzione di un unico contratto. Il fenomeno per quanto
riguarda l’ente concedente o appaltante può assumere due diversi atteggiamenti: a) le imprese
assumono congiuntamente la esecuzione dell’intera opera e quindi la distribuzione dei compiti tra di
esse ha carattere interno e non rileva nei confronti dell’ente concedente ed appaltante (ipotesi
utilizzata nel campo della ricerca di idrocarburi). B) il contratto di concessione viene stipulato con
l’ente concedente da una sola impresa (impresa pilota) mentre le altre imprese rispondono
solidalmente con l’impresa pilota nei confronti dell’ente concedente ma solo per i lavori o le opere di
loro competenza (utilizzata nel campo degli appalti di opere pubbliche). Per quanto riguarda la
qualificazione giuridica del fenomeno il raggruppamento di imprese è al di fuori del consorzio anche se
ne presenta un carattere fondamentale ossia il fatto di lasciare autonome le singole imprese e la loro
attività e quindi potrebbe essere inquadrato nella sfera dei contratti associativi e precisamente delle
società occasionale (o unius negotii) le quali non sono società nel senso del codice.
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Capitolo VII L’AZIENDA
118) Nozione giuridica - L’azienda è, ai sensi dell’art. 2555 cc, il complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore e pertanto possiamo dire che l’attività dell’imprenditore si realizza mediante la
combinazione dei beni (e quindi l’azienda) in funzione di uno scopo produttivo. L’azienda è quindi
una combinazione di beni che conservano la loro individualità ma in qualche modo sono unificati
dall’unitarietà della loro destinazione. Per quanto riguarda gli elementi costitutivi dell’azienda la
dottrina è divisa.. Infatti per alcuni possono ritenersi tali solo le cose in senso proprio di cui
l’imprenditore si avvale per l’esercizio dell’impresa mentre per altri devono ritenersi tali anche i
rapporti contrattuali stipulati per l’esercizio dell’impresa e anche i crediti verso clienti e i debiti verso
fornitori. La seconda tesi non è accettabile in quanto la legge considera espressamente l’azienda come
un complesso di beni e inoltre il passaggio dei crediti, dei debiti e dei rapporti contrattuali nell’ipotesi
di trasferimento della titolarità o del godimento dell’azienda avviene, come vedremo, su altre basi.
Altra parte della dottrina considera invece l’azienda come bene immateriale con riferimento
all’organizzazione dell’imprenditore ma anche tale tesi non è accettabile in quanto per la legge
l’azienda è il complesso di beni destinati all’esercizio dell’impresa e non l’organizzazione intesa come
attività creativa da parte dell’imprenditore.
119) Riflessi giuridici dell’attività aziendale: avviamento, frutti, miglioramenti, amministrazione e
conservazione – L’unità funzionale dell’azienda ha una rilevanza giuridica sotto diversi aspetti. Sotto
un primo aspetto osserviamo che il fatto che l’azienda sia caratterizzata da un complesso di beni
organizzati in funzione di uno scopo produttivo ci induce a considerare che tale complesso di beni
abbia un valore maggiore rispetto ai beni singolarmente considerati. Tale maggior valore che i beni
aziendali acquistano grazie all’organizzazione prende il nome di avviamento. L’avviamento ha un
fondamento soggettivo in quanto è inerente alla capacità dell’imprenditore e un fondamento oggettivo
in quanto è inerente agli elementi dell’azienda e anche alla situazione locale in cui l’attività si svolge.
Il nostro ordinamento fornisce all’avviamento una tutela soprattutto indiretta attraverso la tutela
dell’attività dell’imprenditore (repressione della concorrenza sleale). attraverso la tutela dei segni
distintivi e soprattutto in sede di cessione dell’azienda o del godimento di essa, attraverso l’obbligo
imposto al cedente di non concorrenza.. Nel nostro ordinamento manca invece una tutela diretta
dell’avviamento ad eccezione del riconoscimento di un limitato diritto ad un compenso per l’aumento
di valore apportato ai locali dallo svolgere in essi una attività imprenditrice. Sotto un altro aspetto
occorre osservare che i beni che formano l’azienda non possono essere sottratti, se non per volontà
dell’imprenditore, alla loro destinazione funzionale. Ciò in quanto come la destinazione ad una
funzione unitaria è opera dell’imprenditore così solo per volontà dello stesso i beni possono essere
sottratti alla loro destinazione funzionale o può essere addirittura eliminato il complesso aziendale.
120) I beni singoli nel complesso aziendale: capitale fisso e capitale circolante - L’azienda è costituita
da una pluralità di beni eterogenei, mobili o immobili, materiali o immateriali e non è necessario che
tali beni siano di proprietà dell’imprenditore ma è sufficiente che egli ne abbia il solo godimento.
Soltanto con riferimento alla destinazione economica è possibile fare una distinzione, nell’ambito di
una azienda, tra beni principali e beni accessori e quindi beni che hanno in una azienda una funzione
prevalente possono avere in un’altra azienda una funzione accessoria. Il valore dei singoli beni quindi
è calcolato in base al rilievo che essi assumono per l’attuazione dello scopo produttivo dell’impresa e
quindi è possibile che beni immobili siano in posizione di accessorietà rispetto a beni mobili o a beni
immateriali. Una distinzione che viene fatta tra i beni di una azienda è quella tra capitale fisso e
capitale circolante. Il capitale fisso è formato da quei beni che hanno funzione strumentale nel
processo produttivo e quindi hanno una destinazione duratura nel complesso aziendale (impianti,
arredamenti, macchinari) mentre il capitale circolante è costituito da quei beni che sono destinati ad
essere consumati nel processo produttivo (materie prime, merci, ecc).
121) Gli atti di disposizione dell’azienda - L’azienda può formare oggetto di disposizione così come
possono formare oggetto di disposizione i singoli beni di cui essa si compone. Si ha disposizione
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dell’azienda ogni volta che per la continuazione dell’attività imprenditrice un altro soggetto dispone
del complesso dei beni aziendali. In questo caso non si ha successione nell’impresa in quanto si
configura la cessazione dell’attività imprenditrice da parte di un soggetto e inizio di tale attività di un
altro soggetto per effetto rispettivamente della dismissione e dell’acquisto del complesso aziendale. Gli
atti di disposizione dell’azienda sono soggetti sotto certi aspetti ad una disciplina giuridica propria in
quanto possono ad esempio assumere rilievo a livello di concentrazione (se comportano l’acquisto di
una posizione dominante sul mercato interno o su quello comunitario) o al livello delle relazioni
industriali (e quindi richiedere una preventiva comunicazione ai sindacati ed un obbligo di esame
congiunto con essi). Ciò naturalmente non esclude l’applicazione che riguardano i singoli beni di cui
l’azienda si compone ma tali norme si applicano solo se non incompatibili con la disciplina propria
dell’azienda. Principi particolari sono posti circa la prova e la pubblicità e circa gli effetti sostanziali
dell’atto. Gli atti di trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda devono essere provati
per iscritto e iscritti nel registro delle imprese e tale requisito è richiesto ad probationem e non ab
sustantiam e il valore della pubblicità resta quello tipico del registro delle imprese e cioè di pubblicità
dichiarativa. Gli atti di trasferimento dell’azienda producono i seguenti effetti naturali : a) l’obbligo del
cedente di astenersi da una attività imprenditrice idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta b) la
successione da parte dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione facenti capo all’azienda.
Naturalmente si tratta di effetti naturali che pertanto possono essere eliminati attraverso una apposita
pattuizione tra le parti.
122) L’’obbligo di non concorrenza – Il divieto di concorrenza è posto a carico del venditore nei
confronti dell’acquirente o del titolare dell’azienda nei confronti dell’usufruttuario o affittuario. Tale
obbligo non è illimitato e pertanto in caso di alienazione è di cinque anni mentre in caso di usufrutto o
affitto ha come limite la durata del contratto di usufrutto o di affitto e dal punto di vista spaziale si
estende all’ambito territoriale nel quale sarebbe possibile una effettiva concorrenza. Trattandosi di un
effetto naturale (che quindi ha fondamento nella legge e non nella volontà delle parti) il divieto di
concorrenza sussiste sia nella vendita volontaria che in quella forzata o fallimentare e comporta che
non possa esercitarsi una impresa idonea a determinare sviamento della clientela dell’azienda ceduta.
La violazione del divieto comporta le conseguenze tipiche dell’inadempimento contrattuale:
risarcimento del danno ed eventuale risoluzione del contratto.
123) Successione nei contratti - La successione ipso iure dei rapporti contrattuali riguarda i contratti
stipulati per l’esercizio dell’impresa che siano ancora in corso e che non abbiano carattere personale (
e quindi basati sull’intuitus personae) e si attua indipendentemente dal consenso o autorizzazione del
contraente ceduto. Quest’ultimo ha tuttavia la facoltà di recedere dal contratto quando ricorra una
giusta causa entro i tre mesi successivi alla notizia dell’alienazione. La dichiarazione di recesso
ovviamente non ha l’effetto di impedire la successione dell’acquirente nel rapporto contrattuale ma
solo di eliminarne gli effetti attraverso la recessione dal contratto da parte del contraente ceduto. La
giusta causa ricorre ogniqualvolta per effetto della sostituzione dell’acquirente al venditore viene a
determinarsi un mutamento nella situazione oggettiva tale che il contraente non avrebbe stipulato il
contratto o lo avrebbe stipulato a condizioni diverse. La legge inoltre consente al contraente ceduto
che eserciti il diritto di recesso anche la facoltà di chiedere il risarcimento del danno all’alienante.
124) Sorte dei debiti e dei crediti - Al trasferimento dell’azienda possono riconnettersi anche la
cessione dei crediti o l’accollo dei debiti inerenti all’azienda stessa Tuttavia cessione e accollo non
sono effetti legali (sia pure naturali) del trasferimento dell’azienda o del suo godimento ma sono
conseguenza di una particolare pattuizione tra le parti al momento del trasferimento. Infatti anche se
una parte della dottrina ha sostenuto la possibilità di far derivare dal trasferimento dell’azienda, come
effetto legale (naturale) la cessione dei crediti ciò non è condivisibile in quanto manca una
disposizione di legge che stabilisca ciò e quindi la cessione dei crediti non potendo basarsi sulla legge
deve per forza basarsi sulla volontà delle parti. La legge infatti si limita a stabilire che non è necessaria
la notificazione ai singoli debitori in quanto la cessione dei crediti, qualora sia pattuita, acquista
efficacia nei confronti di terzi con l’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese
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fermo restando che il debitore è liberato se paga in buona fede all’alienante. Stessa cosa si può dire per
i debiti in quanto non esiste una norma dalla quale possa desumersi come effetto naturale del
trasferimento l’accollo dei debiti da parte dell’acquirente. La legge si limita a stabilire che qualora tra
le parti intervenga un accollo lo stesso ha carattere cumulativo e non privativo e quindi l’alienante non
è liberato ma è solidalmente responsabile con l’alienante per i debiti risultati dai libri contabili
obbligatori. Vediamo quindi come la norma si disinteressa dal regolare i rapporti tra le parti
preoccupandosi unicamente della posizione dei terzi. Infatti proprio a tutela dei terzi si impone
all’acquirente la responsabilità alla quale si aggiunge la responsabilità dell’alienante qualunque siano i
patti intervenuti tra le parti. Ne consegue che l’acquirente, pur in mancanza di accollo dei debiti è
tenuto a pagare i creditori dell’alienante che si trovano nelle condizioni richieste dalla legge salvo il
diritto di ripetizione verso quest’ultimo per le somme versate. Naturalmente questa responsabilità
posta dalla legge può indurre l’acquirente all’accollo dei debiti ma tale accollo è comunque frutto di
una volontà in questo senso e non conseguenza automatica del trasferimento dell’azienda. La
responsabilità dell’acquirente disposta ex lege anche in mancanza di un patto di accollo è relativa ai
debiti risultanti dai libri contabili obbligatori (anche se non regolarmente tenuti), dai rapporti di
lavoro e dai debiti di imposta.
Parte SECONDA : LE SOCIETA’
Capitolo I – Concetti Generali
125) La società come forma di esercizio collettivo dell’impresa - società e comunione contrattualeNel sistema del codice vigente la società è una forma di esercizio collettivo dell’impresa e questo
stretto collegamento tra società ed impresa ci fa comprendere come la società, pur nascendo da un
contratto, non è mai soltanto un contratto. Essa è piuttosto una organizzazione di persone e beni per il
raggiungimento di uno scopo produttivo, organizzazione che se non sempre costituisce una persona
giuridica comunque assume una propria autonomia rispetto ai soci che la hanno creata e ai loro
patrimoni. Esulano pertanto dal concetto di società così come è concepita nell’ordinamento vigente e
rientrano invece nella disciplina della comunione, le forme di godimento collettivo di beni. La
differenza tra società e comunione sta nel fatto che quest’ultima, anche quando si pone come
comunione contrattuale, ha come oggetto il godimento dei beni secondo la loro destinazione
economica mentre la società ha per oggetto l’esercizio di una attività economica a scopo speculativo.
La società quindi è organizzazione attiva che si propone la realizzazione di un guadagno mentre la
comunione è un organismo che si accontenta del godimento dei frutti. La legge quindi distingue
espressamente tra comunione di azienda e società prevedendo la trasformazione di società di capitali
in comunione di azienda e viceversa differenziando l’ipotesi in cui l’azienda è solo oggetto di
godimento comune (perché ad esempio data in affitto ad altri) o invece strumento per l’esercizio in
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comune dell’impresa. Se invece, per effetto di successione ereditaria o di un acquisto in comune, una
azienda viene ad avere più coeredi o co-acquirenti i quali non si limitano al suo godimento ma
esercitano in comune una attività imprenditoriale, dalla comunione incidentale sorge la società. Per
effetto dell’esercizio dell’attività speculativa in comune infatti viene a modificarsi il rapporto tra
coeredi o co-acquirenti ed alla comunione incidentale viene a sostituirsi, sia pure tacitamente la
società. Infatti il godimento di beni si può attuare in comune anche al di fuori di ogni vincolo
contrattuale mentre l’esercizio di una impresa non può essere effettuato in comune se non in base ad
un preciso accordo, sia esso tacito o espresso.
126) La comunione coniugale di impresa - Il criterio di differenziazione che abbiamo stabilito sopra
tra società è comunione può essere messo in dubbio dall’esistenza di un fenomeno che si inserisce
come intermedio tra società e comunione di godimento. Tale fenomeno è la comunione coniugale di
impresa che è costituita dalle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio . Si
tratta naturalmente di un fenomeno marginale che, presupponendo la gestione diretta e
contemporanea di entrambi i coniugi, è configurabile solo nell’ambito della piccola impresa ma che
pone qualche problema di interpretazione. E’ fuori dubbio tuttavia che la comunione coniugale di
impresa non sia configurabile come società in quanto la legge regola la responsabilità patrimoniale di
essa in maniera non conciliabile con quella prevista per la società semplice Infatti la legge prevede la
possibilità dell’intervento del giudice e prevede che sui beni della comunione possano soddisfarsi
anche i creditori per le obbligazioni contratte congiuntamente dei soci o assunte da uno solo di essi
purchè nell’interesse della famiglia. Occorre rilevare che la comunione coniugale di impresa è un
istituto che non appartiene al dritto patrimoniale come le società e le comunioni ma al diritto di
famiglia e quindi risente di tale collocazione e quindi, in funzione dell’ambiente particolare in cui
sorge, non sono applicabili ad essa i criteri posti dalla legge per disciplinare gli istituti di diritto
patrimoniale. Infatti trattandosi di istituto di diritto familiare sono rilevanti il criterio di parità dei
coniugi anche in ordine ai risultati economici che derivano dalla loro attività in comune e l’interesse
della famiglia e questo spiega perché la legge preveda l’intervento del giudice a sanare i dissensi dei
coniugi e il concorso sul patrimonio coniugale dei creditori il cui titolo è in funzione di obbligazioni
assunte da entrambi i coniugi o da uno solo di essi nell’interesse della famiglia. In questo modo si
spiega anche perché con riferimento alla impresa coniugale non siano utili i criteri posti per
distinguere la società dalla comunione. Occorre però puntualizzare che di impresa coniugale può
parlarsi solo in caso di attività economica esercitata di fatto da entrambi i coniugi e non quando la
gestione in comune di una attività economica sia il frutto di un previo accordo contrattuale tra i
coniugi stessi.
127) Le società di armamento - Nella categoria delle comunioni contrattuali di godimento va invece
collocata la società di armamento. Oggetto di questa società è l’esercizio in comune della nave da parte
dei comproprietari di essa. Il fatto che la società di armamento rientri nella comunione e non nella
società è dimostrato dal fatto che la legge prevede che possano far parte della società di armamento
solo i comproprietari e che la società di armamento possa essere costituita anche con deliberazione
della sola maggioranza dei comproprietari che ha effetto anche per i comproprietari dissenzienti.
Questa partecipazione automatica dei comproprietari dissenzienti può giustificarsi infatti solo in base
ai principi della comunione che rendono vincolante per la minoranza dissenziente le deliberazioni
prese dalla maggioranza nell’amministrazione della cosa comune. Ovviamente la società di
armamento sussiste nell’aver per oggetto l’esercizio della nave ossia il godimento della cosa comune
secondo la sua destinazione economica. Se invece l’esercizio della nave è un mezzo per l’esercizio di
una attività imprenditrice allora viene a mancare ogni possibilità da parte della maggioranza di
vincolare la minoranza dissenziente e nel caso in cui siano tutti d’accordo a gestire l’impresa accanto
alla società di armamento sorge una società vera e propria la cui disciplina deve ricavarsi dal codice
civile e non dal codice della navigazione. In sostanza le norme del codice di navigazione per la società
di armamento e quelle del codice civile per le società hanno un ambito di applicazione diverso,
riguardando le prime l’esercizio in comune di una nave e le seconde l’esercizio in comune di una
impresa economica.
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128) Le società di professionisti – Sono abbastanza diffusi fenomeni di collaborazione stabile tra i
professionisti nei quali pur rimanendo l’esercizio della professione un fatto individuale si mettono in
comune i mezzi e i risultati e si creano tra i professionisti stessi fenomeni associativi nell’esercizio
della professione. Questi fenomeni vengono definiti come società di professionisti ma non è possibile
inquadrarli nella nozione di società configurata dal codice civile. Infatti non siamo in presenza di un
fenomeno che utilizza il lavoro intellettuale dei soci per raggiungere un fine economico che
rappresenta l’oggetto della società ma di un fenomeno in cui il lavoro intellettuale dei soci è l’oggetto
esclusivo del fenomeno associativo che si realizza per l’esercizio in comune di una professione liberale.
Si tratta certamente di un fenomeno diretto alla realizzazione di un risultato economico non
conseguibile con l’esercizio individuale della professione ma tale risultato economico non è diverso da
quello risultante dalla professione ma risulta solo incrementato dall’esercizio in comune che consente
di conservare quella redditività e quel valore economico che potrebbero perdersi nell’esercizio
individuale della professione. E’ chiaro quindi come la società di professionisti non può essere
inquadrata, anche se parte autorevole della dottrina sostiene il contrario, nel fenomeno societario. Del
resto basta pensare al fatto che la disciplina societaria assegna agli amministratori e non ai soci i
poteri e le responsabilità relative all’esercizio dell’azione sociale mentre nelle società di professionisti
il principio base è quello per cui chi esercita una professione intellettuale deve eseguire
personalmente l’incarico assunto anche se può avvalersi, sotto la sua direzione e responsabilità, di
aiutanti o sostituti, e deve ricevere un compenso adeguato all’importanza della sua professione. Tali
principi non possono ovviamente essere salvi se alla società di professionisti applicassimo la disciplina
della società che, in funzione della comunione di interessi patrimoniali, degrada la posizione dei singoli
soci togliendo loro autonomia.
129) Le società consortili – Vedi quanto detto al punto 114)
130) Le società sportive - La legge impone a tutte le associazioni sportive che impiegano atleti
professionisti la forma della società per azioni o della società a responsabilità limitata con alcune
modificazioni nella disciplina sia per quanto riguarda la posizione dei soci che la struttura della
società. Sotto il primo aspetto la legge impone che una quota degli utili non inferiore al dieci per cento
sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnica. Sotto il secondo aspetto la
legge stabilisce che al fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, al sistema dei
controlli previsti dal codice civile si aggiungano altri controlli da parte di federazioni sportive delegate
dal Coni. Inoltre in sede di costituzione è necessaria l’affiliazione ad una federazione sportiva
nazionale riconosciuta dal Coni, condizione che costituisce un presupposto necessario per la
costituzione della società e inoltre è necessario il deposito presso la federazione sportiva affiliante
dell’atto costitutivo iscritto nel registro delle imprese in quanto senza di esso l’affiliazione non può
produrre i suoi effetti e la società sportiva non può iniziare la sua attività.
131) Le cosiddette società occasionali - Non rientrano nella nozione legislativa di società le società
occasionali, costituite cioè non per lo svolgimento in comune di un attività economica ma per il
compimento in comune di un singolo atto. E’ evidente infatti che il compimento di un atto singolo non
può equivalere all’esercizio di attività economica e che inoltre il collegamento nel nostro ordinamento
della società all’impresa non consente di ricomprendere la società occasionale nell’ambito della
nozione legislativa di società.
132) Società interne e società non manifeste- La società apparente - Le società interne sono quelle in
cui l’oggetto della società si esaurisce nel regolamento dei rapporti tra soci (es. ripartizione delle spese
di produzione) e che quindi non prevedono una azione esterna da parte della società. Dobbiamo
ritenere che le società interne esulano dalla nozione di società dato che nel nostro ordinamento ha
rilevanza essenziale come requisito della società l’esercizio in comune di una attività e che pertanto ad
esse non sia applicabile la disciplina prevista dal codice per la società. Le società non manifeste (o
occulte) sono quelle che pur proponendosi l’esercizio di una attività economica esterna, esercitano tale
attività non sotto una ragione sociale ma sotto il nome di un socio o di un estraneo in modo tale che
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l’impresa si manifesta all’esterno come impresa individuale e non sociale. Le società non manifeste
rientrano invece nel concetto di società in quanto l’art. 2247 cc non richiede espressamente la
necessità di una azione sociale esterna e pertanto vi è società anche quando i soci esercitano l’attività
in comune avvalendosi di una persona che svolge tale attività all’esterno sotto il proprio nome. Posto
questo però sorge il problema dello sdoppiamento che si determina tra rapporti interni, dove
l’impresa è sociale, e i rapporti esterni dove l’impresa è individuale. Il problema sorge naturalmente
solo quando la società occulta diviene palese e quindi quando l’impresa che si presenta come
individuale si rivela come impresa sociale al fine di stabilire se la responsabilità che grava sui soci per
le obbligazioni della società nella società palese grava anche sui soci della società occulta quando
questa si rivela. Il problema può essere risolto nel modo utilizzato per l’imprenditore occulto e quindi
in base alla distinzione tra l’agire per mezzo di altri o l’agire sotto nome altrui. Ne deriva quindi che la
società occulta occupa la stessa posizione dell’imprenditore occulto così come colui per mezzo del
quale la società agisce occupa la stessa posizione dell’imprenditore palese cioè di prestanome. Con la
conseguenza che quest’ultimo risponde nei confronti dei terzi ed è tenuto all’esecuzione delle
obbligazioni assunte dalla società per suo tramite e ha diritto a rivalersi sulla società finchè essa
rimane occulta mentre una volta che la società diventa palese essa può agire direttamente e può
essere direttamente perseguita con la conseguenza che i soci saranno responsabili per le obbligazioni
sociali e sarà possibile dichiarare il fallimento della società e in conseguenza anche quello dei soci. La
società apparente si ha invece quando più soggetti che non sono legati da alcun contratto sociale
operano all’esterno in modo tale da determinare nei terzi il convincimento che essi agiscano come soci
con la conseguenza di determinare nei terzi stessi un legittimo affidamento sulla esistenza della
società e sulla conseguente responsabilità dei soci apparenti. Tale figura però è difficilmente
accettabile in quanto non può essere sufficiente l’opinione soggettiva dei terzi per far sorgere una
società e del resto si porrebbero difficili problemi in quanto manca la possibilità di distinguere tra i
terzi il cui affidamento può essere ritenuto ragionevole e quindi possano essere ritenuti in buona fede
e i terzi che invece conoscano esattamente la inesistenza del rapporto sociale.
133) La nozione giuridica di società: elemento negoziale ed elemento organizzativo - Nel nostro
ordinamento non esiste una società in generale ma esistono differenziati tipi di società che hanno in
comune l’elemento negoziale, quello cioè di nascere da un contratto giuridico ma hanno un differente
elemento organizzativo a seconda delle particolari caratteristiche che la loro organizzazione assume.
134) La società come contratto: principi generali - In via di principio quindi alla base della società sta
un contratto e precisamente un contratto plurilaterale e pertanto come contratto il negozio costitutivo
delle società è soggetto alla disciplina generale in tema di contratto per quanto riguarda la capacità
delle parti, i requisiti, la interpretazione e gli effetti. Occorre però considerare che nella società le
varie obbligazioni sono assunte dai soci in funzione del raggiungimento dello scopo prefisso e pertanto
l’obbligazione di un socio non costituisce il corrispettivo della obbligazione degli altri ma insieme a
queste il mezzo per la realizzazione dello scopo comune. Pertanto il socio non può rifiutare
l’adempimento della propria obbligazione se non quando l’inadempimento dell’altro socio abbia
determinato la impossibilità del raggiungimento dello scopo comune e nello stesso modo il contratto
di società non viene meno per effetto dell’uscita di un socio se non quando per tale motivo sia
compromesso lo scopo sociale. Nell’ambito dei contratti plurilaterali la società si caratterizza in base
ai requisiti essenziali richiesti dall’art. 2247 che sono : a) il conferimento b) l’esercizio in comune di
una attività economica c) la divisione degli utili.
135) a) il conferimento – La società non può esistere senza la costituzione di un fondo sociale . Infatti
con la stipulazione del contratto di società ciascun contraente si obbliga a contribuire alla formazione
di un fondo sociale mediante una prestazione di dare o di fare. Il fondo assolve pertanto alla funzione
di permettere la formazione di un patrimonio della società indispensabile per lo svolgimento
dell’attività in comune. Il fondo sociale è costituito mediante il conferimento dei soci e quindi non vi è
contratto di società se i soci non conferiscono e non vi è acquisto della qualità di socio senza
conferimento. Non è necessario che il conferimento sia in denaro in quanto possono essere conferiti
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crediti o altri beni, l’uso di questi o anche la propria attività lavorativa (una limitazione si può avere in
base al tipo di società prescelto: es. nelle società per azioni è escluso che il conferimento possa
consistere nella attività lavorativa del socio). Il conferimento deve essere determinato nel contratto
per le società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, per azioni e a responsabilità
limitata e in questo caso il socio è obbligato al conferimento assunto e solo a questo e quindi se i
conferimenti risultano insufficienti o vanno perduti il socio non è tenuto a nuovi conferimenti. Se non
viene stabilito nulla in merito il conferimento deve essere fatto in denaro e se nel contratto non vi sono
elementi per la sua determinazione esso deve intendersi in parti uguali per tutti i soci. La natura della
prestazione che costituisce oggetto del conferimento ovviamente determina la disciplina applicabile in
mancanza di espressa disposizione. Quindi ad esempio se si conferisce la proprietà di una cosa la
disciplina del conferimento sarà quella della vendita mentre se si conferisce un credito sarà quella
della cessione dei crediti fatte salve le modificazioni derivanti dalle norme sulla società che prevalgono
in caso di incompatibilità. Per i conferimenti in natura deve essere indicato nel contratto il valore ad
essi attribuito o il modo di valutazione fermo restando che per le società di capitali è richiesta una
perizia giurata che attesta l’effettivo valore del bene e per le società per azioni anche un controllo da
parte degli amministratori.
Nella società semplice la valutazione dei conferimenti non è
espressamente richiesta e quindi se essa non viene fatta nel contratto la ripartizione degli utili e delle
perdite deve farsi in parti uguali tra i soci.
b) l’esercizio in comune di una attività economica - Il secondo requisito richiesto è l’esercizio in
comune di una attività economica e pertanto non rientrano nel contratto di società i contratti posti in
essere per lo svolgimento in comune di una attività culturale o assistenziale anche se dai contratti
stessi deriva l’obbligo di un conferimento e della creazione di un fondo comune o i contratti posti in
essere per il godimento in comune di un bene. Infatti non è sufficiente che dal contratto derivino
rapporti patrimoniali tra i soci ma occorre anche che l’oggetto della società abbia un contenuto
economico. E’ anche necessario che l’attività economica sia esercitata in comune e comunanza
dell’attività non è solo il fatto che il risultato viene perseguito congiuntamente ma anche comunanza
della volontà dell’azione. E’ necessario quindi che nel momento deliberativo il socio abbia il potere di
determinare l’attività; in caso contrario non si ha società anche se per le società per azioni la legge
consente la creazione di partecipazioni sociali prive del diritto di voto.
c) La divisione degli utili – Terzo requisito essenziale per la società è la divisione degli utili e pertanto
non sono società quei contratti associativi dove i risultati dell’attività economica sono devoluti a
persone diverse dai soci (es. a scopo di beneficenza) Tale requisito deve però essere inteso nel senso
che la attività economica da esercitare in comune deve avere almeno astrattamente la capacità di
produrre nuova ricchezza e che gli incrementi prodotti siano necessariamente di spettanza dei soci. E’
necessario quindi che dall’esercizio collettivo della società consegua un utile e che a questo utile il
socio partecipi comunque siano fissati i criteri e le modalità di partecipazione. Ne deriva che il
risultato dell’attività sociale deve andare a beneficio di tutti i soci e non di alcuni soltanto anche se ciò
non significa che tutti i soci debbano parteciparvi in uguale misura né che debba esistere
necessariamente una proporzione tra conferimento e partecipazione agli utili. In generale il principio
fondamentale è che la partecipazione agli utili sia proporzionata ai conferimenti ma il contratto
sociale può stabilire diversamente fermo restando il divieto del patto leonino e cioè del patto per
effetto del quale un socio sia escluso dalla partecipazione agli utili. Il divieto del patto leonino si
estende anche al caso in cui la partecipazione del socio sia irrisoria o costituisca una pura possibilità
essendo praticamente irrealizzabile.
138) La partecipazione alle perdite - Nella nozione legislativa del contratto di società non si parla
della partecipazione del socio alle perdite ma essa può essere desunta da singole disposizioni come
contropartita della partecipazione agli utili. La legge vieta espressamente la esclusione di un socio
dalle partecipazioni alle perdite. Non si può pertanto dire che la partecipazione alle perdite sia
elemento essenziale del contratto di società e si deve ritenere che il divieto del patto che esclude il
socio dalla partecipazione alle perdite trovi il suo fondamento in ragioni di ordine morale o politico.
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139) Le società come organizzazioni: differenziazione in tipi - I tipi di società costituiscono un numero
chiuso e quindi si deve ritenere che non possono crearsi tipi nuovi e non possono essere modificati o
soppressi i caratteri che di ciascun tipo sono essenziali. La scelta del tipo è rimessa alla volontà delle
parti con il solo limite che le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività commerciale
devono costituirsi secondo il tipo delle società in nome collettivo, in accomandita (semplice o per
azioni), a responsabilità limitata o per azioni e quindi non come società semplice (tranne per quello
che riguarda il settore agricolo). Per le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività che non
può essere classificata come commerciale se all’atto della costituzione i soci non manifestianola
volontà di costituire la società secondo uno dei tipi previsti dalla legge abbiamo una società semplice.
Se invece tale volontà sussiste la società è soggetta alla disciplina del tipo adottato purché siano stati
posti in essere i requisiti formali richiesti per la sua costituzione (es. se si vuole costituire una società
in nome collettivo non basta dichiararlo nell’atto costitutivo ma occorre procedere all’iscrizione). Per
alcune categorie di imprese la legge richiede l’adozione di un determinato tipo (es. le assicurazioni
private o l’attività bancaria può essere svolta solo dalle società per azioni o da società cooperative per
azioni e pertanto se viene adottato un tipo diverso saranno applicabili le sanzioni amministrative
previste tra le quali la liquidazione coatta amministrativa della società ma nessun problema sorge
circa la validità della società).
140) Tipi di società e tipi di organizzazione - I diversi tipi di società si caratterizzano principalmente
per l’organizzazione interna della società e per il diverso regime di responsabilità dei soci per le
obbligazioni sociali. Può accadere che l’organizzazione giuridica sia simile pur essendo diversa la
responsabilità dei soci o può essere diversa quando tale regime è simile (es. la società in nome
collettivo e in accomandita semplice hanno una organizzazione giuridica simile ma un regime diverso
di responsabilità mentre è diversa l’organizzazione giuridica delle società per azioni e delle società a
responsabilità limitata che hanno invece un analogo regime di responsabilità dei soci). Il sistema del
codice è basato sulla contrapposizione tra due modelli diversi, quello delle società di persone e quello
delle società di capitali. Nel primo caso la società è organizzata giuridicamente in funzione della
persona del socio, nel secondo in funzione della quota di partecipazione del socio. Nel primo caso la
posizione del socio nella società (e quindi i suoi poteri e i suoi diritti) è attribuita in funzione della sua
persona con la conseguenza che alcuni soci possono avere la stessa posizione pur avendo conferito
apporti diversi. Nel secondo caso la posizione del socio nella società è attribuita in funzione della quota
di partecipazione in modo tale che a quote di partecipazioni uguali corrispondono diritti e poteri
uguali. In questo quadro occorre segnalare la particolare collocazione delle società a responsabilità
limitata in quanto essa pur essendo inquadrata come società di capitali presenta una disciplina legale
in gran parte derogabile permettendo ai soci di configurare una organizzazione in termini
personalistici. Elemento distintivo tra i due tipi di società è il fatto che la personalità giuridica è
riconosciuta alle società di capitali mentre è, almeno formalmente, negata per le società di persone.
141) Le società estere – Una posizione particolare assumono le società costituite all’estero. In linea di
principio infatti la disciplina contenuta nel codice non è applicabile a tali società in quanto nel diritto
internazionale privato si stabilisce che le società devono essere disciplinate dalle legge dello stato nel
cui territorio sono state costituite. Tuttavia la legge stabilisce anche che se una società costituita
all’estero opera stabilmente nel territorio dello stato non può sottrarsi del tutto alla disciplina posta
dal codice per le società costituite nel territorio dello stato. Occorre quindi distinguere due ipotesi: a)
la società costituita all’estero svolge essenzialmente la sua attività in Italia dove è posta la sede
dell’amministrazione o l’oggetto principale della società. In questo caso la legge assoggetta totalmente
la società alla disciplina prevista per le società italiane b) la società costituita all’estero svolge parte
della sua attività anche in Italia dove è costituita la sua sede secondaria. In questo caso la legge italiana
riconosce la società anche se è stata costituita secondo un tipo che non è tra quelli previsti dal codice
ma assoggetta tale società di tipo diverso alle norme previste per le società per azioni sia per quanto
riguarda la pubblicità nel registro delle imprese che le responsabilità degli amministratori.
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142) La società europea - Per agevolare la cooperazione e l’attività transfrontaliera delle imprese
nell’ambito della Unione Europea è stato adottato con regolamento Ce lo statuto della società europea,
un nuovo tipo di società per azioni la cui utilizzazione è riservata alle imprese che operano in almeno
due stati membri e la cui disciplina risulta da una combinazione tra norme di fonte comunitaria e
norme dell’ordinamento dello stato dove la società pone la sua sede. Ciò naturalmente impedisce di
qualificare la società europea come società solo di diritto europeo o solo di diritto nazionale. Si tratta
ovviamente di un tipo di società che deve fungere da strumento volto ad agevolare la libertà di
stabilimento consentendo la scelta dell’ordinamento dove si ritiene più conveniente porre la sede della
società.
LE SOCIETA’ DI PERSONE
1)
Concetti generali
143) Ambito della categoria e differenziazione dei vari tipi – La categoria delle società di persone
comprende la società semplice, la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice. La
società semplice è il tipo di società creato per l’esercizio di una attività qualificata dalla legge come non
commerciale e quindi riservata alla società agricola. Infatti la società semplice potrebbe trovare
applicazione al di fuori dell’agricoltura solo : a) nelle società occasionali se le considerassimo, cosa non
possibile per i motivi sopra messi in luce come società b) alla piccola impresa qualora non si consideri
come attività commerciale quella della piccola impresa (es. artigiani e piccoli commercianti). Ciò
sarebbe possibile solo se ai fini di qualificare come commerciale una attività si avesse riferimento non
solo la natura dell’attività ma anche la struttura organizzativa attraverso la quale essa si esplica. La
società semplice si differenzia dalle altre società personali essenzialmente per il fatto che per essa non
è prevista la pubblicità dichiarativa ma solo una forma di pubblicità notizia che si realizza attraverso
l’iscrizione ad una sezione speciale del registro delle imprese. Se infatti l’ordinamento prevede la
pubblicità dichiarativa per le sole imprese commerciali la mancata soggezione a tale pubblicità della
società semplice si spiega con la non commercialità del suo oggetto anche se le imprese non
commerciali possono volontariamente assoggettarsi a tale regime di pubblicità costituendosi secondo
uno degli altri tipi di società personale.
Per quanto riguarda il regime della responsabilità nella società semplice, attraverso un accordo nel
contratto sociale, è possibile la limitazione della responsabilità per i soci che non agiscono che però
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deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei pena l’inopponibilità della stessa ai terzi
che non ne avevano conoscenza. Ne deriva che nella società semplice tutti i soci possono essere
solidalmente e illimitatamente responsabili (come nella società a nome collettivo) o solo i soci che
agiscono possono essere solidalmente e illimitatamente responsabili (come nella società in
accomandita semplice). La società in nome collettivo si caratterizza per il fatto che tutti i soci sono
illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali in quanto un eventuale patto
contrario non avrebbe effetto nei confronti dei terzi ma poiché ciò è possibile anche per la società
semplice la differenza tra le due società deve essere trovato in altri due elementi, rispettivamente la
commercialità dell’oggetto della società e la soggezione ad un regime di pubblicità dichiarativa. Infatti
nel campo della attività commerciale (e al di fuori del settore agricolo) una società che si caratterizzi
per la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è necessariamente una società in nome
collettivo. D’altro canto abbiamo visto come una società che eserciti una attività non commerciale e sia
caratterizzata dalla responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è una società in nome collettivo
solo se siano rispettate tutte le formalità richieste dalla legge per la costituzione di questo tipo di
società e pertanto una società non registrata che eserciti una attività non commerciale è una società
semplice e non una società in nome collettivo irregolare. La società in accomandita semplice è
caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci: i soci accomandatari che hanno responsabilità
illimitata e solidale e i soci accomandanti che hanno responsabilità limitatamente alla quota conferita.
Il diverso regime si spiega con il fatto che solo i primi hanno poteri di amministrazione (che invece
nelle società semplici e nelle società in nome collettivo spettano a tutti i soci) mentre i secondi hanno
solo potere di controllo essendo posto per essi il divieto di ingerirsi nella gestione della società (e nel
caso di violazione di tale divieto anche su di essi incomberebbe una responsabilità illimitata e
solidale). La società in accomandita semplice e quella per azioni non sono due aspetti di una unica
società in quanto la prima costituisce una modificazione della società in nome collettivo, la seconda
della società per azioni.
144) La partecipazione alla società : capacità e legittimazione – La partecipazione ad un contratto di
società, di qualunque tipo, costituisce un atto di straordinaria amministrazione e pertanto non può
essere compiuto dal rappresentante legale dell’incapace senza le necessarie autorizzazioni e neanche
dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore. Tuttavia per quanto riguarda la partecipazione
dell’incapace come socio illimitatamente responsabile in una società in nome collettivo o in
accomandita semplice in considerazione dei particolari rischi connessi con una attività commerciale e
con la responsabilità illimitata e solidale che grava sul socio, sono previsti controlli ancora più rigorosi
e tale partecipazione è comunque subordinata al rispetto delle norme che regolano la capacità
all’esercizio dell’impresa. In passato si dubitava che le persone giuridiche (in particolare le società per
azioni e a responsabilità limitata) potessero partecipare come soci alle società personali ma ora tale
problema è risolto in quanto la legge prevede espressamente che la partecipazione di una società per
azioni in imprese che comportano una responsabilità illimitata deve essere deliberata dall’assemblea
dei soci, il che può essere esteso, nel silenzio della legge, anche alle società a responsabilità limitata.
Così come sembra risolto anche il problema relativo all’assunzione da parte della persona giuridica
socia di una società di persone delle funzioni di amministratore. Infatti la legge prevede l’ipotesi per
cui tutti i soci illimitatamente responsabili di una società in nome collettivo o in accomandita semplice
siano società di capitali e quindi se si considera anche l’amministrazione in una società in accomandita
semplice può essere affidata solo ai soci accomandatari è chiaro che ammettere una società in
accomandita semplice nella quale tutti gli accomandatari siano società di capitali significa ammettere
che la società di capitale può assumere funzione di amministratore anche nelle società in nome
collettivo.
145) Esigenze di forma e pubblicità del contratto - Nelle società personali il contratto non è di per sé
un contratto formale. Tuttavia per le società in nome collettivo e in accomandita semplice è prevista la
redazione per iscritto dell’atto costitutivo ma ciò non è richiesto per esigenze di forma o di prova ma
solo quale presupposto della pubblicità legale per cui la mancanza dell’atto scritto non comporta le
conseguenze che si verifichino quando manchi il documento richiesto ab substantiam o ab
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probationem ma solo il verificarsi di quelle conseguenze che la legge fa derivare dalla mancata
osservanza della pubblicità. La forma può essere richiesta per l’oggetto del conferimento se ad
esempio si conferiscono beni immobili o diritti reali immobiliari ma in tal caso è richiesta per la
validità del conferimento e non dell’intero contratto. Per le società in nome collettivo e in accomandita
semplice la legge prescrive anche gli elementi che devono risultare dall’atto costitutivo e precisamente
il nome della società, le persone degli amministratori e di coloro che hanno la rappresentanza della
società, il nome dei soci e la loro responsabilità, i conferimenti di ciascun socio, le norme sulle
ripartizione degli utili e la quota di ciascun socio nelle perdite. La incompletezza delle indicazioni però
comporta solo che l’ufficio del registro delle imprese possa rifiutare l’iscrizione ma non la validità del
contratto. La pubblicità del contratto si attua mediante il deposito per l’iscrizione presso il registro
delle imprese dell’atto costitutivo ad opera degli amministratori e del notaio che ha sottoscritto l’atto
entro trenta giorni dalla stipulazione.
146) Conseguenze della mancata iscrizione nel registro delle imprese: le società irregolari - Gli effetti
della iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese sono quelli propri della pubblicità
dichiarativa e quindi i fatti iscritti sono opponibili ai terzi sia se li conoscevano sia se non li
conoscevano o non li potevano conoscere. La mancata iscrizione comporta invece i cosiddetti effetti
negativi della pubblicità e quindi il fatto che il contenuto dell’atto costitutivo non è opponibile ai terzi a
meno che non si dimostri che i terzi, pur in mancanza della pubblicità, ne erano comunque a
conoscenza. Per la società di persone la mancata registrazione comporta la irregolarità. La irregolarità
può essere iniziale e quindi dipendere dal fatto che sin dal momento della costituzione non si è
provveduto alla iscrizione nel registro delle imprese o sopravvenuta e cioè dipendere dal fatto che una
società inizialmente iscritta sia stata cancellata dal registro delle imprese pur continuando la sua
attività. La irregolarità tuttavia non incide sul rapporto tra i soci che rimangono comunque vincolati
dal contratto sociale che rimane valido per tutta la sua durata ma solo nei rapporti con i terzi per i
quali si applicano le disposizioni stabilite in tema di società semplice con le seguenti eccezioni : a)
rimane ferma per la società in nome collettivo la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci e per
le società in accomandita semplice la responsabilità solidale e illimitata dei soci accomandatari b) il
regime della rappresentanza. In sostanza quindi la legge equipara la posizione delle società che
essendo soggette alla pubblicità dichiarativa non vi si attengono a quella delle società per le quali tale
pubblicità non è richiesta ma tale equiparazione non è assoluta. Infatti per quanto riguarda la
rappresentanza non si applicano i principi stabiliti per la società semplice e quindi si presume che la
rappresentanza spetti a tutti i soci che agiscono per la società. Infatti spettando per legge il potere di
amministrazione ad ogni socio e il potere di rappresentanza a ciascun socio amministratore le
limitazioni al potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi a meno che non si dimostri che essi
le conoscevano. Pertanto il terzo che contratta con una società irregolare non ha l’onere di accertare in
base al contratto sociale il potere di rappresentanza del socio che agisce, obbligo che invece ha il terzo
che contratta con una società semplice e tale differenza si giustifica perfettamente tenendo conto dei
diversi principi che sussistono per l’ipotesi in cui sia prevista una pubblicità dichiarativa e quella in
cui non lo sia. Così nella società in accomandita semplice la limitazione della responsabilità dei soci
accomandanti permane ed è opponibile ai terzi anche se non è portata a conoscenza dei terzi con
mezzi idonei in quanto la presenza dei soci accomandanti accanto agli accomandatari è una
caratteristica essenziale di tale tipo di società mentre nella società semplice il patto di limitazione della
responsabilità del socio è efficace solo se portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Anche tale
differenza si giustifica si giustifica con il fatto che nell’accomandita irregolare il terzo sa dell’esistenza
di soci con responsabilità limitata mentre chi contratta con una società semplice non sarebbe
sufficientemente tutelato dato che il regime normale per tale tipo di società sarebbe quello della
responsabilità solidale e illimitata di tutti i soci. Nella categoria delle società irregolari rientrano anche
le cosiddette società di fatto che si formano senza stipulare un contratto sociale sulla base di un
comportamento di fatto di più soggetti che creano un fondo comune per l’esercizio in comune di una
attività commerciale al fine di dividerne gli utili.
45
147) Modificazioni del contratto - Nelle società di persone per la modifica del contratto è richiesto il
consenso di tutti i soci e pertanto il principio maggioritario è ammesso solo se espressamente previsto
dal contratto e nei limiti in esso stabiliti. Tuttavia anche in questo caso è sicuramente sottratto al
potere della maggioranza di modificare la posizione del socio nella società attraverso la soppressione o
limitazione dei suoi diritti o attraverso l’imposizione di obblighi maggiori rispetto a quelli che
derivano dal contratto stesso. Nelle società semplici le modificazioni del contratto devono essere
(anche se è stata attuata la pubblicità notizia richiesta per tale tipo di società) portate a conoscenza dei
terzi con mezzi idonei in quanto in mancanza di ciò esse non sono opponibili ai terzi che le abbiano
ignorate senza loro colpa Nelle società in accomandita semplice e in nome collettivo (e nella società
semplice che esercita attività agricola per la quale è prevista pubblicità dichiarativa) ogni
modificazione del contratto deve essere iscritta nel registro delle imprese in quanto in mancanza di ciò
la modifica è operativa nei rapporti tra i soci ma non è opponibile ai terzi a meno che non si provi che
essi ne erano a conoscenza. Nei tre seguenti casi però l’iscrizione svolge un ruolo diverso rispetto al
semplice criterio di opponibilità ai terzi a) primo caso: l’iscrizione ha efficacia costitutiva es. la
decisione di trasformazione della società b) secondo caso ; l’iscrizione ha efficacia costitutiva e nello
stesso tempo costituisce il momento iniziale del termine concesso al terzo per fare opposizione. Es.
tutela dei creditori sociali. Nel caso di modificazioni che comportino restituzione ai soci degli apporti o
parte di essa è dato ai creditori sociali diritto di opposizione in quanto attraverso la modificazione
viene ridotto il complesso di beni sui quali possono soddisfarsi con preferenza. In tale caso dato il
ruolo svolto dall’iscrizione la pubblicità legale non può essere sostituita dal fatto che i terzi abbiano
avuto notizia della modificazione. C) Terza ipotesi : L’iscrizione opera solo al fine della decorrenza del
termine per fare opposizione. Es. tutela dei creditori particolari dei soci. Nel caso in cui la modifica
riguardi la proroga della società oltre il termine previsto per la sua durata questo impedisce al
creditore particolar del socio di avere esecuzione immediata sulla quota del socio debitore e quindi al
creditore viene riconosciuto un diritto di opposizione il cui momento iniziale per la decorrenza dei
termini (tre mesi) è dato dall’iscrizione della modificazione. In tal caso però la modificazione è subito
operativa ma in mancanza della pubblicità legale non inizia la decorrenza del termine per
l’opposizione e quindi il creditore può richiedere anche successivamente la liquidazione della quota
del socio debitore. Si deve comunque notare che sono diversi gli effetti dell’opposizione concessa ai
creditori sociali e ai creditori particolari del socio: la prima infatti sospende l’effetto della
modificazione a meno che il creditore non sia soddisfatto in altro modo mentre la seconda comporta
solo, in caso di accoglimento, l’obbligo della società di liquidare la quota del socio debitore. Inoltre il
creditore sociale può opporsi alla riduzione del capitale anche quando non vi sia per lui un pregiudizio
ed è sufficiente per impedire la modificazione un atto stragiudiziale, l’opposizione del creditore
particolare presuppone la dimostrazione della mancanza di altri beni su cui il creditore può soddisfarsi
e deve essere proposta tramite domanda giudiziale. La proroga della società può effettuarsi anche per
effetto della continuazione di fatto da parte dei soci dopo la scadenza del termine e in tal caso la
società si suppone prorogata a tempo indeterminato. Viene pertanto riconosciuto al socio il diritto di
recesso e al creditore del socio della società in nome collettivo e in accomandita semplice il diritto di
chiedere la liquidazione della quota come spetta al creditore particolare del socio della società
semplice.
2)
L’ordinamento sociale
148) La società come comunione unificata - La costituzione della società determina una situazione
giuridica particolare per i soggetti che ne fanno parte e per i beni che costituiscono il conferimento.
Per quanto riguarda il primo aspetto vi è una unificazione nella collettività dei soci attraverso
l’attribuzione alla società di un nome (ragione sociale) e con la indisponibilità da parte del singolo
socio dei beni conferiti. Per quanto riguarda il secondo aspetto il complesso dei beni conferiti gode di
una autonomia patrimoniale nel senso che essi sono indisponibili per il singolo socio e nel senso che
viene imposto un ordine rigoroso ai creditori sociali nella scelta dei beni attraverso i quali realizzare i
propri crediti. Questa unificazione dei soci nella collettività e questa autonomia patrimoniale dei beni
non possono però trovare il loro fondamento nel riconoscimento alla società della personalità
giuridica dato che è espresso il divieto del legislatore di conferire personalità giuridica alla società di
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persone e pertanto tale fondamento deve essere trovato altrove e precisamente nelle regole che
stanno alla base della comunione. Occorre però precisare che la comunione relativa alla società di
persone è una comunione contrattuale, che cioè trova la sua fonte nel contratto, e non è una
comunione di godimento di beni ma una comunione di beni in vista della realizzazione di uno scopo.
Infatti i soci di una società personale attraverso la costituzione di un fondo comune si propongono la
realizzazione di uno scopo comune che presuppone una permanente destinazione dei beni allo scopo
e quindi una unificazione dei soggetti e dei beni in vista della realizzazione dello scopo stesso. E’
proprio dalla destinazione dei beni allo scopo che dipende la limitazione dei diritti dei soci e dei loro
creditori particolari sui beni stessi fin che lo scopo non sia stato realizzato e la particolare disciplina
per i diritti dei creditori sociali per la realizzazione dei loro crediti sui beni particolari dei soci. Tale
destinazione determina inoltre una autonomia dei beni sociali che vengono posti a garanzia delle
obbligazioni assunte dalla società per la realizzazione dello scopo sottraendoli quindi alla disponibilità
del socio e all’azione dei creditori particolari dei soci.
149) Conseguenze in ordine alla responsabilità personale del socio e all’acquisto della qualità di
imprenditore - La negazione della personalità giuridica alla società di persone dovrebbe portare a
ritenere che la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali incomba su di essi nella loro qualità di
obbligati e che si tratti quindi di una responsabilità diretta e principale e anche a ritenere che la
qualifica di imprenditore spetti ai soci sia pure congiuntamente. Tuttavia tale soluzione non è
condivisibile. Infatti dalla concreta disciplina della società di persone si rileva che la responsabilità
personale del socio per le obbligazioni sociali non si pone sullo stesso piano di quella che incombe
sulla collettività. Infatti la legge stabilisce che i creditori sociali trovano il loro soddisfacimento sul
patrimonio sociale e che la responsabilità personale del socio si aggiunge a quella della società e
inoltre che l’azione nei confronti dei soci non può essere proposta se non dopo la preventiva
escussione del patrimonio sociale. Siamo quindi di fronte ad una responsabilità diretta ma sussidiaria
che si pone su un piano subordinato rispetto a quella che sul socio incombe come membro della
collettività. Per quanto riguarda il secondo problema occorre dire che l’attività sociale è attività della
collettività e non attività personale del socio e pertanto al gruppo e non al socio compete la qualifica di
imprenditore. Il socio tuttavia come membro del gruppo partecipa all’attività imprenditrice
assumendone le obbligazioni e si pone quindi come co-imprenditore. Ciò spiega perché pur non
essendo il socio imprenditore nei suoi confronti si applichino alcune norme dettate per l’impresa (es.
in ordine alle norme che regolano la capacità all’esercizio dell’impresa) o si determinano alcune
conseguenze che derivano dall’esercizio dell’impresa (fallimento del socio illimitatamente
responsabile).
150) I creditori particolari del socio - Il fatto che i beni conferiti siano destinati al raggiungimento
dello scopo sociale opera nei confronti del socio con l’impedimento di ogni potere di disposizione su di
essi e sui creditori personali del socio che non possono sottrarre tali beni alla loro destinazione.
L’azione del creditore particolare del socio può esercitarsi quindi finchè dura la società sulla quota
utili di spettanza del socio e dopo la fine della società sulla quota di liquidazione mentre prima di tale
momento gli è consentito solo il compimento di atti conservativi su di essa. Il principio è affermato
dalla legge in maniera assoluta per le società in nome collettivo ed in accomandita semplice ma per la
società semplice è ammesso un temperamento in quanto nell’ipotesi in cui i beni personali del socio
siano insufficienti i suoi creditori particolari possono chiedere in ogni tempo e quindi prima del
raggiungimento dello scopo o del termine della durata la liquidazione della sua quota. Il diritto di
chiedere la liquidazione della quota spetta anche ai creditori personali dei soci di una società in
accomandita semplice o in nome collettivo irregolare e nell’ipotesi di proroga della società (in caso di
proroga tacita sempre, in caso di proroga espressa entro tre mesi dalla pubblicazione della
deliberazione di proroga mediante opposizione alla deliberazione in via giudiziale).
151) La responsabilità personale dei soci a) fondamento e caratteri - Nelle società di persone i soci
che operano sono necessariamente responsabili nei confronti dei terzi e ogni diverso patto assunto nel
contratto sociale non è efficace rispetto ad essi. Questo principio vale per la società semplice come
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per la società in accomandita (dove il compimento di atti di amministrazione da parte del socio
assume accomandante, per l quale la responsabilità è esclusa nel contratto sociale, comporta
assunzione di responsabilità illimitata e solidale nei confronti dei terzi). Per i soci che non operano la
responsabilità sussiste solo nella società in nome collettivo o quando i soci non abbiano escluso tale
responsabilità nel contratto sociale. Per la società in accomandita semplice è anzi caratteristica la
contemporanea esistenza di due categorie di soci delle quali una sola è responsabile per le
obbligazioni sociali. Tuttavia la esclusione della responsabilità per i soci della società semplice che
non operano prevista nel contratto sociale non è opponibile ai terzi se non quando sia stata portata a
loro conoscenza con mezzi idonei o i terzi ne abbiano comunque avuto conoscenza (ad eccezione della
società semplice agricola per la quale è richiesta pubblicità dichiarativa. Tale conoscenza è
riconosciuta ex lege nel caso in cui i terzi abbiano contrattato con una società in accomandita semplice
dato che è caratteristica di tale società la presenza di una categoria di soci che non risponde
personalmente delle obbligazioni sociali. La responsabilità quando non è esclusa sussiste per tutte le
obbligazioni sociali in qualunque tempo sorte e quindi chi entra a far parte di una società già costituita
risponde insieme agli altri soci anche per le obbligazioni assunte prima del suo ingresso. Solo nella
società semplice è possibile una limitazione della responsabilità alle obbligazioni successive purchè sia
attuata la pubblicità richiesta e a condizione che il nuovo socio non agisca in nome e per conto della
società. La responsabilità permane anche dopo l’uscita del socio dalla società per le obbligazioni
assunte durante il periodo in cui il socio ne faceva parte.
152) continua b)obbligo di conferimento e responsabilità - Anche nelle società di persone per le
obbligazioni sociali risponde in primo luogo il fondo sociale formato con i conferimenti in quanto la
responsabilità del socio ha carattere sussidiario e quindi subentra solo se il fondo è i insufficiente.
Occorre quindi distinguere la responsabilità del socio dalla sua obbligazione al conferimento.
L’assunzione di un obbligo al conferimento è presupposto fondamentale per acquistare il carattere di
socio mentre la responsabilità è la conseguenza, necessaria o eventuale a seconda del tipo di società, di
tale partecipazione. L’obbligazione di conferimento si pone nei confronti degli altri soci mentre la
responsabilità del socio sussiste nei confronti dei terzi per il solo fatto che la società ha agito anche se
il contratto di società è nullo o è rimasto inadempiuto. Possiamo quindi dire che l’obbligazione al
conferimento sorge sulla base del contratto mentre la responsabilità del socio sorge ex lege per il solo
fatto che se ne sono verificati i presupposti.
153) continua -. Responsabilità della società e responsabilità del socio - Il carattere sussidiario della
responsabilità del socio si afferma in modo diverso nella società semplice rispetto alla società in nome
collettivo e in accomandita semplice. Mentre nella società in nome collettivo e in accomandita
semplice la preventiva escussione del fondo sociale è condizione di procedibilità da parte del creditore
nei confronti del socio e l’onere della prova dell’insufficienza del fondo sociale grava sul creditore che
agisce, nella società semplice il creditore può agire subito nei confronti del socio ma questo, in sede di
eccezione, può paralizzare l’azione del creditore attraverso l’indicazione dei beni della società sui quali
il creditore può soddisfarsi. Dal punto di vista sostanziale non vi sono differenze in quanto non
subentra la responsabilità del socio finchè può rispondere il patrimonio sociale ma dal punto di vista
processuale esiste una differenza. Infatti per la società in nome collettivo e in accomandita semplice
l’onere della prova dell’insufficienza del patrimonio sociale spetta al creditore, nella società semplice è
sul socio che grava l’onere della prova della sufficienza del fondo stesso.
154) La posizione del socio e la quota sociale - Per individuare la posizione soggettiva che compete al
socio per il fatto di partecipare alla società occorre ricordare che in conseguenza della costituzione
della società si realizza una comunione d impresa. La legge segue normalmente il criterio del
proporzionamento del rischio per cui i poteri sociali e i diritti patrimoniali del socio sono
proporzionati alla quota sociale, ossia la quota parte conferita dal socio del patrimonio sociale. La
quota sociale è una entità patrimoniale in quanto rappresenta una quota del patrimonio sociale ma è
anche una entità dinamica e non statica in quanto il suo valore economico è in funzione dell’attività
esercitata dalla società e dei risultati stessi di tale attività e pertanto può essere considerata come
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quota di partecipazione al capitale di rischio.. Elementi caratterizzanti della posizione del socio sono
quindi iniziativa e rischio, gli stessi elementi che caratterizzano la posizione dell’imprenditore, con la
differenza che nella comunione di impresa tali elementi sono posizionati sul gruppo e soltanto proquota sui singoli soci in funzione dell’ordinamento stesso che la società si è dato. Il potere di iniziativa
non è il potere di amministrazione ma il potere di contribuire a stabilire le norme che devono
disciplinare l’attribuzione dei poteri nella società. Il potere di amministrazione è infatti una posizione
derivata dall’ordinamento del gruppo attraverso l’esercizio da parte dei soci del potere di iniziativa.
Infatti mentre il potere di iniziativa compete a tutti i soci il potere di amministrazione può essere
conferito per legge ad una sola categoria di soci (come avviene nella società in accomandita semplice)
o può essere conferito sulla base del contratto ad un singolo socio o ad alcuni soci. Il fatto che il potere
di amministrazione sia un potere derivato è dimostrato anche dal fatto che è l’ordinamento sociale a
stabilire le modalità in cui tale potere deve essere esercitato, se congiuntamente o disgiuntamente e
dal fatto che al potere di amministrazione da parte dei soci amministratori corrisponde un potere di
controllo da parte dei soci non amministratori. Anche il rischio (come posizione individuale del socio)
si individua in base all’ordinamento del gruppo infatti non solo accanto a soci illimitatamente
responsabili vi possono essere soci limitatamente responsabili ma la partecipazione agli utili alle
perdite, se generalmente è proporzionata alla quota sociale, può anche non esserlo con l’unico limite
posto dalla legge del divieto del patto leonino. Per quanto riguarda i diritti patrimoniali il socio, finchè
dura la società, non ha alcun diritto sul patrimonio sociale che è destinato all’esercizio della società e
pertanto essi sono configurabili in un diritto agli utili ed un diritto alla quota di liquidazione. Nella
società di persone il diritto agli utili scaturisce direttamente dall’approvazione del rendiconto che
accerta il conseguimento di utili (e non è quindi necessaria una successiva determinazione come
avviene per le società di capitali). Il socio è quindi tenuto alla restituzione degli utili percepiti se gli
utili emersi nel rendiconto risultato fittizi (ad eccezione dei soci accomandanti che non sono tenuti alla
ripetizione degli utili percepiti in buona fede)- Gli utili spettanti al socio sono in genere proporzionali
alla quota sociale ma nel contratto può essere stabilito diversamente con il solo limite del divieto del
patto leonino. Se il valore dei conferimenti non è precisato nel contratto sociale le quote di utili si
presumono uguali. Per quanto riguarda il socio d’opera se nel contratto non è definito il valore del
conferimento e non è determinata la partecipazione agli utili la legge prevede che essa possa essere
stabilita dal giudice secondo equità. Sul socio non incombe invece obbligo di collaborazione con la sola
eccezione del divieto di concorrenza operante per le società che esercitano attività commerciali, e cioè
il divieto di esercitare per conto proprio una attività concorrente a quella della società o di partecipare
come socio illimitatamente responsabile ad una società concorrente. Tale divieto può essere però
eliminato con il consenso espresso o tacito degli altri soci. L’inosservanza del divieto comporta il
risarcimento del danno alla società e può comportare in casi gravi anche la esclusione del socio, (se il
socio è anche amministratore costituisce giusta causa della revoca).
155) L’organizzazione sociale: fondamento e caratteri - Nelle società di persone l’organizzazione della
società non è rigidamente determinata ma lasciata sostanzialmente alla libera determinazione dei soci.
Infatti in queste società non esistono organi ma è semplicemente prevista la contrapposizione tra
amministratori e soci dove i primi possono compiere tutti gli atti necessari per il raggiungimento dello
scopo sociale e i secondi possono, con il consenso di tutti, modificare l’atto costitutivo. Nelle società di
persone non sono previste le formalità richieste per la validità della costituzione e deliberazione
dell’assemblea nelle società di capitali. Inoltre anche quando la legge parla di deliberazione dei soci
per le quali è richiesto il consenso di tutti i soci (es. modificazione dell’atto costitutivo) non fa
riferimento ad una manifestazione di volontà da parte di un organo collegiale ma ad una pluralità di
soci ed alla somma delle volontà da questi manifestati. Ovviamente può accadere che l’atto costitutivo
possa prevedere che il consenso dei soci sia dato in una assemblea nella quale si debbano seguire
determinate modalità per la convocazione e la deliberazione ma anche in questo caso non siamo di
fronte ad un vero e proprio organo della società ma solo alla previsione che la manifestazione di
volontà dei soci debba assumere una determinata forma. Gli amministratori sono le persone nominate
nel contratto o quelle a cui, in mancanza, il potere viene attribuito dalla legge. La legge fissa solo il
principio della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali per i soci che amministrano, dal che
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deriva che nelle società in accomandita semplice l’amministrazione possa essere attribuita solo ai soci
accomandatari. Per il resto in tema di amministrazione è decisiva la volontà dei soci espressa nell’atto
costitutivo e la disciplina legale potrà essere applicata solo in mancanza di una disciplina contrattuale.
Per le società in accomandita semplice occorre rilevare che la legge vieta ai soci accomandanti il
compimento di atti di amministrazione sia interna che esterna prevedendo solo che per quanto
riguarda l’attività esterna il socio accomandante possa compiere singoli atti sulla base di una procura
speciale sotto la direzione degli amministratori. Ne deriva pertanto che l’esercizio del potere di
amministrazione spetta esclusivamente agli accomandatari che, per alcuni atti di amministrazione
esterna, possono avvalersi della collaborazione degli accomandanti ma solo sulla base di un rapporto
di subordinazione. Pertanto è vietato al socio accomandante ogni atto che comporti una sostituzione
agli accomandatari nel potere di gestione mentre è consentito una sostituzione nel potere di
rappresentanza, per singoli affari, in virtù di un apposito conferimento di poteri e sotto la direzione dei
soci accomandatari. Ogni eventuale clausola dell’atto costitutivo che consentisse agli accomandanti
una ingerenza maggiore di quella prevista dalla legge sarebbe nulla. Se il principio posto dalla legge
non può essere modificato attraverso una clausola dell’atto costitutivo è ovvio che non può essere
modificato neanche con l’assenso dei soci e quindi in nessun modo i soci accomandatari possono
consentire ai soci accomandanti una ingerenza maggiore di quella prevista dalla legge. L’ingerenza
dell’accomandante nell’aministrazione comporta per legge la responsabilità illimitata per tutte le
obbligazioni sociali (anche per quelle sorte prima dell’atto di ingerenza) e la possibilità di una sua
esclusione dalla società. La legge si applica sia se l’ingerenza è attuata contro la volontà degli
accomandatari sia con il loro consenso, sia se si è attuata intenzionalmente che inconsapevolmente. La
disciplina prevista dalla legge è quindi particolarmente severa e ciò si giustifica con il fatto che essa
non è posta a tutela dei terzi (che grazie alla pubblicità legale sono in grado di individuare la posizione
del socio che agisce) ma per evitare che sia alterata la natura della accomandita. Infatti se il potere di
amministrazione potesse essere riconosciuto in qualche modo anche ai soci accomandanti
l’accomandita si trasformerebbe in una società in nome collettivo in cui alcuni dei soci avrebbero però
responsabilità limitata e la legge intende appunto impedire ciò eliminando la limitazione della
responsabilità.
156) Nomina e cessazione degli amministratori – Il potere di amministrazione è un potere derivato in
quanto conseguente alla attribuzione fatta dai soci nel contratto sociale. Se l’atto costitutivo non
dispone nulla in proposito il potere di amministrazione spetta per legge a tutti i soci illimitatamente
responsabili, in caso contrario o la nomina è contenuta nello stesso atto costitutivo o in questo sono
contenute le norme per la nomina degli amministratori stessi. La legge non regola neanche la
cessazione e sostituzione degli amministratori limitandosi a dettare alcune norme in relazione alla
revoca, per la quale dobbiamo distinguere tre ipotesi: a) se in assenza di statuizioni nell’atto
costitutivo il potere di amministrazione spetta a tutti i soci illimitatamente responsabili il potere di
amministrazione del socio singolo non può venire meno se non per uscita dal socio dalla società o per
modifica dell’atto costitutivo e la revoca del potere di amministrazione può avvenire solo per giusta
causa. b)Se l’atto costitutivo contiene la nomina degli amministratori la legge dispone che
l’amministratore può essere revocato solo per giusta causa. c) se l’amministratore è nominato con atto
separato può essere revocato secondo le norme sul mandato e quindi in qualunque tempo solo che se
essa viene disposta senza giusta causa o senza giusto preavviso ha diritto al risarcimento del danno.
Per quanto riguarda le società in accomandita semplice la legge dispone che se l’amministratore è
nominato con atto separato (e l’atto costitutivo non dispone al riguardo) per la nomina
dell’amministratore è necessario il consenso dei soci accomandatari e l’approvazione dei soci
accomandanti che rappresentano la maggioranza del capitale da loro sottoscritto. La stessa modalità è
richiesta in questo tipo di società anche per la revoca dell’amministratore.
157) Particolari problemi in ordine alla nomina e revoca degli amministratori - Il primo problema che
dobbiamo porci è se può essere nominato amministratore un non socio. In mancanza di una espressa
disposizione di legge che lo vieti non possiamo escludere tale possibilità (ad eccezione della società in
accomandita semplice dove gli amministratori possono essere solo soci illimitatamente responsabili).
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Un altro problema rilevante riguarda le modalità con cui la revoca può essere effettuata. In mancanza
di espresse disposizioni di legge in proposito potremmo dire che, se l’atto costitutivo non dispone
diversamente, la revoca, salvo il caso di giusta causa, preveda il consenso di tutti coloro che il potere
stesso hanno conferito. Nulla vieta però che nell’atto costitutivo si stabilisca che la revoca possa
essere operata con il consenso della maggioranza dei soci. Se invece esiste una giusta causa la revoca
dell’amministratore può essere richiesta dal ciascun socio ma in tal caso è necessario anche
l’accertamento giudiziale della esistenza di tale giusta causa.
158) Le modalità di esercizio del potere di amministrazione - Essendo il potere di amministrazione
connaturato alla posizione di socio illimitatamente responsabile, la legge prevede, che salva diversa
pattuizione, il potere di amministrazione spetti ad ogni socio illimitatamente responsabile
disgiuntamente dagli altri. L’atto costitutivo può però stabilire diversamente e quindi attribuire il
potere a tutti o alcuni dei soci congiuntamente tra di loro o stabilire che per alcuni atti il potere spetti a
tutti o alcuni disgiuntamente e congiuntamente per gli altri o alla maggioranza per altri ancora. La
legge prevede alcune ipotesi che valgono quando l’atto costitutivo non disciplini al proposito. Nel caso
di amministrazione disgiuntiva la legge attribuisce a ciascuno dei soci amministratori la facoltà di
opporsi alle operazioni che un altro socio amministratore intende compiere lasciando alla
maggioranza dei soci la decisione sulla opposizione. Nel caso di amministrazione congiuntiva la legge
prevede che in casi urgenti e al fine di evitare un danno alla società, qualora gli altri amministratori
non possano essere sentiti preventivamente un singolo amministratore possa compiere da solo gli atti
di amministrazione. Nel caso in cui il potere di amministrazione sia attribuito alla maggioranza dei soci
la legge prevede che qualora tale maggioranza non sia precisata nell’atto costitutivo debba essere
calcolata per quote di interesse e quindi in relazione alla parte che ciascun socio ha negli utili
159) Posizione giuridica degli amministratori – La posizione degli amministratori è equiparata a
quella dei mandatari dei quali hanno diritti ed obblighi. Ne deriva un diritto dell’amministratore ad un
compenso e il suo diritto a rinunciare all’incarico anche se assunto a tempo determinato. Gli
amministratori devono esercitare le loro funzioni personalmente, usando nel loro espletamento la
diligenza media ed adempiere agli obblighi derivanti dalla legge e dal contratto.
160) Responsabilità degli amministratori - In caso di violazione dei loro obblighi la legge prevede che
gli amministratori rispondano solidalmente nei confronti della società a meno che non dimostrino di
essere esenti da colpa. Si tratta di una norma prevista per le società di capitali la cui estensione alla
società di persone solleva qualche dubbio. Infatti una responsabilità solidale si giustifica quando
l’amministrazione si attua collegialmente o congiuntamente e quindi non ha molto senso nelle società
di persone dove l’ipotesi normale è quella dell’amministrazione disgiuntiva e inoltre quando
generalmente il potere di amministrazione spetta a tutti i soci illimitatamente responsabili la portata
pratica della norma si rivela nulla in quanto su tutti i soci verrebbero a ricadere le conseguenze della
cattiva amministrazione della società. La norma ha quindi portata pratica quando l’amministrazione
viene conferita ad alcuni soci ( e non a tutti) e nelle ipotesi in cui si tratti di escludere la responsabilità
di un singolo amministratore in quanto esente da colpa. Analogamente a quanto previsto per le
società di capitali la responsabilità è nei confronti della società ma la legge non spiega come e in quale
modo la società possa farla valere. Infatti si deve escludere che a proporre l’azione siano gli stessi
amministratori o la collettività dei soci in quanto la legge non prevede una manifestazione di volontà
della collettività dei soci, né è stabilito quali soci debbano parteciparvi (tutti i soci o tutti esclusi gli
amministratori?) e quale maggioranza sia necessaria. Si deve quindi interpretare la norma nel senso
che l’azione spetti al socio, non inteso come singolo, ma come membro della collettività danneggiata
dalla cattiva amministrazione. Accanto alle responsabilità civili sono previste per gli amministratori
anche responsabilità penali o amministrative in caso di violazione dei loro obblighi.
161) I poteri dei soci non amministratori – poteri - Mancando nelle società di persone l’organo
dell’assemblea dei soci, il controllo sull’amministrazione è attribuito ai soci che non amministrano ai
quali è attribuito il diritto di avere notizie sullo svolgimento dell’amministrazione, di consultare i
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relativi documenti e (per le società che hanno tale obbligo) le scritture contabili e inoltre di avere il
rendiconto alla fine di ogni esercizio sociale. Il diritto di informazione e controllo è un diritto
personale del socio che lo stesso può esercitare singolarmente ma al quale ,come diritto riconosciuto
dalla legge nel suo interesse, l socio può preventivamente rinunciare. In particolare per le società in
accomandita semplice la legge prevede un potere di controllo sugli amministratori sia da parte dei soci
accomandanti che da parte degli eventuali soci accomandatari non amministratori. Tuttavia mentre gli
accomandanti non amministratori possono esercitare un controllo continuo gli accomandanti per
legge possono esercitare solo un controllo alla fine dell’esercizio sociale sul bilancio e sul conto
economico. E’ vero anche che l’atto costitutivo può ampliare i poteri dei soci accomandanti
consentendo loro, individualmente o collegialmente di esercitare atti di ispezione o di sorveglianza.
162) La società nei confronti dei terzi: la ragione sociale e la sede della società – Nei rapporti con i
terzi l’azione della società si presenta come azione unitaria di gruppo e pertanto deve attuarsi sotto
una ragione sociale, e cioè un nome adatto a far individuare il gruppo sociale cui l’azione si riferisce e
al quale gli effetti di esa vanno imputati. Pertanto la legge prevede l’uso della ragione sociale per le
società in nome collettivo e in accomandita semplice ma si ritiene che la norma si riferisca anche alla
società semplice. La ragione sociale deve contenere almeno il nome di uno dei soci (e per la società in
accomandita semplice di almeno uno dei soci accomandatari) seguito dall’indicazione del tipo di
società (snc o sas). Per la società in accomandita semplice l’inserimento nella ragione sociale del nome
di un socio accomandante non comporta irregolarità nella ragione sociale ma comporta l’acquisizione
da parte del socio della responsabilità illimitata e solidale in quanto la legge prevede che neppure con
il consenso degli altri soci possano essere assunti i diritti e i poteri riservanti agli accomandatari senza
assumerne anche la relativa responsabilità. La legge permette però la facoltà di conservare nella
ragione sociale il nome del socio o dell’accomandatario receduto o defunto. La legge quindi , in
analogia con la norma che consente il trasferimento della ditta in caso di trasferimento di azienda inter
vivos consente la conservazione della ragione sociale quando questa è un elemento dell’avviamento e
tale conservazione non crea pericoli di confusione grazie al sistema di pubblicità del registro delle
imprese. Per quanto riguarda la sede per le società in nome collettivo e in accomandita semplice essa
deve essere indicata nell’atto costitutivo insieme alle eventuali sedi secondarie. Per queste ultime
devono essere attuate anche particolari forme di pubblicità, la mancata attuazione delle quali non
determina una situazione di irregolarità ma l’applicazione di sanzioni amministrative oltre agli effetti
negativi della pubblicità dichiarativa.
163) continua . il potere di rappresentanza – Anche per il potere di rappresentanza come per quello di
amministrazione è decisiva la volontà dei soci manifestata nell’atto costitutivo e la disciplina legale ha
solo valore suppletivo. Pertanto nelle società di persone, a meno che l’atto costitutivo non decida
altrimenti, il potere di rappresentanza della società spetta ai soci amministratori che lo eserciteranno
congiuntamente o disgiuntamente a seconda del modo in cui viene esercitata l’amministrazione. L’atto
costitutivo può però decidere diversamente affidando la rappresentanza solo ad alcuni amministratori,
per alcuni tipi di atti o per tutti, o decidendo per una rappresentanza congiunta. E’ onere del terzo che
tratta con la società accertare se colui con cui tratta ha il potere di vincolare la società (solo nella
società irregolare il potere di rappresentanza in capo al socio è presunta). Tuttavia nelle società
soggette a pubblicità dichiarativa (sas snc e società semplici che esercitano attività agricola) i patti che
limitano la rappresentanza sono opponibili ai terzi solo se Il sono pubblicati o si prova che i terzi ne
erano a conoscenza. Analogo principio si applica per le limitazioni successive della rappresentanza.
Nelle società semplici soggetti a sola pubblicità notizia le limitazioni della rappresentanza sono
opponibili ai terzi solo se sono state portate a loro conoscenza con mezzi idonei e in caso contrario
sono opponibili solo se si prova che i terzi le conoscevano.
3) Scioglimento del rapporto sociale rispetto ad un socio
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164) Influenza delle vicende personali del socio sul contratto di società - Nella società di persone
composte da più di due soci lo scioglimento del rapporto sociale con un singolo socio non comporta lo
scioglimento della società a meno che esso non renda impossibile la esecuzione del contratto sociale.
Si applica quindi alla società di persone composte da più di due soci la disciplina tipica dei contratti
plurilaterali, mentre nelle società composte da due soli soci lo scioglimento del rapporto con uno di
essi comporta, a norma del codice civile, lo scioglimento della società a meno che la pluralità di soci
non venga ricomposta entro sei mesi. Lo scioglimento del rapporto sociale con un singolo socio può
dipendere dalla morte del socio, dall’esercizio del diritto di recesso o dalla esclusione.
165) La morte di un socio - Normalmente la morte di un socio determina lo scioglimento del rapporto
con il socio defunto e l’attribuzione ai suoi eredi del diritto alla liquidazione della quota. Tuttavia i soci
superstiti possono decidere di sciogliere la società o continuarla con gli eredi del socio se essi
acconsentono.. Nella società in accomandita semplice la quota del socio accomandante si trasmette agli
eredi. Nel contratto sociale possono essere previste deroghe alla disciplina legale e in particolare si è
discusso sulla possibilità di inserire clausole limitative del potere di scelta che in pratica prevedono la
continuazione della società con gli eredi del socio defunto. Parliamo delle clausole di continuazione
facoltativa, che obbligano i soci a continuare la società con gli eredi i quali hanno però il diritto e non
l’obbligo di aderire al contratto sociale, delle clausole di continuazione obbligatoria che prevedono
l’obbligo degli eredi di entrare in società e le clausole di continuazione automatica per le quali il
chiamato all’eredità subentra nella società acquistando la qualità di socio per il solo fatto
dell’accettazione dell’eredità. A tale proposito occorre dire che la possibilità del terzo tipo di clausola
deve essere escluso in quanto sarebbe contraria sia al diritto successorio in quanto configurerebbe
l’ipotesi di un patto successorio ma allo stesso diritto civile perché il contratto (proprio perché
contratto) deve vincolare solo quelli che al contratto stesso partecipano e non coloro che vi sono
estranei, Per il secondo motivo deve essere esclusa la possibilità delle clausole di continuazione
obbligatoria. Deve essere invece ritenuta possibile la clausola di continuazione facoltativa in quanto
con essa i soci si obbligano a continuare la società con gli eredi, i quali però sono liberi di attuare o non
attuare la promessa.
166) Il recesso – Il recesso è un diritto attribuito dalla legge al socio nei seguenti casi : a) nel caso in cui
la società abbia durata indeterminata o pari alla vita di uno dei soci b) nel caso di proroga tacita della
società c) in caso esista una giusta causa d) nel caso di trasformazione in società di capitali, di scissione
o fusione qualora l’atto costitutivo permetta di prendere tali decisioni a maggioranza dei soci. Tale
diritto viene ovviamente riconosciuto ai soci che non hanno concorso a tali decisioni. Nelle prime due
ipotesi il recesso ha effetto dopo tre mesi dalla comunicazione ai soci. L’atto costitutivo può prevedere
altre ipotesi in cui il diritto di recesso può essere esercitato. L’atto costitutivo non può invece
escludere il diritto di recesso e può solo prevedere che il recesso non sia consentito prima che l’attività
sociale sia iniziata o sia concluso il primo ciclo produttivo.
167) La esclusione . – La legge prevede una clausola generica di esclusione e alcune cause specifiche.
La causa generica consiste nell’inadempimento grave del socio di obblighi gravanti su di lui in qualità
di socio (e quindi non nella veste di amministratore per la quale ad es. l’abuso di firma o la mala
gestione possono costituire giusta causa di revoca e non di esclusione come socio). Le cause specifiche
previste dalla legge sono la sopravvenuta incapacità legale del socio, la sopravvenuta impossibilità
della prestazione oggetto del conferimento per causa non imputabile al socio (es. nel caso di
conferimento di godimento il perimento della cosa) o nel caso di prestazione d’opera la sopravvenuta
inidoneità a compiere l’opera promessa. Le cause di esclusione previste dalla legge non operano
automaticamente in quanto l’esclusione è frutto di una deliberazione dei soci (se sono più di due) o di
una sentenza se i soci sono due. La deliberazione dei soci ha effetto dopo 30 giorni dalla
comunicazione al socio il quale può proporre opposizione davanti al tribunale mentre la sentenza ha
effetto dalla data della domanda. Il contratto può prevedere una limitazione delle cause di esclusione
previste dalla legge o prevedere ulteriori cause. La legge prevede inoltre le seguenti cause di
esclusione che operano automaticamente senza necessità di deliberazione dei soci o di sentenza : la
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liquidazione della quota del socio su richiesta dei creditori particolari di lui e la dichiarazione di
fallimento del socio. Tali cause di esclusione operano solo se sussiste un diritto dei creditori
particolari del socio a chiedere la liquidazione della quota e quindi nella società semplice e nelle
società in nome collettivo irregolari e nelle società prorogate tacitamente. Non funzionano invece nelle
società in nome collettivo e in accomandita semplice regolare nelle quali i creditori particolari del
socio, finchè dura la società, non hanno la facoltà di richiedere la quota del socio. In queste società
invece il fallimento del socio può costituire causa facoltativa di esclusione se ciò verrà deliberato dai
soci e non può invece dipendere dall’interesse dei creditori particolari del socio che in questo tipo di
società non sono tutelati.
168) Conseguenze dell’uscita del socio dalla società – L’uscita del socio dalla società comporta il diritto
alla liquidazione della quota, in denaro, calcolata sulla situazione patrimoniale esistente nel giorno in
cui il rapporto con il socio si scioglie. Il pagamento della quota deve avvenire entro 6 mesi da tale data.
Con l’uscita dalla società non viene meno la responsabilità del socio o dei suoi eredi per le obbligazioni
sociali antecedenti allo scioglimento del rapporto. L’uscita del socio, inoltre comportando una
modificazione del contratto sociale per essere opponibile ai terzi deve essere portata a loro
conoscenza con mezzi idonei o attraverso la pubblicità legale secondo il tipo di società.
4) Scioglimento della società
169) Le cause di scioglimento e la loro operatività – Il contratto di società, come ogni altro contratto,
può sciogliersi per volontà dei contraenti o per cause previste dalla legge o dal contratto stesso. La
legge prevede (art.2272) le seguenti cause di scioglimento della società: a) il decorso del termine di
durata – b) l conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di raggiungerlo c) la
volontà di tutti i soci d) il venir meno della pluralità dei soci e la mancata ricostituzione della pluralità
entro sei mesi e) i fatti considerati nel contratto sociale come causa di scioglimento..A queste cause si
devono aggiungere f) il venir meno a seguito dello scioglimento del rapporto con un socio di un
conferimento essenziale g) per le società i nome collettivo o in accomandita semplice il provvedimento
dell’autorità governativa e la dichiarazione di fallimento h) per le società in accomandita semplice il
venir meno di tutti i soci accomandatari o accomandanti salvo l’ipotesi in cui venendo a mancare tutti
i secondi venga nominato un amministratore provvisorio nei sei mesi concessi per la sostituzione. Le
cause di scioglimento producono effetti identici senza distinzione tra cause legali e cause contrattuali
anche se può essere diversa la loro operatività in quanto la legge può stabilire che l’operatività si abbia
solo a determinate condizioni o decorso un determinato termine.
170) Operatività ex nunc dello scioglimento e liquidazione della società – Lo scioglimento della società
opera ex nunc e quindi determina il venir meno del contratto come fonte di obbligazione per
l’esercizio futuro della società ma non elimina i rapporti sorti anteriormente allo scioglimento
ponendo anzi la necessità di una loro definizione. Il contratto sociale quindi non obbliga più i soci a
svolgere in comune una attività economica ma li obbliga al regolamento dei rapporti sorti con i terzi
prima dello scioglimento. Infatti prima che i soci possano provvedere alla ripartizione tra loro del
patrimonio della società è necessaria una fase, detta di liquidazione. In cui si provvede alla definizione
dei rapporti con i terzi
171) Effetti dello scioglimento rispetto ai soci, ai creditori particolari, agli amministratori - Lo
scioglimento del contratto quindi non determina subito l’estinzione della società ma il passaggio dalla
fase attiva alla fase di liquidazione. Per quanto riguarda i soci gli effetti del contratto sociale
rimangono solo per quanto riguarda la definizione dei rapporti sociali preesistenti e a loro favore
sorge il diritto alla liquidazione della quota. Per la definizione di essa la legge considera due elementi:
il valore del conferimento e la parte che spetta al socio degli utili,in quanto non sempre questa seconda
come sappiamo è proporzionale alla prima. Pertanto si provvede prima al rimborso dei conferimenti e
in seguito alla ripartizione degli utili. Nel caso la gestione si sia conclusa con una perdita la
determinazione della quota del socio singolo deve farsi sulla base del valore del conferimento e della
parte che grava sul socio nelle perdite. Per quanto riguarda i creditori particolari del socio viene meno
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la possibilità di chiedere la liquidazione della sua quota (ovviamente nelle ipotesi in cui ciò sia
ammesso). Per quanto riguarda gli amministratori il loro potere si riduce agli atti necessari per
conservare il patrimonio in attesa che si avvii la liquidazione, momento in cui i liquidatori
prenderanno il posto degli amministratori. Ne deriva che anche il loro potere di rappresentanza è
limitato, limitazione che però sarà opponibile ai terzi solo se siano stati adempiuti gli obblighi di
pubblicità (legale o di fatto secondo il tipo di società)- Le modalità della liquidazione possono essere
stabilite in accordo tra i soci o nel contratto sociale e quindi la disciplina legale si applicherà solo in
mancanza di un diverso accordo tra i soci.
172) I liquidatori – nomina, poteri, compiti - Compito dei liquidatori è quello di definire i rapporti
della società con i terzi al fine di consentire la ripartizione del patrimonio residuo tra i soci. La
posizione giuridica dei liquidatori è analoga a quella degli amministratori di cui assumono gli obblighi
e le responsabilità. I liquidatori sono nominati dai soci nel contratto sociale o al momento dello
scioglimento della società e in caso di disaccordo tra di essi dal presidente del tribunale. Possono
essere revocati dai soci, o nel caso di giusta causa dal tribunale, su richiesta di uno di essi. La nomina e
la revoca dei liquidatori devono essere portate a conoscenza con mezzi idonei (società semplice) o
attraverso la pubblicità legale. All’atto dell’inizio della liquidazione i liquidatori devono prendere in
consegna dagli amministratori i beni e i documenti sociali e redigere con loro un inventario dal quale
risulti lo stato patrimoniale e il conto economico della società- La legge stabilisce che i liquidatori
hanno il potere di compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione (e tale potere non può essere
limitato neanche dalla volontà dei soci), stabilisce che, se i soci non decidono diversamente, possono
avere l potere di vendere anche in blocco i beni della società e fare transazioni o compromessi. La
legge esclude invece il potere dei liquidatori di intraprendere nuove operazioni (e cioè di compiere atti
che comportino uno svolgimento dell’attività speculativa che formava oggetto della società) Se i
liquidatori contravvengono a tale divieto rispondono personalmente e solidalmente per gli affari
intrapresi mentre gli atti da loro compiuti non vincolano invece la società. I liquidatori rappresentano
la società anche in giudizio.
173) Necessità della definizione dei rapporti con i terzi – La funzione dei liquidatori è come si è detto
di definire i rapporti della società con i terzi ma essi possono anche provvedere a predisporre un piano
di riparto del residuo dei beni della società tra i soci. La legge vieta però che i liquidatori possano
ripartire tra i soci i beni sociali finchè non siano stati pagati tutti i creditori o accantonate le somme
necessarie per pagarli. La violazione di tale divieto comporta la responsabilità dei liquidatori qualora
il mancato pagamento dei creditori sia derivato da loro colpa grave o dolo, Accanto alla responsabilità
civile la legge prevede anche una responsabilità penale qualora i liquidatori, ripartendo i beni sociali
tra i soci, provochino danni ai creditori sociali. La violazione del divieto non comporta invece la
invalidità della ripartizione o la possibilità di considerare la società come non estinta fermo restando
che i creditori potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soci, nei limiti della quota di
liquidazione (in caso di soci senza responsabilità) o integralmente (nel caso di soci illimitatamente
responsabili).
Al fine di soddisfare i creditori sociali i liquidatori possono chiedere ai soci i
conferimenti eventualmente ancora non versati e le somme ancora necessarie, nei limiti delle
responsabilità dei soci e in proporzione alla parte di ciascuno nelle perdite. Nello stesso modo si
ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente.
174) La realizzazione della quota del socio: bilancio finale di liquidazione e piano di riparto – Dopo la
definizione dei rapporti con i terzi la liquidazione è chiusa e i liquidatori devono redarre il bilancio
finale di liquidazione dopo di che i soci hanno il diritto di dividersi il patrimonio restante in
proporzione alle loro quote. liquidatori dopo aver redatto il bilancio di liquidazione predispongono
un piano di riparto sottoponendolo alla approvazione dei soci (tale approvazione è tacita nelle società
in nome collettivo e in accomandita semplice e quindi il bilancio e il piano di riparto si considerano
approvati se non impugnati entro due mesi dalla comunicazione). Approvato il bilancio la società si
estingue e i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Avvenuta la cancellazione i creditori ancora insoddisfatti non possono più rivolgersi alla società ma
55
possono agire nei confronti dei soci (nei limiti delle loro responsabilità) e nei confronti dei liquidatori
in caso di colpa di essi. Dalla cancellazione decorre il termine di un anno entro il quale la società può
essere dichiarata fallita.
Capitolo III . LE SOCIETA’ DI CAPITALI
1)
Problemi generali
175) Ambito della categoria e differenziazione dei vari tipi- La categoria delle società di capitali
comprende la società per azioni, la società in nome collettivo e la società in accomandita per azioni.
Secondo il codice civile nella società per azioni e nella società in nome collettivo la garanzia delle
obbligazioni sociali è costituita solo dal patrimonio della società mentre nella società in accomandita
per azioni ad esso si aggiunge anche la responsabilità solidale e illimitata dei soci accomandatari
mentre i soci accomandanti sono responsabili solo nei limiti della quota di capitale sottoscritta.
Società per azioni e società in nome collettivo hanno quindi in comune il regime della responsabilità e
si differenziano per il fatto che nelle prime le quote di partecipazioni dei soci sono rappresentate da
azioni, mentre nelle seconde le quote non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto
di offerta al pubblico. Per la società per azioni hanno particolare rilievo i temi finanziari dell’impresa
per cui sono molteplici i modi in cui i soci (attraverso varie categorie di azioni) o i terzi (attraverso
obbligazioni o altri strumenti finanziari) possono contribuire al finanziamento della società e per cui la
posizione del socio è sostanzialmente estranea rispetto alla gestione dell’impresa, da cui deriva la
necessità di una struttura organizzativa rigida fondata sulla presenza di diversi organi con competenze
differenziate. La società in nome collettivo invece prevede un interesse dei soci non solo finanziario
ma anche tipicamente imprenditoriale con la conseguenza che ai soci è consentito un forte potere di
controllo e di indirizzo sulla attività amministrativa della società mentre è precluso l’accesso al
mercato finanziario. La società in nome collettivo quindi è pensata per consentire alle imprese minori
di godere del beneficio della responsabilità limitata senza doversi assoggettare alla rigida
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organizzazione delle società per azioni. Si tratta ovviamente di una soluzione praticabile solo per le
imprese di minori dimensioni e pertanto mentre per le società per azioni il capitale minimo richiesto è
di 120.000 euro, per le società in nome collettivo sono sufficienti 10.000 euro. Società per azioni e
società per accomandita per azioni hanno invece in comune il fatto che le quote di partecipazione dei
soci sono rappresentate da azioni mentre si differenziano come si è detto per il diverso regime di
responsabilità. Rilevanti sono le differenze tra la società in accomandita semplice e la società in
accomandita per azioni. Infatti al di là del fatto che la seconda è organizzata su base capitalistica e la
prima su base personale è diversa nelle due società la posizione dei soci accomandatari. Il socio
accomandatario dell’accomandita semplice non è infatti necessariamente amministratore anche se
risponde solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. La sua responsabilità quindi non si
riconduce direttamente al potere di amministrazione che potrebbe anche mancare e non a caso egli
risponde per le obbligazioni contratte dalla società anche anteriormente al suo acquisto della qualità
di socio e di quelle sorte successivamente alla dismissione della carica. Nella società in accomandita
per azioni invece la responsabilità del socio accomandatario sussiste finchè egli mantiene la carica di
amministratore. Ne deriva che la qualità di accomandatario non è una qualifica permanente come
avviene nella società in accomandita semplice (dove non può essere eliminata senza il consenso dello
stesso socio accomandatario e dove quindi la responsabilità è una conseguenza della posizione assunta
come socio nell’atto costitutivo), ma è una qualità che corrisponde alla posizione concreta che il socio
occupa nella società e permane finchè tale posizione concreta sussiste. Nella società in accomandita
per azioni quindi l’accomandatario è un socio come gli altri ma che ha il diritto di amministrare cui
corrisponde come contropartita la responsabilità solidale e illimitata per le obbligazioni sociali. La
società tuttavia può far cessare quando vuole tale posizione revocando l’amministratore (salvo
l’obbligo del risarcimento se non sussiste una giusta causa) e in questo caso viene meno la
responsabilità solidale e illimitata. La società in accomandita per azioni è quindi una società per azioni
modificata dalla presenza di due categorie di azionisti di cui i primi (accomandanti) rilevano solo come
azionisti mentre i secondi (accomandatari) rilevano anche come persone e quindi ai poteri che
spettano a loro come azionisti si aggiungono poteri, diritti e responsabilità come persone. Gli
accomandatari sono amministratori di diritto ma hanno anche particolari poteri come il fatto che il
loro consenso è determinante per la sostituzione di uno degli amministratori o per le modificazioni
dell’atto costitutivo. La cessazione dall’ufficio di tutti gli amministratori comporta lo scioglimento della
società se gli amministratori non sono sostituiti e hanno accettato nel termine di sei mesi. Poiché gli
accomandatari hanno insieme una posizione collettiva come azionisti e una personale la legge prevede
che in alcune situazioni (es. deliberazione dell’assemblea dell’azione di responsabilità, nomina
dell’organo di controllo) gli accomandatari non possano esercitare i poteri che gli competono come
azionisti ma al di fuori di queste situazioni hanno tutti i poteri che competono alle due diverse
situazioni e quindi negando il consenso possono impedire il formarsi della volontà sociale anche se le
loro quote di possesso non sono tali da determinare il formarsi della volontà assembleare. Con la
società in accomandita per azioni quindi si è voluto creare un modello societario dotato di una forte
stabilità degli organi amministrativi (che vengono sottratti alle mutevoli determinazioni delle
maggioranze azionarie) garantendo allo stesso tempo i creditori della società tramite la responsabilità
illimitata e solidale che incombe sugli accomandatari in quanto amministratori della società.
176) Le società di interesse nazionale – Il codice prevede una particolare categoria di società per
azioni, le società di interesse nazionale, che sono società che pur non assumendo la struttura di enti
pubblici investono interessi nazionali rilevanti, Per esse il codice prevede una regolamentazione
effettuata dalla legislazione speciale, in mancanza della quale tuttavia, rimane applicabile la disciplina
generale delle società per azioni. La qualificazione di una società come società di interesse nazionale è
determinata da un decreto presidenziale o da una legge, legge che generalmente contiene una
previsione di limitazioni circa il possesso azionario, il trasferimento delle azioni, la nomina degli
amministratori, sindaci o dirigenti e al condizionamento delle norme statutarie e delle loro
modificazioni all’approvazione della pubblica autorità.
57
177) La società impresa pubblica e la sua privatizzazione - Un fenomeno che si è presentato con molta
frequenza nel nostro sistema è quello dell’assunzione da parte dello stato o degli enti pubblici di una
partecipazione nell’ambito delle società per azioni, partecipazione che può riguardare l’intero
patrimonio della società, o una parte prevalente o minoritaria di esso. In un primo momento il
legislatore, muovendo dal fatto che in una società per azioni la persona dell’azionista è irrilevante,
aveva considerato la partecipazione dello stato in una società per azioni come un motivo
giuridicamente irrilevante per cui alle società con partecipazione dello stato o di enti pubblici doveva
essere applicata la disciplina generale della società per azioni a meno che leggi speciali non
disponessero diversamente. Le sole norme speciali contenute nel codice prevedevano che anche
quando la partecipazione dello stato era minoritaria doveva essere ad esso riservata la possibilità di
nominare uno o più amministratori o sindaci che non potevano essere revocati dalla assemblea dei
soci ma solo dallo stato o dall’ente pubblico che li aveva nominati. Successivamente, con la creazione
del sistema delle partecipazioni statali la prospettiva del legislatore si è modificata in quanto
l’interesse pubblico che induceva lo stato a partecipare alla società (qualora tale partecipazione fosse
totalitaria o prevalente) non poteva essere relegato tra i motivi giuridicamente irrilevanti ma si
poneva come motivo aggiuntivo rispetto a quello imprenditoriale incidendo anche sulla posizione
degli azionisti privati. Pertanto il fatto che l’interesse pubblico perseguito dallo stato non poteva
essere spinto oltre certi limiti senza provocare il dissenso degli azionisti privati ha portato ad un
nuovo orientamento verso la privatizzazione. In tal modo è stato eliminato il sistema delle
partecipazioni statali trasformando i principali enti di gestione (ENI E IRI) in società per azioni.
Tuttavia però si è creato un regime speciale che ha finito con l’assoggettare la società che si privatizza
ad uno statuto di forte impronta pubblicistica. In particolare si è previsto per le società operanti in
settori particolarmente rilevanti per l’interesse pubblico di attribuire, prima della dismissione del
controllo da parte dello stato, particolari poteri all’autorità governativa. Tali poteri speciali (golden
share) fortemente criticati in ambito europeo prevedono tra l’altro la possibilità per il ministro di un
potere di veto (motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi dello stato) circa
l’adozione di deliberazioni quali quelle di scioglimento, cessione dell’azienda, fusione, scissione,
trasferimento della sede all’estero o cambiamento dell’oggetto sociale.L’impronta pubblicistica è
ancora più marcata nella disciplina della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo
(Rai) dove sono riconosciuti significativi poteri alla commissione parlamentare per l’indirizzo e la
vigilanza del’attività della concessionaria riguardo alla nomina del presidente o della maggioranza dei
componenti del cda.
178) La personalità giuridica - Elemento comune a tutte le società di capitali è la personalità giuridica
che la società acquista una volta compiuto il processo costitutivo con l’iscrizione nel registro delle
imprese. Per effetto del riconoscimento della personalità giuridica si determina la completa
autonomia della società rispetto alle persone dei soci. La società ha una propria organizzazione, un
proprio patrimonio, una propria volontà nonché una propria denominazione e una propria sede.
Tuttavia la personalità giuridica non determina una contrapposizione tra i soci e la società in quanto
non si deve dimenticare che la società è frutto di un contratto sociale che ne determina l’oggetto,
l’attività, le modalità di svolgimento e lo scopo. Pertanto la personalità giuridica non pone la società al
di fuori dei soci su un piano diverso ma è la società che si pone in funzione dei soci e degli interessi che
essi intendono perseguire. La società quindi, come persona giuridica, è la collettività dei soci che si
costituisce in unità e il rapporto tra socio e società è quello che intercorre in ogni comunione di
interessi tra singolo partecipante e gruppo. Pertanto normalmente l’interesse della società e della
collettività coincide con quello dei singoli soci anche se in alcune circostanze (conflitto di interessi)
può essere in contrasto con esso. Solo in questo senso si può parlare di un interesse sociale come
superiore e distinto da quello dei singoli soci, che trova però la sua giustificazione nella comunione di
interessi che si realizza con il contratto di società, in quanto è proprio un effetto necessario della
comunione di interessi quello di subordinare l’interesse individuale a quello comune.
179) La società uni personale – Il concetto di società richiederebbe la presenza di almeno due soci
tuttavia il fenomeno della società uni personale è molto diffuso a livello internazionale. Per quanto
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riguarda l’ordinamento italiano il legislatore del 1942 pur escludendo che la società per azioni o a
responsabilità limitata potesse costituirsi ad opera di una sola persona ammetteva (per le sole società
a responsabilità limitata) che in caso di successiva appartenenza di tutte le partecipazioni ad una sola
persona la permanenza senza limiti di tempo (a differenza di quanto avviene per le società di persone)
con la conseguenza, però, in caso di insolvenza della società, della responsabilità illimitata dell’unico
socio. In seguito però, sulla base dell’attuazione di una direttiva europea, la prospettiva è mutata in
quanto il legislatore ha ammesso, per le sole società a responsabilità limitata, la costituzione per atto
unilaterale stabilendo anche che (tranne alcune ipotesi eccezionali) la situazione di unilateralità, sia
originaria che successiva, non ostacola il permanere della responsabilità limitata. A seguito della
riforma delle società di capitali la situazione si è nuovamente modificata e pertanto oggi si ammette
che anche le società per azioni possano costituirsi per atto unilaterale stabilendo che anche in questo
caso l’unico azionista non risponda in via di principio (tranne alcune ipotesi eccezionali) delle
obbligazioni sociali. Ne deriva pertanto che nell’ordinamento attuale una società (per azioni o a
responsabilità limitata) può divenire uni personale ma anche nascere con atto unilaterale. E’ chiaro
però che questo richieda particolari cautele per garantire i terzi che entrino in contatto con la società
uni personale. Pertanto la legge prevede che per le società uni personali i conferimenti debbano
essere interamente eseguiti all’atto della sottoscrizione (e quindi non solo quelli in natura come è
sempre richiesto ma anche quelli in denaro), in mancanza di ciò in caso di insolvenza della società
sorge la responsabilità illimitata dell’unico socio per le obbligazioni sorte nel periodo in cui tutte le
partecipazioni gli appartenevano. La disciplina attuale ammette che anche per le società uni personali
possa mantenersi il beneficio della limitazione della responsabilità e che ad esse possa applicarsi tutta
la disciplina prevista per le società pluripersonali. Per tutelare i terzi la legge impone la pubblicità
della situazione di uni personalità, della sua variazione o del mutare della persona del socio
prevedendo il deposito a cura degli amministratori o del socio stesso di una apposita dichiarazione nel
registro delle imprese . Fino a che non è stato attuato questo adempimento il socio unico, in caso di
insolvenza, risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali. La legge prevede inoltre, e sempre a
tutela dei terzi, che la situazione di uni personalità debba essere indicata negli atti, nella
corrispondenza della società e anche eventualmente nel suo sito internet. Sono poi dettate regole in
tema di contratti tra la società e il socio o di operazioni della prima a favore del secondo in quanto è
proprio in tal modo che in una società uni personale può realizzarsi uno svuotamento patrimoniale
della società con conseguente pregiudizio per i terzi,. In relazione a ciò la legge prevede che tali
operazioni siano opponibili ai creditori solo se siano state trascritte nel libro delle deliberazioni del
consiglio di amministrazione o se risultano da un atto scritto avente data anteriore al pignoramento.
Per quanto riguarda le ipotesi eccezionali di responsabilità illimitata dell’unico socio esse sono, come
abbiamo visto, quella della mancata attuazione completa dei conferimenti e quella della mancata
attuazione della prescritta pubblicità della situazione di uni personalità.
180) I patrimoni destinati ad uno specifico affare – Per le società per azioni la legge prevede una forma
particolare di limitazione della responsabilità patrimoniale, riferita ad una sola parte del patrimonio
della società, il patrimonio destinato ad uno specifico affare Tale istituto consente alla società per
azioni di isolare i beni e i rapporti relativi ad uno specifico affare (o a specifici affari nel caso di
costituzione di più patrimoni separati (che non possono comunque essere superiori al dieci per cento
del patrimonio netto della società) dal restante patrimonio della società destinando tali beni in via
esclusiva non sol allo svolgimento dello specifico affare ma anche alla garanzia dei creditori titolari di
crediti sorti nello svolgimento dell’affare stesso. Abbiamo quindi una separazione patrimoniale in
base alla quale i creditori relativi allo specifico affare possono soddisfarsi in via di principio solo sul
patrimonio separato mentre gli altri creditori sociali solo sul patrimonio residuo. La separazione però
opera solo con riferimento alle obbligazioni contrattuali e quindi per le obbligazioni nascenti da atto
illecito la società risponde con il suo intero patrimonio. Delle obbligazioni patrimoniali sorte in
relazione all’unico affare la società riponde invece limitatamente al patrimonio destinato a condizione
che l’atto dal quale sorge l’obbligazione rechi espresso riferimento al vincolo di destinazione in quanto
in mancanza di ciò il creditore potrà soddisfarsi solo sul patrimonio residuo. La società può anche
prevedere che le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare siano garantite oltre che dal
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patrimonio separato anche da quello residuo, fermo restando che gli altri creditori sociali non possono
far valere alcun diritto sul patrimonio residuo. Ne deriva che la costituzione del patrimonio separato
comporta la sottrazione di beni alla funzione di garanzia nei confronti degli altri creditori sociali e
pertanto a loro tutela la legge stabilisce l’obbligo di depositare presso il registro delle imprese la
deliberazione che costituisce il patrimonio separato stabilendo anche un termine di 60 giorni da
questo momento per l’opposizione a tale costituzione da parte dei creditori sociali. L’opposizione
sospende l’esecuzione della deliberazione a meno che il tribunale, dietro presentazione da parte della
società di una idonea garanzia, non la autorizzi. Il patrimonio destinato ad uno specifico affare quindi
si realizza decorsi sessanta giorni dal deposito senza che nessuno abbia sollevato opposizione o con il
provvedimento con il quale il tribunale respinga l’opposizione (o autorizzi la deliberazione
costitutiva). A partire da questo momento i creditori non possono più far valere pretese su questo
patrimonio. La deliberazione di costituzione deve essere presa a maggioranza assoluta dell’organo
amministrativo (salvo diversa pattuizione dello statuto)e deve indicare l’affare cui il patrimonio è
destinato, i beni che lo compongono, il piano economico dal quale risulti la congruità del patrimonio
rispetto all’affare, i risultati che si vogliono conseguire e le modalità di controllo sulla gestione
dell’affare. La legge si preoccupa di assicurare la separazione dei patrimoni e quindi il generarsi di una
confusione che potrebbe essere di pregiudizio per i creditori e pertanto in caso di fallimento si
prevede una specifica ipotesi di responsabilità per gli amministratori e l’organo di controllo in caso di
violazione di tale principio di separatezza. Per ciascun patrimonio destinato quindi si deve tenere una
contabilità separata e si deve redigere un rendiconto separato da allegare al bilancio. Una volta
concluso l’affare (o una volta che esso è diventato impossibile) gli amministratori devono redigere un
rendiconto che insieme ad una redazione degli organi di controllo deve essere depositata presso
l’ufficio del registro. Entro 90 giorni dal deposito i creditori relativi all’affare rimasti insoddisfatti
possono chiedere la liquidazione del patrimonio destinato all’affare per soddisfarsi in via prioritaria
rispetto agli altri creditori sociali sui relativi beni. La legge prevede poi (sempre per le società per
azioni) un’altra forma di separazione patrimoniale, quella del finanziamento destinato ad uno specifico
affare che vedremo nella parte relativa ai finanziamenti finalizzati.
181) Oggetto e scopo - Le società di capitali, come persone giuridiche sono caratterizzate dalla
specialità dell’oggetto e dello scopo. L’oggetto segna il campo dell’attività della persona giuridica e io
scopo segna il fine al quale tale attività deve essere indirizzata.
182) I cosiddetti diritti individuali – Secondo la dottrina le posizioni soggettive dei soci nell’ambito del
contratto sociale costituiscono veri e propri diritti individuali che sarebbero intangibili dall’ente e
quindi non potrebbero essere toccati da una manifestazione di volontà della società espressa
attraverso i suoi organi. Tuttavia tali diritti non costituiscono una categoria unitaria in quanto
comprendono i diritti che spettano al socio sulla base di un rapporti distinto da quello di società e
diritti (come il diritto di voto o agli utili) che esprimono la posizione del socio nell’ambito
dell’organizzazione sociale. In modo diverso quindi deve essere intesa nei loro confronti la cosiddetta
intangibilità da parte dell’ente. Per quanto riguarda il diritti che competono al socio come terzo si può
parlare di intangibilità da parte dell’ente in quanto in questo campo la volontà della persona giuridica
non può prevalere dato che a nessun soggetto è possibile influire, senza un esplicito conferimento di
poteri, nella sfera giuridica di un altro soggetto. Diversa è invece la posizione rispetto a quei diritti che
competono al socio nell’ambito dell’organizzazione sociale. Qui infatti siamo in un campo dove la
volontà dell’ente si può esplicare pienamente in quanto la posizione del socio è necessariamente
subordinata alla posizione della collettività che si esprime attraverso la persona giuridica sulla base
della comunione di interessi che si è formata con il contratto sociale. In questo campo quindi quando
si parla di intangibilità dei diritti dei soci (es. diritto agli utili, diritto al voto) si intende l’impossibilità
da parte della persona giuridica di modificare con un suo atto di volontà i caratteri essenziali di tali
diritti ma tale intangibilità non è assoluta. Infatti la stessa legge prevede ad. Esempio le azioni prive di
diritto di voto, le azioni a voto limitato, le azioni di risparmio o privilegiate o la possibilità di
subordinare a particolari condizioni la vendita delle azioni. La stessa legge prevedendo che il voto non
possa essere esercitato dal socio in posizione di conflitto di interessi, che l’assemblea debba deliberare
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sulla distribuzione degli utili o che il diritto di opzione possa essere limitato se lo esige l’interesse della
società, mette in chiaro la subordinazione del socio rispetto alla società- Si deve quindi dire che questo
tipo di diritto risulta subordinato alle esigenze della comunione di interessi creata con il contratto
sociale così come gli interessi individuali sono necessariamente subordinati agli interessi della
collettività. Tuttavia il sacrificio dell’interesse del socio è ammissibile a sole due condizioni: in primo
luogo il principio della parità di trattamento per cui il sacrificio deve pesare su tutti i soci nella stessa
misura (es.la rinuncia alla percezione degli utili non può essere imposta solo ad alcuni o non ad altri) e
in secondo luogo il principio per cui il sacrificio dell’interesse del socio deve essere giustificato
dall’interesse sociale.
183) Il capitale sociale - Altro elemento comune alle società di capitali è il capitale sociale, ossia
l’ammontare stabilito nell’atto costitutivo della società del valore complessivo dei conferimenti dei
soci. Il capitale sociale è perciò una cifra indicativa che anche inizialmente si differenzia dalla nozione
di patrimonio sociale, è espresso in termini monetari (prescindendo dalla natura dei beni oggetto del
conferimento) e rimane sempre identico nonostante il variare o il trasformarsi dei beni inizialmente
conferiti. La nozione di capitale sociale è rilevante perché in base ad esso si misurano i poteri del
singolo socio che sono tanto più intensi quanto maggiore è la partecipazione al capitale stesso.
Normalmente infatti la partecipazione al capitale sociale del socio è in misura proporzionale al valore
del conferimento ma tuttavia con la riforma delle società di capitali è stato esteso anche a queste
società una soluzione già presente nella disciplina delle società di persone in quanto è possibile,
tramite una apposita clausola statutaria, riconoscere al singolo socio una partecipazione al capitale
non proporzionale al valore del suo conferimento. Questo ruolo importante del capitale come base per
determinare i diritti dei soci spiega la necessità di distinguerlo dal patrimonio sociale che è invece il
complesso delle attività e passività facenti capo alla società in un dato momento. La distinzione tra
capitale sociale e patrimonio sociale è ancora più accentuata dal fatto che sono oggi possibili gli
apporti al patrimonio che ( a differenza dei conferimenti che formano il capitale) attribuiscono una
partecipazione al patrimonio e non al capitale e quindi non la posizione di socio. Il capitale sociale ha
anche la funzione di fungere da indicatore del patrimonio sociale (che nelle società di capitali
costituisce l’unica garanzia per i creditori) e infatti la legge richiede che l’entità del capitale sociale per
la parte effettivamente versata sia indicata negli atti e nella corrispondenza della società e richiede che
sia inizialmente che durante la vita della società il valore del patrimonio sociale non scenda oltre certi
limiti al di sotto della cifra indicata come capitale sociale. Per questo motivo la cifra in cui consiste il
capitale sociale deve essere iscritta in bilancio nelle passività in modo tale da fungere da confronto per
l’accertamento degli utili e delle perdite dell’esercizio impedendo la distribuzione degli utili se non per
quella parte dell’attivo che superi la cifra indicata al passivo come capitale sociale. Inoltre la legge
impone la riduzione o la reintegrazione del capitale sociale in caso di perdite che superino il terzo del
capitale stesso e impone la immobilizzazione di una parte degli utili per la costituzione di riserve
legali in modo da garantire la permanenza del capitale di fronte alle oscillazioni patrimoniali che
possono verificarsi nei vari esercizi. Nulla impedisce invece che il valore del patrimonio sociale sia
superiore alla cifra indicata come capitale sociale. Se pure frutto di una determinazione convenzionale
il capitale sociale può essere variato solo in base ad una variazione dello statuto o dell’atto costitutivo,
sia nel senso dell’aumento che della diminuzione. Tali variazioni possono corrispondere ad una
variazione del patrimonio sociale o possono attuarsi restando identico il patrimonio sociale. Così vi
può essere un aumento del capitale mediante nuovi conferimenti o una riduzione mediante esonero
dei soci dai conferimenti ancora dovuti e quindi con variazione del patrimonio e vi può essere
aumento mediante imputazione al capitale delle riserve legali o una riduzione del capitale per perdite
e quindi senza variazione nel patrimonio. La legge fissa un minimo di capitale sociale per i vari tipi di
società che deve permanere anche durante la vita della società. Pertanto se per effetto di perdite
superiori al terzo il capitale sociale scende sotto il limite legale o il capitale viene reintegrato, o la
società deve trasformarsi o si scioglie.
184) Sottocapitalizzazione e postergazione dei finanziamenti dei soci – Possono esserci ipotesi in cui
viene a crearsi una situazione di sottocapitalizzazione quando il capitale sociale è manifestamente
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inadeguato per l’attività economica oggetto della società. Vi può essere una situazione di
sottocapitalizzazione materiale che si ha quando i mezzi per lo svolgimento dell’attività sociale sono
acquisiti soprattutto mediante il finanziamento concesso da terzi e situazioni di sottocapitalizzazione
nominale quando invece i mezzi sono forniti dai soci ma non con lo strumento dei conferimenti a
capitale. Nella prima ipotesi un rimedio sarebbe quello di verificare se la sottocapitalizzazione
valutata nel contesto concreto in cui opera determini una impossibilità di conseguire l’oggetto sociale
determinandone così lo scioglimento. Un altro rimedio potrebbe essere quello usato in altri
ordinamenti dove tali sistemi vengono considerati come abusi della personalità giuridica e quindi
come un modo abusivo per riversare sui terzi i rischi dell’attività imprenditoriale. Per quanto riguarda
la seconda ipotesi il legislatore ne ha ravvisato la manifestazione più esplicita nel caso in cui i soci,
invece di conferire, forniscono alla società i mezzi finanziari mediante finanziamenti ponendosi così
come un qualsiasi finanziatore esterno e ponendosi su un piano di parità con gli altri creditori
sottraendosi al rischio tipico del socio, In tale ipotesi il legislatore prevede un rimedio consistente
nella cosiddetta postergazione legale attuabile nella società a responsabilità limitata. Infatti il codice
civile dispone che il credito avente per oggetto il finanziamento erogato dai soci alla società a
responsabilità limitata sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori qualora sia stato
concesso in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato più ragionevole finanziare la società
attraverso un aumento di capitale mediante nuovi conferimenti. Attraverso tale disciplina la legge
sottopone la restituzione del finanziamento al medesimo rischio al quale sarebbe stato soggetto se
fosse stato effettuato a titolo di conferimento evitando quindi che la realizzazione del credito del socio
pregiudichi quella degli altri creditori. Tale disciplina viene espressamente richiamata dalla legge
anche per i finanziamenti concessi alla società controllata dalla società controllante e pertanto ci si
potrebbe chiedere se non sia possibile interpretare la norma in senso più generale applicandola anche
al di là della società a responsabilità limitata.
185) Disciplina dei conferimenti: l’oggetto – Per quanto riguarda le società di capitali la legge prevede
che qualora nell’atto costitutivo o nella deliberazione di aumento di capitale non sia stabilito altrimenti
i conferimenti devono essere fatti in denaro. Quando i conferimenti non sono effettuati in denaro la
legge esige che il possibile oggetto di conferimento debba essere suscettibile di valutazione
economica. Per la società per azioni inoltre è previsto il divieto del conferimento in prestazione
d’opera o servizi da parte del socio cosa invece possibile per la società a responsabilità limitata
(purchè accompagnata da una polizza di assicurazione o da una fidejussione che garantiscano per
l’intero valore i corrispondenti obblighi del socio). Per la società di capitali tuttavia il codice civile
prevede che i soci possano conferire apporti al patrimonio sociale ( e non conferimenti al capitale)
sotto forma di prestazione d’opera o di servizi. D’altra parte la legge esige che vi sia corrispondenza
tra capitale e patrimonio in quanto la garanzia dei creditori è costituita dal patrimonio della società e
per tale motivo la cifra indicata come capitale non deve essere superiore al valore del patrimonio.
Pertanto ogni apporto al patrimonio è di per sé anche un conferimento di capitale e quindi può valere
(tranne esplicite condizioni poste dalla legge) a realizzare quella corrispondenza tra patrimonio e
capitale richiesta dalla legge.
186) continua . Il procedimento e l’attuazione - Se il conferimento è effettuato in denaro non si pone
alcun problema di accertarne il valore, problema che si pone invece per i conferimenti in beni o crediti.
In questo caso, per quanto riguarda la società per azioni il conferente deve presentare una perizia
giurata da parte di un esperto incaricato dal tribunale e gli amministratori devono controllare la
perizia. Finchè il controllo non è stato effettuato le azioni corrispondenti rimangono depositate presso
la società e non possono essere vendute. Se dal controllo si verifica che il valore dei beni o crediti è
inferiore di oltre un quinto rispetto al conferimento richiesto si procede alla riduzione di capitale
(annullando le corrispondenti azioni) salvo il diritto del socio di versare la differenza in denaro o di
recedere. In quest’ultimo caso il socio ha diritto alla restituzione del conferimento in natura. Sono
esenti dalla perizia giurata i beni per i quali esiste una valutazione di mercato o i beni per i quali ci si
può riferire ad una valutazione ritenuta affidabile dal legislatore (es. valori mobiliari o strumenti del
mercato monetario). Per le società a responsabilità limitata la perizia giurata è sostituita da una
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relazione effettuata da una società di revisione legale scelta dal socio e non soggetta ad ulteriori
controlli. Anche per la società di capitali il conferimento significa solo assunzione dell’obbligo e non
apporto effettivo. Infatti per i conferimenti in denaro è richiesto il versamento del 25 per cento della
quota sottoscritta presso una banca (per le società a responsabilità limitata tale versamento può
essere sostituito da una polizza assicurativa o una fidejussione bancaria) e solo nel caso del socio
unico si richiede il versamento integrale pena l’assunzione della responsabilità illimitata. I
conferimenti in natura invece devono essere integralmente effettuati al momento della sottoscrizione.
Principi analoghi a quelli dettati per i conferimenti in beni o crediti sono seguiti per gli acquisti da
parte della società dai promotori, fondatori o amministratori nei due anni dall’iscrizione nel registro
delle imprese. Se infatti questi vendono alla società beni o crediti l’acquisto è subordinato
all’autorizzazione dell’assemblea e anche per essi è richiesta la perizia di un esperto in mancanza della
quale ferma restando la validità dell’atto, gli amministratori e il venditore sono solidalmente
responsabili per i danni causati alla società, ai soci e ai terzi. L’obbligo di conferimento è limitato alla
quota di capitale sottoscritta e quindi l’ammontare non può essere ridotto neanche con il consenso
degli organi sociali se non in conseguenza di una riduzione del capitale e neanche può essere imposto
al socio l’obbligo di ulteriori conferimenti qualora parte del capitale sociale sia andata perduta. Il
debito di conferimento non può essere compensato con il credito che il socio abbia eventualmente nei
confronti della società- Infatti debito e credito non hanno per il socio la stessa natura in quanto il
debito grava su di lui come socio mentre il credito gli spetta come un terzo e pertanto i due rapporti si
pongono su un piano diverso e non possono essere compensati. Se il socio chiamato alla esecuzione del
conferimento è inadempiente la società può disporre la vendita coattiva delle azioni e nel caso le azioni
non possano essere vendute per mancanza di acquirenti può dichiarare la esclusione del socio
provvedendo alla corrispondente riduzione del capitale sociale. Il socio in mora con i versamenti non
può esercitare il diritto di voto. La stessa disciplina si applica per le società a responsabilità limitata in
caso di scadenza della polizza assicurativa o della fidejussione prestata in sostituzione del versamento
del 25% del conferimento in denaro.
187) Le prestazioni accessorie – Accanto all’obbligo di conferimento nello statuto delle società per
azioni può essere imposto un obbligo a carico del socio di compiere prestazioni accessorie non
consistenti in denaro. Tali prestazioni non sono soggette alla disciplina dei conferimenti ma a quella
contenuta nello statuto che le prevede anche per quanto riguarda le conseguenze dell’inadempimento
o della impossibilità dell’adempimento. In caso di circolazione delle azioni le prestazioni accessorie
gravano sul nuovo socio fermo restando che la legge prevede la intrasferibilità delle azioni senza il
consenso degli amministratori, Gli obblighi derivanti dalle prestazioni accessorie non possono essere
modificati, salvo diversa previsione dello statuto, senza il consenso di tutti i soci così come avviene per
i conferimenti.
188) Le operazioni su azioni proprie e della società controllante - Per assicurare la effettività del
capitale sociale la legge disciplina in modo particolare quelle operazioni che avendo per oggetto azioni
proprie o della società controllante o costituendo un incrocio (sottoscrizione reciproca delle azione da
parte di più società) possono determinare l’annacquamento e l’eliminazione del capitale sociale stesso.
Con queste operazioni infatti si rischia di far uscire dal patrimonio della società una parte del capitale
facendo entrare un bene (l’azione) che non ha più il suo controvalore nel patrimonio sociale o che si
abbia una pluralità di azioni il cui controvalore è rappresentato dallo stesso patrimonio. Per quanto
riguarda le società a responsabilità limitata l’acquisto di partecipazioni proprie o altre operazioni che
le riguardano sono espressamente vietate dalla legge e quindi devono ritenersi nulle. Per quanto
riguarda le società per azioni la disciplina è più articolata e quindi esaminiamo i diversi casi. A)
Acquisto d azioni proprie o acquisto di azioni o quote della controllante da parte della controllata L’art. 2357 vieta espressamente alle società di effettuare entrambe le operazioni se non nei limiti degli
utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio. Nei limiti suddetti inoltre
l’operazione può riguardare sole le azioni interamente liberate. L’acquisto deve essere autorizzato
dall’assemblea ordinaria la quale ne fissa le modalità, il numero massimo di azioni da acquistare, la
durata comunque non superiore a 18 mesi per la quale l’autorizzazione è accordata, il corrispettivo
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minimo e massimo. Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio inoltre il valore
nominale delle azioni acquistate non può mai superare il 5^ del capitale sociale tenuto conto anche
delle azioni possedute dalle società controllate. La violazione dei limiti imposti dalla legge non
comporta la nullità dell’acquisto ma comporta l’obbligo della vendita delle azioni illegittimamente
acquistate e in mancanza l’annullamento di esse con corrispondente riduzione del capitale sociale.
Qualora l’assemblea non provveda gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia
disposta dal tribunale. La disciplina prevista dalla legge non si applica nei seguenti casi 1) quando si
tratti di acquisto a titolo gratuito o per esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della
società purchè si tratti in entrambi i casi di azioni interamente liberate 2) acquisto a seguito di
successione universale, fusione o scissione o in esecuzione di una deliberazione di riduzione di
capitale attuabile mediante riscatto e annullamento di azioni. Per le società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio tuttavia rimane (tranne che per l’ultima ipotesi) il limite della quinta
parte del capitale sociale. B) sottoscrizione di azioni proprie o di azioni o quote della società
controllante - L’art. 2357 vieta espressamente tale possibilità, Anche in questo caso però la violazione
del divieto non comporta la nullità della sottoscrizione ma l’assunzione diretta della sottoscrizione e il
relativo obbligo di liberare le azioni da parte a) nel caso di azioni proprie dei promotori, soci fondatori
o amministratori b) nel caso di sottoscrizione di azioni della società controllante degli amministratori
della controllata. In entrambi i casi l’obbligo non grava sui soggetti che dimostrino di essere esenti da
colpa. C) Altre operazioni relative alle azioni proprie - Il nuovo testo dell’art. 2358 vieta
espressamente di accettare azioni proprie in garanzia. Per quanto riguarda le altre operazioni ( prestiti
e garanzie per il loro acquisto) la legge fissa le condizioni alle quali esse sono consentite. In primo
luogo le somme impiegate o le garanzie prestate devono essere contenute nei limiti degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili in base all’ultimo bilancio approvato, e in secondo luogo
l’operazione deve essere preventivamente autorizzata dall’assemblea straordinaria adottando
specifiche modalità procedurali. Secondo la dottrina però tale disciplina non si applica ad altre
operazioni come quelle di Leveraged buy out. Con queste operazioni una società ottiene un
finanziamento bancario che utilizza per acquistare la maggioranza o la totalità delle azioni di un’altra
società (società bersaglio) e successivamente si fonde con essa e quindi la restituzione del
finanziamento avviene utilizzando il reddito prodotto dalla società bersaglio ed è garantita dal suo
patrimonio. In questo caso però manca la prestazione di una garanzia da parte della società bersaglio
e il coinvolgimento del suo patrimonio è in realtà causato dalla fusione. Pertanto la tutela dei creditori
non viene effettuata sulla base della integrità del capitale sociale ma sul diritto di opposizione loro
riconosciuto in via generale nel caso di fusione. D) sottoscrizione reciproca di azioni - L’art. 2360
vieta espressamente tale operazione anche se avviene tramite società fiduciaria o interposta persona.
Essendo le due operazioni contestuali non vi può essere dubbio sulla nullità dell’’operazione.
189) Le riserve - Le riserve sono immobilizzazione degli utili imposte dalla legge (riserve legali), dagli
statuti (riserve statutarie) o eventualmente disposte dall’assemblea (riserve straordinarie o
facoltative) allo scopo di assicurare la stabilità del capitale sociale di fronte a oscillazioni dei valori o di
perdite che possono presentarsi in esercizi successivi. La legge impone la creazione di una riserva
legale pari al quinto del capitale sociale mediante l’immobilizzazione almeno della ventesima parte
degli utili di esercizio. Anche le riserve devono essere iscritte nel passivo del bilancio come il capitale
sociale in quanto la loro funzione contabile è appunto quella di impedire la distribuzione degli utili per
i valori ad esse corrispondenti. Accanto alle riserve vere e proprie ci sono le riserve occulte che sono
accantonamenti nascosti nel bilancio in genere dipendenti da una sottovalutazione delle attività sociali
o dalla indicazione di passività inesistenti,. In questo caso però si parla impropriamente di riserve
perchè questi accantonamenti non hanno il carattere della immobilizzazione in quanto possono
tranquillamente essere messi in evidenza nel bilancio successivo.
190) Sovraprezzo. Versamenti a copertura delle perdite e versamenti in conto capitale - Le azioni, sia
in sede di costituzione della società che in sede di aumento di capitale, possono e talvolta devono
essere emesse per una somma superiore al loro valore nominale e tale somma in più prende il nome di
sovrapprezzo. In sede di aumento di capitale la funzione del sovrapprezzo è quella di adeguare il
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prezzo di emissione delle azioni al loro valore reale. Nelle società per azioni il sovrapprezzo è imposto
quando vi sia esclusione o limitazione del diritto di opzione e il prezzo di emissione deve essere
proporzionato al valore del patrimonio netto. Nel caso di costituzione della società invece il
sovrapprezzo può avere solo la funzione di un ulteriore apporto in aggiunta di quello fatto con il
conferimento. In entrambe le ipotesi comunque vi è un incremento del patrimonio che non è rilevante
circa il capitale o il suo aumento. Il sovrapprezzo per legge deve confluire in un apposito fondo e non
può essere distribuito finchè la riserva legale non ha raggiunto il quinto del capitale sociale e pertanto
non può essere compreso tra gli utili distribuibili o le riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio
approvato. Per quanto riguarda i versamenti fatti dai soci a copertura delle perdite o in conto capitale
pur trattandosi di due operazioni distinte hanno in comune il fatto che non possono essere considerati
come finanziamenti fatti dal socio alla società. Nelle società di persone tali versamenti trovano la loro
giustificazione nella responsabilità illimitata del socio mentre nelle società di capitali tali versamenti
devono essere intesi nel senso che il socio non può essere obbligato ad ulteriori versamenti (oltre al
conferimento) ma non nel senso che siano impediti al socio altri versamenti con una destinazione
specifica. Si tratta di versamenti volontari che non possono essere assoggettati al regime proprio del
capitale o delle riserve ma che sono vincolati alla destinazione per la quale sono compiuti. Tale
destinazione si esaurisce nell’operazione stessa per i versamenti compiuti a copertura delle perdite
mentre per i versamenti in conto capitale rimane finchè il capitale non viene aumentato e comunque
finchè sussiste la possibilità di aumentarlo. Come con una deliberazione la società ha deciso il futuro
aumento di capitale con un’altra deliberazione può decidere di non attuarlo liberando così le somme
versate dal vincolo di destinazione.
191) La partecipazione sociale – la quota di società a responsabilità limitata - Nelle società di capitali
in linea di principio i diritti e i poteri dei soci sono determinati in funzione della loro partecipazione al
capitale sociale. Tale principio però assume caratteri diversi e può venire temperato nei vari tipi di
società di capitale. Nelle società per azioni per esempio le esigenze finanziarie che le caratterizzano
ammettono che a seguito di apporti diversi dai conferimenti possano essere emesse azioni che
conferiscono diritti e poteri che ad esclusione di quello di voto coincidono con quelli dei soci. Nelle
società a responsabilità limitata invece la rilevanza che può assumere la persona del socio determina
alcune ipotesi di attribuzione ai singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della
società o la distribuzione degli utili, e pertanto consente l’eventualità di diritti dei soci indipendenti
dalla loro partecipazione al capitale sociale. Rilievo centrale hanno quindi nelle società di capitali le
tecniche con le quali viene definita la partecipazione al capitale dei soci e quindi la suddivisione del
capitale in parti. Nelle società per azioni il capitale viene suddiviso in azioni base ad una suddivisione
preventivamente e astrattamente operata nell’atto costitutivo della società Nelle società a
responsabilità limitata invece il capitale viene suddiviso in quote in base alle persone dei soci. La
quota esprime quindi la partecipazione del socio al capitale e costituisce un complesso unitario di
diritti e poteri che fanno capo al socio e poiché diversa può essere la partecipazione dei singoli soci alla
società diverse possono essere le quote. In linea di principio le quote sono trasmissibili interamente o
in parte anche ad estranei sia per atto tra vivi che per successione a causa di morte ma la legge
prevede anche che la trasmissione possa essere esclusa nell’atto costitutivo della società. La quota di
ogni socio è necessariamente unica: essa può rappresentare una parte maggiore o minore del capitale
ma non è consentito ad un socio di avere più quote. Queste regole si riflettono anche in sede di
circolazione della quota in quanto la circolazione della quota ha il suo presupposto nella trasmissione
della posizione di socio e pertanto la quota non può essere rappresentata da una azione e non può
costituire oggetto di offerta al pubblico in quanto alla società a responsabilità limitata è precluso
l’accesso al mercato del capitale di rischio. La disciplina vigente prevede, dopo l’eliminazione del libro
dei soci che nel caso di vendita della quota il titolo di acquisto deve essere depositato, a cura del notaio
autenticante, nel registro delle imprese o nel caso di trasferimento mortis causa, su richiesta dell’erede
o del legatario. Il deposito nel registro delle imprese è elemento costitutivo della legittimazione del
socio rispetto alla società. L’iscrizione nel registro inoltre svolge la funzione di risolvere il conflitto tra
più acquirenti successivi della stessa quota tra i quali viene preferito chi per primo ha effettuato il
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deposito in buona fede anche se il suo titolo è di data posteriore. La quota inoltre può formare oggetto
di pegno, usufrutto o sequestro e anche di espropriazione.
192) continua – L’azione Nelle società di capitali invece la suddivisione del capitale viene fatto
indipendentemente dalla persona del socio sulla base di una suddivisione astrattamente operata
nell’atto costitutivo. Il capitale sociale è fin dall’inizio suddiviso in tante parti, le azioni, che sono
necessariamente uguali, attribuendo uguali diritti e uguali poteri. Pertanto la posizione del socio nella
società dipende dal numero di azioni possedute ed essendo l’azione indipendente dalla persona del
socio la libera trasmissibilità è caratteristica essenziale dell’azione. L’azione ha tre caratteristiche
fondamentali: è parte del capitale sociale, è un complesso unitario di diritti e poteri, ed è un titolo
azionario. Per quanto riguarda il primo aspetto la legge prevede due sistemi per effettuare la
suddivisione del capitale: il primo prevede la determinazione nello statuto del valore nominale
dell’azione per cui il numero delle azioni si ha dividendo il capitale sociale per il valore nominale,
mentre il secondo prevede l’emissione di azioni senza valore nominale ma stabilendo nello statuto il
numero delle azioni da cui deriva il valore percentuale che ciascuna di esse ha rispetto al capitale
sociale. Oltre al valore nominale si ha il valore effettivo e per le azioni quotate in borsa il valore di
borsa: tali valori possono essere diversi dal valore nominale e possono continuamente modificarsi in
quanto si basano sul patrimonio della società o sul corso delle quotazioni, valori entrambi variabili.
193) Categorie di azioni - Abbiamo detto che le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti e
precisamente il diritto ad una parte proporzionale degli utili e del patrimonio netto risultante dalla
liquidazione nonché il diritto di voto. Questa esigenza di uguaglianza di diritti però si pone solo con
riferimento alle azioni che fanno parte della stessa categoria in quanto la legge prevede che in una
stessa società possano esistere diverse categorie di azioni e che le azioni di ogni categoria siano fornite
di diritti particolari il cui contenuto è determinabile liberamente dalla società. Così accanto alle azioni
ordinarie possono essere emesse: a) azioni privilegiate che attribuiscono un diritto di priorità nella
distribuzione degli utili o nel rimborso del capitale all’atto dello scioglimento della società – b) azioni
postergate -. Per quanto riguarda l’incidenza delle perdite c) azioni correlate . ossia fornite di diritti
patrimoniali dipendenti dai risultati dell’attività della società in un determinato settore d) azioni senza
diritto di voto , con voto limitato a particolari argomenti o con voto subordinato al presentarsi di
determinate condizioni. Ovviamente tali categorie di azioni non devono superare complessivamente
la metà del capitale sociale. Possono essere previste (solo per le società che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio) limiti di voto in base alle quantità di azioni possedute dallo stesso
soggetto o azioni riscattabili, per le quali viene riconosciuta agli altri soci un potere di acquisto ad un
determinato corrispettivo in caso di recesso. Sono invece vietate le azioni a voto plurimo, ossia azioni
privilegiate nel voto. Altra categoria di azioni è quella delle azioni di godimento riservate ai soci le cui
azioni siano state sorteggiate per ridurre il capitale sociale in eccesso. Infatti gli azionisti le cui azioni
sono state estratte e che pertanto escono dalla società hanno diritto alla quota di liquidazione calcolata
sul valore nominale e non su quello reale e quindi potrebbero subire un pregiudizio qualora esso
risultasse minore di quello reale. Si può quindi ovviare a ciò assegnando azioni di godimento che
permettono di partecipare alla distribuzione di utili futuri anche se in modo postergato rispetto alle
altre categorie di soci.
194) I titoli azionari - La circolazione del titolo azionario, implicando anche la circolazione della
posizione di socio, determina la sostituzione dell’acquirente al venditore in tutte le posizioni
soggettive riferite all’azione, siano esse attive e passive, compreso l’obbligazione al versamento dei
conferimenti ancora dovuti nel caso di azioni non interamente liberate. Per quanto riguarda la
disciplina della circolazione la vigente normativa prevede che in caso di mancata emissione dei titoli
azionari il trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società e conferisce la legittimazione
ad esercitare i relativi diritti dal momento dell’iscrizione nel libro dei soci. Per le azioni al portatore
viene disposto che esse si trasferiscono mediante consegna del titolo mentre per le azioni nominative
si prevede il meccanismo della girata autenticata e si stabilisce che il giratario che si dimostra
possessore in base ad una serie continua di girate è legittimato ad esercitare i diritti sociali fermo
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restando l’obbligo della società di aggiornare il libro dei soci. La legge considera inoltre le azioni
rappresentate da strumenti finanziari dematerializzati. In tal caso la scritturazione svolge un ruolo
equivalente, a seconda che si tatti di azioni al portatore o nominative, alla consegna del titolo o alla
girata e legittima quindi ad esercitare i diritti sociali. Nel secondo caso inoltre vi è l’obbligo della
società di procedere all’aggiornamento del libro dei soci.
195) Limitazioni alla circolazione delle partecipazioni - Per le società per azioni la legge pur
ammettendo la possibilità di vietare il trasferimento delle azioni ne circoscrive la possibilità nel
termine massimo di cinque anni e prevede la possibilità di sottoporre (in base ad una disposizione
dello statuto) a particolari condizioni il trasferimento delle azioni nominative e di quelle non
rappresentate da titoli azionari. La legge prevede inoltre che altre limitazioni possano essere imposte
nell’atto costitutivo e quindi le limitazioni più diffuse sono quelle che derivano da una disposizione
statutaria quale la clausola che prevede un diritto di prelazione dei soci in caso di alienazione di azioni
(per cui il socio che intende liberarsi delle azioni deve preferire, a parità di prezzo, uno o tutti i soci) o
la clausola di gradimento (per cui la vendita della azioni viene subordinata al gradimento della
persona dell’acquirente da parte degli organi sociali, consiglio di amministratore o assemblea). Tali
limitazioni statutarie sono motivate dall’intento di evitare l’ingresso in società a persone non gradite e
in quanto poste dallo statuto sono efficaci erga omnes e quindi opponibili ai terzi sia se le
conoscessero o meno con la conseguenza, per quanto riguarda la clausola di prelazione, che il
trasferimento fatto in sua violazione non ha effetto nei confronti della società e degli altri soci che
hanno quindi il diritto di rendersi acquirenti in sostituzione di colui che le abbia acquistate in
violazione del loro diritto. Il problema più delicato si pone però per la clausola di gradimento in
quanto essa attribuisce un potere ad un organo sociale, e quindi ad un gruppo di comando, che può
costituire uno strumento per impedire il ricambio nel controllo della società ponendo inoltre
discriminazioni tra maggioranza e minoranza nella possibilità di vendere le proprie azioni. Pertanto il
gradimento non può essere arbitrariamente rifiutato ma il rifiuto deve trovare giustificazione nella
situazione oggettiva, altrimenti la clausola potrebbe addirittura escludere indefinitamente la
circolazione delle azioni cosa non consentita per le società per azioni. La legge prevede che le clausole
che subordinano il trasferimento inter vivos a clausole di gradimento o che sottopongono a particolari
condizioni il trasferimento mortis causa sono efficaci solo quando sia previsto a carico della società o
degli altri soci l’obbligo di acquistare le azioni o sia riconosciuto al socio alienante il diritto di recesso.
In tal modo la legge tutela la posizione del socio alienante ma non il possibile ricambio dei gruppi di
comando. Per quanto riguarda la società a responsabilità limitata la legge prevede che in presenza di
clausole di gradimento o di clausole che sottopongono a condizioni o limiti i trasferimenti mortis
causa, il socio o i suoi eredi possono chiedere la liquidazione della quota immediatamente o alla
scadenza del termine non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione
della partecipazione fissata dall’atto costitutivo. Per entrambe le società si deve ritenere che
mancando il gradimento e fatta salva l’applicazione delle tutele previste dalla legge la vendita della
partecipazione non ha effetto nella società e quindi socio rimane il venditore e non l’acquirente.
196) Azione e quota nella società per azioni: sindacati di blocco e sindacati di amministrazione. I patti
parasociali - i patti parasociali sono quegli accordi tra i soci che hanno lo scopo di regolare il loro
comportamento in seno alla società. Tali patti hanno efficacia obbligatoria solo tra le parti che li
stipulano, con esclusione dei successivi acquirenti delle azioni, non possono essere opposti ai terzi né
alla società (che non è parte), non invalidano gli atti compiuti in violazione di essi e. nei confronti del
trasgressore, gli altri soci partecipanti all’accordo violato possono esperire solo l’azione di
risarcimento dei danni qualora sia dimostrabile un pregiudizio derivato dal comportamento del
trasgressore stesso. I sindacati di blocco sono quei patti parasociali costituiti da quegli azionisti i quali,
al fine di evitare che le azioni di uno o più di essi possano passare di mano ad altre persone, si
impegnano reciprocamente a limitare l’alienazione delle azioni stesse in modo da garantire una certa
composizione del corpo sociale. Come abbiamo detto l’alienazione delle azioni in violazione del patto è
perfettamente valida ed efficace ed obbliga solo il trasgressore al risarcimento del danno. Pertanto per
ottenere una efficacia valida anche nei confronti dei terzi il sindacato di blocco viene effettuato
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depositando le azioni presso un terzo e quindi impedendo la possibilità di violazione degli obblighi
assunti. I sindacati di voto sono invece patti tra gruppi di azionisti che si formano nell’ambito delle
società per azioni in modo da godere di quei diritti che sono connessi ad una quota superiore a quella
singolarmente detenuta dai partecipanti al sindacato. Il codice originariamente non vietava né
regolava espressamente i sindacati di voto e quindi nella dottrina e nella giurisprudenza erano sorti
dubbi sulla validità di tali convenzioni ma tali perplessità devono intendersi superate a seguito
dell’introduzione nel codice civile con l’art. 2341 bis di una disciplina generale dei patti parasociali.
L’art 2341 disciplina infatti quei patti che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto o pongono
limiti al trasferimento delle azioni prevedendo che essi non possano avere una durata superiore ai
cinque anni, anche se sono rinnovabili alla scadenza. Inoltre i patti parasociali nell’ambito delle
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio devono essere dichiarati in assemblea e in
mancanza di tale dichiarazione (che deve essere trascritta nel verbale depositato presso il registro
delle imprese) gli azionisti cui il patto si riferisce non possono esercitare il diritto di voto a pena della
annullabilità della deliberazione assunta con il loro voto determinante. Tale disciplina chiarisce che
essendo i patti di sindacato riferiti ad interessi privati non è vietato che i partecipanti rinuncino ad un
loro particolare interesse a favore di un altro interesse che sta loro maggiormente a cuore ma
interviene per evitare che da tali patti possa derivare un danno agli altri soci attribuendo loro il potere
di impugnazione della deliberazione in caso di conflitto di interessi quando la deliberazione può
arrecare danno alla società. Pertanto non è invalido il patto di sindacato attraverso il quale i membri
cerchino di realizzare attraverso la società un loro interesse personale ma è invalida la deliberazione
formatasi con tali voti quando da essa può derivare un danno per la società.
2 La costituzione della società
197) Procedimento di costituzione: oneri relativi - Nelle società di capitali il processo di costituzione è
un fenomeno complesso risultante da più atti tra loro collegati. Mentre infatti nelle società di persone
la formazione della società si esaurisce nella stipula del contratto sociale nelle società di capitali il
processo formativo si conclude con l’iscrizione della società nel registro delle imprese. Prima di tale
momento la società non esiste come persona giuridica ed è solo in tale momento che si producono, nei
confronti dei soci e dei terzi, gli effetti giuridici tipici del tipo di società prescelto, Nel processo di
formazione delle società di capitali è fondamentale l’accento posto sulla formazione del capitale e sulle
garanzie dirette ad assicurare che esso si sia effettivamente formato. Ne derivano particolari oneri a
carico di coloro che partecipano alla stipula del contratto sociale, oneri che devono essere adempiuti
prima che il notaio proceda alla stipula dell’atto costitutivo, Tali oneri consistono nella dimostrazione
che il capitale sociale è stato sottoscritto, nel versamento del venticinque per cento del capitale in
denaro presso una banca, nell’integrale esecuzione dei versamenti in natura e nella sussistenza di tutte
le autorizzazioni richieste dalla legge per la costituzione della società
198) Costituzione simultanea e costituzione successiva. – Nelle società a responsabilità limitata e nelle
società per azioni di piccole dimensioni il capitale è conferito dalle persone che intendono costituire la
società. Nelle società per azioni di maggiori dimensioni invece la formazione del capitale può
richiedere la raccolta dei mezzi necessari presso il pubblico dei risparmiatori. In questo caso gli
ideatori della società possono seguire due vie: sottoscrivere loro stessi il capitale costituendo la
società e rinviando ad un momento successivo il collocamento delle azioni presso i risparmiatori
(costituzione simultanea) o raccogliere preventivamente le adesioni dei risparmiatori sulla base di un
programma in cui sono indicati gli scopi della società e le condizioni essenziali per la partecipazione
ad essa (costituzione successiva o mediante pubblica sottoscrizione). Il primo tipo di costituzione non
pone problemi in quanto il contratto sociale in questo caso è il risultato di un atto cui partecipano tutti
gli interessati. Problemi di interpretazione si pongono invece con il secondo tipo di costituzione che
prevede le seguenti fasi : a) redazione da pare dei promotori di un programma contenente l’oggetto, il
capitale, le principali disposizioni dell’atto costitutivo e dello statuto. Il programma deve essere
sottoscritto dai promotori, autenticato da un notaio e depositato presso di esso. B) adesione dei
sottoscrittori mediante atto pubblico o scrittura privata c) versamento del venticinque per cento dei
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conferimenti in denaro nel termine stabilito del programma d) assemblea dei sottoscrittori per
accertare l’adempimento degli oneri richiesti dalla legge e per deliberare a maggioranza dei voti sulla
integrazione delle disposizioni dell’atto costitutivo e)stipulazione dell’atto costitutivo da parte dei
presenti, in rappresentanza anche degli assenti. Problemi giuridici si pongono circa il significato
giuridico da attribuire a tali diverse fasi e alla posizione giuridica dei sottoscrittori dopo la loro
adesione al programma. Tali problemi si risolvono considerando che le varie fasi non hanno portata
giuridica autonoma ma sono elementi singoli di una fattispecie complessa, collegati tra di loro al fine
della produzione dell’effetto giuridico definitivo. Quando la legge parla di stipula dell’atto costitutivo
quindi si riferisce alla redazione di un atto formale che non fa altro che riprodurre la volontà già
espressa dai sottoscrittori con la loro adesione e questo è dimostrato dal fatto che l’atto costitutivo
possa essere posto in essere dagli intervenuti anche in rappresentanza degli assenti.
199) I promotori e i soci fondatori - Nelle società a costituzione successiva coloro che preparano il
programma sono definiti promotori, e su di essi gravano obblighi e responsabilità e possono essere
attribuiti particolari diritti. I promotori sono infatti direttamente e solidalmente responsabili verso i
terzi per gli atti posti in essere per la costituzione della società e hanno diritto di rivalsa nei confronti
della società, qualora questa si costituisca, solo se le obbligazioni assunte e le spese sostenute sono
state necessarie o sono state approvate dall’assemblea. I promotori sono poi responsabili verso la
società e i terzi (solidalmente con coloro per conto dei quali hanno effettivamente agito): a) per
l’integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la costituzione della
società, b) per la veridicità delle comunicazioni fatte al pubblico nel programma c) per la effettiva
esistenza dei versamenti in natura.. Ai promotori può essere riconosciuto nell’atto costitutivo, previa
deliberazione dell’assemblea, una partecipazione agli utili (in misura non superiore al decimo e per
non più di cinque anni).
200) L’atto costitutivo e lo statuto . La costituzione della società è una fattispecie complessa che
risulta dalla stipula dell’atto costitutivo e dal deposito e l’iscrizione presso il registro delle imprese.
L’atto costitutivo deve essere stipulato come atto pubblico e deve contenere tutte le indicazioni,
relative agli aspetti personali e patrimoniali richieste dalla legge. La legge richiede che gli aspetti
relativi al funzionamento della società siano contenuti nello statuto, che può essere parte dell’atto
costitutivo o costituire un atto separato, In caso di contrasto tra le regole contenute nello statuto e
nell’atto costitutivo sono prevalenti le prime (a riprova del fatto che gli elementi organizzativi hanno
ruolo centrale rispetto a quelli personali o patrimoniali). La mancanza dell’atto pubblico produce la
nullità della società mentre la mancanza delle altre indicazioni prescritte è irrilevante ai fini delle
successive fasi della costituzione purchè le lacune possano essere colmate dalla legge (es. mancata
disposizione sulla ripartizione degli utili).
201) Deposito e iscrizione nel registro delle imprese – L’atto costitutivo deve essere depositato, a cura
del notaio che lo ha ricevuto, entro venti giorni dalla stipulazione, presso il registro delle imprese della
circoscrizione dove è posta la sede sociale con allegati i documenti che comprovano l’esistenza delle
condizioni richieste per la costituzione. Contestualmente al deposito viene richiesta l’iscrizione al
registro delle imprese che viene effettuata dall’ufficio del registro previa la verifica della sola
regolarità formale della documentazione. Il controllo sulla validità sostanziale dell’atto costitutivo e
dell’esistenza delle condizioni richieste spetta invece al notaio. Con l’iscrizione al registro delle
imprese la società acquista personalità giuridica.
202) Situazione giuridica antecedente all’iscrizione - Prima dell’iscrizione nel registro delle imprese
non ha senso parlare di società per azioni o a responsabilità illimitata, in quanto essendo la
costituzione un procedimento complesso, essa non può avere luogo prima che tali atti siano stati
compiuti. Possiamo pertanto dire che finchè il processo di costituzione non si è ultimato la società non
esiste anche se la stipulazione dell’atto costitutivo è in grado di produrre alcuni effetti nei confronti dei
soci, del notaio e degli amministratori. Rispetto ai soci l’atto costitutivo è vincolante nel senso che con
esso i soci assumono l’obbligazione al conferimento. Tale efficacia vincolante cessa solo nei seguenti
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due casi: a) l’iscrizione dell’atto costitutivo viene negata a causa di irregolarità formali nella
documentazione b) quando non si è provveduto all’iscrizione della società nel registro delle imprese
entro 90 giorni dalla stipula. In queste ipotesi il socio è liberato dal conferimento e può chiedere la
restituzione delle somme versate ma fino a che una di queste ipotesi non si verifica il contratto resta
vincolante per i soci. Rispetto al notaio e agli amministratori l’effetto è quello di far sorgere a loro
carico l’obbligo di provvedere al deposito dell’atto e degli allegati per l’iscrizione, obbligo per la cui
inosservanza sono previste sanzioni amministrative. Si tratta quindi di effetti minori rispetto a quelli
che conseguono alla costituzione della società in quanto fino a questo momento la società non esiste
come persona giuridica e quindi non è concepibile una attività della società attraverso i suoi organi né
una responsabilità della società per le obbligazioni assunte. Per tali obbligazioni rispondono invece
illimitatamente e solidalmente coloro che agiscono in nome della società e potranno rivalersi nei
confronti della società una volta costituita se la società stessa ha approvato l’operazione posta in
essere ma ciò non potrà avvenire se la società non verrà costituita. Coloro che agiscono possono
vincolare le persone che hanno partecipato all’atto costitutivo solo nel caso che l’operazione sia stata
compiuta su loro mandato ma tale mandato non può ritenersi esistente per il solo fatto della stipula
dell’atto costitutivo. Infatti la responsabilità illimitata e solidale viene estesa oltre che a coloro che
hanno agito anche a coloro che con l’atto costitutivo o con atto separato hanno autorizzato o
consentito l’operazione e anche all’unico fondatore (nel qual caso la legge pone una presunzione
assoluta. Una volta costituita la società coloro che hanno agito possono essere sostituiti dalla società
nelle obbligazioni assunte e possono essere rimborsati dalle spese sostenute se esse sono necessarie
per la costituzione della società mentre per le altre spese è necessaria l’approvazione dell’organo
sociale competente. La legge vieta espressamente l’emissione di azioni prima dell’iscrizione e la loro
offerta al pubblico.
203) La nullità della società – L’art. 2332 cc disciplina la nullità della società apportando alcune
modifiche alla disciplina generale prevista per i contratti plurilaterali. In primo luogo la nullità della
società può essere pronunciata solo in un numero circoscritto di casi, previsti dall’art. 2332 che
attengono esclusivamente a vizi dell’atto costitutivo e sono i seguenti: mancata stipulazione dell’atto
costitutivo nella forma di atto pubblico, mancanza nell’atto costitutivo dell’indicazione della
denominazione della società, dei conferimenti, o dell’ammontare del capitale sociale o dell’oggetto
sociale, l’illiceità dell’oggetto sociale. A queste ipotesi deve aggiungersi l’accoglimento dell’istanza per
la cancellazione dal registro proposta dall’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni che
costituiscono condizioni di iscrizione dell’atto costitutivo ai sensi del’art. 2329 cc. L’art. 2332 inoltre
esclude la retroattività della dichiarazione di nullità della società e pertanto riconosce l’efficacia e la
validità degli atti compiuti in nome della società prima della dichiarazione stessa affermando il diritto
dei creditori sul patrimonio sociale per cui i soci non sono liberati dai conferimenti prima della
soddisfazione dei creditori stessi. L’art. 2332 stabilisce anche che la dichiarazione di nullità rende
necessaria la liquidazione della società per definire i rapporti antecedenti alla dichiarazione stessa e
pertanto la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori e deve essere trascritta nel registro
delle imprese ad opera degli amministratori o dei liquidatori. L’art. 2332 stabilisce infine che la nullità
non può essere pronunciata quando la causa di invalidità sia stata eliminata e di tale eliminazione sia
stata fatta pubblicità mediante iscrizione nel registro delle imprese.
3) Organizzazione giuridica della società Prima della riforma delle società di capitali organi di tali società erano l’assemblea dei soci, gli
amministratori e il collegio sindacale sulla base di una divisione delle competenze per cui ai primi
spettavano funzioni deliberative, ai secondi gestionali e ai terzi di controllo. A seguito della riforma è
stata disegnata una disciplina diversa che accentua anche le differenze tra società per azioni e società a
responsabilità limitata. Per quanto riguarda le prime il legislatore consente una scelta tra diversi
sistemi di amministrazione e controllo in quanto accanto al sistema tradizionale visto prima (che si
applica anche nel silenzio dello statuto) è previsto che la società possa liberamente adottare uno degli
altri due metodi introdotti dal legislatore e precisamente il sistema dualistico e il sistema monistico. Il
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primo prevede i due organi del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza, il secondo prevede
che le funzioni di amministrazione e controllo siano affidate entrambe al consiglio di amministrazione.
Qualunque sia il sistema adottato la funzione di revisione legale dei conti viene esercitata di regola da
un revisore legale dei conti o da una società di revisione. Apposite regole vengono poi previste quando
la società faccia ricorso al mercato del capitale di rischio laddove la legge prevede una più accentuata
tutela del risparmio diffuso. E’ chiaro quindi che in questo tipo di società (dette società aperte) vi sia
un più elevato grado di vincolatività delle regole legislative e infatti per esse il legislatore stabilisce che
la disciplina generale sia applicabile solo se non sia diversamente disposto (nel codice o nelle leggi
speciali). Per quanto riguarda invece le società a responsabilità limitata in generale il legislatore lascia
un ampio margine ai soci di stabilire nell’atto costitutivo le materie riservate alla loro competenza (la
legge indica infatti solo quelle competenze che non possono essere loro sottratte), di scegliere tra una
amministrazione congiunta o disgiunta e di prevedere che le decisioni dei soci stesse siano prese
anche al di fuori dell’assemblea (la legge infatti stabilisce solo alcune materie per le quali la riunione
assembleare è imperativa). La nomina del collegio sindacale è obbligatoria solo in alcuni casi e
precisamente quando il capitale sociale non è inferiore a quello richiesto per le società per azioni
(120.000 euro), quando la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato o controlla una
società obbligata alla revisione legale dei conti o quando siano stati superati due dei limiti previsti in
materia di bilancio in forma abbreviata. Nelle società a responsabilità limitata quindi la disciplina
legale svolge un ruolo residuale e viene lasciata all’autonomia privata la decisione circa
l’organizzazione della società consentendo un alto grado di flessibilità.
a) Le deliberazioni dei soci
205) Deliberazioni assembleari e decisioni dei soci - La funzione decisionale dei soci si svolge di
regola attraverso la deliberazione in cui trova applicazione il principio maggioritario. Tuttavia tale
deliberazione non è sempre frutto di un procedimento caratterizzato dalla riunione dei soci in
assemblea. Infatti tale modello può subire deroghe o addirittura essere eliminata grazie all’esercizio
dell’autonomia statutaria, Infatti per le società per azioni pur essendo imperativa la necessità
dell’assemblea è stata introdotta la possibilità del voto per corrispondenza e di intervento in
assemblea mediante mezzi di telecomunicazione. Per le società a responsabilità limitata invece il
metodo assembleare è richiesto solo in alcuni casi (modificazione dell’atto costitutivo,, riduzione del
capitale per perdite, modificazioni dell’oggetto statutario o rilevanti modificazioni dei diritti dei soci)
mentre per le altre materie l’atto costitutivo può prevedere un metodo diverso, tramite il consenso
espresso per iscritto, salvo il potere per gli amministratori o per i soci che rappresentino un terzo del
capitale sociale di chiedere che la decisione sia adottata in seno all’assemblea.
206) La costituzione dell’assemblea - Per quanto riguarda le decisioni non assembleari delle società a
responsabilità limitata la legge richiede una documentazione scritta idonea ad individuare l’argomento
della decisione ed il consenso alla stessa che deve essere conservata dalla società. Per quanto riguarda
invece le decisioni assembleari (necessarie nelle società per azioni e, per quanto riguarda le società a
responsabilità limitata nei casi previsti dalla legge o quando l’atto costitutivo non preveda l’adozione
di tecniche alternative) la legge disciplina sia la procedura per la convocazione dell’assemblea che i
principi relativi al quorum, costitutivo e deliberativo. Per quanto riguarda la convocazione
dell’assemblea per le società per azioni abbiamo una disciplina generale e una speciale prevista per le
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La disciplina generale prevede che la
convocazione sia ad opera degli amministratori (e in fase di liquidazione dei liquidatori) e debba
avvenire mediante pubblicazione sulla GU almeno 15 giorni prima di quello stabilito per la
convocazione, di un avviso che contenga l’indicazione del luogo, data ed ora dell’adunanza e
dell’ordine del giorno. Per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio lo statuto
può prevedere chela convocazione si attui mediante comunicato ai soci con mezzi che assicurino la
prova dell’avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima del giorno dell’assemblea. Nelle società a
responsabilità limitata i modi di convocazione vengono determinati dallo statuto e in mancanza la
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convocazione va fatta tramite lettera raccomandata ai soci da inviarsi almeno otto giorni prima di
quello fissato per l’assemblea. L’ordine del giorno è tassativo nel senso che non possono essere
adottate deliberazioni che riguardino materie non inserite in esso, La mancata osservazione delle
formalità di convocazione non è rilevante quando si tratta di assemblea totalitaria (per la quale nelle
società per azioni non è richiesto che sia rappresentato l’intero capitale sociale ma è richiesta la
maggioranza dei componenti gli organi amministrativi e di controllo salva necessità di dare agli
assenti comunicazione delle deliberazioni assunte e per le società a responsabilità limitata tutti gli
amministratori e se esistono i componenti del collegio sindacale devono essere presenti o, se assenti,
informati della riunione). Nelle società a responsabilità limitata l’assemblea deve essere convocata
dagli amministratori nei seguenti casi: a) al termine dell’esercizio sociale per l’approvazione del
bilancio (se per statuto tale decisione è adottabile in sede assembleare) b) quando ne faccia richiesta
una o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale
anche se si tratta di decisione per la quale l’atto costitutivo non richiede l’assemblea c) quando il
capitale sociale è stato perduto per oltre un terzo d) in presenza di un fatto che determina lo
scioglimento della società. Nelle società per azioni la convocazione è obbligatoria nei seguenti casi: a)
al termine di ogni esercizio sociale per l’approvazione del bilancio entro il termine stabilito dallo
statuto (che non può essere superiore a120 giorni dalla chiusura dell’esercizio e a 180 giorni in casi
particolari come quando la società è tenuta al bilancio consolidato). B) se viene a mancare la
maggioranza degli amministratori c) quando non si riesce con i supplenti ad integrare il collegio
sindacale d) quando il capitale sociale è perduto oltre un terzo e) in presenza di un fatto che determina
lo scioglimento della società f) quando sia richiesto dai soci che rappresentano almeno un decimo del
capitale sociale (o un ventesimo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio). In
casi particolari la convocazione deve essere fatta dal collegio sindacale (o nel sistema dualistico dal
consiglio di sorveglianza) e ciò nei casi in cui la legge fissi per loro tale obbligo o quando viene a
cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori. Per quanto riguarda le regole fissate per il
quorum costitutivo (necessario per la costituzione regolare dell’assemblea) e per il quorum
deliberativo (necessario per la validità delle deliberazioni da prendere) la disciplina è diversa per le
società per azioni e per le società a responsabilità limitata. Per quanto riguarda le seconde il quorum
costitutivo consiste nella presenza di tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale.
Per il quorum deliberativo è richiesta la maggioranza assoluta dei presenti. In casi particolari
(modifiche di atto costitutivo, modifica dell’oggetto sociale, modifiche rilevanti dei diritti dei soci) è
richiesto il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale o (per la rinuncia o la proposizione
dell’azione di responsabilità per gli amministratori) una maggioranza pari ai due terzi del capitale
sociale oltre alla mancata opposizione dei soci che rappresentino almeno un decimo del capitale
stesso. Nell’ipotesi di procedimenti diversi da quello assembleare non ha senso parlare di un quorum
costitutivo ma ha senso invece il quorum deliberativo rappresentato da voto favorevole dei soci che
rappresentano almeno la metà del capitale sociale. Per le società per azioni invece occorre distinguere
tra assemblea ordinaria e straordinaria, tra prima convocazione e seconda convocazione. Nel caso di
assemblea in prima convocazione per quella ordinaria il quorum costitutivo è la metà del capitale
sociale fornito di diritto di voto, mentre per quella straordinaria lo stesso quorum è richiesto per le
società che fanno ricorso al capitale di rischio e per le altre società non è richiesto quorum costitutivo
che si determina indirettamente da quello deliberativo in quanto la legge si limita a richiedere un
quorum deliberativo pari a più della metà del capitale sociale. Per quanto riguarda l’assemblea in
seconda convocazione per l’assemblea ordinaria non si prevede quorum costitutivo e quindi si può
deliberare qualunque sia il capitale sociale rappresentato ma è previsto il quorum deliberativo pari
alla maggioranza dei presenti. Per l’assemblea straordinaria invece è richiesta la partecipazione di più
di un terzo del capitale sociale ed il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato. E’
previsto un quorum deliberativo rafforzato per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio (voto di più di un terzo del capitale sociale) nel caso di decisioni relative al cambio dell’oggetto
sociale, lo scioglimento anticipato o la proroga, il trasferimento della sede all’estero o l’emissione di
azioni privilegiate. Si richiede invece un quorum costitutivo ridotto (un quinto del capitale sociale)
per le assemblee straordinarie di convocazione successiva alla seconda per le società che fanno ricorso
al mercato del capitale di rischio fermo restando un quorum deliberativo di almeno i due terzi del
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capitale previsto per la prima convocazione. E’ possibile comunque che lo statuto richieda quorum più
elevati ma tale previsione viene esclusa nelle ipotesi in cui la mancata deliberazione potrebbe
compromettere il funzionamento della società (es. approvazione del bilancio e nomina o revoca delle
cariche sociali). Per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio lo statuto può
prevedere convocazioni successive alla seconda con regole uguali ad essa e per le società che invece
fanno ricorso al mercato di rischio lo statuto può eliminare le differenze tra prima e seconda
convocazione prevedendo un’unica convocazione per le quali valgono le regole stabilite per la seconda
e terza convocazione.
207) Assemblea ordinaria e straordinaria di società per azioni – Nelle sole società per azioni sono
previste assemblee ordinarie e straordinarie. Le competenze della assemblea ordinaria possono essere
diverse nelle società che adottano un sistema di amministrazione tradizionale o monistico (dove cioè
manca il consiglio di sorveglianza) e nelle società dualistiche (dove tale organo è presente). Nel primo
caso le competenze sono le seguenti: nomina dei componenti degli altri organi e loro sostituzione e
revoca, determinazione del loro compenso, deliberazione sulla loro responsabilità, approvazione del
bilancio,, deliberazioni sulle altre materie attribuite dalla legge alla sua competenza tra le quali quella
sulla distribuzione degli utili, nomina e la nomina del revisore contabile. Nelle seconde abbiamo le
deliberazioni sulla nomina, revoca e compenso del consiglio di sorveglianza, nomina del revisore e
distribuzione degli utili ma non approvazione del bilancio (che spetta al consiglio di sorveglianza
anche se lo statuto può prevedere questa competenza che in caso di mancata approvazione o quando
lo richieda un terzo dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza). Compiti della
assemblea straordinaria sono quelli relativi alle modificazioni dello statuto, nomina, sostituzione e
poteri dei liquidatori. Altri compiti possono essere attribuiti dallo statuto quali quello della istituzione
o soppressione di sedi secondarie, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, il trasferimento
della sede sociale all’interno del territorio nazionale.
208) Diritto di intervento e diritto di voto - Nelle società a responsabilità limitata dove la posizione del
socio è caratterizzata oltre che da un interesse all’investimento anche da un interesse alla gestione
imprenditoriale della società il diritto del socio al voto è previsto senza possibilità di deroga e quindi
non ha senso distinguere tra diritto di voto e diritto di intervento in assemblea. Per le società per
azioni invece dove l’interesse del socio è principalmente quello di investimento azionario e dove
quindi esistono diverse categorie di azioni che si distinguono per attribuire o meno il diritto al voto, è
stato lungamente discusso da parte della dottrina se all’azionista cui non spetta il diritto di voto spetti
o meno intervenire in assemblea. Tale problema è stato oggi risolto in quanto il codice civile
espressamente stabilisce che hanno diritto di intervenire all’assemblea solo coloro che hanno il diritto
di voto. Per quanto riguarda l’esercizio del diritto di voto abbiamo regole generali e regole previste da
leggi speciali. Le regole generali non richiedono specifici adempimenti ma solo che il soggetto dimostri
la propria legittimazione secondo i principi fissati dalla legge mentre lo statuto può prevedere un
preventivo deposito delle azioni presso la sede sociale o una delle banche incaricate fissando il
termine entro il quale tale deposito deve avvenire. Hanno diritto e l’obbligo di intervenire i
componenti degli organi di amministrazione e di controllo e anzi per i sindaci il mancato intervento
senza giustificato motivo costituisce una causa della decadenza dall’ufficio. Può capitare anche che i
soci pur avendo il diritto di voto non possano esercitarlo concretamente e la legge a tale proposito
stabilisce che le relative azioni debbano essere considerate ai fini della costituzione dell’assemblea ma
non del calcolo della maggioranza richiesta per l’approvazione della deliberazione. I casi in cui ciò si
verifica sono ad. Es. quello del socio moroso, del socio di una società che fa ricorso al mercato del
capitale di rischio che partecipa ad un patto parasociale non dichiarato in assemblea o del socio
amministratore rispetto a deliberazioni riguardanti la sua responsabilità. Caso a parte è quello del
socio in conflitto di interessi. La legge in tal caso non prevede un divieto di voto ma stabilisce che la
deliberazione assunta con il voto determinante di colui che ha un conflitto di interessi è invalida se può
recare danno alla società. Abbiamo quindi una situazione diversa da quanto accade se il voto è stato
espresso da chi non poteva esercitare il relativo diritto dove la deliberazione è invalida se il voto è
stato determinante a formare la maggioranza mentre nel caso del conflitto di interessi la legge richiede
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anche che si sia verificato un danno per la società. Può accadere anche che il socio dichiarando di
essere in conflitto di interessi decida di non esercitare il diritto di voto e questa situazione è uguale a
quella in cui il diritto di voto non può essere esercitato in quanto anche in questo caso le relative azioni
non sono conteggiate ai fini del quorum deliberativo.
209) La rappresentanza in assemblea - In linea di principio il voto può essere espresso tramite un
rappresentante. Nel caso in cui il potere di rappresentanza spetta al rappresentante nell’ambito di una
più ampia funzione di gestione degli interessi del socio (unico caso possibile nell’ipotesi di voto
extrassembleare e nell’ipotesi di voto per corrispondenza) il conferimento del relativo potere può
avvenire secondo le regole del diritto comune essendo sufficiente che esso sia comunicato alla società.
Nel caso invece il potere di rappresentanza ha per oggetto direttamente la partecipazione
all’assemblea occorre distinguere tra la rappresentanza conferita per singole assemblee e quella
risultante da procura generale. Nel primo caso la legge richiede espressamente i requisiti della
documentazione scritta dell’atto di conferimento del relativo potere che deve contenere il nome del
rappresentante e la sua revocabilità e che la società conservi tali documenti. Tali requisiti sono
richiesti espressamente per le società per azioni ma devono ritenersi validi anche per la società a
responsabilità limitata. Il problema più rilevante è quello dei limiti in cui consentire l’utilizzazione di
rappresentanti per l’esercizio del diritto di voto e quindi la partecipazione di terzi portatori di
interessi appunto estranei a quelli della società. Così se in linea di principio lo statuto delle società a
responsabilità limitata o per azioni può escludere la rappresentanza in assemblea ciò è vietato per le
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e ciò per la motivazione di permettere
all’azionista di manifestare i propri orientamenti senza affrontare i costi di una diretta partecipazione
all’assemblea. Per lo stesso motivo nella società per azioni sono previsti limiti per la rappresentanza
(es. non si può conferirla ai componenti degli organi di amministrazione o di controllo o ai dipendenti
della società, ci sono limiti quantitativi al numero di soci che può utilizzare lo stesso rappresentante)
tali limiti non sono applicabili alle società per azioni quotate. Per le società con azioni quotate è quindi
prevista una disciplina più permissiva ma nello stesso tempo la legge dispone che la rappresentanza
può essere conferita solo per singole assemblee a meno che non si tratti di procura generale o
conferita da una società ad un proprio dipendente.
210) La riunione assembleare : presidenza e verbale di assemblea - In caso di riunione
extrassembleare ( e quindi solo per le società a responsabilità limitata) la legge si limita a richiedere
che il consenso sia manifestato per iscritto e che la relativa documentazione sia conservata dalla
società e quindi è sufficiente che lo statuto descriva il modo in cui tale consenso deve essere raccolto.
Nel caso invece di riunione assembleare si pongono problemi più complessi ai quali provvede la
disciplina del legislatore, dell’atto costitutivo e dello statuto, e le norme adottate dall’assemblea
ordinaria stessa con specifico regolamento. La legge richiede la presenza di un presidente
dell’assemblea dotato di poteri ordinatori, in generale il presidente della società o persona eletta dalla
maggioranza dei presenti. Per le società per azioni la legge richiede anche la presenza di un segretario
a meno che il verbale sia redatto da un notaio. L’assemblea si divide in due fasi: nella prima il
presidente accerta il quorum costitutivo e l’identità e la legittimazione dei presenti a partecipare
all’assemblea stessa. Nella seconda fase l’assemblea discute e delibera sugli argomenti posti all’ordine
del giorno e in questa fase il presidente deve assicurare un regolare svolgimento dei lavori e alla fine
accertare i risultati della votazione. Deve inoltre essere redatto il verbale dell’assemblea che ha la
funzione di far risultare le due fasi dell’assemblea e le decisioni prese, e la legge richiede
espressamente per le società per azioni che il verbale sia sottoscritto dal presidente e dal segretario
con la conseguenza che per le società a responsabilità limitata le due funzioni possano essere cumulate
nella stessa persona. Identica è invece la disciplina per le assemblee straordinarie nelle due società in
quanto in tutti i casi la legge richiede che il verbale sia redatto da un notaio. I verbali devono essere
redatti nei tempi stabiliti per l’esecuzione degli obblighi di deposito e pubblicazione e devono essere
trascritti in apposito libro. Secondo la vigente disciplina (successiva alla riforma) l’incompletezza o
inesattezza del verbale comporta l’annullabilità della deliberazione solo se essa impedisce ad accertare
il contenuto, gli effetti e la validità della deliberazione stessa. La mancanza del verbale invece
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comporta l’impugnabilità della deliberazione nel termine di tre anni anche se è stabilito che la
verbalizzazione tardiva (purchè eseguita prima della successiva assemblea) comporta la sanatoria
dell’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale e in tal caso la deliberazione ha effetto
dalla data in cui è stata presa salvi i diritti dei terzi che in buona fede ne ignoravano l’esistenza.
211) Efficacia delle deliberazioni dei soci - Il codice civile stabilisce espressamente che le
deliberazioni dell’assemblea prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo, in quanto
manifestazione della volontà della società. sono vincolanti per tutti i soci (consenzienti o dissenzienti)
e per gli organi della società. L’efficacia generale della deliberazione è una conseguenza necessaria del
principio maggioritario e quindi il socio non può sottrarsi ad essa se non esercitando il diritto di
recesso e quindi ponendosi fuori della società. L’efficacia della deliberazione si ha, normalmente, nel
momento stesso in cui essa è stata presa. Vi sono però deliberazioni che, avendo effetto sui terzi, per
essere opposte ai terzi ignari devono essere iscritte nel registro delle imprese (deliberazioni di nomina
o revoca degli amministratori, dei liquidatori e dei componenti gli organi di controllo). Inoltre alcune
volte le deliberazioni sono efficaci solo con l’iscrizione nel registro delle imprese (es. deliberazioni di
modifica dell’atto costitutivo), e altre deliberazioni la cui efficacia è subordinato al decorso di un
determinato periodo dal momento dell’iscrizione nel registro delle imprese (deliberazione di
riduzione del capitale sociale con riduzione del patrimonio, revoca della liquidazione, fusione o
scissione) in quanto in questi casi occorre dare ai creditori della società il tempo per esercitare il
diritto di opposizione ad essi riconosciuto. In altri casi dal momento dell’iscrizione nel registro delle
imprese decorrono i termini per l’esercizio di alcuni diritti concessi ai soci come ad. Es. il diritto di
recesso.
212) Il sistema della invalidità delle deliberazioni dei soci. Inammissibilità della categoria delle
deliberazioni cosiddette inesistenti - Le deliberazioni dei soci (sia prese in assemblea che in modo
extra assembleare) possono essere invalide. La disciplina della invalidità delle deliberazioni tuttavia
differisce notevolmente da quella prevista dal codice per gli atti negoziali in generale. Infatti per le
deliberazioni non possono essere concepibili vizi quali la illiceità della causa o dei motivi in quanto
essi presuppongono un rapporto intersoggettivo e quindi non possono essere riferiti ad un atto
interno quale è la deliberazione. Nello stesso modo non possono essere rilevanti i vizi previsti dal
codice civile per le persone fisiche (errori, dolo e violenza) in quanto i vizi di volontà o di motivi
possono essere rilevanti solo con riferimento ai singoli voti ma se pure fossero rilevanti sulla
deliberazione lo sarebbero in quanto influenti sulla formazione della delibera e quindi costituirebbero
oggettivamente una anomalia del procedimento da cui la deliberazione stessa deriva. Occorre quindi
vedere, con riferimento alla deliberazione, l’utilizzabilità delle categorie generali della nullità e
dell’annullabilità, dove peraltro le discipline previste per le società per azioni e per le società a
responsabilità limitata differiscono solo formalmente ma non dal punto di vista sostanziale. La legge
infatti parla di nullità e annullabilità solo per le società per azioni mentre per le società a
responsabilità limitata parla genericamente di invalidità, tuttavia tale invalidità viene sottoposta a
regimi differenti a seconda della sua causa, regimi che vengono comunque a corrispondere a quelli
adottati per nullità e annullabilità per le società per azioni. In primo luogo la disciplina della nullità e
della annullabilità si distinguono solo per il diverso termine in cui le azioni devono essere proposte
(tre anni invece di 90 giorni) e per la diversa legittimazione ad attuarla (chiunque ne abbia interesse
invece che i soli soci dissenzienti, gli amministratori e gli organi di controllo) disciplina che
corrisponde pienamente alle diverse cause di invalidità previste per le società a responsabilità
limitata. A tutte le ipotesi sono poi comuni la predisposizione di una tutela dei diritti acquistati dai
terzi in buona fede in base agli atti compiuti in esecuzione della deliberazione e la previsione della
possibile sostituzione della deliberazione invalida con un’altra valida anche in ipotesi qualificate come
di nullità. In realtà la diversa disciplina adottata in questo campo per le deliberazioni societarie
rispetto a quella prevista in generale per gli atti negoziali si spiega con il fatto che le deliberazioni non
hanno lo scopo di far sorgere rapporti giuridici e di fondare pretese ma si pongono come atti
organizzativi di una società e se è vero che per una deliberazione invalida può sorgere l’esigenza di
eliminarla è anche vero che il sopraggiungere di ulteriori fatti come la sostituzione della delibera può
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escludere che a tale eliminazione si debba giungere. Si deduce pertanto che sia in caso di nullità che di
annullabilità alla pronuncia del giudice debba riconoscersi valore costitutivo. La disciplina originaria
prevedeva due anomalie delle deliberazioni: quelle relative al procedimento in base al quale la
deliberazione veniva presa (vizi della formazione) e quelli relativi al contenuto della deliberazione
stessa (vizi del contenuto). In base a ciò l’art. 2377 qualificava come impugnabili le deliberazioni
prese non in conformità con la legge e con lo statuto e l’art. 2379 qualificava come nulle le
deliberazioni con oggetto impossibile o illecito. La nuova disciplina mantiene invariato quanto sopra
ma assimila alle deliberazioni nulle quelle prese in ipotesi di mancata convocazione o di mancanza del
verbale e per le società a responsabilità limitata quelle prese in assoluta mancanza di informazione. La
necessità della riforma è dovuta all’esigenza del legislatore di risolvere alcuni dubbi che si erano
affacciati in giurisprudenza e in dottrina e che avevano condotto alla creazione di una categoria (non
prevista dal legislatore) delle cosiddette deliberazioni inesistenti da riferirsi alle ipotesi in cui si fosse
verificata una mancata convocazione dell’assemblea o una mancata verbalizzazione. Tale categoria,
non rientrando tra quelle previste dall’art. 2379 per la nullità veniva comunque fatta rientrare nelle
previsioni di annullabilità dell’art. 2377. Per eliminare ogni dubbio pertanto il legislatore ha
assimilato queste ipotesi a quelle di nullità (impossibilità o illiceità dell’oggetto) ma tuttavia,
considerando che in questo caso non si tratterebbe di vizi del contenuto ma di vizi, seppure più gravi,
di formazione della delibera, ha individuato per esse casi di sanatoria proprio per mettere in luce la
loro particolarità rispetto agli altri casi di cui condividono il regime della impugnativa. Così per quanto
riguarda la mancanza di convocazione si esclude che possano impugnare la deliberazione i soci che
pure successivamente hanno dato il loro consenso allo svolgimento dell’assemblea e per quanto
riguarda la mancanza del verbale una sanatoria è possibile procedendo alla verbalizzazione prima
dell’assemblea successiva. In tal modo si risolve l’invalidità limitandosi ad attuare l’adempimento
previsto e non, come invece nel caso di invalidità per vizi del contenuto, sostituendo l’intero
procedimento deliberativo.
213) Invalidità delle deliberazioni dei soci - Al di là dei termini usati dalla legge risulta quindi chiara
che la disciplina delle invalidità delle deliberazioni è simile nelle società per azioni e nelle società a
responsabilità limitata, restando ferma sulla distinzione tra vizi della formazione e vizi del contenuto.
A questa distinzione corispondono due diverse discipline di impugnazione della deliberazione,
disciplina detta ordinaria la prima e aggravata la seconda. Tale sistema però subisce alcune
modificazioni come abbiamo visto in caso di mancanza di convocazione o verbalizzazione, o quando
oggetto della deliberazione sia l’inserimento di una clausola nell’atto costitutivo o statuto che prevede
un oggetto sociale impossibile o illecito (e in questo caso l’impugnativa può essere proposta senza
limite di tempo), o quando si tratti di invalidità di deliberazioni concernenti l’approvazione del
bilancio o la trasformazione o, per le società per azioni, in materia di emissione di obbligazioni. In
termini generali tuttavia alla invalidità per vizi relativi alla formazione si applica la disciplina
ordinaria. Tali vizi possono riguardare il fatto che l’assemblea non si è costituita in modo regolare, o
perché non si è adempiuto alle relative formalità, o perché non erano presenti i soci necessari per la
costituzione regolare dell’assemblea stessa. La presenza invece di persone non legittimate costituisce
causa di invalidità solo quando essa sia risultata determinante ai fini della regolare costituzione
dell’assemblea stessa. Le invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio non è rilevante se non
quando abbia determinato il venir meno della maggioranza sulla quale la deliberazione si fonda e
pertanto la esclusione dalla votazione di persone legittimate e l’errore di conteggio non determinano
invalidità se nonostante tale irregolarità la deliberazione sarebbe stata ugualmente assunta.
214) Impugnazione delle deliberazioni dei soci: la disciplina ordinaria . La disciplina ordinaria si
distingue da quella aggravata per due aspetti: la previsione di un termine più breve per
l’impugnazione e la limitazione dei soggetti legittimati a proporla. Sotto il primo aspetto il termine è di
90 giorni sia per le società per azioni che per le società a responsabilità limitata. Per quanto riguarda
la legittimazione a proporre l’azione essa è riconosciuta sia nelle società per azioni che nelle società a
responsabilità limitata agli amministratori e agli organi di controllo (con la differenza che nelle società
a responsabilità limitata viene riconosciuta a ciascun amministratore, e quindi anche
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individualmente). Diversa è invece la disciplina per la legittimazione dei soci, dissenzienti, astenuti o
assenti. Infatti nelle società per azioni lo statuto può richiedere per la legittimazione all’azione un
ulteriore requisito, ossia che i soci possiedano, anche congiuntamente, azioni aventi diritto di voto per
la deliberazione in questione e che rappresentino una percentuale del capitale sociale pari all’uno per
mille (per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) o 5 per cento (nelle altre
società per azioni). Per i soci che non hanno tali requisiti non è previsto potere di impugnativa ma solo
un diritto al risarcimento del danno a loro provocato dalla illegittimità della deliberazione.
L’impugnazione deve essere proposta nel tribunale del luogo dove ha sede la società e la
presentazione della domanda non sospende l’esecuzione della deliberazione. La sospensione può
essere richiesta dall’impugnante e in tal caso il giudice provvede tenendo conto dei diversi interessi in
gioco e può disporre anche che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento
dei danni. In caso di eccezionale urgenza il giudice, omessa la convocazione della società convenuta,
può provvedere sull’istanza con decreto motivato. Il decreto di sospensione e la sentenza che decide
sull’impugnazione devono essere iscritti nel registro delle imprese. L’accoglimento dell’impugnazione
elimina l’efficacia della deliberazione e ha effetto nei confronti di tutti i soci e degli organi sociali con
efficacia retroattiva fermi restando i diritti acquistati in buona fede dai terzi sulla base di atti compiuti
in esecuzione della deliberazione annullata. L’annullamento della deliberazione non può invece essere
pronunciata se la delibera impugnata è sostituita con un’altra presa in conformità della legge e dello
statuto. Si ha sostituzione della deliberazione quando la precedente deliberazione viene revocata,
espressamente o tacitamente da una successiva deliberazione prima che la deliberazione annullata
abbia prodotto i suoi effetti, o quando si adottata una nuova deliberazione con lo stesso contenuto
prima che quella precedente sia divenuta operativa. Si ha anche sostituzione quando sia adottata una
nuova deliberazione con lo stesso contenuto rispetto ad una deliberazione che abbia già prodotto
effetti ma tale nuova deliberazione per espressa volontà dell’assemblea deve sostituire completamente
quella impugnata e quindi produrre i suoi effetti ex tunc e non ex nunc (fermi restando i diritti
acquistati in buona fede dai terzi).
215) continua – la disciplina aggravata - La disciplina aggravata si distingue da quella ordinaria per la
legittimazione che è estesa in via di principio a chiunque ne abbia interesse (per la società per azioni è
prevista anche una rilevabilità d’ufficio da parte del giudice) e per il termine ad esercitare l’azione
stessa che è in via generale di tre anni. Sono previste deroghe a tale termine, come abbiamo visto, per
le deliberazioni che attribuiscono alla società un oggetto sociale illecito o impossibile, che sono
impugnabili senza limiti di tempo. Inoltre la legge prevede una disciplina particolare per i vizi che si
riferiscano a deliberazioni di emissione di obbligazioni, aumento di capitale e riduzione del capitale
con riduzione del patrimonio in quanto in questi casi il termine per l’impugnazione è ridotto a180
giorni dalla iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o in caso di mancata convocazione
a 90 giorni dall’approvazione del bilancio nel corso del quale la deliberazione è stata, anche
parzialmente, eseguita. Per le società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio
inoltre la legge dispone che non può essere pronunciata l’invalidità di deliberazioni che siano state
anche parzialmente eseguite o nel caso di aumento di capitale, dopo che sia stata iscritta nel registro
delle imprese l’attestazione della sua avvenuta esecuzione, anche parziale.
216) Deliberazioni dei soci e diritti individuali - Occorre ora affrontare l’ipotesi in cui attraverso la
deliberazione si disponga di diritti dei terzi o dei soci. In caso di diritti di terzi o di diritti di soci in
quanto terzi è ovvia l’impossibilità della società di disporre di tali diritti e quindi in questo caso più che
di invalidità della deliberazione occorre parlare di inefficacia in quanto la società non può disporre di
diritti altrui senza il loro consenso. Per quanto riguarda invece i diritti dei soci occorre stabilire se il
socio deve proporre domanda giudiziale e in caso affermativo se essa è soggetta alla disciplina
generale o a quella aggravata. Occorre a tale proposito distinguere tra i diversi diritti che possono
spettare ai soci in quanto tali : a) diritti del socio indisponibili sia da parte della società che da parte
dei soci - In questo caso la deliberazione, anche se si forma con la partecipazione di tutti i soci, è nulla
in quanto contrasta con una norma imperativa di legge e in questo caso la causa dell’invalidità sta
nell’illiceità dell’oggetto b) diritti indisponibili da parte della società ma non da parte del socio- In
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questo caso la società non può disporre di tali diritti ma se i soci hanno votato nella deliberazione che
riguarda disposizione dei loro diritti tale voto favorevole significa consenso alla disposizione del
diritto stesso. Per quanto riguarda i soci assenti o dissenzienti non hanno bisogno di proporre
domanda giudiziale in quanto questo atto è inefficace nei loro confronti. Del resto la legge stabilisce
ad. Es. che i diritti relativi alla distribuzione degli utili possono essere modificati, salvo diversa
disposizione dello statuto, solo con il consenso di tutti i soci – c) diritti del socio disponibili da parte
della società – Tali diritti possono essere sottratti con deliberazione della società e quindi essa può
essere impugnata solo se assunta non in conformità della legge, dello statuto o dell’atto costitutivo, e
quindi quando vi sono vizi nel processo di formazione.
217) Le assemblee speciali - Accanto all’assemblea dei soci la società per azioni prevede (nell’ipotesi
in cui vi siano diverse categorie di azioni che attribuiscono diritti diversi o strumenti finanziari che
attribuiscono diritti amministrativi) assemblee speciali cui partecipano esclusivamente i soci che sono
portatori della categoria di azioni interessata o i titolari di tali strumenti finanziari. Tali assemblee
speciali sono richieste solo nell’ipotesi in cui le deliberazioni dell’assemblea generale pregiudichino i
diritti di una determinata categoria di azioni o di strumenti finanziari partecipativi e quindi in tal caso
la legge richiede come presupposto della validità della deliberazione dell’assemblea generale,
l’approvazione della deliberazione stessa (con la maggioranza richiesta per l’assemblea straordinaria)
da parte dell’assemblea speciale degli azionisti o dei titolari degli strumenti finanziari della categoria
interessata. La deliberazione dell’assemblea speciale non ha quindi una sua autonomia in quanto
presuppone una deliberazione dell’assemblea generale cui è appunto collegata.
b) L’AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETA’
218) Considerazioni generali e struttura dell’organo amministrativo - La disciplina dell’attività
amministrativa e la sua autonomia rispetto ai soci ha risvolti diversi nell’ambito delle società di
capitali tra società per azioni e società a responsabilità limitata. Nelle società per azioni infatti gli
amministratori hanno raggiunto l’autonomia di un organo sociale dotato di proprie ed esclusive
competenze sull’esercizio delle quali i soci non possono interferire. Ai soci è consentito infatti solo
provvedere in via diretta o indiretta alla scelta dei soggetti che fanno parte dell’organo amministrativo
e valutare, in sede di approvazione del bilancio, l’esito della loro attività (nelle società che adottano il
sistema dualistico peraltro tale incombenza spetta al consiglio di sorveglianza). La legge stabilisce
infatti per le società per azioni che la gestione dell’impresa sociale spetta in via esclusiva all’organo
amministrativo cui spetta quindi il potere di compiere tutte le operazioni necessarie per il
raggiungimento dell’oggetto sociale. Pertanto lo statuto non può attribuire all’assemblea alcune di tale
competenze ma può solo stabilire che per il compimento di determinati atti gli amministratori abbiano
bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea ordinaria fermo restando che ciò non esclude la loro
responsabilità per gli atti compiuti spettando comunque a loro la decisione se compiere o meno tali
atti. Nella società a responsabilità limitata invece, in base al riconoscimento dell’interesse dei soci di
contribuire alle scelte della società, la posizione degli amministratori si caratterizza per una ben
minore autonomia. Basti pensare infatti alla disposizione che consente agli amministratori che
rappresentano almeno un terzo del capitale di sottoporre ai soci l’approvazione di un qualunque
argomento e quindi alla conseguente regola che estende ai soci che hanno intenzionalmente deciso o
autorizzato un atto dannoso la responsabilità degli amministratori o alla possibilità che ad alcuni soci
siano attribuiti particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società. Ne consegue che anche la
scelta del modello organizzativo dell’amministrazione è di gran lunga più rigido nella società per
azioni. Infatti la società può scegliere tra uno dei tre modelli ideati dal legislatore, rappresentati dal
modello tradizionale, dualistico o monistico. Nel modello tradizionale amministratori e sindaci sono
due organi posti in posizione di totale autonomia tra di loro anche se questi ultimi, partecipando alle
riunioni del consiglio di amministrazione, possono esercitare una certa influenza sulla gestione della
società. Nel modello dualistico invece l’organo amministrativo (il consiglio di gestione) è nominato da
quello di controllo (il consiglio di sorveglianza) e quindi il secondo pur non partecipando
direttamente alle riunioni del primo può concorrere alle scelte strategiche della società. Nel modello
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monistico invece l’organo di controllo viene scelto tra alcuni componenti del consiglio di
amministrazione e quindi il potere di controllo, in quanto è esercitato da persone che sono anche
amministratori, comporta il diretto esercizio di poteri di gestione. In tutti e tre i modelli la legge
richiede che gli amministratori operino in modo collegiale (tranne che nell’ipotesi nel modello
tradizionale dell’amministratore unico). Per quanto riguarda il numero degli amministratori lo statuto
deve limitarsi, per il modello tradizionale e monistico, a fissare un numero minimo e massimo,
stabilendo il numero esatto l’assemblea all’atto della nomina, mentre nel modello dualistico il numero
degli amministratori è stabilito dal consiglio di sorveglianza nei limiti stabiliti dallo statuto. La legge
pone anche un limite massimo per la durata degli amministratori, pari a tre esercizi. Essi, salva diversa
disposizione dello statuto, sono rieleggibili. Nella società in accomandita per azioni invece i soci
accomandatari sono amministratori di diritto e quindi restano in carica senza limiti di tempo finchè
conservano tale qualità. Nella società a responsabilità limitata la più ridotta autonomia degli
amministratori rispetto ai soci spiega il fatto che l’amministrazione possa essere organizzata con più
flessibilità nell’atto costitutivo. La legge infatti prevede un affidamento dei compiti di amministrazione
ad uno o più soci salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo e quindi se ne deduce che si possa
nominare anche un non socio ma anche che si possa derogare alla creazione di uno specifico e distinto
organo amministrativo. La legge non pone neanche un termine di durata della carica di
amministratore e quindi è possibile che essi possano essere nominati nell’atto costitutivo per l’intera
durata della società.
219) Poteri degli amministratori - Gli amministratori possono compiere tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale e che quindi sono diretti al perseguimento dello scopo sociale (atti di ordinaria
amministrazione). Se gli amministratori possono compiere tutti gli atti inerenti alla gestione aziendale
e al funzionamento dell’azienda nelle sue strutture attuali non è loro consentito modificare la struttura
industriale e finanziaria dell’azienda stessa in quanto solo l’assemblea dei soci può avere tale potere e
quindi solo con una deliberazione dell’assemblea potrebbe essere alienato un ramo d’azienda, un
pacchetto azionario o una partecipazione maggioritaria in un’altra società.
220) Nomina degli amministratori - Per le società per azioni la legge prevede le particolari seguenti
cause di ineleggibilità degli amministratori le quali, se si verificano quando la nomina è avvenuta
funzionano come cause di decadenza: interdizione, inabilitazione, fallimento, condanna ad una pena
che comporti l’interdizione dai pubblici uffici, incapacità di esercitare uffici direttivi. Tale disciplina è
applicabile anche per i soci accomandatari nell’accomandita per azioni. Inoltre lo statuto può
richiedere per la carica di amministratore la presenza di requisiti di onorabilità, professionalità e
indipendenza anche con specifico riferimento ai codici di comportamento di particolari categorie o
società di gestione di mercati e in tal caso anche questi requisiti funzionano, a nomina avvenuta, come
cause di decadenza. Inoltre nel sistema monistico almeno un terzo dei componenti il consiglio di
amministrazione deve essere in possesso, se lo statuto lo prevede, dei requisiti previsti da tali codici e,
anche se lo statuto non lo prevede, dei requisiti di indipendenza previsti per i sindaci. Norme
particolari sono poste dalla legge per le società che emettono strumenti finanziari quotati in borsa per
le quali sono richiesti requisiti di indipendenza per almeno uno dei membri del consiglio di
amministrazione (due se i membri sono superiore a 7) e del consiglio di gestione (se i membri sono
superiore a 4) e la legge stessa dispone che se tali requisiti vengono meno l’amministratore
indipendente decade dalla carica e che i soggetti che svolgono compiti di amministrazione devono
possedere i requisiti di onorabilità e professionalità richiesti per gli organi di controllo. La legge
dispone per le società per azioni il principio per cui la nomina degli amministratori (salvo i primi che
vengono nominati nell’atto costitutivo) spetta all’assemblea ordinaria (o al consiglio di sorveglianza
nelle società dualistiche). Tale principio che trova alcune eccezioni ( ad es. per le società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio la nomina di un membro indipendente è riservata ai titolari di
strumenti finanziari) tuttavia non può essere derogato dallo statuto (pena l’illegittimità di tale deroga).
Diverso è il problema invece di clausole di accordi tra i soci che riconoscono alla minoranza il diritto di
designare amministratori o sindaci o accordi con finanziatori che riservano ad essi il diritto di eleggere
un amministratore della società. Tali accordi, se non si traducono in clausole statutarie, sono patti
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parasociali (in particolare sindacati di voto) e quindi possono produrre solo effetti obbligatori tra
coloro che li hanno posti in essere e non sono vincolanti per la società. Ne deriva che di fronte
all’inadempimento degli obblighi assunti non è possibile invalidare la nomina degli organi sociali
operata in violazione dell’obbligo stesso. L’atto di nomina così come l’atto di revoca sono atti
unilaterali e il fatto che l’amministratore debba accettare la carica non lo tramuta in atto contrattuale
in quanto esso è soltanto una condizione di efficacia della nomina stessa. Neanche trasforma l’atto di
nomina in atto contrattuale il fatto che l’amministratore debba tenere particolari comportamenti
(diligenza nelle funzioni, divieto di concorrenza) e che sia previsto per esso un compenso. I compensi
degli amministratori delle società per azioni, che possono consistere nella partecipazione agli utili e
nel diritto di sottoscrivere ad un prezzo determinato azioni di futura emissione (stock options) sono
stabiliti nell’atto di nomina o dall’assemblea Per quanto riguarda invece la società a responsabilità
limitata la legge non prevede nulla al riguardo rimettendo il tutto all’autonomia privata. Gli
amministratori cessati devono essere sostituiti e in linea di principio la sostituzione viene effettuata
dall’organo che ha compiuto la nomina. Tuttavia nella società per azioni la legge prevede il
meccanismo della cooptazione che consente agli amministratori in carica, con deliberazione approvata
dal collegio sindacale, di nominare gli amministratori che sono venuti a mancare nel corso
dell’esercizio. Tale sistema può essere adottato solo se rimane in carica la maggioranza degli
amministratori e comunque è soltanto provvisorio in quanto gli amministratori nominati in tal modo
restano in carica solo fino alla prossima assemblea. Quando invece viene meno la maggioranza degli
amministratori la nomina viene operata dall’assemblea convocata d’urgenza dagli amministratori
rimasti in carica e gli amministratori in tal modo nominati scadono insieme a quelli originari. Lo
statuto può anche prevedere che la cessazione di alcuni amministratori comporti anche la cessazione
degli altri e in tal caso gli amministratori rimasti in carica o il collegio sindacale devono convocare
d’urgenza l’assemblea, Tale disciplina è applicabile per le società che adottano il sistema tradizionale o
monistico mentre per quelle che adottano il sistema dualistico è il consiglio di sorveglianza a
convocare l’assemblea. Nelle società in accomandita per azioni la sostituzione dell’amministratore
cessato è deliberata dall’assemblea con la maggioranza prescritta per l’assemblea straordinaria e il
nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario. In questa società la cessazione di
tutti gli amministratori comporta lo scioglimento della società se nel termine di sei mesi non si è
provveduto alla loro sostituzione e i sostituti non hanno accettato la carica. Durante questo periodo
l’organo di controllo nomina un amministratore provvisorio per gli atti di ordinaria amministrazione
che però non assume la qualità di socio accomandatario. Nelle società per azioni la nomina degli
amministratori deve essere iscritta nel registro delle imprese entro trenta giorni dalla nomina e l’atto
deve indicare quali amministratori hanno la rappresentanza della società e se il potere di
rappresentanza è congiunto o disgiunta.
221) Cessazione dall’ufficio. Revoca degli amministratori – L’amministratore cessa dalla carica per
morte, per scadenza del termine stabilito all’atto della nomina, per il verificarsi di una causa di
decadenza, per rinuncia o per revoca. Per la società a responsabilità limitata la relativa materia viene
regolata dall’atto costitutivo. Nelle società per azioni invece la legge stabilisce che gli amministratori
sono sempre revocabili salvo il diritto dell’amministratore ad un risarcimento del danno se la revoca
avviene senza giusta causa e tale principio vale anche per le società in accomandita per azioni nelle
quali la revoca deve essere deliberata con la maggioranza richiesta per le deliberazioni dell’assemblea
straordinaria. Soltanto se l’amministratore è stato nominato dallo stato o da un ente pubblico il potere
di revoca compete all’organo che lo ha nominato, se però la revoca è per giusta causa essa può essere
deliberata anche dall’assemblea nel caso in cui non vi provveda l’ente che ha effettuato la nomina. Nel
caso di cessazione per decorso del termine gli amministratori restano in carica finchè il consiglio di
amministrazione non viene ricostituito mentre nel caso di rinuncia essa ha effetto immediato se resta
in carica la maggioranza dei membri o in caso contrario dal momento in cui con la nomina dei nuovi
amministratori la maggioranza viene ricostituita.
222) Funzioni e funzionamento del consiglio di amministrazione. Invalidità delle deliberazioni - Nel
caso di più amministratori la disciplina legale, derogabile per le società a responsabilità limitata e
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inderogabile per le società per azioni prevede che essi costituiscano il consiglio di amministrazione (o
di gestione) e che quindi operino collegialmente. In tale ipotesi perché le deliberazioni siano valide
devono ricorrere alcuni presupposti tipici delle adunanze collegiali. Per le società a responsabilità
limitata la disciplina è lasciata all’atto costitutivo e quindi i soci possono stabilire che le decisioni del
consiglio siano adottate sulla base del consenso per iscritto e quindi al di fuori dell’adunanza. La legge
richiede solo che il consenso degli amministratori risulti con chiarezza dalla documentazione che la
società deve conservare e che deve essere trascritta nel libro delle decisioni del consiglio. Per le
società per azioni i criteri sono invece fissati dalla legge che richiede la regolare costituzione
dell’organo (presenza della maggioranza degli amministratori almeno che lo statuto non richieda una
percentuale maggiore) e la maggioranza necessaria per la deliberazione (maggioranza assoluta dei
presenti salvo diversa disposizione statutaria), stabilisce che il voto non può essere espresso per
rappresentanza e che le deliberazioni devono essere trascritte nel libro delle adunanze del consiglio. Il
consiglio è convocato dal presidente che ne fissa l’ordine del giorno e ne coordina i lavori. Nel sistema
originario del codice i vizi della deliberazione (sia relativi alla formazione che al contenuto) erano
rilevanti solo nell’ipotesi di conflitto di interessi tra amministratore e società e quindi sorgevano
dubbi se dovesse ritenersi esclusa ogni altra impugnazione delle deliberazioni. Il dubbio sorgeva in
quanto mentre la deliberazione dei soci è normalmente destinata a tradursi in un atto esterno, la
deliberazione del consiglio generalmente costituisce un presupposto per il compimento di un atto
esterno e quindi l’invalidità della deliberazione del consiglio, traducendosi in una invalidità dell’atto
esterno poteva essere fatta valere indirettamente attraverso l’impugnazione dell’atto posto in essere
dalla società e questo avrebbe spiegato il silenzio della legge al proposito. Tuttavia in alcuni casi non
sempre la deliberazione del consiglio costituisce un presupposto per un atto della società con i terzi
(es. aumento di capitale) e inoltre anche quando lo è non è detto che la invalidità della delibera si
traduca necessariamente in una invalidità dell’atto e possa essere fatta valere attraverso essa.
Pertanto in sede di riforma si è arrivati ad una disciplina generale delle invalidità delle deliberazioni
del consiglio di amministrazione delle società per azioni. Essa prevede che le deliberazioni non prese
in conformità della legge e dello statuto possano essere impugnate solo dagli amministratori
dissenzienti e dall’organo di controllo entro 90 giorni dalla delibera mentre i soci sono legittimati solo
nel caso in cui la deliberazione sia lesiva per i loro interessi. Come per le deliberazioni dell’assemblea
anche in questo caso l’annullamento della delibera del consiglio di amministrazione non pregiudica i
diritti dei terzi sulla base di atti compiuti in buona fede in esecuzione alla delibera annullata. Nelle
società a responsabilità limitata manca invece una disciplina generale essendo contemplato solo il caso
del conflitto di interessi. La disciplina del conflitto di interessi è invece dettata dal legislatore per
entrambi i tipi di società anche se in termini alquanto diversi. Infatti nella società per azioni sorgono
per gli amministratori obblighi di comportamento in ogni caso in cui abbiano un interesse in una
operazione della società, non importa se concorrente o configgente con esso mentre per la società a
responsabilità limitata il legislatore considera rilevante solo l’ipotesi in cui l’amministratore, al fine di
avvantaggiarsi personalmente, operi a danno della società. La differenza di prospettiva si giustifica
con il fatto che la posizione dell’amministratore nella società a responsabilità limitata è simile a quella
del mandatario che può avere un interesse proprio anche nella cura dell’interesse altrui e non deve
pregiudicare quest’ultimo a suo vantaggio mentre nella società per azioni l’amministratore è un
soggetto che presta la sua opera professionale nella gestione della società e deve pertanto porsi in una
posizione di neutralità rispetto ai suo interessi personali. Perciò per gli amministratori della società
per azioni la legge pone un obbligo di trasparenza per cui l’amministratore in conflitto deve darne
notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e se è amministratore delegato deve astenersi
dal compiere l’operazione. Pertanto l’invalidità della deliberazione è prevista in ogni caso in cui possa
arrecare danno alla società sia nell’ipotesi in cui sia stata adottata con il voto determinante
dell’amministratore in conflitto che nell’ipotesi in cui non sia stata soddisfatta tale esigenza di
trasparenza. La violazione di entrambi gli obblighi (quello di non operare a vantaggio personale e a
danno della società e quello di segnalare con trasparenza le situazioni di conflitto) può implicare una
responsabilità per i danni che ne derivano. La violazione del secondo obbligo nelle società quotate può
essere sanzionata anche penalmente qualora ne derivino danni alla società o a i terzi. Pertanto nella
disciplina della società a responsabilità limitata l’invalidità della deliberazione presuppone un effettivo
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danno patrimoniale alla società mentre per quella della società per azioni è sufficiente che le
deliberazioni adottate in violazione della norma siano anche solo potenzialmente dannose.
223) L’amministrazione delegata - Per le sole società per azioni la legge consente, sulla base di una
clausola statutaria o per deliberazione dell’assemblea, che determinate funzioni del consiglio di
amministrazione siano delegate da questo permanentemente ad uno più amministratori
singolarmente o collegialmente, e quindi la creazione di ulteriori organi amministrativi individuali o
collegiali che prendono il nome rispettivamente di amministratori (o consiglieri) delegati o di comitato
esecutivo. La legge stabilisce che una delega delle attribuzioni del consiglio di amministrazione possa
essere consentita solo a coloro che sono membri del consiglio di amministrazione e che non possono
essere delegate le seguenti funzioni: redazione del bilancio, progetto di fusione e scissione, funzioni
delegate al consiglio dall’assemblea dei soci in tema di emissione di obbligazioni convertibili e di
aumento di capitale e quelle relative ai provvedimenti da prendere in caso di perdita di capitale. Gli
organi delegati comunque restano organi subordinati rispetto al consiglio di amministrazione cui
spetta la nomina dell’organo ma anche il potere di revocare o ampliare/restringere la sfera delle
competenze delegate e cui spetta anche il potere di direttiva e controllo sull’operato degli organi
delegati nonché il potere di avocare a sé operazioni rientranti nella delega.
224) Rappresentanza della società Nel caso di amministratore unico al potere di amministrazione
corrisponde necessariamente il potere di rappresentanza della società ma quando esiste un consiglio
di amministrazione il potere di rappresentanza è attribuito al presidente o all’(agli) amministratori
delegati disgiuntamente o congiuntamente secondo quanto stabilito dallo statuto o atto costitutivo
della società. Secondo la legge il potere di rappresentanza è generale e quindi le limitazioni a tale
potere (che risultano dallo statuto, dall’atto costitutivo o dalla deliberazione dell’organo competente)
hanno una efficacia puramente interna e non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, a meno che
non si provi che questi hanno agito intenzionalmente a danno della società. In via di principio quindi
l’atto compiuto dal rappresentante anche se è posto in essere con eccesso di potere (e quindi al di là
delle limitazioni poste al potere di rappresentanza) rimane in ogni caso efficace e vincolante a meno
che non sia frutto di un accordo fraudolento tra terzo e rappresentante. Salvo quest’ultimo caso quindi
le limitazioni sono rilevanti solo in tema di responsabilità del rappresentante e rilevano anche tutte le
volte in cui sia necessario accertare il potere del rappresentante in ordine al compimento di un
determinato atto (es. il notaio deve rifiutarsi di rogare un atto se questo eccede i poteri del
rappresentante).
225) Posizione giuridica degli amministratori e loro responsabilità - La legge in materia di società a
responsabilità limitata stabilisce che gli amministratori sono solidalmente responsabili dei danni
derivanti dall’inosservanza dei doveri a loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo per
l’amministrazione della società. Per le società per azioni invece stabilisce che gli amministratori
devono adempiere ai doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta
dall’incarico e dalle loro specifiche competenze e sono solidalmente responsabili verso la società per i
danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri. E’ chiaro in entrambi i casi che non può essere
imputato all’amministratore il risultato più o meno economicamente favorevole dell’atto da lui
compiuto e che invece in entrambi i casi la responsabilità nasca dalla violazione di un obbligo di
diligenza. La differenza sta invece nel fatto che per le società a responsabilità limitata la legge non
precisa il grado di diligenza cui sono tenuti gli amministratori e quindi essa deve essere ricavata dallo
schema del mandato e quindi dalla diligenza richiesta al mandatario. Per la società per azioni invece il
grado di diligenza viene rapportato alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze
dell’amministratore e quindi delle capacità in considerazione delle quali è stato nominato e che quindi
deve utilizzare nell’espletare il compito affidatogli. In entrambi i casi inoltre la legge pone una regola
di solidarietà in quanto fa parte dell’obbligo di diligenza il fatto che l’amministratore non rimanga
inerte di fronte all’operato degli altri ma debba intervenire per impedire il compimento di atti
pregiudizievoli per la società o per attenuarne le conseguenze dannose per la società stessa.. La legge
prescrive un mezzo preciso tramite il quale l’amministratore può escludere la propria responsabilità
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che consiste nel far constatare il proprio dissenso dall’operato degli altri (per le società a
responsabilità limitata) o nel far annotare il proprio dissenso nel libro delle deliberazioni del consiglio
dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale (per le società per azioni).
Inoltre la legge vieta agli amministratori delle società per azioni di assumere la qualità di soci
illimitatamente responsabili (o di amministratore) in società concorrenti o di esercitare attività
concorrenti. L’inosservanza di tale divieto oltre all’obbligo del risarcimento del danno costituisce
causa di revoca dall’ufficio Per le società a responsabilità limitata invece la legge ritiene sufficiente la
disciplina del conflitto di interessi e non necessaria l’adozione di tecniche di tutela preventiva. Inoltre
la legge prevede un obbligo di risarcire i danni procurati dall’amministratore alla società mediante la
utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di notizie apprese nell’esercizio dell’incarico. Al di là di
queste ipotesi specifiche la legge non precisa quali ulteriori obblighi incombono sugli amministratori
limitandosi a fare generico riferimento a tutti gli obblighi imposti dalla legge, dallo statuto o dall’atto
costitutivo. Ne deriva che sicuramente costituisce obbligo degli amministratori l’osservanza di norme
poste a garanzia dell’integrità del capitale sociale (divieto di distribuzione di utili fittizi, divieto di
aumento di capitale prima che i conferimenti dovuti siano stati eseguiti,ecc) l’osservanza delle norme
poste per il funzionamento degli organi sociali e per la pubblicità degli atti, il cosiddetto obbligo di
fedeltà che consiste oltre che nel divieto di concorrenza, nel divieto di infedeltà patrimoniale e nel
divieto di aggiotaggio. Tali obblighi in quanto costituiscono garanzia del buon funzionamento della
società e sono posti a tutela dei soci e dei terzi sussistono in ogni caso e gli amministratori non
potrebbero essere esonerati dal rispettarli neanche da una preventiva deliberazione dell’assemblea e
quindi la loro responsabilità non viene meno per il fatto che essi siano stati violati con la
consapevolezza o con la partecipazione dei soci
226) L’azione sociale di responsabilità La responsabilità degli amministratori sussiste
principalmente nei confronti della società e quindi in via principale spetta alla società attraverso i suoi
organi farla valere. Sia nella società a responsabilità limitata che nella società per azioni l’azione può
essere direttamente proposta dalla società sulla base della deliberazione dei soci. In entrambe le
società inoltre è possibile che l’azione sia esercitata direttamente dai soci, ma nella società per azioni si
richiede a tal fine il possesso di una determinata quota percentuale del capitale sociale mentre nelle
società a responsabilità limitata non è previsto alcun requisito quantitativo e quindi l’azione può
essere promossa da ogni socio. La disciplina della società per azioni è però molto più articolata
prevedendo i diversi aspetti sia dell’azione promossa dalla società che dai soci. Per quanto riguarda
l’azione promossa dalla società essa presuppone in via di principio una deliberazione dell’assemblea
ordinaria ma essa può essere promossa anche a seguito di deliberazione del collegio sindacale
adottata a maggioranza dei due terzi dei suoi membri. Se la società ha adottato il sistema dualistico
l’azione può essere proposta anche dietro deliberazione del consiglio di sorveglianza. In tutti i casi
essa può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica. La
deliberazione dell’azione di responsabilità se presa con il voto favorevole dei soci che rappresentano
un quinto del capitale sociale o dal consiglio di sorveglianza con la maggioranza dei due terzi dei
componenti comporta la revoca di diritto degli amministratori dalla carica, in caso contrario la revoca
deve essere espressamente deliberata e sono l’assemblea o il consiglio di sorveglianza a provvedere
alla sostituzione degli amministratori revocati. L’azione sociale di responsabilità deliberata dalla
assemblea o dal consiglio di sorveglianza o dal collegio sindacale è esercitata dagli i amministratori o
da persona designata dall’assemblea a tale scopo o da un curatore speciale per l’esercizio dell’azione
stessa. Quando nei casi più gravi di responsabilità viene nominato dal tribunale un amministratore
giudiziario o quando la società sia fallita o posta in amministrazione coatta amministrativa o ammessa
alla amministrazione straordinaria l’azione è esercitata dall’amministratore giudiziario, dal curatore
del fallimento, dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario. Se l’azione è invece
esercitata dai soci essi fanno valere in nome proprio un diritto della società e quindi l’eventuale
risarcimento del danno a seguito dell’azione va a favore del patrimonio della società e pertanto la
stessa è tenuta, in caso di accoglimento dell’azione, a rimborsare agli attori le spese di giudizio che essi
non hanno potuto recuperare dai soccombenti. La società può rinunciare all’esercizio dell’azione
sociale di responsabilità e può transigere sulla misura del risarcimento purchè per le società a
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responsabilità limitata la decisione sia presa con il consenso dei soci che rappresentano i due terzi del
capitale sociale e per le società per azioni sia espressamente approvata dall’assemblea e purchè ad
essa non si oppongono i soci che rappresentano una determinata percentuale del capitale sociale.
Anche i soci che hanno promosso l’azione possono rinunciare all’azione o transigerla ma ogni
corrispettivo dovrà andare a vantaggio della società.
227) L’azione di responsabilità dei creditori sociali – E’ ovvio che in ogni caso di cattiva gestione di un
impresa si crea pregiudizio anche a coloro che all’azienda hanno fatto credito e vedono quindi ridotte
le possibilità di realizzare il credito stesso. E’ altrettanto ovvio che quando la cattiva gestione è
imputabile a soggetto diverso dall’imprenditore e questo può vantare nei suoi confronti una pretesa al
risarcimento del danno i creditori possono avvalersi del rimedio generale dell’azione surrogatoria
prevista dall’art. 2900 e mediante essa esercitare la pretesa che spetta al loro debitore, l’imprenditore
appunto. Non vi è dubbio che ciò possa valere anche quando l’impresa è esercitata sotto forma di
società e quindi nell’ipotesi in cui tale pretesa si fondi sulla responsabilità di coloro che svolgono per
essa le funzioni di amministratori. Il problema è che l’art. 2394 cc prevede esclusivamente per le
società per azioni che gli ammistratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli
obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. Infatti occorre chiedersi se l’art. 2394
configuri pur sempre una azione surrogatoria o una azione direttamente spettante ai creditori nei
confronti degli amministratori. Questa seconda ipotesi è però non accettabile in quanto se così fosse
non si spiegherebbe perché l’art. 2394 sia applicabile alla sola società per azioni e non agli altri tipi di
società di capitale o alle società di persone. Occorre propendere quindi per la tesi per cui l’art. 2394
configuri una ipotesi di azione surrogatoria strettamente collegata all’azione di responsabilità
spettante alla società. Infatti l’art. 2394 espressamente stabilisce che la rinuncia all’’azione da parte
della società non impedisce l’azione da parte dei creditori sociali e che la transazione della società può
essere impugnata dai creditori solo con l’azione revocatoria. Si deduce quindi che l’esercizio
dell’azione di responsabilità da parte della società preclude l’esercizio dell’azione stessa da parte dei
creditori in quanto lo scopo cui l’azione dei creditori tende è lo stesso cui tende l’azione della società
non mirando i creditori ad ottenere il risarcimento di un danno direttamente subito ma ad ottenere la
reintegrazione del patrimonio sociale che rappresenta la loro garanzia. L’azione dei creditori sociali
non è quindi una azione ad essi autonomamente attribuita ma può essere fatta valere in via
surrogatoria, ciò è anche dimostrato dal fatto che lo stesso art. 2394 stabilisce che presupposto per
l’azione dei creditori social sia l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento del loro credito
e implicitamente evidenzia l’altro presupposto e cioè l’inerzia della società. Il carattere surrogatorio
dell’azione concessa ai creditori ci permette di stabilire che identico è il contenuto delle due azioni
anche se diversi sono gli interessi che muovono la società e i creditori sociali. L’interesse della società
è quello di eliminare ogni danno derivante da colpa o dolo degli amministratori mentre interesse dei
creditori ad esercitare l’azione contro gli amministratori si ha solo quando, attraverso il danno alla
società, risultino diminuite le loro garanzie patrimoniali. L’azione spetta ad ogni creditore fino alla
concorrenza del proprio credito.
228) L’azione individuale di responsabilità - Abbiamo visto che quando gli amministratori producono
un danno per la società indirettamente danneggiano anche i creditori sociali (che risultando il
patrimonio sociale insufficiente per la soddisfazione dei loro crediti possono agire con l’azione
surrogatoria generale o con la specifica azione di cui all’art. 2394 cc) e anche i soci (in quanto la
riduzione del patrimonio della società produce anche una riduzione del valore della loro
partecipazione). I soci però possono solo chiedere il risarcimento del danno a favore della società,
ottenendo indirettamente anche il ripristino del valore della loro partecipazione, Può accadere però
che i fatti illeciti commessi dall’amministratore non incidano sul patrimonio della società ma solo e
direttamente sul patrimonio del socio così come vi possono essere fatti illeciti che incidono sia sul
patrimonio della società che sul patrimonio del socio e del terzo. Nel primo caso è evidente che la
società non può proporre nessuna azione perché non ha subito nessun danno, nel secondo caso è
altrettanto evidente che il risarcimento del danno subito dalla società non copre il danno subito dal
socio o dal terzo. Con riferimento a tali ipotesi la legge prevede una responsabilità diretta degli
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amministratori nei confronti dei soci e dei creditori (e in generale dei terzi), per il danno commesso
dai primi che incide direttamente sul patrimonio personale dei secondi e la relativa azione può essere
esercitata entro cinque anni dal compimento dell’azione che ha provocato il danno.
229) Amministratori nominati dallo stato e dagli enti pubblici - I principi che regolano la
responsabilità degli amministratori nei confronti della società e dei creditori sociali si applicano anche
a quegli amministratori di società per azioni che sono nominati dallo stato o dagli enti pubblici qualora
una clausola dello statuto attribuisca a tali enti la nomina stessa .
230) I direttori generali - Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori delle
società per azioni s applicano anche ai direttori generali nominati dall’assemblea o nello statuto. I
direttori generali non sono organi ma sono dipendenti della società, tuttavia qualora i loro poteri
traggano origine dallo statuto o da una deliberazione dell’assemblea la legge li equipara dal punto di
vista della responsabilità agli amministratori, subordinando l’esercizio dell’azione (come per gli
amministratori) alla deliberazione dell’assemblea (o del consiglio di sorveglianza) o alla iniziativa dei
soci che raggiungano la percentuale richiesta dalla legge o dallo statuto.
231) Responsabilità penale degli amministratori – Accanto alla responsabilità civile la legge prevede, a
carico degli amministratori e soggetti a loro equiparati, anche responsabilità penali prevedendo, a
seconda della gravità dei casi sanzioni amministrative (ammende) per le ipotesi di omissione o
esecuzione tardiva di denunce o comunicazioni all’ufficio del registro delle imprese o multa o
reclusione nei casi più gravi. L’azione penale è solo eccezionalmente esperibile su querela della
persona offesa in quanto nella maggior parte dei casi i reati sono di azione pubblica. Inoltre occorre
ricordare che il D. LGS 231 DEL 2001 stabilisce che la società è responsabile per i reati commessi nel
suo interesse e a suo vantaggio da persone fisiche che rivestono funzioni di rappresentanza,
amministrazione o direzione o da coloro che esercitano la gestione e il controllo della società stessa a
meno che non provi di aver adottato, prima che il fatto fosse commesso, modelli di organizzazione
adatta a prevenire reati di questo genere e che il controllo di questi modelli è stato affidato ad un
organo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo.
c) GLI ORGANI DI CONTROLLO
232) Le funzioni di controllo - Prima della riforma l’organo di controllo nelle società di capitali era
solo il collegio sindacale la cui funzione prevalente era quella del controllo contabile. Si trattava di un
organo necessario nelle società per azioni, nelle società in accomandita per azioni e, nelle società a
responsabilità limitata solo nelle ipotesi previste dalla legge. Dopo la riforma nelle società a
responsabilità limitata il collegio sindacale resta un organo necessario solo nei casi previsti dalla legge,
essendo negli altri casi un organo facoltativo. Nelle società per azioni invece esso è previsto solo
quando la società abbia adottato il sistema tradizionale, in quanto nelle società che hanno adottato il
sistema dualistico la funzione di controllo è svolta dal consiglio di sorveglianza e nelle società che
hanno adottato il sistema monistico dal comitato per il controllo sulla gestione. Nelle società per azioni
però la revisione legale dei conti è attribuita ad un revisore legale dei conti o ad una società di
revisione iscritti in apposito registro. Tale regola però è inderogabile solo per le società quotate e per
le società che rientrano nella categoria degli enti di interesse pubblico e per le società obbligate al
bilancio consolidato in quanto negli altri casi lo statuto può affidare tale compito al collegio sindacale.
233) Il controllo nelle società a responsabilità limitata – Nelle società a responsabilità limitata alcuni
poteri di controllo sono attribuiti ai singoli soci (che non partecipano all’amministrazione) che
possono in ogni momento consultare i libri sociali e i documenti amministrativi nonché avere dagli
amministratori notizie sullo svolgimento della gestione. Tale potere però è attribuito dalla legge al
socio nel proprio interesse e pertanto esercitandoli il socio non compie una funzione sociale e non
assurge ad organo della società. L’atto costitutivo può prevedere la nomina del collegio sindacale o di
un revisore stabilendone anche poteri e compensi. In alcuni casi previsti dalla legge però la nomina
del collegio sindacale è obbligatoria. Si tratta dei casi in cui l’ammontare del capitale sociale non è
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inferiore ai 120.000 euro, o del caso in cui la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato o
controlli una società tenuta a questo, o del caso in cui per due esercizi consecutivi la società abbia
superato due delle soglie che impediscono la redazione del bilancio in forma abbreviata. In questi casi
si applica al collegio sindacale la disciplina prevista per le società per azioni mentre nei casi in cui la
nomina del collegio sindacale è facoltativa è lo statuto a determinarne competenze e poteri.
234) Il controllo nelle società per azioni – Nelle società per azioni le funzioni dell’organo di controllo
riguardano la legalità dell’agire degli organi sociali e la correttezza dell’amministrazione della società.
Per quanto riguarda il primo aspetto il controllo viene attuato non solo circa l’operato del consiglio di
amministrazione ma anche relativamente all’attività dell’assemblea e pertanto l’organo di controllo
può impugnare le deliberazioni dell’assemblea, può chiedere al tribunale la riduzione d’ufficio del
capitale sociale (se in caso di perdita non vi provvede l’assemblea), e può sostituirsi agli
amministratori in caso di mancata osservanza gli obblighi loro spettanti circa la convocazione
dell’assemblea o la pubblicità, può proporre l’azione di responsabilità contro gli amministratori. Per
quanto riguarda il secondo aspetto l’organo di controllo deve verificare il concreto funzionamento
dell’organizzazione attuata dagli amministratori e per tale motivo è indispensabile una concreta
collaborazione tra l’organo stesso e i soggetti preposti alla revisione legale dei conti. La funzione di
controllo è svolta nell’interesse della società e costituisce quindi una garanzia per i soci e, solo
indirettamente, anche per i terzi,. La legge infatti impone all’organo di controllo di tenere conto nella
relazione all’assemblea delle denunce fatte dai soci che rappresentano una determinata percentuale
del capitale sociale e di indagare sulla gravità dei fatti denunciati e qualora si tratti di casi di
particolare gravità di convocare l’assemblea. Qualora tali fatti siano emersi non per denuncia dei soci
ma nel corso dello svolgimento del suo incarico l’organo di controllo ha il potere (anche se non è
tenuto a ) di convocare l’assemblea previa comunicazione al presidente del consiglio di
amministrazione o di gestione.
235) Composizione e funzionamento degli organi di controllo nella società per azioni - I componenti
dell’organo di controllo nella società per azioni possono essere soci o non soci e devono avere i
requisiti di indipendenza e di una specifica competenza tecnica e professionale. Per quanto riguarda il
primo requisito la legge richiede che i componenti dell’organo di controllo siano indipendenti rispetto
alla società (e alle società appartenenti al medesimo gruppo) e infatti non possono essere eletti
membri dell’organo di controllo i dipendenti e i consulenti della società e delle società controllate
nonché della società controllante. I componenti dell’organo di controllo devono essere inoltre
indipendenti rispetto agli amministratori della società (e delle società del gruppo). In particolare la
carica di sindaco e di componente del consiglio di sorveglianza non può essere assunta dai componenti
del consiglio di amministrazione (o di gestione) della società e delle società del gruppo (ciò non vale
ovviamente per i componenti del comitato per il controllo nelle società organizzate con il modello
monistico i quali invece vengono proprio scelti tra gli amministratori). Non possono inoltre essere
nominati membri del collegio sindacale i parenti ed affini entro il quarto grado degli amministratori
della società e delle società del gruppo. Tale requisito non è richiesto dalla legge per i componenti del
consiglio di sorveglianza in quanto l’accesso a tale ufficio è impedito ai soli consiglieri di gestione e non
alle persone legate da parentela con essi). Per quanto riguarda il secondo aspetto la legge richiede che
almeno un membro dell’organo di controllo sia scelto tra gli iscritti in un apposito registro e per
quanto riguarda il collegio sindacale deve essere iscritto oltre ad un membro almeno anche un
supplente e inoltre gli altri membri, se non sono iscritti in questo registro devono essere scelti tra gli
iscritti da uno degli albi professionali individuati dal Ministro della Giustizia o tra i professori
universitari di ruolo in materie economiche o giuridiche. Se lo statuto ha affidato al collegio sindacale
anche la revisione legale dei conti (solo per le società non quotate che non sono tenute alla redazione
del bilancio consolidato) si richiede anche che tutti i suoi componenti siano revisori legali iscritti
nell’apposito registro. Lo statuto inoltre può prevedere per i sindaci e i consiglieri di sorveglianza
altre cause di ineleggibilità o decadenza o incompatibilità . Gli organi di controllo hanno struttura
pluripersonale ed operano collegialmente. Devono riunirsi almeno ogni novanta giorni e delle riunioni
deve essere redatto un verbale che deve essere trascritto nel libro delle adunanze e delle deliberazioni
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dell’organo stesso. L’organo di controllo è regolarmente costituto con la presenza della maggioranza
dei componenti e delibera a maggioranza assoluta (salvo che per la deliberazione dell’azione di
responsabilità nei confronti degli amministratori del collegio sindacale per la quale occorre il voto dei
due terzi dei componenti).
236) I singoli organi di controllo delle società per azioni: il collegio sindacale - Nel sistema
tradizionale la funzione di controllo è svolta dal collegio sindacale che si compone di tre o cinque
membri effettivi e di due supplenti. I sindaci sono nominati dai soci (per la prima volta nell’atto
costitutivo e nelle volte successive dall’assemblea ordinaria) e la nomina può essere riservata dallo
statuto, solo per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio con partecipazione
dello stato o degli enti pubblici, allo stato o agli enti pubblici in proporzione alla loro partecipazione.
Inoltre lo statuto può riservare la nomina di un sindaco ai titolari di strumenti finanziari. I sindaci
restano in carica per tre esercizi e la cessazione del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è
stato ricostituito. I sindaci possono essere revocati solo per giusta causa e la deliberazione di revoca
deve essere approvata dal tribunale, sentito l’interessato. In questo modo la legge vuole assicurare ai
sindaci una posizione di indipendenza rispetto agli altri organi sociali e proprio per questo devono
essere nominati sin dall’inizio i sindaci supplenti che subentrano ai sindaci che hanno terminato la
carica e il compenso dei sindaci deve essere determinato dall’atto costitutivo o fissato per l’intera
durata dell’ufficio all’atto della nomina. La nomina e la cessazione dei sindaci devono essere iscritte
nel registro delle imprese. Il collegio sindacale è organo collegiale e opera come tale e nello
svolgimento delle funzioni può richiedere agli amministratori notizie sull’andamento della gestione e
può scambiare informazioni con i soggetti incaricati della revisione dei conti e con gli organi di
controllo delle società controllate. Alcune volte il controllo può essere esercitato anche singolarmente
e quindi i sindaci possono procedere individualmente ad atti di ispezione e di controllo anche
attraverso propri dipendenti. La mancata partecipazione di un sindaco a due riunioni del collegio
sindacale senza giustificato motivo, alle assemblee o a due adunanze consecutive del consiglio di
amministrazione costituisce causa di decadenza dall’ufficio. La legge impone ai sindaci di esercitare le
loro funzioni con professionalità e diligenza, impone ad essi il segreto sui fatti di cui vengono a
conoscenza per ragioni di ufficio. I sindaci sono responsabili della verità delle loro attestazioni e sono
anche solidalmente responsabili con gli amministratori per i fatti o le omissioni dolose o colpose di
questi qualora il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi
richiesti dalla loro carica. La responsabilità sussiste pertanto quando al fatto doloso o colposo degli
amministratori si aggiunge anche la colpa dei membri del collegio sindacale o di qualcuno di essi e può
essere esclusa facendo risultare il proprio dissenso o i propri rilievi nel libro delle adunanze e delle
deliberazioni del collegio sindacale. L’azione di responsabilità è regolata in maniera simile a quella
prevista per gli amministratori. Anche per i sindaci è prevista una responsabilità penale nel caso di
reati commessi dagli amministratori, in caso di false comunicazioni sociali o quando, dietro promessa
di utilità, compiano o omettano atti in violazione degli obblighi del loro ufficio cagionando un danno
alla società.
237) Continua – Il consiglio di sorveglianza - Nel sistema dualistico l’organo di controllo è il consiglio
di sorveglianza il cui numero di membri è fissato dallo statuto fermo restando che esso non può essere
inferiore a tre. Anche i consiglieri di sorveglianza sono nominati dai soci e anche il presidente del
consiglio è eletto dall’assemblea. La nomina dei consiglieri, la loro cessazione e la retribuzione loro
spettante è simile a quanto previsto per i sindaci, uguale è il termine di durata e il regime di efficacia
della cessazione per scadenza del termine. . Diversa è invece la disciplina della revoca e sostituzione
dei membri venuti meno nel corso dell’esercizio. Per quanto riguarda quest’ultima non essendoci
membri supplenti l’assemblea deve provvedere con urgenza alla nomina dei nuovi consiglieri. Per
quanto riguarda la revoca la disciplina è simile a quella degli amministratori in quanto la legge
prevede che i consiglieri di sorveglianza sono revocabili in qualunque momento dall’assemblea e
anche senza giusta causa (in questo caso però è previsto l’obbligo di risarcire il danno arrecato al
consigliere revocato). Particolare è inoltre la disciplina delle competenze e dei poteri dei consiglieri di
sorveglianza. Infatti spettano al consiglio di sorveglianza competenze che in altri sistemi di
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amministrazione spettano ai soci (in particolare alla assemblea ordinaria): infatti esso nomina e
revoca gli amministratori determinandone il compenso, promuove nei loro confronti l’azione di
responsabilità (tale competenza è concorrente con quella riconosciuta ai soci e alla società) e approva
il bilancio di esercizio. Inoltre al consiglio di sorveglianza non sono riconosciuti poteri, doveri e
responsabilità che nel sistema tradizionale sono riferiti al collegio sindacale ed in particolare il potere
di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento della gestione, scambiare informazioni con gli
organi di quest’ultime. Tuttavia pur essendoci il dovere di partecipare alle assemblee l’inosservanza di
tale dovere non comporta causa di decadenza dall’ufficio (pur potendo costituire giusta causa di
revoca) e inoltre i consiglieri di sorveglianza non sono tenuti ad assistere alle adunanze del consiglio di
gestione. Lo statuto può inoltre assegnare al consiglio di sorveglianza ulteriori competenze. I
consiglieri di sorveglianza devono adempiere ai loro doveri con la diligenza richiesta dall’incarico e al
pari dei sindaci sono solidalmente responsabili con i consiglieri di gestione per i fatti e omissioni di
questi se il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della
loro carica.
238) continua – il comitato per il controllo sulla gestione - Nel sistema monistico le funzioni di
controllo sono svolte dal comitato per il controllo sulla gestione e salvo diversa disposizione dello
statuto la determinazione del loro numero e la loro nomina spetta al consiglio di amministrazione
mentre la nomina del presidente del comitato spetta ai suo i membri che decidono a maggioranza
assoluta. Il comitato di controllo non solo è nominato dal consiglio di amministrazione ma è costituito
anche all’interno di esso e quindi risulta composto da amministratori che devono essere in possesso
dei requisiti di indipendenza richiesti dalla legge e dallo statuto, dei requisiti di onorabilità e
professionalità richiesti dallo statuto e inoltre che non siano esecutivi e cioè non siano titolari di
cariche o deleghe e comunque non svolgano funzioni attinenti alla gestione della società. AL fine di
permettere la costituzione del comitato per il controllo la legge impone che almeno un terzo dei
membri del consiglio di amministrazione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza
richiesti per la nomina a componente del comitato per il controllo e almeno uno di essi deve essere
iscritto nel registro dei revisori legali dei conti. Nel caso di cessazione di un componente del comitato
per morte, rinuncia, revoca o decadenza, il consiglio di amministrazione deve sostituirlo con urgenza
con un altro amministratore in possesso dei requisiti prescritti e se ciò non è possibile deve
provvedere alla cooptazione di un nuovo amministratore sempre in possesso di tali requisiti. Il
comitato per il controllo sulla gestione svolge oltre alla funzione di controllo anche gli ulteriori compiti
affidatigli dal consiglio di amministrazione. I componenti del comitato di controllo, in quanto
amministratori hanno gli stessi poteri degli amministratori nonché gli stessi doveri e responsabilità. I
membri del comitato quindi sono tenuti ad osservare gli obblighi attribuiti come amministratori cui sii
aggiunge il dovere di assistere alle riunioni del comitato esecutivo.
239) Il controllo giudiziario – Nelle società per azioni accanto al controllo esercitato dagli organi
suddetti la legge prevede la possibilità di intervento della autorità giudiziaria . Infatti quando la
violazione degli obblighi da parte degli amministratori è particolarmente grave la legge prevede che gli
organi di controllo o i soci che rappresentano una certa percentuale o il pubblico ministero
(quest’ultimo solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) possono
richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria denunciando i fatti al tribunale del luogo dove è posta
la sede della società. Il tribunale può ordinare l’ispezione dell’amministrazione della società a spese
dei soci richiedenti o della società ma tale ispezione non può essere ordinata nel caso in cui
l’assemblea dei soci sostituisce gli amministratori e i componenti dell’organo di controllo con soggetti
di adeguata professionalità che si attivano con urgenza per accertare ed eliminare le violazioni. Se le
irregolarità risultano particolarmente gravi il tribunale può disporre provvedimenti cautelari e
addirittura revocare gli amministratori e i componenti dell’organo di controllo nominando un
amministratore giudiziario cui spetta per legge proporre l’azione di responsabilità contro gli
amministratori e i giudici. Prima della scadenza del suo incarico l’amministratore giudiziario deve
rendere conto al tribunale e convocare l’assemblea per la ricostituzione degli organi sociali o per
proporre la liquidazione o la ammissione della società ad una procedura concorsuale. Il potere di
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denuncia attribuito al pubblico ministero è attuabile quando le irregolarità degli amministratori non
trovino una reazione da parte della maggioranza dei soci e da parte dell’organo di controllo e inoltre
la legge ha inteso perseguire in tal modo la tutela delle minoranze dei soci che non raggiungano la
percentuale richiesta per richiedere l’intervento del tribunale. Tali minoranze infatti possono
esercitare il potere di denuncia attraverso il pubblico ministero. I provvedimenti sono emessi dal
tribunale sentiti gli amministratori e i componenti dell’organo di controllo e sono reclamabili davanti
alla corte di appello così come è reclamabile anche il provvedimento del tribunale che ordina
l’ispezione dell’amministrazione della società. La dottrina si è chiesta se l’intervento del tribunale,
previsto dalla legge per le società per azioni, possa essere utilizzato anche per la società a
responsabilità limitata nonostante la relativa disciplina non lo preveda. La cosa non è però
condivisibile in quanto si deve tenere conto che nelle società a responsabilità limitata viene
riconosciuto al singolo socio un diretto potere di ispezione nonché il potere di richiedere, in caso di
gravi irregolarità degli amministratori, la loro revoca cautelare e pertanto non vi sarebbe spazio per
estendere ad essa la disciplina prevista per le società per azioni che si giustifica appunto con la
mancanza di strumenti con i quali il singolo socio può perseguire la propria tutela.
4) Bilancio e informazione societaria interna
240) L’informazione societaria – La nozione di informazione societaria è duplice in quanto può
riguardare i soci o riguardare anche il mercato finanziario cui la società si rivolge per procacciarsi i
messi necessari per lo svolgimento dell’impresa. Dal primo punto di vista parliamo di informazione
interna che si svolge attraverso gli organi societari mentre dal secondo punto di vista parliamo di
informazione esterna che riguarda le società quotate e si svolge attraverso la Consob per tutelare non
solo i soci ma soprattutto gli investitori e per assicurare il regolare funzionamento del mercato. La
informazione interna si realizza attraverso l’imposizione alla società della tenuta dei libri sociali, delle
scritture contabili, del bilancio di esercizio e degli altri bilanci straordinari nonché di uno specifico
controllo, avente per oggetto la contabilità della società, che si svolge attraverso la revisione legale dei
conti.
241) l libri sociali - Le società di capitali devono tenere i seguenti libri sociali: a) il libro delle decisioni
dei soci (per le società a responsabilità limitata) e il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle
assemblee (per le società per azioni) nei quali devono essere trascritti tutti i verbali delle assemblee
anche se redatti per atto pubblico b) il libro delle decisioni degli amministratori (per le società a
responsabilità limitata) e il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione
o di gestione (nelle società per azioni) nei quali devono essere trascritti tutti i verbali delle riunioni del
consiglio c) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo nelle società dove esso
esiste d) il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale o del consiglio di
sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione. Inoltre le società per azioni e in accomandita
per azioni devono tenere : e) il libro dei soci dove devono essere annotati il numero delle azioni, il
nome degli intestatari delle azioni nominative, i versamenti eseguiti, i trasferimenti delle azioni (per le
società a responsabilità limitata tale obbligo è stato eliminato) f) il libro delle obbligazioni (nel caso la
società abbia emesso obbligazioni) nel quale sono annotati il numero delle obbligazioni emesse, il
nome dei titolari delle obbligazioni nominative g) il libro delle adunanze e delle deliberazioni degli
obbligazionisti (se sono state emesse obbligazioni). Infine nelle società per azioni che hanno destinato
patrimoni ad un singolo affare e hanno emesso a tale scopo strumenti finanziari di partecipazione deve
essere tenuto h) il libro degli strumenti finanziari di partecipazione dove devono essere indicati il
numero, l’ammontare e i trasferimenti degli strumenti emessi. Tutti questi libri, prima dell’uso,
devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e bollati in ogni foglio. L’obbligo della tenuta
dei libri incombe sugli amministratori (per i libri di cui alle lettere a) b) e) f) h)) , al comitato esecutivo
(c), all’organo di controllo (d))e al rappresentante degli obbligazionisti (g). Nelle società a
responsabilità limitata i soci che non partecipano all’amministrazione possono consultare tutti i libri
sociali e quindi hanno un generale potere ispettivo mentre nelle società per azioni il socio ha il diritto
di esaminare solo il libro dei soci e il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea.
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242) Il bilancio – L’esercizio sociale - Nelle società di capitali il bilancio ha una importante funzione di
accertamento della situazione patrimoniale e quindi di controllo dei risultati della gestione
dell’impresa. Tale accertamento può essere fatto all’inizio della attività della società (bilancio di
apertura) e alla fine (bilancio di liquidazione). Inoltre tale accertamento viene fatto annualmente
(bilancio di esercizio) e può essere fatto in occasione di determinati fatti come la fusione o la messa in
liquidazione (bilancio straordinario). La legge prevede e regola minuziosamente il bilancio di
esercizio stabilendo l’obbligo della sua redazione alla chiusura di ogni esercizio sociale e imponendo
una rigorosa disciplina in ordine alle voci di cui essere composto e ai criteri di valutazione, attribuendo
al bilancio la produzione di determinati effetti giuridici. Per la legge il bilancio è il documento
contabile in cui sono registrate le variazioni che si sono verificate nel patrimonio della società rispetto
al bilancio precedente al fine di stabilire se è vi è stato un incremento o un decremento di valore e di
prendere i relativi ulteriori provvedimenti collegati con la chiusura dell’esercizio.
243) La legislazione sul bilancio - L’importanza centrale del bilancio consente di comprendere la
molteplicità di interventi legislativi in questo campo. Il codice di commercio del 1882 prevedeva
l’obbligo degli amministratori di redigere il bilancio alla fine di ogni esercizio sociale e poneva il
principio per cui il bilancio doveva dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdi te
subite ma non stabiliva i criteri che dovevano essere rispettati nella redazione del bilancio stesso. Il
codice civile del 1942 invece stabiliva precisamente le voci che il bilancio doveva contenere e i criteri
di valutazione delle singole voci. Tuttavia esso nulla prevedeva con riferimento alla redazione del
conto dei profitti e delle perdite. Tale lacuna è stata colmata con legge del 1974. In seguito in
applicazione della normativa comunitaria sono state emanate leggi speciali che richiedono ulteriori
documenti contabili, e precisamente l’allegato (o nota integrativa). Infine la crescente
internazionalizzazione dei mercati ha richiesto la predisposizione in ambito internazionale dei
cosiddetti principi contabili internazionali che il legislatore comunitario ha provveduto ad adottare
con apposito regolamento. L’adozione di tali principi è obbligatoria per il bilancio consolidato, per il
bilancio di esercizio delle società con azioni quotate, per le banche, intermediari finanziari ed imprese
di assicurazione mentre è facoltativa per le altre società.
244) Verità e correttezza del bilancio - Nell’ambito del bilancio hanno importanza fondamentale il
conto patrimoniale e il conto economico dei profitti e delle perdite in quanto gli altri documenti
(relazione sulla gestione e nota integrativa o allegato) hanno lo scopo di integrare i dati dei primi due
e non possono in nessun modo modificarne la portata ai fini operativi. Si deve anche sottolineare che
il conto economico e lo stato patrimoniale costituiscono un tutto unico e quindi non possono avere
contraddizioni tra di loro in quanto le variazioni del conto patrimoniale rispetto al bilancio precedente
sono la diretta conseguenza dei movimenti economici verificatisi nel corso dell’esercizio e che sono
rappresentati appunto nel conto economico. La somma algebrica di queste variazioni deve quindi
corrispondere esattamente a quelle che risulta dal conto economico come utile o perdita di esercizio.
Pertanto se il conto economico presenta un utile di cento dal conto patrimoniale deve emergere per
forza di cose un incremento patrimoniale netto di cento e viceversa in caso di perdita. La legge
richiede espressamente che il bilancio rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale della società e il risultato economico di esercizio. Verità del bilancio è in primo luogo la
rappresentazione veritiera degli utili conseguiti o delle perdite subite durante l’esercizio. Tuttavia
mentre vi sono operazioni che nell’ambito del bilancio richiedono un mero accertamento e per le quali
si può parlare di verità, vi sono altre operazioni che richiedono una valutazione e rispetto alle quali
quindi non si può parlare di verità ma solo di correttezza e quindi che sia stato adottato un
procedimento di valutazione effettivamente teso alla realizzazione di un risultato veritiero. Si deve
anche aggiungere che la correttezza deve essere vista alla luce di un criterio di prudenza. Per tale
motivo la legge stabilisce che possono essere iscritti al bilancio solo gli utili realizzati alla data di
chiusura dell’esercizio e obbliga invece a tenere conto dei rischi e delle perdite di competenza
dell’esercizio anche se conosciute dopo la chiusura dello stesso.
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245) I principi di redazione e la chiarezza del bilancio – La regola della prudenza costituisce il
principio centrale di cui gli amministratori devono tenere conto nella redazione del bilancio ma
accanto ad essa la legge prevede altre regole che vanno a costituire i principi di redazione del bilancio.
Tali regole precisano che il bilancio di una società per azioni deve essere redatto per competenza e
non per cassa e inoltre precisano che nelle valutazioni di bilancio si deve tenere conto del fatto che
l’impresa sociale e quindi i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio
all’altro. Tale regola è però derogabile in casi eccezionali di rilevanti mutamenti strutturali
dell’impresa sociale ma in tal caso deve essere indicata la deroga e la sua motivazione nella nota
integrativa. Accanto a tali principi che sono posti a tutela della società, dei soci, dei terzi e del pubblico
che ha instaurato rapporti con la società vi sono altre regole dirette all’informazione dei soci e dei
terzi. In particolare la legge prescrive i criteri formali che gli amministratori devono seguire nella
redazione del bilancio perchè esso possa essere chiaramente rappresentata la situazione economica e
l’andamento economico della società. La disciplina prevede una particolare analiticità nelle voci
prevedendo anche che qualora ciò favorisca la chiarezza del bilancio le singole voci possono essere
raggruppate e che per ogni voce debba essere indicato l’importo della voce corrispondente
nell’esercizio precedente. La legge dispone inoltre sempre ai fini di chiarezza che il bilancio debba
essere redatto in unità di euro (senza decimali) mentre la nota integrativa può essere redatta in
migliaia di euro.
246) Il contenuto dello stato patrimoniale - Per quanto riguarda lo stato patrimoniale il bilancio è
diviso in due parti, l’attivo e il passivo. L’attivo è a sua volta suddiviso in due grandi categorie, le
immobilizzazioni e l’attivo circolante. Le immobilizzazioni sono a loro volta distinte in
immobilizzazioni immateriali (costi di impianto, costi di ricerca, valutazione dei diritti di proprietà
industriale), immobilizzazioni materiali (immobili ed attrezzature), e immobilizzazioni finanziarie
(partecipazioni e crediti). Per quanto riguarda l’attivo circolante abbiamo la divisione in rimanenze,
crediti, attività finanziarie e disponibilità liquide. Per quanto riguarda il passivo abbiamo il patrimonio
netto e quindi il capitale sociale, le riserve previste dalla legge e dallo statuto, e gli utili e perdite di
precedenti esercizi e quelli dell’esercizio. Abbiamo poi i diversi fondi per rischi ed oneri e il
trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. Nell’attivo e passivo si aggiungono poi i ratei e
risconti e quindi i proventi e costi sostenuti nell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi.
247) Il contenuto del conto economico – Per quanto riguarda il conto economico si è avuta una
evoluzione legislativa che ha condotto ad una maggiore analiticità e ad una modifica dello schema
espositivo prima basato su una rappresentazione delle poste contrapposte di costi e ricavi e ora invece
basato su una forma espositiva scalare. Per quanto riguarda i ricavi vengono distinti i ricavi relativi
all’attività sociale dai ricavi relativi alle attività finanziarie e dai ricavi straordinari. Per i costi vengono
distinti i costi relativi all’esercizio dell’attività sociale dai costi straordinari e dai costi tributari. Le
componenti dei costi e dei ricavi relativi all’esercizio dell’attività sociale devono essere esposte
analiticamente e deve essere indicata la loro somma algebrica, e analogamente si deve procedere per i
proventi ed oneri finanziari e straordinari. In tal modo diviene possibile percepire in maniera diretta
quale parte del risultato deriva dall’attività produttiva della società, quale parte deriva da operazioni
finanziarie e quale parte deriva invece da operazioni estranee alla normale attività sociale. La somma
algebrica di questi totali consente poi di determinare il risultato complessivo dell’esercizio e, dedotte
le imposte sul reddito, l’utile conseguito o la perdita sofferta.
248) La relazione sulla gestione e la nota integrativa – Accanto al conto patrimoniale e al conto
economico la legge prevede altri due documenti, la relazione sulla gestione e la nota integrativa ( o
allegato). La relazione sulla gestione contiene una analisi esauriente e fedele della situazione della
società e deve illustrare l’andamento della gestione e la sua prevedibile evoluzione , deve fornire
informazioni sulle attività di ricerca e sviluppo e sui rapporti con le altre società controllate o
sottoposte al comune controllo, sull’acquisto e possesso di azioni proprie e sui rischi connessi con l’uso
di strumenti finanziari. La nota integrativa invece deve illustrare e spiegare le voci di bilancio e
indicare le eventuali deviazioni dai principi base posti dalla legge per le valutazioni di bilancio nonché
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indicare il valore equo degli strumenti finanziari in base ai principi contabili internazionali adottati
dall’Unione Europea.
249) Le valutazioni di bilancio - La scelta dei criteri di valutazione è fondamentale in quanto è
evidente che una scelta volta a favorire sottovalutazioni potrebbe favorire la formazione di riserve
occulte e quindi porsi in contrasto con l’interesse dei soci alla distribuzione degli utili. Al contrario una
scelta volta a favorire sopravvalutazioni potrebbe consentire l’accertamento di utili non realizzati
creando pericolo per l’integrità del capitale sociale. E’ ovvio quindi che il legislatore abbia stabilito
principi per ottenere la correttezza nei criteri adottati . Il primo principio è quello della continuità del
bilancio per il quale la valutazione delle singole voci deve essere fatta nei successivi bilanci con lo
stesso criterio. Infatti se si adottassero nei vari bilanci criteri di valutazione diversi diventerebbe
impossibile confrontare le singole voci nei diversi anni e quindi determinare l’effettivo incremento o
decremento nel patrimonio della società. A tale principio sono consentite deroghe, come abbiamo
detto, solo in casi eccezionali. Altro principio è quello per cui nemmeno profonde modificazioni nel
valore della moneta possono consentire rivalutazioni nelle voci di bilancio. Ciò infatti può avvenire
soltanto dietro intervento del legislatore con leggi speciali ed infatti è ovvio che una rivalutazione
monetaria comporterebbe una modificazione nel rapporto esistente tra capitale e patrimonio facendo
apparire come utile il plusvalore che deriva invece da una diversa valutazione dei beni. Per tale
motivo quando il legislatore consente la rivalutazione monetaria impone anche un corrispondente
aumento del capitale sociale o la creazione di particolari fondi di rivalutazione. Circa la valutazione
delle singole voci che deve essere effettuata in ogni caso in base al principio di prudenza il legislatore
impone la regola del prezzo di costo (di produzione o di acquisto). Per quanto riguarda i beni fungibili
e quindi le scorte di magazzino e le materie prime il costo può essere calcolato con una media
ponderata o con il metodo del primo entrato primo uscito (fifo) o del ultimo entrato primo uscito
(lifo). Per quanto riguarda le partecipazioni in imprese collegate o controllate si può scegliere tra il
criterio del costo e il criterio del patrimonio netto (cioè facendo riferimento alla quota corrispondente
del patrimonio netto risultante dal bilancio dell’impresa collegata o controllata).
250) I bilanci per particolari categorie di imprese - La legge consente la redazione del bilancio in
forma abbreviata e quindi con un numero minore di voci alle società che non superano due dei
seguenti limiti : totale dell’attivo 4.400.000 euro, ricavi 8.800.000 euro e 50 dipendenti. (per quanto
riguarda le società a responsabilità limitata il superamento per due esercizi consecutivi di due di
questi limiti comporta l’obbligatorietà della nomina del collegio sindacale). Inoltre la disciplina
generale di bilancio non si applica alle banche e alle società finanziarie per le quali si applica invece la
disciplina dettata, in attuazione delle direttive della U.E., dal Decreto Legislativo n. 87 del 1992. Tale
disciplina contiene specifiche indicazioni riferite alla particolarità dell’attività esercitata e attribuisce
alla Banca d’Italia il potere di dettare le forme tecniche dei bilanci e la modalità della loro
pubblicazione. Anche le imprese assicurative sono soggette ad una disciplina speciale in materia di
bilancio.
251) La revisione legale dei conti – Nel sistema originario del codice la revisione legale dei conti era
uno dei compiti del collegio sindacale ma con decreto legislativo del 2010 il legislatore ha stabilito che
per le società a responsabilità limitata la nomina del collegio sindacale o di un revisore è facoltativa
(tranne che per le ipotesi previste dalla legge e prima indicate) mentre invece per le società per azioni
il controllo dei conti deve essere affidato ad un revisore legale o ad una società di revisioni iscritti
nell’apposito registro. Tale ultima disposizione però può avere valore imperativo o semplicemente
dispositivo. Ha valore imperativo per le società tenute alla redazione del bilancio consolidato, per i
cosiddetti in modo improprio enti di interesse pubblico (con questa dicitura il legislatore infatti indica
le società quotate), per le società che controllano enti di interesse pubblico o ne sono controllate. In
tutti gli altri casi invece è possibile che la revisione legale dei conti sia attribuita al collegio sindacale
che però in tal caso deve essere completamente composto da revisori legali iscritti nell’apposito
registro. L’attività di revisione dei conti consiste nella verifica nel corso della gestione della regolare
tenuta delle scritture contabili e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili
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e si conclude con una relazione con la quale viene espresso un giudizio sul bilancio e sulla sua
rappresentazione in modo veritiero e corretto della situazione patrimoniale ed economica della
società. Per effettuare il loro compito i soggetti incaricati della revisione possono richiedere agli
amministratori documenti e notizie e procedere direttamente ad accertamenti. La verifica del bilancio
può concludersi con un giudizio senza rilievi se il bilancio stesso è conforme alle norme e rappresenta
in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale ed economica della società, o con un giudizio
negativo o con una impossibilità di emettere un giudizio e in questi casi il revisore deve illustrare nella
relazione i motivi della decisione e, in caso di società quotate, avvisare la Consob. Per i danni derivati
dall’inadempimento del loro dovere i revisori sono responsabili in solido tra loro e con gli
amministratori nei limiti del loro contributo effettivo al danno arrecato, nei confronti della società, dei
soci e dei terzi. L’incarico di revisione legale avviene per la prima nomina nell’atto costitutivo e
successivamente a seguito di decisione dell’assemblea ordinaria dei soci e ha la durata di tre esercizi.
L’incarico può essere revocato solo per giusta causa sentito il parere dell’organo di controllo. Il
corrispettivo deve essere determinato dall’assemblea per l’intera durata dell’incarico. Particolare
rilievo assume il tema dell’indipendenza del revisore contabile e quindi il legislatore si è preoccupato
di stabilire una serie di norme, delle quali alcune sono di applicazione generale mentre altre sono
applicabili solo ai cosiddetti enti di interesse pubblico, ossia le società quotate (queste ultime verranno
esaminate in seguito). Per quanto riguarda le regole generali il compito di revisione legale non può
essere affidato a persone che intrattengono con la società relazione di affari o di altro genere dirette o
indirette o in presenza di rischi di rilevanza tale da compromettere l’indipendenza stessa. Inoltre la
legge stabilisce che il corrispettivo dei revisori o dei dipendenti della società di revisione non possono
essere fissati in funzione dei risultati della revisione stessa.
252) Il procedimento e la pubblicità - Il legislatore fissa una serie di adempimenti per assicurare una
adeguata informazione sul bilancio sia prima che dopo la sua approvazione. Per quanto riguarda il
primo aspetto lo scopo è quello di permettere ai soci di effettuare le proprie valutazioni e quindi si
stabilisce che il bilancio, unitamente alla relazione degli amministratori, del collegio sindacale o dei
revisori deve essere depositato nella sede della società nei quindici giorni che precedono l’assemblea
per l’approvazione in modo che ogni socio possa prenderne visione. Per quanto riguarda il secondo
aspetto che riguarda l’informazione dei terzi la legge dispone che il bilancio (unitamente alle relazioni
e al verbale dell’approvazione dell’assemblea) deve essere depositato presso il registro delle imprese a
cura degli amministratori entro 30 giorni dall’approvazione.
253) La decisione di approvazione del bilancio - Nelle società a responsabilità limitata il bilancio deve
essere approvato in ogni caso dai soci. Nelle società per azioni il compito spetta all’assemblea
ordinaria (tranne le società che hanno adottato il sistema dualistico dove il compito spetta al consiglio
di sorveglianza).
L’approvazione del bilancio è un atto di controllo necessario perché l’atto compiuto dagli
amministratori acquisti efficacia nell’ambito della società e costituisca la base per le successive
determinazioni che la legge collega al bilancio stesso. Occorre perciò chiederci le conseguenze che
eventuali vizi nel bilancio producano sulla deliberazione di approvazione del bilancio stesso. Occorre
in primo luogo dire che i vizi del bilancio possono essere sostanziali (il bilancio è falso e non
rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria della società) o solo formali (la rappresentazione,
pur vera, non è stata effettuata con chiarezza). In entrambi i casi si determina una responsabilità a
carico degli amministratori, più grave nel primo caso dove alla responsabilità civile si aggiunge quella
penale. Per quanto riguarda le conseguenze sulla deliberazione di approvazione del bilancio la legge
tace sul caso in cui il bilancio pur rappresentando la situazione della società non sia stato redatto con i
requisiti di chiarezza e correttezza richiesti. Infatti in questo caso, in sede di approvazione, l’organo
competente può chiedere agli amministratori tutte le integrazioni e i chiarimenti necessarie e la
mancata risposta da parte di questi legittima i soci alla impugnativa della deliberazione di
approvazione (anche se effettuata dal consiglio di sorveglianza) ma se invece i soci o i consiglieri di
sorveglianza approvano il bilancio ritenendo irrilevanti i vizi formali e nessuno dei cosi assenti o
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dissenzienti reagisce allora la questione è chiusa. La legge si occupa invece del caso in cui il bilancio sia
falso. Infatti nell’ipotesi in cui a seguito di un bilancio falso siano stati distribuiti gli utili la legge
stabilisce la irripetibilità dei dividendi riscossi in buona fede dai soci che avevano ignorato la falsità del
bilancio. Nel sistema originario del codice da questa affermazione si ricavava il fatto che la
deliberazione di approvazione di un bilancio falso fosse annullabile e non nulla in quanto solo nel
primo caso i diritti acquisiti in buona fede sulla base dell’atto potevano considerarsi salvi. Nel sistema
attuale invece la regola che pone la salvezza dei diritti acquisiti da terzi si applica sia in caso di nullità
che di annullabilità. Tuttavia occorre osservare che il bilancio è essenzialmente un atto degli
amministratori che pur concludendosi con la approvazione dell’assemblea si pone come atto esterno
all’assemblea stessa. Pertanto l’approvazione di un bilancio falso nella convinzione (come avviene di
solito) che il bilancio fosse vero e quindi nell’ignoranza dell’illecito degli amministratori non può dirsi
di per sé illecita. Trattandosi infatti di un vizio del bilancio (che non riguarda quindi l’atto finale) la
situazione che si verifica è quella di una deliberazione assembleare formatasi sulla base di un
procedimento viziato e non quella di una deliberazione nulla per illiceità dell’oggetto.
254) Approvazione del bilancio e distribuzione degli utili - Per le società a responsabilità limitata la
legge stabilisce che la decisione dei soci che approva il bilancio decide anche sulla distribuzione degli
utili mentre per le società per azioni tale deliberazione è effettuata dall’assemblea dei soci che ha
approvato il bilancio. Nel caso in cui il bilancio sia stato approvato dal consiglio di sorveglianza la
distribuzione degli utili deve comunque essere approvata dalla assemblea dei soci. La legge stabilisce
anche che non possono essere pagati dividendi se non per utili effettivamente conseguiti e risultanti
dal bilancio regolarmente approvato, dedotte le quote da attribuirsi a riserve legali e statutarie. Non è
possibile invece la distribuzione di utili anche se la gestione ha dato nell’esercizio in questione un
reddito, se devono essere colmate le perdite degli esercizi precedenti o fin quando non sia ridotto il
capitale sociale. .
255) La decisione di distribuzione - La distribuzione degli utili pertanto, pur trovando il suo
presupposto nel bilancio approvato, è frutto di una distinta manifestazione di volontà da parte dei soci
e ciò anche quando sia stato il consiglio di sorveglianza ad approvare il bilancio. Ciò si spiega con il
fatto che non sempre utile realizzato e utile distribuibile coincidono. Infatti qualora sussistano
effettive ragioni di utilità sociale di utilizzare l’utile per sopperire ad esigenze di sviluppo o
funzionamento della società i soci possono a maggioranza decidere di non distribuire gli utili risultanti
dal bilancio
256) Gli acconti sui dividendi - Per le società per azioni che traggono i loro mezzi finanziari dal
mercato dei risparmiatori è prassi diffusa quella dell’acconto sui dividendi al fine di fare in modo che
gli investitori ricevano un reddito ad intervalli più brevi rispetto a quello annuale e quindi di
avvicinare l’investimento in azioni a quello in obbligazioni o titoli di stato. Quando l’esercizio è già
avanzato e gli amministratori sono in grado di prevedere con una forte probabilità i suoi risultati
possono decidere (con deliberazione del consiglio di amministrazione) di distribuire un acconto sui
dividendi che saranno distribuiti alla fine dell’esercizio sulla base del bilancio approvato
dall’assemblea. Tale prassi tuttavia presenta notevoli elementi di rischio e richiede una certa cautela
da parte degli amministratori in quanto può verificarsi che le previsioni fatte al momento del
versamento dell’acconto non si realizzino a fine esercizio. Per tale motivo il legislatore è intervenuto
ponendo dei limiti. Infatti la facoltà di distribuire acconti sui dividendi è attribuita solo alle società con
azioni quotate nei mercati regolamentari e presuppone la sua previsione nello statuto. La
deliberazione di approvazione del consiglio di amministrazione deve essere accompagnata dalla
approvazione del revisore che deve aver dato un giudizio positivo sul bilancio dell’anno precedente.
Non possono essere distribuiti acconti se dall’ultimo bilancio approvato risultano perdite anche
relative agli esercizi precedenti in quanto in tal caso gli utili devono essere destinati a copertura delle
perdite. La distribuzione di acconti è soggetta anche a limiti quantitativi in quanto non può superare la
minor somma tra gli utili conseguiti alla fine dell’esercizio precedente e quello delle riserve disponibili.
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5) Titoli di debito, obbligazioni e strumenti finanziari partecipativi
257) Il finanziamento delle società a responsabilità limitata: i titoli di debito – Nel sistema originario
del codice le società a responsabilità limitata non potevano ricorrere al mercato dei capitali. La riforma
invece se da un lato ha ribadito che tali società non possono fare ricorso al mercato di capitale di
rischio ( in quanto le quote sociali non possono essere rappresentate da azioni e non possono essere
offerte al pubblico) ha consentito d’altro lato a tali società il ricorso al mercato del capitale di credito
tramite l’emissione di titoli di debito. Per far ciò però occorre che tale possibilità sia prevista dallo
statuto e inoltre i titoli di debito non possono essere collocati direttamente tra il pubblico dei
risparmiatori. Le società a responsabilità limitata infatti può collocare i titoli di debito solo presso gli
investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale. Saranno questi ultimi a poter collocare i titoli
presso il pubblico dei risparmiatori ma in tal caso sono ex lege garanti della solvenza della società nei
confronti del risparmiatore (tale garanzia non vale nel caso in cui i titoli siano stati acquistati da altri
investitori professionali o dai soci). La previsione di tale garanzia si spiega con la particolare
rischiosità dell’operazione che pone l’esigenza di tutelare il risparmiatore ed è pertanto logico che a
sottoscrivere i titoli di debito debbano essere soggetti che per la loro formazione professionale siano
idonei a compiere una valutazione sulla rischiosità o i soci, perfettamente a conoscenza della
situazione della società. Spetta all’atto costitutivo stabilire se la competenza a decidere l’emissione sia
dei soci o degli amministratori, precisando anche le maggioranze necessarie, i limiti dell’emissione e le
sue modalità. Le condizioni del prestito e le modalità di rimborso sono invece previste nella decisione
di emissione che gli amministratori devono iscrivere nel registro delle imprese.
258) Il finanziamento delle società per azioni: le obbligazioni e gli strumenti finanziari partecipativi –
Per le società per azioni è invece tipico il reperimento dei capitali necessari all’impresa presso i
risparmiatori disponibili ad investire e questo sia attraverso strumenti tradizionali come le azioni e le
obbligazioni sia con strumenti nuovi quali gli strumenti finanziari partecipativi. Carattere comune di
questi strumenti è quello di offrire a risparmiatori la partecipazione giuridica, per una frazione, ad
una operazione collettiva ma la differenza è data dal fatto che le azioni rappresentano una frazione del
capitale sociale, le obbligazioni una frazione di una operazione di prestito (e quindi attribuiscono
all’obbligazionista un diritto di credito verso la società) e gli altri strumenti finanziari si riconducono
invece alla associazione in partecipazione.
259) Le obbligazioni - Anche le obbligazioni, come le azioni, costituiscono frazioni di modesta entità e
di uguale valore, attribuiscono ai possessori uguali diritti e possono essere rappresentate da titoli
circolanti. Alle obbligazioni sono connessi oltre che diritti patrimoniali (es. diritto agli interessi e alla
restituzione del capitale) anche determinati poteri che riguardano l’operazione complessiva di prestito
di cui esse costituiscono una frazione. Pertanto esiste una assemblea degli obbligazionisti che delibera
con efficacia vincolante anche per i gli assenti e i dissenzienti sulle materie che riguardano l’interesse
comune e un rappresentante comune che rappresenta tutti gli obbligazionisti. A questi organi è
demandata la tutela collettiva degli azionisti e l’esercizio di quei diritti e poteri che non sono riferiti al
singolo titolo obbligazionario ma dipendono dalla operazione collettiva di prestito, Accanto a questa
tutela collettiva è possibile anche la tutela individuale dell’obbligazionista per l’esercizio di quei diritti
che sono inerenti all’obbligazione. Tuttavia il fatto che tra gli obbligazionisti si viene a creare una
comunione di interessi determina che l’interesse del singolo obbligazionista sia subordinato
all’interesse della collettività con la conseguenza che quei provvedimenti presi legittimamente dagli
organi della comunità nell’interesse di tutti si impongono al singolo obbligazionista anche quando
vanno a limitare e ad escludere i diritti derivanti dal titolo obbligazionario. Si comprende quindi come
la possibilità di emettere obbligazioni sia limitata alle società per azioni e si comprende anche come la
possibilità per la società a responsabilità limitata ad emettere titoli di debito (che si pongono in
termini simili all’operazione di prestito obbligazionario) sia circondata da particolari cautele.
260) Presupposti, limiti ed effetti dell’emissione di obbligazioni – L’emissione di obbligazioni è
prevista solo per la società per azioni ma deve ritenersi ammissibile anche per la società in
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accomandita per azioni. La legge pone in primo luogo un limite quantitativo all’emissione di
obbligazioni stabilendo che esse non possono essere emesse per un valore superiore al doppio del
capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio. Tale limite
non opera nei seguenti casi : a) quando le obbligazioni siano munite di ipoteca di primo grado su
immobili della società, b) quando siano emesse da banche c) quando siano emesse da società quotate
d) quando la sottoscrizione delle obbligazioni venga effettuata da un investitore soggetto a vigilanza
prudenziale e quindi particolarmente qualificato che a sua volta può trasferirle a soggetti non
investitori professionali rispondendo nei suoi confronti della solvenza della società. Il rapporto che
deve sussistere inizialmente tra capitale e riserve da un lato e ammontare complessivo del prestito
obbligazionario dall’altro deve sussistere per tutta la durata del prestito con la conseguenza che il
capitale non può essere ridotto e le riserve non possono essere distribuite se tale rapporto non risulta
più rispettato. La emissione delle obbligazioni se la legge o lo statuto non dispongono diversamente
deve essere deliberata dagli amministratori, il verbale della deliberazione deve essere redatto da un
notaio e depositato nel registro delle imprese. Le obbligazioni sono rimborsabili gradualmente sulla
base di un piano di ammortamento e al rimborso si procede tramite sorteggio da effettuarsi (a pena di
nullità) in presenza del rappresentante comune o di un notaio.
261) Organizzazione giuridica degli obbligazionisti: assemblea e rappresentante comune L’assemblea degli obbligazionisti può essere convocata dagli amministratori o dal rappresentante
comune, di loro iniziativa o su richiesta di una certa percentuale di obbligazionisti e delibera in merito
alle materie di interesse comune, nomina e revoca il rappresentante comune determinandone anche il
compenso, sulle modificazioni delle condizioni del prestito ( in questo ultimo caso l’assemblea delibera
anche in seconda convocazione con il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentano almeno
la metà delle obbligazioni in circolazione). Il rappresentante comune (che può essere nominato anche
tra i non obbligazionisti) dura in carica per tre esercizi ed è rieleggibile, e deve provvedere alla
esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea, tutelare gli interessi comuni nei confronti della società,
ed ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti. Egli deve assistere alle operazioni di
sorteggio delle obbligazioni è può assistere alle riunioni della assemblea dei soci. Come abbiamo detto
l’organizzazione giuridica della collettività degli obbligazionisti non preclude l’azione di individuale
dell’obbligazionista a meno che essa non si ponga in contrasto con le deliberazioni regolarmente prese
dall’assemblea che sono vincolanti per tutti. Pertanto l’azionista singolo potrà fa valere i diritti che
competono personalmente a lui e che non potrebbero essere tutelati dall’azione collettiva ma potrà far
valere anche individualmente quegli interessi comuni per i quali l’azione degli organi non sia
intervenuta,.
262) Le obbligazioni convertibili - Le obbligazioni convertibili in azioni possono considerarsi come
figure intermedie tra le obbligazioni e le azioni. Esse si rivolgono a quei soggetti che non sono allettati
da una semplice forma di investimento obbligazionario e neanche vogliono esporsi totalmente ai rischi
di un investimento azionario. Infatti le obbligazioni convertibili conferiscono in via alternativa il diritto
al rimborso del capitale prestato alla società (con i relativi interessi) e il diritto a sottoscrivere azioni.
L’emissione di tale tipo di obbligazioni richiede due deliberazioni dell’assemblea straordinaria dei
soci: a) deliberazione di emissione la quale deve determinare anche il rapporto di cambio con le azioni
e le modalità di conversione b) la deliberazione contestuale di aumento di capitale sociale per un
ammontare corrispondente al valore nominale delle obbligazioni convertibili. Il rapporto che si
instaura quindi tra la società e i sottoscrittori delle obbligazioni è un rapporto di mutuo
obbligazionario sul quale si innesta anche una opzione data all’obbligazionista di procedere alla
novazione del rapporto originario. Quando l’obbligazionista esercitando la facoltà a lui riservata
accetta la proposta il rapporto di mutuo obbligazionario si estingue e subentra il rapporto di
partecipazione e da questo momento egli acquista i diritti e i poteri inerenti allo status di socio.
L’emissione delle obbligazioni convertibili non può essere deliberata se il capitale sociale non è stato
interamente versato e le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per una somma inferiore
all’ammontare globale del loro valore nominale. E’ chiaro che con questa disciplina la legge mira a che
non siano intaccate le certezze in tema di capitale sociale e quindi il capitale sociale viene aumentato
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per un ammontare ben determinato sin dall’origine. E’ soltanto la sottoscrizione delle azioni di nuova
emissione che è incerta dato che dipende dalla volontà dei singoli obbligazionisti ma tale incertezza
sussiste in ogni ipotesi di aumento di capitale anche se per un periodo di tempo più limitato. E’ ovvio
quindi che il legislatore si sia anche occupato di una serie di problemi che si possono porre durante il
periodo in cui la conversione non è ancora consentita per evitare che a seguito di modificazioni
nell’assetto societario risulti pregiudicato il contenuto economico del diritto di conversione
dell’obbligazionista. La legge prevede infatti che in questo periodo la società non possa deliberare la
riduzione volontaria del capitale sociale, né la modificazione delle disposizioni statutarie che regolano
la distribuzione degli utili senza prima aver consentito ai titolari di obbligazioni la facoltà di
conversione e prevede inoltre che in caso di fusione o scissione sia riconosciuta la facoltà di
conversione e in ogni caso (e con l’approvazione dell’assemblea degli obbligazionisti) siano
riconosciuti agli obbligazionisti diritti equivalenti a quelli spettanti prima della fusione o scissione.
263) Gli strumenti finanziari partecipativi – Nelle società per azioni i diritti degli obbligazionisti
possono essere molto diversificati in particolare per quanto riguarda il diritto alla restituzione del
capitale e il diritto agli interessi che possono essere subordinati o condizionati e quindi caratterizzati
da un elemento di rischio ulteriore rispetto a quello normalmente presente nei titoli di credito. Per
tale motivo la disciplina dellle obbligazioni risulta applicabile a tutti gli strumenti finanziari emessi
dalla società diversi dalle azioni e pertanto tali strumenti si differenziano dalle azioni solo per il fatto
che l’apporto a fronte di emissione di azioni costituisce un conferimento e quindi conferisce al
soggetto il diritto di partecipare al capitale sociale e quindi di assumere la qualifica di socio. Possiamo
quindi dire che la disciplina delle obbligazioni costituisce la disciplina generale cui sono soggetti gli
altri strumenti finanziari emessi dalla società (diversi dalle azioni) mentre per gli strumenti finanziari
partecipativi (che cioè conferiscono al soggetto anche diritti amministrativi oltre a quelli patrimoniali)
il legislatore ha stabilito una disciplina particolare che si affianca a quella generale. L’emissione di
strumenti finanziari partecipativi è subordinata ad una precisa disposizione statutaria che ne
stabilisce anche le condizioni e le modalità di emissione, L’assegnazione di strumenti finanziari
partecipativi che possono essere assegnati gratuitamente ai prestatori di lavoro è deliberata dalla
assemblea straordinaria che ne fissa ovviamente i limiti e le condizioni. La legge non indica quali siano
i diritti amministrativi conferiti da tali strumenti finanziari partecipativi limitandosi ad escludere per i
loro possessori il diritto di voto nella assemblea degli azionisti e a circoscrivere l’esercizio di tali diritti
in una apposita assemblea (dei possessori degli strumenti finanziari), diritti che possono consistere
nella nomina di un sindaco o di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o di
sorveglianza. L’assemblea dei possessori degli strumenti finanziari partecipativi è inoltre chiamata ad
approvare le deliberazioni della assemblea generale che possono pregiudicare i diritti amministrativi
loro spettanti. Inoltre la delibera con la quale si costituisce un patrimonio destinato ad un singolo
affare può prevedere l’emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare stesso indicando
espressamente i diritti attribuiti ai loro possessori. La legge in questo caso fissa una apposita disciplina
che però riproduce la disciplina delle obbligazioni richiedendo la tenuta di un libro dei possessori, la
costituzione di una assemblea dei possessori e di un rappresentante comune in modo analogo a
quanto avviene per gli obbligazionisti.
6) Modificazioni statutarie
264) Oggetto, forma e pubblicità - Le modificazioni statutarie nelle società di capitali riguardano
essenzialmente la struttura e l’organizzazione sociale mentre solo nelle società in accomandita per
azioni possono riguardare anche il mutamento della persona dei soci accomandataria ma in tal caso la
conseguenza del mutamento del socio si riflette sull’organizzazione della società in quanto viene a
mutare uno degli amministratori di diritto. Nelle società a responsabilità limitata le modificazioni
dell’atto costitutivo sono riservate alla competenza dei soci, la cui deliberazione deve essere adottata
in assemblea anche se l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il
capitale sociale. Nelle società per azioni le modificazioni dell’atto costitutivo sono in via di principio
riservate all’assemblea straordinaria dei soci anche se la legge prevede che la riduzione obbligatoria
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del capitale sociale per perdite possa essere deliberata anche dalla assemblea ordinaria o dal consiglio
di sorveglianza e prevede che per alcune materie lo statuto possa derogare a tale principio (es.
emissione di obbligazioni convertibili o aumento del capitale sociale attraverso nuovi conferimenti che
possono essere delegate agli amministratori). La delibera della modifica da qualunque organo venga
adottata deve essere verbalizzata da un notaio che dopo aver verificato positivamente il rispetto delle
condizioni richieste dalla legge deve provvedere entro 30 giorni all’iscrizione nel registro delle
imprese (che ha effetto costitutivo come per lo statuto e l’atto costitutivo). L’ufficio del registro dopo
aver provveduto al controllo di regolarità formale provvede all’iscrizione. Se il notaio invece non
ritiene adempiute le condizioni richieste dalla legge deve (a pena di inefficacia definitiva della
deliberazione) entro 30 giorni darne notizia agli amministratori che nel termine di altri 30 giorni
devono convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti o rivolgersi al tribunale perché ordini
l’iscrizione nel registro delle imprese con decreto motivato dopo aver verificato l’adempimento delle
condizioni stesse.
265) Limiti in cui le modificazioni sono consentite – Le modificazioni possono riguardare
l’organizzazione della società e il funzionamento degli organi sociali, il capitale o l’oggetto o il tipo
della società, o operazioni particolari come la fusione e la scissione, o il trasferimento della sede
all’estero. E’ chiaro che quando le modifiche investono la struttura della società e il funzionamento dei
suoi organi la società ha il diritto di provvedere attraverso i propri organi e pertanto il cambiamento
si impone ai soci ai quali è concesso solo, in caso di modificazioni di particolare rilievo, di esercitare il
diritto di recesso ponendosi al di fuori della società. E’ diverso invece il caso in cui le modifiche
comportino direttamente o indirettamente la modificazione della posizione del socio nella società e
quindi quei diritti individuali che spettano al socio come tale e che quindi non potrebbero essere
soppressi o menomati da un atto di volontà della società. A questo proposito talvolta è la legge a
risolvere il problema, ad esempio quando dichiara nullo ogni patto teso ad escludere o a rendere
gravoso l’esercizio del diritto di recesso determinandone quindi la insopprimibilità in sede di
modificazione statutaria. Altre volte è la natura stessa della società che rende impossibile la
modificazione statutaria di alcuni diritti come il diritto agli utili, al risultato della liquidazione o il
diritto di impugnazione delle delibere assembleari. Infatti tali diritti costituiscono l’essenza della
società e quindi sopprimerli significherebbe annullare l’essenza della società stessa. Se però tali diritti
non possono essere esclusi è possibile la loro limitazione o accentuazione rispetto a determinate
categorie di soci. Ad esempio l’atto costitutivo della società a responsabilità limitata può prevedere
l’attribuzione ad alcuni soci di diritti particolari riguardanti la distribuzione degli utili o
l’amministrazione della società mentre lo statuto delle società per azioni può prevedere l’emissione di
azioni fornite di diritti diversi e quindi di azioni privilegiate nel dividendo o di azioni a voto limitato
accanto alle azioni ordinarie. Dobbiamo quindi chiederci se pur rimanendo ferma l’attribuzione a
ciascun socio dei diritti essenziali si possa in sede di modificazione statutaria modificare la posizione
originariamente attribuita ai soci all’atto della costituzione della società. A tale proposito dobbiamo
distinguere due ipotesi. La prima prevede che la modificazione della posizione del socio possa essere
effettuata indirettamente ossia attraverso l’attribuzione a nuovi soci o a nuove categorie di soci di
particolari diritti (es. emissione di azioni privilegiate). In questo caso la posizione del socio non muta
ma vi può essere per lui un pregiudizio indiretto ma tuttavia la legge ritiene possibile che tali
modificazioni dello statuto possano essere deliberate prevedendo solo per il socio dissenziente o
assente l’esercizio del diritto di recesso. La seconda ipotesi prevede una modificazione diretta della
posizione del socio, ad esempio attraverso la trasformazione di azioni ordinarie in azioni privilegiate o
in azioni a voto limitato. In questo caso la legge prevede l’adozione di determinate maggioranze perché
la posizione del socio possa essere modificata e quando la modificazione investe una sola categoria di
soci richiede che la maggioranza di questi si esprima favorevolmente Se invece l modificazione
riguarda diritti dei soci che sono riconosciuti ad essi individualmente in base a particolari motivi tale
modifica non può essere effettuata attraverso una modificazione dell’ordinamento sociale. Per tale
motivo la legge richiede per le società a responsabilità limitata dove si possono attribuire particolari
diritti a singoli soci per la loro modificazione il consenso unanime dei soci (salvo diversa disposizione
dell’atto costitutivo).
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266) Modificazioni essenziali e non essenziali: il diritto di recesso - La legge distingue tra le
modificazioni essenziali che autorizzano il socio ad esercitare il diritto di recesso e modificazioni non
essenziali. I contratti societari (atto costitutivo e statuto) possono prevedere altre cause essenziali ma
non possono escludere il diritto di recesso nelle ipotesi previste dalla legge come essenziali. Per tutte
le società di capitali sono modifiche essenziali a) il cambiamento dell’oggetto sociale b) la modifica del
tipo della società c) il trasferimento della sede sociale all’estero d) la revoca dello stato di liquidazione
e) l’eliminazione di cause di recesso previste dallo statuto f) l’introduzione o la soppressione di
clausole compromissorie (per le sole società che non fanno ricorso al mercato di capitale di rischio).
Per le società a responsabilità limitata costituiscono inoltre modifiche essenziali : a) la fusione e la
scissione b) l’esclusione del diritto di sottoscrivere l’aumento di capitale . Per le società per azioni
costituiscono inoltre modifiche essenziali: a) la variazione dei criteri di determinazione del valore
dell’azione in caso di recesso b) le modificazioni dello statuto relative al diritto di voto o di
partecipazione. Per le società quotate sono infine modifiche essenziali le deliberazioni che comportano
l’esclusione dalla quotazione. In tutte queste ipotesi il socio che non ha concorso all’adozione della
deliberazione ha il diritto di esercitare il diritto di recesso e di ottenere n denaro il rimborso della
quota fermo restando che il recesso non può essere esercitato e, se esercitato, perde efficacia, qualora
entro 90 giorni la società revochi la deliberazione modificativa o venga deliberato lo scioglimento della
società. Il diritto di recesso è inoltre consentito anche al di fuori delle ipotesi di modifiche statutarie:
ad es, per le società a tempo indeterminato il socio può sempre recedere salvo preavviso di 180 giorni
(o in caso di termine diverso fissato dallo statuto non superiore ad un anno). Ovviamente se la società
contratta a tempo indeterminato è quotata in borsa il diritto di recesso non è consentito in quanto al
socio è possibile liquidare il proprio investimento nel mercato regolamentare senza costi per la
società. Nella società a responsabilità limitata il socio ha diritto alla liquidazione della sua quota in
proporzione al capitale sociale tenendo conto del suo valore di mercato al momento del recesso. Nella
società per azioni quotate il valore della quota è calcolato in base alla media dei prezzi di chiusura del
semestre precedente alla convocazione dell’assemblea che ha adottato la deliberazione mentre nelle
società per azioni non quotate il valore è individuato dagli amministratori (sentito il parere
dell’organo di controllo e se presente del revisore dei conti) sulla base della consistenza del
patrimonio della società e del valore di mercato se presente. I soci hanno diritto di conoscere la
valutazione e quindi in caso di contestazione il valore è determinato entro i successivi 90 giorni da un
esperto nominato dal tribunale. Nelle società a responsabilità limitata il rimborso della quota deve
avvenire entro 180 giorni dal recesso mediante acquisto della quota da parte degli altri soci (in
proporzione alle loro quote) o di un terzo individuato dai soci o a carico della società mediante
impiego delle riserve disponibili o nel caso esse siano insufficienti mediante riduzione del capitale
sociale, alla quale i creditori sociali possono opporsi. Se non si riesce ad arrivare al rimborso la società
si scioglie. Nella società per azioni occorre in primo luogo offrire le azioni in opzione agli altri soci da
parte degli amministratori che devono depositare l’offerta presso il registro delle imprese. I soci
possono esercitare l’opzione entro 30 giorni dal deposito. Le azioni non acquistate possono essere
collocate dagli amministratori presso terzi o nel mercato regolamentare nel caso di azioni quotate. Nel
caso in cui trascorsi 180 giorni dalla dichiarazione di recesso non si sia giunti al collocamento delle
azioni l’acquisto delle stesse può essere fatto dalla società mediante l’impiego di riserve disponibili o
in mancanza tramite riduzione del capitale. In alternativa la società si scioglie come si scioglie anche se
c’è stata opposizione dei creditori sociali alla riduzione di capitale.
267) Modificazioni del capitale sociale a) aumento del capitale sociale mediante nuovi conferimenti L’aumento del capitale può avvenire con corrispondente aumento del patrimonio a seguito di nuovi
conferimenti o senza aumento del patrimonio a seguito del passaggio a capitale della parte disponibile
delle riserve e dei fondi presenti in bilancio. Nello stesso modo si può avere riduzione di capitale
mediante riduzione del patrimonio (restituzione parziale dei conferimenti o esonero dal compimento
del conferimento) o una riduzione del capitale per perdite e cioè senza riduzione del patrimonio.
L’aumento del capitale mediante nuovi conferimenti è consentito quando risponde a necessità effettiva
della società e quindi può essere deliberato solo quando i conferimenti assunti all’atto della
costituzione o di precedenti aumenti di capitale siano stati totalmente eseguiti. Per l’aumento del
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capitale mediante nuovi conferimenti valgono le regole poste per la costituzione e quindi deve essere
subito versato il 25% dei conferimenti in denaro (solo che in questo caso il versamento è fatto
direttamente alla società), e deve essere presentata garanzia circa l’effettiva corrispondenza dei
conferimenti in natura e dei crediti alla parte di capitale sottoscritto. Le nuove quote (per la società a
responsabilità limitata) e le nuove azioni (per la società per azioni) devono essere emesse per una
valore nominale complessivo al meno pari all’ammontare dell’aumento ma in alcune ipotesi possono
(o devono) essere emesse ad un valore superiore(e cioè con un sovrapprezzo) a seguito
dell’incremento verificatosi nel patrimonio per l’esercizio dell’attività sociale. La variazione di capitale
non si attua a seguito della deliberazione di aumento del capitale ma solo a seguito della effettiva
sottoscrizione e quindi gli amministratori devono iscrivere nel registro delle imprese una attestazione
dell’avvenuto aumento di capitale e solo in questo momento il capitale si considera effettivamente
aumentato e può essere riportato sulla documentazione della società. La sottoscrizione del nuovo
capitale spetta in primo luogo ai soci. Per le società a responsabilità limitata la legge riconosce ai soci il
diritto di sottoscrivere l’aumento di capitale in proporzione alle quote possedute e richiede che la
decisione di aumento, oltre a contenere i termini e le modalità, debba prevedere che la parte di
capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi. Per le società per
azioni la legge riconosce agli azionisti (e agli eventuali possessori di obbligazioni convertibili) il diritto
di opzione ossia il diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione in proporzione alle azioni
possedute ( e per i possessori di obbligazioni convertibili sulla base del rapporto di cambio) a
preferenza di altri soggetti al fine di a) evitare una alterazione delle partecipazioni sociali esistenti b)
offrire ai vecchi soci la possibilità di ulteriori investimenti per i loro capitali. Nella società a
responsabilità limitata il diritto alla sottoscrizione gode in via di principio di protezione assoluta.
Infatti se è vero che è consentito che l’atto costitutivo preveda che l’aumento di capitale (solo se
finalizzato alla ricostituzione del capitale ridotto per perdite al di sotto del limite legale) possa essere
attuato mediante offerta delle nuove quote ai terzi è anche vero che in questo caso i soci che non
hanno acconsentito possono recedere dalla società. E’ pertanto impedito in questo tipo di società che i
soci possano essere costretti a rimanere nella società dove gli equilibri sono alterati rispetto a quelli
convenuti originariamente e quindi l’esigenza della maggioranza di far entrare terzi nel gruppo deve
tenere conto dei costi derivanti dall’eventuale esercizio del diritto di recesso. Nelle società per azioni
sono previste invece le seguenti ipotesi di esclusione del diritto di opzione: a) per le azioni di nuova
emissione che secondo la deliberazione di aumento del capitale devono essere liberate mediante
conferimento in natura. In questo caso è evidente che la società ha interesse ad acquisire un bene
determinato che è posseduto da un soggetto ma la legge richiede che in apposita relazione degli
amministratori siano illustrate le ragioni di questo specifico interesse). B) per deliberazione
dell’assemblea quando l’interesse della società lo esige e quindi esiste un concreto interesse sociale
che giustifica il sacrificio. In tal caso la deliberazione deve essere approvata dai soci che rappresentano
oltre la metà del capitale sociale anche se è presa in una convocazione successiva alla prima c) per
deliberazione dell’assemblea c) quando le azioni sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della
società e in questo caso è necessaria l’approvazione dei soci che rappresentano oltre la metà solo se
l’esclusione riguarda più di un quarto delle azioni essendo sufficienti in caso contrario le maggioranze
richieste per l’assemblea straordinaria. Per le società per azioni quotate inoltre lo statuto può
escludere il diritto di opzione nei limiti del 10 per cento del capitale preesistente purché il revisore
accerti con apposita relazione che il prezzo di emissione corrisponde al valore di mercato delle azioni
in quanto in questo caso l’azionista può con identico esborso procurarsi sul mercato le azioni
necessarie a mantenere la proporzione esistente Non costituisce invece esclusione o limitazione del
diritto di opzione il fatto che la sottoscrizione delle nuove azioni avvenga tramite banche o
intermediari finanziari i quali si assumono l’obbligo di offrirle agli azionisti (opzione indiretta). In
questo caso la legge stabilisce che nel periodo intercorrente tra la sottoscrizione delle azioni e il loro
acquisto da parte degli azionisti l’intermediario, anche se formalmente socio, non può esercitare il
diritto di voto. Come abbiamo già detto nelle società a responsabilità limitata l’atto costitutivo può
riservare agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale determinandone limiti e
modalità di esercizio. Per quanto riguarda la società per azioni l’atto costitutivo (o una sua
modificazione) può delegare agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale fino ad un
100
ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società
nel registro delle imprese. La delega può riguardare anche la facoltà di escludere il diritto di opzione
e l’emissione di obbligazioni anche convertibili. In questi casi il verbale della decisione degli
amministratori deve essere redatto da un notaio e depositato per l’iscrizione nel registro delle
imprese.
268) continua : b) aumento gratuito del capitale sociale – Diversa è la situazione che si verifica quando
l’aumento del capitale si attua mediante passaggio a capitale della parte disponibile delle riserve o dei
fondi speciali iscritti a bilancio. In questo caso infatti non si ha variazione nel patrimonio sociale e
quindi non vengono applicate le norme dirette ad assicurare la effettività dei conferimenti o che
subordinano l’aumento del capitale alla esecuzione dei conferimenti precedentemente assunti. E’
ovvio che il nuovo capitale deve essere ripartito tra i soci in proporzione alla loro partecipazione e ciò
avviene nella società per azioni tramite assegnazione di azioni gratuite o mediante aumento del valore
nominale delle azioni possedute mentre nelle società a responsabilità limitata rimane immutata la
quota di partecipazione del socio. E’ovvio anche che nelle società per azioni qualora sussistono
diverse categorie di azioni ciascun socio debba ricevere azioni della stessa categoria di quelle
possedute.
269) continua c) la riduzione del capitale sociale mediante riduzione del patrimonio – La riduzione del
capitale sociale può avvenire con riduzione del patrimonio e quindi mediante liberazione dei soci dai
versamenti ancora dovuti o mediante rimborso ai soci dei versamenti effettuati o senza riduzione del
patrimonio in caso di riduzione per perdite. La prima ipotesi comportando una riduzione del
patrimonio comporta una riduzione delle garanzie per i creditori e quindi non può attuarsi senza
particolari cautele a garanzia di questi. La legge dispone infatti che la deliberazione di riduzione può
essere attuata solo dopo 90 giorni dalla iscrizione nel registro delle imprese, termine concesso ai
creditori per eventuale opposizione. L’opposizione sospende l’esecuzione ma il tribunale, se sono
presenti idonee garanzie, può disporre che l’operazione abbia luogo in pendenza del giudizio di
opposizione. Per effetto della riduzione il capitale non può però essere portato al di sotto del limite
legale previsto per il tipo di società a meno che contemporaneamente non si deliberi la trasformazione
della società. Limiti particolari sono posti alle società per azioni che abbiano emesso obbligazioni e per
le società per azioni che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Un’altra ipotesi di riduzione
del capitale sociale con riduzione del patrimonio si ha nel caso di recesso del socio e anche in questo
caso la legge riconosce ai creditori la possibilità di opporsi e stabilisce che quando tale opposizione
venga considerata fondata dal giudice la società si sciolga.
270) La riduzione del capitale sociale per perdite – La riduzione del capitale per perdite comporta
l’adeguamento del capitale alla effettiva consistenza del patrimonio come conseguenza dei risultati
negativi dell’attività sociale. La riduzione del capitale sociale è obbligatoria quando le perdite abbiano
diminuito di oltre un terzo il capitale sociale e non siano state riassorbite nell’esercizio successivo.
L’emersione di una perdita superiore al terzo infatti obbliga gli amministratori (e nella società per
azioni in caso di loro inerzia il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza) a convocare l’assemblea
con urgenza per i dovuti provvedimenti e devono sottoporre all’assemblea una relazione con le
osservazioni dell’organo di controllo o del soggetto incaricato alla revisione legale dei conti da
depositare in copia nella sede della società negli otto giorni precedenti la convocazione. Se entro
l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo l’assemblea (o il consiglio di
sorveglianza) che approva il bilancio deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate e in
tal caso per le società per azioni tale deliberazione è presa eccezionalmente dalla assemblea ordinaria.
Qualora le azioni siano prive di valore nominale la riduzione può essere deliberata dal consiglio di
amministrazione. Qualunque sia l’organo che l’ha adottata la deliberazione di riduzione del capitale
per perdite deve essere depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese. Se non viene deliberata
la riduzione vi può provvedere il tribunale su richiesta dell’ organo di controllo o l’organo incaricato
della revisione dei conti. Se in conseguenza della perdita superiore ad un terzo il capitale scende al di
sotto del limite legale deve essere convocata con urgenza l’assemblea per deliberare la riduzione e il
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contemporaneo aumento del capitale sociale fino ad una cifra non inferiore al minimo o la
trasformazione della società, in mancanza di ciò la società si scioglie Ipotesi analoga a quella della
riduzione del capitale sociale per perdite si ha nel caso di morosità del socio quando non è possibile
collocare le azioni o le quote del socio moroso e nel caso della società per azioni quando il valore dei
beni conferiti risulti inferiore di almeno un quinto al capitale sociale sottoscritto. Anche in questi casi
si deve procedere ad una corrispondente riduzione del capitale sociale.
7) Lo scioglimento
271) Cause di scioglimento - La legge stabilisce che la società di capitali può sciogliersi per volontà dei
soci o per le altre cause previste dalla legge o dallo statuto. Tali cause sono in parte quelle previste per
le società di persone (decorso del termine di durata, conseguimento dell’oggetto sociale o impossibilità
di conseguirlo) in parte specificamente previste per le società di capitali ( riduzione del capitale al di
sotto del minimo legale senza che sia disposta la reintegrazione o la trasformazione della società,
accoglimento dell’opposizione dei creditori circa la riduzione di capitale necessaria per il rimborso al
socio recedente, impossibilità di funzionamento dell’assemblea). Inoltre la volontà dei soci per
determinare lo scioglimento della società viene manifestata con deliberazione presa alla maggioranza
prevista per le modificazioni statutarie e quindi non è necessario un consenso unanime.
272) Effetti dello scioglimento A differenza dalle società di persone il verificarsi di una causa di
scioglimento non comporta lo scioglimento automatico della società in quanto gli effetti dello
scioglimento si producono solo con l’iscrizione presso il registro delle imprese della dichiarazione con
cui gli amministratori accertano il verificarsi di una causa di scioglimento o, nel caso di scioglimento
volontario, della relativa deliberazione. In conseguenza dello scioglimento l’organizzazione della
società permane con il solo scopo della definizione dei rapporti sociali e quindi nella gestione della
società i liquidatori si sostituiscono agli amministratori ma gli altri organi rimangono efficaci anche se
la loro attività rimane limitata agli scopi della liquidazione. Lo scioglimento della società però non
rende attuale di per sé il diritto dei soci alla liquidazione della quota in quanto la società può, in caso
di eliminazione della causa di scioglimento, revocare lo stato di liquidazione (sempre con le
maggioranze richieste per le modifiche statutarie). Tale revoca ha effetto dopo 60 giorni dall’iscrizione
della deliberazione e in questo termine i creditori possono fare opposizione salvo il potere del
tribunale di autorizzare comunque l’operazione se non vi è pericolo di pregiudizio per i creditori o se
la società ha fornito adeguata garanzia. Inoltre il conseguimento dell’oggetto sociale o la impossibilità
sopravvenuta di conseguirlo rappresentano cause di scioglimento solo quando l’assemblea, convocata
con urgenza, non deliberi le opportune modifiche statutarie. Inoltre per gli amministratori, al
verificarsi di una causa di scioglimento, non viene posto più il divieto di intraprendere nuove
operazioni (come era prima della riforma) ma solo il dovere di procedere agli adempimenti
pubblicitari richiesti dalla legge. La legge stabilisce espressamente che nel periodo che intercorre tra il
verificarsi della causa di scioglimento e la consegna ai liquidatori dei libri sociali gli amministratori
conservano il potere di gestire la società anche se ai soli fini della conservazione del valore del
patrimonio sociale. La violazione di tale limite da parte degli amministratori comporta la normale
responsabilità per i danni arrecati alla società, ai soci e ai terzi (e non più come in passato la
responsabilità personale e illimitata per gli affari intrapresi). Contestualmente all’accertamento della
causa di scioglimento gli amministratori devono convocare con urgenza l’assemblea straordinaria che
deve deliberare (con le maggioranze richieste per le modifiche statutarie) la nomina dei liquidatori, i
loro poteri, l’individuazione dei liquidatori cui spetta la rappresentanza nonché gli atti necessari per la
conservazione dell’impresa. In caso di omissione degli amministratori alla convocazione
dell’assemblea può provvedere il tribunale (su istanza dei singoli soci o amministratori o dei sindaci) e
se l’assemblea non si costituisce o non delibera le determinazioni suddette sono prese dal tribunale
con decreto. I liquidatori, anche se nominati dal tribunale, possono essere revocati dall’assemblea (con
le maggioranze richieste per la nomina) o quando sussiste una giusta causa dal tribunale (su istanza
dei soci, dei sindaci o del pm).
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273) Svolgimento della liquidazione – I liquidatori devono provvedere all’iscrizione nel registro delle
imprese della loro nomina, dei loro poteri, e delle relative modificazioni. A seguito dell’iscrizione gli
amministratori cessano dalla carica e devono consegnare ai liquidatori i libri sociali unitamente ad una
situazione dei conti alla data in cui lo scioglimento è divenuto efficace e ad un rendiconto della loro
gestione nel periodo successivo all’ultimo bilancio approvato. I liquidatori, salva diversa disposizione
statutaria o se non si è disposto diversamente all’atto della loro nomina, possono compiere tutti gli atti
utili per la liquidazione della società e possono compiere gli atti necessari per la conservazione del
valore dell’impresa. Come accade nelle società di persone i liquidatori, qualora i fondi siano
insufficienti per il pagamento dei debito sociali, possono chiedere ai soci i versamenti non ancora
effettuati ma a differenza dalla società di persone possono distribuire ai soci acconti sulla quota di
liquidazione purchè dal bilancio risulti che tale ripartizione non può arrecare pregiudizio alla
soddisfazione dei creditori sociali. Tali acconti (a differenza dagli acconti sui dividendi) sono ripetibili
e quindi la loro concessione può essere subordinata alla presentazione da parte del socio di idonea
garanzia. I liquidatori devono assolvere al loro compito con professionalità e diligenza e in caso di
inosservanza la loro responsabilità è disciplinata dalle stesse regole previste per gli amministratori.
La legge dispone inoltre che il bilancio redatto dai liquidatori deve essere approvato dai soci e deve
riportare le variazioni dei criteri di valutazione adottati rispetto al bilancio precedente. Il bilancio deve
essere inoltre depositato presso il registro delle imprese e se questo non avviene per tre anni
consecutivi la società viene cancellata d’ufficio dal registro delle imprese.
274) Chiusura della liquidazione – Una volta compiuta la liquidazione i liquidatori devono redigere il
bilancio finale e indicare la parte dell’attivo residua spettante a ciascun socio o a ciascuna azione. Il
bilancio deve essere sottoscritto dai liquidatori e accompagnato dalla relazione dei sindaci e del
soggetto incaricato della revisione legale dei conti e deve essere depositato presso il registro delle
imprese. Ciascun socio può proporre reclamo contro il bilancio entro i 90 giorni dall’iscrizione davanti
al tribunale e in contraddittorio con i liquidatori. Tutti i reclami vengono decisi dal tribunale con unica
sentenza che fa stato anche nei confronti dei non intervenuti. Decorsi i novanta giorni senza reclami o
se ogni socio riscuote senza riserve la somma a lui attribuita il bilancio si intende approvato e i
liquidatori sono liberati salvo (nella prima ipotesi) l’obbligo della distribuzione ai soci dell’attivo.
Approvato il bilancio di liquidazione la società deve, su richiesta dei liquidatori, essere cancellata dal
registro delle imprese e con tale atto la società cessa definitivamente e la persona giuridica è estinta. I
creditori che eventualmente siano rimasti insoddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti
dei liquidatori (se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa) e in ogni caso verso i soci fino alla
concorrenza delle somme da loro riscosse sulla base del bilancio di liquidazione. Dopo la
cancellazione pertanto non è possibile una reviviscenza della società e una riapertura del processo di
liquidazione.
8) Le società con azioni quotate nei mercati regolamentari
275) Premessa – Il nostro ordinamento attuale distingue tra le società per azioni che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio (società aperte) e quelle che non fanno ricorso a tale mercato (società
chiuse). Nell’ambito delle società aperte sono considerate oltre alle società quotate anche le società
con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante ma è indubbio che la disciplina delle società aperte
trova applicazione soprattutto con riferimento alle società quotate.
276) Gli interessi rilevanti - La distinzione tra società aperte e chiuse si spiega in funzione del modo in
cui la società si procura il capitale di rischio e in particolare in funzione del fatto che le azioni siano o
meno quotate sul mercato. Infatti in tal caso la partecipazione azionaria oltre ad essere un mezzo per
partecipare ad una iniziativa imprenditoriale può essere anche un mezzo per investire il proprio
risparmio, ottenendo attraverso i dividendi una remunerazione adeguata e avendo in qualunque
momento la possibilità di monetizzare l’investimento attraverso la vendita delle azioni sul mercato.
Ne deriva, oltre ad una polverizzazione del capitale sociale, la distinzione nell’ambito della società di
due categorie di azionisti, i cosiddetti azionisti imprenditori che partecipano alla gestione dell’impresa
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e i cosiddetti azionisti risparmiatori che si preoccupano invece esclusivamente di investire
proficuamente i loro risparmi non contribuendo alla gestione. Essendo rilevante la funzione del
mercato nell’ambito delle società quotate è anche evidente che il funzionamento del mercato stesso
assuma rilievo nella relativa disciplina di diritto societario. Possiamo citare ad esempio il fatto che gli
azionisti di società per azioni quotate che non hanno concorso alla deliberazione che comporta
l’esclusione della quotazione abbiano diritto di recesso, che ci dimostra come la quotazione in borsa
venga ad assumere una valore rilevante portando a riconoscere il diritto di recesso che invece il
sistema ammette per le sole modificazioni organizzative essenziali, o ancora il fatto che per le società
quotate il valore delle azioni da riconoscere al socio recedente viene calcolato con esclusivo riguardo
alla loro quotazione senza tenere conto della consistenza patrimoniale della società- Si crea pertanto
una situazione in cui da un lato le regole del mercato incidono direttamente sulla disciplina societaria
e dall’altro la disciplina societaria si riflette sul funzionamento del mercato giungendo anche a
condizionarne l’operatività.
277) I diritti degli azionisti – Tale stretta correlazione che si crea nelle società quotate tra
funzionamento del mercato e disciplina societaria dipende dal fatto che l’interesse dell’investitore si
concentra sul valore dell’investimento e tale valore si determina appunto anche attraverso la
competizione sul mercato. Ne è derivato un dibattito tra chi ritiene che l’ordinamento non dovrebbe
imporre autoritativamente regole di tutela degli azionisti ma dovrebbe ampliare lo spazio dato
all’autonomia statutaria perché in tal modo il mercato potendo liberamente funzionare farebbe
prevalere comunque le migliori soluzioni per gli investitori e chi invece ritiene che per un migliore
funzionamento del mercato sarebbe necessario un intervento dell’ordinamento volto almeno a
definire le garanzie minime per gli investitori. A tale proposito la scelta del nostro legislatore è stata in
un certo modo di compromesso, orientata più nel secondo senso ma con molte aperture verso la prima
direzione. In primo luogo il legislatore ha adottato soluzioni legislative volte a rendere più agevole
l’intervento degli investitori nella vita della società e quindi stabilendo per le società aperte un
quantum di partecipazione inferiore per l’esercizio dei diritti di minoranza rispetto a quello richiesto
per le società chiuse o stabilendo minori percentuali per l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità
da parte dei soci.
278) Le azioni di risparmio - Tale rafforzamento dei mezzi di tutela degli azionisti ottenuto dal
legislatore con il testo unico finanziario non esclude però un maggiore spazio lasciato anche
all’autonomia statutaria in quanto ad esempio la legge consente agli statuti di attribuire i relativi diritti
anche a percentuali inferiori a quelle individuate dalla legge. Non c’è però dubbio che l’autonomia
statutaria può esplicarsi principalmente con riferimento ai diritti patrimoniali offerti agli azionisti che
sicuramente determinano una maggiore appetibilità per il risparmiatore. In particolare ci riferiamo
alla evoluzione legislativa in termini di azioni di risparmio. La legge del 1974 ha infatti consentito alle
società per azioni quotate l’emissione di azioni del tutto prive del diritto di voto prevedendo per esse
specifici privilegi in tema di ripartizione di utili, di liquidazione delle quote e di sopportazione delle
perdite. La legge dispone anche che deve essere l’atto costitutivo a determinare il contenuto del
privilegio, le condizioni, i limiti e le modalità del suo esercizio. L’utilizzazione delle azioni di risparmio
è riservata esclusivamente alle società quotate e anzi è necessaria la quotazione delle azioni ordinarie
in quanto in tal modo si offre la possibilità al risparmiatore di acquistare sul mercato azioni che
possano attribuirgli anche una posizione di potere nella società. La legge tuttavia per garantire
l’equilibrio organizzativo interno della società stabilisce una soglia quantitativa per il rapporto tra le
azioni di risparmio e le altre azioni: le prime, sommate alle azioni a voto limitato non possono
superare la metà del capitale sociale.
279) La durata dell’investimento azionario - Il testo unico finanziario con legge adottata nel 2010 ha
introdotto la possibilità di distinguere, per quanto riguarda i dividendi, sulla base della durata
dell’investimento azionario e quindi in base al fatto se esso viene attuato a fini speculativi o meno.
Tale legge prevede che gli statuti possano attribuire alle azioni detenute dagli azionisti per un periodo
indicato dallo statuto stesso (e comunque non inferiore ad un anno) il diritto ad una maggiorazione
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(non superiore al 10 per cento) del dividendo distribuito alle altre azioni. Tale possibilità è relativa
alle sole azioni che complessivamente non superano il cinque per mille del capitale sociale e non siano
detenute da chi possa aver esercitato una influenza dominante . In questo modo la legge cerca di
privilegiare i piccoli azionisti risparmiatori che hanno inteso effettuare un investimento di lungo
periodo escludendo sia coloro che hanno finalità imprenditoriali che i piccoli risparmiatori che
cercano un guadagno mediante una intermediazione sul mercato.
280) L’assemblea e le deleghe di voto - Le società quotate comportano come abbiamo detto una
polverizzazione del capitale sociale e quindi si pone il problema di assicurare la partecipazione
all’assemblea e la sua conseguente funzionalità. Per tale motivo la legge ha stabilito una serie di
soluzioni, un tempo esclusive delle società quotate e ora estese alle altre società aperte, come quella
relativa alla previsione di quorum costitutivi e deliberativi minori per l’assemblea straordinaria, o la
possibilità per gli statuti di tali società di prevedere una convocazione unica e quindi di rendere
operativi immediatamente i quorum previsti per le convocazioni successive, o la possibilità del voto di
corrispondenza o del voto dato per via elettronica (il cui esercizio per le società quotate resta
comunque soggetto al potere regolamentare della Consob). Il testo unico finanziario inoltre stabilisce
specifiche regole in tema di assemblea per le società quotate (estese anche alle altre società aperte).
Ad esempio per la convocazione dell’assemblea si riconosce il relativo potere anche ad almeno due
membri del consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale e si dispone che l’avviso della
convocazione possa essere pubblicato sul sito Internet della società. Lo strumento di Internet è inoltre
utilizzato per portare a conoscenza degli azionisti i dati e la documentazione necessaria per rendere
più consapevole la loro partecipazione all’assemblea. Viene prevista inoltre una fase intermedia tra la
convocazione e la data fissata per l’assemblea in cui le minoranze possono chiedere l’integrazione
dell’ordine del giorno o porre domande sulle materie all’ordine del giorno cui gli organi competenti
devono rispondere al più tardi durante l’assemblea a meno che tal informazioni non siano già
disponibili sul sito internet della società. Ancora più significative sono gli aspetti relativi alla
legittimazione dell’intervento e alla disciplina della rappresentanza. Per quanto riguarda la
legittimazione dell’azionista all’intervento in assemblea e al diritto di voto diversa è la disciplina
applicabile alla società quotata rispetto alla società non quotata. Infatti mentre per la società non
quotata lo statuto può richiedere che le azioni siano registrate nel conto dell’azionista e siano
incedibili fino alla chiusura dell’assemblea per la società quotata si prevede che la legittimazione ad
intervenire può essere attestata dall’intermediario sulla base delle evidenze della giornata contabile
del settimo giorno di mercato precedente la data fissata per l’assemblea. Pertanto gli eventuali
trasferimenti successivi delle azioni non sono rilevanti ai fini della legittimazione all’esercizio di voto.
Tale soluzione ovviamente può determinare che partecipi alla votazione chi non è più azionista e al
contrario che non possa parteciparvi chi al momento dell’assemblea è divenuto tale. Per quanto
riguarda la rappresentanza per le società quotate è previsto che, salva diversa disposizione dello
statuto, la società può designare un soggetto cui i soci possono conferire una delega con le istruzioni di
voto. In presenza di un conflitto di interessi mentre per le società non quotate viene limitato a priori la
possibilità di attribuire un potere di rappresentanza, per le società quotate si richiede solo che il socio
sia consapevole di tale situazione (e quindi ponendo a carico del rappresentante l’onere della prova di
averne dato comunicazione) ed abbia dato specifiche disposizione di voto per ciascuna delibera.
Pertanto a tali condizioni la delega è consentita anche a chi controlla o sia controllato dalla società, che
sia componente di un organo di amministrazione o di controllo della società o che sia legato alla
società stessa da rapporti patrimoniali in grado di comprometterne l’indipendenza. La legge si occupa
infine di alcuni fenomeni riguardanti vicende di massa e quindi non semplici rapporti tra l’azionista e il
rappresentante, consistenti nella sollecitazione al conferimento di deleghe di voto e nell’attività delle
associazioni di azionisti. La sollecitazione consiste nella richiesta di conferimento di deleghe rivolte a
più di duecento azionisti accompagnata da raccomandazioni o indicazioni idonee ad influenzare il
voto. Essa viene considerata come un possibile strumento per contribuire alla vita della società più
economico rispetto alla partecipazione diretta all’assemblea ma può rappresentare anche una
occasione per manovre speculative e poco trasparenti. Pertanto la legge oltre a disporre l’applicazione
della disciplina sopra descritta in tema di rappresentanza richiede che il promotore diffonda un
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prospetto e un modulo di delega attribuendo alla Consob il potere di intervenire richiedendo
informazioni integrative e particolari modalità di diffusione. L’obiettivo della legge è quello di far si
che l’azionista possa effettuare una scelta consapevole affermando quindi una responsabilità specifica
del promotore per la completezza delle informazioni e stabilendo anche che negli eventuali giudizi per
il risarcimento dei danni a seguito della violazione di tali obblighi sia onere del promotore provare di
aver agito con la diligenza richiesta. A tale disciplina non sono invece soggette le richieste di
conferimento di deleghe accompagnate da raccomandazioni idonee ad influenzare il voto, da parte
delle associazioni di azionisti. In questo caso infatti si presuppone che l’adesione del socio alla
associazione assicuri di per sé la consapevolezza della scelta. Viene quindi richiesta solo che
l’associazione non eserciti attività di impresa e che vi partecipino almeno cinquanta persone con una
partecipazione non superiore all’uno per mille del capitale sociale rappresentato da azioni con diritto
di voto. In tal modo la legge vuole assicurarsi che le associazioni siano realmente espressione della
categoria dei piccoli azionisti.
281) L’informazione: comunicazioni al pubblico e informazione finanziaria - Altro aspetto decisivo per
le società quotate è quello della informazione in quanto proprio in base alle informazioni disponibili il
mercato definisce la quotazione delle azioni, profilo sicuramente rilevante per gli investitori. Il testo
unico finanziario impone quindi agli amministratori delle società quotate di mettere a disposizione
del pubblico una relazione sulle materie all’ordine del giorno dell’assemblea, di garantire a tutti i
risparmiatori le informazioni necessarie per l’esercizio dei loro diritti. Vengono imposte quindi alle
società quotate obblighi di informazione nei confronti del pubblico ed in particolare il dovere di
informare il pubblico delle informazioni privilegiate (e quindi che non siano di pubblico dominio) che
riguardano direttamente la società o le società controllate che se rese pubbliche sono idonee ad
influire sensibilmente sul prezzo delle azioni o degli altri strumenti finanziari emessi dalla società
stessa. Nei casi stabiliti dalla consob la divulgazione può essere ritardata purchè il ritardo non possa
indurre in errore il pubblico su fatti essenziali e sempre che sia possibile garantire la riservatezza della
informazione non divulgata. La consob può inoltre richiedere alle società quotate di rendere
pubbliche notizie e documenti necessari per l’informazione del pubblico e la società può opporsi solo
se da ciò potrebbe derivare un grave danno. Il reclamo della società può essere respinto quando la
mancata comunicazione potrebbe indurre in errore il pubblico su fatti o circostanze essenziali.
Vediamo quindi come qualora ci sia conflitto tra gli interessi imprenditoriali della società e quelli del
mercato finanziario la legge faccia prevalere i secondi. Le società quotate devono inoltre comunicare
alla consob e al pubblico le operazioni che hanno per oggetto le azioni della società o altri strumenti
finanziari da essa emessi., . Accanto agli obblighi di comunicazione si pongono altre regole volte a
garantire la correttezza delle modalità di diffusione delle informazioni. Pertanto i soggetti (diversi
dalle società di rating) che diffondono valutazioni riguardanti le azioni o gli altri strumenti finanziari
raccomandando o proponendo investimenti devono presentare l’informazione in modo corretto e
trasparente e comunicare l’esistenza di eventuali conflitti di interesse. E’ inoltre obbligatorio per le
società quotate la nomina di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari che
ha il compito di attestare la corrispondenza delle informazioni diffuse sul mercato con le risultanze
interne ed i libri contabili della società. Il dirigente, insieme agli organi amministrativi delegati, deve
inoltre attestare con apposita relazione sul bilancio (di esercizio, consolidato e semestrale abbreviato
l’applicazione delle procedure richieste dalla legge e la conformità delle scritture contabili alla legge e
ai principi contabili internazionali. In relazione a tali compiti si applica nei confronti del dirigente la
disciplina sulla responsabilità degli amministratori. Le società quotate sono poi tenute a pubblicare
(con le modalità definite dalla consob) una serie di relazioni finanziarie (con cadenza annuale,
trimestrale e semestrale) contenenti informazioni sugli eventi importanti accaduti nel periodo e sulla
situazione patrimoniale della società.
282) La trasparenza: partecipazioni rilevanti e patti parasociali - Gli obblighi di informazione sopra
previsti mostrano come il legislatore intenda tutelare la trasparenza della società e del mercato ma si è
affermata anche l’esigenza di una trasparenza che non riguarda solo le operazioni e la situazione
economica della società ma anche l’assetto della stessa proprietà azionaria. Pertanto le società quotate
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hanno una serie di obblighi di comunicazione sia alla società partecipata che alla Consob nel caso di
partecipazioni che superando una certa soglia (due per cento per le partecipazioni in società quotate e
dieci per cento per la partecipazione in altre società) possano considerarsi rilevanti. L’esigenza è
quella di informare il mercato e la società circa la struttura dei gruppi finanziari che vi partecipano e
quindi la Consob ha il potere di prevedere adeguate forme di pubblicità della dichiarazione ed inoltre è
previsto anche l’obbligo di comunicare le variazioni significative delle partecipazioni rilevanti Sempre
per esigenze di trasparenza sono imposti obblighi di comunicazione anche per i patti parasociali. Come
abbiamo già detto i patti parasociali sono i patti relativi a partecipazioni pari ad almeno il due per
cento del capitale che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto o che pongono limiti al
trasferimento delle azioni o che risultano volti a favorire o contrastare una offerta pubblica di acquisto
o di scambio o che hanno ad oggetto l’esercizio anche congiunto di una influenza dominante sulla
società. Tali patti per le società quotate devono essere depositati presso il registro delle imprese ed ad
essi si applica una particolare disciplina in deroga a quanto previsto per le altre società per azioni dal
codice civile. Sia per le partecipazioni rilevanti che per i patti parasociali l’omissione degli
adempimenti previsti comporta il fatto che non possa essere esercitato il diritto di voto per le azioni
per le quali tale omissione è avvenuta e in caso tale diritto sia esercitato la deliberazione è
impugnabile se,senza il voto dei soci che dovevano astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza
necessaria. La deliberazione è inoltre impugnabile anche dalla Consob se è soggetta ad iscrizione nel
registro delle imprese. Inoltre per i patti parasociali in caso di inosservanza degli obblighi di
comunicazione e pubblicazione essi sono nulli. La durata di tali patti non può essere superiore a tre
anni anche se alla scadenza essi possono essere rinnovati. I patti possono essere stipulati anche a
tempo indeterminato ma in tal caso ciascun contraente ha il diritto di recedere con un preavviso di sei
mesi. Sia le partecipazioni rilevanti che i patti parasociali rientrano tra le informazioni che devono
essere indicate nella relazione sulla gestione o in una relazione distinta sempre approvata dall’organo
di amministrazione.
283) I controlli : la revisione legale dei conti e gli organi di controllo - Le società quotate sono soggette
ad un rafforzamento dei controlli previsti in genere per le società per azioni e ciò sia dal punto di vista
privatistico che pubblicistico. Dal punto di vista privatistico nelle società quotate la revisione legale dei
conti deve essere affidata necessariamente ad un soggetto esterno (revisore legale dei conti o società
di revisione). Ciò in linea di principio è previsto anche per le società non quotate con la differenza che
in questo caso la revisione può essere effettuata dal collegio sindacale sempre che ciò sia previsto nello
statuto e che la società non sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato. Inoltre nelle società
quotate la revisione legale dei conti è sottoposta ad una specifica disciplina. In primo luogo la Consob
ha il compito di vigilare sull’organizzazione e sull’attività del soggetto incaricato della revisione dei
conti al fine di verificarne la qualità tecnica e l’indipendenza. La durata dell’incarico non può essere
superiore ai nove esercizi per il revisore legale e ai sette esercizi per la società di revisione con
divieto di rinnovo se non sono trascorsi almeno tre esercizi. La legge individua anche una serie di
servizi che il revisore non può prestare a favore della società. Sulla prestazione di tali servizi e
sull’indipendenza del revisore legale vigila l’organo di controllo della società cui il revisore deve
presentare una relazione sulle questioni emerse in sede di revisione e sulle carenze riscontrate nei
sistemi di controllo interno. La legge attribuisce inoltre alla Consob il potere di stabilire con
regolamento le situazioni che possono compromettere l’indipendenza del revisore esterno e le misure
da adottare per procedere alla loro rimozione e vieta al soggetto incaricato della revisione il potere di
rappresentanza nell’assemblea della società. Inoltre il revisore, i dipendenti della società di revisione
non possono ricoprire cariche negli organi di amministrazione e di controllo della società se non è
trascorso un biennio dalla conclusione dell’incarico di revisione e nello stesso modo i componenti
degli organi amministrativi e di controllo della società non possono svolgere l’incarico della revisione
legale dei conti nei due anni successivi alla cessazione dell’incarico o del rapporto di lavoro. Nelle
società quotate inoltre i revisori sono tenuti ad informare immediatamente gli organi di controllo e la
consob delle carenze riscontrate nell’esecuzione del loro incarico e ad informare la consob in caso di
giudizio negativo (o della impossibilità di esprimere un giudizio) sul bilancio. Inoltre il revisore deve
esprimere pareri che devono essere resi disponibili presso la sede della società e il suo sito internet
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almeno ventuno giorni prima dell’assemblea. Ovviamente il contenuto della relazione non vincola
l’assemblea che può approvare il bilancio sul quale è stato espresso un giudizio negativo o non
approvare un bilancio sul quale è stato espresso un giudizio positivo In questo caso però sono
legittimati a chiedere la impugnativa della deliberazione i soci che rappresentano almeno il cinque per
cento del capitale sociale e la Consob, che può farlo in ogni caso e qualunque sia il giudizio espresso
dalla società di revisione. Per quanto riguarda gli altri organi di controllo (collegio sindacale, consiglio
di sorveglianza o comitato di controllo sulla gestione) ad essi è affidato il compito di controllo sulla
amministrazione. La consob stabilisce con regolamento le modalità volte ad assicurare che almeno un
membro dell’organo di controllo sia eletto con voto di lista dai soci di minoranza che non sono
collegati (nemmeno indirettamente) con quelli che hanno presentato la lista che ha ottenuto il maggior
numero di voti. E’ inoltre compito del Ministro della giustizia stabilire con regolamento i requisiti di
onorabilità e professionalità dei componenti degli organi di controllo. Gli organi di controllo oltre a
riferire all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio sull’attività svolta e sulle omissioni
riscontrate devono denunciare immediatamente le irregolarità riscontrate alla Consob che è
legittimata a proporre al tribunale la denuncia. E’ posto inoltre agli amministratori il compito di
riferire all’organo di controllo con periodicità almeno trimestrale sull’attività e sulle operazioni di
maggior rilievo svolte. Inoltre per le società quotate è posto l’obbligo per gli amministratori di
prevedere specifiche regole (in base ai principi indicati dalla consob) per garantire la trasparenza delle
operazioni svolte con le parti correlate. Parti correlate sono le società appartenenti al medesimo
gruppo e le persone fisiche che detengono il controllo della società o una partecipazione che consente
ad esse di esercitare sulla società una influenza notevole, le persone che svolgono nella società o nella
sua controllante, funzioni di dirigente e i loro familiari. Sono operazioni con parti correlate quelle
operazioni che comportano trasferimenti di risorse, servizi o obbligazioni tra le parti e in ogni caso le
fusioni e le scissioni e tutte le decisioni riguardanti la remunerazione dei componenti degli organi
amministrativi o di controllo o dei dirigenti. Agli organi di controllo delle società quotate sono inoltre
riconosciuti poteri di richiedere, anche individualmente, notizie e documentazione agli amministratori
relativamente alle operazioni sia della società che di società controllate. Il potere di procedere ad atti
di ispezione e di controllo che il codice riserva solo ai sindaci è esteso nelle società quotate anche agli
altri organi di controllo. Inoltre alcune regole dettate per gli organi di controllo sono estese anche ai
componenti del consiglio di amministrazione in quanto ad essi si richiede non solo il possesso dei
requisiti di onorabilità previsti per i componenti degli organi di controllo ma, per almeno uno o due
dei componenti, anche il possesso dei requisiti di indipendenza., Si prevede inoltre che i componenti
del consiglio di amministrazione siano eletti attraverso il meccanismo del voto di lista e che almeno
uno di essi sia eletto dalla lista di minoranza che ha ottenuto il maggior numero di voti.
284) continua – La consob e i controlli pubblici - Come abbiamo detto le società quotate sono
sottoposte anche a controlli pubblici da parte de la Consob. Tali controlli hanno lo scopo di assicurare
la trasparenza delle operazioni e la veritiera informazione sulla situazione patrimoniale delle società al
fine di tutelare il risparmiatore affinchè al momento dell’investimento operi con una scelta
consapevole conoscendo tutti i dati rilevanti. La consob ha personalità giuridica di diritto pubblico, ha
un proprio organico di personale dipendente ed è composta da un presidente e da quattro membri che
operano collegialmente. La consob è dotata di poteri regolamentari e di poteri che si traducono in atti
amministrativi, di portata generale o particolare. Ricordiamo il potere di richiedere informazioni agli
organi sociali o di controllo o ai revisori legali e il potere di eseguire direttamente ispezioni presso le
società. Inoltre la legge pone l’obbligo per gli organi di controllo e i revisori legali di segnalare alla
consob le irregolarità di cui siano venuti a conoscenza e alla consob sono attribuiti poteri di intervento
all’interno della società come ad esempio di impugnazione della delibera di approvazione del bilancio
o delle deliberazioni adottate con voto determinante di titolari di partecipazioni rilevanti o di aderenti
a patti parasociali non comunicati. In determinate situazioni la consob può anche vietare specifiche
operazioni come ad. Es. può vietare l’attività di sollecitazione qualora riscontri violazioni di legge. I
provvedimenti della consob sono definitivi e contro di essi non è ammesso il ricorso gerarchico al
ministro del tesoro ma solo il ricorso giurisdizionale davanti al Tar
108
285) Le offerte pubbliche di acquisto o scambio – La particolarità degli interessi coinvolti nelle società
quotate in borsa si evidenzia anche attraverso gli istituti dell’offerta pubblica di acquisto (OPA) e
dell’offerta pubblica di scambio (OPS) di titoli. Anche in questo caso infatti vediamo come nelle società
quotate la tutela offerta dall’ordinamento all’azionista tende ad identificarsi con quella del
risparmiatore e del mercato stesso in cui egli effettua il suo investimento. Questa esigenza di tutela
offerta ai soci comporta l’affidamento alla consob del compito di vigilare sulle offerte pubbliche di
acquisto e scambio e sul loro svolgimento e richiede che la società (i cui titoli formano oggetto
dell’offerta pubblica di acquisto) diffonda un comunicato contenente i dati utili per valutare l’offerta e
gli effetti che l’eventuale successo avrà sull’attività dell’impresa ma anche sull’occupazione. In questo
modo la società, pur estranea formalmente all’operazione, svolge un suo ruolo a tutela dei soci ma
anche dei lavoratori alle cui rappresentanze il comunicato deve essere trasmesso contestualmente alla
diffusione.
286) continua – l’obbligatorietà dell’offerta pubblica di acquisto – Ci sono alcune ipotesi in cui l’offerta
pubblica è obbligatoria in quanto si pone come strumento per realizzare una parità di trattamento
degli azionisti nella società e nel mercato.. Ovviamente l’offerta deve riguardare titoli che attribuiscono
il diritto di voto in alcune materie e deve trattarsi di titoli ammessi alla negoziazione in mercati
regolamentati italiani. Nella prassi l’acquisizione del controllo di una società implica l’attribuzione di
un cosiddetto premo di maggioranza, ossia di un plusvalore rispetto a quello che risulterebbe dalla
quotazione delle singole azioni di cui il pacchetto di controllo si compone e da qui nasce il problema di
elaborare strumenti in grado di garantire una distribuzione tendenzialmente paritaria per tutti i soci,
L’offerta pubblica obbligatoria è appunto lo strumento utilizzato nel nostro ordinamento a questo
scopo i n quanto dovendo l’offerta venire indirizzata pariteticamente a tutti gli azionisti il premio non
risulta corrisposto al solo soggetto che deteneva la posizione di controllo ma a tutti sono offerte pari
opportunità. L’ipotesi principale in cui è obbligatoria l’offerta pubblica di acquisto si ha in base all’art.
106 del testo unico finanziario che impone a chi, per effetto di acquisti, venga a detenere una
partecipazione superiore al 30 per cento, l’obbligo di promuovere una offerta pubblica di acquisto
rivolta a tutti i possessori sulla totalità dei titoli. Analogo obbligo si ha per acquisti superiori al cinque
per cento effettuati da coloro che detengono già una partecipazione pari al 30 per cento. Il prezzo
dell’offerta pubblica non può essere inferiore al prezzo più elevato pagato dall’offerente nei dodici
mesi precedenti la comunicazione dell’offerta per l’acquisto dei titoli della stessa società o in
mancanza di quello medio ponderato di mercato relativo allo stesso periodo di tempo anche se la
Consob ha il potere di stabilire, in determinate ipotesi, che l’offerta venga promossa ad un prezzo
inferiore o superiore a quello più alto pagato. L’offerente è tenuto ad offrire un corrispettivo in denaro
solo se nei dodici mesi anteriori alla comunicazione dell’offerta abbia acquistato con corrispettivo in
denaro titoli della stessa società che conferiscano almeno il cinque per cento dei diritti di voto. In caso
contrario il corrispettivo dell’offerta può essere composto anche da titoli ma se si tratta di titoli non
ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno stato comunitario l’offerente può
proporre ai destinatari in alternativa un corrispettivo in denaro. Tuttavia non sempre, in presenza di
un superamento della soglia del 30% sorge l’obbligo di offerta pubblica totalitaria, infatti esso non
sorge nelle seguenti ipotesi a) vi sono altri soci che detengono il controllo della società (in quanto in
questo caso viene meno la ragione stessa dell’obbligo di acquisto) b) l’acquisto non è stato finalizzato
ad assumere il controllo (es è stato effettuato a titolo gratuito, o ha carattere temporaneo o deriva da
cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente come la mancata sottoscrizione di un aumento di
capitale da parte di un altro socio c) il trasferimento delle azioni intercorre tra società dello stesso
gruppo (e quindi il controllo già spettava anche se indirettamente alla società capogruppo) d) acquisti
effettuati in attuazione di piani di salvataggio di aziende o a seguito di fusione o scissione, giustificati
da effettive esigenze industriali. Inoltre non sussiste l’obbligo di promuovere l’offerta pubblica
totalitaria quando la soglia del 30 per cento viene superata a seguito di una offerta pubblica volontaria
di acquisto e scambio che aveva per oggetto la totalità dei titoli. In questo caso infatti si ritiene
incongruo tutelare la parità di trattamento tra i soci nei confronti di chi, per acquisire il controllo della
società, ha già volontariamente utilizzato, assumendone i costi relativi, uno strumento di per sé diretto
a rispettare tale parità di trattamento. In determinate condizioni può esonerare dall’obbligo di
109
promuovere l’offerta pubblica totalitaria la cosiddetta offerta pubblica preventiva, ossia una offerta
pubblica volontaria che ha per oggetto almeno il 60% delle azioni con diritto di voto. L’offerta pubblica
preventiva viene quindi a rappresentare il principale strumento per evitare di essere costretti
all’obbligo di promuovere una offerta pubblica totalitaria in quanto consente, con meno costi, di
acquisire il controllo della società senza essere costretti ad acquistare tutte le azioni ma solo il
sessanta per cento di esse. Una disciplina analoga a quella dell’offerta pubblica di acquisto
obbligatoria è quella prevista dall’art. 108 del testo unico finanziario che impone a colui che, a seguito
di una offerta pubblica totalitaria detiene una partecipazione superiore al 95 per cento del capitale,
l’obbligo di acquistare da chi ne faccia richiesta tutti i tioli rimanenti. Analogo obbligo è poi previsto
nei confronti di colui che si trova a detenere una partecipazione superiore al 90 per cento a meno che
nei novanta giorni successivi al superamento non provveda a ripristinare l’effettiva diffusione tra il
pubblico dei titoli in modo da assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. Infatti in queste
ipotesi il mercato non può essere in grado di assicurare quella facilità di mobilizzazione che fa parte
delle motivazioni dell’investimento azionario e ne deriva pertanto l’esigenza di tutela dell’azionistarisparmiatore e quindi l’obbligo di acquistare i titoli rimanenti alle condizioni di prezzo stabilite dalla
consob tenendo conto dell’eventuale offerta pubblica precedente (in quanto in questo caso in genere il
prezzo è pari a quello di essa) o del prezzo di mercato.
287) continua - Il procedimento - Per le offerte pubbliche di vendita e scambio sono previste le
seguenti modalità per lo svolgimento delle operazioni : a) Prima fase: promozione dell’offerta - Il
testo unico finanziario richiede che la decisione di effettuare una offerta pubblica o il sorgere del
relativo obbligo (in caso di offerta obbligatoria) devono essere con urgenza comunicate alla consob e
contestualmente rese pubbliche e che il consiglio di amministrazione (o il consiglio di sorveglianza)sia
della società offerente che emittente provveda all’immediata informazione ai rispettivi lavoratori.
Entro venti giorni dalla comunicazione l’offerente deve presentare alla consob il documento di offerta
destinato alla pubblicazione e in caso di inottemperanza l’offerente non può promuovere, nei dodici
mesi successivi, un ulteriore offerta avente ad oggetto prodotti finanziari della stessa società
emittente. Se il documento viene valutato idoneo da parte della consob la stessa provvede ad
approvarlo. Una volta reso pubblico il documento deve essere trasmesso dal consiglio di
amministrazione (o di sorveglianza) della società offerente e della società emittente ai rispettivi
lavoratori. La consob ha anche il potere, nel caso sopravvengano fatti nuovi o ignorati che possano
impedire ai destinatari di farsi un giudizio fondato sull’offerta, di sospendere l’offerta per non più di
trenta giorni. In caso di fondato sospetto di violazione delle norme o di loro accertata violazione la
consob può sospendere l’offerta in via cautelare o dichiararla decaduta. B) seconda fase – durante il
periodo di pendenza dell’offerta - In questa fase si pongono vincoli di comportamento per la società
interessata dalla operazione. Infatti gli interessi degli amministratori della società i cui titoli sono
oggetto dell’offerta potrebbero essere quelli di impedire mutamenti nel gruppo di controllo della
società, interessi che potrebbero essere in contrasto con quelli dei soci, interessati invece a
massimizzare il ricavato della vendita dei loro titoli. Pertanto la legge vuole assicurare che eventuali
tecniche difensive messe in moto dagli amministratori per impedire la scalata e che possono
comportare costi aggiuntivi per l’operazione sia prese effettivamente nell’interesse degli azionisti e
non del gruppo di controllo attuale. In particolare la legge permette che nel periodo di adesione
all’offerta le clausole, eventualmente contenute negli statuti,che limitano il trasferimento dei titoli o il
diritto di voto non abbiano effetto nelle assemblee chiamate ad autorizzare l’adozione di misure
difensive nei confronti dell’offerta. Inoltre il testo unico finanziario prevede una apposita disciplina
(passivity rule) permettendo però agli statuti di derogarvi a patto che tali deroghe siano comunicate
alla consob ed al pubblico. In mancanza di deroghe è vietato nel periodo tra la comunicazione alla
consob della decisione (o dell’obbligo) d promuovere l’offerta e la chiusura dell’offerta, il compimento
di qualunque atto idoneo a contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta (ad eccezione di
quelli consistenti nella ricerca di offerte alternative) che non siano autorizzati dall’assemblea ordinaria
o (per le materie di sua competenza) dall’assemblea straordinaria. La prospettiva adottata dal nostro
ordinamento è dunque quella di attribuire all’autonomia statutaria (e quindi ai soci) la scelta in merito
alla maggiore o minore contendibilità del controllo della società. Inoltre il periodo di pendenza
110
dell’offerta pubblica crea anche vincoli per l’offerente. In particolare nel caso in cui egli abbia in tale
periodo acquistato titoli per un prezzo più alto di quello fissato per l’offerta deve adeguare il prezzo di
quest’ultima al prezzo più alto pagato e comunque è tenuto in generale ad astenersi da comportamenti
che possano alterare situazioni rilevanti per i presupposti dell’offerta pubblica di acquisto
obbligatoria. Altra caratteristica di questa fase è quella della irrevocabilità sia della offerta che delle
accettazioni. L’offerta può però essere modificata fino a tre giorni prima della data di chiusura
dell’operazione ma solo per un possibile aumento del corrispettivo. La irrevocabilità delle accettazioni
ha invece una eccezione nell’ipotesi di offerte concorrenti che possono essere presentate entro cinque
giorni dalla scadenza dell’offerta precedente e sono ammesse solo se propongono un corrispettivo
superiore all’ultima offerta. A seguito della pubblicazione di tali offerte concorrenti le adesioni alle
altre offerte sono revocabili e quindi ne risulta una specie di gara con la possibilità di molteplici offerte
e rilanci successivi. Per garantire il corretto svolgimento di tale gara la legge stabilisce che i rilanci non
possono riguardare un quantitativo di azioni minore di quello richiesto e che la durata delle offerte è
per tutte quella dell’ultima offerta. C) Fase successiva alla scadenza del termine - Alla scadenza del
termine possono presentarsi tre situazioni: 1) si è raggiunto il quantitativo richiesto 2) si è raggiunto
un quantitativo inferiore 3) si è raggiunto un quantitativo superiore. Nel primo caso non si pongono
problemi essendo stato raggiunto l’obiettivo, il secondo e il terzo caso possono presentare problemi
che vengono risolti in base agli schemi contrattuali utilizzati per la formulazione dell’offerta. Infatti
essi possono prevedere la possibilità che l’offerta indichi il quantitativo minimo di accettazione (ciò
non è ovviamente possibile per l’offerta pubblica obbligatoria totalitaria) e in tal caso se si hanno
quantitativi inferiori l’offerta è inefficace. Inoltre essi possono prevedere che siano individuati i criteri
di riparto in caso di accettazione superiore, criteri che devono far comunque riferimento al criterio di
proporzionalità onde rispettare il principio della parità di trattamento tra i soci.
CAPITOLO IV
LA SOCIETA ‘ COOPERATIVA
1)
Disciplina generale delle società cooperative
288) Lo scopo mutualistico : essenza e riflessi sulla struttura della società – Le società cooperative
sono la forma organizzativa tipica riservata alle imprese mutualistiche. Infatti il codice civile
espressamente dispone che le società cooperative sono società con capitale variabile con scopo
mutualistico. La mutualità è quindi il presupposto specifico della società cooperativa ma non ne è,
contrariamente a quanto comunemente si ritiene, il carattere essenziale. Infatti una società non è
necessariamente una società cooperativa solo perché esercita una impresa mutualistica (tanto è vero
che molte imprese mutualistiche di costituiscono come società per azioni o come società a
responsabilità limitata) ma lo è quando esercitando una impresa mutualistica assume la forma
organizzativa tipica basata sulla variabilità del capitale. Tuttavia essendo presupposto necessario
della società cooperativa lo scopo mutualistico occorre individuare in che cosa consiste questo scopo e
come incide sulla struttura dell’impresa cooperativa. La mutualità consiste nel fatto che nelle società
cooperative il lucro dell’imprenditore si realizza a carico delle stesse persone che fanno parte della
società (e alle quali viene distribuito) e non a carico di persone estranee alla società. Appunto
attraverso tale corrispondenza tra gruppo sociale e gruppo a carico del quale l’utile si realizza il
profitto dell’imprenditore si elimina. Tuttavia tale eliminazione è frutto di due operazioni
contrapposte: la realizzazione dell’utile e la sua redistribuzione. Pertanto la società cooperativa alla
pari delle altre società configura l’ottenimento di un utile e la sua distribuzione ai soci e quindi non è
attendibile l’opinione che sostiene che le società cooperative siano da assimilare alle associazioni
piuttosto che alle società. Lo scopo mutualistico influisce indubbiamente sulla struttura della società
cooperativa. Infatti la partecipazione alla società si determina in considerazione della identità dei
bisogni dei partecipanti e della possibilità della loro realizzazione attraverso lo svolgimento
dell’attività sociale. Talvolta, come nelle cooperative edilizie abbiamo un numero fisso e
predeterminato di soci mentre in altri casi il contratto è aperto e consente l’adesione di nuovi soci
consentendo nel contempo l’uscita di quelli attuali Ma anche in questo secondo caso la società
111
cooperativa di distingue nettamente dall’associazione. Nell’associazione infatti gli associali non hanno
alcun diritto sul patrimonio. Infatti anche se il patrimonio dell’associazione è formato anche grazie ai
contributi degli associati tali contributi non possono qualificarsi come apporti ma come corrispettivi
per i servizi prestati. Appunto per ciò il contributo è annuale ed è uguale per tutti gli associati e
appunto perché l’associato ha fruito dei sevizi prestati dall’associazione come corrispettivo per il
contributo versato egli non ha diritto in caso di recesso ad una quota del patrimonio dell’associazione.
Nelle cooperative invece la situazione è completamente diversa in quanto non solo la legge prevede la
sottoscrizione di una quota di capitale che può essere diversa da socio a socio, stabilisce che il nuovo
socio che voglia entrare nella cooperativa debba versare oltre alla quota di capitale sottoscritta anche
il sovrapprezzo eventualmente determinato dall’assemblea in sede di approvazione di bilancio e
stabilisce anche che in caso di morte, esclusione o recesso del socio si debba liquidare la sua quota
sulla base del bilancio di esercizio nel corso del quale tale fatto si verifica e che comprende in via di
principio anche il sovrapprezzo. I principi suddetti caratterizzano in generale la società e non
l’associazione. Inoltre lo scopo mutualistico contribuisce a caratterizzare la società cooperativa anche
nel senso che la parità di posizione che c’è tra i soci di fronte ai bisogni da soddisfare si riflette
nell’attribuzione ai soci di uguali poteri qualunque sia il loro apporto e nella previsione di una
limitazione nella parte del capitale che ciascun socio può possedere. Lo scopo mutualistico delle
cooperative si traduce in una serie di obblighi della società a fornire beni, servizi o occasioni di lavoro
ai propri membri a a condizioni migliori rispetto a quelle di mercato. Il vantaggio mutualistico può
essere realizzato con due tecniche diverse: quella del vantaggio immediato e quella del vantaggio
differito o ristorno. Si ha la prima ipotesi quando la società pratica subito prezzi inferiori o
retribuzioni superiori a quelli di mercato Si ha la seconda ipotesi quando il vantaggio mutualistico
viene attribuito ai soci mediante i ristorni che sono somme di denaro che la società restituisce ai soci
periodicamente, in occasione dell’approvazione del bilancio, in proporzione ai rapporti intercorsi con
la cooperativa. Il legislatore italiano non impone alle cooperative (tranne casi eccezionali) il divieto di
rapporti con i terzi non soci (mutualità pura). Ne consegue che le cooperative possono offrire le
proprie prestazioni anche ai terzi non soci purchè ciò sia espressamente previsto dallo statuto.
289) Lo statuto particolare delle società cooperative - La nostra costituzione (art. 45) riconosce
esplicitamente la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di
speculazione privata e si propone di favorirne l’incremento con i mezzi più idonei. Pertanto sono
accordate agevolazioni tributarie alla società cooperativa in cui la mutualità risulta prevalente e in
particolare quando nello statuto sia previsto il divieto di distribuzione di dividendi in misura superiore
all’interesse legale sul capitale versato, il divieto di distribuzione delle riserve e la devoluzione del
patrimonio sociale, previa la restituzione dei conferimenti, a scopi di pubblica utilità. Il legislatore
pertanto ha differenziato le società cooperative a seconda che la mutualità risulti o meno prevalente
limitando alle prime l’applicazione di agevolazioni tributarie previste dalle leggi speciali. Il fenomeno
cooperativo inoltre è soggetto a pubblica vigilanza, che spetta al Ministero delle attività produttive
tranne che per le banche cooperative (dove è affidata alla Banca d’Italia) e per le cooperative di
assicurazione (dove è affidata all’ISVAP). E’ anche prevista l’iscrizione delle cooperative (tranne quelle
bancarie ed assicurative) nell’Albo delle società cooperative ma tale iscrizione assume valore
costitutivo solo per le cooperative a mutualità prevalente. Le disposizioni generali sulle società
cooperative sono contenute nel codice ma esistendo una grande varietà di tipi di cooperative accanto
alle disposizioni del codice si applicano le numerose leggi speciali emanate sull’argomento. Ciò può
creare problemi di coordinamento risolvibili sulla base del fatto che le disposizioni del codice si
applicano in quanto compatibili con le disposizioni delle leggi speciali.
290) Struttura e tipi di società cooperative - Le società cooperative si differenziano sia dalle società di
persone che dalle società di capitali in quanto l’organizzazione sociale è costituita insieme su base
personale e su base capitalistica. L’organizzazione delle cooperative è ricalcata essenzialmente su
quella delle società di capitali e le lacune della disciplina codicistica sulle società cooperative è colmata
appunto ricorrendo all’applicazione della disciplina della società per azioni. Come le società di capitali
le società cooperative acquistano personalità giuridica e hanno una denominazione sociale che deve
112
contenere l’indicazione che si tratta di una società cooperativa. Precedentemente il codice prevedeva
le cooperative a responsabilità limitata e le cooperative a responsabilità illimitata ma attualmente in
tutte le società cooperative per le obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio sociale. Abbiamo
detto che la disciplina prevista per le società cooperativa viene integrata dalla disciplina prevista dalle
società per azioni ma lo statuto delle società cooperative più piccole può prevedere che possano
trovare applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni in tema di società a responsabilità limitata.
Si distinguono quindi cooperative per azioni e cooperative a responsabilità limitata dove la
partecipazione si esprime per quote. Possono esistere inoltre come abbiamo detto cooperative a
mutualità prevalente alle quali sono circoscritte le agevolazioni fiscali previste dalla legge per le quali
l’iscrizione nell’apposito albo è requisito necessario per l’applicazione della relativa disciplina. La
qualifica di cooperative a mutualità prevalente è riservata a quelle cooperative che svolgono la
propria attività prevalentemente a favore dei soci , a quelle che si avvalgono prevalentemente del
lavoro dei soci e a quelle che impiegano prevalentemente apporti di beni e servizi dei soci. Inoltre lo
statuto delle cooperative a mutualità prevalente deve contenere clausole che prevedono limiti ala
distribuzione dei dividenti, delle riserve e l’obbligo, in caso di scioglimento della società, di devolvere il
patrimonio, dedotti i conferimenti e i dividendi maturati, ad attività di pubblica utilità. Il mancato
rispetto, per due esercizi consecutivi, delle condizioni di prevalenza o la modificazione delle clausole
suddette comporta la perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente e la società è tenuta
a variare la sezione di iscrizione nel registro delle società cooperative e a segnalarla
all’amministrazione finanziaria pena la sanzione amministrativa della sospensione dell’attività. La
cooperativa a mutualità prevalente non può tramutarsi né in società lucrativa né in consorzio,
possibilità che è invece consentita alle cooperative a mutualità non prevalente purchè siano state
sottoposte a revisione nell’anno precedente. Esse sono però tenute in tal caso a devolvere il valore
effettivo del patrimonio secondo le modalità previste per lo scioglimento delle cooperative a mutualità
prevalente.
291) Caratteri differenziali rispetto alle società di capitali: a) la variabilità del capitale sociale –
Rispetto alle società di capitali le società cooperative si distinguono per la variabilità del capitale che è
loro caratteristica e per l’importanza che assume nell’organizzazione la persona del socio anche
quando la partecipazione sociale è rappresentata da azioni. In conseguenza della variabilità del
capitale non si applicano alle società cooperative le norme che impongono la formazione di un
capitale minimo per la costituzione e l’esistenza della società Infatti nelle società cooperative il
capitale non è determinato in un ammontare prestabilito ma dipende dal numero e dalla entità della
partecipazione dei soci. Essendo il capitale variabile non è necessario che il suo aumento richieda una
modificazione statutaria (es. aumento di capitale per ammissione di nuovi soci). La legge sopperisce
alla mancanza di un capitale prestabilito richiedendo un numero minimo di soci e un ammontare
minimo della partecipazione. Per quanto riguarda il primo aspetto il numero di soci della cooperativa
non può essere inferiore a nove e nel caso esso scendesse sotto tale limite deve essere reintegrato al
massimo in un anno, trascorso il quale la società si scioglie e deve essere posta in liquidazione. Se si
adotta la disciplina della società a responsabilità limitata il numero minimo è di tre soci purchè si
tratti di persone fisiche (o per le cooperative agricole, di società semplici). La legge rimanda poi alle
leggi speciali per la fissazione del numero di soci per particolari tipi di cooperative (es. per le
cooperative di consumo sono richiesti minimo 50 soci e per le banche di credito cooperativo minimo
200). Per il secondo aspetto si richiede che il valore nominale delle quote o delle azioni delle società
cooperative non può essere inferiore a 25 euro e che quello delle azioni non può essere superiore a
cinquecento euro. A garanzia della integrità del capitale la legge stabilisce inoltre che almeno il 30 per
cento degli utili annuali sia destinata a riserva legale, ammette che lo statuto possa prevedere riserve
indivisibili (che cioè non possono essere distribuite tra i soci nemmeno in caso di scioglimento della
società) e subordina la distribuzione degli utili, l’acquisto di azioni proprie e la ripartizione delle
riserve divisibili al fatto che il rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento sia
superiore ad un quarto.
113
292) continua – b) la rilevanza della persona del socio – Per quanto riguarda la rilevanza della
persona del socio essa incide sotto vari aspetti. . In primo luogo la partecipazione alla cooperativa
presuppone il possesso di determinati requisiti soggettivi, diversi a seconda del diverso oggetto della
società e che consistono dell’appartenenza alla categoria delle persone direttamente interessate
all’attività sociale (es. per le cooperative di consumo i soci devono appartenere alla categoria dei
consumatori, per le cooperative di lavoro devono esercitare il mestiere che forma oggetto della
cooperativa). La legge lascia allo statuto il compito di fissare i requisiti di ammissione dei nuovi soci
stabilendo che non possono partecipare alla società coloro che esercitano in proprio imprese in
concorrenza con la cooperativa. Ne consegue che l’ingresso di un nuovo socio si attua dopo la verifica,
da parte degli amministratori, del possesso dei requisiti richiesti. Gli amministratori sono quindi
chiamati a deliberare sull’ingresso di nuovi soci e sulla liquidazione della quota o delle azioni in caso di
esclusione e recesso. In secondo luogo la partecipazione del socio persona fisica non può superare il
massimo di 100,000 euro, e tale limite non si applica (oltre che ai soci non persone fisiche), a fronte di
conferimenti in natura o crediti (che non vengono computati ai fini del relativo calcolo) e rispetto alle
quote o azioni da assegnare allo scopo di ripartire le riserve disponibili o i ristorni. Dobbiamo tuttavia
segnalare che i poteri sociali sono attribuiti al socio cooperatore in quanto tale e prescindono quindi
dall’ammontare della partecipazione al capitale. Infine la morte del socio comporta la liquidazione
della quota o il rimborso delle azioni agli eredi sulla base del bilancio dell’esercizio in corso (a meno
che l’atto costitutivo non preveda che gli eredi in possesso dei requisiti subentrino) La società ha
facoltà in caso di mancato adempimento all’obbligo del conferimento e in altri casi previsti di
escludere il socio e l’esclusione determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti.
Vediamo quindi come la società cooperativa costituisca una categoria a parte caratterizzata dalla
combinazione di elementi personalistici e capitalistici.
293) Gli strumenti finanziari – I soci finanziatori - La vigente disciplina ha esteso alle cooperative la
possibilità di emettere strumenti finanziari, forniti di diritti amministrativi o solo patrimoniali a patto
che l’atto costitutivo preveda tale possibilità e determini il contenuto di tali diritti e le condizioni cui è
sottoposto il loro trasferimento. Mentre nelle società per azioni i sottoscrittori di strumenti finanziari
assumono la posizione di terzi e non di soci, nelle società cooperative ciò avviene solo per i possessori
di strumenti finanziari privi di diritti amministrativi in quanto al contrario i possessori di strumenti
forniti di diritti amministrativi (in particolare il diritto di voto) possono considerarsi veri e propri soci.
La legge per indicare tale categoria usa il termine di socio finanziatore che si contrappone a quella dei
soci cooperatori, che invece sono in possesso di quote o azioni. Per i soci finanziatori non operano né i
limiti né i requisiti richiesti per i soci cooperatori e inoltre il loro diritto di voto è invece sottoposto a
limitazioni in quanto non può essere loro riconosciuto più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei
soci presenti o rappresentati nell’assemblea generale. Inoltre i soci finanziatori non possono eleggere
più di un terzo dei componenti dell’organo di amministrazione e di controllo, I soci finanziatori inoltre
possono essere presenti solo nelle cooperative cui si applicano le norme delle società per azioni che
sono le uniche che possono emettere strumenti finanziari dotati di diritto di voto, Le cooperative
soggette alla disciplina delle società a responsabilità limitata possono invece emettere solo titoli di
debito privi dei diritti di amministrazione che possono essere sottoscritti solo da investitori
istituzionale analogamente a quanto abbiamo visto per i titoli di debito delle società a responsabilità
limitata. La legge prevede poi per i possessori di strumenti finanziari privi del diritto di voto
assemblee speciali e un rappresentante comune.
294) Costituzione della società – Il procedimento della costituzione delle cooperative è simile a quello
delle società per azioni prevedendo la stipula dell’atto costitutivo, il deposito dell’atto e la conseguente
iscrizione della società nel registro delle imprese. L’atto costitutivo deve contenere, oltre le
informazioni previste per le società per azioni, anche le seguenti informazioni: a) indicazione
dell’oggetto sociale in relazione ai requisiti richiesti per l’ammissione dei soci, le regole per lo
svolgimento dell’attività mutualistica e l’eventuale previsione che essa possa essere esercitata anche
nei confronti dei terzi. In mancanza di ciò la società può avere rapporti solo con i soci. B) i requisiti
richiesti per l’ammissione dei soci e le condizioni per il recesso e l’esclusione c) le regole per la
114
ripartizione degli utili e dei ristorni d) la forma di convocazione dell’assemblea se si intende di
derogare alla legge.
295) Organizzazione giuridica della società - Anche l’organizzazione giuridica è ricalcata su quella
della società per azioni a meno che l’atto costitutivo non preveda l’applicazione delle norme delle
società a responsabilità limitata. Organi della cooperativa sono dunque l’assemblea, gli amministratori
e il collegio sindacale ( o i corrispondenti organi a seconda del sistema amministrativo adottato) e le
norme sulla loro nomina e sul loro regolamento sono quelle applicabili alle società per azioni. Per
quanto riguarda il voto nelle assemblee la regola generale è quella di “una testa un voto” che
prescinde dalla misura della partecipazione e tale regola non può essere derogata per i soci
cooperatori ma solo dove la partecipazione è caratterizzata da ulteriori finalità. Così ad esempio i soci
cooperatori persone giuridiche possono avere più voti in relazione alla loro partecipazione con un
massimo di cinque ed è prevista la categoria dei soci sovventori a cui i voti sono attribuiti in base alla
partecipazione ma non possono comunque superare un terzo dei voti spettanti a tutti i soci. Ne
consegue che le maggioranze (determinate dall’atto costitutivo) si calcolano in base al numero dei voti
spettanti ai soci e non sul capitale. Il voto deve essere esercitato personalmente (anche per
corrispondenza o con mezzi telematici) o attraverso un altro socio (che non può rappresentare
nell’assemblea più di dieci soci) mentre solo il socio imprenditore individuale può farsi rappresentare
anche da un non socio purchè si tratti di un familiare che collabora all’impresa. L’atto costitutivo può
anche prevedere (tranne che nel caso di cooperative con azioni quotate) la riunione di assemblee
separate (che è obbligatoria per le cooperative che superano 3.000 soci) che deliberano sulle materie
poste all’ordine del giorno dell’assemblea generale ed inviano delegati ad essa. Tali delegati
partecipano all’assemblea generale in modo da assicurare la proporzionale rappresentanza delle
minoranze espresse nelle assemblee separate. Dovendo le assemblee separate deliberare sulle stesse
materie che formano l’ordine del giorno dell’assemblea generale l’ordine del giorno delle due
assemblee deve essere uguale. Ne deriva anche che le deliberazioni delle assemblee separate essendo
solo dei semplici atti preparatori alla assemblea generale non possono essere impugnate
autonomamente e gli eventuali loro vizi potranno costituire causa di invalidità della deliberazione
dell’assemblea generale solo se i voti espressi dal delegato nominato in base ad una deliberazione
viziata siano stati necessari per la formazione della maggioranza. In tal caso sono legittimati
all’impugnazione i soci delle assemblee separate. La nomina dei primi amministratori è contenuta
nell’atto costitutivo mentre quelli successivi sono nominati dall’assemblea tenendo conto che la
maggioranza di essi deve essere scelta trai i soci cooperatori. Anche l’organo di controllo è nominato
dai soci. Tale organo è necessario, in caso di cooperative soggette alla disciplina della società a
responsabilità limitata, solo in caso di emissione di titoli di debito La disciplina vigente ha accentuato
gli strumenti di controllo interni alla società attribuendo ai soci che rappresentano un decimo del
numero complessivo (un ventesimo per le cooperative con più di tremila soci) il potere di esaminare
oltre al libro dei soci, il libro delle deliberazioni delle assemblee, del consiglio di amministrazione e
dell’eventuale comitato esecutivo.. A tali soci la legge attribuisce anche il potere di proporre al
tribunale denuncia per gravi irregolarità. Le società cooperative sono espressamente sottoposte al
controllo giudiziario e pertanto l’eventuale denuncia al tribunale deve essere notificata anche
all’autorità di vigilanza. Lo statuto può prevedere un ulteriore organo, il collegio dei probviri che ha il
compito della risoluzione delle controversie tra società e soci o tra soci attinenti al rapporto sociale. Al
consiglio dei probviri è demandato il riesame dei provvedimenti adottati dagli altri organi sociali per
cui i provvedimenti adottati dall’assemblea o dal consiglio di amministrazione diventano definitivi solo
quando non sia richiesto l’intervento dei probviri o dopo la loro pronuncia.
296) Variazioni nelle persone dei soci - Le variazioni delle persone dei soci (dovute all’ingresso di
nuovi soci, all’uscita di soci o alla sostituzione di una persona all’altra a seguito della cessione della
quota o delle azioni) data la variabilità del capitale sociale non comportano in via di principio
modificazioni dell’atto costitutivo. Come abbiamo visto l’ingresso e l’uscita di un socio (tranne che nel
caso di morte) non si effettuano solo tramite l’acquisto o la vendita della quota ma è necessario che il
consiglio di amministrazione deliberi in tal senso. Gli amministratori pertanto devono autorizzare il
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trasferimento o pronunciarsi sull’ammissione o deliberare sul recesso o l’esclusione verificandone i
presupposti (a meno che l’atto costitutivo non attribuisca tale potere all’assemblea). A fronte della
deliberazione del consiglio di amministrazione è permessa l’opposizione al tribunale. Se l’atto
costitutivo non prevede la cessione delle quote o delle azioni allora deve essere riconosciuto al socio il
diritto di recesso che però non può essere esercitato se non sono trascorsi almeno due anni
dall’ingresso nella società. Non è ammessa finchè dura la società l’esecuzione sulle azioni o sulla quota
del socio da parte dei creditori particolari di esso. L’uscita del socio può verificarsi, oltre che nel caso
di morte, anche per recesso o esclusione. Il recesso è consentito qualora non esistano più le condizioni
soggettive che hanno determinato la partecipazione.. L’esclusione del socio si determina per le cause
previste dalla legge o dall’atto costitutivo e anche per inadempimento dell’obbligo di conferimento o
per perdita dei requisiti richiesti per la partecipazione alla società o per sopravenutà incapacità o
fallimento del socio. L’uscita del socio impone la liquidazione della sua quota sulla base del bilancio
dell’esercizio in corso e secondo i criteri stabiliti nell’atto costitutivo; la legge prevede, salva diversa
disposizione dello statuto, il rimborso del sovrapprezzo versato al momento della costituzione qualora
esso sussista nel patrimonio della società. Il pagamento deve avvenire entro 180 giorni
dall’approvazione del bilancio. Nel termine di un anno il socio uscito e gli eredi restano responsabili
per il pagamento dei conferimenti non pagati. Se entro un anno avviene l’insolvenza della società essi
restano obbligati nei limiti di quanto ricevuto per la liquidazione della quota o per il rimborso delle
azioni. La stessa responsabilità grava sul cedente in caso di cessione della quota o delle azioni.
297) Modificazioni dell’atto costitutivo - Le modificazioni dell’atto costitutivo delle società
cooperative sono soggette a iscrizione nel registro delle imprese e si realizzano in base alle norme
previste per le società per azioni ( o delle società a responsabilità limitata). Occorre ribadire però che
l’ingresso di nuovi soci pur comportando un aumento di capitale non comporta una modifica dell’atto
costitutivo. La cooperativa può tuttavia deliberare aumenti di capitale sociale con modifica dell’atto
costitutivo nel qual caso l’assemblea può autorizzare l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione
permettendo così l’ingresso di nuovi soci. Inoltre alcune modifiche dell’atto costitutivo come ad es. la
modifica dell’oggetto sociale assumono un rilievo diverso nelle società cooperative rispetto alle società
per azioni in quanto mentre nelle società per azioni la modifica dell’oggetto sociale può verificarsi
senza che venga meno l’interesse del socio alla partecipazione ciò nella società cooperativa è difficile
se non impossibile. Per tale motivo alcuni autori hanno ritenuto la necessità dell’unanimità dei
consensi per le deliberazioni relative alla modifica dell’oggetto sociale ma la legge stabilisce invece che
tali modifiche possono essere adottate con la maggioranza fatto salvo il diritto di recesso per i soci
dissenzienti.
298) Scioglimento della società - La società cooperativa si scioglie per le stesse cause previste per le
società di capitali ma può verificarsi anche per riduzione del numero dei soci al di sotto del minimo o
per provvedimento dell’autorità di vigilanza.
299) Vigilanza e controlli sulle cooperative - Le società cooperative sono soggette a particolari
controlli preventivi e successivi a cura (tranne che per le banche e le assicurazioni) del Ministero delle
attività produttive. La vigilanza si esercita tramite le revisioni cooperative (a cadenza biennale che
mirano ad accertare la natura mutualistica dell’ente) e le ispezioni straordinarie (che vengono eseguite
a campione per accertare la regolarità di funzionamento amministrativo e contabile e la sussistenza
dei requisiti richiesti per le agevolazioni fiscali). In caso di irregolare funzionamento l’autorità di
vigilanza può nominare un commissario dotato dei poteri dell’assemblea. La nomina di un
commissario rende improcedibile l’eventuale denuncia al tribunale per gli stessi fatti così come la
nomina di un ispettore da parte del tribunale impone la sospensione del procedimento iniziato per gli
stessi motivi da parte dell’autorità di vigilanza-. Nel caso in cui la cooperativa non persegua lo scopo
mutualistico, sia inattiva o non sia in condizione di realizzare gli scopi sociali può essere disposto lo
scioglimento di autorità e la liquidazione coatta della società. Le procedure di liquidazione sono simili
a quelle dettate dalla legge fallimentare.
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2) Le società mutue di assicurazione
300) – 301) – 302) 303) Caratteri essenziali della società mutua di assicurazione – Il codice civile
dedica tre articoli alle mutue assicuratrici o società di mutua assicurazione. La mutualità in campo
assicurativo può quindi attuarsi in due forme: attraverso cooperative di assicurazione o attraverso
mutue assicuratrici Queste ultime hanno una caratteristica particolare che ne sottolinea il carattere
più marcatamente mutualistico in quanto in esse non si può acquistare la qualità di socio se non
assicurandosi presso la società e si perde la qualità di socio con l’estinzione dell’assicurazione. Nella
sostanze le mutue assicuratrici tendono allo stesso scopo economico di tutte le cooperative, quello di
consentire ai soci un risparmio attraverso la eliminazione dell’intermediario speculatore. Il codice
stabilisce un nucleo di tre norme l’art. 2546 ( le mutue assicuratrici sono caratterizzate dalla
responsabilità limitata), l’art. 2546 comma due (i soci sono tenuti al pagamento di contributi fissi o
variabili determinati dall’atto costitutivo), l’art. 2458 (l’atto costitutivo può prevedere soci sovventori)
e richiama per il resto la disciplina generale delle cooperative a responsabilità limitata. La legge
ammette dunque anche la categoria dei soci sovventori che non sono legati ala società da rapporti di
assicurazione ma richiede che ciò avvenga solo per costituire fondi di garanzia per il pagamento
dell’indennità e richiede che questi soci abbiano nell’assemblea una influenza minore rispetto a quella
dei soci assicurati. Infatti i soci sovventori possono disporre di un massimo di cinque voti e pur
potendo essere nominati amministratori non possono essere., nel consiglio di amministrazione in
maggioranza rispetto ai soci assicurati. Nelle mutue assicuratrici si ha la costituzione di un fondo
sociale mediante conferimenti determinati fin dall’inizio o variabili in quanto presupposto di questo
tipo di società è la costituzione di un patrimonio sociale dal quale siano garantite le obbligazioni della
società. La mutua assicuratrice ha in comune con le altre società lo scopo lucrativo ossia la divisione
dei guadagni in quanto solo attraverso la partecipazione agli utili si realizza quel risparmio di spese
che costituisce lo scopo dell’adesione alla società.
Capitolo V – Trasformazione, fusione e scissione
304) Nozione e tipi di trasformazione, fusione e scissione - La trasformazione è il passaggio della
società da un tipo all’altro di organizzazione sociale, la fusione è la riunione in una unica società di più
organizzazioni autonome e la scissione è il frazionamento della società in più organizzazioni
autonome. I tre fenomeni hanno in comune il fatto che le modificazioni si attuano in base ad un
negozio corporativo che opera sulla organizzazione sociale e solo di riflesso si riversa sulla posizione
dei soci e sul patrimonio della società. Altro fattore in comune è il fatto che tali modificazioni
consentono un mutamento della società senza soluzione di continuità evitando le conseguenze che si
avrebbero se si dovesse procedere alla eliminazione della società e alla successiva ricostituzione. La
trasformazione riguarda una sola società e incide riorganizzandola su nuove basi (quelle tipiche del
tipo di società prescelto) ed è l’effetto di una specifica decisione dei soci che comporta una
modificazione dell’atto costitutivo. Si può avere accanto alla trasformazione omogenea che comporta il
passaggio da un tipo all’altro di società lucrativa, la trasformazione eterogenea che comporta il
passaggio da una società di capitali o di persone ad una forma non societaria dell’esercizio
dell’impresa o ad una società cooperativa e viceversa. La fusione può attuarsi o tramite la riunione di
più società in una società nuova (fusione propriamente detta) o in una società preesistente che
continua a sussistere (fusione per incorporazione). In questo caso la decisione dei soci delle singole
società è necessaria ma non sufficiente essendo richiesto anche un atto intersoggettivo, l’atto di
fusione appunto, nel quale le decisioni dei soci delle società interessate trovano esecuzione. La
scissione riguarda anch’essa più società e può avvenire con l’assegnazione da parte di una società ad
altre società di tutto il proprio patrimonio (scissione totale) o con l’assegnazione di parte del proprio
patrimonio ad altre società (scissione parziale o scorporazione). La legge prevede, per la
trasformazione in società di capitali, di fusione o scissione di società di persone il consenso della
maggioranza dei soci (prevedendo il diritto di recesso per i soci che non hanno concorso alla
decisione). Per le relative decisioni da parte delle società di capitali invece sono richieste le
maggioranze previste (dalla legge o dallo statuto) per le modificazioni dell’atto costitutivo e dello
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statuto (tranne che per la trasformazione eterogenea per la quale è richiesta il voto favorevole dei due
terzi dei soci). Per la trasformazione in società di capitali è invece richiesta : a) in caso di consorzio la
maggioranza assoluta dei consorziati b) il consenso unanime nel caso di contitolari di azienda c) tre
quarti dei voti degli associati per l’associazione. Per la trasformazione eterogenea di società
cooperativa è invece richiesto il voto favorevole di almeno la metà dei soci.
305) La trasformazione – Ambito di applicazione dell’istituto – Abbiamo visto che la legge permette
anche la trasformazione eterogenea e cioè il passaggio da società di capitali in consorzio, società
consortile, comunione di azienda e fondazione e viceversa, o il passaggio da società di capitali in
associazioni non riconosciute e da associazioni riconosciute in società di capitali. Alla disciplina della
trasformazione eterogenea è sottoposta inoltre la trasformazione da società di capitali in società
cooperativa e la trasformazione della società cooperativa i società lucrativa (ammessa solo per le
cooperative non a mutualità prevalente) Il fondamento della trasformazione eterogenea pertanto non
può essere ritrovato nella permanenza (sia pure con una diversa organizzazione) della causa del
negozio che ha dato vita alla società, visto che è permesso la sostituzione dello scopo lucrativo con
quello mutualistico ma deve invece essere ritrovato nella continuità dell’impresa esercitata
collettivamente dai soci. E’ per tale motivo che la trasformazione può avvenire sulla base di una
decisione collettiva dei soci e non è invece necessario il consenso individuale del singolo (fermo
restando il diritto di recesso). Il fatto che la legge ammetta il passaggio a società lucrativa solo per le
società cooperativa non a mutualità prevalente si spiega con la necessità di evitare che una società
adotti la forma a mutualità prevalente per godere delle relative agevolazioni fiscali per poi, dopo
averne approfittato, abbandonare la relativa forma trasformandosi in società lucrativa. Inoltre la legge
ammette il passaggio a società lucrativa solo per le cooperative che siano state sottoposte a revisione
nell’anno precedente. Il passaggio comporta la devoluzione a fondi mutualistici del patrimonio, dedotti
il capitale versato e i dividendi non distribuiti e tale valore deve essere attestato da una relazione
giurata da allegare alla proposta di deliberazione.
306) continua – la disciplina - Il codice prevede a fissare una disciplina unitaria, applicabile a tutte le
forme di trasformazione, relativamente alle forme e alla pubblicità previste per la decisione con la
quale i soci pervengono alla trasformazione, ossia l’atto di trasformazione. La pubblicità riveste per
l’atto di trasformazione una efficacia sia costitutiva che sanante. Infatti non solo l’atto di
trasformazione diviene efficace solo quando siano stati compiuti tutti gli atti previsti per la pubblicità
ma da tale momento viene meno la possibilità di pronunciare la sua invalidità fermo restando
l’eventuale diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla trasformazione. La trasformazione
eterogenea invece ha effetto solo dopo 60 giorni dall’attuazione della pubblicità (a meno che non ci sia
il consenso dei creditori) in quanto in tale periodo i creditori possono fare opposizione alla
trasformazione impedendo al relativo atto di diventare efficace. La trasformazione può comportare il
passaggio da un tipo di società dove i soci sono illimitatamente responsabili ad un altro dove per le
obbligazioni sociali risponde solo il patrimonio della società (nel caso di passaggio da società di
persone a società di capitali) o viceversa (nel caso di passaggio da società di capitali a società di
persone). Il codice prevede nel primo caso che la trasformazione non comporta l’eliminazione della
responsabilità personale dei soci per le obbligazioni sorte precedentemente alla attuazione della
pubblicità della trasformazione. Pertanto la trasformazione ha effetto ex nunc e non modifica gli effetti
che si sono già prodotti prima del suo intervento. Per quanto riguarda il secondo caso il codice richiede
il consenso dei soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata , la quale peraltro si
estende anche alle obbligazioni sociali sorte prima della trasformazione stessa. Nel caso in cui la
trasformazione comporti acquisto della personalità giuridica (come nel caso di trasformazione da
società di persone a società di capital) il codice richiede che la deliberazione di trasformazione risulti
da atto pubblico e contenga le informazioni richieste dalla legge per la costituzione di società di
capitali. Ma anche in questo caso la trasformazione comporta comunque una continuazione della
società originaria anche se il suo ordinamento giuridico viene modificato. Modificazione dalla quale
dipende la diversa posizione che il patrimonio sociale assume rispetto all’organizzazione sociale. Il
fatto che la società rimane quella originaria comporta che la posizione del socio nei confronti della
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società e nei confronti degli altri soci non può essere modificata e quindi è sulla base della posizione
precedente del socio che deve configurarsi la posizione successiva e quindi i diritti e doveri a lui
spettanti nella società trasformata, fermi restando gli adattamenti resi necessari dalla disciplina del
nuovo tipo societario adottata.
307) Caratteri e struttura della fusione - La fusione si costituisce attraverso due momenti essenziali:
a) la decisione delle singole società che partecipano alla fusione b) l’atto di fusione tra le diverse
società. Per configurarsi la fusione quindi è necessaria non solo una la decisione dei soci di ogni singola
società ma anche un atto intersoggettivo, l’atto di fusione appunto, con il quale si realizza tra le società
interessate all’operazione il nuovo ordinamento, diretto alla creazione di una organizzazione giuridica
unitaria nel quale confluiscono le varie organizzazioni preesistenti e quindi i loro soci e i loro
patrimoni. Per tale motivo la società che risulta dalla fusione (nel caso di fusione propriamente detta)
o la società incorporante proseguono in tutti i rapporti anche processuali, così come avviene nella
trasformazione solo che a differenza di questa non conservano ma assumono i diritti e gli obblighi
delle società partecipanti alla fusione. Anche in questo caso viene esclusa ogni soluzione di continuità.
La fusione non può essere attuata dalle società in liquidazione che abbiano cominciato la distribuzione
dell’attivo. La fusione si distingue dalla concentrazione perché si realizza attraverso un negozio
corporativo che riguarda le organizzazioni sociali e solo indirettamente si riflette sui patrimoni e sulle
posizioni dei soci. La concentrazione nasce invece da un atto di disposizione del patrimonio da parte di
un soggetto a favore di un altro soggetto e questo spiega perché con essa si realizza un fenomeno di
successione a titolo particolare e non universale come avviene per la fusione.
308) Il procedimento di fusione: il progetto e la decisione di fusione - La legge regola il procedimento
di fusione con una disciplina molto articolata attuata anche in esecuzione di direttive comunitarie.
L’atto iniziale del procedimento è la redazione da parte degli amministratori delle società partecipanti
alla fusione di un progetto di fusione che deve contenere, oltre agli altri elementi richiesti dalla legge,
la determinazione del rapporto di cambio delle azioni o quote che serve a determinare la misura della
partecipazione dei soci delle società incorporate in quella incorporante o risultante dalla fusione (tale
rapporto non è necessario in caso di incorporazione di società interamente posseduta dalla
incorporante). Il progetto deve essere depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese ed è
necessario che alcuni esperti scelti tra i revisori legali dei conti (o dal tribunale in caso di società
azionaria) esprimano il loro parere sulla adeguatezza del rapporto di cambio. Tale valutazione degli
esperti risponde però solo ad una esigenza informativa dei soci e quindi è possibile che i soci possano
decidere comunque la fusione anche in presenza di un parere negativo e inoltre essa non è necessaria
in caso di consenso di tutti i soci. Gli amministratori devono anche redigere una situazione
patrimoniale della società ed una relazione illustrativa del progetto di fusione. Tutta questa
documentazione, unitamente ai bilanci degli ultimi tre anni, deve essere messa a disposizione dei soci
presso la sede della società entro i trenta giorni che precedono l’assemblea. . La fusione deve poi
essere deliberata da tutte le società che vi partecipano mediante l’approvazione del relativo progetto.
E’ evidente quindi l’importanza del ruolo rivestito nella fusione degli amministratori sia perché sono
essi a redigere il progetto di fusione, sia perché ancora prima della pubblicazione del progetto di
fusione (e quindi quando l’assemblea non si è ancora pronunciata) essi devono pubblicare un avviso
per dare facoltà ai possessori di eventuali obbligazioni convertibili di esercitare il diritto di
conversione anticipata. In questo caso quindi tale operazione si svolge sulla base di una decisione dei
soli amministratori e quindi a prescindere da ogni valutazione dell’assemblea che potrebbe essere
anche negativa. Inoltre gli amministratori possono avere nella fusione un ruolo ancora più decisivo
nel caso di incorporazione di società posseduta almeno per il 90 per cento dalla incorporante in
quanto in tal caso l’atto costitutivo può affidare agli amministratori della incorporante la competenza
ad adottare la deliberazione di fusione con atto pubblico a prescindere quindi da ogni intervento da
parte dei soci. In tal caso però la legge riconosce ai soci dell’incorporante che posseggono almeno il
cinque per cento del capitale sociale il potere di chiedere che la decisione della fusione venga adottata
dai soci. Una volta adottate le decisioni di fusione e il loro deposito nel registro delle imprese si apre
una fase relativa alla tutela dei creditori sociali La legge consente infatti ad essi il diritto di
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opposizione nel caso in cui la decisione di fusione risulti pregiudizievole per i loro diritti stabilendo
che la fusione non può essere attuata se non sono decorsi 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle
imprese, e entro questo termine i creditori possono effettuare opposizione. La fusione può però avere
effetto immediato qualora ci sia il consenso dei creditori o quando siano depositate presso una banca
le somme spettanti a coloro che non hanno acconsentito o quando una società di revisione abbia
redatto una relazione in base alla quale si evince che la situazione patrimoniale delle società
partecipanti non richiede specifiche garanzie a tutela dei creditori legittimati a fare opposizione.
Anche il tribunale può disporre che la fusione abbia efficacia immediata qualora ritenga infondato il
pregiudizio per i creditori o previa prestazione di idonea garanzia da parte delle società. La legge però
attribuisce il potere di opposizione solo ai creditori anteriori alla attuazione della pubblicità della
fusione sulla base della considerazione che i creditori posteriori, essendo a conoscenza del progetto di
fusione, hanno sicuramente valutato le conseguenze di una concessione di credito alla società. Il potere
di opposizione spetta quindi a tutti i creditori anteriori e quindi anche agli obbligazionisti delle società
partecipanti salvo che la fusione sia stata approvata dalla loro assemblea particolare (e ai possessori di
obbligazioni convertibili viene concesso come si è detto il diritto di conversione).
309) continua – l’atto di fusione - Il procedimento di fusione si chiude con la stipulazione dell’atto di
fusione che deve avere la forma di atto pubblico e deve essere depositato (a cura degli amministratori
o del notaio) presso il registro delle imprese del luogo dove ha sede la società incorporante o la società
che risulta dalla fusione. L’atto di fusione ha effetto estintivo e costitutivo in quanto in base ad esso le
società che si fondono cessano di esistere e al tempo stesso sorge una nuova società o si modifica
l’organizzazione della società incorporante che assorbe in se le organizzazioni delle società
incorporate. In base all’atto di fusione i soci delle società estinte diventano soci della società nuova o
della società incorporante e ad essi vengono assegnate partecipazioni in base al rapporto di cambio
indicato nel progetto di fusione, e il patrimonio delle società estinte forma il patrimonio della nuova
società o viene a far parte del patrimonio della società incorporante. Gli effetti si producono,
trattandosi di pubblicità costitutiva, al momento del completamento degli adempimenti pubblicitari
previsti anche se è ammessa una limitata retroattività (e limitata ad alcuni aspetti) degli effetti della
fusione. La pubblicità ha anche efficacia sanante in quanto la legge esclude che la invalidità dell’atto di
fusione possa essere dichiarata dopo la sua iscrizione nel registro delle imprese fermi restando gli
eventuali diritti al risarcimento dei danni derivanti dalla fusione stessa.
310) Caratteri e struttura della scissione – Anche per la scissione la legge prevede una disciplina
particolare e articolata, modellata anche in esecuzione di direttive comunitarie. La legge prevede sia
l’ipotesi della scissione totale che quella della scissione parziale (o scorporazione) che possono
operare entrambe sia nella forma della scissione in senso stretto che in quella di scissione per
incorporazione. Con la scissione totale l’intero patrimonio di una società viene assegnato ad una o più
altre società, preesistenti o di nuova costituzione mediante l’assegnazione delle relative partecipazioni
ai soci della prima,. Con la scissione parziale (o scorporazione) la società può assegnare ad un’altra o
ad altre società, preesistenti o di nuova costituzione, parte del suo patrimonio assegnando le relative
partecipazione ai propri soci. Vediamo quindi come nel caso di scissione in senso stretto (ossia
quando le società beneficiarie sono di nuova costituzione) una società mediante un atto unilaterale
può costituire un’altra società, ipotesi che comunque viene ammessa anche in via generale (come
abbiamo visto) per la costituzione di una società per azioni o di una società a responsabilità limitata.
Tuttavia anche se l’operazione ha una struttura unilaterale essa ha in comune con l’altra ipotesi di
scissione il fatto di riflettersi sulla posizione dei soci mediante l’attribuzione ad essi delle
partecipazioni della società beneficiaria e per tale motivo mantiene un significato pluripersonale.
311) Il procedimento di scissione - La disciplina del procedimento di scissione è in gran parte
modellata su quella della fusione grazie ad una norma che contiene il rinvio a molte delle norme fissate
per la fusione. Abbiamo quindi anche in questo caso l’esigenza del progetto di scissione, redatto
secondo i criteri fissati per il progetto di fusione e anch’esso oggetto di controllo da parte di soggetti
esterni. E’ previsto inoltre anche il meccanismo di tutela dei creditori basato sul loro diritto di
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opposizione. Anche la scissione è preclusa alle società in liquidazione che abbiano iniziato la
distribuzione dell’attivo. Sono previste però alcune regole particolari riferite ai rapporti trai soci e ai
rapporti con i creditori, soprattutto in considerazione del fatto che la scissione può non coinvolgere
l’intero patrimonio sociale. Per quanto riguarda i soci i criteri di assegnazione delle partecipazioni
nelle società beneficiarie possono essere basati su criteri diversi da quelli di proporzionalità ma viene
riconosciuto ai soci che non hanno approvato la scissione il diritto di far acquistare le proprie
partecipazioni ad un soggetto indicato nel progetto di scissione per un corrispettivo determinato sulla
base dei criteri previsti per il recesso. Nel caso di scissione parziale inoltre può essere previsto, con il
consenso di tutti i soci, che ad alcuni soci vengano assegnate partecipazioni non delle società
beneficiarie ma solo della società scissa. Per quanto riguarda la tutela dei creditori fermo restando il
riconoscimento ad essi di un diritto di opposizione la legge stabilisce la responsabilità solidale di tutte
le società per i debiti della società scissa che non siano soddisfatti dalla società a carico della quale
sono stati posti con l’atto di scissione.
CAPITOLO VI COLLEGAMENTI TRA SOCIETA’ E GRUPPI
312) Collegamenti tra società - La realtà socio economica attuale è caratterizzata da numerose forme
di collegamento tra società di capitali le quali mirano in tal modo a rafforzare la loro capacità
competitiva sul mercato, Tali collegamenti possono configurarsi tra società autonome tra di loro
(partecipazioni rilevanti e società collegate) o possono realizzare un vero e proprio rapporto di
dipendenza tra una società e un’altra o più altre società (società controllate). Tutti i collegamenti
determinano il configurarsi di una posizione di potere di una società in un’altra o di una posizione di
potere reciproco tra due società ma nella posizione di controllo tale posizione di potere è tale che la
società controllante determina interamente la politica economica delle società controllate.
313) Le società collegate - Del fenomeno della partecipazione rilevante, quale situazione che impone
obblighi di comunicazione alla società ed all’organo di vigilanza ci siamo occupati a proposito delle
società quotate nei mercati regolamentati. Ci occupiamo ora invece del fenomeno delle società
collegate, fenomeno che può attuarsi solo nei rapporti tra più società (e non è quindi utilizzabile nel
caso di partecipazione da parte di una persona fisica come avviene nel caso di partecipazione
rilevante) ed assume rilievo esclusivamente ai fini della disciplina del bilancio. Sono società collegate
quelle sulle quali un’altra società esercita una influenza notevole. Secondo l’art. 2359 tale influenza si
presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti o un decimo
se la società ha azioni quotate i borsa. Nelle ipotesi di collegamento il legislatore tutela il diritto
all’informazione degli azionisti e dei terzi attraverso una serie di prescrizioni da osservarsi nella
formazione del bilancio di esercizio.
314) Le società controllate - Il controllo costituisce una particolare situazione per effetto della quale
una società è potenzialmente in grado d improntare con la propria volontà l’attività economica di
un’altra società. Questa situazione può verificarsi per cause diverse. In base all’art. 2359 cc una società
esercita il controllo su un’altra quando: a) quando possiede un numero di azioni o quote tali da
assicurare la maggioranza dei voti richiesti per le assemblee ordinarie tenute dalla società controllata
(controllo azionario di diritto) b) quando detiene una partecipazione minoritaria ma tuttavia può far
prevalere la sua volontà nell’assemblea ordinaria e quindi imprimere, attraverso la nomina di
amministratori e sindaci, l’indirizzo amministrativo alla società (controllo azionario di fatto). Tale
situazione si può verificare o perché la società controllata ha emesso azioni a voto limitato o senza
diritto di voto come le azioni di risparmio sia perché essendo il capitale della società molto frazionato
grazie al disinteresse dei piccoli azionisti è sufficiente una minoranza organizzata anche esigua per
amministrare la società e dirigerne l’attività. C) quando in virtù di vincoli contrattuali può esercitare
una influenza dominante nella vita della società controllata (controllo contrattuale). Tale situazione
può verificarsi quando sulla base di rapporti contrattuali quali il finanziamento o l’affitto di azienda
l’amministrazione della società è affidata al finanziatore o all’affittuario. Inoltre occorre tenere
presente che una società può essere controllata indirettamente quando è sotto il controllo di una
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società controllata direttamente. Pertanto ai fini della individuazione di una situazione di controllo
occorre tenere conto anche dei voti spettanti a società direttamente controllate o a società fiduciarie e
non devono trascurarsi le conseguenze connesse ad eventuali partecipazioni a sindacati di voto.
(controllo da sindacato)
315) Conseguenze della posizione di controllo - Il collegamento tra le società può essere unilaterale o
reciproco a seconda che sia solo la controllante a partecipare al capitale della società controllata o che
invece anche questa partecipi (sia pure con i limiti fissati dalla legge) al capitale della controllante. Nel
primo caso si pongono problemi che riguardano esclusivamente la società controllata mentre nel
secondo i problemi riguardano anche la società controllante. Per quanto riguarda questo secondo caso
il legislatore, per evitare che gli amministratori della controllante si avvalgano delle azioni della
società controllante in possesso della controllata per influenzare le deliberazioni dell’assemblea, ha
posto il principio per cui la società controllata non può esercitare il diritto di voto nella assemblea
della controllante. Per quanto riguarda il primo caso e quindi i problemi che si pongono in relazione
alla società controllata il legislatore deve contemperare due diverse esigenze: da un lato il fatto che
deve essere consentito alle società che fanno parte dello stesso gruppo il compimento degli atti
necessari all’interesse del gruppo stesso e dall’altro il fatto di evitare che si approfitti della posizione di
controllo per sacrificare l’interesse degli azionisti estranei al gruppo che, nell’ipotesi di controllo di
fatto, possono essere addirittura la maggioranza. A tale scopo è posta sia la disciplina generale del
conflitto di interessi che la disciplina dettata per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio circa le operazioni con parti correlate, tra le quali rientrano anche le operazioni poste in essere
tra società appartenenti allo stesso gruppo. Per queste operazioni la disciplina prevede oltre a specifici
obblighi di comunicazioni al mercato, un particolare ruolo attribuito agli amministratori indipendenti
che devono esprimere per le operazioni più rilevanti un parere che può essere anche vincolante e che
il consiglio di amministrazione di società quotate sottoposte a controllo da parte di altra società deve
essere composto in maggioranza da amministratori indipendenti.
316) continua – la disciplina della attività di direzione e coordinamento di società- Inoltre l’art. 2497
cc fissa una disciplina generale applicabile in tutti i casi di esercizio da parte di una società di una
attività di direzione e coordinamento di un’altra società, disciplina che si sovrappone e assorbe quella
fissata in tema di conflitto di interessi. In primo luogo l’art. 2497 pone, a pena di invalidità, la necessità
di motivazione delle decisioni della società soggetta al controllo che risultano influenzate dalla attività
di direzione da parte della controllante. Su tali operazioni inoltre gli amministratori hanno l’obbligo di
riferire con periodicità trimestrale all’organo di controllo. In secondo luogo l’art. 2497 detta una serie
di disposizioni in materia di responsabilità nell’ipotesi in cui la società che esercita l’attività di
direzione ponga in essere, nell’interesse proprio o altrui, comportamenti contrari alla corretta
gestione imprenditoriale delle società ad essa sottoposte. In questo caso l’art. 2497 afferma la
responsabilità della società che esercita l’attività di direzione nei confronti sia dei soci delle società
controllate per il pregiudizio arrecato al valore della loro partecipazione che dei creditori delle stesse
società per la lesione cagionata al patrimonio della società. Tale responsabilità è però esclusa qualora
il pregiudizio sia venuto meno valutando non solo l’operazione messa in essere ma il risultato
complessivo dell’attività di direzione e coordinamento. In questo modo la legge non considera ai fini
della responsabilità il singolo comportamento o la singola operazione ma il valore complessivo
dell’attività di direzione e coordinamento. Per tale motivo, a differenza dalla disciplina dettata in tema
di conflitto di interessi, la tutela offerta dall’art. 2497 non si pone in termini di invalidità dell’atto ma
su un obbligo di risarcimento nei confronti dei soci e dei creditori ai quali è concesso di agire
direttamente nei confronti della società che esercita l’attività di direzione e coordinamento e quindi
nei confronti della controllante. L’art. 2497 inoltre prevede una responsabilità solidale con la società
controllante sia di chi ha comunque preso parte al fatto lesivo che di chi ne ha tratto consapevolmente
un beneficio, chiaramente nei limiti del vantaggio conseguito, e anche in questo caso comunque non è
rilevante il danno derivante dalla singola operazione ma quello che deriva dall’attività di direzione
complessivamente considerata. La tutela accordata dall’art. 2497 inoltre non si esaurisce nella
previsione della responsabilità da esercizio scorretto dell’attività di direzione e coordinamento ma
122
pone anche altri principi riguardo sia i soci che i creditori sociali. Per quanto riguarda i soci sono
previste specifiche ipotesi di recesso,, ad esempio quando la società che esercita l’attività di direzione
o coordinamento abbia cambiato il suo scopo sociale (a seguito di una trasformazione eterogenea) o
abbia modificato il suo oggetto sociale in modo da alterare in modo sensibile le condizioni economiche
e patrimoniali della società controllata . Per quanto riguarda invece i creditori l’art. 2497 prevede che
qualora siano stati accordati finanziamenti alla società controllata dalla controllante in un momento in
cui la società controllata era in una situazione finanziaria tale da rendere più ragionevole un
conferimento, il loro rimborso è postergato alla soddisfazione degli altri creditori sociali e se avvenuto
nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento, deve essere restituito. La legge inoltre richiede
specifici adempimenti pubblicitari volti a segnalare a tutto il mercato il fatto di essere soggetti ad una
attività di direzione e coordinamento e quindi l’appartenenza ad uno stesso gruppo. Infatti a tale scopo
la società deve indicare negli atti e nella corrispondenza la società che esercita nei suoi confronti
l’attività di direzione e deve iscriversi in un apposita sezione del registro delle imprese .Inoltre la
società soggetta al controllo deve esporre nella nota integrativa un prospetto riportante i dati
essenziali dell’ultimo bilancio approvato dalla società che esercita l’attività di direzione in questione.
Nelle nota integrativa deve essere indicato anche l’effetto che l’attività di direzione e coordinamento
ha avuto sull’esercizio dell’impresa e sui suoi risultati.
317) Responsabilità per le obbligazioni delle singole società - Alcuni giuristi hanno sostenuto la
responsabilità della società controllante per le obbligazioni sociali assunte dalle società controllate
nell’esercizio della loro attività di impresa sulla base del concetto del cosiddetto imprenditore occulto,
per cui imprenditore deve considerarsi la società controllante e su questa deve pertanto ricadere la
responsabilità che la legge fa derivare dall’esercizio della attività di impresa. Tuttavia la dottrina e la
giurisprudenza sono di parere opposto in quanto escludono, salvo casi eccezionali una responsabilità
di questo tipo e del resto lo stesso legislatore non afferma la responsabilità ella società controllante
per le obbligazioni delle società controllate. Infatti anche la tutela risarcitoria offerta dall’art. 2497 ai
creditori sociali direttamente nei confronti della controllante presuppone che di tali obbligazioni
risponda appunto solo la controllata e non la controllante. Un ulteriore dibattito è stato sollevato dalla
interpretazione del decreto legislativo 270 del 1999 relativo alla amministrazione controllata delle
imprese in stato di insolvenza, per il quale nei casi di direzione unitaria delle imprese de gruppo gli
amministratori della società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli
amministratori della società dichiarata insolvente dei danni cagionati alla società stessa in
conseguenza delle direttive impartite. E’ evidente la diversa impostazione di tale disposizione rispetto
all’art. 2497 cc. Infatti quest’’ultimo consente ai soci e a i creditori della controllata prima ancora che
alla controllata stessa di agire direttamente in primo luogo nei confronti della società controllante e
solo eventualmente (e quindi solo se abbiano preso parte al fatto lesivo) ai suoi amministratori e a
quelli della controllata. Il decreto legislativo n. 270 invece coinvolge invece direttamente gli
amministratori della società controllante nella responsabilità degli amministratori della società
controllata. Parte della dottrina ritiene che tale decreto non debba essere limitato alla sola ipotesi di
amministrazione straordinaria ma possa avere una applicazione generale anche al di fuori di questa
ipotesi. Tale tesi non è però da condividere in quanto si deve ritenere che l’art. 2497 debba applicarsi
alle società non sottoposte a procedura concorsuale mentre il decreto legislativo n. 270 ha lo scopo di
adattare la regola generale posta dall’art. 2497 ai problemi tipici delle procedure concorsuali.
318) Il gruppo di imprese - Il gruppo di società è la forma di organizzazione caratteristica delle grandi
o medio grandi imprese del nostro tempo. Infatti quando l’impresa raggiunge consistenti dimensioni
estendendo la sua azione su vasti mercati assume la configurazione di una pluralità di società operanti
sotto la direzione unificante di una società capogruppo o holding. A ciascuna delle società che
compongono il gruppo corrisponde un distinto settore di attività o una distinta fase del processo
produttivo ma le azioni di ciascuna di queste società appartengono in tutto o in maggioranza ad
un’altra società, la società holding, cui spettano pertanto la direzione e il coordinamento dell’intero
gruppo. Il primo dei vantaggi che si conseguono deriva dalla distinta soggettività giuridica delle società
operanti sotto il controllo della holding. In linea di principio infatti questa è terza rispetto ai rapporti
123
giuridici posti in essere dalle società controllate per cui i loro creditori non hanno titolo per invocare la
responsabilità patrimoniale della holding. La scomposizione dell’impresa in una pluralità di società
raggiunge estremi limiti quando si diversificano, facendone oggetto di separate società, le due
fondamentali funzioni imprenditoriali, l’attività di direzione da un lato e l’attività di produzione e
scambio dall’altra. In questo caso la holding non svolge alcuna attività di produzione e scambio e si
limita a dirigere le società del gruppo. Dei gruppi di società il codice civile si occupava prima della
riforma del 2003 sotto un aspetto limitato in quanto considerava all’art. 2359 solo il rapporto di
controllo azionario o contrattuale esistente tra società holding e società operative. La riforma ha
invece dato rilievo con gli art. da 2497 a 2497 sexies, a quella attività di direzione e coordinamento di
società cui il controllo è di solito preordinato e che lo fa presumere fino a prova contraria. Infatti l’art.
2497 sexies stabilisce che fino a prova contraria si deve presumere che l’attività di direzione e
coordinamento di società sia esercitata dalla società tenuta al consolidamento dei loro bilanci o che
comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359 codice civile (controllo interno di diritto e di fatto e
controllo esterno di fatto come visto sopra). Secondo l’art. 2497 l’attività di direzione e coordinamento
deve esercitarsi nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale realizzando
un contemperamento equo tra gli interessi del gruppo e delle società che vi partecipano. In caso
contrario la società capogruppo che in violazione di tali principi abbia perseguito un interesse proprio
o altrui sarà direttamente responsabile nei confronti dei soci della società danneggiata per il
pregiudizio arrecato al valore della loro partecipazione sociale e nei confronti dei creditori della stessa
per la lesione arrecata al patrimonio della società. La lesione dei diritti dei soci e dei creditori della
controllata è fonte di responsabilità aquiliana (extracontrattuale) della controllante solo se
conseguenza alla cattiva gestione di questa. Trattandosi di responsabilità da fatto illecito incomberà
sui danneggiati l’onere di provare la colpa della holding e il rapporto di causalità tra colpa e danno.
Problemi particolari si pongono quando si determina una crisi di gruppo nel caso in cui la crisi
coinvolga solo alcune imprese del gruppo. In questo caso sono possibili due vie: o attuare la disciplina
del gruppo e quindi fa gravare la conseguenza della crisi su tutte le imprese del gruppo o tenere conto
dell’autonomia giuridica delle varie imprese e quindi tenere distinte le imprese in crisi da quelle che
non lo sono. E’ ovvio che se ci poniamo dal punto di vista dei creditori può sembrare assurdo
coinvolgere nella crisi imprese che in crisi non sono ma dal punto di vista del gruppo può apparire
giustificato attuare, pur in presenza della crisi, operazioni di riequilibrio necessarie in funzione della
politica unitaria di gruppo anche a rischio di porre in crisi la singola impresa che in crisi non è. Inoltre
se si muove dall’idea di unitarietà di gruppo e della necessità di una ristrutturazione di gruppo un
coinvolgimento in questa attività anche delle imprese non in crisi appare inevitabile.
320) Il gruppo creditizio - Una particolare disciplina per il fenomeno di gruppo è prevista dal testo
unico bancario per il gruppo creditizio. Infatti nell’ipotesi di situazione di crisi è posta una disciplina
per cui se la crisi è circoscritta a singole società del gruppo ciascuna resta soggetta alla disciplina sua
propria mentre nel caso in crisi sia la capogruppo la procedura di amministrazione straordinaria è
estensibile alle società del gruppo per cui ne ricorrano i presupposti, mentre invece nel caso di crisi di
una società del gruppo capace di alterare l’equilibrio del gruppo nel suo complesso è possibile
sottoporre la capogruppo ad una procedura di amministrazione straordinaria. Ne consegue una
fondamentale distinzione tra le situazioni di crisi che riguardano il gruppo in quanto tale e quelle che
si esauriscono con riferimento alla singola società interessata.
321) Il bilancio consolidato di gruppo e i rapporti con società estere – Il fenomeno di gruppo
comporta una duplicazione di valori in quanto lo stesso bene può essere valutato due volte, una volta
nella sua effettività e un’altra volta attraverso la partecipazione sociale che economicamente lo
rappresenta. Pertanto a garanzia dei terzi si crea la necessità di redigere il bilancio consolidato di
gruppo e cioè di un bilancio in cui sia rappresentata la situazione economica, patrimoniale e
finanziaria dell’intero gruppo sulla base dei dati ricavati dai bilanci delle singole società. Il bilancio
consolidato è soggetto alla disciplina posta dal decreto legislativo del 1991 che recepisce le direttive
comunitarie in materia. La disciplina stabilisce innanzitutto i soggetti che sono tenuti alla redazione
del bilancio consolidato (società di capitali, entri pubblici economici, mutue assicuratrici e società
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cooperative) e considera le sole società controllate tramite il possesso di partecipazioni escludendo
così le ipotesi di controllo contrattuale. La legge stabilisce anche i criteri che il bilancio consolidato
deve seguire che consistono nella ripresa integrale nel bilancio consolidato degli elementi del passivo
e dell’attivo e del conto economico dei bilanci delle società incluse nel consolidamento prevedendo,
per evitare duplicazione, l’eliminazione da esso delle partecipazioni in queste imprese e delle
operazioni effettuate tra le stesse. Il bilancio consolidato si compone al pari del bilancio di esercizio di
un conto patrimoniale, di un conto economico, e di una nota integrativa cui deve essere allegata una
relazione degli amministratori. Tuttavia esso ha una funzione solo informativa e non quella (tipica del
bilancio di esercizio) di accertare i risultati dell’attività per i conseguenti provvedimenti dei soci. Per
tale motivo pur essendo soggetto a revisione legale la legge non prevede che debba essere approvato
da parte dei soci. E’ inoltre previsto un obbligo per le società controllate di trasmettere
tempestivamente all’impresa controllante le informazioni necessarie per la redazione del bilancio
consolidato. Inoltre il bilancio consolidato delle società con azioni quotate o diffuse tra il pubblico in
maniera rilevante, delle banche, assicurazioni e intermediari finanziari deve essere redatto in
conformità ai principi contabili internazionali (cosa che per le altre società è facoltativa). Infine sono
poste esigenze particolari in ipotesi di controllo o collegamento tra società italiane con azioni quotate
e società straniere il cui ordinamento di appartenenza non è ritenuto fornire adeguate garanzie.
Secondo la legge è compito del Ministro di Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia
individuare tali stati e stabilire i criteri per la redazione del bilancio consolidato. E’ invece compito
della Consob dettare i criteri in base ai quali è consentito alle società italiane di controllare società
degli stati così individuati. Sono previsti in questi casi speciali obblighi di trasparenza e l’applicazione
anche al bilancio della società estera dei principi della legge italiana o internazionalmente riconosciuti
TITOLO SECONDO
ASSOCIAZIONE NELL’ESERCIZIO DELL’IMPRESA
CAPITOLO I ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
322) Caratteri essenziali – L’associazione in partecipazione è un contratto con il quale una parte
(l’associante) attribuisce all’altra (associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o
più affari dietro il corrispettivo di un determinato apporto. Società è associazione in partecipazione
hanno in comune il fatto che realizzano una collaborazione patrimoniale per il conseguimento di un
lucro attraverso l’esercizio di una attività economica ma si differenziano per le diverse basi giuridiche
sulle quali si fonda la collaborazione. Nella società infatti alla comunanza dei risultati corrisponde
anche la comunanza dei mezzi e dei poteri attraverso la creazione di una organizzazione giuridica
comune in cui tutti i soci si trovano qualitativamente (anche se non quantitativamente) nella stessa
posizione. Nella associazione in partecipazione invece alla comunanza dei risultati non corrisponde
una comunanza dell’organizzazione che persegue tali risultati. Infatti la cooperazione si attua solo con
il trasferimento dall’associato all’associante dell’apporto (costituito da denaro o beni). L’associante
acquista la proprietà e la disponibilità dell’apporto e la gestione dell’impresa spetta solo a lui senza che
l’associato possa interferire, spettando a quest’ultimo solo un potere di controllo a tutela della
partecipazione agli utili che gli è stata attribuita. Dal contratto di associazione in partecipazione
quindi non sorge alcuna organizzazione giuridica e l’apporto entra a far parte del patrimonio
dell’associante costituendo insieme agli altri beni di questo la garanzia di tutti i creditori, anche di
quelli le cui obbligazioni siano estranee all’’esercizio della impresa. I rapporti con i terzi si pongono
solo per l’associante il quale solo acquista obbligazioni nei loro confronti. L’impresa è quindi comune
solo nel senso che i risultati di essa vanno a beneficio o a carico sia dell’associante che dell’associato,
infatti sono a carico dell’associato anche le perdite, naturalmente nei limiti dell’apporto. Infatti non
solo l’associato non assume responsabilità nei confronti dei terzi ma anche nei confronti
dell’associante la sua obbligazione è limitata all’apporto e, una volta che questo sia stato versato,
l’associante non può più far valere alcun diritto nei confronti dell’associato Nonostante tali nette
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differenze talvolta può essere più difficile marcare i contorni tra società e associazione in
partecipazione. Ciò avviene nei casi della società occulta (che si ha quando l’azione sociale è attuata
all’esterno solo da uno dei soci o da un estraneo in modo tale che il rapporto sociale non appare) o
della società interna (che si ha quando la società ha rilevanza solo interna e quindi una sua azione
esterna non è nemmeno prevista). Anche in questi casi però il criterio di differenziazione rimane nella
comunione della organizzazione e della attività che è tipica della società ma non della associazione in
partecipazione. Pertanto quando l’azione esterna pur essendo attuata da una sola persona è
determinata dalla cooperazione di tutti i partecipanti e quando i beni per mezzo dei quali si opera sono
considerati di proprietà comune siamo in presenza di una società anche se tale situazione non appare
esternamente con la conseguenza che le norme in tal caso applicabili sono quelle delle società. Quando
invece l’azione è di pertinenza di uno solo dei partecipanti e per effetto dell’apporto l’altro
partecipante acquista solo un diritto di partecipazione ai risultati dell’attività attuata individualmente
allora siamo in presenza di una associazione in partecipazione.
323) L’associazione in partecipazione come contratto di collaborazione - L’associazione in
partecipazione è un contratto associativo di collaborazione e non un contratto di scambio in quanto
l’apporto non è altro che un mezzo con cui l’associato collabora con l’associante per lo svolgimento di
una attività e non il corrispettivo di una attribuzione patrimoniale da parte dell’associante
all’associato. Appunto perché è un contratto di collaborazione l’associato partecipa alle perdite oltre
che agli utili anche se tali perdite gravano su di lui solo nel limite dell’apporto. Tale limite è posto in
funzione del fatto che l’associato non partecipa alla gestione in maniera simile a quanto avviene per
l’accomandante nella società ad accomandita per azioni. Appunto perché è un contratto di
associazione l’associazione in partecipazione può essere esteso anche ad altri partecipanti purchè ci
sia il consenso dei precedenti associati e assumono rilievo l’oggetto e lo scopo dell’associazione più che
la natura dei beni apportati tanto è vero che il contratto rimane identico sia se l’apporto consiste in
una somma di denaro, sia se consiste in beni sia se consiste nella prestazione d’opera da parte
dell’associato.
324) La posizione dell’associante - La gestione dell’impresa (o affare) è di competenza esclusiva
dell’associante sul quale solo ricade la responsabilità per gli atti compiuti e pertanto i terzi non
possono far valere alcuna pretesa nei confronti dell’associato che rimane obbligato solo verso
l’associante e solo nei limiti dell’apporto. Solo in via surrogatoria quando ne esistono gli estremi i
creditori dell’associante possono far valere nei confronti dell’associato il credito di apporto. Il fatto
che la gestione sia di competenza esclusiva dell’associante non esclude che l’associato possa svolgere
una attività nell’impresa purchè ciò avvenga sotto la direzione dell’associante che può conferire
all’associato anche poteri di rappresentanza dell’impresa. Abbiamo quindi una differenza rispetto alla
società in accomandita dove l’esclusione dell’accomandante dalla gestione dell’impresa è una
caratteristica essenziale del tipo di società e pertanto la sua eventuale ingerenza contrasterebbe con le
basi essenziali della società stessa. Nel caso della associazione in partecipazione invece essendo
l’impresa di esclusiva pertinenza dell’associante nulla esclude che egli possa delegare i suoi poteri
all’associato nell’esercizio della impresa. L’associante deve osservare nella gestione della impresa la
normale diligenza del mandatario e non può deviare i beni aziendali dalla loro destinazione senza il
consenso dell’associato e deve consentire all’associato i controlli previsti nel contratto. L’associante
non può inoltre modificare, senza il consenso dell’associato, l’oggetto della impresa (o l’affare) e non
può interrompere arbitrariamente l’esercizio dell’impresa o l’affare.
325) La posizione dell’associato - In base alla legge l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare o
della gestione dell’impresa e in questa sede può esercitare il suo controllo sulle operazioni compiute. Il
contratto però può prevedere un controllo più intenso da parte dell’associato e quindi può stabilire
l’obbligo per l’associante di dare notizia all’associato sullo svolgimento dell’attività o il diritto
dell’associato di esaminare i documenti relativi all’amministrazione. La legge stabilisce che la misura
della partecipazione dell’associato alle perdite deve corrispondere alla misura della sua partecipazione
agli utili anche se le parti, entro certi limiti, possono modificare tale proporzione. La legge però
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stabilisce che il patto per cui l’associato sia escluso dagli utili o dalle perdite è invalido così come
esclude che la partecipazione alle perdite possa superare il limite dell’apporto.
326) Lo scioglimento dell’associazione in partecipazione – La legge non stabilisce le cause di
scioglimento dell’associazione in partecipazione e quindi esse devono essere ricavate dalla disciplina
dei contratti associativi. Sono pertanto cause di scioglimento il compimento dell’affare, la
realizzazione dell’oggetto della associazione l’impossibilità di compiere l’affare o di conseguire
l’oggetto della associazione, la scadenza del termine (se l’associazione è a tempo determinato) o il
recesso (se il contratto è a tempo indeterminato), il fallimento dell’associante o il recesso per giusta
causa. Nel recesso per giusta causa possono comprendersi le ipotesi di inadempimento da parte di
associante o associato e il fatto che l’esercizio produca perdite tali da non consentirne la prosecuzione.
Tale ultima causa vale ovviamente solo per l’associante in quanto l’associato ha liberamente assunto,
con il contratto, il rischio di perdere l’apporto mentre l’associante rispondendo delle perdite con tutto
il suo patrimonio, ha il diritto di recedere dal contratto in caso di perdite rilevanti. Per quanto
riguarda il caso di morte, interdizione o inabilitazione dell’associante non dovrebbe attuarsi
automaticamente lo scioglimento del contratto nel caso in cui l’esercizio dell’impresa sia continuato
dagli eredi o dal rappresentante legale. Tuttavia in questi casi è riconosciuto all’associato il diritto di
recesso per giusta causa qualora la situazione sia tale da far venir meno il rapporto di fiducia che è
elemento caratteristico di questo contratto.
327) Liquidazione dei rapporti tra associato e associante – Allo scioglimento del contratto non segue
(come per le società) una fase di liquidazione anche se devono essere regolati i rapporti tra associante
e associato. L’associato ha il diritto alla restituzione dell’apporto incrementato degli utili non percepiti
o diminuito delle perdite subite. Se l’apporto ha per oggetto beni la restituzione non comporta
restituzione del bene ma restituzione del valore corrispondente. In mancanza quindi di accordi
particolari ‘in questo caso l’associante ha diritto solo alla restituzione di una somma corrispondente ai
beni da lui apportati. La liquidazione della quota deve avvenire immediatamente e quindi l’associato
non deve attendere la liquidazione dell’impresa da parte dell’associante.
328) Contratti affini- Accanto alla associazione in partecipazione la legge regola con la stessa
disciplina alcuni altri contratti simili. Si tratta di a) contratto di cointeressenza agli utili di una impresa
senza partecipazione alle perdite. Questo contratto avviene nei rapporti di finanziamento dove in
aggiunta o in sostituzione dell’interesse, viene attribuita al finanziatore una percentuale sugli utili
della impresa. La somiglianza con il contratto di associazione sta nel fatto che unico gestore
dell’impresa e responsabile nei confronti dei terzi è colui che concede la cointeressenza mentre il
cointeressato ha gli stessi diritti di controllo che spettano all’associato. La differenza sta invece nel
fatto che il cointeressato ha diritto alla restituzione integrale dell’apporto anche in ipotesi di perdita.
La natura di questo contratto tuttavia è quella di contratto di credito mentre l’associazione in
partecipazione ha natura di contratto associativo. B) il contratto di partecipazione agli utili concluso
con i prestatori di lavoro - La partecipazione agli utili può costituire la totalità o parte della
remunerazione dovuta ai prestatori di lavoro. C ) il contratto di compartecipazione agli utili o alle
perdite di una impresa senza apporto – Questa situazione si verifica tra imprese concorrenti allo scopo
di ripartire i rischi o può verificarsi per lo stesso scopo dell’associazione in partecipazione senza
esborso di apporto ma solo con la assunzione dell’obbligazione a sopportare le perdite qualora si
verifichino. In questo ultimo caso si tratta comunque di una associazione in partecipazione anche in
mancanza dell’apporto.
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Parte Terza – La crisi economica dell’impresa
Capitolo I – Aspetti giuridici della crisi economica
329) Crisi economica e tutela dei creditori: le procedure concorsuali - Come ogni organismo
economico anche l’impresa può entrare in crisi e di fronte alla crisi la legge interviene con particolari
norme solo quando essa determina anche la crisi dell’imprenditore e cioè uno squilibrio tra passività e
attività di modo che le seconde non sono più sufficienti a pareggiare le prime. Tali norme sono
contenute nella cosiddetta legge fallimentare emanata nel 1942 ma profondamente modificata da leggi
successive. La funzione tradizionale della legge fallimentare è quella di garantire la par condicio
creditorum e cioè un uguale regolamento di tutte i rapporti che fanno capo all’imprenditore (salve
naturalmente le cause legittime di prelazione) attraverso la vendita di tutti i beni dell’imprenditore. Si
deve dire che la par condicio creditorum potrebbe attuarsi anche al di fuori della legge, attraverso un
contratto tra l’imprenditore e tutti i creditori, con l’istituto della cessione dei beni ai creditori
attraverso il quale si potrebbe realizzare su basi contrattuali e al di fuori dell’intervento dell’autorità
giudiziaria lo stesso risultato che si otterrebbe con le procedure della legge fallimentare. Infatti in base
a tale istituto i creditori devono ripartire tra di loro le somme ricavate dalla vendita in proporzione dei
rispettivi crediti salvo le cause di prelazione. Tuttavia l’applicazione di tale istituto richiede per poter
essere realizzato il consenso di tutti i creditori in quanto i creditori che non avessero partecipato al
contratto hanno il diritto ad agire esecutivamente sui beni del debitore vanificando così il risultato che
si voleva ottenere attraverso la cessione dei beni. Per tale motivo è necessario che la legge
predisponga particolari procedure, dette procedure concorsuali, attraverso le quali, con l’intervento di
una pubblica autorità, è possibile realizzare il soddisfacimento paritetico di tutti i creditori senza la
necessità di un loro consenso. Tali procedure sono infatti autoritativamente imposte e riguardano tutti
i creditori e tutti i beni del debitore essendo obbligatorie per tutti. Le procedure concorsuali sono
diverse, a seconda della gravità della crisi dell’ìmprenditore, ma hanno in comune il carattere della
concorsualità, in quanto riguardano tutti i creditori, e della universalità in quanto riguardano tutti i
beni del debitore e tutte consentono identiche garanzie per i creditori. Nel tempo tuttavia, accanto alla
finalità tradizionale della par condicio creditorum, si è affiancata anche l’esigenza di consentire, per
quanto possibile, la conservazione dell’impresa e il proseguimento delle attività produttive. Per tale
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motivo il legislatore è intervenuto istituendo una nuova procedura, quella dell’amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, con il decreto legislativo n, 270 del 1999. Con
tale istituto, che si applica solo alle imprese di significative dimensioni, l’accertamento della situazione
di insolvenza non provoca automaticamente il fallimento ma l’apertura di una istruttoria preliminare
che deve verificare la sussistenza di concrete possibilità di recupero dell’impresa. Se tale istruttoria dà
esito negativo si arriva alla dichiarazione di fallimento mentre in caso inverso si apre la procedura
della amministrazione straordinaria. Con tale istituto quindi alla finalità di assicurare la par condicio
dei creditori si affianca anche quella di salvaguardare il complesso produttivo della impresa che,
magari con un nuovo imprenditore, potrebbe riacquistare la normale produttività. Questa nuova
esigenza si sta allargando anche a tutte le procedure concorsuali in generale in quanto le recenti
riforme hanno ampliato le possibilità di esercizio provvisorio dell’impresa e hanno cercato di favorire
la vendita in blocco dei beni dell’imprenditore al posto della vendita dei singoli beni cui si ricorre solo
quando sia prevedibile che la vendita in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori.
330) Ambito di applicazione e fondamento delle procedure concorsuali – Le procedure concorsuali
sono applicabili a tutti gli imprenditori, ad eccezione dei piccoli imprenditori e degli enti pubblici.
Inoltre la legge fallimentare esclude l’applicazione delle procedure di fallimento e concordato
preventivo nei confronti di imprenditori che, pur non potendosi qualificare come piccoli ai sensi del
codice civile, dimostrino di non superare le tre seguenti soglie previste dalla legge: e quindi di a) aver
avuto nei tre esercizi precedenti la data del deposito dell’istanza del fallimento un attivo patrimoniale
non superiore a 300.000 euro b) di aver realizzato nello stesso periodo ricavi lordi non superiori a
200.000 euro c) di avere attualmente un ammontare di debiti non superiore a 500.000 euro. La legge
fallimentare inoltre parla espressamente di imprenditori commerciali escludendo così l’applicazione
delle procedure concorsuali agli imprenditori agricoli ma abbiamo visto in precedenza come l’impresa
possa trovare applicazione solo nel campo della agricoltura industrializzata e come secondo il nuovo
art. 2135 cc l’impresa agricola non è altro che una impresa industriale operante nel campo
dell’agricoltura. Le procedure concorsuali, inoltre, pur essendo poste con riferimento all’impresa,
riguardano la persona dell’imprenditore e quindi il concorso viene attuato da parte di tutti i creditori
dell’imprenditore anche se i loro diritti non nascono dall’esercizio dell’attività di impresa e riguardano
tutti i beni dell’imprenditore anche se non appartengono al complesso aziendale. Se pertanto lo stato
di insolvenza riguarda la situazione patrimoniale complessiva dell’imprenditore deve necessariamente
sussistere anche in relazione ai rapporti inerenti l’impresa ed è sotto questo profilo che l’insolvenza
dell’imprenditore diviene rilevante per la legge. Occorre anche dire che per l’applicazione delle
procedure concorsuali la legge non richiede l’esercizio attuale di una impresa essendo sufficiente solo
che tale attività vi sia stata purché la situazione di insolvenza dell’imprenditore abbia la sua origine nei
rapporti dipendenti dall’esercizio dell’impresa. Pertanto la legge ammette il fallimento
dell’imprenditore che abbia cessato l’impresa o dell’imprenditore defunto purché l’’insolvenza abbia
un nesso con l’esercizio dell’impresa e si sia manifestata entro un anno dalla cancellazione dal registro
delle imprese o dalla morte dell’imprenditore.
331) Rapporto tra le diverse procedure concorsuali - Le procedure concorsuali originariamente
previste erano il fallimento, il concordato preventivo, l’amministrazione controllata e la liquidazione
coatta amministrativa. Successivamente è stata abrogata l’amministrazione controllata ed è stata
introdotta, come abbiamo detto, l’amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di
insolvenza. Le cause della abrogazione della amministrazione controllata stanno nel fatto che la sua
finalità di risanamento dell’impresa è ora comune all’intero sistema delle procedure concorsuali e nel
fatto che essa ha rivelato nel corso del tempo una certa inefficienza. L’amministrazione controllata era
un mezzo per dare all’impresa il tempo di recuperare il suo equilibrio e veniva concessa quando
l’imprenditore era in uno stato di insolvenza reversibile purché potesse dimostrare che nell’arco di un
biennio potesse riequilibrare l’impresa. Essa si caratterizzava per l’imposizione di un controllo nella
gestione della impresa e nell’amministrazione dei beni consentendo al debitore una dilazione nei
pagamenti per un periodo non superiore a due anni. Presupposti dell’applicazione di tale procedura
erano che l’imprenditore si trovasse in uno stato di temporanea difficoltà e che vi fossero concrete
129
possibilità di risanare l’impresa. Si spiega quindi come essendo oggi comune anche alle altre
procedure l’obiettivo del risanamento non era necessario conservare tale procedura che comunque
non aveva avuto successo nel tempo in quanto nella maggior parte dei casi sfociava nella dichiarazione
di fallimento mentre negli altri casi, quando si trattava effettivamente di difficoltà temporanee,
l’imprenditore poteva risolvere la crisi al di fuori di tale procedura attraverso accordi con i creditori.
Con l’abolizione dell’amministrazione controllata sono quindi venuti meno i problemi relativi ai suoi
rapporti con le altre procedure concorsuali e in particolare il problema se la nozione di temporanea
difficoltà dovesse ritenersi distinta rispetto alla nozione di insolvenza. Rimangono invece i problemi
relativi al rapporto del fallimento e del concordato preventivo con la liquidazione coatta
amministrativa da un lato e con l’amministrazione straordinaria dall’altro. Per quanto riguarda il
primo aspetto la legge esclude espressamente la possibilità di far ricorso al fallimento quando
l’impresa è soggetta alla liquidazione coatta amministrativa. Nel caso in cui siano ammessi sia il
fallimento che la liquidazione coatta amministrativa si applica il criterio della prevenzione e cioè viene
applicata la procedura che per prima viene disposta. Per quanto riguarda i rapporti tra concordato
preventivo e liquidazione coatta amministrativa non vi è dubbio che la liquidazione coatta preclude le
altre procedure ma vi è il dubbio se l’ammissione alla procedura di concordato preventivo precluda la
liquidazione coatta. Nel silenzio della legge si deve concludere negativamente, Per quanto riguarda i
rapporti tra fallimento e amministrazione straordinaria la questione dipende dalla verifica della
sussistenza o meno dei requisiti dimensionali e delle prospettive di risanamento che giustificano
l’amministrazione straordinaria, Pertanto nel caso che a seguito di reclamo tale verifica si dimostri
infondata il problema può risolversi nella conversione di una procedura nell’altra rimanendo salvi gli
atti nel frattempo compiuti.
Capitolo II – Il fallimento
332) Presupposti della dichiarazione di fallimento – Presupposto della dichiarazione di fallimento è
lo stato di insolvenza dell’imprenditore L’insolvenza si riferisce ad una situazione patrimoniale
deficitaria in cui il passivo supera l’attivo. Occorre però ricordare che vi può essere una situazione
patrimoniale deficitaria senza che vi sia insolvenza come ad esempio nel caso di crisi di liquidità (
l’imprenditore è a corto di denaro liquido ma nel suo attivo vi sono beni che rendono certa la
possibilità di adempiere) mentre vi può essere insolvenza senza un deficit vero e proprio (es. quando
vi sono investimenti immobilizzati che non consentono di far fronte con regolarità ai pagamenti),
Secondo la legge fallimentare l’insolvenza è uno stato di incapacità patrimoniale dell’imprenditore che
non gli consente di far fronte con regolarità alle proprie obbligazioni. Fare fronte con regolarità
significa con mezzi normali e quindi ci può essere insolvenza quando il pagamento avviene con beni
invece che con denaro e con mezzi rovinosi e cioè tali da aggravare il dissesto (es. ricorrendo
all’usuraio per pagare i debiti) Poiché i terzi non sono a conoscenza della contabilità aziendale e quindi
non sanno quale è effettivamente la situazione dell’impresa è’ necessario che l’insolvenza si manifesti
all’esterno attraverso inadempimenti o altri fatti quali la fuga, l’irreperibilità o la latitanza
dell’imprenditore, la chiusura dei locali, il trafugamento o la diminuzione fraudolenta dell’attivo. E’
anche importante ricordare che l’insolvenza è un fenomeno che riguarda il patrimonio
dell’imprenditore e non l’impresa e quindi può nascere anche per fatti estranei alla attività di impresa
(es. l’imprenditore ha una azienda sana ma si rovina per debiti di gioco). Una volta aperto il fallimento
esso investe non solo l’impresa ma tutto il patrimonio del debitore e quindi anche i beni estranei
all’impresa in quanto in base all’art. 2740 il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i
suoi beni presenti e futuri. .
333)
Potere di iniziativa a richiedere il fallimento – Secondo l’attuale disciplina hanno l’iniziativa
per la dichiarazione di fallimento: a) i creditori b) l’imprenditore (che avrebbe anzi il dovere giuridico
di richiederlo) c) il pubblico ministero solo nell’ipotesi di insolvenza risultante da fuga, irreperibilità o
latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali o sottrazione dell’attivo e quando l’insolvenza sia
segnalata dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. A differenza dalla
disciplina originaria quindi nella attuale disciplina il fallimento non può essere dichiarato d’ufficio dal
130
tribunale. La domanda di fallimento si propone tramite ricorso di uno dei soggetti legittimati visti
sopra. Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede
principale dell’impresa o la sede secondaria se la sede principale è all’estero. Se il fallimento viene
dichiarato da un tribunale incompetente la incompetenza può essere fatta valere in sede di
opposizione alla dichiarazione di fallimento ed essa, una volta accertata, comporta non la revoca della
sentenza che dichiara il fallimento ma la rimessione degli atti al giudice competente davanti al quale la
procedura prosegue. Sulla istanza per la dichiarazione di fallimento il tribunale si pronuncia con
decreto (reclamabile in appello) se ritiene che non vi siano i presupposti per la dichiarazione e con
sentenza presa in camera di consiglio se accoglie l’istanza e dichiara il fallimento .La dichiarazione di
fallimento presuppone quindi l’accertamento della qualità di imprenditore soggetto a fallimento e
dello stato di insolvenza e quindi richiede una istruttoria che è sommaria in quanto deve chiudersi in
termini molto brevi per evitare il rischio che il dissesto si aggravi ulteriormente. La legge fallimentare
disciplina questa fase istruttoria per contemperare le esigenze di giustizia con i diritti di difesa
dell’imprenditore che deve potersi difendere.. Questo processo ha però carattere inquisitorio e quindi
le prove che possono essere acquisite vengono decise del giudice d’ufficio ( non è quindi necessaria
una richiesta della parte). Il giudice può anche prendere provvedimenti cautelari a tutela dell’impresa
e del suo patrimonio che possono essere confermati nella sentenza che dichiara il fallimento o revocati
dal decreto che rigetta la relativa istanza. Diversa è la procedura nel caso l’azienda raggiunga i limiti
richiesti per l’amministrazione straordinaria. In questo caso si ha prima una sentenza adottata in
camera di consiglio previa audizione del richiedente, del debitore e del ministro per le attività
produttive con la quale si dichiara lo stato di insolvenza. In seguito vengono verificate le possibilità di
risanamento e quindi si procede con decreto motivato alla apertura della procedura della
amministrazione straordinaria o alla dichiarazione di fallimento. Se l’m,presa ha dimensioni
particolarmente significative può chiedere direttamente al ministro l’ammissione immediata alla
amministrazione straordinaria presentando contestualmente ricorso per la dichiarazione dello stato
di insolvenza al tribunale che provvede anche in questo caso con sentenza.
334) Natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento - La sentenza che dichiara il
fallimento è stata considerata da alcuni come provvedimento cautelare (in quanto pone determinate
cautele a favore dei creditori) e da altri come provvedimento esecutivo (in quanto segna l’inizio della
esecuzione collettiva sui beni) ma pur avendo entrambi questi elementi deve considerarsi come
sentenza costitutiva in quanto determina l’inizio di una situazione giuridica nuova con conseguenze
patrimoniali e personali molto più ampie di quelle determinate da un semplice provvedimento
cautelare o esecutivo. Tuttavia essa segna l’inizio della esecuzione collettiva e quindi contiene i
provvedimenti necessari a tale scopo, quali la costituzione degli organi del fallimento (nomina del
giudice delegato e del curatore) e la predisposizione dei documenti necessari per la formazione della
massa attiva e passiva (es. ordine al fallito di depositare i bilanci, le scritture contabili e l’elenco dei
creditori). La sentenza dichiarativa viene notificata al debitore, al curatore e al creditore richiedente il
giorno successivo al deposito in cancelleria e viene annotata nel registro delle imprese. I suoi effetti si
producono generalmente a partire dal deposito ma nei confronti dei terzi decorrono dall’iscrizione nel
registro delle imprese.
335) Reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento - Prima della riforma si poteva
impugnare la sentenza che dichiarava il fallimento solo mediante opposizione allo stesso tribunale che
la aveva emessa, mentre a seguito della riforma (che ha cercato di attuare una maggiore
partecipazione al procedimento del debitore), contro la sentenza è ammesso il reclamo alla corte di
appello. Tale reclamo deve essere presentato entro 30 giorni (per il debitore dalla data di
notificazione della sentenza, per gli altri dalla sua iscrizione nel registro delle imprese). Con il reclamo
si mira ovviamente ad ottenere la revoca della dichiarazione di fallimento dimostrando l’inesistenza
delle condizioni di legge necessarie e quindi l’inesistenza dello stato di insolvenza, la non
assoggettabilità dell’impresa alla procedura fallimentare, l’inesistenza del rapporto su cui la
dichiarazione si fonda. Per le imprese di grandi dimensioni inoltre può essere dimostrata la presenza
dei requisiti che avrebbero giustificato l’adozione della procedura di amministrazione straordinaria.
131
Ovviamente la situazione va esaminata con riferimento al momento in cui è stato dichiarato il
fallimento in quanto eventuali fatti sopravvenuti possono determinare solo la chiusura del fallimento e
non la revoca della dichiarazione. Il reclamo non sospende la sentenza di fallimento ma ricorrendo
gravi motivi la corte di appello può sospendere in tutto o in parte la liquidazione dell’attivo.
336) Effetti della revoca della dichiarazione di fallimento - Se il reclamo è accolto per mancanza dei
requisiti previsti dalla legge fallimentare l’accoglimento determina la revoca del fallimento e quindi il
venir meno degli effetti personali e patrimoniali che sono propri del fallimento. Restano salve e
vincolanti però le obbligazioni legalmente assunte dagli organi del fallimento. La revoca del fallimento
comporta l’obbligo per il creditore che ha proposto l’istanza al risarcimento dei danni solo se egli ha
agito con dolo o colpa grave in quanto in caso contrario, essendo il fallimento un provvedimento del
giudice e non del creditore si applicheranno i principi in tema di risarcimento di danni conseguenti a
provvedimenti del giudice. L’onere delle spese del curatore gravano sul creditore che ha proposto
istanza solo se ha agito per colpa o sul fallito persona fisica se con il suo comportamento ha dato causa
alla dichiarazione di fallimento. Se invece il reclamo si fonda sull’esistenza dei presupposti per
l’ammissione alla amministrazione straordinaria al suo accoglimento consegue la conversione della
procedura in amministrazione straordinaria alla quale provvede il tribunale con decreto.
2) Effetti della dichiarazione di fallimento
337)
Effetti della dichiarazione di fallimento – La dichiarazione di fallimento determinando una
modificazione della posizione giuridica dell’imprenditore determina effetti per il debitore fallito, per i
suoi creditori e sui rapporti giuridici pendenti
338)
Effetti nei confronti del fallito: effetti personali e patrimoniali – La dichiarazione di fallimento
comporta per il fallito effetti personali in quanto essa determina particolari incapacità e determinate
limitazioni alla libertà personale del fallito (es. obbligo di comunicare il cambiamento di residenza e di
presentarsi ad ogni richiesta agli organi del fallimento). Inoltre il fallito perde la legittimazione a stare
in giudizio, legittimazione che spetta al curatore. Gli effetti più rilevanti sono però quelli patrimoniali
in quanto con la dichiarazione di fallimento si determina il cosiddetto spossessamento del debitore. Il
debitore infatti perde il diritto di amministrare e di disporre dei beni che compongono il suo
patrimonio, beni che contestualmente vengono attribuiti al curatore (al quale spetta anche la
rappresentanza processuale) e quindi vanno a costituire un patrimonio separato destinato ad uno
scopo che è il soddisfacimento dei creditori concorsuali. Ciò avviene sia per quanto riguarda i beni
preesistenti (ossia che il fallito deteneva alla data della sentenza) sia per le utilità e i beni che il fallito
realizzi successivamente al fallimento dedotte le spese sostenute dal fallito per l’acquisto e la
conservazione di tali beni. La legge prevede però che il curatore possa rinunciare all’acquisto di beni e
utilità pervenute al fallito dopo la dichiarazione di fallimento qualora i costi per il loro acquisto siano
superiori al presumibile valore di realizzo.
339) Beni ai quali si estende lo spossessamento – Secondo la legge non possono essere compresi nel
fallimento i beni che si caratterizzano per la loro natura personale o familiare (frutti derivanti
dall’usufrutto legali sui beni dei figli, beni costituiti in un fondo patrimoniale), o per la loro funzione
alimentare o di sussistenza del fallito e la sua famiglia (redditi della propria attività nei limiti dei
bisogni della famiglia e uso della casa di abitazione). Si considerano invece nel patrimonio quei beni
che il fallito abbia alienato con atti inopponibili a terzi in quanto dalla data di dichiarazione di
fallimento il fallito non può più compiere quelle formalità necessarie per rendere opponibili ai terzi i
relativi atti (es. trascrizione di atti di vendita o di ipoteca). Restano invece esclusi dal fallimento i beni
di proprietà altrui e i beni che il fallito detenga o abbia acquistato in qualità di mandatario per conto
del mandante in quanto rispetto a tali beni è ammissibile l’azione di rivendicazione.
340) Effetti nei confronti dei creditori - La legge fallimentare stabilisce che il fallimento apre il
concorso dei creditori sul patrimonio del fallito e pertanto dopo tale data i creditori potranno chiedere
132
l’accertamento del loro credito solo attraverso le norme previste per il concorso. Inoltre dal giorno
della dichiarazione di fallimento i creditori non potranno avviare o proseguire nessuna azione
individuale, sia essa esecutiva o cautelare, sui beni compresi nel fallimento. Per quanto riguarda le
esecuzioni già avviate si determina l’assorbimento della esecuzione individuale nella procedura
concorsuale attraverso la sostituzione del curatore al creditore. Si determinano inoltre modificazioni
nella posizione dei creditori. Per quanto riguarda i creditori privilegiati il credito viene incrementato
degli interessi che continuano a maturare anche dopo la dichiarazione di fallimento fino alla vendita
del bene e questi interessi hanno anch’essi natura di crediti privilegiati. Se il creditore munito di
diritto di prelazione non si soddisfa integralmente sul bene che costituisce la sua garanzia specifica,
per il residuo ha gli stessi diritti del creditore chirografario. Per quanto riguarda invece i creditori
chirografari si pongono le seguenti modificazioni: a) la dichiarazione di fallimento sospende il decorso
degli interessi b) applicazioni di particolari criteri di valutazione per i crediti infruttiferi, per le
obbligazioni, per i crediti non pecuniari e per la rendita perpetua e vitalizia c) i debiti pecuniari non
scaduti alla data del fallimento si considerano scaduti alla data del fallimento – d) applicazioni di
particolari principi nei riguardi del creditori di più coobbligati in solido di cui solo uno sia fallito, in
relazione all’azione di regresso tra coobbligati solidali. Una disciplina particolare consente ad alcuni
debitori, pur non essendo privilegiati, di sfuggire al concorso con gli altri, Si tratta della disciplina in
materia di compensazione che prevede che i creditori hanno il diritto di compensare con i loro debiti
verso il fallito i crediti che vantano nei confronti dello stesso purché non scaduti prima della
dichiarazione di fallimento. La compensazione non può avere luogo se il creditore ha acquistato il
credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno precedente.
341) Gli atti pregiudizievoli ai creditori: il pregiudizio dei creditori nel fallimento - La finalità della
procedura concorsuale di assicurare la par condicio creditorum potrebbe essere messa in pericolo se
la legge non prevedesse la possibilità di ricostituire il patrimonio del fallito assoggettando alla
procedura concorsuale anche quei beni che ne fossero eventualmente usciti quando lo stato di
insolvenza era già determinato. Infatti nella prassi generalmente c’è un certo lasso di tempo tra il
manifestarsi della insolvenza e la dichiarazione di fallimento e in questo periodo il debitore potrebbe
compiere atti di disposizione sui propri beni al fine di ovviare alla crisi o di mascherarla, alterando in
tal modo la par condicio dei creditori. Il problema non è tipico della materia fallimentare dal momento
che il codice civile prevede l’azione revocatoria qualora il debitore sottragga beni al suo patrimonio
creando pregiudizio ai suoi creditori. Tramite l’azione revocatoria ordinaria il creditore può
ricostituire la garanzia del suo credito facendo dichiarare l’inefficacia dell’atto di vendita e quindi
attuando l’esecuzione forzata sul bene fraudolentemente sottratto anche se lo stesso non si trova più
nel patrimonio del debitore. In campo fallimentare però i problemi sono diversi in quanto la
insolvenza del debitore è rilevante non nei confronti di un singolo creditore ma nei confronti della
generalità dei creditori e inoltre la procedura fallimentare investe l’intero patrimonio del debitore e
quindi il problema non è quello di ricostituire la garanzia del creditore ma quello di ricostruire il
patrimonio. In campo fallimentare inoltre l’esigenza non è solo quella di salvaguardare gli interessi dei
creditori ma è anche quella di assicurare che ciò avvenga in coerenza con la finalità della par condicio
creditorum. Per tale motivo alla revocatoria fallimentare sono assoggettati anche atti come il
pagamento di debiti alla scadenza che sono invece sottratti alla revocatoria del codice civile in quanto
essi pur non diminuendo la consistenza del patrimonio del debitore alterano la par condicio
creditorum sottraendo valori al riparto cui tutti i creditori possono concorrere. La legge fallimentare
pertanto fissa un periodo di tempo, diverso a seconda dei soggetti che hanno compiuto l’atto o del
contenuto del fatto, entro il quale gli effetti dell’atto (compiuto nel periodo tra il manifestarsi
dell’insolvenza e la dichiarazione di fallimento) possono essere eliminati rispetto ai creditori del
fallimento, in quanto l’atto stesso viene considerato fatto in frode ad essi con presunzione iuris ed de
iure (ossia senza possibilità di prova contraria) o con presunzione iuris tanto (ossia a meno che non
risulti la ignoranza da parte del terzo della insolvenza del debitore).
342)continua – le singole categorie di atti - La materia è stata oggetto di profonde modificazioni che
hanno sottoposto l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare al termine di decadenza di tre anni
133
dalla dichiarazione di fallimento e comunque di cinque danni dal compimento dell’atto. Inoltre sono
stati esclusi dalla revocatoria fallimentare alcune categorie di atti quali i pagamenti di beni e servizi
effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei determini d’uso, le vendite e i preliminari di vendita
di immobili destinati a costituire l’abitazione principale del debitore o dei suoi parenti ed affini entro il
terzo grado purché conclusi a giusto prezzo, i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro
effettuate da dipendenti o collaboratori del fallito o i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del
debitore se posti in essere in esecuzione di un piano volto a consentire il risanamento della situazione
debitoria dell’impresa. La revocabilità degli altri atti è diversamente disciplinata a seconda della
categoria in cui il singolo atto rientra. La legge prevede le seguenti categorie di atti: a) atti a titolo
gratuito compiuti nei due anni antecedenti alla dichiarazione del fallimento e pagamento dei debiti con
scadenza alla data della dichiarazione del fallimento o successiva. Per questi atti la legge stabilisce la
inefficacia nei confronti del fallimento senza richiedere la conoscenza da parte del terzo dello stato di
insolvenza del creditore. B) atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che presentino caratteristiche
tali da far ritenere l’esistenza di un accordo tra imprenditore e terzo ai danni dei creditori. Tali atti
devono essere stati compiuti, a seconda dei casi, nel’anno o nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di
fallimento. Si tratta di ipotesi dove lo squilibrio tra le prestazioni, l’anormalità dei mezzi di pagamento,
la richiesta di particolari garanzie non ritenute necessarie al momento della concessione del credito,
inducono a ritenere una partecipazione del terzo agli intenti fraudolenti dell’imprenditore e quindi
una conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza dell’imprenditore e per tale motivo gli
effetti di tali atti possono essere eliminati nei confronti del fallimento a meno che il terzo non provi che
non conosceva lo stato di insolvenza del debitore. C) atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che di
per sé non presentano caratteristiche tali da far indurre un accordo ai danni dei creditori ma risultano
oggettivamente pregiudizievoli. Si tratta di atti di disposizione normali compiuti dietro un adeguato
corrispettivo e la loro efficacia può essere eliminata solo se sono stati compiuti nei sei mesi precedenti
al fallimento e se il curatore prova che il terzo conosceva la insolvenza dell’imprenditore. D) atti
compiuti tra i coniugi. Gli atti compiuti tra i coniugi, dai quali deriva un pregiudizio per i creditori,
possono essere revocati in qualunque momento siano stati compiuti se il coniuge non prova di aver
ignorato lo stato di insolvenza del coniuge fallito.
343) La revocatoria ordinaria nel fallimento - Se gli atti compiuti dal fallito non rientrano in nessuna
delle categorie sopra descritte, è possibile esercitare l’azione revocatoria ordinaria prevista nel codice
civile purchè ne ricorrano le condizioni. Tali condizioni sussistono, solo per i creditori il cui credito è
sorto prima che il debitore abbia compiuto l’atto di disposizione, qualora il curatore dimostri
l’insolvenza del debitore al momento in cui l’atto fu compiuto e la conoscenza dell’insolvenza da parte
del terzo per gli atti a titolo oneroso. Anche in questo caso l’azione spetta esclusivamente al curatore
fallimentare e va proposta davanti al tribunale fallimentare e non mira a ricostituire la garanzia del
singolo creditore ma a ricostituire il patrimonio del debitore per il soddisfacimento di tutti i suoi
creditori.
344) Effetti della revocatoria o della dichiarazione di inefficacia - Con l’azione revocatoria
l’eliminazione degli effetti dell’atto pregiudizievole per i creditori viene stabilita solo nei confronti dei
creditori del fallimento e pertanto tra le parti l’atto rimane valido ed efficace. Ne consegue che una
volta che l’esecuzione concorsuale sia cessata e i creditori soddisfatti l’atto può nuovamente esplicare
la sua efficacia tra le parti (cosiddetta inefficacia relativa) Inoltre nella revocatoria fallimentare (a
differenza di ciò che avviene nella revocatoria ordinaria) alla eliminazione dell’efficacia dell’atto nei
confronti del fallimento può corrispondere il diritto del terzo ad essere ammesso al passivo del
fallimento per la somma per la quale risulti eventualmente creditore.
345) Effetti sui contratti in corso di esecuzione - La dichiarazione di fallimento di una impresa pone il
problema dei rapporti giuridici pendenti e cioè dei contratti in corso di esecuzione. Per tali contratti la
legge fallimentare pone una regola residuale (che cioè si applica quando la legge non disponga
diversamente) che prevede che la dichiarazione di fallimento non comporti lo scioglimento automatico
dei contratti ma solo la loro sospensione. Tale sospensione è necessaria per consentire al curatore di
134
scegliere se subentrare nel contratto (adempiendone integralmente gli obblighi) o sciogliersi dal
contratto stesso. Questo diritto concesso al curatore costituisce una specialità del diritto fallimentare
ed è escluso solo quando, alla data del fallimento, il contratto anche se pendente ha già esplicato la sua
efficacia traslativa. Trattandosi di un diritto del curatore non può sorgere a suo carico l’obbligo del
risarcimento del danno a favore del contraente ma il contraente può solo farsi assegnare dal giudice un
termine decorso il quale il contratto si intende sciolto. La regola della sospensione si applica solo nel
caso in cui entrambe le parti non abbiano dato esecuzione o completa esecuzione al contratto in
quanto in caso contrario : a) se il fallito ha già eseguito la sua prestazione il contraente dovrà eseguire
la propria b) se invece il contraente ha eseguito la sua prestazione potrà avere solo diritto ad essere
ammesso al passivo del fallimento per l’ammontare del suo credito. Inoltre la regola della sospensione
ha valore residuale e quindi si applica solo se la legge non disponga altrimenti. Ciò avviene nei
seguenti casi: a) nel caso di vendita di immobili da costruire con fallimento del costruttore. In questo
caso è riconosciuto all’acquirente il diritto di provocare lo scioglimento del contratto salvo che il
curatore non abbia già comunicato di volerlo eseguire. b) nei contratti di conto corrente, di mandato in
caso di fallimento del mandatario, nell’associazione in partecipazione nel caso di fallimento
dell’associante, nel caso di società organizzate su base personale, nel caso di contratti di borsa a
termine. In tutti questi casi il fallimento comporta lo scioglimento automatico dei contratto. C) nel caso
di contratto di appalto la legge prevede in via di principio lo scioglimento del contratto ma consente al
curatore di subentrarvi offrendo idonee garanzie.
3) La procedura fallimentare
346) Gli organi: tribunale fallimentare, giudice delegato, curatore, comitato dei creditori – Organo
supremo del fallimento è il tribunale fallimentare, ossia il tribunale che ha dichiarato il fallimento. Esso
ha il compito di attuare l’esecuzione sul patrimonio del fallito, ha competenza sull’intera procedura
fallimentare e provvede con decreto su tutte le controversie che non sono di competenza del giudice
delegato e sui reclami contro i provvedimenti del giudice delegato. La sentenza che dichiara il
fallimento provvede anche alla nomina del curatore e del giudice delegato. Il giudice delegato ha il
compito di controllare l’operato del curatore concedendo le necessarie autorizzazioni e di provvedere
sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori. Il giudice delegato inoltre
nomina il comitato dei creditori. Il curatore è l’organo amministrativo del fallimento e provvede sotto
la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori ad amministrare e realizzare il patrimonio
fallimentare. Nell’esercizio delle sue funzioni il curatore è un pubblico ufficiale e la legge prevede
particolari requisiti per la sua nomina. Il curatore può compiere atti di straordinaria amministrazione
solo dietro autorizzazione del comitato dei creditori e nel caso di importo superiore a 50.000 euro
dopo averne data informazione preventiva al giudice delegato. La legge consente al fallito e agli altri
interessati di proporre reclamo contro gli atti del curatore, prevede la revocabilità del curatore da
parte del tribunale fallimentare, e prevede la responsabilità personale del curatore in caso di
violazione degli obblighi del suo ufficio. Il curatore è remunerato e il suo compenso è liquidato dal
tribunale. Il comitato dei creditori prima della riforma aveva solo funzioni consultive mentre ora ha un
ruolo molto più incisivo. Infatti esso ha il compito di vigilare sull’operato del curatore e il potere di
autorizzarne gli atti nei casi previsti dalla legge. Viene nominato dal giudice delegato (entro 30 giorni
dalla dichiarazione di fallimento) e per i suoi membri è affermata la responsabilità personale
analogamente a quanto previsto per i sindaci delle società per azioni.
347) Momenti essenziali della procedura fallimentare: a) la conservazione del patrimonio - La
procedura fallimentare si svolge attraverso una serie di fasi. La prima fase è quella della conservazione
del patrimonio. Rientrano in questa fase i seguenti atti: a) apposizione da parte del curatore di sigilli
sui beni del fallito b) consegna al curatore del denaro contante, delle scritture contabili e della
documentazione c) redazione da parte del curatore dell’inventario dei beni d) presa in consegna dei
beni da parte del curatore. La riforma ha introdotto un nuovo adempimento che è quello della
redazione da parte del curatore di un programma di liquidazione che deve essere approvato dal
comitato dei creditori e comunicato al giudice delegato per l’autorizzazione all’esecuzione degli atti in
135
esso contenuti. Nel programma di liquidazione sono contenute le indicazioni per realizzare l’attivo e
quindi ad esempio la destinazione che si intende dare all’azienda, la decisione circa l’opportunità di
vendere in blocco o separatamente i singoli beni, le eventuali azioni risarcitorie o revocatorie da
esercitare.
348) continua – b) l’accertamento del passivo.- Un’altra fase è quella dell’accertamento del passivo L’accertamento del passivo prevede le seguenti fasi. A) predisposizione da parte del curatore di un
elenco dei creditori con indicazione dei rispettivi crediti ed eventuali diritti di prelazione. Ai creditori
compresi nell’elenco il curatore deve comunicare la data dell’esame dello stato passivo e il termine
entro il quale devono presentare le loro domande b) presentazione da parte dei creditori delle
domande di ammissione mediante ricorso da presentarsi al tribunale entro 30 giorni dalla data
dell’udienza per l’esame dello stato passivo. Le domande devono contenere l’indicazione della somma
e degli eventuali titoli di prelazione e ad esse devono essere allegati i documenti che dimostrano il
diritto del creditore. C) formazione dello stato passivo da parte del giudice delegato. Tramite udienza
il giudice delegato decide, con decreto, su ogni domanda accogliendola totalmente o parzialmente o
rigettandola. Terminato l’esame di tutte le domande il giudice delegato forma lo stato passivo e con
decreto lo dichiara esecutivo. (lo stato passivo è quindi l’elenco di tutti i creditori che hanno
presentato domanda di ammissione al passivo con indicazione per ciascuna domanda del
provvedimento preso dal giudice delegato). D) il curatore comunica a ciascun creditore l’esito della
domanda e l’avvenuto deposito in cancelleria dello stato passivo. Contro il decreto attraverso il quale
il giudice delegato ha reso esecutivo lo stato passivo sono ammessi tre rimedi processuali. A)
opposizione. Attraverso l’opposizione il creditore contesta che la propria domanda sia stata rigettata o
accolta solo parzialmente. L’opposizione può essere rivolta solo al curatore b) revocazione. Può essere
proposta dai creditori o dal curatore qualora risulti che l’ammissione di un credito è stata determinata
da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o mancata conoscenza di documenti decisivi a suo tempo non
prodotti per causa non imputabile. La revocazione è proponibile solo se sono scaduti i termini per
proporre opposizione o impugnazione. Le impugnazioni si propongono tramite ricorso al tribunale
entro trenta giorni dalla comunicazione da parte del curatore (o in caso di revocazione dalla scoperta
del fatto o del documento). I ricorsi devono essere notificati al curatore, al creditore di cui si contesta
l’ammissione e agli eventuali contro interessati. Il collegio, di cui non fa parte il giudice delegato,
provvede sui ricorsi con decreto motivato entro 60 giorni dall’udienza. Nei confronti del decreto del
tribunale le parti possono proporre ricorso in cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione dello
stesso. La formazione del passivo definitivo non esclude la presentazione di ulteriori domande di
ammissione dei creditori (dichiarazioni tardive di credito). Queste possono essere proposte entro 12
mesi dal deposito dello stato passivo e dopo tale termine solo se non sono esaurite le ripartizioni
dell’attivo e solo se il ritardo è dipeso da causa non imputabile al creditore. Il creditore tardivo
partecipa alla ripartizione di ciò che resta dopo il soddisfacimento dei creditori tempestivi, salve le
cause di prelazione. Nel caso in cui il ritardo sia dipeso da causa non imputabile al creditore questo
può ottenere quanto avrebbe dovuto percepire nelle precedenti ripartizioni.
349) continua c) l’accertamento dell’attivo - La fase dell’accertamento dell’attivo si compie attraverso
l’inventario e la presa in consegna dei beni da parte del curatore. Tuttavia può accadere che tra i beni
in possesso del fallito ve ne siano alcuni di pertinenza di terzi sia perché il fallito ne era possessore
illegittimo o perché ne era possessore a titolo precario. In questo caso sorge la necessità di escludere
dal fallimento tali beni di proprietà altrui e la legge distingue il caso in cui i diritti (personali o reali)
dei terzi siano chiaramente riconoscibili o meno: nel primo caso il giudice delegato può disporre con
decreto la restituzione al proprietario su istanza di questo e con il consenso del curatore e del comitato
dei creditori nel secondo caso si applica il sistema previsto per l’accertamento del passivo. Pertanto il
curatore deve compilare l’elenco di coloro che vantano diritti reali o personali, mobiliari o immobiliari
su cose in possesso del fallito e deve comunicare a costoro la data dell’udienza di discussione dello
stato passivo e il termine di presentazione delle domande. I titolari devono presentare domanda di
restituzione mediante ricorso (così come avviene per la domanda di ammissione al passivo) e con la
domanda possono chiedere anche la sospensione della liquidazione dei beni.
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350) continua – d) l’amministrazione del patrimonio - Gli atti di amministrazione del patrimonio
assumono rilevanza nel caso in cui con la sentenza che dichiara il fallimento sia disposto l’esercizio
provvisorio dell’impresa. Tale esercizio viene disposto nel caso in cui dalla cessazione dell’impresa
possa derivare un danno grave e purchè la continuazione non danneggi i creditori. La continuazione
temporanea dell’impresa deve essere autorizzata dal giudice delegato, su proposta del curatore e
sentito il comitato dei creditori il cui eventuale parere negativo ha carattere vincolante. Al comitato
dei creditori spetta anche di controllare l’esercizio provvisorio dell’impresa e chiederne la cessazione
se la gestione non è più nell’interesse dei creditori: tale cessazione può essere disposta anche dal
tribunale, sentito il comitato dei creditori e del curatore. La continuazione dell’esercizio provvisorio
comporta anche la prosecuzione dei rapporti pendenti i quali pertanto, in deroga alla disciplina vista
prima, non si sciolgono e non restano sospesi a meno che il curatore decida altrimenti, Inoltre i crediti
sorti nel corso dell’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione in quanto in caso contrario
l’azienda non avrebbe possibilità di operare sul mercato. Il curatore del fallimento assume la gestione
dell’impresa. Nel caso invece di affitto dell’azienda del fallito è l’affittuario che assume la gestione
dell’impresa e il relativo rischio. L’eventualità di affitto dell’azienda del fallito è ammessa dalla legge
quanto appare più utile rispetto alla vendita dell’azienda o di parti di essa. E’ richiesta l’autorizzazione
del giudice delegato e il parere favorevole del comitato dei creditori su proposta del curatore. Al
curatore spetta la scelta dell’affittuario, la stipulazione del relativo contratto, e il diritto di recedere dal
contratto dietro pagamento all’affittuario di un giusto indennizzo da soddisfare in prededuzione.
L’affittuario non è responsabile dei debiti sorti prima del fallimento e per i contratti pendenti a tale
momento trovano applicazione le regole dettate per i contratti pendenti alla data del fallimento.
351) continua – c) la liquidazione dell’attivo - Altro momento fondamentale della procedura di
fallimento è quello della liquidazione dell’attivo ossia della vendita dei beni del fallito per la
soddisfazione dei creditori. La liquidazione si attua sulla base del programma di liquidazione redatto
dal curatore che deve essere approvato dal comitato dei creditori. La legge fallimentare stabilisce il
principio per cui il criterio primario di liquidazione è costituito dalla vendita dell’azienda o dei beni in
blocco. Pertanto la liquidazione effettuata tramite la vendita di beni singoli potrà avere luogo solo
nell’ipotesi in cui sia prevedibile che essa consenta una maggiore soddisfazione. La legge fallimentare
disciplina anche le modalità di vendita stabilendo che il curatore per quanto riguarda la vendita e gli
atti di liquidazione può scegliere il procedimento e gli strumenti che ritiene più utili purchè vi sia una
procedura competitiva, alla quale cioè potenzialmente possono partecipare più soggetti da porre in
competizione tra di loro, e sia assicurata da parte di esperti la stima dei beni da liquidare nonché una
idonea pubblicità e informazione.
352) continua – f) la ripartizione dell’attivo - Con la ripartizione dell’attivo le somme ricavate dalla
liquidazione vengono distribuite tra i creditori. Ciò avviene sulla base di un progetto predisposto dal
curatore nel quale però il riparto deve seguire un ordine preciso stabilito dalla legge fallimentare.
Pertanto devono essere soddisfatti in primo luogo i crediti prededucibili, ossia quelli sorti nel corso
dell’esercizio provvisorio dell’impresa o sorti in funzione del fallimento o di altra procedura
concorsuale. In secondo luogo vengono soddisfatti i creditori privilegiati secondo l’ordine stabilito
dalla legge. In terzo luogo vengono soddisfatti i creditori chirografari in proporzione al loro relativo
ammontare. La distribuzione non riguarda tutte le somme disponibili in quanto devono essere
accantonate alcune somme per eventuali imprevisti e per la soddisfazione di eventuali creditori
ammessi con riserva o che abbiano sollevato opposizione e la cui domanda sia stata accolta con
sentenza non passata in giudicato. Il progetto viene depositato in cancelleria e i creditori possono
presentare reclamo entro quindici giorni dal deposito. Il riparto finale avviene dopo la approvazione
del rendiconto del curatore e la liquidazione del relativo compenso.
353) Chiusura della procedura - La procedura di fallimento si chiude nelle seguenti ipotesi : a)
ripartizione finale dell’attivo (in questo caso infatti si compie l’oggetto della esecuzione concorsuale)
b) avvenuta estinzione di tutti i debiti (in questo caso di determina infatti il venir meno della ragione
della procedura concorsuale) c) mancata proposizione delle domande di ammissione al passivo nel
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termine stabilito. In questo caso, in mancanza di concorso, viene meno la ragione della procedura
concorsuale. Questa ipotesi non va confusa con quella di mancanza di creditori in quanto in questo
caso deve essere disposta non la chiusura ma la revoca del fallimento. d) insufficienza dell’attivo. Tale
ipotesi si ha quando nel corso della procedura viene accertato che essa non sarebbe in grado di
soddisfare neanche parzialmente i creditori chirografari, prededucibili e le spese di procedura. La
chiusura del fallimento deve essere dichiarata dal tribunale con decreto, contro il quale è ammesso
reclamo alla corte di appello contro il quale è ammesso il ricorso in cassazione. Il decreto di chiusura
ha efficacia dal momento in cui è decorso il termine per il reclamo o esso è stato definitivamente
rigettato.
354) Il concordato fallimentare - Una particolare forma di chiusura della procedura di fallimento è
costituita dal concordato fallimentare. Il concordato fallimentare non va confuso con quegli accordi
extragiudiziali che il fallito può concludere con tutti i creditori, i quali possono comportare la chiusura
del fallimento ma non costituiscono concordato, in quanto il concordato richiede sia un accordo con i
creditori che un provvedimento giurisdizionale di omologazione Tale procedura è stata
profondamente rinnovata dalla riforma che, riconoscendo un più ampio ruolo agli interessi privati nel
fallimento, ha ridotto la funzione del giudice delegato il quale ha solo il compito di verificare la
regolarità della procedura essendo escluso ogni suo controllo nel merito. Per tale motivo dopo la
riforma il provvedimento di omologazione del concordato viene assunto con decreto e non più con
sentenza. Il concordato fallimentare è una proposta, avanzata dal fallito, da uno o più creditori, o da un
terzo (tra cui anche il curatore) con la quale il proponente paga in percentuale o per intero i debiti del
fallito acquistando in cambio i beni costituenti l’attivo fallimentare. Colui che propone il concordato
deve presentare idonee garanzie per la soddisfazione dei crediti nei limiti della proposta fatta , nonché
per il pagamento delle spese di procedura e del compenso del curatore. La proposta di concordato può
attuarsi in una forma particolare quando il terzo che formula la proposta libera immediatamente il
fallito (in questo caso si dice che il terzo è assuntore del concordato). In questo caso infatti alla
omologazione del concordato segue l’immediata liberazione del fallito con la conseguenza che le
obbligazioni nascenti dal concordato riguardano solo l’assuntore e non possono determinare in nessun
modo la riapertura del fallimento. Inoltre la proposta, qualora sia presentata da uno o più creditori,
può riguardare non solo la massa dell’attivo ma anche le azioni di massa già autorizzate dal giudice
delegato: in tal caso si ha la cessione delle azioni revocatorie e quindi il terzo, assumendosene i rischi,
viene a svolgere i compiti liquidatori tipici della procedura fallimentare. La proposta di concordato
viene presentata con ricorso al giudice delegato il quale deve acquisire il parere favorevole del
curatore e deve sottoporla all’approvazione del comitato dei creditori. Il concordato riguarda
essenzialmente i creditori chirografari dovendo essere i creditori privilegiati soddisfatti per intero.
Tuttavia la proposta di concordato può prevedere la soddisfazione non integrale dei creditori
privilegiati e in questo caso anche questi sono ammessi a dare adesione al concordato e considerati nel
calcolo della maggioranza in quanto sono considerati creditori chirografari per la parte residua del
credito. Per l’approvazione della proposta di concordato occorre il voto favorevole della maggioranza
dei creditori. Nel caso sia raggiunta la maggioranza richiesta il giudice delegato effettua
comunicazione al proponente affinchè possa chiedere l’omologazione al tribunale, al fallito e ai
creditori dissenzienti per la proposizione di eventuali opposizioni alla omologazione. In mancanza di
opposizione il tribunale, verificata la regolarità della procedura, omologa il concordato con decreto
motivato. Il decreto che omologa il concordato è appellabile davanti alla corte di appello entro 30
giorni dalla notificazione. Contro il decreto della corte di appello è ammesso ricorso in cassazione
entro 30 giorni. Una volta definitivo il decreto di omologazione la proposta di concordato diviene
efficace e il tribunale dichiara chiuso il fallimento. Tuttavia se le garanzie promesse dal proponente
non vengono costituite o se gli obblighi fissati nel concordato non vengono eseguiti il tribunale, su
richiesta di qualsiasi creditore, pronuncia la risoluzione del concordato e riapre la procedura di
fallimento (salvo il caso in cui il proponente sia assuntore). Nel caso in cui invece il passivo sia stato
dolosamente esagerato o sia stata sottratta una parte rilevante dell’attivo il curatore o i creditori
possono chiedere l’annullamento del concordato con la riapertura del fallimento. Il concordato ha
efficacia sia nei confronti dei creditori che siano stati ammessi al passivo e sia nei confronti degli altri
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creditori, anteriori alla dichiarazione di fallimento che non abbiano presentato domanda di
ammissione al passivo. Questi ultimi però potranno pretendere dal proponente solo il pagamento nei
limiti previsti nella proposta di concordato.
355) La riapertura del fallimento - La procedura di fallimento può essere riaperta nei seguenti casi . a)
in conseguenza della risoluzione o annullamento del concordato fallimentare b) quando, non essendo
stati totalmente soddisfatti i creditori, pervengano nel patrimonio del fallito altre attività che rendano
utile il provvedimento. La sentenza che dichiara la riapertura del fallimento richiama in funzione il
giudice delegato o ne nomina uno nuovo e fissa i termini per le domande di ammissione al passivo . Il
procedimento si svolge con le forme già descritte. La riapertura del fallimento deve essere considerata
come una continuazione del fallimento precedente con la differenza che ad essa partecipano anche i
creditori nuovi, i cui diritti siano sorti dopo la chiusura del fallimento. In tal modo i vecchi creditori
beneficiano delle nuove attività ma devono subire l’onere del concorso dei nuovi creditori.
356) La esdebitazione - La chiusura del fallimento determina il venir meno degli organi fallimentari e
la cessazione degli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito e delle conseguenti incapacità
patrimoniali. Tuttavia i creditori singoli del fallito riacquistano piena libertà di azione per la
realizzazione della parte non soddisfatta dei loro crediti e quindi possono esercitare l’azione
revocatoria ordinaria prevista dal codice civile. E’ ovvio che tale situazione determina per il fallito un
grave ostacolo per la possibilità di intraprendere una nuova attività economica in quanto i guadagni
realizzati con essa possono essere aggrediti anche dai creditori precedenti al fallimento. Per tale
motivo e quindi per liberare l’imprenditore fallito dai vincoli posti alla sua azione economica futura dal
precedente fallimento la legge prevede l’istituzione della esdebitazione. Tale istituto, prima della
riforma, era previsto solo per le ipotesi di concordato fallimentare e di concordato preventivo, ma ora
è stato generalizzato. Grazie a tale istituto (che è applicabile solo al fallito persona fisica e non società)
il fallito viene liberato sia dai creditori concorsuali concorrenti non soddisfatti ( e cioè da tutti i
creditori ammessi al passivo) sia dai creditori concorsuali non concorrenti (ossia quelli che non hanno
fatto domanda di ammissione al passivo). Questi ultimi potranno pretendere solo il pagamento nei
limiti della percentuale pagata ai creditori concorsuali. La concessione di tale beneficio presuppone la
presenza di requisiti sia relativi alla persona del fallito che al tipo di credito su cui l’istituto stesso deve
operare. Per quanto riguarda il primo aspetto l’esdebitazione può essere concessa solo al fallito che nel
corso della procedura abbia cooperato con gli organi del fallimento, non abbia ritardato lo svolgimento
della procedura, abbia consegnato l’intera documentazione al curatore, non sia stato condannato per
reati di bancarotta fraudolenta, abbia soddisfatto almeno in parte i creditori ammessi al passivo e non
abbia beneficiato dell’esdebitazione nei 10 anni precedenti alla richiesta. Per quanto riguarda il
secondo aspetto la legge esclude dalla esdebitazione gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti
non derivanti dall’esercizio dell’impresa o per il risarcimento di danni derivanti da illecito
extracontrattuale.
La esdebitazione viene pronunciata con decreto del tribunale compreso nel
decreto di chiusura del fallimento o con decreto autonomo entro l’anno successivo su richiesta del
fallito. Essa deve essere notificata ai creditori non integralmente soddisfatti. Contro il decreto è
ammesso reclamo da parte di qualunque interessato.
4) Il fallimento delle società
357) Deviazione dai principi comuni – Problemi particolari si pongono quando l’imprenditore fallito è
una società. In primo luogo la legge fallimentare pone a carico degli amministratori e dei liquidatori
alcuni obblighi e responsabilità, che in conseguenza del fallimento, incombono sul fallito. Così gli
amministratori e i liquidatori sono tenuti all’obbligo di comunicare al curatore ogni cambiamento della
residenza o del domicilio e a presentarsi personalmente agli organi del fallimento, devono essere
sentiti ogni volta che la legge dispone che debba essere sentito il fallito, e così su di loro ricadono
responsabilità penali nel caso di bancarotta semplice o fraudolenta o nel caso degli altri reati
fallimentari. Un problema particolare è stato posto dall’applicabilità alle società dell’art. 10 della legge
fallimentare che dispone la possibilità di una dichiarazione di fallimento dopo la cessazione
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dell’impresa, entro un anno dal verificarsi della cessazione. A tale proposito la corte costituzionale ha
identificato la cessazione dell’impresa con la cancellazione dal registro delle imprese stabilendo che il
termine annuale debba decorrere, nel caso delle società, dalla cancellazione dal registro delle imprese.
La corte ha anche differenziato tra imprenditori individuali e società stabilendo che per i primi la
cancellazione dal registro ha solo valore presuntivo in quanto è consentito al creditore e al pubblico
ministero di dimostrare che l’effettiva cessazione è avvenuta dopo la cancellazione, mentre per le
società tale dimostrazione può essere fornita solo nel caso di cancellazione d’ufficio e solo per le
società di persone, dal momento che per le società per azioni la cancellazione dal registro delle
imprese ha valore costitutivo e quindi nessuna attività successiva può essere riferita ad una società di
capitali dopo il momento della cancellazione. La dichiarazione di fallimento non comporta il venir
meno degli organi societari solo che, in conseguenza dello spossessamento dei beni e
dell’amministrazione, gli organi societari possono compiere solo quegli atti processuali che durante il
fallimento spettano al fallito. Così gli amministratori e i liquidatori possono proporre reclamo contro la
sentenza dichiarativa di fallimento, possono proporre al tribunale proposta di concordato o le istanze
ritenute opportune nell’interesse della società. AL di fuori di ciò l’attività degli organi sociali è
sostituita dall’attività del curatore che, senza necessità di deliberazione dei soci, con la sola
autorizzazione del giudice delegato sentito il parere del comitato dei creditori, può proporre azione di
responsabilità contro gli amministratori,, i liquidatori e i sindaci e può far valere l’azione di
responsabilità spettante ai creditori sociali per l’esercizio scorretto della attività di direzione e
coordinamento della società. Gli atti che la società può compiere dopo la dichiarazione di fallimento
sono compiuti dai legali rappresentanti secondo le norme statutarie e per quanto riguarda il
concordato, esso può essere proposto dai legali rappresentanti solo previa approvazione della
maggioranza dei soci nelle società di persone o degli amministratori nelle società di capitali. Altro
principio particolare applicabile alle società e quello che per effetto del fallimento i versamenti delle
quote non ancora effettuati dai soci diventano immediatamente esigibili anche se non è scaduto il
termine stabilito per il pagamento. Al di là di queste integrazione gli altri principi della procedura
fallimentare si applicano integralmente in caso di fallimento della società.
358) Fallimento della società e fallimento dei soci illimitatamente responsabili - In caso di fallimento
di società di persone o di società in accomandita per azioni la legge stabilisce che il fallimento della
società comporta automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili . Il fallimento dei
soci illimitatamente responsabili si attua quindi automaticamente in caso di fallimento di società anche
se il socio non è imprenditore e il suo patrimonio non è dissestato in quanto esso trova causa nel
fallimento della società e nel rapporto sociale essendo irrilevante la personale situazione patrimoniale
e professionale del socio stesso.
359) Estensione automatica del fallimento dalla società al socio : il fondamento – Abbiamo detto che il
fallimento del socio illimitatamente responsabile trova la sua causa nel fallimento della società e tale
estensione ha una giustificazione pratica dal momento che consente una perfetta realizzazione della
responsabilità sussidiaria del socio attraverso l’applicazione nei suoi confronti della procedura
concorsuale e quindi di quei principi che mirano a garantire la par condicio creditorum. Per effetto
della estensione anche rispetto agli atti compiuti dal socio possono essere proposte le azioni
revocatorie fallimentari al fine di ricostituire oltre al patrimonio della società anche il patrimonio del
socio al momento in cui si è verificato il dissesto della società garantendo anche su questo il
soddisfacimento paritetico dei creditori. Occorre sottolineare che la corte costituzionale ha stabilito
l’obbligatorietà della audizione dei singoli soci illimitatamente responsabili prima della dichiarazione
di fallimento della società.
360) continua – L’ambito – Il principio per cui il fallimento della società comporta il fallimento dei soci
illimitatamente responsabili si applica anche in caso di socio occulto in quanto non ha rilievo il fatto
che la qualità di socio risulti palesemente o che invece il rapporto sociale sia interno e non manifesto ai
terzi. Pertanto se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci
illimitatamente responsabili che inizialmente non apparivano come tali il tribunale (su istanza del
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curatore, di creditori o di un socio fallito) deve dichiarare anche il loro fallimento. Assume
responsabilità illimitata e pertanto viene dichiarato fallito anche il socio accomandante che abbia
consentito alla inclusione del suo nome nella ragione sociale o si sia ingerito nell’amministrazione
della società. Nessuna modificazione si ha invece in conseguenza della inosservanza delle norme che
regolano la costituzione della società. Infatti nella società di capitali dato che la società non esiste
finchè il procedimento costitutivo non è regolarmente compiuto manca la possibilità di dichiarare
fallimento della società mentre l’accomandante rimane tale e (al di fuori delle ipotesi sopra
considerate) e non assume responsabilità illimitata e quindi non può essere dichiarato fallito solo
perché la società non si è regolarmente costituita. Problema particolare è invece quello se l’estensione
del fallimento possa operare anche nei confronti dei soci receduti o esclusi o degli eredi del socio
defunto. A tale proposito, a seguito di due sentenze della corte costituzionale, la legge espressamente
dispone che il fallimento della società si estende anche ai soci illimitatamente responsabili receduti,
esclusi o defunti ma solo qualora il fallimento sia dichiarato entro l’anno successivo allo scioglimento
del rapporto sociale e sempre che l’insolvenza della società attenga almeno in parte a debiti esistenti a
quella data.
361) Il fallimento della società non manifesta - Altri problemi sorgono nel caso di società non
manifesta (o occulta) nell’ipotesi che l’attività sociale sia esercitata sotto il nome di uno dei soci o di un
terzo e pertanto l’impresa, pur essendo sociale, si presenta nei rapporti con i terzi come una impresa
individuale. In questo caso se emerge prima della dichiarazione di fallimento che l’impresa fa capo ad
una società non manifesta può essere dichiarato il fallimento di questa società con gli effetti che ne
derivano a carico dei soci illimitatamente responsabili. Tuttavia in genere accade che presentandosi
esteriormente l’impresa come impresa individuale il fallimento viene dichiarato nei confronti di colui
che appare come imprenditore individuale e l’esistenza di una società non manifesta emerge solo
successivamente nel corso della procedura fallimentare. In questo caso la legge stabilisce che il
tribunale, con sentenza in camera di consiglio, estende gli effetti del fallimento a chi risulta socio
illimitatamente responsabile dopo che è stata dichiarata l’insolvenza sia dell’impresa individuale che
della società. Tale principio era stato posto dalla legge solo con riferimento alla dichiarazione di
insolvenza delle grandi imprese ma in occasione della riforma è stato esteso anche al fallimento.
Pertanto se dopo che è stato dichiarato il fallimento di un imprenditore individuale emerge
successivamente l’esistenza di un socio illimitatamente responsabile (e quindi di una società) gli effetti
del fallimento vengono estesi anche a tale socio tramite apposita sentenza del tribunale.
362) Autonomia delle procedure fallimentari della società e dei soci - Nel caso di estensione del
fallimento della società ai soci la legge prevede una unificazione degli organi fallimentari in quanto per
tutti i fallimenti vengono nominati un solo curatore e un solo giudice delegato anche se possono
esistere più comitati di creditori. Tuttavia i patrimoni debbono essere tenuti distinti così come distinte
sono le procedure. Infatti se tutti i creditori sociali concorrono anche nei fallimenti dei singoli soci, nel
fallimento dei singoli soci concorrono anche i creditori particolari del socio singolo e quindi è
necessario tenere separate le singole masse fallimentari. Occorre tenere presente che, in conseguenza
della responsabilità solidale che grava sul socio, i creditori sociali finchè non sono soddisfatti
concorrono per l’intero credito nel fallimento dei singoli soci. Se però il creditore sociale percepisce
nel fallimento del singolo socio più della parte che il socio è tenuto, in base ai rapporti sociali, a
sopportare, sorge il diritto di regresso nei confronti delle altre masse fallimentari e la possibilità del
fallimento che ha pagato di più di insinuarsi negli altri fallimenti. L’autonomia dei singoli fallimenti
comporta che rispetto a ciascuno si deve provvedere in modo autonomo alla verifica dei crediti e al
compimento degli atti previsti dalla procedura fallimentare. La chiusura dei singoli fallimenti può
avvenire in diversi momenti e per diverse cause e quindi la chiusura può avvenire per insufficienza di
attivo o per il compimento delle operazioni fallimentari o per concordato. La legge dispone che
ciascuno dei soci falliti può proporre un concordato ai creditori sociali e particolari concorrenti nel
proprio fallimento.
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363) Chiusura del fallimento della società e fallimento dei soci – La chiusura del fallimento del socio
singolo non è rilevante rispetto al fallimento della società e degli altri soci mentre la chiusura del
fallimento della società non è rilevante rispetto ai fallimenti dei singoli soci quando avviene per
insufficienza di attivo o per esaurimento delle operazioni fallimentari. Se invece la chiusura del
fallimento della società si ha per mancanza di creditori concorrenti, per soddisfacimento integrale di
essi o per concordato necessariamente influisce sul fallimento dei singoli soci determinandone la
chiusura.
364) Fallimento della società e patrimoni destinati ad uno specifico affare. – Un altro problema si pone
nel caso di fallimento di società che abbia destinato un patrimonio per lo svolgimento di uno specifico
affare. La legge stabilisce che in tal caso l’amministrazione del patrimonio separato spetta al curatore
che vi provvede con gestione separata. Se tale patrimonio è idoneo a continuare a svolgere la sua
funzione produttiva deve essere ceduto a terzi e il corrispettivo della cessione, dedotti i debiti
gravanti sul patrimonio, viene acquisito all’attivo del fallimento. Se tale cessione non è possibile o se il
patrimonio risulta incapiente il curatore provvede alla sua liquidazione. Se la liquidazione fornisce un
residuo attivo e i creditori particolari sono tutti soddisfatti tale residuo viene acquisito nell’attivo
fallimentare. Se invece i creditori particolari rimangono parzialmente insoddisfatti (nel caso in cui si
verifichi una delle ipotesi in cui risponde anche il restante patrimonio della società) possono
presentare domanda di ammissione al passivo del fallimento della società.
CAPITOLO III IL CONCORDATO PREVENTIVO
365) La domanda di ammissione alla procedura – L’imprenditore che si trova in stato di crisi (lo stato
di crisi comprende una vasta gamma di situazioni che vanno dalle semplici condizioni di difficoltà
economiche dell’imprenditore fino allo stato di insolvenza) può chiedere di essere ammesso alla
procedura di concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere la ristrutturazione dei
debiti e la soddisfazione dei creditori in qualunque forma, l’attribuzione delle attività dell’impresa ad
un assuntore, la suddivisione dei creditori in classi omogenee al fine di sottoporre i creditori
appartenenti a classi diverse a trattamenti differenziati, e la possibilità di una soddisfazione non
integrale dei creditori privilegiati (così come avviene per il fallimento). La procedura di concordato
preventivo è come il fallimento una procedura concorsuale ma a differenza di esso può essere iniziata
solo su istanza dell’imprenditore mediante ricorso al tribunale del luogo dove si trova la sede
principale della sua impresa. Il ricorso che deve essere comunicato al pubblico ministero deve essere
corredato da una relazione sulla situazione patrimoniale ed economica dell’impresa, dal’elenco dei
creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, e dalla indicazione dei
creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. In caso di società la proposta di
concordato preventivo deve essere sottoscritta dai legali rappresentanti e approvata dalla
maggioranza dei soci o deliberata dagli amministratori. Alla domanda deve essere allegata una
relazione compilata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e in possesso dei
requisiti per assumere il ruolo di curatore.
366) I provvedimenti del tribunale - Il tribunale può :a) dichiarare inammissibile la proposta di
concordato con decreto non soggetto a reclamo. In questo caso, su istanza del creditore o su iniziativa
del p.m., una volta accertato che ne esistono i presupposti, può dichiarare il fallimento del debitore con
sentenza reclamabile. B) in caso di valutazione positiva sulla regolarità della proposta dichiara con
decreto non soggetto a reclamo aperta la procedura di concordato preventivo. In questo caso ordina la
convocazione dei creditori nei tempi previsti, nomina il commissario giudiziale, stabilisce i termini
entro i quali l’imprenditore proponente deve depositare nella cancelleria del tribunale la metà della
somma che si ritiene necessaria per la copertura delle spese dell’intera procedura. Se il deposito non
viene effettuato nei termini richiesti il tribunale d’ufficio apre il procedimento per la revoca
dell’ammissione al concordato, e in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, dichiara (sempre su
iniziativa di parte) il fallimento.
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367) Effetti dell’ammissione al concordato preventivo - A differenza dal fallimento l’ammissione al
concordato preventivo non determina lo spossessamento del debitore e la sua sostituzione
nell’amministrazione dell’impresa ma al contrario il debitore mantiene l’amministrazione dei beni e
continua nell’esercizio dell’impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Per gli atti che
eccedono l’ordinaria amministrazione il debitore ha bisogno dell’autorizzazione scritta del
commissario giudiziale; gli atti di questo tipo eventualmente compiuti senza l’autorizzazione sono
inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato e inoltre il compimento di tali atti
determina la revoca dell’ammissione al concordato ed eventualmente la dichiarazione di fallimento.
Per quanto riguarda i creditori l’apertura del procedimento di concordato preventivo determina la
preclusione delle azioni esecutive individuali e l’arresto di quelle in corso e la scadenza immediata di
tutti i crediti che verranno computati ai fini del concorso secondo le norme fissate per il fallimento.
L’apertura del procedimento non comportando la cessazione dell’esercizio dell’impresa non determina
invece alcuna conseguenza per i contratti in corso di esecuzione che devono avere il loro normale
svolgimento e non determina la revoca degli atti compiuti dal debitore anteriormente alla domanda di
concordato che siano pregiudizievoli per i creditori. Infatti poiché i creditori sono liberi di aderire o
meno alla proposta di concordato preventivo potranno valutare la convenienza della proposta stessa
sia in relazione al patrimonio del debitore esistente al momento della proposta sia in relazione alla
parte di esso che sia stata alienata e che potrebbe essere acquisita alla massa in caso di fallimento.
368) Gli organi della procedura – Organi della procedura sono il tribunale, il giudice delegato e il
commissario giudiziale. Il tribunale è l’organo supremo che deve risolvere, in sede di reclamo, i
conflitti sorti sul compimento di atti del debitore senza l’autorizzazione de giudice delegato dove essa
è necessaria, e di omologare la proposta di concordato. Il giudice delegato è competente a dare le
autorizzazioni richieste, presiede l’adunanza dei creditori, riferisce al tribunale circa l’approvazione o
la mancata approvazione del concordato. Il commissario giudiziale redige l’inventario del patrimonio,
vigila sull’operato del debitore nell’amministrazione dei beni e nell’esercizio dell’impresa riferendo al
giudice delegato. Nell’esercizio delle sue funzioni è pubblico ufficiale, ha diritto ad un compenso per la
sua opera, assume responsabilità per gli atti compiuti e può essere revocato dal tribunale su richiesta
del giudice delegato o d’ufficio.
369) Le fasi della procedura – La procedura si articola in tre fasi. A) accertamento della situazione
patrimoniale del debitore . Fa parte di questa fase la redazione dell’inventario da parte del
commissario giudiziale che comporta un controllo dei dati forniti dal debitore al momento della
proposta di concordato. In tale sede se il commissario giudiziale rileva che il debitore ha occultato
dolosamente una parte dell’attivo o ha esposto passività insussistenti, riferisce al tribunale che apre
d’ufficio il procedimento per la revoca dell’’ammissione al concordato e, su istanza del creditore o su
richiesta del pubblico ministero, una volta accertata la sussistenza dei presupposti di legge, dichiara
con sentenza il fallimento. (la stessa conseguenza si verifica se il debitore compie atti di straordinaria
amministrazione senza l’autorizzazione del giudice delegato). B) approvazione della proposta di
concordato. Il concordato è approvato con il voto favorevole dei creditori che rappresentano la
maggioranza dei crediti ammessi al voto e se è prevista la formazione di classi diverse di creditori
quando tale maggioranza si verifica nel maggior numero di esse. Se la maggioranza non si raggiunge la
proposta si intende respinta, il giudice delegato informa il tribunale che può provvedere alla
dichiarazione di fallimento. Sono esclusi dalla votazione i creditori muniti di privilegio (a meno che
non rinuncino almeno parzialmente al diritto di prelazione), il coniuge, i parenti e gli affini entro il
quarto grado, i creditori che siano stati esclusi dal giudice delegato in conseguenza di contestazioni
sollevate da altri creditori o dal debitore (essi possono opporsi all’esclusione in sede di omologazione
al concordato se la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione della maggioranza). C)
omologazione del concordato - Una volta approvato il concordato dalla maggioranza dei creditori
prevista il giudice delegato riferisce al tribunale che fissa la data dell’udienza in camera di consiglio. Il
debitore, il commissario giudiziale, i creditori dissenzienti possono costituirsi almeno dieci giorni
prima dell’udienza. Se non ci sono opposizioni il tribunale dopo aver verificato la regolarità della
procedura e l’esito della votazione omologa il concordato con decreto motivato con il quale stabilisce
143
la modalità di deposito delle somme spettanti ai creditori contestati o irreperibili. Se respinge il
concordato il tribunale può dichiarare, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, e
previo accertamento dei presupposti di legge, il fallimento. Contro il provvedimento che omologa o
respinge il concordato è ammesso reclamo ala corte di appello; lo stesso reclamo è ammesso per la
sentenza dichiarativa di fallimento eventualmente emessa contestualmente al decreto che respinge il
concordato. Con il decreto di omologazione la procedura di concordato si chiude. Tuttavia il
commissario giudiziale deve sorvegliarne l’adempimento, riferire al giudice ogni fatto che possa
arrecare pregiudizio ai creditori e controllare che sia stato effettuato il deposito per le somme dovute
ai creditori che risultano irreperibili. Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori
antecedenti al decreto di ammissione alla procedura e in caso di società anche per gli eventuali soci
illimitatamente responsabili.
370) Risoluzione e annullamento del concordato - La risoluzione del concordato per inadempimento
può essere richiesta da ciascun creditore entro un anno dalla scadenza del termine dell’ultimo
adempimento previsto ma non può essere pronunciata se l’inadempimento ha scarsa rilevanza o se vi
sia un terzo assuntore degli obblighi del concordato con conseguente liberazione del debitore.
L’annullamento del concordato può avvenire su istanza del commissario giudiziale o dei singoli
creditori quando dopo l’omologazione si scopre che il passivo è stato dolosamente esagerato o che è
stata sottratta una parte rilevante dell’attivo. Il ricorso deve essere presentato entro sei mesi dalla
scoperta del dolo, Non sono ammesse altre azioni di nullità o annullamento.
371) Passaggio dal concordato preventivo al fallimento - Per il passaggio dal concordato preventivo al
fallimento, a seguito della riforma è richiesta una iniziativa di parte (e quindi l’istanza del creditore o
il ricorso del pubblico ministero) in quanto il tribunale non può più dichiarare il fallimento d’ufficio, e
l’accertamento dei presupposti del fallimento. Si pone quindi il problema dei crediti sorti durante la
procedura di concordato preventivo. In primo luogo occorre dire che ai fini del concorso fallimentare
rimangono esclusi i crediti sorti durante la procedura di concordato preventivo senza il rispetto delle
relative regole e quindi i crediti sorti sulla base di atti di straordinaria amministrazione senza la
necessaria autorizzazione. In tal caso l’atto pur essendo valido nei confronti del debitore non ha
rilevanza per i creditori concorrenti e quindi i relativi creditori non sono abilitati a partecipare al
concorso neanche in posizione subordinata. Solo a concorso chiuso essi potranno far valere i loro
diritti sui beni residui o sui beni successivamente acquistati dall’imprenditore e non attraverso una
procedura concorsuale ma tramite una forma di esecuzione singolare. Per quanto riguarda invece i
crediti sorti legittimamente durante il concordato preventivo essi devono considerarsi come crediti
prededucibili nel successivo fallimento. Il compenso del commissario giudiziale per l’attività svolta
durante il concordato preventivo viene considerato invece tra le spese di giustizia fatte nell’interesse
comune dei creditori e quindi privilegiate sul ricavato dei beni e quindi sulle somme vincolate a tale
scopo sin dall’inizio del concordato preventivo i creditori non possono soddisfarsi se non una volta
pagati i crediti per cui la somma era stata destinata.
372) L’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti - A seguito della riforma è stata
riconosciuta all’imprenditore in stato di crisi la possibilità di chiedere al tribunale l’omologazione di
accordi di ristrutturazione dei debiti conclusi con i propri creditori in sede stragiudiziale (cioè al di
fuori non solo di una procedura concorsuale ma anche da qualunque controllo da parte di una autorità
pubblica) purchè ci sia il consenso dei creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei
crediti. L’accordo deve essere accompagnato da una relazione di un esperto iscritto nel registro dei
revisori contabili circa la sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. Tali
accordi nonostante l’omologazione restano stragiudiziali e quindi vincolano solo le parti e non i
creditori estranei e diventano efficaci dal giorno della pubblicazione nel registro delle imprese. Da tale
data decorre anche il termine entro il quale i creditori e ogni altro interessato possono proporre
opposizione.
Capitolo IV LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
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373) Origine, fondamento e caratteri – La liquidazione coatta amministrativa è disposta dall’autorità
amministrativa per alcune imprese come le imprese di assicurazione o bancarie, le società cooperative,
le società fiduciarie, di intermediazione mobiliare, di gestione di fondi comuni di investimento. A
differenza dalle altre procedure concorsuali la liquidazione coatta amministrativa può essere disposta,
oltre che per la crisi economica dell’impresa anche per altri motivi quali l’irregolare funzionamento
dell’impresa o l’esistenza di ragioni di pubblico interesse che impongano la soppressione dell’ente.
Pertanto quando il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa è determinato da ragioni
diverse dalla crisi economica dell’impresa lo scopo cui il provvedimento tende non è la soddisfazione
paritetica dei creditori ma la soppressione dell’ente. E’ chiaro però che in questi casi la soddisfazione
paritetica dei creditori diventa un presupposto necessario per realizzare lo scopo della soppressione
dell’ente.
374) Inserzione della disciplina nella legge fallimentare - L’inserimento della liquidazione coatta
amministrativa nella legge fallimentare accanto alle altre procedure concorsuali sembrerebbe quindi
giustificata solo nel caso in cui essa venga disposta a conseguenza di una crisi economica dell’impresa.
Tuttavia tale inserimento determina una estensione di alcune regole del concorso a tutte le ipotesi di
liquidazione coatta amministrativa. Solo nel caso in cui la liquidazione sia disposta per crisi economica
dell’azienda e tale crisi venga giudizialmente accertata (come vedremo dopo) vengono estese ad essa
le norme che regolano gli atti compiuti dal debitore con pregiudizio dei creditori prima della messa in
liquidazione e i reati fallimentari.
375) Rapporti con le altre procedure concorsuali -. Per quanto riguarda i rapporti tra la liquidazione
coatta amministrativa e le altre procedure concorsuali, in particolare il fallimento, valgono le seguenti
regole : a) per le imprese per le quali è prevista la liquidazione coatta amministrativa il fallimento può
essere dichiarato solo dove la legge lo ammette. Pertanto può essere dichiarato il fallimento per le
società cooperative che esercitano attività commerciale ma non per le imprese di assicurazione (per le
quali la legge esclude l’assoggettamento alle procedure concorsuali ad eccezione della liquidazione
coatta amministrativa. 2) nel caso la legge ammetta il fallimento vige il principio della prevenzione e
quindi la dichiarazione di fallimento esclude la liquidazione coatta e viceversa. c) quando il fallimento
non è ammesso dalla legge o quando è ammesso ma l’impresa è stata già sottoposta a liquidazione
coatta in sostituzione della dichiarazione di fallimento abbiamo una diversa procedura, l’accertamento
giudiziale dello stato di insolvenza. Tale procedura ha l’effetto di rendere applicabile anche alla
liquidazione coatta le norme del concorso dirette a tutelare i creditori contro gli atti compiuti
precedentemente dal debitore che hanno determinato la violazione della par condicio, nonché le
norme in tema di reati fallimentari. Vediamo quindi come la differenza sostanziale tra fallimento e
liquidazione coatta non sta tanto nella posizione degli interessati (debitore, creditore, terzi) ma nella
procedura stessa e quindi nelle modalità di attuazione del concorso. Tali differenze nascono dal fatto
che il fallimento è una procedura che si attua totalmente nell’ambito giurisdizionale mentre la
liquidazione coatta è una procedura che si svolge nell’ambito amministrativo riservando all’autorità
giudiziaria solo l’accertamento dell’eventuale stato di insolvenza e la risoluzione di eventuali conflitti.
376) Funzioni giurisdizionali e attività amministrativa – Le funzioni giurisdizionali nella procedura di
liquidazione coatta sono limitate quindi all’accertamento dello stato di insolvenza, alla risoluzione
delle controversie relative alla formazione dello stato passivo, alla risoluzione delle impugnazioni
proposte con il bilancio di liquidazione e il piano di riparto dell’attivo, all’approvazione del concordato
(e alla sua risoluzione o annullamento). Tutte le altre funzioni inerenti alla liquidazione coatta
amministrativa sono quindi svolte dall’autorità amministrativa e dagli organi da essa nominati e di
conseguenza è atto della pubblica amministrazione il provvedimento che ordina la liquidazione ed è
organo amministrativo il commissario liquidatore, spettano alla pubblica amministrazione la vigilanza
sull’operato del commissario liquidatore e le altre funzioni che nel fallimento spettano al comitato dei
creditori e al giudice delegato. Pertanto l’emanazione del provvedimento che determina la
liquidazione coatta è un atto di valutazione della p.a. che può essere solo provocato dai creditori o altri
interessati in quanto è compito della p.a. valutare l’esistenza dei presupposti per dar luogo al
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provvedimento. Di fronte alla eventuale inerzia della p.a. o di fronte al suo rifiuto di provvedere
possono essere esperiti i rimedi concessi per la violazione di interessi legittimi da parte della p.a. e tali
rimedi possono essere esperiti anche nel caso in cui la p.a. adotti tale provvedimento al di fuori delle
ipotesi previste dalla legge.
377) Accertamento giudiziale dell’insolvenza - Nel caso di insolvenza dell’impresa (purchè si tratti di
impresa privata) i creditori e l’autorità di vigilanza possono richiedere all’autorità giudiziale la
dichiarazione dello stato di insolvenza. Dato il rilievo pubblicistico dell’impresa la legge richiede che il
tribunale prima di dichiarare lo stato di insolvenza debba sentire il debitore e l’autorità
amministrativa che ha la vigilanza sull’impresa. E’ chiaro che ciò non impedisce al tribunale di
dichiarare lo stato di insolvenza qualora esso sussista (in base a ragioni di pubblico interesse) ma ha
invece lo scopo di far sì che la p.a. possa fornire elementi utili ad escludere lo stato di insolvenza
prima che lo stesso venga giudizialmente dichiarato o di prendere i provvedimenti opportuni per
evitarlo prima che se ne determinino conseguenze. Come ogni altro atto amministrativo il
provvedimento che ordina la liquidazione può essere revocato dalla stessa autorità che lo ha emanato
ma qualora sia stato dichiarato lo stato di insolvenza ciò non è più possibile (a meno che non sia stato
proposto e accolto il reclamo contro la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza). Nello stesso modo
è possibile che qualora, a seguito di reclamo accolto, lo stato di insolvenza venga revocato, la p.a.
mantenga comunque la liquidazione. In questo caso l’effetto della revoca dello stato di insolvenza sarà
solo quello di rendere inapplicabili le norme connesse a tale accertamento. L’accertamento giudiziale
dello stato di insolvenza può essere precedente o successivo al provvedimento che ordina la
liquidazione. Nel primo caso con la sentenza che dichiara l’insolvenza il tribunale adotta i
provvedimenti conservativi del patrimonio in attesa che inizi la procedura di liquidazione, nel secondo
caso non vi è necessità di provvedimenti conservativi (essendo in funzione il commissario liquidatore)
e quindi conseguenza della sentenza è solo quella di rendere applicabili alla liquidazione
amministrativa le norme sulla revoca degli atti pregiudizievoli per i creditori e le sanzioni penali
previste per i reati fallimentari. Possono richiedere l’accertamento i creditori, l’autorità di vigilanza e
la stessa impresa e, nel caso di impresa già sottoposta alla liquidazione coatta, anche il commissario
liquidatore o il pubblico ministero.
378) Effetti del provvedimento di ,liquidazione - Il provvedimento dell’autorità amministrativa che
ordina la liquidazione determina l’apertura del concorso, deve essere pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale e depositato all’Ufficio del registro delle imprese. Il provvedimento di liquidazione determina
lo spossessamento del debitore di tutti i beni (tranne quelli personalissimi) e la sostituzione del
commissario liquidatore all’imprenditore e. per le società, agli organi sociali, nell’amministrazione del
patrimonio e nella rappresentanza processuale nonché tutti gli effetti determinati dalle altre
procedure concorsuali (in particolare il fallimento) nei confronti dei creditori e dei rapporti giuridici
preesistenti.
379) Organi della liquidazione amministrativa - Gli organi sono il commissario liquidatore, l’autorità
di vigilanza e il comitato di sorveglianza. Il commissario liquidatore ha posizione simile a quella del
curatore, è pubblico ufficiale e ha il compito dell’amministrazione del patrimonio ricevuto in consegna
sulla base di un inventario dall’imprenditore o dagli organi sociali. Tale compito viene svolto sotto le
direttive dell’autorità di vigilanza e il controllo del comitato di sorveglianza. Per gli atti di
straordinaria amministrazione deve essere autorizzato dall’autorità di vigilanza, deve eseguire i suoi
compiti con diligenza, viene retribuito e risponde del suo operato (e può essere revocato) all’autorità
di vigilanza. Spetta al commissario liquidatore anche il compito di formare lo stato passivo (compito
spettante nel fallimento al giudice delegato). L’autorità di vigilanza riassume in sé i compiti del giudice
delegato, del comitato dei creditori e del tribunale, nominando o revocando il commissario liquidatore,
fissandone le direttive e fornendogli tutte le autorizzazioni necessarie. Il comitato di sorveglianza è un
organo consultivo che fornisce pareri circa gli atti di straordinaria amministrazione. I suoi pareri sono
vincolanti in caso di vendita in blocco dei mobili e degli immobili. Assiste il commissario liquidatore
nella sorveglianza sull’esecuzione del concordato.
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380) Fasi del procedimento. A) accertamento del passivo - Fermo restando che le varie fasi del
procedimento sono compiute in via amministrativa e non giurisdizionale, l’accertamento del passivo è
compito del commissario liquidatore. Coloro che sono riconosciuti come creditori dal commissario
liquidatore non hanno bisogno di presentare domanda di riconoscimento del credito e quindi sono
soggetti a questo obbligo solo i creditori non riconosciuti o il cui credito sia riconosciuto in misura
minore a quello dovuto. Lo stesso sistema viene seguito per i terzi che hanno diritto di rivendicare la
restituzione di cose mobili possedute dall’impresa. Il commissario liquidatore esamina le domande e
forma l’elenco dei crediti ammessi e di quelli respinti e lo deposita presso la cancelleria del tribunale
dandone notizia a tutti coloro la cui domanda non sia stata in tutto o in parte accolta. Con il deposito
l’elenco diventa esecutivo ed entro 30 giorni devono essere proposte le opposizioni e le impugnazioni.
In questo modo viene ad inserirsi nel procedimento amministrativo una fase giuridsdizionale che si
svolge secondo le regole previste nel fallimento. Anche in questo caso sono consentite domande
tardive che devono essere proposte mediante ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale.
Esse non pregiudicano le ripartizioni già avvenute ma danno solo il diritto a partecipare alle
ripartizioni future.
381) continua – b) la liquidazione dell’attivo - Anche la liquidazione dell’attivo è compito del
commissario liquidatore, La legge non prescrive particolari norme d seguire ma l’autorità di vigilanza
può limitare i poteri del liquidatore o imporre modalità determinate.
382) continua – c) la ripartizione dell’attivo - Le somme realizzate mediante la liquidazione vengono
erogate nei modi previsti dalla legge e quindi in primo luogo per il pagamento dei crediti prededucibili,
in secondo luogo per i creditori privilegiati, in terzo luogo per i creditori chirografari. Il commissario
liquidatore deve sottoporre il piano di riparto insieme ad una relazione del comitato di sorveglianza
all’autorità di vigilanza che ne autorizza il deposito presso la cancelleria del tribunale ed eroga il
compenso al commissario liquidatore. La notizia del deposito viene pubblicata sulla G.U e data ai
creditori che hanno 20 giorni per proporre ricorso al tribunale. Il tribunale provvede su di essi con
decreto in camera di consiglio. Le contestazioni possono riguardare sia il bilancio di liquidazione sia il
piano di riparto ma nel secondo caso possono riguardare solo le modalità di riparto e non il diritto dei
creditori a parteciparvi,, diritto che doveva essere fatto valere precedentemente mediante
impugnazione dell’ammissione- Nel caso la liquidazione coatta non sia adottata per crisi economica, a
seguito del riparto potrebbe rimanere un residuo che deve essere attribuito agli aventi diritto
(imprenditore, soci, ecc). Se nel termine di legge non ci sono contestazioni il bilancio finale e il piano
di riparto vengono approvati e pertanto si procede alla ripartizione tra i creditori.
382) Il concordato - Il procedimento di liquidazione può concludersi, invece che con le fasi sopra
descritte, con un concordato che ha però struttura diversa da quello visto per il fallimento. Nella
liquidazione coatta infatti il concordato si attua senza la partecipazione dei creditori che non devono
approvarlo ma possono solo presentare opposizione al tribunale. La tutela dei creditori è quindi
rimessa agli organi della liquidazione i quali devono autorizzare il debitore, uno o più creditori o un
terzo a proporre il concordato e al tribunale che sentito il parere degli organi della liquidazione e
dell’opposizione dei creditori, accoglie o respinge la proposta con decreto in camera di consiglio. Gli
organi della procedura rimangono in vita finchè il concordato non viene eseguito per sorvegliarne
l’adempimento.. Il concordato può essere risolto su istanza del commissario o dei creditori per
inadempimento o può essere annullato qualora sia stato dolosamente esagerato il passivo o sottratta
una parte notevole dell’attivo. Con la risoluzione o l’annullamento si riapre la liquidazione
amministrativa.
384) La liquidazione coatta delle società - Se l’impresa soggetta a liquidazione coatta è una società il
presidente del tribunale può, su richiesta del commissario liquidatore, richiedere ai soci i versamenti
non ancora effettuati anche se non sia scaduto il termine per il loro pagamento. Inoltre il commissario
può esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori e quella spettante ai creditori per
esercizio scorretto dell’attività di direzione e coordinamento di società. La liquidazione coatta a
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differenza del fallimento non si estende ai soci illimitatamente responsabili, tuttavia gli effetti di un
eventuale accertamento giudiziale di insolvenza si producono anche nei confronti di essi con la
conseguenza che gli atti di disposizione da essi compiuti a danno dei creditori possono essere
dichiarati inefficaci nei confronti dei creditori della società.
CAPITOLO V L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA
385) Presupposti e finalità della procedura - La procedura di amministrazione straordinaria,
modificata con decreto legislativo del 1990, si applica alle grandi imprese insolventi. Sono considerate
grandi imprese quelle con un numero di lavoratori non inferiore a 200 e che hanno debiti per un
ammontare almeno pari ai due terzi sia del totale dell’attivo che dei ricavi annuali dell’ultimo esercizio.
Per tali imprese è esclusa una immediata dichiarazione di fallimento e si prevede invece, una volta
accertato lo stato di insolvenza, una fase intermedia nella quale si verifica la possibilità di un
risanamento. A seconda di tale verifica può avere luogo il fallimento o l’apertura della procedura di
amministrazione straordinaria volta a conservare il patrimonio produttivo tramite la prosecuzione o
riconversione delle attività imprenditoriali. La procedura di amministrazione straordinaria deve
essere considerata una procedura mista in quanto vi partecipano sia l’autorità amministrativa che
quella giudiziaria. Per le imprese di maggiori dimensioni (con almeno 500 lavoratori e debiti non
inferiori a 300 milioni di euro) è prevista la possibilità di richiedere l’immediata ammissione alla
procedura di amministrazione straordinaria previa presentazione di un ricorso per la dichiarazione
dello stato di insolvenza.
386) La dichiarazione dello stato di insolvenza – Abbiamo detto che presupposto fondamentale per
l’apertura della amministrazione straordinaria è la dichiarazione dello stato di insolvenza che viene
pronunciata dal tribunale con sentenza su istanza degli stessi soggetti legittimati a chiedere la
dichiarazione di fallimento, Il procedimento è simile a quello previsto dalla legge fallimentare con la
differenza che vi partecipa anche il Ministro delle attività produttive. La dichiarazione dello stato di
insolvenza provvede anche alla nomina degli organi necessari per la procedura intermedia che sono il
giudice delegato e il commissario giudiziale. Essa inoltre fissa i termini per le domande di ammissione
al passivo da parte dei creditori, stabilisce il termine per l’esame dello stato passivo e soprattutto
stabilisce se la gestione, nella fase intermedia, sarà lasciata all’imprenditore insolvente o al
commissario giudiziale. In quest’ultimo caso si ha ovviamente lo spossessamento del debitore mentre
in tutti i casi si verificherà l’assoggettamento dei creditori alle regole del concorso e l’inefficacia dei
pagamenti effettuati successivamente. In tutti i casi inoltre i crediti sorti per la continuazione
dell’impresa devono essere soddisfatti in prededuzione.
387) L’ammissione alla amministrazione straordinaria- Il tribunale, sulla base della relazione del
commissario giudiziale e del ministro delle attività produttive, nonché di ulteriori accertamenti
ritenuti necessari, provvede con decreto motivato alla apertura della procedura di amministrazione
straordinaria se ritiene che ne esistano i requisiti o in caso contrario alla dichiarazione di fallimento (
in questa ultima ipotesi la procedura prosegue secondo la disciplina della legge fallimentare). Nel caso
di apertura della procedura di amministrazione straordinaria viene individuato il programma per il
recupero tra quelli previsti dalla legge (a) programma di cessione dei complessi aziendali da
realizzarsi in un periodo non superiore ad un anno mediante la prosecuzione della impresa b)
programma di ristrutturazione da effettuarsi mediante una attività di risanamento per un periodo non
superiore a 2 anni). In ogni caso i creditori restano soggetti alla regola del concorso e quindi la divieto
di azioni esecutive individuali, e in ogni caso la gestione dell’impresa viene affidata ad un commissario
straordinaria con il conseguente spossessamento dell’imprenditore (se non si è già verificato
precedentemente). Per quanto riguarda i contratti in corso di esecuzione la regola generale è quella
della loro continuazione salva la facoltà del commissario straordinario di sciogliersi da essi. Per
quanto riguarda le azioni revocatorie esse sono esercitabili solo nel caso in cui la procedura si volga
tramite la cessione dei complessi aziendali e non quando si volga invece tramite un programma di
ristrutturazione.
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388) L’amministrazione straordinaria delle imprese di maggiori dimensioni - Abbiamo detto che le
imprese di maggiori dimensioni possono chiedere al Ministero delle attività produttive l’immediata
ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria presentando contestualmente un ricorso
al tribunale per la dichiarazione dello stato di insolvenza. La procedura si avvia sulla base di un
decreto del Ministro che dopo aver valutato l’esistenza dei requisiti dimensionali richiesti dalla legge e
le motivazioni della richiesta, nomina un commissario straordinario che deve provvedere alla
amministrazione della impresa fino alla dichiarazione di insolvenza. Il decreto del ministro determina
quindi lo spossessamento del debitore e il divieto di azioni esecutive individuali da parte dei creditori.
Il decreto del ministro deve essere comunicato al tribunale affinchè nei successivi quindici giorni
accerti con sentenza lo stato di insolvenza provvedendo alla nomina del giudice delegato e alla
assunzione dei provvedimenti necessari per la formazione dello stato passivo e quindi la vera e
propria apertura della procedura. Se invece il tribunale respinge la richiesta di dichiarazione dello
stato di insolvenza o accerti la mancanza di requisiti cessano immediatamente gli effetti del decreto
del ministro. Nel termine di 180 giorni il commissario deve presentare al ministro il programma (di
ristrutturazione o di cessione). Se il programma non viene autorizzato o ne risulti impossibile
l’adozione il tribunale dispone la conversione della procedura in fallimento e la stessa conseguenza si
verifica se alla scadenza il programma non è stato realizzato (salva la possibilità di proroga da parte
del ministro per un periodo massimo di 12 mesi). La legge consente inoltre al commissario
straordinario di esercitare le azioni revocatorie anche nel caso di programma di ristrutturazione e di
compiere (su autorizzazione del ministro) operazioni di cessione anche di aziende.
389) Gli organi della procedura - Il carattere misto della procedura implica la partecipazione di organi
sia amministrativi che giudiziari. Il ministro delle attività produttive ha una generale funzione di
vigilanza e inoltre,nel procedimento previsto per le imprese di maggiori dimensioni il suo compito è
ancora più rilevante in quanto la stessa procedura si avvia a seguito di suo decreto e spetta a lui
concedere la proroga del programma di esecuzione. Organo esecutivo è invece il commissario
straordinario che sostituisce il commissario giudiziale (nominato con la dichiarazione dello stato di
insolvenza, che per le imprese di maggiori dimensioni non è neanche previsto mancando in questo
caso la fase intermedia). Il commissario giudiziale è nominato dal ministro, ha il compito di gestire
l’impresa e di predisporre il programma di risanamento curandone l’esecuzione. Il comitato di
sorveglianza ha compiti consultivi e di controllo esprimendo un parere sugli atti del commissario. Per
quanto riguarda l’autorità giudiziaria hanno specifiche competenze il tribunale e il giudice delegato. Il
tribunale decide se aprire la procedura di amministrazione o dichiarare il fallimento, decide sui ricorsi,
decide la chiusura o riapertura della procedura o la conversione in fallimento. Il giudice delegato
invece ha il compito di provvedere all’accertamento del passivo e alla ripartizione dell’attivo.
390) I programmi di risanamento e la cessazione della procedura – Abbiamo detto che la procedura di
amministrazione straordinaria si basa sulla realizzazione del programma prescelto dal commissario
straordinario con l’approvazione del ministro. Abbiamo detto che i due programmi hanno diverse
implicazioni in quanto solo nel programma di cessione il commissario straordinario può esercitare le
azioni revocatorie fallimentari. Inoltre solo con il programma di cessione si può avere la ripartizione
dell’attivo in quanto nel programma di ristrutturazione la soddisfazione dei creditori è rinviata al
momento del suo esito positivo (nel caso di esito negativo si avrà naturalmente la conversione della
procedura in fallimento), La chiusura della procedura di amministrazione straordinaria può avvenire
per motivi diversi: quando non siano state presentate domande di ammissione al passivo, quando
l’imprenditore abbia recuperato la possibilità di far fronte ai creditori, quando nel programma di
cessione si sia avuta la ripartizione finale dell’attivo. Inoltre la procedura può chiudersi con il decreto
del tribunale che ne dispone la conversione in fallimento qualora risulti che la procedura non può
essere proseguita o quando il programma non sia stato realizzato alla scadenza. La chiusura può
avvenire anche con un concordato, richiesto dal commissario straordinario e approvato dal ministro,
cui sono applicabili le regole previste per la liquidazione coatta. La mancata approvazione del
concordato non comporta l’automatica conversione della procedura in fallimento che si verifica invece
solo qualora il commissario straordinario non presenti entro sessanta giorni al ministro un
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programma di cessione dei beni aziendali da realizzarsi in due anni o quando il ministro non l’abbia
autorizzato.
391) L’applicazione al fenomeno di gruppo - La disciplina della amministrazione straordinaria
presenta particolari implicazioni nella sua applicazione ai fenomeni di gruppo. Infatti la legge
consente, una volta aperta la procedura di amministrazione straordinaria di una impresa, di
ammettervi anche le altre imprese del gruppo che siano insolventi anche se non hanno i requisiti
dimensionali richiesti, Per far ciò occorre naturalmente valutare se tali imprese presentino concrete
possibilità di recupero delle attività imprenditoriali o se comunque risulti opportuna la gestione
unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo per raggiungere gli obiettivi della procedura. In tal
modo si prende atto che essendo la situazione di crisi una vicenda che investe complessivamente
l’intero gruppo anche la sua gestione deve essere unitaria e quindi la necessità di un programma di
risanamento che tenga conto dei loro collegamenti. Per tale motivo la legge consente che il
commissario straordinario sia autorizzato dal ministro ad effettuare dopo la dichiarazione di
insolvenza le operazioni necessaria per salvaguardare la continuità della attività aziendali delle
imprese del gruppo ed ammette la possibilità di un unico concordato per tutte le imprese del gruppo
stesso.. Viene riconosciuta inoltre al commissario straordinario e a quello giudiziale la possibilità di
esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci delle società del
gruppo e una rilevante estensione dei termini previsti per la presentazione delle azioni revocatorie
fallimentari nei confronti di altre imprese del gruppo.
CAPITOLO VI I REATI CONCORSUALI
392) Reati concorsuali e reati fallimentari – I reati concorsuali sono reati che presuppongono
l’esistenza di una procedura concorsuale che costituisce quindi presupposto del reato o comunque
condizione di punibilità in modo tale che il reato non sussiste o l’azione penale non può essere
esercitata fin quando non inizia una procedura concorsuale. Nell’ambito dei reati concorsuali hanno
fondamentale importanza i reati fallimentari che la legge disciplina in modo separato a seconda se
siano commessi dal fallito o da persone diverse.
393) La bancarotta : natura e caratteri - Trai reati commessi dal fallito la bancarotta è reato
fallimentare tipico. Essa può essere semplice o fraudolenta a seconda se l’elemento soggettivo del
reato sia costituito da colpa o dolo. La legge espressamente stabilisce che presupposto della
bancarotta è la dichiarazione di fallimento, stabilendo che l’azione penale può essere esercitata dopo la
sentenza dichiarativa di fallimento (solo in caso di fuga o latitanza dell’imprenditore può essere
esercitata l’azione in contemporanea alla presentazione della domanda di fallimento).
La
dichiarazione di fallimento è quindi condizione oggettiva di punibilità in quanto al di fuori del
fallimento non vi è bancarotta e se il fallimento è revocato viene meno la bancarotta e l’azione penale
eventualmente iniziata cade. Con il reato di bancarotta la legge punisce alcuni fatti (dolosi o colposi)
che incidono sul fallimento alterando il patrimonio del fallito o alterando la posizione dei singoli
creditori e anche se tali fatti sono molteplici il reato è unico in quanto la legge punisce non il fatto in se
ma l’alterazione che viene a determinarsi nella procedura fallimentare. Per tale motivo la commissione
di più fatti delittuosi costituisce solo aggravante e non si applicano i principi relativi al concorso di
reati.
394) La bancarotta fraudolenta. . Sono punite a titolo di bancarotta fraudolenta le seguenti ipotesi :a)
il fallito che prima o durante il fallimento occulti, dissipi o distrugga i suoi beni anche in parte o, allo
scopo di recare pregiudizio ai creditori, abbia esposto passività inesistenti. In entrambi i casi è
necessario il dolo specifico ma nel secondo caso occorre anche la dimostrazione della volontà di
nuocere ai creditori. B) il fallito che prima del fallimento abbia sottratto, distrutto o falsificato in tutto
o in parte i libri o le scritture contabili o li abbia tenuti in modo da rendere impossibile la ricostruzione
del patrimonio allo scopo di procurare a sé o a altri un ingiusto profitto o di nuocere ai creditori, o che
durante il fallimento abbia sottratto, falsificato o distrutto i libri o le scritture contabili. Come si vede
nella prima ipotesi è necessaria la dimostrazione che il fallito abbia agito per procurarsi un vantaggio o
150
per nuocere ai creditori. C) il fallito che prima o durante la procedura fallimentare allo scopo di
favorire qualcuno dei creditori abbia eseguito pagamenti o simulato titoli di prelazione (bancarotta
preferenziale). Anche qui occorre il dolo specifico di favorire alcuni creditori a danno di altri. In
aggiunta alla reclusione viene comminata in tutte le ipotesi come pena accessoria l’inabilitazione
dall’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità a esercitare uffici direttivi per un periodo di
10 anni.
395) La bancarotta semplice – E’ punito a titolo di bancarotta semplice l’ìmprenditore fallito che: a) ha
fatto spese personali o familiari eccessive rispetto alla sua condizione economica b) ha consumato
notevole parte del patrimonio in operazioni imprudenti c) ha aggravato il proprio dissesto astenendosi
dal richiedere la dichiarazione di fallimento o con altra grave colpa d) non ha soddisfatto le
obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare e) nei tre anni antecedenti
al fallimento non ha tenuto i libri e le scritture contabili obbligatorie o le ha tenute in modo irregolare.
Anche qui oltre alla reclusione è prevista come pena accessoria quella prevista per la bancarotta
fraudolenta ma per una durata di due anni.
396) Il ricorso abusivo al credito – Altro reato fallimentare è il ricorso abusivo al credito che si ha
quando l’imprenditore ricorra al credito dissimulando lo stato di dissesto o di insolvenza. Abbiamo
qui un reato doloso caratterizzato dal dolo di pericolo in quanto viene messa in pericolo la possibilità
di restituzione del credito. Oltre alla reclusione è prevista come pena accessoria la stessa prevista per
la bancarotta per una durata massima di tre anni.
397) Circostanze aggravanti e attenuanti - Sono circostanze aggravanti (con aumento della pena della
metà) la rilevante gravità del danno, l’aver commesso più fatti delittuosi tra quelli previsti dalla legge
fallimentare e l’aver esercitato l’impresa contro un divieto di legge. E’ invece circostanza attenuante
(con riduzione della pena fino ad un terzo) la speciale lievità del danno patrimoniale cagionato.
398) Altri reati commessi dal fallito. Altri reati sono la denuncia di creditori inesistenti nell’elenco
nominativo dei creditori, la inosservanza dell’obbligo di depositare i bilanci, le scritture contabili e
l’elenco dei creditori, e la inosservanza dell’obbligo di comunicare al curatore cambi di residenza o
domicilio di presentarsi personalmente agli organi del fallimento.
399) Responsabilità penale dei soci illimitatamente responsabili – Nel fallimento delle società in nome
collettivo e in accomandita semplice si applicano nei confronti dei soci illimitatamente responsabili
per i fatti da loro commessi le disposizioni penali relative al fallito. In questo modo la legge rende
applicabile ai soci illimitatamente responsabili le norme penali per l’imprenditore anche se non sono
imprenditori e limita la loro responsabilità penale solo al caso in cui essi stessi hanno commessi il fatto
delittuoso. Il socio illimitatamente responsabile non risponde invece per il fatto delittuoso commesso
da altro socio.
400) Responsabilità penale degli organi e dell’institore - Per quanto riguarda le persone diverse dal
fallito la legge prende in considerazione gli organi della società fallita, l’institore, il curatore e i
creditori. Per quanto riguarda gli organi della società fallita ad essi si applicano le sanzioni previste
per l’imprenditore nel caso abbiano commesso fatti costituenti bancarotta fraudolenta o semplice,
abbiano fatto ricorso abusivamente al credito, abbiano denunciato crediti inesistenti o omesso di
dichiarare beni da comprendere nell’inventario. Sono invece applicabili all’institore le sanzioni penali
previste per l’imprenditore solo quando egli si sia reso colpevole di fatti costituenti reati concorsuali
nella gestione affidatagli anche se il fatto sia stato compiuto per incarico dell’imprenditore.
401) Responsabilità penale del curatore e del coadiutore - Nei confronti del curatore, in quanto
pubblico ufficiale, sono applicabili le comuni norme penali per i reati di peculato, concussione,
corruzione e abuso di ufficio. Inoltre la legge fallimentare punisce il curatore qualora non ottemperi
all’ordine del giudice di consegnare o depositare somme o altre cose del fallimento. Il reato sussiste in
conseguenza della inesecuzione dolosa o colposa dell’ordine del giudice e quindi prescinde dal
151
compimento di atti di appropriazione o distrazione che configurerebbero il reato di peculato. Le
sanzioni previste sono applicabili anche nei confronti dei coadiutori del curatore nel fallimento.
402) Responsabilità penale dei creditori - La legge fallimentare considera reato (a parte l’eventuale
concorso in bancarotta o favoreggiamento) il fatto del creditore che presenti domanda di ammissione
al passivo di un credito fraudolentemente simulato, che sottragga o dissimuli beni del fallito dopo la
dichiarazione di fallimento, o l’acquisto dei beni del fallito a prezzo notevolmente inferiore a quello di
mercato avvenuto precedentemente alla dichiarazione di fallimento ma con la consapevolezza dello
stato di dissesto.
403) Reati concorsuali nel concordato preventivo, nella liquidazione coatta amministrativa e
nell’amministrazione straordinaria - Nella procedura di concordato preventivo la legge punisce
l’imprenditore che al solo scopo di essere ammesso alla procedura si sia attribuito attività inesistenti o
che abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti. Inoltre le sanzioni penali previste per il
fallimento si estendono al concordato preventivo nella misura in cui si ponga l’esigenza
L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza nel caso di liquidazione coatta e la dichiarazione
dello stato di insolvenza nella amministrazione straordinaria sono espressamente equiparati dalla
legge alla dichiarazione di fallimento ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di reati
fallimentari.
PARTE QUARTA GLI ATTI DELL’IMPRENDITORE
CAPITOLO I – CONSIDERAZIONI GENERALI
404)- 407) I singoli atti come elementi dell’attività imprenditrice_ conseguenze giuridiche – L’attività
dell’imprenditore si risolve in concreto in una serie di atti singoli collegati tra di loro in vista dello
scopo che l’imprenditore stesso persegue. A seconda dell’oggetto dell’impresa potrà trattarsi di atti di
compravendita, di assicurazione o trasporto, di operazioni di credito o di atti di mediazione,
commissione o spedizione. La disciplina dell’atto singolo non subisce in linea di principio
modificazioni per il solo fatto di essere inserito nell’esercizio di una impresa e infatti che l’atto sia
compiuto nell’esercizio dell’impresa o al di fuori di essa, il regime giuridico rimane identico e identici
rimangono gli effetti prodotti dall’atto. Tuttavia il collegamento che si pone tra i vari atti non è privo di
ogni rilevanza per il diritto in quanto determina particolari atteggiamenti e particolari problemi di cui
il diritto deve tenere conto. Infatti l’attività imprenditrice ha particolari esigenze che ovviamente si
riflettono sulla struttura degli atti. Ad esempio possiamo pensare all’esigenza nell’impresa di
uniformare la propria attività a determinate direttive cui si ricollega il fenomeno della predisposizione
di condizioni generali di contratto o dei contratti di adesione sulla base di formulari già predisposti, o
alla possibilità di far credito ai clienti (credito al consumo) cui si ricollega il fenomeno della vendita a
rate. Naturalmente tali fenomeni potrebbero realizzarsi anche al di fuori dell’impresa ma sarebbe un
caso eccezionale in quanto è proprio nell’impresa che essi si sviluppano e trovano la loro normale
applicazione. I particolari fenomeni che si verificano nell’esercizio dell’impresa determinano quindi
l’applicazione di principi particolari ma sono proprio le particolari caratteristiche che gli atti
assumono quando sono inseriti in una attività imprenditirice a giustificare la specialità della disciplina
giuridica applicata e non il fatto stesso della inserzione dell’atto nell’esercizio dell’impresa. Inoltre
occorre segnalare anche l’esigenza sempre più sentita della tutela del consumatore che ha delineato
una distinzione tra i contratti in cui entrambe le parti intervengono come professionisti e quelli dove
una parte appunto si presenta come consumatore, dando luogo ad una vasta produzione di leggi
speciali di cui la gran parte è stata inserita nel codice del consumo del 2005.
CAPITOLO II - ASPETTI GIURIDICI DELLE ESIGENZE TECNICHE DELL’IMPRESA –
1) Contrattazione di impresa
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408) Coordinamento dei singoli atti in vista dell’unità della funzione a) condizioni generali di contratto
e contratti di adesione; contratti porta a porta e contratti a distanza - L’imprenditore nell’esercizio
della sua attività deve necessariamente improntare la sua azione ad una unità di criteri e direttive e
pertanto è necessaria nei rapporti con i clienti la pretederminazione dei moduli e formulari e la
imposizione al cliente di contratti già predisposti che il cliente può accettare o non accettare ma non
può in linea di principio modificare. Tali schemi contrattuali sono in genere predisposti direttamente
dall’imprenditore e imposti alla clientela dando luogo al fenomeno dei cosiddetti contratti per
adesione. Non vi è dubbio che si tratti di contratti in quanto anche in questo caso l’elemento
fondamentale, il consenso, è presente anche se la volontà di una parte è limitata all’accettazione o al
rifiuto di uno schema predisposto al di fuori di essa. L’unica preoccupazione è in questo caso che il
contraente abbia piena consapevolezza degli impegni assunti e che l’imprenditore non approfitti della
sua situazione di preminenza per imporre al cliente clausole eccessivamente onerose o addirittura
vessatorie. Per tale motivo la legge stabilisce che le condizioni generali del contratto sono valide per
l’altro contraente solo se al momento della conclusione del contratto questo le ha conosciute o avrebbe
dovuto conoscerle con la normale diligenza, richiedendo per alcune clausole contrattuali la specifica
approvazione scritta, stabilendo che le clausole contenute nei contratti per adesione si devono
interpretare, nel dubbio, a favore dell’altro contraente, e stabilendo la invalidità di determinate
clausole eccessivamente onerose. Le clausole che richiedono espressa approvazione scritta
riguardano in genere limitazioni di responsabilità a favore di chi le ha predisposte o limitazioni alla
facoltà dell’altro contraente di opporre eccezioni e lo scopo che si propone la legge richiedendo tale
espressa approvazione è quello di rendere consapevole il contraente degli impegni che assume. Se in
tal modo la legge riesce ad assicurare la consapevolezza da parte del contraente degli impegni assunti
non riesce però ad escludere che colui che ha predisposto il contratto approfitti della propria
situazione di preminenza. Per tale motivo sono intervenute leggi speciali oggi contenute nel codice di
consumo che richiede per alcune clausole che determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi derivanti dal contratto, una negoziazione e quindi una trattativa individuale. Per tali clausole
quindi non è sufficiente che il cliente le conosca ma è richiesta una specifica trattativa, in mancanza
della quale esse devono ritenersi nulle e quindi inefficaci. Ovviamente si tratta di una nullità relativa
che opera solo a vantaggio del consumatore e può essere fatta valere solo da questo oltre che essere
rilevata d’ufficio dal giudice. Secondo il codice di consumo inoltre alcune clausole devono ritenersi
vessatorie di per sé e quindi inefficaci. E’ chiaro che la normativa posta dal codice di consumo si
applica solo nei rapporti contrattuali dove vi è una disparità economica tra le parti, e quindi dove
troviamo da un lato un professionista e dall’altro un consumatore. Il codice di consumo pone poi altre
regole per quei contratti che vengono stipulati fuori dai locali commerciali e quindi con tecniche di
comunicazione a distanza che permettono di concludere il contratto senza la simultanea presenza
fisica di entrambe le parti. Per questi contratti il codice di consumo stabilisce il diritto di recedere
(diritto irrinunciabile come tutti i diritti riconosciuti al consumatore dal codice di consumo) che il
consumatore può far valere dandone notizia all’altra parte entro 10 giorni. Con la ricezione da parte
dell’imprenditore i contraenti sono sciolti dalle obbligazioni derivanti dal contratto.
409) b) i contratti tipo e i contratti di tariffa o normativi - I contratti tipo sono il risultato di accordi tra
imprenditori che svolgono la stessa attività economica e che mirano a dare unità di indirizzo alle
attività dei vari imprenditori determinando una standardizzazione dei contratti corrispondente alla
standardizzazione dei prodotti. I contratti di tariffa o normativi mirano invece a fissare le condizioni
contrattuali nei rapporti tra imprenditore e cliente quando tra essi deve attuarsi una serie
continuativa di rapporti. Essi quindi non determinano il sorgere di obblighi immediati ma fissano le
condizioni cui dovranno essere regolati i rapporti futuri tra le parti.
410) Interpretazione dei contratti predisposti unilateralmente - Per quanto riguarda l’interpretazione
dei contratti per adesione valgono in generale i principi stabiliti dal codice civile per cui
l’interpretazione deve essere fatta secondo buona fede e tenendo conto della comune intenzione delle
parti. Tuttavia tenendo conto che si tratta di contratti in cui l’attività di una parte si limita alla adesione
assume particolare rilievo la pratica generale vigente nel luogo dove il contratto è concluso e inoltre la
153
legge stabilisce che il dubbio sulla interpretazione di una clausola debba essere risolto contro colui che
ha predisposto il contratto stesso. Tale ultimo principio viene inoltre generalizzato tutte le volte in cui
il contratto sia concluso tra un imprenditore e un consumatore anche se le clausole da interpretare
non sono contenute in contratti predisposti dal professionista.
411) Norme uniformi e regole del commercio internazionale - Altro fenomeno di particolare rilievo
nei rapporti commerciali è quello delle norme uniformi, ossia quel complesso di regole destinate ad
operare in un determinato ambiente o in determinate categorie di rapporti commerciali. Tali norme da
un lato hanno funzione interpretativa in quanto sono tese a chiarire il significato giuridico di alcune
espressioni caratteristiche dell’ambiente o dei rapporti commerciali cui si riferiscono e dall’altro
tendono a creare veri e propri schemi negoziali (es. usi di borsa, condizioni generali peri contratti
bancari). Tali regole pur essendo desunte dalla prassi e dall’ambiente sociali in cui il contratto si pone
non possono essere considerate come norme consuetudinarie in quanto sono il risultato di una
elaborazione da parte di organismi qualificati che presiedono al commercio internazionale, alla borsa
o alle banche e tendono ad indirizzare gli operatori verso questi schemi che appaiono i più opportuni e
pertanto si può dire che essi tendono più a provocare una prassi che a recepirla. Tali norme uniformi
si pongono su un piano diverso dalle condizioni contenute in moduli e formulari in quanto sono poste
in funzione delle esigenze proprie di un determinato rapporto commerciale e non in funzione delle
esigenze proprie di un determinato imprenditore Esse naturalmente sono sottoposte alla valutazione
da parte dell’ordinamento e quindi, se si tratta di norme interne, non possono porsi in contrasto con
norme imperative e con i principi dell’ordine pubblico. Nell’ambito del commercio internazionale
l’esigenza di norme uniformi per l’attività commerciale è ancora più sentita in quanto occorre superare
gli ostacoli e le incertezze che possono nascere dalle diverse soluzioni normative dei vari ordinamenti
nazionali. Tale esigenza può essere soddisfatta tramite l’elaborazione di una disciplina uniforme
predisposta dagli stati attraverso convenzioni internazionali o da organismi internazionali, privati o
intergovernativi che pongono a disposizione delle parti modelli di disciplina cui esse possono, nei
limiti delle norme imperative, avvalersi per regolare i loro rapporti.
2) Semplificazione dei rapporti giuridici
412) Contratti su documenti, documenti di legittimazione, titoli di credito - La molteplicità di rapporti
giuridici che derivano dall’attività imprenditoriale creano l’esigenza di trovare dei mezzi tecnici che
permettano di semplificare la disciplina generale per quanto riguarda l’accertamento del possesso e
della regolarità formale dei documenti che attestano il regolare trasferimento dei diritti. Rientrano tra
questi mezzi tecnici i contratti su documenti nei quali il contratto ha per oggetto i documenti
rappresentativi della merce), i documenti di legittimazione (attraverso i quali la possibilità di
pretendere l’adempimento dipende dalla esibizione di particolari documenti) e i titoli di credito
(attraverso i quali il possesso del documento legittima il potere di disporre e di esercitare il diritto in
esso contenuto indipendentemente dalla esistenza e regolarità dei rapporti attraverso i quali si attua
la circolazione del diritto). Alcuni di tali mezzi tecnici verranno esaminati nel dettaglio più avanti.
413) Regolamento de rapporti in conto corrente: funzione e atteggiamento - Un altro mezzo utilizzato
per semplificare i rapporti tra imprenditori e tra imprenditori e clienti è quello del conto corrente.
Infatti nel conto corrente aperto tra le due controparti vengono segnate le partite di credito e debito
conseguenti alle operazioni compiute in modo che in ogni momento ciascuna delle parti può
esattamente conoscere la sua posizione complessiva nei confronti dell’altra. Naturalmente il conto
corrente (che è molto usato ad esempio nella prassi bancaria) è solo una entità contabile e
giuridicamente non ha altro valore che quello di provare le diverse operazioni compiute una volta che
il conto sia stato approvato dalle parti. Il conto corrente può però assumere rilevanza giuridica qualora
tra le parti venga stipulato un contratto, detto appunto contratto di conto corrente, con il quale le parti
si obbligano non solo ad annotare in un conto i crediti derivanti dalle operazioni compiute ma anche a
considerare tali crediti inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto stesso.
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414) Il contratto di conto corrente – Il contratto di conto corrente, una volta stipulato tra le parti,
comporta l’obbligatorietà della annotazione in esso delle operazioni compiute tra le parti. Ovviamente
la annotazione nel conto dei crediti non comporta la loro estinzione ma solo una proroga della loro
esigibilità (posticipata come abbiamo detto al momento della chiusura del conto stesso) e pertanto i
crediti immessi nel conto conservano la loro individualità restando sempre possibile ogni azione tesa
alla nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del contratto da cui il credito stesso deriva.
415) continua – La chiusura del conto - Alla chiusura del conto che si attua alle scadenze stabilite nel
contratto o dagli usi (o in mancanza alla fine di ogni semestre) viene effettuata la compensazione tra le
diverse partite di dare e avere e il saldo del conto diviene esigibile. Se il pagamento non è richiesto
dalla parte che ne ha diritto il saldo si considera come prima rimessa di un nuovo conto. Alla chiusura
del conto viene inviato da un correntista all’altro un estratto conto il quale si intende approvato se non
viene contestato nei termini pattuiti o d’uso o comunque in un congruo termine.
416) continua – Lo scioglimento del contratto - La chiusura del conto non deve essere confusa con lo
scioglimento del contratto in quanto comporta solo la liquidazione dei rapporti di dare e avere tra le
parti e l’esigibilità del saldo. Lo scioglimento del contratto può invece aversi per scadenza nei contratti
di durata o mediante dichiarazione di recesso da parte di ciascun correntista nei contratti a tempo
indeterminato. In tutti i casi è consentito alle parti di recedere in caso di interdizione, inabilitazione,
insolvenza o morte dell’altra. La dichiarazione di recesso comporta che il conto viene bloccato e non
possono essere esservi incluse altre partite ma non l ‘esigibilità del saldo che si determina solo al
momento stabilito nel contratto per la chiusura del conto.
3) Circolazione dei rapporti giuridici
417) La cessione di contratto - Attraverso la cessione del contratto (che risponde all’esigenza di una
veloce mobilizzzazione della ricchezza) si ha la sostituzione di un’altra persona alla persona del
contraente e quindi la cessione riguarda sia la posizione attiva che quella passiva del contraente. La
cessione del contratto è quindi possibile solo nei contratti a prestazioni corrispettive nei quali le
prestazioni non siano state eseguite. Nel caso di contratti con obbligazioni per una sola parte e di
contratti a prestazioni corrispettive dove una parte abbia già eseguito la sua prestazione si può parlare
di cessione di credito e non di cessione di contratto.
418) La struttura del negozio - Il negozio di cessione è perfetto con l’accordo tra cedente e cessionario
ma acquista efficacia nei confronti del contraente ceduto solo con la sua adesione, adesione che può
essere successiva alla cessione o preventiva. In questo secondo caso la cessione è efficace nei confronti
del contraente ceduto dal momento della notificazione o dal momento dell’accettazione.
419)continua – gli effetti del negozio – Dal momento in cui la sostituzione del contraente è efficace nei
confronti del contraente ceduto il cedente è liberato. Questo effetto può essere però impedito qualora
il contraente ceduto dichiari espressamente che non intende liberare il cedente e in questo caso il
contraente ceduto può agire nei confronti del cedente qualora il cessionario sia inadempiente Il
cedente è invece tenuto a garantire al cessionario la validità del contratto ma non l’adempimento del
contraente ceduto. Questa garanzia infatti potrebbe essere solo l’effetto di un patto espresso
attraverso il quale il cedente risponde come fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto.
4) Mezzi di pagamento
420) La moneta legale e i cosiddetti mezzi alternativi di pagamento - Le esigenze di sicurezza e
velocità che caratterizzano l’attività imprenditoriale si pongono anche al livello dei mezzi di
pagamento. Per quanto riguarda l’adempimento di obbligazioni pecuniarie la legge prevede che la
prestazione consista nella consegna di moneta avente corso legale dello stato. Tuttavia per ridurre i
rischi di sottrazione che la custodia e il trasporto di moneta legale comportano sono stati configurati
mezzi di pagamenti alternativi la cui emissione e gestione è riservata dalla legge al sistema bancario.
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Tali mezzi di pagamento alternativi sono l’assegno bancario e l’assegno circolare che insieme
all’assegno postale e ai vaglia postali e bancari sono oggi divenuti (a seguito della normativa dettata
per l’antiriciclaggio) mezzi sostitutivi della moneta qualora si tratti di trasferire importi di valore pari
o superiore a 12.500 euro. Altra forma di moneta diversa dalla moneta legale è data dal giroconto e in
generale dal meccanismo del conto bancario che si è soliti indicare come moneta bancaria o scritturale.
Abbiamo poi la moneta elettronica che la legge definisce come un valore monetario rappresentativo di
un credito nei confronti dell’emittente che viene memorizzato su un dispositivo elettronico a seguito
della ricezione di fondi di valore pari al valore monetario emesso e accettato come mezzo di
pagamento da soggetti diversi dall’emittente. L’emissione di tale moneta è riservata dalla legge alle
banche e agli istituti di moneta elettronica.
421) Sistemi e istituti di pagamento - Le tecniche di pagamento alternative alla moneta legale
richiedono l’intermediazione di un soggetto che si pone tra chi paga e chi riceve il pagamento. Pertanto
sono state elaborati specifici sistemi di pagamento e sono stati definiti dalla legge i servizi di
pagamento che la legge riserva alle banche, agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di
pagamento. Questi ultimi sono operatori che devono essere autorizzati dalla banca d’Italia, iscritti in
un apposito albo e soggetti alla vigilanza della banca d’Italia stessa che ha il compito di sorvegliare
l’intero sistema dei pagamenti. Gli istituti di pagamento devono aprire a nome dell’utilizzatore un
conto di pagamento dove il cliente deve trasferire le somme da utilizzare esclusivamente per la
prestazione del servizio. Tali conti costituiscono per ciascun cliente un patrimonio distinto da quello
dell’istituto di pagamento e degli altri clienti dello stesso e perciò sugli stessi non sono ammesse azioni
dei creditori dell’intermediario- Pertanto nell’ipotesi in cui l’istituto di pagamento svolga anche
attività imprenditoriali diverse dalla prestazione di servizi di pagamento deve essere costituito a tal
fine un patrimonio destinato esclusivamente al soddisfacimento degli utenti del servizio fermo
restando che nel caso di sua in capienza l’istituto risponde anche con il proprio intero patrimonio.
422) La carta di credito - La carta di credito è un documento che legittima il possessore a sostituire,
nel pagamento di merci o servizi, alla moneta legale l’addebitamento su un conto che viene aperto a
suo nome presso l’istituto emittente della carta e che deve essere periodicamente regolato alle
scadenze stabilite. La funzione della carta di credito è quella di consentire al possessore di regolare in
una unica soluzione alla scadenza prestabilita il prezzo degli acquisti fatti o dei servizi ricevuti nel
periodo. In tal modo viene a crearsi un duplice rapporto. Da un lato il rapporto tra intermediario
emittente della carta e titolare della carta che comporta l’apertura di un conto presso l’emittente sul
quale addebitare l’importo delle operazioni compiute presso le singole imprese convenzionate con
l’intermediari. Da questo punto di vista la carta costituisce uno strumento di pagamento. Da un altro
lato vi è un rapporto tra intermediario e imprese convenzionate le quali hanno presso l’intermediario
un conto nel quale vengono accreditati gli importi. L’intermediario emittente della carta regola alla
scadenza i rapporti tra acquirenti e imprese convenzionate tra conti che hanno un saldo debitore e
conti che hanno un saldo creditore. Per questa sua funzione e per il credito concesso l’intermediario
riceve una commissione percentuale.
5) Rapporti contrattuali tra imprenditori
423) L’abuso di dipendenza economica – Una disparità di posizione economica tra le parti di un
contratto può verificarsi non solo qualora un parte del contratto sia un consumatore ma anche nei
contratti conclusi tra imprenditori qualora la posizione di una impresa risulti subordinata rispetto a
quella di altre. Tale fenomeno si presenta soprattutto nei rapporti tra imprese che non sono in
rapporti di concorrenza tra di loro in quanto in tal caso è escluso il ricorso alle regole della correttezza
professionale alla quale devono essere improntati i rapporti tra imprenditori concorrenti. La legge
fissa pertanto la disciplina dell’abuso di dipendenza economica che si riferisce alla situazione in cui
una impresa sia in grado di determinare nei rapporti contrattuali con un’altra impresa un eccessivo
squilibrio di diritti e obblighi. Tale disciplina è posta dalla legge nell’ambito dei singoli rapporti
contrattuali tra imprenditori e quindi va distinta dalla disciplina relativa all’abuso di posizione
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dominante che invece riguarda l’intero assetto del mercato e per la quale è rilevante solo l’abuso che
sia in grado di incidere sulla concorrenzialità del mercato tesso. La disciplina del divieto di abuso di
dipendenza economica comporta la nullità di patti ritenuti abusivi quali l’imposizione di condizioni
contrattuali ingiustamente gravose o discriminatorie.
424) I rapporti con i subfornitori - La legge disciplina poi i cosiddetti contratti di subfornitura al fine
di tutelare le imprese di minori dimensioni che in questo tipo di contratti spesso trovano la ragione
della propria sopravvivenza. Nei contratti di subfornitura la legge include sia i contratti con cui un
imprenditore si impegna ad effettuare per conto di un’altra impresa lavorazioni su materie prime da
quest’ultima fornita, sia i contratti con cui un imprenditore si impegna a fornire prodotti destinati ad
essere utilizzati o incorporati nell’attività di un’altra impresa. ‘E’ chiaro quindi che nella nozione di
contratto di subfornitura possono rientrare contratti diversi che vanno dall’appalto di opera o servizi,
alla somministrazione alla vendita di cose future e la legge prevede che accanto alle regole dettate per
tali tipi di contratto si applichino le regole previste per la subfornitura al fine sempre di tutelare il
subfornitore. Quest’ultima disciplina prevede che i contratti di subfornitura debbano essere conclusi
per iscritto e devono indicare espressamente alcuni elementi quali i requisiti del bene o servizio
richiesto, i termini e le modalità di consegna e pagamento. La legge inoltre esclude la responsabilità
del subfornitore per materiali fornitigli dal committente e detta una particolare disciplina
relativamente ai termini di pagamento prevedendo che il pagamento al subfornitore debba avvenire
entro sessanta giorni dalla consegna del bene e prevedendo in caso di ritardo un regime moratorio più
gravoso per il committente rispetto a quello previsto dalla disciplina generale. E’evidente quindi come
in questo modo si finisca con l’incidere sul contenuto del contratto e si limiti l’autonomia delle parti.
425) I termini di pagamento nelle transazioni commerciali - Altre limitazioni della autonomia privata
sono poste in relazione ai termini di pagamento per tutti i rapporti contrattuali di scambio
intercorrenti da imprenditori da una recente disciplina del 2002 fissata in attuazione di una direttiva
comunitaria. Tale disciplina regola la mora del debitore prevedendo che gli interessi moratori
decorrano automaticamente (senza necessità di messa in mora) dal giorno successivo al termine
convenzionale di pagamento e che ad essi (in mancanza di diverso accordo tra le parti) si applichi un
tasso più elevato di quello legale. Tale disciplina inoltre dispone la nullità di ogni accordo sulla data di
pagamento che risulti iniquo per il creditore e ciò a prescindere dal fatto che costui si trovi o meno in
una situazione di dipendenza economica. In tali casi la legge riconosce al giudice il potere di dichiarare
anche d’ufficio la nullità dell’accordo e di applicare i termini legali ma anche di ricondurre ad equità il
contratto stesso.
157
CAPITOLO III I TITOLI DI CREDITO
SEZIONE I I TITOLI DI CREDITO IN GENERALE
1)
Natura e struttura del titolo di credito
426) Il fenomeno dei titoli di credito - La funzione dei titoli di credito è principalmente quella di
mobilizzare la ricchezza, prevedendo la circolazione, rapida, semplice e sicura del diritto di credito
neutralizzando così i rischi e gli inconvenienti che presenta la disciplina della cessione di credito dove
il diritto dell’ultimo cessionario sussiste solo a patto che sussista il diritto dell’originario creditore e
purchè siano validamente costituiti tutti i rapporti intermedi di cessione di credito. Nel sistema dei
titoli di credito invece grazie all’incorporazione del diritto nel documento si crea un collegamento tra
diritto di credito e documento in modo tale che la circolazione del credito viene a dipendere dalla
circolazione del documento permettendo che venga applicato invece che il regime della cessione dei
crediti quello della circolazione delle cose mobili in base al quale il possesso di buona fede vale titolo e
dove quindi all’acquirente in buona fede è garantita la titolarità del bene pur in difetto della stessa-..
Esteriormente i titoli di credito non sono differenti dalle altre categorie di documenti (documenti di
legittimazione e titoli impropri) i quali però hanno un’altra funzione e per i quali non è applicabile la
disciplina dettata per i titoli di credito.
427) Concetto di titolo di credito – La legge non descrive espressamente la nozione di titolo di credito
e quindi la stessa deve essere ricavata dal complesso di norme che fanno riferimento a questo
strumento. In base a ciò possiamo dire che nel nostro ordinamento il titolo di credito è un documento
contenente una dichiarazione che può essere di contenuto diverso ma adempie comunque a due
diverse funzioni: quella di costituire mezzo sufficiente per l’esercizio del diritto incorporato nel
documento e quello di costituire uno strumento per la circolazione del diritto stesso. La prima
funzione è comune anche ad altri documenti (documenti di legittimazione) ma la seconda è invece una
caratteristica esclusiva dei titoli di credito e questo spiega perché l’accento della normativa ricada
essenzialmente su di essa.
158
430) Unità del fenomeno sotto l’aspetto circolatorio - Se ci concentriamo sulla prima caratteristica del
titolo di credito vediamo che nella categoria rientrano diverse specie di titoli che esprimono diversi
tipi di diritti. Infatti ad esempio una cambiale e un assegno bancario non possono essere confusi con
l’obbligazione o l’azione di una società o con una polizza di carico ed è per questo che la legge pone
l’accento sulla seconda funzione e quindi considera solo il profilo circolatorio, profilo sotto il quale
tutti i titoli di credito al di là della differenza di contenuto, sono soggetti alla stessa disciplina.
431) Documenti di legittimazione e titoli impropri - La normativa dettata per i titoli di credito come
abbiamo detto non si applica a quei documenti che non sono destinati alla circolazione anche se
svolgono la funzione di legittimazione del credito. La legge prevede due categorie di questi documenti:
a) i documenti di legittimazione che svolgono la loro funzione solo in sede di esercizio del diritto
permettendo l’identificazione la persona che ha diritto alla prestazione. Sono documenti di questo tipo
i biglietti di viaggio, di cinema o teatro o gli scontrini dei deposito bagagli. Questi documenti
legittimano il possessore semplicemente come titolare originario del diritto e non svolgono alcun
ruolo ai fini della circolazione dello stesso. Tali documenti si riferiscono spesso a titoli intrasferibili ma
anche quando si riferiscono a diritti trasferibili ai fini della circolazione non basta la semplice
trasmissione del documento essendo necessaria anche una cessione nelle forme ordinarie previste per
la cessione dei crediti o una successione nei modi del diritto comune. b) i titoli impropri, i quali
consentono il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione ma con gli
effetti di quest’ultima. E’ titolo improprio ad esempio il vaglia postale che come la cambiale ha l’effetto
di permettere la cessione del credito attraverso il trasferimento del possesso del documento
accompagnato dalla girata ma che a differenza dalla cambiale non attribuisce al portatore legittimo un
diritto letterale ed autonomo..
432) Creazione del titolo di credito : titolarità e legittimazione - Nei titoli di credito viene a realizzarsi
tra documento e diritto, ai fini della circolazione, una connessione (detta incorporazione) per effetto
della quale l’esercizio del diritto viene a dipendere dal possesso del documento secondo la legge di
circolazione che gli è propria. E’ ovvio che la creazione e il rilascio di un titolo di credito trovano
giustificazione in un preesistente rapporto tra emittente e primo prenditore, detto rapporto
sottostante o causale. Per effetto della creazione del titolo di credito tale rapporto giuridico non viene
modificato ma si ottiene l’effetto che la prestazione dovuta in base al rapporto giuridico stesso verrà
adempiuta nei confronti del possessore del titolo indipendentemente dal fatto che questo sia
l’originario contraente o una persona a cui il titolo sia pervenuto attraverso la legge di circolazione.
Questo fatto ha sia un effetto positivo che negativo. Infatti attraverso l’incorporazione del diritto nel
documento si consente l’esercizio del diritto anche al possessore che non sia il titolare nonché la
possibilità di attribuire ad altri tale esercizio attraverso il trasferimento del documento (effetto
positivo). Tuttavia però in questo modo viene impedito l’esercizio del diritto da parte del non
possessore titolare e si vuota di contenuto l’eventuale trasmissione del diritto che questo abbia fatto
ad altri (effetto negativo).
433) La legge di circolazione del titolo di credito - In relazione alla legge di circolazione si distinguono
titoli al portatore, titoli all’ordine e titoli nominativi. Nei titoli al portatore la legittimazione ad
esercitare il diritto è attribuita al possessore del titolo e la circolazione di tale legittimazione si attua
attraverso l’impossessamento del titolo da parte di persona diversa. Nei titoli all’ordine e nei titoli
nominativi invece la legittimazione all’esercizio del diritto presuppone sia il possesso del titolo che
una certificazione documentale che si attua in modo diverso nei secondi rispetto ai primi. Infatti nei
titoli all’ordine la legittimazione all’esercizio del diritto deriva dal fatto che il possessore è intestatario
originale del titolo (prenditore) o un giratario in base ad una serie continua di girate. In questi titoli
quindi la certificazione documentale consiste nella girata e cioè nell’ordine scritto sul titolo e
sottoscritto dall’intestatario del titolo o dal giratario di compiere la prestazione alla persona a favore
della quale la girata è fatta. La girata trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo e in linea generale il
girante non è responsabile dell’adempimento della prestazione da parte dell’emittente. Nei titoli
nominativi invece la legittimazione all’esercizio del diritto deriva dal fatto che il possessore è iscritto
159
come tale nel registro dell’emittente. In essi quindi la certificazione documentale si attua attraverso la
duplice annotazione da parte dell’emittente del nome del nuovo possessore nel titolo e nel registro. E’
anche possibile per i titoli nominativi una certificazione documentale in base alla girata solo che essa
ha efficacia limitata e deve attuarsi secondo determinate forme. Essa infatti deve indicare il nome del
giratario e la data e la sottoscrizione del girante deve essere autenticata da un notaio, da un agente di
cambio o da una Sim. Inoltre il giratario, sulla base della girata, può solo pretendere l’intestazione del
titolo a suo nome e l’annotazione nel registro ma non può esercitare immediatamente il diritto
menzionato nel titolo. Con la girata pertanto si acquisisce solo il diritto ad esigere il completamento
della certificazione documentale dalla quale solo deriverà la vera e propria legittimazione all’esercizio
del diritto.
434) Il documento come indice di circolazione - Anche per quanto riguarda la legittimazione
all’esercizio del diritto il documento deve essere considerato come strumento di circolazione. Infatti la
titolarità del diritto anche se è incorporata in un titolo di credito si determina solo in base al negozio
che lo costituisce o ai negozi successivi che lo trasferiscono. Essa prescinde anche dal possesso ad
legittimationem del titolo. Infatti se il titolare di un credito cartolare subisce un furto o la distruzione
del titolo di credito è ancora titolare del credito cartolare ma non può pretendere il pagamento dal
debitore in quanto non potendo più presentargli il titolo ha perso la legittimazione d ottenere la
prestazione indicata nel titolo stesso né tanto meno può trasferire ad altri il suo credito in quanto non
è pi portatore legittimo del titolo di credito e quindi non può trasmetterne il possesso con l’osservanza
della legge di circolazione propria del titolo. Il titolare del credito cartolare potrà però sempre far
valere la titolarità per ricostituirsi la legittimazione attraverso la procedura di ammortamento o
l’azione di rivendicazione o di restituzione. In un solo caso questa possibilità viene meno e cioè quando
il titolo di credito sia pervenuto ad un possessore di buona fede di fronte al quale si arresta l’azione di
rivendica da parte del titolare,.
435) Conseguenze della natura del titolo di credito- Dal fatto di essere connessa al documento solo la
legittimazione derivano alcune conseguenze: a) pur essendo il documento necessario per l’esercizio
del diritto occorre mettere in chiaro che il diritto può sorgere senza il documento o essere
successivamente incorporato in esso, e inoltre che la distruzione volontaria del documento abilita il
possessore a chiedere un altro mezzo di legittimazione b) è sempre possibile la sostituzione del
documento con un altro senza che si modifichi la situazione giuridica preesistente. Questo avviene
generalmente quando il titolo si sia logorato o quando siano esaurite le cedole degli interessi o dei
dividendi. C) possono coesistere più documenti contemporaneamente ciascuno dei quali abilitati
all’esercizio dell’unico diritto in essi menzionato. Si parla in tal caso di duplicati per i quali va
comunque ribadito che essendo unico il debito del creatore del titolo questo ‘ liberato adempiendo la
prestazione nei confronti del possessore di uno qualunque dei duplicati.
436) La dichiarazione cartolare : letteralità ed autonomia - Il titolo di credito si presenta come un
documento contenente la dichiarazione del suo creatore di adempiere la prestazione in esso indicata
nei confronti del possessore ad legittimationem del titolo stesso. Tale dichiarazione viene definita
dichiarazione cartolare. Occorre rilevare che il titolo di credito si inserisce in un rapporto di cui
realizza il fine economico (detto rapporto sottostante) e questo rapporto assume una diversa rilevanza
nei riguardi del possessore del titolo che sia anche soggetto del rapporto sottostante e nei riguardi
invece dei terzi possessori. Nei confronti del primo infatti il debitore (creatore del titolo) può opporre
immediatamente tutte le eccezioni ricavabili dal rapporto sottostante, mentre nei confronti dei terzi
possessori può opporre solo le eccezioni fondati sul contesto letterale del titolo stesso (es. difetto di
titolarità quando il debitore sa che il titolo è stato sottratto o falsificato da chi glielo presenta per il
pagamento e quindi può eccepire al portatore che egli non ha il diritto di esigere il pagamento) . Nei
confronti dei terzi possessori quindi l’obbligazione risultante dal titolo presenta le due caratteristiche
della letteralità e della autonomia.
160
437) Fondamento giuridico della letteralità- La letteralità del diritto cartolare consiste nel fatto che il
debitore che ha assunto una obbligazione cartolare deve compiere la prestazione esattamente indicata
nel titolo e cioè quale risulta secondo i termini letterali delle clausole contenute nel documento e
quindi senza potersi richiamare ad accordi successivi che modifichino tale contenuto e meno che tali
accordi non siano intercorsi proprio con l’attuale titolare del credito cartolare. Ad esempio se uno dei
precedenti titolari aveva concesso una proroga alla scadenza del credito cartolare il successivo
acquirente non è tenuto a rispettare tale proroga in quanto la dilazione di pagamento deriva da una
convenzione che ha dato luogo ad un rapporto diverso dal rapporto cartolare al quale egli è
ugualmente estraneo. Il fondamento giuridico della letteralità sta nell’esigenza di tutelare
l’affidamento dei terzi.
438) Fondamento giuridico dell’autonomia - L’autonomia ha un duplice significato. In primo luogo l
debitore cartolare non può opporre al terzo divenuto portatore legittimo del titolo le eccezioni
derivanti dal rapporto sottostante ossia del rapporto giuridico che è alla base e ha dato luogo
all’emissione del titolo di credito. In secondo luogo per autonomia si intende l’applicazione alla
circolazione del credito cartolario del principio “il possesso di buona fede vale titolo”. Ovviamente chi
in buona fede acquista un credito cartolare diventa portatore legittimo del titolo e acquista il credito
cartolare anche se chi glielo aveva trasferito non era titolare. Ad esempio se A è titolare di un titolo al
portatore che viene rubato da B, B non è diventato titolare del titolo e del credito in esso incorporato
(in quanto il furto non costituisce un fatto giuridico idoneo a trasferire il titolo) ma pur non essendo
titolare è ugualmente divenuto portatore legittimo del titolo avendone il possesso e trattandosi di un
titolo al portatore. Pertanto se un terzo acquista da B il credito cartolare ritenendo che B ne sia il
titolare e si fa trasmettere da B il possesso del titolo, acquista il credito anche se B non era titolare e
pertanto A non può rivendicare la proprietà del titolo e perde il suo diritto di credito. La posizione
giuridica di C e quindi il suo essere divenuto creditore cartolare non dipende ed è autonoma da quella
di B che non poteva trasferire un diritto di cui era privo non essendo creditore cartolare. Secondo
parte della dottrina il fondamento giuridico dell’autonomia starebbe nel fatto che il rapporto cartolare
costituirebbe un rapporto diverso ed ulteriore rispetto al rapporto sottostante in quanto costituito
sulla base di un fatto, la creazione del titolo di credito, che sarebbe diverso ed ulteriore rispetto al
rapporto sottostante che ne costituisce la fonte. Tale tesi però non è sostenibile in quanto non spiega
la rilevanza immediata che il rapporto sottostante ha invece nei confronti del possessore che sia anche
controparte di tale rapporto. Inoltre occorre notare che la fonte del rapporto cartolare è comunque il
negozio sottostante che rimane comunque decisivo non solo finchè il titolo rimane in mano al creatore
ma anche finchè esso rimane in possesso dell’altro contraente. L’autonomia quindi non dipende dalla
creazione del titolo ma dalla sua circolazione e quindi da un fatto successivo e diverso rispetto a quello
della creazione. Solo in questo modo riusciamo a spiegare perché la autonomia sussiste solo nei
confronti dei terzi possessori e non nei confronti del diretto prenditore.
439) Natura giuridica della dichiarazione cartolare – Occorre anche osservare che la creazione del
titolo e quindi la fissazione nel documento della obbligazione nascente dal rapporto sottostante non
produce di per sé effetti giuridici in quanto tali effetti si producono solo al momento dell’attribuzione
del documento all’altro contraente. La creazione del titolo pertanto non può considerarsi come
negozio giuridico ma solo come atto giuridico preparatorio del negozio che si concreterà solo al
momento della trasmissione del titolo.
440) Requisiti di sostanza della dichiarazione cartolare. Volontà e capacità- Come atto giuridico la
dichiarazione cartolare deve avere i requisiti della volontà e della capacità del suo creatore. L’atto
pertanto non può essere rilevante se la volontà del suo creatore è viziata. Ne consegue che la violenza
fisica è sempre opponibile a qualunque possessore. Occorre inoltre anche la capacità, sia naturale che
legale del creatore. Occorre infine la riferibilità dell’atto alla persona dell’obbligato e tale riferibilità
viene meno sia nel caso di sottoscrizione falsa che nel caso di difetto di rappresentanza. Nel primo caso
l’atto viene fatto apparire come posto in essere da una persona mentre in realtà è opera di un’altra
161
mentre nel secondo caso esso viene posto in essere da una persona in nome di un’altra quando non si
ha il potere necessario per agire in nome di questa.
441) Requisiti d forma: titoli in bianco - La dichiarazione cartolare è anche una dichiarazione formale
nel senso che in essa devono essere presenti alcuni elementi che sono ritenuti essenziali perché si
producano gli effetti propri del titolo di credito. Non sempre però è necessario che tali requisiti
essenziali sussistano già al momento della emissione del titolo. Ad esempio si parla di cambiale in
bianco quando non è presente il nome del prenditore, o la somma o la data di scadenza e sussiste un
contratto di riempimento successivo. Se gli accordi non vengono rispettati l’eventuale eccezione di
abusivo riempimento non può essere opposta al terzo possessore salvo che questi abbia acquistato la
cambiale in mala fede o con colpa grave. La facoltà di riempimento è sottoposta ad un termine di
decadenza di tre anni dalla emissione del titolo.
442) La enunciazione della causa: titoli causali e titoli astratti- Sono astratti quei titoli di credito che
possono essere emessi in base ad una pluralità di rapporti fondamentali e non contengono alcuna
descrizione del rapporto che in concreto ha dato luogo alla loro emissione. Ad esempio titolo astratto è
la cambiale che può essere emessa per vari motivi ma non contiene alcun riferimento al rapporto
causale. Lo stesso discorso vale per l’assegno bancario e l’assegno circolare. Questi titoli si definiscono
a letteralità completa in quanto in essi il diritto cartolare è determinato esclusivamente dalla lettera
del titolo mancando ogni riferimento al rapporto fondamentale che ha dato luogo all’emissione. Nei
rapporti tra emittente e terzo prenditore quindi è preclusa ogni possibilità di far riferimento ad altre
fonti regolamentari anche legali per integrare quanto risulta dalla lettera del titolo. I titoli causali sono
quelli che invece possono essere emessi solo in base ad un determinato tipo di rapporto fondamentale
che risulta dal contesto del titolo. Es. azioni e obbligazioni di società, quote di partecipazione a fondi
comuni di investimento, titoli rappresentativi di merci. Questi titoli si definiscono a letteralità
incompleta in quanto in essi il contenuto del diritto cartolare è determinato non solo dalla lettera del
titolo ma anche dalla disciplina legale del rapporto tipico richiamato nel documento. Anche ai titoli
causali è però applicabile il principio dell’autonomia del diritto cartolare in sede di esercizio. Infatti il
rapporto cartolare resta indipendente dal rapporto fondamentale e al terzo portatore non sono
opponibili le eccezioni derivanti da quest’ultimo rapporto. Così ad esempio se il sottoscrittore di un
prestito obbligazionario non ha versato la somma corrispondente la società non può eccepire tale
circostanza al terzo portatore per contestarne il diritto al rimborso del capitale.
2) La circolazione dei titoli di credito
444) La circolazione del titolo come circolazione della legittimazione . – Una delle caratteristiche
fondamentali dei titoli di credito è la distinzione tra titolarità del diritto cartolare e legittimazione
all’esercizio della stessa. Titolare del diritto cartolare è infatti il proprietario del titolo mentre
legittimato al suo esercizio è il possessore del titolo nelle forme prescritte dalla legge di circolazione
del titolo, forme che sono diverse per i titoli al portatore, all’ordine e nominativi. La qualità di
proprietario-titolare e possessore legittimato di regola coincidono nella stessa persona ma tuttavia nel
corso della circolazione del titolo si può verificare una dissociazione delle due posizioni reali sul titolo
(proprietà e possesso) e al riguardo possiamo distinguere tra circolazione regolare e circolazione
irregolare del titolo. Per diventare portatori legittimi del titolo di credito occorre accertare a quale
legge di circolazione essi sono soggetti e quindi distinguendo tra titoli al portatore, all’ordine o
nominativi ricordando comunque che il presupposto comune per il trasferimento è che avvenga la
trasmissione del possesso del documento. Mentre per i titoli al portatore è sufficiente essere
possessori del titolo per esseri portatori legittimi per i titoli all’ordine oltre al possesso è necessaria
una serie continua di girate (per girata si intende una dichiarazione scritta sul titolo e sottoscritta con
cui l’attuale portatore legittimo del titolo detto girante ordina al debitore di adempiere nei confronti di
un altro soggetto detto giratario), mentre nei titoli nominativi è necessario che l’emittente annoti il
nome dell’acquirente sul titolo e nel registro. Solo con tale intestazione si diventa portatore legittimo
del titolo e si possono esercitare i diritti ad esso inerenti.
162
447) La circolazione regolare – La circolazione irregolare o anomala - Si ha circolazione regolare
quando il titolo viene trasferito dall’attuale proprietario ad un altro soggetto sulla base di un valido
negozio di trasmissione che di regola trova il suo fondamento in un preesistente rapporto causale tra
le parti. Ad esempio in una vendita (rapporto fondamentale) si può convenire che il compratore
pagherà il prezzo mediante girata di un assegno circolare a lui intestato. Il compratore quindi dovrà
dare attuazione a tale accordo (negozio di trasmissione) girando l’assegno e consegnandolo al
venditore perché possa riscuoterlo. Si ha invece circolazione irregolare quando la circolazione del
titolo non è sorretta da un valido negozio di trasferimento. Es. il titolo di credito viene rubato. In tal
caso il possessore (il ladro) non acquista la proprietà del titolo e la titolarità del diritto che restano al
derubato ma ha però la possibilità di esercitare il diritto (legittimazione) e di far circolare
ulteriormente il titolo. Si ha quindi dissociazione tra proprietà (titolarità) e possesso (legittimazione).
Chi ha perso il possesso del titolo contro la sua volontà non è privo di tutela in quanto potrà esercitare
l’azione di rivendicazione nei confronti dell’attuale possessore e riottenere il documento necessario ai
fini della legittimazione. Inoltre se si tratta di titoli all’ordine o nominativi potrà anche avvalersi della
procedura di ammortamento che gli consente di ottenere un surrogato del titolo smarrito. Tutto
questo però finchè il titolo non perviene nelle mani di un terzo in buona fede, ignaro quindi del difetto
di titolarità del venditore. Infatti a tutela di chi acquista a non domino scatta il principio
dell’autonomia in sede di circolazione in quanto l’art. 1994 cc stabilisce che chi ha acquistato in buona
fede il possesso di un titolo di credito in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione,
non è soggetto a rivendicazione e quindi diventa anche proprietario del titolo e titolare del diritto
cartolare. In questo modo la sua posizione diventa inattaccabile dall’ex proprietario che potrà solo
esercitare l’azione di risarcimento danni nei confronti di colui che gli ha sottratto il titolo.
3) L’esercizio del diritto cartolare
449) La legittimazione all’esercizio del diritto cartolare - Il possesso del titolo di credito secondo la
legge di circolazione attribuisce come abbiamo detto la legittimazione all’esercizio del diritto e quindi
la facoltà di pretendere la prestazione indicata nel titolo. Poiché il portatore legittimo è legittimato
all’esercizio del diritto cartolare il debitore che senza dolo o colpa grave adempie la sua prestazione
nei suoi confronti è liberato dalla sua obbligazione anche se il portatore non è il titolare del diritto
cartolare. Così ad esempio se il debitore paga la somma a B ignorando senza sua colpa grave che B è un
ladro e quindi non è il titolare del diritto cartolare l’obbligazione cartolare è estinta.
450) Posizione del possessore legittimato - Il possessore legittimato può pretendere la prestazione
senza dover dimostrare altro che l’esistenza della legittimazione. Spetta quindi al debitore dimostrare
che nonostante la presenza della legittimazione, il vizio della causa del possesso ma solo quando egli
possa dimostrare tale vizio o avesse potuto dimostrarlo usando la normale diligenza e prudenza. Il
dolo pertanto può sussistere solo quando il debitore abbia prove precise per dimostrare la non
titolarità del legittimato e la colpa grave quando egli avrebbe potuto procurarsi tale prova usando la
normale diligenza. Il semplice dubbio invece circa il vizio del possesso non è sufficiente per escludere
la validità dell’adempimento dato che questo costituisce un obbligo e non una facoltà per il debitore.
Inoltre nel caso di titoli di credito a legittimazione nominale il debitore deve accertare la presenza
delle condizioni di legittimazione (ad,. Es. la serie continua di girata) e la coincidenza della identità di
chi esibisce il titolo con la persona che dal titolo stesso risulta essere il possessore legittimato.
451) Eccezioni opponibili al possessore legittimato: eccezioni assolute ed eccezioni personali - Il
debitore può opporre al portatore legittimo solo le seguenti eccezioni: a) eccezioni personali al
portatore legittimo, ossia derivanti da altri rapporti, diversi da quello cartolare, intercorsi tra il
debitore e lo stesso portatore legittimo; b) eccezioni di forma derivanti dalla mancanza di uno dei
requisiti formali previsti dalla legge (es. in una cambiale tale denominazione non è inserita nel
contesto del titolo) c) eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo (es. nella cambiale è indicata la
somma di euro 500.000 e il creditore ne richiede 600.000). d) eccezioni di falsità della firma, di
incapacità o di difetto di rappresentanza al momento della emissione del titolo, nonché di mancanza di
163
volontà (per violenza fisica) nella redazione del titolo e) eccezioni fondate sulla mancanza dei
presupposti necessari per l’esercizio dell’azione giudiziaria (es. si esercita l’azione cambiaria di
regresso contro un girante senza prima aver elevato il protesto). Tranne la prima eccezione
(personale) le altre sono dette reali in quanto opponibili a chiunque sia il portatore legittimo del titolo
di credito. Al portatore legittimo quindi il debitore non può opporre eccezioni fondate sui suoi rapporti
personali con altri precedenti creditori,, sia che si tratti di eccezioni fondate sul rapporto sottostante
sia che si tratti di altre eccezioni fondate su rapporti personali intercorrenti tra il debitore e precedenti
creditori cartolari. A questa regola è posta però una deroga la quale prevede che il debitore possa
opporre le eccezioni personali riferite al precedente creditore anche all’ultimo portatore legittimo
quando costui, nell’acquistare il credito, ha agito intenzionalmente a danno del debitore (es. quando in
base ad un accordo fraudolento il possesso del titolo sia stato trasferito ad altro possessore al fine di
precludere al debitore l’opponibilità delle eccezioni personali) Tale strappo alla regola dell’autonomia
e letteralità del titolo di credito si spiega con la considerazione che dal momento che detta regola è
stata posta nell’interesse generale per favorire la sicurezza e rapidità nella circolazione dei crediti, la
legge non può permettere che di essa si avvalga il creditore cartolare per abusarne a danno del
debitore, sfruttandola quindi nel suo esclusivo interesse personale.
4) La estinzione del titolo di credito – Ammortamento del titolo di credito – Il principio della
incorporazione dovrebbe comportare che l’esercizio del diritto cartolare è precluso anche in caso di
perdita involontaria del titolo (smarrimento, sottrazione o distruzione). La legge tuttavia non giunge a
queste estreme conseguenze in quanto a favore di colui che ha perso il possesso del titolo e la
legittimazione sono apprestati rimedi che, pur nel rispetto della esigenza primaria di sicurezza della
circolazione, consentono di svincolare l’esercizio del diritto dal possesso del titolo. Tali rimedi sono
diversi per i titoli all’ordine o nominativi o per i titoli al portatore. Per i titoli all’ordine o nominativi è
previsto l’istituto dell’ammortamento che è uno speciale procedimento diretto ad ottenere la
dichiarazione giudiziale che il titolo originario non è più strumento di legittimazione. Chi ottiene
l’ammortamento può infatti esigere il pagamento su presentazione del relativo decreto e se il titolo
non è scaduto può ottenere dall’emittente un duplicato del titolo perduto. La procedura di
ammortamento è ammesso solo in caso di perdita involontaria del possesso (smarrimento, sottrazione
o distruzione) e si articola in due fasi, una necessaria e l’altra eventuale. La procedura inizia con la
denuncia al debitore della perdita del titolo e con il contestuale ricorso dell’ex possessore al presidente
del tribunale del luogo dove il titolo è pagabile: con tale ricorso si richiede appunto l’ammortamento
del titolo. Il presidente del tribunale dopo gli opportuni accertamenti sommari sulla verità dei fatti e
sul diritto del denunziante pronuncia con decreto l’ammortamento. Il decreto deve essere pubblicato
sulla GU e deve essere notificato al debitore a cura del ricorrente. Solo con la notifica del decreto il
debitore non è liberato se paga al detentore del titolo. Il debitore però non può pagare nemmeno al
ricorrente prima che siano decorsi trenta giorni dalla pubblicazione del decreto sulla GU. Entro questo
termine infatti il terzo detentore del titolo può proporre opposizione contro il decreto di
ammortamento depositando il titolo presso la cancelleria del tribunale, Si apre così un ordinario
giudizio di cognizione che ha per oggetto l’accertamento della proprietà del titolo e si chiude con la
revoca del decreto se l’opposizione è accolta. Se invece l’opposizione è respinta il decreto di
ammortamento diviene definitivo e il titolo è consegnato al ricorrente. La procedura di ammortamento
non è ammessa per i titoli al portatore salvo alcune eccezioni tassativamente previste per i titoli a
circolazione ristretta (es. assegni bancari al portatore). I possessore del titolo al portatore che ne provi
la distruzione ha tuttavia diritto ad ottenere dall’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo
equivalente. Nel caso invece di sottrazione o smarrimento del titolo al portatore (o di distruzione non
provata) chi ha subito tali eventi e li ha denunziati all’emittente dandone la prova ha diritto alla
prestazione decorso il termine di prescrizione del titolo. Solo così infatti il debitore è al riparo dal
pericolo di un doppio pagamento.
5) Categorie di titoli di credito
164
457) Titoli individuali e titoli di massa- I titoli individuali sono titoli di credito emessi ognuno per una
distinta operazione economica (es. l’assegno e la cambiale). I titoli di massa sono titoli che
rappresentano frazioni di uguale valore nominale di una unitaria operazione economica di
finanziamento ed attribuiscono a ciascuno uguali diritti come azioni e obbligazioni. Pur avendo una
differente funzione economica in quanto i primi sono strumenti di mobilizzazione del credito e i
secondi strumenti di investimento e di mobilizzazione della ricchezza è fuori di dubbio che entrambi
appartengono al sistema unitario dei titoli di credito. Infatti anche nei titoli di massa il valore del titolo
è conseguenza del collegamento della sua emissione ad una operazione di prestito o di investimento e
quindi della sua inserzione in un rapporto sottostante in base al quale spetta al portatore un effettivo
diritto nei confronti dell’emittente. In secondo luogo anche per i titoli di massa al portatore è ammessa
una specie di surrogato della procedura di ammortamento ed è previsto per il caso di distruzione del
titolo il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente. Ciò dimostra che anche nei titoli di massa
abbiamo una connessione ai fini della circolazione di un diritto ad un documento.
459) Categorie generali – I titoli di credito si distinguono nelle seguenti categorie generali : a) titoli
cambiari – Appartengono a questa categoria la cambiale, l’assegno bancario, l’assegno circolare, il
vaglia cambiario della banca d’Italia,del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, la fede di credito del
Banco di Napoli e del Banco di Sicilia. Tali titoli hanno tutti la caratteristica di costituire strumenti di
pagamento - b) titoli di debito o di prestito - Si tratta dei titoli di debito pubblico la cui caratteristica
essenziale è quella di rappresentare una frazione di una operazione collettiva di prestito rimborsabile
secondo un determinato piano di ammortamento c) titoli rappresentativi di merci quali la polizza di
carico, la polizza ricevuta per l’imbarco, la fede di deposito, la nota di pegno e gli ordini di consegna la
cui caratteristica comune è quella di attribuire al possessore il diritto alla consegna di merci, il
possesso delle medesime, e il potere di disporne mediante trasferimento del titolo d) i titoli di
partecipazione che attribuiscono al possessore una posizione nell’ambito di una organizzazione
sociale, posizione che lo abilita all’esercizio di diritti e poteri stabiliti dalla legge e dal’atto costitutivo,
Titoli di partecipazione sono quelli emessi da società per azioni e in accomandita per azioni, le
obbligazioni e gli strumenti finanziari non partecipativi purchè soggetti alla legge di circolazione dei
titoli di credito.
SEZIONE II I TITOLI CAMBIARI
1)
Le fonti del diritto cambiario
460 – 461) Il diritto cambiario italiano è regolato dalle seguenti leggi fondamentali con le quali si è
data attuazione alla convenzione di Ginevra del 1930 per l’unificazione del diritto della cambiale: a) la
cosiddetta legge cambiaria del 1933 b) la cosiddetta legge assegni del 1933. A questa normativa
vanno aggiunte altre leggi relative alle cambiali finanziarie, alla cambiale tratta garantita da cessione di
credito e i regolamenti della Banca d’Italia, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia per i titoli speciali
emessi da questi istituti. Per quanto riguarda la regolamentazione internazionale occorre dire che
essa riguarda unicamente la cambiale e l’assegno bancario e comunque anche per questi istituti essa
non costituisce una legge uniforme essendo consentito ai singoli stati di derogare alla legge cambiaria
uniforme rispetto ai punti riservati.
462) Il documento cambiario – La cambiale è un titolo di credito all’ordine contenente una
dichiarazione (detta dichiarazione cambiaria) che costituisce un ordine di pagamento (cambiale
tratta) o una promessa di pagamento (vaglia cambiario o pagherò cambiario). Il creatore della
cambiale assume il nome di emittente. Con la cambiale tratta una persona (traente) ordina ad un’altra
persona (trattario) di pagare una somma di denaro ad un’altra persona che è il prenditore, beneficiario
dell’ordine di pagamento. Con il vaglia cambiario che è una promessa di pagamento l’emittente
promette il pagamento al prenditore che è beneficiario della promessa di pagamento. La creazione
della cambiale è la creazione di un documento che presenta tutti i requisiti formali richiesti dalla legge
per essere valida come cambiale mentre l’emissione della cambiale è l’uscita del documento dalla sfera
giuridica del creatore. Nella normativa precedente il bollo costituiva requisito di validità della
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cambiale ma nella normativa attuale la mancanza o l’insufficienza del bollo privano solo la cambiale
della sua qualità di titolo esecutivo e pertanto la successiva regolarizzazione fiscale è necessaria
affinchè il portatore possa esercitare in giudizio i diritti cambiari, ferma restando la perdita della
qualità di titolo esecutivo. I requisiti richiesti dalla legge che devono risultare dal documento sono
inoltre richiesti affinchè il documento valga come cambiale e non per la validità della dichiarazione e
pertanto vi può essere una dichiarazione valida e produttiva di effetti giuridici anche quando il
documento non è una cambiale ma un semplice chirografo. (e in questo caso non si determineranno gli
effetti che per legge derivano dalla cambiale ma quelli che derivano dalla semplice promessa di
pagamento).
463) Capacità cambiaria - Tutte le persone giuridicamente capaci possono assumere obbligazioni
cambiarie. La persona limitatamente capace (minore emancipato, inabilitato) e il rappresentante
legale dell’incapace possono assumere obbligazione cambiaria solo quando vi sia stata autorizzazione
all’esercizio dell’impresa mentre in caso contrario la capacità cambiaria sussiste solo con l’assistenza e
con le forme richieste dalla legge per il compimento di atti di straordinaria amministrazione. Occorre
ricordare che anche in materia cambiaria l’incapacità non può essere eccepita quando il minore abbia
con raggiri occultato la sua minore età. La capacità deve sussistere ovviamente al momento della
emissione e quindi non rileva una incapacità eventualmente presente al momento della creazione ma
venuta meno al momento della emissione. Al contrario l’obbligazione cambiaria non sorge
validamente se il soggetto, capace al momento della creazione non lo era al momento della emissione.
Per quanto riguarda l’incapacità naturale essa può essere causa di annullabilità solo quando con essa
concorra anche l’elemento della malafede dell’altro contraente.
464) La rappresentanza - Le dichiarazioni cambiarie possono essere compiute anche per mezzo di
rappresentanza: in tale ipotesi dalla dichiarazione e dalla sottoscrizione deve apparire che il
dichiarante si obbliga in nome del rappresentato affinchè gli effetti dell’atto compiuto si riflettano
direttamente sul rappresentato stesso. La procura generale, qualora il rappresentato non sia
imprenditore commerciale, non si considera comprensiva della procura cambiaria. La legge considera
con particolare rigore l’ipotesi in cui il rappresentante assuma obbligazioni cambiarie in nome del
rappresentato senza averne poteri o eccedendo i propri poteri. In questo caso la legge stabilisce che il
falso rappresentante si obbliga in proprio e se adempie all’obbligazione cambiaria ha gli stessi diritti
che avrebbe avuto il rappresentato. Vediamo quindi come a differenza della normativa stabilita per il
falso procuratore (per il quale la legge prevede una obbligazione da atto illecito e quindi un obbligo al
risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo) per il falso rappresentante in materia
cambiaria è prevista una vera e propria obbligazione cambiaria. Pertanto possiamo dire che se il
potere di rappresentanza sussiste nel momento della dichiarazione (o viene attribuito
successivamente tramite ratifica) l’obbligato cambiario è il rappresentato e se invece non sussiste
allora l’obbligato cambiario è il rappresentante. E’ ovvio tuttavia che se con il pagamento della
cambiale da parte del falso rappresentante viene estinto una obbligazione del rappresentato verso il
prenditore sorgente da un determinato rapporto fondamentale allora il falso rappresentante, una volta
pagata la cambiale, può ripetere le somme dal rappresentato almeno nei limiti dell’arricchimento.
Nell’ipotesi invece di conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante la legge ritiene rilevante
per i terzi tale conflitto solo quando esso sia conosciuto o conoscibile e quindi vi sia possibilità di
riconoscerlo con la normale diligenza non solo da parte del singolo ma anche da parte della generalità.
465) Elementi essenziali del documento cambiario - Elementi essenziali della cambiale sono : a) la
denominazione di cambiale inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui il titolo è
redatto Per il vaglia cambiario possono essere utilizzate in alternativa le denominazioni “vaglia
cambiario” o “pagherò cambiario”. B) l’ordine incondizionato nella cambiale tratta (pagherete a…) o la
promessa incondizionata nel vaglia cambiario (pagherò a….) di pagare una somma determinata.
Somma che di regola viene espressa sia in lettere che in cifre. In caso di discordanza prevale la somma
scritta in lettere mentre se la somma è scritta più volte, in lettere o in cifre, vale la somma minore.
L’apposizione di una condizione toglie al documento il carattere di cambiale. C) le generalità di chi è
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designato a pagare (trattario) nella cambiale tratta. Per l’imprenditore la indicazione può essere fatta
anche tramite la ditta e per la società attraverso la ragione o la denominazione sociale. Può essere
indicato come trattario lo stesso traente e in tal caso la designazione può essere indiretta risultando
già dal titolo il nome della persona designata a pagare. In questo caso però la cambiale non si tramuta
in pagherò ma rimane comunque una cambiale tratta disciplinata quindi dai principi posti per tale tipo
di cambiale (per quanto riguarda quindi la mancata accettazione o il mancato pagamento) D)
l’indicazione della scadenza che può essere a vista, a certo tempo vista, a certo tempo data, a giorno
fisso. La scadenza è a vista se la cambiale è pagabile al momento della presentazione del titolo, a certo
tempo vista se scade dopo un certo tempo dopo la presentazione, a certo tempo data se scade dopo un
certo tempo dall’emissione del titolo. In mancanza di scadenza essa si intende a vista e quindi il
pagamento deve essere fatto a richiesta del possessore. E) l’indicazione del luogo di pagamento. In
mancanza di ciò la cambiale tratta è pagabile nel luogo indicato accanto al nome del trattario e il vaglia
cambiario nel luogo di emissione del titolo. E’ possibile indicare come luogo di pagamento anche il
domicilio di un terzo e in tal caso la cambiale si dice domiciliata. F) il nome di colui al quale o all’ordine
del quale deve farsi il pagamento e quindi il prenditore che nella cambiale tratta può essere anche lo
stesso traente. G) l’indicazione della data e del luogo di emissione. In mancanza del luogo di emissione
la cambiale si considera sottoscritta nel luogo indicato accanto al nome del traente h) la sottoscrizione
di colui che emette la cambiale (traente o emittente) accompagnata nel caso di vaglia cambiario dalle
generalità dell’emittente. A differenza dagli altri requisiti la sottoscrizione deve essere autografa e
quindi apposta manualmente dal traente o dall’emittente. Essa deve contenere il nome e il cognome o
la ditta di chi si obbliga ma è valida anche la sottoscrizione in cui il nome si abbreviato o indicato con la
sola iniziale. Quando la sottoscrizione sussiste il documento vale come cambiale anche se la
sottoscrizione è falsa. Infatti i requisiti riguardano il documento e non la dichiarazione . Pertanto la
falsità della sottoscrizione può comportare che colui la cui firma è stata falsificata non assuma alcuna
obbligazione ma non comporta il venir meno del requisito formale della sottoscrizione e quindi rimane
ferma l’efficacia delle altre obbligazioni cambiarie.
466) Effetti della mancanza di un elemento essenziale: la cambiale in bianco - Il documento che manca
di uno dei requisiti essenziali cui non si può supplire attraverso la legge (scadenza, luogo di emissione
o luogo di pagamento) non vale come cambiale ma può valere solo come promessa di pagamento o
ricognizione di debito. Tuttavia non è necessario che i requisiti siano presenti all’atto di emissione del
titolo in quanto basta che la cambiale sia completa al momento in cui se ne richiede il pagamento. La
cambiale che circola sprovvista di uno o più requisiti essenziali si chiama cambiale in bianco e perché
si possa parlare di cambiale, sia pure in bianco, occorre la sola sottoscrizione autografa e la
denominazione cambiale in quanto il resto può essere aggiunto dopo ad opera del prenditore del
titolo. Tuttavia purchè si possa parlare di cambiale in bianco occorre che al primo prenditore sia
attribuito dall’emittente il potere di riempimento attraverso un accordo di riempimento con il quale si
fissano le modalità del successivo riempimento del titolo. All’emissione della cambiale in bianco si
ricorre infatti quando alcuni dati cambiari non sono attualmente determinabili ma lo saranno in futuro
in relazione allo svolgimento di un determinato rapporto dalle parti. Chi lascia una cambiale in bianco
ovviamente resta esposto al rischio che la stessa sia riempita dal prenditore in modo diverso da
quanto pattuito nell’accordo di riempimento e quindi al rischio di un abusivo riempimento. Tale
rischio è limitato se il pagamento della cambiale viene richiesto da colui con cui è intercorso l’accordo
di riempimento in quanto a questo l’emittente potrà sempre opporre la violazione dell’accordo pur
restando a suo carico l’onere di provare in giudizio il riempimento abusivo. Il rischio è più grave se
l’immediato prenditore dopo aver completato il titolo in difformità dagli accordi lo gira ad un terzo.
L’eccezione di abusivo riempimento infatti è una eccezione personale che non è opponibile al terzo
prenditore a meno che questi non abbia acquistato la cambiale in mala fede o con colpa grave. In
difetto di tale prova il debitore dovrà pagare la cambiale e potrà solo chiedere il risarcimento del
danno all’autore dell’abusivo riempimento. Il portatore decade dal diritto di riempire la cambiale in
bianco dopo tre anni dal giorno dell’emissione del titolo La cambiale in bianco essendo già dall’inizio
destinata a diventare una vera cambiale produce subito gli effetti cambiari consentiti dagli elementi
già esistenti. Pertanto anche prima del riempimento gli effetti cambiari si producono rispetto ad
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elementi già esistenti e quindi l’accettazione, l’avallo o la girata anche se apposte su una cambiale in
bianco producono subito gli effetti loro tipici.
467) Elementi accidentali del documento cambiario - Elementi accidentali della cambiale sono alcune
clausole che vengono inserite nel testo con l’intenzione di produrre un effetto particolare. Tali clausole
non sempre sono considerate dalla legge come valide. Una prima categoria di tali clausole è
considerata dalla legge nulla, con nullità limitata in alcuni casi alla clausola vietata e in altri casi
all’intera dichiarazione cambiaria. Esempi del primo tipo li abbiamo nelle clausole che la legge
considera come non apposte come ad esempio la condizione apposta alla girata o la rinuncia alla
prescrizione. Esempi del secondo tipo li abbiamo nella clausola di esonero dell’accettante o
dell’emittente a pagare o la clausola che prevede il pagamento non in denaro. In questi ultimi casi
infatti la clausola eliminerebbe addirittura la volontà cambiaria escludendone alcuni effetti
caratteristici e per tale motivo la legge, in presenza, di esse, considera invalida l’intera cambiale. Per
quanto riguarda le clausole valide esse possono distinguersi in due categorie: le clasuole cambiarie che
influiscono direttamente sul rapporto cambiario e le clausole connesse che pur inserite nella cambiale
non influiscono sul rapporto cambiario ma sono relative ai rapporti sottostanti. Per quanto riguarda la
prima categoria distinguiamo le clausole complementari che integrano il rapporto cambiario (es.
clausola con cui si nomina un domiciliata rio o clausole che contengono la promessa di interessi nelle
cambiali a vista o a certo tempo vista) e le clausole derogative che hanno invece l’effetto di modificare
il rapporto cambiario. Esempio di queste ultime sono la clausola non all’ordine che apposta sia dal
traente che dall’emittente escludono la qualità di titolo circolante della cambiale mentre esempio di
clausole connesse sono “ per conto di”, “documenti contro accettazione”, valuta merci, ecc- Tutte
queste clausole non influiscono sul rapporto cambiario ma danno indicazioni al trattario circa la
giustificazione causale della tratta in modo che possa meglio regolarsi circa l’accettazione e il
pagamento della tratta stessa.
468) La cambiale tratta con cessione della provvista - La cambiale tratta con cessione della provvista è
un particolare tipo di cambiale garantita in quanto in essa il credito cambiario è garantito dalla
cessione pro solvendo del credito derivante da forniture di merci che il traente ha nei confronti del
trattario, cessione che viene attuata tramite apposita clausola indicata nella tratta. La legge pone
alcuni limiti all’adozione di tale clausola e in particolare il fatto che la provvista deve consistere
necessariamente in un credito derivante da fornitura di merci e il fatto che la cessione della provvista
può essere attuata solo a favore di una banca. La garanzia consiste nell’attribuire al portare il potere
di agire nei confronti del trattario sulla base di un rapporto sottostante (fornitura di merci) e quindi è
destinata a funzionare per le cambiali tratte che non devono essere presentate per l’accettazione o
nella eventualità che la cambiale non venga accettata. Infatti qualora sia intervenuta l’accettazione la
funzione della garanzia viene meno in quanto per effetto di essa sorge l’obbligazione cambiaria diretta
del trattario. La clausola può essere inserita solo dal traente e pur dovendo il primo prenditore o
giratario essere una banca la garanzia opera a favore di tutti i successivi prenditori della cambiale.
469) La cambiale ipotecaria - La cambiale ipotecaria è anch’essa una cambiale garantita e si
caratterizza perché la garanzia del credito cambiario è costituita da una ipoteca iscritta su immobili o
beni mobili registrati. Una volta eseguita la iscrizione dell’ipoteca e la relativa annotazione sul titolo la
circolazione della cambiale comporta anche la circolazione della garanzia ipotecaria senza bisogno di
ulteriori annotazioni.
B) L’ACCETTAZIONE
470) Rapporto di provvista e accettazione della tratta - L’emissione di una tratta presuppone un
rapporto giuridico tra traente e trattario che giustifica l’ordine di pagamento del primo al secondo che
si denomina rapporto di provvista. Tale rapporto di provvista è un rapporto extracambiario che
diventa rapporto cambiario solo con l’accettazione da parte del trattario. Infatti finchè non interviene
l’accettazione la cambiale tratta contiene solo la promessa del traente di accettazione futura da parte
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del trattario in quanto in caso di mancata accettazione il debitore emittente dovrà rispondere in via di
regresso. L’accettazione della tratta da parte del trattario può essere prevista come suo obbligo nel
rapporto di provvista ma se così non è il trattario non può essere considerato obbligato
all’accettazione per il solo fatto di essere debitore del traente. Per tale motivo è consentito al traente
di apporre la clausola “senza accettazione”(clausola derogativa) per effetto della quale viene vietata la
presentazione al trattario per l’accettazione. Tale clausola non può essere apposta quando la cambiale
sia pagabile presso un terzo, o in luogo diverso dal domicilio del trattario o sia ad un certo tempo vista.
471) Presupposti, modalità ed effetti della accettazione - L’accettazione è la dichiarazione con la quale
il trattario si obbliga a pagare la cambiale alla scadenza e quindi con essa il trattario diventa obbligato
principale e diretto. Essa si attua mediante l’apposizione sulla cambiale della formula “accetto”, visto o
anche con la semplice sottoscrizione sul titolo del trattario accompagnata dalle proprie generalità.
L’accettazione presuppone la presentazione della cambiale che avviene con l’esibizione della cambiale
al trattario al proprio domicilio, tale presentazione può avvenire fino alla scadenza della cambiale ma
il traente può porre un termine iniziale e un termine finale per la presentazione (nella cambiale ad un
certo tempo vista la presentazione deve avvenire entro un anno dalla data di emissione o nel termine
minore o maggiore fissato dal traente). L’accettazione deve essere incondizionata ma può essere fatta
per una parte sola della somma. L’apposizione di condizioni equivale a rifiuto di accettazione anche se
l’accettante rimane obbligato nei limiti della sua dichiarazione. L’accettazione non produce effetto se
viene cancellata prima della restituzione del titolo, tuttavia se il trattario abbia dato notizia
dell’accettazione al portatore della cambiale o ad uno dei firmatari di essa e poi abbia cancellato
l’accettazione gli effetti di questa permangono nei confronti di quel portatore e di quel firmatario della
cambiale.
472) Accettazione per intervento - Se la cambiale non viene accettata il portatore può esercitare
azione di regresso prima della scadenza nei confronti del traente. Per evitare tale inconveniente la
legge prevede la figura dell’accettazione per intervento con la quale l’accettazione può avvenire con
l’intervento di persona diversa dal trattario sia che tale intervento sia fatto per indicazione del traente
()indicazione di bisogno) sia che l’intervento sia spontaneo (intervento per onore). L’accettazione per
intervento è ammesso solo in caso di mancata accettazione o di fallimento del trattario prima
dell’accettazione e determina il fatto che il regresso nei confronti del traente non può essere esercitato
prima della presentazione della cambiale all’interventore e fino a quando il suo eventuale rifiuto sia
stato fatto constatare tramite protesto. L’accettazione per intervento deve essere apposta sulla
cambiale mediante sottoscrizione dell’interveniente che deve anche specificare a favore di chi
interviene. In mancanza di ciò la legge presume che l’intervento sia fatto per conto del traente.
L’accettazione per intervento comporta che l’interveniente assuma obbligazioni pari a quella della
persona per conto della quale interviene. L’accettazione per intervento cessa di essere efficace e la
relativa obbligazione dell’interveniente si estingue se la cambiale non viene presentata per il
pagamento all’interveniente entro il giorno successivo a quello consentito per elevare protesto per
mancato pagamento.
C) LA GIRATA
473) La girata: funzione e forma - Come tutti i titoli all’ordine anche la cambiale circola tramite girata.
Il trasferimento della cambiale mediante girata può essere esclusa dal traente o dall’emittente
apponendo sul titolo la clausola “non all’ordine” o altra simile ma in tal caso la cambiale è trasferibile
solo nella forma e con gli effetti di una cessione ordinaria e quindi l’acquirente subentra a titolo
derivativo nei diritti cambiari restando esposto a tutte le eccezioni opponibili ai precedenti portatori.
La girata a pena di nullità deve essere apposta sulla cambiale (o sul foglio di allungamento della stessa)
e deve essere sottoscritta dal girante, può essere piena o in bianco (e cioè non indicare il nome del
beneficiario). La girata deve essere incondizionata e ogni condizione apposta si considera come non
scritta. E’ nulla la girata parziale. Per le cambiali però la girata non ha solo una funzione in merito alla
circolazione del titolo ma anche la funzione di promessa cambiaria. Infatti il girante (se non vi è
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clausola contraria) risponde dell’accettazione e del pagamento della cambiale nei confronti del
portatore della cambiale. Si tratta di una obbligazione indiretta (ossia di regresso) e non di
obbligazione diretta in quanto il girante non promette un fatto proprio ma un fatto di un terzo e quindi
la responsabilità sorge solo qualora il terzo non ponga in essere quanto promesso. Tale funzione di
garanzia della girata può essere eliminata con la clausola “senza garanzia” o altra similare o può essere
limitata al giratario diretto mediante una clausola che vieti la successiva circolazione del titolo. Tale
funzione di garanzia non sussiste neanche nella girata per l’incasso o per procura in quanto con
queste clausole il giratario assume la figura di un mandatario del girante, puro detentore del titolo e
quindi solo come tale potrà esercitare per conto del girante tutti i diritti inerenti alla cambiale e non
potrà girarla a terzi se non per procura.
D) L’AVALLO
474) L’avallo – funzioni e carattere – Le obbligazioni cambiarie possono essere assistite da garanzie
personali e tale garanzia può essere prestata fuori dal documento cambiario con una fidejussione o in
forma cambiaria e quindi sulla cambiale mediante l’avallo. L’avallo è una obbligazione cambiaria di
garanzia e quindi costituisce una obbligazione accessoria rispetto alla obbligazione cambiaria
garantita. Tuttavia tale accessorietà deve essere intesa secondo i principi del diritto cambiario e quindi
assume un significato diverso rispetto alla accessorietà della fidejussione, la quale è accessoria ad una
obbligazione principale e ne segue le sorti. Tale accessorietà dell’avallo secondo i principi del diritto
cambiario pone le seguenti conseguenze: la prima à che l’avallo viene meno solo quando l’obbligazione
garantita non esiste come obbligazione cambiaria e quindi quando esistono quei vizi di forma che
rendono nulla la cambiale secondo i principi cambiari. Invece quando l’obbligazione pur esistendo
come obbligazione cambiaria è nulla l’avallo è comunque valido.
475) Accessorietà dell’obbligazione dell’avallante : conseguenze e limiti – Altre conseguenze sono le
seguenti: a) l’avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo viene dato e quindi in
via principale se è stato garantito l’emittente e invia di regresso se è stato garantito un girante. B)
l’avallante che paga acquista i diritti cambiari contro l’avallato e contro coloro che erano obbligati nei
confronti di quest’ultimo. C) l’obbligazione dell’avallante si estingue se si estingue l’obbligazione
dell’avallato e quindi l’avallante può opporre al portatore della cambiale l’estinzione del debito
dell’avallato qualunque ne sia la causa (pagamento, remissione del debito, prescrizione). D) è dubbio
se l’avallante possa opporre al creditore le eccezioni che avrebbe potuto opporre l’avallato. Infatti l’art
37 della legge cambiaria esclude che l’avallante possa opporre le eccezioni (diverse da quelle fondate
su un vizio di forma) che sono relative all’esistenza dell’obbligazione cambiaria dell’avallato (es. falsità
della sottoscrizione, mancanza di volontà, difetto di rappresentanza) ma non esclude la possibilità da
parte dell’avallante, ferma restando l’esistenza della obbligazione cambiaria dell’avallato, di opporre al
portatore della cambiale le eccezioni che avrebbe potuto opporre l’avallato sulla base del suo rapporto
con il portatore. L’art. 37 legge cambiaria quindi sancisce solo che l’avallante rimane obbligato anche
se non vi è obbligazione cambiaria dell’avallato ma non sancisce che, quando l’obbligazione esiste,
l’avallante non possa opporre al portatore le stesse eccezioni che avrebbe potuto porre l’avallato.
476) Forma e contenuto dell’avallo - L’avallo è una dichiarazione cambiaria con la quale un soggetto
(avallante) garantisce il pagamento della cambiale per tutta o parte della somma mediante la formula
“per avallo” sottoscritta dall’avallante sulla cambiale o sul suo foglio di allungamento. In mancanza di
tale formula si considera avallo anche la firma di persona diversa dall’emittente, traente o trattario,
apposta sulla parte anteriore della cambiale. L’avallo deve indicare la persona per la quale è prestato e
in mancanza si ritiene dato per il traente nella tratta e per l’emittente nella cambiale diretta. Nel
silenzio della legge si deve ritenere che sia valido l’avallo condizionato e quindi l’efficacia della
apposizione di una eventuale condizione.
E) IL PAGAMENTO
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477) Il pagamento della cambiale: presentazione per il pagamento - Legittimato a chiedere il
pagamento è il portatore della cambiale che giustifica il suo diritto con una serie continua di girate
anche se l’ultima è in bianco. Chi paga alla scadenza deve controllare la regolarità formale delle girate e
la loro continuità e non l’autenticità della firma dei giranti e più in generale la loro validità sostanziale.
Eseguiti tali controlli e identificato l’attuale possessore il debitore cambiario è liberato anche se paga
al non titolare a meno che da parte sua non vi sia dolo o colpa grave, Il possessore della cambiale, alla
scadenza deve presentare la cambiale per i pagamento al trattario (anche se non ha accettato)nella
cambiale tratta e all’emittente nel pagherò cambiale e se la cambiale è domiciliata al domiciliatario, Se
il trattante o l’emittente sono defunti la presentazione deve essere fatta ai loro eredi. Nella cambiale a
giorno fisso o a certo tempo data o vista la presentazione deve essere fatta nel giorno della scadenza o
in uno dei due giorni feriali successivi. La cambiale a vista invece deve essere presentata per il
pagamento entro un anno dalla data di emissione. L’omessa presentazione nei termini comporta la
perdita dell’azione cambiaria nei confronti degli obbligati di regresso. Il termine della scadenza nelle
cambiali deve intendersi posto dalla legge a favore di entrambe le parti e quindi il debitore non può
pagare in anticipo senza il consenso del creditore. In deroga ai principi del diritto civile il portatore
della cambiale non può rifiutare un pagamento parziale che deve essere annotato sul titolo che resta
comunque in possesso del portatore. Come l’accettazione anche il pagamento può essere fatto per
intervento. Il pagamento per intervento non può essere parziale e deve essere effettuato al più tardi
nel giorno successivo all’ultimo giorno consentito per elevare il protesto per mancato pagamento. Se
alla scadenza il possessore rifiuta di accettare il pagamento del terzo non potrà più rivolgersi in
regresso nei confronti di quegli obbligati che in conseguenza dell’intervento sarebbero stati liberati. Il
pagamento per intervento deve essere annotato per quietanza nella cambiale con l’indicazione della
persona per la quale l’intervento è stato fatto; in mancanza l’intervento si presume fatto per l’ultimo
obbligato in via di regresso (traente nella cambiale tratta, prenditore nella cambiale diretta).
F) LE AZIONI CAMBIARIE
480) Le azioni cambiarie: azione diretta e azione di regresso - Il diritto del portatore al pagamento
della cambiale sussiste direttamente nei confronti dell’accettante, dell’emittente e dei loro avallanti e
in via di regresso nei confronti dei giranti, del traente e dell’accettante per intervento e dei loro
avallanti. Pertanto nel caso in cui l’emittente o l’accettante non paghino alla scadenza il portatore ha
due possibilità: esercitare l’azione diretta nei confronti dell’emittente, dell’accettante o dei loro
avallanti o esercitare l’azione di regresso nei confronti degli altri obbligati cambiari. Occorre dire che
mentre l’azione diretta non richiede alcun adempimento e non è soggetto a decadenza ma solo a
prescrizione di tre anni, l’azione di regresso richiede particolari adempimenti (levata del protesto) ed
è soggetta a breve termine di decadenza. L’azione di regresso spetta al portatore della cambiale. A)
alla scadenza se il pagamento da parte delle mittente o del trattario (abbia accettato o meno) non ha
avuto luogo b) prima della scadenza se l’accettazione è stata rifiutata in tutto o in parte, in caso di
fallimento del trattario o dell’emittente, in caso di esecuzione infruttuosa sui loro beni e in caso di
fallimento del traente di una cambiale non accettabile (purchè non sia stata accettata per intervento).
L’azione di regresso spetta inoltre all’obbligato in via di regresso e all’interveniente che abbiano
pagato la cambiale al portatore e in tal modo hanno riacquistato i diritti cambiari nei confronti degli
obbligati antecedenti.
481) Presupposto formale dell’azione di regresso: il protesto - Presupposto fondamentale per
esercitare l’azione di regresso è la constatazione dei fatti che autorizzano al regresso stesso. Nel caso
in cui il regresso dipenda dalla dichiarazione di fallimento del trattario o dell’emittente (e nel caso di
cambiale non accettabile del traente) tale constatazione si ha attraverso la sentenza dichiarativa di
fallimento. Negli altri casi invece la constatazione deve essere fatta tramite il protesto. Il protesto è
una dichiarazione solenne dei fatti mediante atto pubblico redatto da notaio o ufficiale giudiziario o un
suo aiutante (se nel comune non esiste un notaio o un ufficiale giudiziario anche dal segretario
comunale). Il notaio e l’ufficiale giudiziario possono avvalersi della collaborazione di presentatori,
nominati dal presidente della corte di appello, che presentano il titolo, ne incassano l’importo o
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constatano il mancato pagamento. L’atto di protesto viene invece redatto successivamente dal notaio o
dall’ufficiale giudiziario , il protesto può essere annotato sulla cambiale o posto su un atto separato e
ha valore di atto pubblico. Il protesto per mancata accettazione esenta il portatore dalla presentazione
della cambiale per il pagamento o dal protesto per mancato pagamento. Efficacia pari al protesto è
riconosciuta alla dichiarazione di rifiuto dell’accettazione o del pagamento scritta dal trattario sulla
cambiale. Il portatore può essere esonerato dall’obbligo del protesto se sulla cambiale sia stata posta
la clausola “senza protesto” o altra equivalente. Però la clausola deve essere apposta dal traente o
dall’emittente in quanto se è apposta da un girante o da un avallante ha valore solo nei confronti di
questo e quindi nei confronti degli altri il portatore non è esonerato dall’obbligo del protesto
L’esonero dal protesto non dispensa comunque dagli altri adempimenti richiesti (presentazione della
cambiale, avviso ai giranti). La legge fissa precisamente i termini per elevare protesto. Il portatore,
indipendentemente dal protesto, ha l’obbligo di dare avviso al proprio girante, al traente e agli
eventuali avallanti di questi della mancata accettazione o del mancato pagamento entro i quattro
giorni successivi al protesto (o alla presentazione in caso di clausola “senza protesto”) e ogni girante
deve a sua volta dare avviso al proprio girante. La mancata presentazione o il mancato protesto nel
caso questo sia obbligatorio comportano decadenza per il portatore dall’azione di regresso mentre il
mancato avviso comporta solo l’obbligazione al risarcimento degli eventuali danni.
482) L’esercizio del regresso - Il portatore può rivolgersi con l’azione di regresso nei confronti di
qualunque obbligato senza dover rispettare l’ordine delle girate, può agire contro uno solo di essi o
congiuntamente contro più di essi. Lo stesso diritto spetta a colui che, obbligato in via di regresso,
abbia pagato il portatore nei confronti degli obbligati anteriori e che quindi può chiedere a ciascuno di
essi il rimborso integrale di quanto pagato oltre agli interessi e alle spese. L’obbligato che ha pagato
non può esercitare invece azione cambiaria di regresso nei confronti degli eventuali coobbligati di pari
grado (es. coavallanti) e contro questi potrà agire solo in via extracambiaria esercitando il diritto di
rivalsa in base ai principi posti dal diritto civile per le obbligazioni solidali. All’obbligato di regresso
che paga deve essere consegnata la cambiale e il protesto e egli ha il diritto di cancellare dalla cambiale
la propria firma e quella degli obbligati successivi.
G) IL PROCESSO CAMBIARIO
483) Realizzazione giudiziale dei diritti cambiari: titolo esecutivo e processo cambiario – L’azione
cambiaria (diretta o di regresso) gode di un particolare regime processuale volto a consentire al
creditore un più rapido recupero della somma dovutagli. A tale proposito la legge stabilisce una
procedura esecutiva tramite la quale la cambiale originariamente in regola con il bollo vale come titolo
esecutivo. Il possessore pertanto può iniziare la procedura esecutiva sui beni del debitore senza
doversi munire preventivamente di un provvedimento giudiziale di condanna. In alternativa è previsto
il procedimento ordinario in base al quale il portatore della cambiale può avvalersi dell’ordinario
procedimento di cognizione volto ad ottenere la sentenza di condanna. Questa è peraltro l’unica via
praticabile qualora la cambiale non fosse originariamente in regola con il bollo e purchè sia stata
successivamente regolarizzata. Su istanza del creditore il giudice deve emettere sentenza provvisoria
di condanna se le eccezioni opposte dal debitore sono di lunga indagine imponendo al creditore il
versamento di una cauzione qualora lo ritenga opportuno. L’esecuzione può essere sospesa qualora il
debitore disconosca la propria firma o il potere di rappresentanza di chi ha sottoscritto la cambiale o
ricorrano gravi e fondati motivi ma in questo caso la sospensione è subordinata alla prestazione di una
cauzione, Per quanto riguarda le eccezioni opponibili dal debitore vale quanto già detto in generale per
i titoli di credito.
484) Prescrizione dei diritti cambiari – I diritti cambiari si prescrivono in tre anni per gli obbligati
principali e di un anno o sei mesi per gli obbligati di regresso.
h) LE AZION IEXTRA CAMBIARIE
172
485) L’azione causale - L’emissione e la circolazione della cambiale hanno di regola fondamento in un
rapporto preesistente di debito tra chi da e chi riceve il titolo e tale rapporto non si estingue con
l’emissione o la girata della cambiale a meno che non si provi che il rilascio della cambiale ha prodotto
novazione del rapporto causale. Per realizzare il proprio credito quindi il portatore della cambiale ha a
disposizione oltre alle azioni cambiarie (diretta o di regresso) anche l’azione causale. Ovviamente
l’azione causale è possibile solo quando l’esercizio dell’azione cambiaria non sia più possibile o si sia
prescritta o quando, essendo mancata l’accettazione e il pagamento il portatore non abbia più
interesse ad esercitare l’azione cambiaria o la stessa si sia prescritta e oltretutto la legge sottopone
tale possibilità ad alcuni limiti. A parte il limite per cui deve sussistere la necessità di far ricorso
all’azione causale (e quindi questa non può’ essere esperita con preferenza sull’azione cambiaria per
libera scelta del portatore) esiste l’altro limite per cui va tutelata la posizione di colui contro il quale
l’azione si rivolge in modo tale che gli sia permesso di esercitare a sua volta i diritti cambiari in
sostituzione del portatore. Quando quindi l’azione causale è rivolta contro un obbligato di regresso
l’azione causale è consentita solo quando questo sia in condizione di poter esercitare a sua volta i
diritti cambiari nei confronti dei precedenti obbligati di regresso. La legge richiede quindi in questo
caso per l’esercizio dell’azione causale che la cambiale sia stata depositata presso la cancelleria del
giudice e che sia stato levato il protesto e compiute le formalità necessarie per conservare l’azione di
regresso. Tali formalità non sono ovviamente necessarie qualora l’azione cambiaria si rivolta contro il
debitore principale. Pertanto in caso di decadenza o prescrizione dell’azione cambiaria l’azione
causale può rivolgersi solo contro il debitore principale ed è preclusa nei confronti degli obbligati di
regresso.
486) L’azione di arricchimento - Può verificarsi che il portatore della cambiale abbia perduto, per
decadenza o prescrizione tutte le azioni cambiarie e non abbia alcuna azione causale da esercitare. In
questo caso la legge cambiaria gli consente di agire contro il traente, l’accettante, l’emittente o il
girante per la somma di cui si siano arricchiti ingiustamente a suo danno. L’azione, inquadrabile in
quella generale d ingiustificato arricchimento, sarà in concreto esercitabile solo nei confronti
dell’obbligato cambiario beneficiario dell’arricchimento. Quindi di regola nei confronti dell’accettante
nella cambiale tratta o dell’emittente nel pagherò. L’azione di arricchimento cambiario si prescrive in
un anno al giorno della perdita dell’azione cambiaria.
i) La cambiale come mezzo di finanziamento
487 – 488)) L’accettazione bancaria – Le cambiali finanziarie - Le cambiali sono state utilizzate anche
per operazioni non di credito individuale ma volte alla raccolta di pubblico risparmio. In un primo
tempo ciò avveniva tramite le accettazioni bancarie, operazione complessa che prevedeva un duplice
rapporto tra imprenditore e banca e imprenditore e società finanziaria. Oggi tale strumento non è più
utilizzato ed è stato sostituito da quello della cambiale finanziaria che costituisce il nuovo strumento di
finanziamento delle imprese. La loro funzione è quella di offrire alle imprese, soprattutto a quelle non
abilitate ad emettere obbligazioni, uno strumento per raccogliere direttamente tra il pubblico il
capitale di credito a breve termine alternativo rispetto al ricorso al credito bancario spesso troppo
costoso. Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine emessi in serie, con scadenza non
inferiore a 3 mesi e non superiore a 12 mesi dalla data di emissione e con un taglio minimo non
inferiore a circa 51.000 euro. La loro struttura è quella del pagherò cambiario e quindi contengono una
promessa incondizionata di pagamento da parte dell’emittente.
2) GLI ASSEGNI
489) Funzioni e caratteri degli assegni - A differenza della cambiale che è uno strumento di credito gli
assegni hanno la funzione di mezzi di pagamento sostitutivi della moneta. Tale funzione è messa in
luce anche dalla disciplina antiriclaggio che, imponendo la clausola di non trasferibilità agli assegni di
importo pari o superiore a 12.500 euro riconosce loro il ruolo di mezzo che necessariamente deve
sostituire la consegna di denaro. Da un punto di vista formale anche gli assegni contengono una
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dichiarazione simile a quella della cambiale che si concreta in un ordine o promessa di pagamento ma
a differenza della cambiale per l’emissione dell’assegno è richiesta l’esistenza della provvista (ossia
della somma necessaria per il pagamento) tanto è vero che sono previste sanzioni amministrative per
il mancato pagamento per difetto di provvista. Gli assegni inoltre, proprio perché mezzi di pagamento,
sono sempre pagabili a vista e quindi all’atto della presentazione, non richiedono accettazione e sono
soggetti ad un breve termine legale di presentazione e inoltre qualunque promessa di interessi inserita
nell’assegno si considera come non scritta.
A) L’ASSEGNO BANCARIO
490) L’assegno bancario : struttura e presupposti – L’assegno bancario è un titolo di credito all’ordine
o al portatore contenente un ordine diretto ad una banca di pagare al possessore del titolo secondo la
legge di circolazione la somma indicata sull’assegno. La dichiarazione contenuta corrisponde a quella
della cambiale tratta ma l’ordine di pagamento deve essere necessariamente diretto ad una banca e
l’emissione dell’assegno prevede l’esistenza di somme disponibili presso la banca cui l’ordine è diretto
di cui il traente deve avere autorizzazione a disporre. Tuttavia l’esistenza di somme disponibili e
l’autorizzazione a disporne mediante assegno sono requisiti di regolarità ma non di validità
dell’assegno in quanto la dichiarazione cambiaria del traente come quelle degli eventuali giranti sono
valide ed efficaci anche quando tali requisiti non sussistono. Come abbiamo detto l’emissione di
assegni senza autorizzazione o senza provvista comporta l’applicazione al traente di sanzioni
amministrative pecuniarie e l’obbligo di pagare una penale al prenditore o al giratario.
491) La posizione della banca trattaria - A differenza della cambiale tratta per l’assegno vige per la
banca il divieto di accettazione e pertanto per la banca nell’assegno bancario non sorge in nessun
momento una obbligazione cambiaria nei confronti del portatore del titolo. Certamente con l’apertura
del conto corrente la banca si obbliga ad onorare gli assegni nei limiti dei fondi disponibili. Ma si tratta
di una obbligazione ex mandato che la banca assume nei confronti del cliente e non nei confronti del
prenditore degli assegni. Ne consegue che il rifiuto ingiustificato di pagare l’assegno espone la banca a
responsabilità contrattuale nei confronti del traente e non del prenditore. Tuttavia deve ritenersi che a
carico della banca nei confronti del prenditore debba sussistere una obbligazione extracambiaria che
trova il suo fondamento nella convenzione di assegno il cui rilievo non può essere limitato alle parti
contraenti. Tale obbligazione infatti non ha pero oggetto tanto il pagamento di una somma quanto
l’attuazione della destinazione che emettendo l’assegno il traente ha dato alla sua provvista presso la
banca. Essendo il contratto tra banca e cliente il presupposto dell’assegno l’esecuzione dell’ordine da
parte della banca non può essere considerato solo un fatto interno ma deve assumere necessariamente
rilievo giuridico anche per il prenditore il quale ha ricevuto l’assegno proprio nel presupposto del suo
adempimento. Deve ritenersi quindi che la banca non possa arbitrariamente o d’accordo con il traente
negare quella destinazione della provvista imposta dall’emissione dell’assegno una volta che l’assegno
dia stato emesso e quindi deve ritenersi che la banca sia responsabile verso il portatore se non paga
l’assegno pur avendo presso di sé i fondi disponibili e pur essendo il portatore possessore legittimo
dell’assegno. Il vincolo di destinazione sorge in momenti diversi per il traente e per la banca. Per il
traente sorge al momento dell’emissione dell’assegno e pertanto quando il traente consegna l’assegno
l’ordine di pagamento non può essere revocato né possono essere eliminati con un suo atto di volontà
gli effetti giuridici che ne conseguono circa la provvista. Per la banca invece il vincolo di destinazione
sorge al momento della presentazione dell’assegno. Pertanto essendo per il traente decisivo il
momento dell’emissione le vicende successive riguardanti la sua persona non possono modificare la
situazione creata con l’emissione (es, morte del traente, sua sopravvenuta incapacità, dichiarazione di
fallimento del traente). Essendo invece per la banca decisivo il momento della presentazione la banca
deve pagare l’assegno anche se le disponibilità non esistevano al momento della emissione e sono
state create prima della presentazione mentre la banca non è tenuta a pagare se la disponibilità
esistente al momento della emissione sia venuta meno al momento della presentazione. Spetta infatti
al traente e non alla banca assicurarsi che la disponibilità non venga meno per tutto il periodo di
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presentazione e lo stesso traente sa che se ha più rapporti con la banca la banca stessa ha diritto di
compensare i suoi crediti con le somme disponibili nel conto.
493) La dichiarazione di assegno - La dichiarazione di assegno è soggetta agli stessi requisiti di
capacità della dichiarazione cambiaria. Un differenza sta invece nel fatto che il potere di emettere
assegni si ritiene insito nella procura generale anche se non conferita dall’imprenditore con
riferimento all’esercizio dell’impresa (salvo se non sia espressamente esclusa) mentre per la cambiale
la procura generale comprende anche la facoltà di obbligarsi cambiariamente solo se rilasciata
dall’imprenditore con riferimento all’esercizio dell’impresa. . Il rappresentante senza poteri o che
abbia ecceduto dei suoi poteri è obbligato cambiariamente come se avesse firmato l’assegno in
proprio. La dichiarazione di assegno è una dichiarazione documentale e la legge fissa norme rigorose
circa i requisiti che il documento deve avere perché possa valere come assegno, requisiti che devono
sussistere al momento della presentazione. La regolarità del bollo non è invece requisito di validità
dell’assegno ma è solo un presupposto della sua efficacia come titolo esecutivo.
494) Elementi essenziali del documento - Sono requisiti formali di validità la cui mancanza comporta
che il titolo non vale come assegno bancario (e quindi come documento) i seguenti: a) la
denominazione di assegno bancario inserita nel contesto del titolo ed espressa nella lingua in cui lo
stesso è redatto b) l’ordine incondizionato di pagare una somma determinata, di regola espressa in
lettere e in cifre c) l’indicazione del trattario che può essere solo una banca d) l’indicazione del luogo di
pagamento, ma in mancanza vale quello di emissione e) la data e il luogo di emissione dell’assegno L’assegno posdatato costituisce una irregolarità e comporta applicazione di sanzioni fiscali f) La
sottoscrizione del traente per la quale valgono le considerazioni fatte per la cambiale. Non è invece
necessaria l’indicazione del prenditore perché in tal caso l’assegno è al portatore (cosa vietata se
l’assegno supera 12.500 euro). Sono invece requisiti di regolarità, la cui mancanza non comporta né
l’invalidità del titolo né l’invalidità della obbligazione del traente, ma solo sanzioni amministrative
pecuniarie: a) l’esistenza presso la banca trattaria di fondi disponibili per somma pari all’assegno
emesso (in mancanza si parla di assegno a vuoto) b) l’esistenza di una convenzione espressa o tacita
(convenzione di assegni) che attribuisce al traente il diritto di disporre dei fondi disponibili mediante
assegni bancari (si parla in caso contrario di assegno non autorizzato). Semplice requisito di regolarità
è anche l’osservanza delle norme sul bollo in mancanza della quale l’assegno perde la qualità di titolo
esecutivo.
495) Caratteri comuni e caratteri differenziali con la tratta - L’assegno bancario è sottoposto allo
stesso regime della cambiale tratta per quanto riguarda la validità della sottoscrizione, la
responsabilità del traente e dei giranti, l’avallo, la circolazione, il pagamento, le azioni che spettano al
possessore e l’ammortamento. Tuttavia esistono le seguenti differenze : a) L’assegno non consente
accettazione da parte della banca, Non deve confondersi con l’accettazione il visto posto sull’assegno
dalla banca trattaria che non comporta obbligo di pagamento ma ha solo l’effetto di accertare
l’esistenza dei fondi ed impedirne il ritiro da parte del traente prima della scadenza del termine di
presentazione. B) la scadenza dell’assegno bancario è solo a vista c) L’assegno deve essere presentato
per il pagamento entro 8 giorni dalla data di emissione, se è pagabile nel comune dove è stato emesso e
entro 15 giorni se è pagabile in altro comune. L’omessa presentazione dell’assegno dei termini
comporta solo la perdita dell’azione di regresso contro i giranti e i loro avallanti ma non contro il
traente. La banca è quindi libera di pagare anche dopo la scadenza dei termini salvo che abbia ricevuto
dal traente l’ordine di non pagare. La revoca infatti è senza effetto durante il termine legale di
presentazione ma acquista efficacia dopo che questo è decorso. D) qualunque promessa di interessi
posta sull’assegno si considera non scritta E) l’azione cambiaria in caso di mancato pagamento da
parte del trattario è permessa al portatore solo come azione di regresso contro il traente, i giranti e i
loro avallanti. La disciplina dell’azione ricalca quella della cambiale ma con la differenza che la
presentazione del titolo alla banca nei termini di legge e la constatazione del rifiuto di pagare tramite
protesto sono necessarie solo per agire contro i giranti e i loro avallanti. Non sono invece necessarie
per esercitare l’azione di regresso contro il traente e i suoi avallanti F) mancando ogni obbligazione
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cambiaria da parte della banca e dovendo il pagamento attuarsi solo in base all’ordine del traente la
banca in sede di pagamento deve accertare non solo la legittimazione del possessore ma anche la
provenienza dell’ordine dal cliente e cioè l’autenticità della firma sulla base della firma depositata dal
traente (specimen) al momento dell’apertura del conto corrente. Tutti questi sono controlli necessari
perché la banca non versi in colpa grave nel pagamento e possa legittimamente addebitare al traente
l’importo dell’assegno pagato. Si tratta quindi di controlli che la banca deve eseguire con la diligenza
professionale dell’accorto banchiere per esonerarsi da responsabilità nei confronti del traente.
496) Clausola non trasferibile, di sbarramento, di accreditamento e di assegno turistico – La
circolazione dell’assegno bancario presenta maggiori rischi rispetto a quelli della circolazione
cambiaria e pertanto la legge consente l’adozione di particolari clausole che tendono ad escludere o
limitare i pericolo inerenti alla circolazione. Il mezzo più radicale è quello della apposizione della
clausola non trasferibile sull’assegno. Tale clausola toglie all’assegno il carattere di titolo di credito
impedendone la circolazione in quanto l’assegno con questa clausola è pagabile solo al prenditore e
non può essere da questo girato se non al banchiere per l’incasso. In caso di smarrimento o sottrazione
non è necessario ricorrere alla procedura di ammortamento ma basta la semplice denuncia. La
clausola “non all’ordine” ha invece effetto più limitato in quanto non consente la circolazione nelle
forme proprie di circolazione del titolo ma il titolo può essere trasferito con le forme e gli effetti propri
della cessione. Le altre seguenti clausole invece non intaccano la trasferibilità del titolo ma limitano la
legittimazione. Lo sbarramento consiste nell’apporre due rette parallele sulla parte anteriore
dell’assegno. La sbarratura può essere generale quando tra le sbarre non vi è indicazione o vi è la
parola banchiere o speciale quando tra le sbarre è scritto il nome di un determinato banchiere.
L’assegno sbarrato è pagabile dal trattario solo ai propri clienti e nel caso di sbarramento speciale solo
al banchiere indicato. Lo sbarramento offre una tutela limitata contro i rischi di furto o smarrimento
evitando che il pagamento sia effettuato a persona che non abbia già avuto rapporti con la banca
trattaria. L’assegno turistico è un assegno bancario che viene tratto da una banca su una propria filiale
estera. E’ di regola stilato in valuta estera e rilasciato al prenditore dietro contestuale versamento
dell’importo corrispondente. Chi si deve recare all’estero dispone perciò di un titolo agevolmente
negoziabile in quanto la copertura è sicura. Inoltre il pericolo di smarrimento e furto è attenuato.
Caratteristica dell’assegno turistico è infatti che il pagamento è subordinato alla presenza sul titolo di
una doppia firma conforme del prenditore. La prima firma è apposta al momento del rilascio del titolo
e la seconda al momento del pagamento e la banca trattaria o il giratario possono così agevolmente
controllare l’autenticità della seconda firma confrontandola con quella esistente sull’assegno. La
clausola di accreditamento comporta invece che l’assegno non può essere pagato in contanti ma chi
intende incassare l’importo deve versarlo sulla banca trattaria se ne è cliente al fine che venga
accreditato sul proprio conto.
497) Assegni vademecum e assegni a copertura garantita – La carta assegni - La circolazione
dell’assegno bancario è basata fondamentalmente sulla fiducia nella persona del traente in quanto, in
mancanza di una obbligazione cambiaria del trattario, il pagamento potrà essere effettuato solo se alla
presentazione ci saranno i fondi disponibili. Per tale motivo l’accettazione di assegni avviene in genere
nei rapporti tra persone conosciute. Per aumentare la diffusione degli assegni come strumento di
pagamento sono stati introdotti gli assegni vademecum e gli assegni a copertura garantita. Tali
strumenti danno al possessore la sicurezza dell’esistenza presso la banca dei fondi disponibili per il
pagamento in quanto il traente ha provveduto a vincolare presso la banca le somme necessarie per la
copertura degli assegni a copertura garantita. Esiste poi un altro meccanismo quello della carta
assegni con la quale la banca assicura al primo prenditore il pagamento dell’assegno purchè sia
presentato nei termini prescritti dalla legge per il protesto. La funzione della carta assegni è simile a
quella degli assegni a copertura garantita ma nei secondi l’obbligazione della banca deriva dalla
dichiarazione di esistenza dei fondi, che vengono bloccati al momento del rilascio del libretto di
assegni e quindi sussiste nei confronti di tutti i successivi portatori e giratari dell’assegno. Nella carta
assegni invece l’obbligazione della banca deriva dal rilascio della carta e viene assunta soltanto nei
confronti del prenditore. In tal modo la banca assume l’obbligo di pagare anche se nel conto non vi
176
sono fondi disponibili fornendo essa stessa le disponibilità necessarie per il pagamento ma tale
garanzia non si estende nei confronti dei terzi possessori.
498) Sanzioni amministrative, pecuniarie ed accessorie - La disciplina sanzionatoria in materia di
assegni bancari e postali è stata totalmente modificata sostituendo alle originarie sanzioni penali
sanzioni amministrative. Per quanto riguarda l’emissione di assegni senza autorizzazione o senza
provvista la legge prevede una sanzione amministrativa pecuniaria e una serie di sanzioni
amministrative accessorie quali il divieto di emettere assegni per un certo periodo o l’interdizione per
un certo periodo dall’esercizio di una attività professionale o imprenditoriale o il divieto di contrattare
con la pa. L’inosservanza di tali divieti assume rilevanza penale ed è punita con la reclusione. Inoltre
per l’emissione di assegni senza provvista è previsto anche il pagamento di una penale a favore del
prenditore o giratario pari al 10 per cento della somma dovuta e non pagata.
B) L’ASSEGNO CIRCOLARE
499) L’assegno circolare: struttura e presupposti – L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine,
emesso da un istituto autorizzato che contiene la promessa di pagare a vista la somma indicata sul
titolo. Elementi essenziali del titolo sono la denominazione di assegno circolare inserita nel titolo, la
promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata, l’indicazione del prenditore,
l’indicazione della data e luogo di emissione e la sottoscrizione dell’istituto emittente. A differenza
dall’assegno bancario che ha la struttura di una tratta e non comporta obbligazione cambiaria della
banca l’assegno circolare ha la struttura del pagherò e comporta obbligazione cambiaria della banca.
Per tale motivo l’assegno circolare è un mezzo di pagamento più sicuro dell’assegno bancario in
quanto chi lo riceve in pagamento può essere sicuro sul fatto che esso sarà pagato dalla banca
emittente che lo ha emesso. A maggiore garanzia è anche stabilito che gli istituti autorizzati ad
emettere assegni circolari devono depositare presso la banca d’Italia una cauzione in titoli a garanzia
degli assegni stessi. Inoltre poiché l’assegno è emesso a seguito di costituzione della relativa provvista
da parte di chi ne fa richiesta per utilizzarlo come strumento di pagamento, la legge nel caso di assegno
intestato a terzi emesso con la clausola non trasferibile riconosce al richiedente il potere di chiedere il
ritiro della provvista previa restituzione del titolo. Si applicano all’assegno circolare le disposizioni
poste per la cambiale con la differenza che il termine legale di presentazione è fissato in trenta giorni
dall’emissione (la mancata presentazione in questo termine comporta decadenza dall’azione di
regresso) mentre l’azione nei confronti dell’emittente si prescrive nel termine di tre anni dalla
emissione.
C) I TITOLI SPECIALI
500) I titoli speciali della Banca d’Italia - la legge sugli assegni regola anche tre titoli speciali della
Banca d’Italia : il vaglia cambiario, l’assegno bancario libero e l’assegno bancario piazzato. Il vaglia
cambiario è un tipo particolare di assegno circolare che non può essere emesso se non contro
versamento nelle casse dell’istituto del corrispondente importo . A garanzia dei vaglia cambiari emessi
la Banca d’Italia deve costituire apposita riserva in oro o divise estere convertibili in oro. L’assegno
bancario libero è un titolo all’ordine emesso per conto della banca d’Italia contro versamento del
relativo importo da corrispondenti autorizzati a seguito di versamento di idonea cauzione. Anche per
questo titolo deve essere costituita la particolare garanzia prevista per il vaglia cambiario. La funzione
dell’assegno bancario libero come quella del vaglia cambiario è quello di consentire l’emissione di titoli
della banca d’italia in quelle località dove la banca d’Italia non ha filiali e dove quindi essa si avvale
dell’organizzazione bancaria altrui e autorizza, dietro versamento di una cauzione, il corrispondente
ad emettere assegni sui moduli filigranati da essa stessa consegnati. Concretamente l’assegno
bancario libero ha quindi la struttura del vaglia cambiario ma la legge parlando della banca d’Italia
come trattario e del corrispondente come traente richiama la disciplina dell’assegno bancario. Proprio
per questo si è sostenuto che l’assegno bancario libero non comporta una obbligazione cambiaria della
banca d’Italia e si è assimilato questo titolo ad un assegno bancario a copertura garantita dando alla
cauzione la funzione di garanzia a favore del portatore dell’assegno. In realtà ciò non è accettabile in
177
quanto la diversità dell’assegno bancario libero con il vaglia cambiario sta solo nelle modalità di
emissione in quanto nel primo è la stessa Banca d’Italia ad emettere l’assegno, nel secondo il
corrispondente autorizzato. Tuttavia in entrambi i casi vi è obbligazione cambiaria della banca d’Italia
come è dimostrato dal fatto che per entrambi i titoli è necessaria la costituzione di una garanzia. Il
fatto che il corrispondente agisca in nome proprio comporta come conseguenza che anch’egli sia
obbligato cambiario ma non elimina l’obbligazione cambiaria della banca d’italia. Diversa è invece la
natura dell’assegno bancario piazzato in quanto questo è un titolo che ha la struttura dell’assegno
bancario. E’ un titolo all’ordine emesso per conto della banca di Italia da corrispondenti autorizzati e
pagabile presso una sola filiale dell’istituto di emissione. A differenza dall’assegno bancario libero non
è richiesto il versamento preventivo del controvalore.
501) I titoli speciali del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia - La legge sugli assegni contiene inoltre la
disciplina di alcuni titoli rilasciati dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia. Anche questi istituti
possono emettere vaglia cambiari e assegni bancari liberi. Il vaglia cambiario corrisponde a quello
della Banca d’Italia differenziandosene solo perché non è prevista la costituzione di una garanzia né di
una cauzione e perché la sua emissione è consentita solo se vi sono somme disponibili da parte del
prenditore come avviene per gli assegni circolari. L’assegno bancario libero è del tutto conforme a
quello della Banca d’Italia e quindi disciplinato dalla stessa disciplina. (anche qui si deve affermare
l’esistenza di una obbligazione cambiaria di questi istituti). Documento tipico del Banco di Napoli e del
Banco di Sicilia è invece la fede di credito o polizzino. Essa è un vaglia cambiario di cui condivide la
disciplina generale con la particolarità che la girata può contenere l’indicazione della causale per la
quale viene fatta e la indicazione delle condizioni alle quali il pagamento deve essere subordinato. In
questo caso la girata deve essere sottoscritta dal girante e la firma autenticata da un notaio. In questo
caso quindi la promessa della banca non è incondizionata ma sottoposta ad una condizione che
sospende il pagamento finchè il possessore non dimostri il verificarsi di essa..
SEZIONE III I TITOLI NON CAMBIARI
1)
I titoli obbligazionari
502) Fondamento e caratteri - I titoli obbligazionari sono titoli di credito emessi da enti privati o enti
pubblici per il collocamento sul mercato di prestiti a lunga scadenza, costituiscono frazioni di un unico
prestito, emesso sulla base di un solo programma, sono assistiti da garanzie collettive e rimborsati
sulla base di un piano di ammortamento stabilito per l’intero prestito. I titoli obbligazionari sono
ricompresi nei titoli di credito e quindi soggetti alla relativa disciplina per quanto riguarda
l’incorporazione del diritto nel documento e la funzione di legittimazione che permette l’esercizio del
diritto incorporato nel titolo a prescindere dalla prova sulla proprietà. Tuttavia pur costituendo una
categoria unitaria vi sono differenze tra le varie categorie per quanto riguarda la posizione di
autonomia attribuita all’obbligazionista. Infatti per quanto riguarda i prestiti obbligazionari pubblici o
emessi da banche la posizione dei singoli obbligazionisti è totalmente autonoma mentre per quanto
riguarda i prestiti emessi dalle società per azioni o dalle società in accomandita per azioni l’autonomia
del singolo obbligazionista viene ad essere limitata dalla presenza di posizioni soggettive di gruppo
che vengono realizzate attraverso organi comuni come l’assemblea degli obbligazionisti e il
rappresentante comune. Pertanto i titoli obbligazionari emessi dalle società per azioni sono non solo
titoli di massa ma anche veri e propri titoli di partecipazione. L’emissione di titoli obbligazionari è
possibile per legge solo per le società per azioni (le società a responsabilità limitata possono emettere
solo titoli di debito), per stato, province e comuni e per le banche. I titoli obbligazionari possono
essere rimborsati a scadenza fissa o su un piano di ammortamento, possono essere a reddito fisso o
variabile, possono essere assistiti da garanzie reali o personali, possono essere emessi in moneta dello
stato o moneta estera. I titoli obbligazionari possono essere al portatore o nominativi ma mai
all’ordine.
178
503) Le obbligazioni bancarie – La capacità di emettere obbligazioni rientrando nella funzione della
raccolta del risparmio tra il pubblico è tipica delle banche e quindi possiamo dire che la possibilità di
emettere obbligazioni da parte delle società non bancarie e degli enti pubblici deve considerarsi come
una eccezione. La relativa disciplina è contenuta nel testo unico bancario.
2) I titoli rappresentativi di merci
504) Nozioni e categorie - I titoli rappresentativi di merci sono quegli strumenti che, riguardando
merci determinate e specificate, producono oltre ai normali effetti obbligatori (che consistono nel
diritto di esigere la prestazione alla scadenza) anche effetti reali in quanto secondo la legge
attribuiscono il diritto alla consegna, il possesso e il potere di disporre delle merci mediante
trasferimento del titolo (non attribuiscono però la proprietà delle merci). Sono titoli rappresentativi i
titoli di trasporto e i titoli di deposito quando ad essi sia attribuita la funzione e il carattere di titoli di
credito e non quando per volontà delle parti la loro funzione si limita al campo della prova.
505) I titoli di trasporto - Nei trasporti terrestri sono titoli rappresentativi di merci il duplicato della
lettera di vettura e la ricevuta di carico. Il mittente se il vettore lo richiede deve rilasciare un duplicato
della lettera di vettura o una ricevuta di carico. Tali documenti se vengono emessi con la clausola
all’ordine costituiscono titoli di credito e in questo caso solo chi è legittimato dal titolo può esercitare i
diritti nascenti dal contratto di trasporto. Il trasferimento di tali diritti avviene mediante girata. Nei
trasporti marittimi il vettore una volta assunto il trasporto deve rilasciare al caricatore un ordinativo
di imbarco delle merci da trasportare o una polizza ricevuto per l’imbarco che fa prova dell’avvenuta
consegna della merce al vettore ma non dell’avvenuto imbarco di essa sulla nave. Dopo l’imbarco il
comandante è tenuto a rilasciare al caricatore una ricevuta di bordo per le merci imbarcate. Il vettore
inoltre, qualora non vi abbia provveduto il comandante deve rilasciare una polizza di carico che fa
prova dell’avvenuta caricazione delle merci sulla nave. Il vettore, prima di emettere la polizza deve
assicurarsi che le merci indicate siano conformi a quelle imbarcate. Sono inoltre titoli rappresentativi
gli ordini di consegna propri con cui il vettore ordina al comandante della nave o all’impresa di sbarco
di consegnare al possessore del titolo le singole partite o frazioni d i merci in esso specificate e questo
rende più facili i commerci facilitando la divisione e la distribuzione del carico. Non sono invece titoli
di credito gli ordini di consegna impropri che sono invece semplici titoli di legittimazione perché si
limitano ad indicare una persona alla quale il vettore può consegnare la merce. Questa indicazione è
però sempre revocabile e il possessore della polizza non perde mai la disponibilità delle merci. Nei
trasporti aerei costituiva titolo di credito la lettera di trasporto aereo la cui disciplina però a seguito
della accresciuta rapidità con cui i trasporti aerei si attuano è stata abrogata.
506) I titoli di deposito - Nei contratti di deposito i tioli eventualmente emessi dal depositario hanno
di solito funzione probatoria e solo la fede di deposito e la nota di pegno emesse dai magazzini generali
hanno efficacia rappresentativa di e di titolo di credito. La fede di deposito è un titolo all’ordine,
emesso dal magazzino generale su richiesta del depositante in cui sono indicate le merci depositate
con tutti gli estremi atti ad individuarle, il luogo del deposito, il nome del depositante ed è specificato
se per le merci siano stati pagati i diritti doganali e se essa sia stata assicurata. La nota di pegno è un
documento allegato alla fede di deposito che consente di costituire pegno sulle merci depositate e
serve ad ottenere, per il possessore, eventuali anticipazioni sulle merci. La fede di deposito e la nota di
pegno possono circolare sia congiuntamente che separatamente e infatti vengono separate quando
sulle merci depositate si costituisce un diritto di pegno.
CAPITOLO IV IL MERCATO FINANZIARIO
507) Nozioni generali - La nozione di valore mobiliare è stata in passato incentrata sul concetto dei
titoli di massa. A seguito di una lunga evoluzione legislativa influenzata anche da direttive comunitarie
è stata individuata una nozione diversa dove il valore mobiliare viene ad indicare ogni valore in grado
di essere negoziato sul mercato dei capitali.
179
508) Strumenti finanziari e prodotti finanziari - Nella nuova disciplina accanto al concetto di valore
mobiliare come sopra descritto sono stati posti i concetti più ampi di strumento finanziario e di
prodotto finanziario. Ne risulta un sistema che potrebbe definirsi a cerchi concentrici dove i valori
mobiliari sono contenuti negli strumenti finanziari che a loro volta sono contenuti nei prodotti
finanziari. In tal modo i valori mobiliari in quanto negoziati sul mercato dei capitali comprendono le
azioni e obbligazioni delle società oltre ai titoli che consentono di acquistarli o venderli e quelli che con
riferimento ad essi prevedono un regolamento in contanti. Gli strumenti finanziari invece
comprendono oltre ai valori mobiliari, gli strumenti del mercato monetario (buoni del tesoro,
certificati di deposito) e i cosiddetti strumenti finanziari derivati. La categoria degli strumenti
finanziari è una categoria parzialmente chiusa in quanto compete al Miinistro dell’Economia e delle
Finanze individuare nuove categorie di strumenti finanziari. Una categoria invece aperta è quella dei
prodotti finanziari la quale oltre agli strumenti finanziari (e quindi anche i valori mobiliari)
comprende ogni altra forma di investimento di natura finanziaria. E’ chiaro che, comprendendo i
prodotti finanziari ogni altra eventuale forma di investimento di natura finanziaria a proposito di essa
si pone una normativa volta a tutelare il risparmiatore nei confronti di tutte le operazioni di appello al
risparmio in qualunque forma esse si attuino.
509) L’appello al pubblico risparmio - Nel concetto di prodotto finanziario viene a ricomprendersi
il fenomeno dell’appello al pubblico risparmio. Tale fenomeno viene disciplinato dal testo unico
bancario e consiste in ogni operazione di massa, gestita da un promotore o da un terzo, che viene
offerta al pubblico degli investitori con la prospettazione di un profitto e che ha caratteristiche tali da
escludere che gli investitori possano gestirla o controllarla in modo determinante. Secondo il testo
unico bancario l’appello al pubblico risparmio può concretizzarsi in un appello diretto all’investimento
(e quindi avente per oggetto la vendita o sottoscrizione di prodotti finanziari) o al disinvestimento (e
quindi avente per oggetto l’acquisto o lo scambio di prodotti finanziari). La disciplina prevista dal
testo unico bancario si applica solo in relazione ad operazioni che raggiungano determinati limiti
relativamente al numero dei soggetti cui l’offerta è diretta e al suo ammontare complessivo.
510) Continua – trasparenza e controlli - L’appello al pubblico comporta specifiche esigenze di
tutela dei risparmiatori, destinatari della sollecitazione stessa. E’ ovvio che la normativa punta alla
tutela del risparmiatore e non di qualsiasi investitore tanto è vero che la disciplina prevista dal testo
unico bancario non è applicabile nell’ipotesi in cui destinatari dell’appello al pubblico siano
esclusivamente investitori qualificati. E’ altrettanto ovvio che la disciplina ha l’obiettivo di dare al
risparmiatore una effettiva consapevolezza circa l’operazione che si accinge a compiere e non in linea
di principio una valutazione della validità economica dell’operazione stessa. Ciò è dimostrato dal fatto
che è richiesta un diverso grado di consapevolezza a seconda se l’operazione riguardi un investimento
e quindi la vendita di prodotti finanziari o un disinvestimento e quindi il loro acquisto o scambio. La
disciplina posta dal testo unico bancario impone modalità volte ad assicurare la necessaria
trasparenza dell’operazione affidando un ruolo preminente alla Consob cui sono attribuiti i poteri
necessari per assicurare la tutela degli investitori e l’efficienza e la trasparenza del mercato. L’offerta
deve essere preceduta da una comunicazione alla Consob cui deve essere allegato un documento
destinato alla pubblicazione: a) detto prospetto informativo nel caso di offerta al pubblico di vendita o
sottoscrizione- In tale prospetto devono essere contenute le informazioni necessarie affinchè gli
investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e
finanziaria dell’emittente e sulle prospettive di rendimento b) detto documento di offerta nel caso di
offerta pubblica di acquisto e scambio. E’ chiaro che nel primo caso sono richieste informazioni che nel
secondo caso non sono necessarie in quanto essendo l’appello di acquisto rivolto agli attuali titolari dei
prodotti finanziari oggetto dell’appello essi dovrebbero già essere informati delle loro caratteristiche.
La Consob oltre a stabilire con proprio regolamento il contenuto e le modalità di pubblicazione di tale
documento esercita anche una attività di controllo tesa a verificare la completezza e correttezza
dell’informazione e le è attribuito il potere di sospendere o vietare le operazioni non coerenti con la
180
disciplina. Inoltre dalla data di pubblicazione del documento fino alla conclusione della operazione la
Consob può richiedere informazioni e notizie agli emittenti, richiedendo che siano rese pubblici notizie
e documenti necessari per l’informazione del pubblico e compiere ispezioni direttamente presso la
sede degli emittenti.
511) I servizi di investimento - Per la nozione di strumenti finanziari è fondamentale la disciplina
dei servizi di investimento. Il legislatore distingue a tale proposito : a) i servizi di investimento che
hanno per oggetto la negoziazione,, il collocamento o sottoscrizione di strumenti finanziari b) i servizi
accessori che comprendono la custodia e amministrazione degli strumenti finanziari, la locazione di
cassette di sicurezza, la concessione agli investitori di finanziamenti per effettuare operazioni che
hanno per oggetto strumenti finanziari. Il testo unico finanziario pone a proposito dei servizi di
investimento regole volte da un lato ad individuare i soggetti abilitati a svolgere tali attività e dall’altro
ad individuare i criteri che devono presiedere all’esercizio degli stessi e al loro svolgimento. Per
quanto riguarda il primo punto il testo unico finanziario riserva l’esercizio dei servizi di investimento
alle Sim (società di intermediazione mobiliare) oltre che naturalmente alle banche. Le sim sono
appunto società autorizzate dalla Consob a svolgere servizi di investimento che possono prestare
anche i servizi accessori. L’autorizzazione è subordinata ad una serie di condizioni quali l’adozione
della forma di società per azioni, il possesso da parte dei dirigenti e dei titolari delle partecipazioni dei
requisiti richiesti per gli intermediari, l'iscrizione in un apposito albo tenuto dalla Consob e l’adesione
ad un sistema di indennizzi a tutela degli investitori riconosciuto dal Ministero dell’economia.
512) Continua – Lo svolgimento dell’attività - Dal secondo punto di vista il testo unico finanziario
pone criteri generali cui devono uniformare il loro comportamento i soggetti che prestano servizi di
investimento. In particolare il testo unico finanziario impone il rispetto dei canoni di diligenza,
correttezza e trasparenza non solo nell’interesse dei clienti ma anche per l’integrità dei mercati.
Citiamo a tale proposito l’obbligo di dotarsi di una organizzazione idonea ad assicurare l’efficiente
svolgimento dei servizi, l’obbligo di adottare misure idonee ad evitare conflitti di interesse. Inoltre nei
giudizi di risarcimento danni causati al cliente nello svolgimento dei sevizi spetta ai soggetti abilitati
l’onere della prova di aver agito con la diligenza richiesta. Il testo unico finanziario detta inoltre regole
precise circa il regime della separazione patrimoniale e dei contratti relativi ai servizi di investimento
e ai servizi accessori. Per quanto riguarda il primo punto il testo unico finanziario stabilisce che gli
strumenti finanziari e le somme pertinenti al singolo cliente debbono costituire un patrimonio distinto
a tutti gli effetti sia da quello dell’intermediario che da quello degli altri clienti e non possono essere
utilizzati dall’intermediario se non nell’interesse del cliente di cui sono di pertinenza. Per quanto
riguarda i contratti invece è richiesta a pena di nullità la forma scritta (la nullità può comunque essere
fatta valere dal solo cliente). Inoltre la legge disciplina in modo particolare l’ipotesi in cui l’attività di
prestazione di servizi di investimento sia eseguita direttamente nel domicilio degli investitori e
comunque in luogo diverso dalla sede dell’emittente. A tale proposito in primo luogo la legge richiede
che per tale attività l’emittente debba avvalersi esclusivamente di promotori di servizi finanziari
iscritti in apposito albo nazionale tenuto dalla Consob. Inoltre l’efficacia dei contratti di collocamento
di strumenti finanziari è in tal caso sospesa per 7 giorni. Entro tale termine l’investitore può
comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivi da versare al promotore finanziario.
Analoga disciplina è posta dal codice delle assicurazioni private per l’attività di intermediazione
assicurativa.
513) Continua . La vigilanza – La prestazione di servizi di investimento è sottoposta ad un
complesso sistema di controlli in base ad una ripartizione di competenze tra Consob e Banca d’Italia,
dove la prima è competente per quanto riguarda la correttezza e trasparenza dei comportamenti e la
seconda per il contenimento del rischio e la sana e prudente gestione patrimoniale. In base a ciò sia
Banca d’Italia che Consob hanno forti poteri di intervento ed ispettivi nonché il potere di dettare con
regolamento la disciplina relativa allo svolgimento dell’attività. In via d’urgenza inoltre la Consob può
disporre la sospensione degli organi amministrativi della società in caso di gravi irregolarità
nell’amministrazione o di gravi violazioni dei regolamenti in materia. Lo scioglimento definitivo degli
181
organi amministrativi invece può essere deciso solo dal Ministero dell’Economia in caso di gravi
irregolarità, o gravi perdite nel patrimonio e in tal caso si dà luogo ala procedura di amministrazione
straordinaria i cui adempimenti sono di competenza della Banca d’Italia, Se le perdite o le irregolarità
sono di eccezionale gravità si dà luogo invece alla liquidazione coatta amministrativa e anche in tal
caso la direzione della procedura spetta alla Banca d’Italia. Sono inoltre richiesti per gli
amministratori, per coloro che ricoprono funzioni di controllo e per coloro che detengono
partecipazioni nella società i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti dal
Ministero dell’Economia, la mancanza dei quali comporta la decadenza dalla carica. Sono previste
infine comunicazioni preventive alla Banca d’Italia e successive alla Consob in caso di acquisto o
vendita di partecipazioni qualificate in tali società.
3)
I fondi comuni di investimento
514) Nozioni e categorie - Accanto alla prestazione dei servizi di investimento il testo unico
finanziario disciplina anche i fondi comuni di investimento. La prestazione di tale servizio che a
differenza di quello dei servizi di investimento non riguarda solo strumenti finanziari (in quanto può
avere per oggetto anche crediti o beni mobili o immobili) è attribuita solo alle SICAV e alle società di
gestione di risparmio (SGR) che possono promuovere, organizzare e gestire il patrimonio raccolto e
svolgere anche i relativi servizi accessori. Il fondo comune di investimento è definito come il
patrimonio autonomo, suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti e raccolto
mediante una o più emissione di quote. La disciplina di tali fondi è fissata dal testo unico finanziario
che distingue tra fondi aperti e chiusi, dove nei primi i partecipanti hanno diritto di chiedere in ogni
tempo il rimborso delle quote mentre nei secondi il diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto
solo a scadenze predeterminate. I fondi mobiliari possono assumere la forma sia di fondo aperto che
chiuso mentre quelli immobiliari (e quindi investiti in crediti o altri beni) possono assumere solo la
forma di fondo chiuso. Il testo unico finanziario detta inoltre una disciplina che prevede una
distinzione tra la società di gestione e il fondo. Il fondo infatti è un patrimonio autonomo, distinto sia
dal patrimonio della società di gestione che dal patrimonio dei partecipanti. Da ciò deriva che il fondo
è insensibile alle azioni sia dei creditori della società di gestione che dei singoli partecipanti e i
creditori di questi ultimi possono agire solo sulla rispettiva quota di partecipazione. Le società di
gestione di risparmio devono assumer e la forma di società per azioni e devono avere apposita
autorizzazione da parte della Banca d’Italia.
515) Disciplina dei fondi comuni – La società di gestione del risparmio (che può essere diversa da
quella che ha istituito il fondo) risponde verso i partecipanti secondo le regole del mandato e quindi è
richiesto l’obbligo di diligenza professionale. Deve essere emanato un regolamento del fondo secondo
le regole generali fissate dalla Banca d’italia che stabilisce le modalità di partecipazione, il rimborso
delle quote, le modalità di liquidazione del fondo e il tipo di beni (strumenti finanziari o altri valori) in
cui è possibile investire il patrimonio del fondo.
516) La banca depositaria - Un ruolo di particolare rilievo è attribuito alla banca depositaria. Essa
ha il compito di custodire il patrimonio del fondo ma anche quello di controllare la legittimità delle
operazioni relative alla sua gestione. Inoltre essa ha anche un compito esecutivo in quanto esegue le
istruzioni della società di gestione del risparmio fermo restando che non deve trattarsi di istruzioni
illegittime dato il dovere di controllo da parte della banca depositaria stessa. Essa si pone quindi su un
piano di sostanziale autonomia tanto è vero che il testo unico finanziario stabilisce che la banca
depositaria è direttamente responsabile sia nei confronti della società di gestione che nei confronti dei
partecipanti per i danni derivanti dall’inadempimento dei propri obblighi.
517) I fondi esteri . I fondi pensione – Il testo unico finanziario regola anche l’operatità all’estero di
società di gestione italiane e l’attività in Italia delle società di gestione estere. Una posizione
particolare è riservata alle società di gestione armonizzate che sono quelle che hanno la sede legale in
182
un altro stato appartenente alla comunità europea e sono state autorizzate sulla base di una
comunicazione preventiva alla Banca d’italia e alla Consob a stabilire succursali in Italia e a svolgervi
attività. Per l’offerta in Italia di quote di fondi di investimento non armonizzati occorre invece una
autorizzazione della banca d’Italia che deve verificarne la compatibilità con la disciplina fissata per gli
organismi italiani. Il legislatore ha anche disciplinato i fondi pensione fissando una disciplina simile a
quella prevista per i fondi comuni di investimento.
3)Le società di investimento a capitale variabile
518) Natura e funzione - Il testo unico finanziario affida il servizio di gestione collettiva di risparmio
alle società di gestione di risparmio e alle Sicav (società di investimento a capitale variabile). La
differenza fondamentale dal punto di vista dell’investitore è che nel primo caso egli instaura con la
società di gestione un rapporto contrattuale in base al quale gli compete un diritto al rimborso della
quota mentre nel secondo caso egli diventa socio della società di investimento e quindi gli spetta il
diritto di voto e il diritto di recesso. Questa diversità di fondo non porta però ad una sostanziale
differenza della disciplina in quanto anche per le Sicav è prevista l’autorizzazione ministeriale, e
l’esigenza di una banca depositaria. Inoltre nel caso di Sicav a più comparti ogni comparto costituisce
patrimonio autonomo distinto a tutti gli effetti da quello degli altri comparti.
519)La variabilità del capitale – La Sicav è caratterizzata dalla variabilità del capitale sociale che non è
conseguenza solo (come per le società cooperative) della variabilità del numero dei soci (possibilità di
ingresso di nuovi soci e di recesso di vecchi) ma anche di una sostanziale coincidenza tra capitale
sociale e patrimonio netto della società. Tale coincidenza che è frutto di una scelta politica volta a
rendere immediatamente conoscibile la situazione patrimoniale della società, comporta la totale
disapplicazione della disciplina di diritto comune relativa alle riserve, alla riduzione e all’aumento di
capitale.
520)I soci investitori e l’assemblea - L’eliminazione della funzione del capitale sociale nell’ambito del
patrimonio netto spiega perché ai soci della Sicav spetta in ogni momento il diritto al recesso e alla
liquidazione della quota, il che evidentemente riduce la differenza tra la loro posizione e quella dei
creditori sociali. Le azioni della Sicav possono essere nominative o al portatore Nel primo caso esse
attribuiscono il voto con riferimento alla porzione di patrimonio corrispondente mentre nel secondo
caso attribuiscono al socio un solo voto indipendentemente dal numero di azioni possedute. Pertanto
a differenza dalle società di gestione l’investitore può anche, esercitando i poteri di socio, influire sulla
gestione del suo investimento. Il legislatore, suddividendo le azioni in nominative e al portatore,
quindi presuppone che possa esservi un gruppo di soci interessati solo all’investimento del risparmio
e un gruppo di soci interessati anche alla gestione della società. Per tale motivo il legislatore ha
cercato anche di stabilire strumenti tecnici che agevolino la partecipazione all’assemblea prevedendo
la possibilità di un voto di corrispondenza e eliminando i quorum costitutivi e deliberativi
dell’assemblea (in seconda convocazione l’assemblea può validamente deliberare qualunque sia la
quota di capitale sociale intervenuta). Norme particolari sono poi dettate per le modificazioni dello
statuto delle Sicav (che devono essere approvate con meccanismo del silenzio assenso dalla Banca
d’Italia), per lo scioglimento e liquidazione, per le operazioni di fusione e scissione che sono sottoposte
alla preventiva autorizzazione della Banca d’Italia.. Inoltre per le Sicav è fissato un divieto di
trasformazione in società diverse da quelle di gestione del risparmio.
4) Mercati regolamentati e contratti di borsa
521) I mercati regolamentati – Come abbiamo osservato gli strumenti finanziari assumono rilievo non
solo ai fini dell’investimento del risparmio ma anche con riferimento al mercato. Per tale motivo il
legislatore si è preoccupato di istituire mercati finanziari regolamentati al fine di organizzare mercati
efficienti per lo scambio degli strumenti finanziari e che offrono adeguate garanzie a tutela sia degli
emittenti che dei risparmiatori. Il concetto di mercato regolamentato è un concetto più ampio di
183
quello di borsa in quanto comprende accanto alla borsa valori, un mercato ristretto (per i titoli che non
hanno ancora le caratteristiche per essere negoziati sul mercato ufficiale di borsa), un mercato degli
strumenti derivati, un nuovo mercato (per le azioni di nuove emittenti con alto potenziale di sviluppo).
L’attività di organizzazione e gestione dei mercati regolamentati è affidata dal legislatore alle società di
gestione del mercato, società per azioni alle quali si applicano le regole e le forme di vigilanza pubblica
richieste per le società di investimento. Le società di gestione del mercato adottano un apposito
regolamento per disciplinare la propria organizzazione e gestione e tra le loro funzioni è fondamentale
quella di agevolare la formazione dei prezzi rendendo più semplici le quotazioni, Il regolamento del
mercato deve essere conforme alla disciplina comunitaria e deve essere idoneo ad assicurare la
trasparenza del mercato stesso, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori .
A tale proposito le società di gestione oltre ad avere i requisiti fissati dalla legge hanno bisogno
dell’autorizzazione della Consob per esercitare la loro attività e per eventuali modificazioni del loro
regolamento. Inoltre la Consob esercita poteri di vigilanza sull’operato delle società di gestione e in
caso di gravi irregolarità può disporre, per assicurare la continuità delle negoziazioni, il trasferimento
temporaneo della gestione del mercato ad altra società che vi consenta. Il sistema previsto dal
legislatore consente una pluralità di mercati regolamentati e anche una concorrenza tra essi per
migliorare la loro efficienza.
522) I contratti di borsa: nozione e categorie - I contratti di borsa possono essere : a mercato fermo,
quando i contraenti si obbligano ad eseguirli secondo il contenuto stabilito al momento della
conclusione e a mercato libero (o a premio) quando un contraente versa all’altro una somma
acquistando il diritto di variare il contenuto del contratto o di sciogliersi da esso. Entrambi i tipi di
contratto possono poi essere a contante (o a pronti) quando vanno eseguiti entro il termine massimo
di dieci giorni dalla stipulazione e a termine quando prevedono una esecuzione differita rispetto al
momento della stipulazione del contratto. Funzione del contratto a termine non è tanto quella di
lasciare alle parti il tempo necessario per la esecuzione della prestazione quanto quella di consentire
alle parti di beneficiare delle diverse quotazioni che possono aversi alla data del contratto e a quella
della sua esecuzione e quindi di speculare tra i due prezzi. Ciò determina anche un particolare
contratto di mercato fermo a termine, detto contratto differenziale, con il quale le parti non si
obbligano di trasferire strumenti finanziari ma solo a liquidare la differenza tra il prezzo pattuito e il
prezzo corrente al momento della scadenza. E’ evidente che il contratto differenziale è un contratto di
pura speculazione e presenta evidenti analogie con il gioco e la scommessa.. Per tale motivo,data
l’influenza che la speculazione può esercitare sul mercato, il legislatore ha previsto l’imposizione del
deposito, all’atto della conclusione del contratto, di una parte dei titoli venduti e di una parte del
prezzo. I contratti a mercato libero o a premio sono invece quelli dove uno dei contraenti mediante il
pagamento di un premio di riserva la facoltà di recedere dal contratto o di variarne il contenuto. Nel
giorno della risposta premi il compratore del premio deve dichiarare se intende o meno eseguire il
contratto e in caso affermativo deve precisare la quantità di titoli che intende ritirare o consegnare
secondo il tipo di contratto a premio stipulato. Altri contratti particolari sono i Financial Futures e le
options. Il contratto Futures è un contratto con il quale una parte si impegna a vendere all’altra, ad
una data predefinitia, una determinata quantità di uno strumento finanziario. L’altra parte ovviamente
si impegna a d acquistare. Ciò che differenzia il contratto futures dai contratti a termine è la specifica
determinazione del tipo di strumento oggetto della negoziazione, della sua quantità e di tutte le
modalità di negoziazione. L’options è un contratto che attribuisce all’acquirente il diritto e non
l’obbligo di comprare (opzione call) o di vendere (opzione put) uno specifico strumento finanziario ad
un determinato prezzo. Il diritto è conferito dal venditore al compratore previa corresponsione di un
premio detto prezzo dell’opzione.
523) I contratti a termine : i diritti e gli oneri inerenti ai titoli oggetto del contratto . La legge si
preoccupa di regolare la sorte dei diritti e degli obblighi derivanti dagli strumenti finanziari venduti
nel periodo intercorrente tra la conclusione e l’esecuzione del contratto. In tema di vendita a termine
di titoli di credito la legge stabilisce che i diritti e gli obblighi spettano al compratore sin dal momento
della conclusione del contratto ad eccezione del diritto di voto inerente ai titoli azionari venduti il
184
quale spetta invece al venditore fino al momento della consegna. Pertanto spettano al compratore gli
interessi e dividendi esigibili dopo la conclusione del contratto e gravano sul compratore i versamenti
sui titoli non liberati che devono essere eseguiti nel periodo tra la conclusione del contratto e la
consegna dei titoli.
524) continua – l’esecuzione coattiva in borsa - Nei contratti di borsa il termine è essenziale e il
mancato adempimento
il diritto di avvalersi (oltre che dell’esecuzione coattiva di cui al codice civile) anche della liquidazione
coattiva di borsa (che rappresenta un mezzo di tutela più rapido ed efficace). La liquidazione coattiva
avviene ad opera di commissari liquidatori nominati dalla Consob i quali, dopo aver proceduto alla
liquidazione dei contratti, rilasciano per la differenza che rimane scoperta un certificato di credito che
ha valore di titolo esecutivo. (cosa che differenzia la liquidazione coattiva di borsa dalla esecuzione
coattiva di cui al codice civile).
525) continua – il contratto di riporto - Con il contratto di riporto una persona (riportato) trasferisce
in proprietà ad un’altra persona (riportatore) titoli di credito di una determinata specie per un prezzo
determinato e il riportatore assume l’obbligo di trasferire al riportato, al termine stabilito,la proprietà
di altrettanti titoli della stessa specie contro il rimborso del prezzo che può essere aumentato o
diminuito nella misura convenuta. Il contratto di riporto è un contratto reale che si perfeziona con la
consegna dei titoli mentre l’obbligazione del riportatore è una obbligazione di genere- La funzione
pratica del riporto è quindi quella di un prestito garantito che può attuarsi in un duplice senso: il
proprietario dei titoli ha bisogno di una somma di denaro e non intende privarsi definitivamente della
proprietà dei titoli o una persona ha bisogno di un prestito di titoli che non intende acquistare
definitivamente (es. vuole procurarsi una partecipazione azionaria in occasione di una assemblea di
una società). Nella prima ipotesi la garanzia è data dal trasferimento della proprietà dei titoli, nel
secondo caso dal versamento del prezzo. Nella prima ipotesi il corrispettivo è dovuto dal riportato e
viene corrisposto attraverso un aumento del prezzo stabilito all’atto del trasferimento iniziale
(riporto), nella seconda il corrispettivo è dovuto dal riportatore e viene corrisposto mediante una
diminuzione del prezzo iniziale (deporto). Occorre dire che il riporto è un contratto unico in quanto
sulla base dell’originario consenso trovano origine e giustificazione tutti gli effetti che derivano dal
contratto stesso. In questo contratto unico le due operazioni di scambio servono a realizzare lo scopo
fondamentale che le parti si propongono ossia la temporaneità del trasferimento e tale scopo si attua
sulla base di un duplice trasferimento, ciascuno dei quali se pur consacrato nello stesso contratto e
frutto della stessa volontà conserva la sua autonomia. Ne consegue che le vicende relative al secondo
trasferimento non possono in nessun modo influire sul primo trasferimento rispetto al quale quindi
l’esecuzione rappresenta il momento di perfezione del contratto. Se pertanto gli obblighi assunti con
riferimento al secondo trasferimento non saranno eseguiti al termine fissato soltanto rispetto ad essi
si determineranno gli effetti dell’inadempimento e quindi la possibilità di scegliere tra adempimento
coattivo e risoluzione.
527) L’abuso di informazioni privilegiate: insider trading – Le caratteristiche particolari dei mercati
regolamentati e il fatto che in esso le negoziazioni non avvengono direttamente tra gli interessati ma
tramite intermediari e quindi si caratterizzano in termini di anonimato hanno indotto il nostro
legislatore anche in attuazione a direttive comunitarie a vietare il cosiddetto insider trading. Infatti a
tale tipo di negoziazione sarebbe difficile applicare regole generali del diritto comune come il dolo
contrattuale o la responsabilità precontrattuale e inoltre per esse si pone l’esigenza di tutelare
direttamente il mercato e cioè promuovere la fiducia in esso da parte degli investitori eliminando i
rischi in cui essi possono incorrere a seguito della disparità di informazioni in possesso dei vari
operatori. La disciplina dell’insider trading si basa su tre elementi: l’elaborazione di una nozione di
informazione privilegiata, la definizione dei soggetti che in quanto insider ne sono in possesso e non
possono utilizzarla, e l’ndividuazione dei comportamenti che risultano vietati. Per il primo aspetto la
normativa richiede che l’informazione privilegiata non si a pubblica, si riferisca a strumenti finanziari,
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sia di carattere preciso e sia tale da influire in modo sensibile sul prezzo dello strumento finanziario in
questione. Per il secondo aspetto la normativa considera insider coloro che dispongono
dell’informazione riservata grazie alla loro qualità di membro di organo di amministrazione, direzione
o controllo dell’emittente o dell’esercizio di una professione o di una funzione. Per quanto riguarda il
terzo aspetto è vietato il compimento (diretto o indiretto) di ogni operazione relativa allo strumento
finanziario in oggetto e posta in essere utilizzando le informazioni privilegiate. Si vieta inoltre di
comunicare agli altri tali informazioni o di raccomandare in base ad esse il compimento di tali
operazioni. Per tali comportamenti sono previste sanzioni amministrative e penali. Sono affidate a tale
proposito alla Consob funzioni sia preventive che ispettive oltre che di denuncia all’autorità giudiziaria
per il processo penale. Il legislatore poi si è occupato anche della manipolazione del mercato e in
particolare della diffusione di notizie false o il compimento di operazioni simulate idonee a provocare
una sensibile alterazione dei prezzi degli strumenti finanziari con la previsione di sanzioni penali.
5) La gestione accentrata di strumenti finanziari
528) L’attività di gestione accentrata di strumenti finanziari - Gli strumenti finanziari possono
formare oggetto di una gestione accentrata che consente di ridurre i costi e rischi connessi alla loro
custodia. La gestione accentrata è possibile in quanto gli strumenti finanziari, essendo fungibili,
possono essere depositati in una unica massa e possono essere adottate per essi tecniche di
trasferimento tra i depositanti basate su meccanismi scritturali evitando in tal modo la consegna del
documento. La gestione accentrata di strumenti finanziari era in un primo tempo affidato solo alla
Monte Titoli Spa ma il testo unico finanziario ha previsto la possibilità di soggetti diversi denominati
società di gestione accentrata e ha previsto modalità (talvolta obbligatorie e talvolta facoltative) di
gestione de materializzata grazie all’intervento di un intermediario abilitato. L’attività di gestione
accentrata è quindi riservata dalla legge alle società di gestione accentrata che devono avere la forma
delle società per azioni e avere per oggetto esclusivo la prestazione di questo servizio. Tali società
sono assoggettate ad una disciplina analoga a quella prevista per tutti i soggetti operanti nell’ambito
dell’intermediazione finanziaria e al controllo congiunto da parte di Banca d’Italia e Consob. Per
quanto riguarda gli strumenti finanziari rappresentati da titoli (e quindi per i quali non opera il regime
di de materializzazione) la legge prevede un contratto di deposito stipulato tra l’interessato e un
intermediario finanziario il quale provvede poi a sub depositare gli strumenti finanziari presso una
società di gestione accentrata. In tal modo tutti gli strumenti finanziari della stessa specie vengono
immessi in un'unica massa presso la società di gestione accentrata e ogni investitore rimane
proprietario pro quota in base ai titoli immessi, sui quali conserva l’esercizio dei relativi diritti. Il
trasferimento dei titoli avviene sulla base della stessa disciplina prevista per la dematerializzazione
(che vedremo dopo) e quindi non avviene pi mediante la consegna degli strumenti stessi (che
rimangono depositati presso la società di gestione accentrata) ma attraverso una semplice
scritturazione contabile in base alla quale viene variata nelle scritture contabili della società di
gestione e del depositario la persona dell’avente diritto. Ne consegue che il sub deposito degli
strumenti finanziari presso la società di gestione smaterializza la loro circolazione e quindi si
comprende come per la gestione accentrata si rinvii alla disciplina prevista per la de materializzazione.
529) La de materializzazione e gi strumenti finanziaria dematerializzati - >Secondo il testo unico
finanziario i titoli di stato e gli strumenti finanziari destinati alla negoziazione sui mercati
regolamentati non possono essere rappresentati da titoli e pertanto per essi viene prevista la
dematerializzazione obbligatoria. A differenza dalla gestione accentrata vista prima in questo caso
quindi manca addirittura il documento rappresentativo dello strumento finanziario in questione che
viene rappresentato quindi solo dalle risultanze dei conti nel quale è registrato. Accanto alla
dematerializzazione obbligatoria la legge prevede una dematerializzazione facoltativa consentendo
agli enti emittenti di strumenti finanziari di assoggettarli a questa disciplina. Gli strumenti de
materializzati sono soggetti ad un regime di gestione accentrata ma anche ad un particolare regime di
circolazione che prevede un complesso sistema di conti. Infatti presso ogni emittente di strumenti
finanziari sono aperti una serie di conti intestati ognuno ad un diverso intermediario dove vengono
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registrati i movimenti finanziari disposti tramite lo stesso intermediario. Presso il singolo
intermediario sono poi aperti altri conti in ognuno dei quali sono registrati gli strumenti finanziari di
pertinenza dello stesso intestatario nonché il trasferimento e gli eventuali vincoli su essi disposti. E’
proprio in base alla registrazione nel conto acceso presso l’intermediario che viene riconosciuta al
titolare del conto la legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti relativi agli strumenti
finanziari. La registrazione nel conto presso l’intermediario quindi è l’unico modo per trasferire gli
strumenti finanziari de materializzati oltre che per costituire vincoli sui medesimi. Gli altri diritti
possono invece essere esercitati direttamente da parte dell’intestatario del conto tramite le necessarie
certificazioni rilasciate dall’intermediario. E’ evidente anche come la legge sottoponga ad una
disciplina uniforme gli strumenti finanziari de materializzati e i titoli di credito tanto è vero che
dispone che a colui che ha ottenuto la registrazione possano essere opposte dall’emittente solo le
eccezioni a lui personali e quelle comuni agli altri titolari degli stessi diritti e inoltre dispone anche che
chi ha ottenuto la registrazione in base ad un titolo idoneo e in buona fede non è soggetto a pretese e
ad azioni da parte di precedenti titolari. E’evidente quindi l’intenzione di equiparare chi ha ottenuto la
registrazione a chi è possessore legittimato di un titolo di credito, intenzione che può essere spiegata
considerando la dematerializzazione come una evoluzione del sistema dei titoli di credito, Infatti
l’incorporazione del diritto nel documento (nei titoli di credito) risponde certamente all’esigenza di
assicurare l’esclusività del suo possessore riducendo i rischi derivanti da eventuali altrui pretese e a
tale esigenza risponde anche il sistema della dematerializzazione solo che la situazione di esclusività
viene qui garantita non in base al possesso di un documento ma attraverso la registrazione nel conto
aperto presso l’intermediario.
Contratti bancari
L’attività delle banche risulta di una duplice categoria di operazioni: raccolta di capitali presso i
risparmiatori (passive), e quelle di distribuzione dei capitali (attive), la prestazione di certi servizi
definiti come bancari verso il pubblico. Oltre gli schemi contrattuali di diritto comune, sono utilizzati
altri schemi derivati, di cui un presupposto è che uno dei soggetti del contratto sia una banca e la legge
li ricomprende nella unica categoria dei contratti bancari. Il contratto bancario è necessariamente un
contratto di impresa. La disciplina legislativa viene integrata non solo dagli statuti e regolamenti delle
banche, ma anche dalle norme uniformi e dalle condizioni generali del rapporto tra banca e cliente, in
base al protocollo sottoscritto dall’A.B.I. nel 2000 con le associazioni dei consumatori. Non sempre le
norme uniformi hanno valore di uso giuridico: spesso la loro efficacia vincolante deve essere affermata
in quanto nei singoli contratti a tali norme viene fatto diretto riferimento o in quanto rientrano tra le
pratiche generali interpretative ex art. 1368.
La trasparenza delle condizioni contrattuali
La eccessiva disparità economica tra banca e cliente si traduce in una esigenza di tutela del secondo,
oltre l’art. 1341. La l. 154/92 detta una disciplina sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi
bancari e finanziari, trasfusa poi nel D. Lgs. 385/93. Per le condizioni generali poste da una banca non
basta la conoscibilità, ritenendosi che esse debbano essere rese pubbliche. È pertanto prevista la
nullità delle clausole contrattuali che prevedono condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate; se
un testo contrattuale poi non indica prezzi e condizioni praticate, si applicano quelli resi pubblici; in
mancanza di pubblicità nulla invece è dovuto. Il singolo rapporto contrattuale può derogare le
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condizioni generali solo in senso più favorevole al cliente. L’obbligo di pubblicità non può nemmeno
essere soddisfatto mediante un rinvio agli usi; le clausole di rinvio agli usi si considerano nulle e non
apposte. È richiesta anche la redazione per iscritto del contratto e la consegna di un esemplare al
cliente, e viene precisato che nel testo contrattuale debbano essere indicati il tasso di interesse ed ogni
altro prezzo e condizione praticata. In caso di contratto di durata, la variazione delle condizioni
contrattuali sono inefficaci se unilateralmente disposte dalla banca e non comunicate al cliente, che ha
comunque il diritto di recedere e ottenere la liquidazione sulla base delle precedenti condizioni nel
termine di 15gg. Significativo poi che si riconosca alla Banca d’Italia, d’intesa con la Consob, il potere di
prescrivere un contenuto tipico determinato per particolari contratti, dettandosi la nullità di quelli
divergenti. Le situazioni di nullità possono essere fatte valere solo dal cliente (nullità relativa).
Operazioni passive
Deposito di denaro
Importante è il deposito di denaro con cui la banca si assicura i capitali che poi ridistribuisce. Si
ricollega al deposito irregolare e perciò assoggettato alle norme sul mutuo. Attraverso il deposito
bancario non è tanto il depositante, ma la banca stessa a ricavarne una utilità, e cioè l’acquisto della
proprietà e della disponibilità di somme da impiegare a suo piacimento fin quando rimangono presso
di se. La banca paga un corrispettivo per la utilizzazione delle somme depositate. Tuttavia il
depositante realizza la sicurezza sulla custodia e sa di poter contare sulla restituzione alla scadenza
stabilita o a sua richiesta. La banca quindi deve stare in tal senso coperta per poter far sempre fronte
agli obblighi di restituzione. Giuridicamente, il depositante è un creditore della banca, sfornito di
azioni reali, mentre la banca acquista la proprietà e la disponibilità sulle somme depositate con
l’obbligo di restituirle alla scadenza o su richiesta. Il credito del depositante si qualifica come credito
disponibile, consentendo di riconoscere la funzione monetaria dei depositi bancari (il depositante può
usufruire della somma anche tramite assegno).
Categorie di depositi bancari di denaro
Il deposito semplice soddisfa il bisogno di sicurezza del cliente; quello in conto corrente riserva la
possibilità di modificare la somma depositata con prelievi e depositi nel corso del rapporto; in quello a
risparmio il depositante tende a formare nel tempo un capitale attraverso modesti versamenti. Se il
deposito è vincolato la restituzione non può avvenire se non dopo una certa scadenza; vi sono poi
quelli a scadenza fissa, quelli liberi con restituzione a vista o previo preavviso. La differenziazione
serve alla banca per capire la disponibilità che può avere delle somme e tale si riverbera poi sul saggio
di interesse applicato.
Disciplina giuridica del rapporto : il libretto di risparmio
L’efficacia del libretto di deposito si esplica in due sensi: rispetto alla prova, in quanto le annotazioni
fanno piena prova nei rapporti tra depositante e banca, ed è invalido ogni patto che deroga tale
principio; rispetto alla legittimazione, questa è diversa a seconda se il libretto è pagabile al portatore o
è nominativo. Se il libretto è pagabile al portatore la banca non ha l’obbligo di accertare la identità di
chi lo presenta, bastando la esibizione del libretto; viceversa se il libretto è nominativo (resta
documento di legittimazione perché la funzione del libretto si esplica solo in caso di esercizio del
diritto, non è quindi titolo di credito). I libretti di deposito non sono destinati alla circolazione, e la
diversità riguarda solo l’accertamento della legittimazione in sede di esercizio del diritto. In base
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all’art. 1836, non sarebbe neanche titolo di legittimazione, ma mero contrassegno di legittimazione,
dato che il possesso del libretto non attribuisce al possessore la legittimazione a ritirare somme
depositate. La banca potrebbe sempre pretendere all’esibitore di dimostrare la sua qualità di
depositante.
I sistemi di garanzia dei depositanti
I sistemi di garanzia dei depositanti sono sistemi consortili di diritto privato, che devono essere
riconosciuti dalla Banca d’Italia e soggetti alla sua vigilanza. Questi effettuano rimborsi nei casi di
liquidazione coatta amministrativa delle banche autorizzate in Italia.
Emissione di assegni circolari e risconto
Tra le operazioni passive rientrano la emissione di assegni circolari e il risconto: il primo presuppone
il versamento da parte del richiedente della somma portata dal titolo, che rimane nella disponibilità
della banca fin quando il titolo rimane in circolazione; il secondo è una operazione con cui la banca che
ha anticipato capitali ad un cliente con lo sconto, si fa a sua volta anticipare da altra banca i capitali,
utilizzando il credito scontato al cliente.
Operazioni attive
Apertura di credito
Contratto con cui la banca mette a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato periodo o
a tempo indeterminato, in funzione di una futura ed eventuale utilizzazione. L’accreditato gode di un
credito disponibile, liquido ed esigibile solo per lui, in quanto la banca può adempiere solo su richiesta
dello stesso. La somma utilizzata non sarà più disponibile, tranne nei casi di conto corrente con cui la
somma può essere ripristinata con versamenti del cliente. L’accreditato avrà l’obbligo di corrispondere
gli interessi sulla somma utilizzata, oltre la provvigione per la messa a disposizione della somma, e di
restituire la somma alla scadenza pattuita o a quella legale.
Natura giuridica
Giuridicamente è un contratto definitivo e tipico, da non confondere col mutuo, in quanto non sussiste
obbligo di prelevamento. Oggetto non è il godimento di una somma, ma il godimento di una
disponibilità. La disponibilità ha un valore intrinseco, al di là della effettiva utilizzazione. All’onere
della banca che deve rispettare tale disponibilità, corrisponde l’obbligo dell’accreditato di pagare una
provvigione. La eventuale utilizzazione crea un nuovo rapporto di godimento di una somma. Tale può
essere valutato autonomamente, al fine di stabilire i propri effetti, o con riferimento alla apertura di
credito, e in tal caso l’effetto è costante: la riduzione della disponibilità dell’accreditato.
Apertura di credito semplice e in conto corrente
L’apertura di credito può essere di vari tipi: semplice o in conto corrente, se non può o può effettuare
rimborsi e utilizzare nuovamente il credito reintegrato.
Apertura di credito allo scoperto e apertura di credito garantita
Può essere allo scoperto o garantita: nella prima la banca mette a disposizione la somma senza
pretendere garanzie se non il patrimonio dell’accreditato; nella seconda la banca richiede una garanzia
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specifica, reale o personale. L’apertura di credito allo scoperto è anche quella in cui vengono rilasciate
cambiali in bianco per lo più da utilizzarsi all’atto della cessazione del rapporto per il recupero delle
somme utilizzate. Infatti il rilascio delle cambiali ha come effetto di apprestare un titolo esecutivo, ma
nonostante ciò in tal caso la banca è sempre in posizione di parità rispetto agli altri creditori,
diversamente dal caso di apertura di credito garantita. Per quest’ultima valgono due principi: fin
quando la garanzia non è prestata, la banca può rifiutare la utilizzazione del credito; la garanzia reale o
personale non si estingue se non con la cessazione del rapporto. Inizialmente la garanzia riguarda
debiti futuri, ipotesi prevista negli artt. 1956 e 2852 cc e riguarda tutti i crediti che trovano fonte in
tale contratto. In caso di proroga del contratto e di garanzia prestata da terzi,, rispetto a questi non può
avere effetto la estensione della garanzia ai crediti sorti durante il periodo di proroga, a meno che non
vi sia una manifestazione di volontà in tal senso. Se poi il terzo non acconsente e l’accreditato non
procura l’estensione della garanzia, la banca può recedere dal contratto per giusta causa. Se la garanzia
invece è stata prestata dall’accreditato, se ne afferma l’estensione ai crediti sorti durante il periodo di
proroga.
Utilizzazione del credito
Le modalità di utilizzazione sono rimesse alla volontà delle parti. In mancanza, l’art. 1843 prevede che
l’accreditato possa utilizzare in più volte il credito, secondo le forme d’uso, e possa mediante successivi
versamenti ripristinare la disponibilità. Così oltre al pagamento diretto all’accreditato, la banca dovrà
pagare anche la persona indicata e autorizzata dall’accreditato o al cessionario di questo. In tali ipotesi
la banca non e direttamente obbligata verso il portatore del titolo, ma paga la persona indicata. Invece
nel caso di tratte spiccate dall’accreditato vi è l’obbligo della banca di accettare, in quanto è
direttamente obbligata verso il portatore della cambiale. L’accreditato può richiedere anche il rilascio
di assegni circolari o di moneta elettronica.
Estinzione dell’apertura di credito
Il rapporto di apertura di credito si estingue per la scadenza del termine finale, se il contratto è a
tempo determinato, o per recesso della banca o dell’accreditato se a tempo indeterminato; per recesso
della banca per giusta causa anche se a tempo determinato. L’estinzione comporta la cessazione della
disponibilità e la restituzione delle somme in conformità ai patti contrattuali. Si aggiunge l’obbligo di
regolare il pagamento delle commissioni e provvigioni di conto e degli interessi sulle somme utilizzate.
La dichiarazione di recesso ha effetto immediato se per giusta causa e riguarda la disponibilità, mentre
la restituzione avviene dopo 15gg. In caso di scadenza del termine, questa importa anche la
restituzione delle somme e degli accessori, in base all’art. 1183, salvo patto contrario. La legge non
precisa il concetto di giusta causa: le parti possono stabilire che determinati fatti debbano essere
considerati tali; in difetto, possono essere considerati tali fatti che importano una modificazione nelle
basi essenziali del contratto tale da impedire la prosecuzione del rapporto. In caso di insolvenza, può
aversi la decadenza dal beneficio del termine per la restituzione delle somme e degli accessori. Il
contratto può estinguersi anche per sopravvenuta impossibilità della prestazione, o per morte o
sopravvenuta incapacità dell’accreditato, in quanto si tratta di contratto fiduciario. Da distinguere
comunque se l’accreditato sia imprenditore o meno. Se l’accreditato è imprenditore in quanto
permanga l’impresa deve anche permanere il contratto. Rispetto all’accreditato non imprenditore, la
sopravvenuta incapacità o morte possono costituire una giusta causa di recesso, quando valgano a
determinare una modificazione essenziale delle basi del contratto.
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Apertura di credito documentale o a favore di terzi
Nel linguaggio bancario il termine apertura di credito viene usato in alternativa a quello di credito
documentale o di lettera di credito per indicare quel rapporto che si inserisce in una operazione del
commercio internazionale e per effetto del quale la banca interviene per conto del compratore e a
favore del venditore in modo da consentire al venditore di esigere il prezzo della merce verso
consegna alla banca dei documenti pattuiti. Quando non sussiste un obbligo della banca nei confronti
del venditore della merce si parla di apertura di credito semplice o revocabile; se sussiste un obbligo
diretto della banca verso il venditore si parla di apertura di credito confermato o irrevocabile.
Anticipazione bancaria
Nella prassi bancaria il termine anticipazione individua due tipi di operazioni: semplice o a scadenza
fissa che importa la dazione effettiva, da parte della banca, di una somma con obbligo del contraente di
restituirla alla scadenza stabilita; in conto corrente che importa la messa a disposizione da parte della
banca di una somma, con facoltà dell’altro contraente di prelevarla a sua discrezione e di ricostruire
mediante versamenti l’originaria disponibilità, di procedere a nuovi prelevamenti, fin alla scadenza del
contratto e con l’obbligo di restituire nel termine contrattuale le somme di cui in tale momento egli sia
debitore verso la banca. La dazione o la messa a disposizione delle somme sono in funzione della
costituzione in pegno di titoli, merci o denaro, a garanzia del credito attuale o eventuale della banca, e
in cui l’ammontare della somma si commisura in ogni momento del rapporto, con criterio di
proporzionalità rigorosa e sulla base di una decurtazione percentuale detta scarto sul valore del
pegno. Se tale rapporto si modifica e viene a risultare inferiore rispetto a quello stabilito, o si ripristina
mediante supplemento di garanzia il rapporto iniziale o l’anticipazione cessa. Il contraente è libero di
diminuire la garanzia nel corso dell’operazione perché corrispondentemente riduca in misura
proporzionale l’anticipazione, lasciando inalterato lo scarto fissato. L’anticipazione è un negozio
complesso risultato della combinazione di due negozi: uno di credito e uno di garanzia. Il collegamento
si attua sulla base di un rapporto di proporzionalità.
Il negozio di credito
Il negozio di credito può assumere la natura giuridica del mutuo nell’anticipazione semplice, o di
apertura di credito in quella in conto corrente. Saranno applicabili le disposizioni dell’uno o dell’altro
contratto.
Il negozio di garanzia
Il negozio di garanzia si caratterizza per la natura dell’oggetto della garanzia. È essenzialmente di
natura mobiliare e costituita su titoli, merci o denaro. Presupposto è che il valore del pegno possa
essere agevolmente determinato. Nei titoli vanno ricompresi sia titoli individuali che di massa, i
libretti di deposito e altri documenti di legittimazione relativi a somme di denaro. Il pegno può essere
regolare con rilascio di documenti che prendono il nome di cartella di anticipazione o polizza. Alla fine
del rapporto o in caso di esercizio della facoltà ex art. 1849 la banca deve restituire le stesse cose e
perciò ha gli obblighi del creditore pignoratizio. Nel caso di pegno irregolare, proprietà e disponibilità
passano alla banca, ed è obbligata solo alla restituzione di una quantità equivalente di titoli o merci
della stessa specie e qualità. In tal caso l’anticipazione è detta irregolare.
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Collegamento tra credito e garanzia
Il collegamento tra negozio di credito e di garanzia si attua sulla base di un rapporto di
proporzionalità. Non è applicabile il principio della indivisibilità della garanzia ex art. 2799:
riducendosi il credito si riduce la garanzia, rimanendo fisso lo scarto inizialmente fissato. Se lo scarto
si riduce di almeno un decimo la banca può chiedere un supplemento di garanzia e in mancanza
procede alla vendita dei titoli o delle merci date in pegno. Lo scarto può invece essere ricomposto
anche con una riduzione dell’esposizione debitoria, consentita ex art. 1849. Se lo scarto non viene
ristabilito la banca può considerare cessato il rapporto e di pretendere la restituzione delle somme
anticipate, realizzando, all’occorrenza, il pegno nei modi di legge.
Sconto bancario
Lo sconto è il contratto con cui la banca, previa deduzione dell’interesse (sconto), anticipa al cliente
l’importo di un credito verso terzi non scaduto mediante cessione salvo buon fine al credito stesso, ex
art. 1858. La sostanza dell’operazione consiste nel consentire al cliente la realizzazione immediata di
crediti che il cliente stesso avrebbe potuto conseguire soltanto in un momento successivo verso il
trasferimento nelle forme previste dalla legge del diritto di credito nei confronti del terzo e salvo buon
fine. La banca anticipa la somma corrispondente all’intero credito decurtata esclusivamente
dell’interesse e delle commissioni. Lo sconto è una operazione complessa che risulta dalla
combinazione di una operazione di credito (mutuo) con un negozio di garanzia (trasferimento pro
solvendo di un diritto di credito). I due rapporti sono collegati nel senso che la banca non può chiedere
allo scontatario la restituzione, se non quando il debitore ceduto abbia rifiutato il pagamento. Con la
conseguenza che, se il debitore ceduto adempie alla scadenza, il rapporto si estingue; se invece non
paga, lo scontatario è tenuto sulla base del rapporto di sconto alla restituzione della somma anticipata
con i relativi interessi. Tuttavia la posizione dello scontatario è e rimane quella che deriva da un
rapporto di mutuo per il quale è prevista una particolare forma di adempimento.
Sconto di cambiali
L’ipotesi più frequente è lo sconto dei crediti cambiari. Qui il trasferimento del credito si attua
mediante trasferimento del titolo e nelle forme di circolazione dello stesso. Il credito trasferito è solo il
credito cartolare, non quello sorgente dal rapporto sottostante, a meno che lo sconto non si attui anche
con la cessione della provvista in quella ipotesi in cui ciò è ammesso dalla legge. Attuando si il
trasferimento della cambiale o dell’assegno bancario mediante girata, lo scontatario viene ad
assumere, per effetto della girata, obbligazione cambiaria in via di regresso. L’art. 1859 prevede che
alla anca competa in aggiunta ai diritti che derivano dal titolo cambiario, il diritto alla restituzione
delle somme anticipate sulla base del contratto di sconto. Nell’ipotesi di sconto cambiario quindi la
banca ha verso il terzo debitore l’azione diretta ove questi abbia accettato, e nel caso di tratte non
accettate o senza accettazione, ma con cessione della provvista, l’azione in base al rapporto di
provvista. La banca ha inoltre verso lo scontatario l’azione cambiaria di regresso e l’azione causale
sulla base del contratto di sconto. I rapporti tra queste diverse azioni sono regolati dai principi del
diritto cambiario. L’art. 1860 disciplina lo sconto delle tratte documentate, cioè emesse dal compratore
ed accompagnate dal titolo rappresentativo della merce e dagli altri documenti. In tal modo il
venditore delle merci realizza anticipatamente il prezzo delle stesse, trasferendo alla banca mediante
girata la tratta e consegnando alla stessa i documenti. Dal punto di vista giuridico l’operazione si
complica in quanto al rapporto di sconto si aggiunge un rapporto di mandato per la esecuzione del
192
contratto di compravendita intercorrente tra scontatario e debitore. In ciò trova la giustificazione il
privilegio attribuito alla banca fin quando il titolo rappresentativo delle merci rimanga in suo
possesso.
Factoring
altro strumento di mobilitazione dei crediti a breve termine. Si differenzia dallo sconto per due
caratteristiche: nello sconto la cessione del credito avviene a scopo di garanzia (cessione pro
solvendo), mentre nel factoring la cessione può essere pro soluto e in tal caso il factor assume su di se
l’alea di un eventuale inadempimento. Inoltre il factoring è una operazione globale che riguarda tutti i
crediti dell’imprenditore con la sola eccezione di quelli che il factor ritenga non graditi. Il factoring può
adempiere a due ulteriori funzioni: esazione dei crediti, esonerandone l’imprenditore; una funzione
assicurativa quando il factor assume su di se le alee di eventuali inadempimenti. Se l’operazione
presenta la struttura della cessione del credito, la legge 52/91 disciplina la cessione di crediti di
impresa riservata alle ipotesi in cui non solo il cedente è imprenditore, ma che lo sia anche il
cessionario, come banca o intermediario finanziario. Quindi, seppure in via di principio il contratto di
factoring è stipulabile da chiunque, in caso di imprenditori si applica la legge 52/91 e non la disciplina
della cessione del credito. La legge 52/91 detta una disciplina che precisa che la cessione di crediti può
avvenire anche in massa e può riguardare anche crediti futuri; si presume pro solvendo salvo rinuncia
del cessionario; regola l’operazione verso i terzi e il fallimento: perciò, la cessione diviene opponibile ai
terzi aventi causa o creditori del cedente quando sia avvenuto il pagamento da parte del cessionario
del corrispettivo della cessione e tale pagamento abbia data certa; con riferimento al fallimento del
debitore ceduto invece, si sottraggono all’azione revocatoria i pagamenti del fallito al cessionario,
prevedendosi la possibilità di proporre tale azione verso il cedente che conoscesse al momento del
pagamento lo stato di insolvenza del debitore ceduto. In caso di fallimento del cedente, si prevede sia
un potere di recesso del curatore, sia la possibilità di far dichiarare in opponibile la cessione (revoca)
mediante la prova da parte del curatore che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente
al momento in cui aveva pagato il suo corrispettivo e perché tale pagamento sia avvenuto nell’anno
anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Cartolarizzazione dei crediti
Operazione con cui si effettua una cessione in massa di crediti pecuniari a favore di una apposita
società (società veicolo) la quale poi procede all’emissione di titoli di debito (obbligazionari), destinati
ad essere offerti al pubblico e che dovranno essere soddisfatti con le somme incassate a seguito del
pagamento dei debiti ceduti. L’impresa cedente è in tal modo in grado sia di depurare il proprio
bilancio dai rischi di realizzo dei crediti ceduti sia di effettuarne una smobilitazione tramite il ricorso
al mercato finanziario. La cessione avviene pro soluto. A tutela degli investitori, i titoli emessi in tali
operazioni sono qualificati come strumenti finanziari, richiedendo la loro offerta al pubblico
l’utilizzazione di un prospetto informativo. Le somme corrisposte dal debitore o dai debitori ceduto
sono destinate in via esclusiva, dalla società cessionaria, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei
titoli emessi, per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione. Da
ciò deriva che i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli
effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni, potendo agire su tale patrimonio
solo i portatori dei titoli ed i creditori per ragioni connesse all’operazione.
193
IL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE
1. Nozioni generali
Impresa di assicurazione e contratto di assicurazione
Le assicurazioni possono essere riguardate sotto un duplice aspetto: come attività e come operazione
singola . considerare l’assicurazione come attività significa fissare lo statuto dell’impresa di
assicurazione , considerarla come operazione singola significa fissare il regolamento del contratto di
assicurazione. Tra i due aspetti del fenomeno sussiste una connessione, ma si tratta di una
connessione che penetra nella struttura stessa del contratto, rendendo inconcepibile un’operazione
singola di assicurazione al di fuori dell’impresa assicurativa.
Evoluzione nella funzione dell’assicuratore
Funzione dell’assicuratore fu quella di assumere in origine su di sé i rischi inerenti al patrimonio o alla
persona dell’assicurato. L’aversio periculi e la susceptio periculi costituivano un tempo l’essenza del
contratto e la funzione dell’assicuratore. Il vantaggio di quest’ultimo dipendeva dal mancato verificarsi
dell’evento; il corrispettivo dell’assicurazione era commisurato al rischio assunto nel caso specifico.
Funzione attuale dell’assicuratore è invece quella della compensazione dei rischi o della distribuzione
di essi tra i vari partecipanti allo svolgimento della vita economica .
Evoluzione nella struttura del contratto
Correlativamente alla funzione dell’assicuratore si sono modificate le basi del contatto di
assicurazione. Già nella definizione del contratto di assicurazione la legge si richiama a un concetto,
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quello di premio. Premio non è il corrispettivo preteso dall’assicuratore sulla base della valutazione
del rischio assunto con il singolo contratto, premio è quel corrispettivo che si determina in funzione di
una data categoria di rischi, astrattamente considerati e sulla base dell’astratta probabilità del loro
verificarsi desunta dalla legge dei grandi numeri. Il premio si compone di due parti: il cd premio puro
che corrisponde al rischio determinato secondo i calcoli delle probabilità e secondo la legge dei grandi
numeri; e le maggiorazioni corrispondente alle spese e all’utile dell’assicuratore. Di fronte al premio
sta come contropartita la prestazione dell’assicuratore. L’art 1882 del c.c. fa consistere la prestazione
dell’assicuratore nel pagamento della somma assicurata al verificarsi dell’evento. Trattandosi di una
prestazione solo eventuale,una corrispettività può essere ravvisata tra le obbligazioni, non tra le
prestazione, con la conseguenza che il contratto di assicurazione dovrebbe considerarsi come un
contratto aleatorio. Nel c.c. del 1865 il contratto di assicurazione era compreso tra i contratti aleatori.
Tuttavia la qualificazione del contratto di assicurazione come contratto aleatorio contrasta con la sia
funzione sociale e individuale. L’assicurazione non è diretta a procurare un vantaggio all’assicurato e
chi la contrae non lo fa nella speranza che l’evento si verifichi, ma la contrae per far fronte alle
necessità economiche conseguenti al suo verificarsi sul presupposto che l’evento anche se deprecabile,
è nel campo delle possibilità. Si è rilevato che l’assicurato realizza il suo interesse già con la
stipulazione del contratto e si è qualificata la prestazione dell’assicuratore come una prestazione di
sicurezza. Nel sistema legislativo attuale la prestazione dell’assicuratore ha un contenuto più
complesso di quello che risulta dall’art 1882 c.c. questo sistema consiste nella inserzione del rischio
singolo nella collettività dei rischi e del premio singolo nella massa dei premi, attraverso questa
inserzione non soltanto entrano in funzione le norme che prevedono la costituzione delle riserve
tecniche e delle riserve matematiche e le forme di investimento stesse, ma l’assicurato viene a
beneficiare di quelle garanzie della collettività che la legge prevede a favore di tutti gli assicurati.
Questa definizione è stata accolta dalla stessa legge nel codice delle assicurazione private che
definisce l’attività assicurativa come un’attività che non si esaurisce nell’assunzione dei rischi ma
implica la loro gestione. Contratto di assicurazione nel sistema attuale non è ogni contratto diretto alla
copertura di un rischio , ma è quel contratto in cui l’assicuratore si obbliga a gestire i rischi e cioè ad
inserire i singoli rischi nella massa di rischi omogenei, in modo che la copertura del rischio possa avere
come corrispettivo il pagamento da parte dell’assicurato di un premio e possa trovare una effettiva
realizzazione secondo i princìpi della tecnica assicurativa e una garanzia specifica sulla massa dei
premi.
Struttura e caratteri del contratto di assicurazione: l’impresa come presupposto del contratto
L’impresa costituisce pertanto un elemento del contratto, e non soltanto un suo presupposto.
L’impresa costituisce il punto di passaggio necessario perché l’assunzione del rischio si attui sulla base
del pagamento del premio. Nella definizione legislativa del contratto di assicurazione l’impresa non
emerge direttamente e il rapporto essenzialmente si pone tra il rischio e il premio. Si tratta di un
elemento implicito e non solo di un presupposto subiettivo. L’impresa è una condizione obiettiva
perché un determinato contratto possa essere considerato come contratto di assicurazione. E se
obiettivamente una qualunque impresa è presupposto sufficiente perché si abbia contratto di
assicurazione, la legge pone come requisiti soggettivi per poter assumere la qualifica di assicuratore,
che l’impresa assumi una determinata forma e che l’organizzazione si attui ed operi secondo
determinati criteri.
Ambito e caratteri del fenomeno assicurativo: le cosiddette assicurazioni sociali
195
La funzione dell’assicurazione può esplicarsi nei più diversi campi dell’attività umana : ogni qualvolta
in conseguenza di un determinato evento sia possibile l’insorgere per una persona di un bisogno da
soddisfare, la funzione dell’assicurazione può teoricamente esplicarsi. Ciò spiega la progressiva
evoluzione del fenomeno assicurativo. L’art 1882 c.c. lascia indeterminata la natura dell’evento
assicurativo, solo richiedendo che si tratti di un evento produttivo di danni a carico dell’assicurato o di
un evento attinente alla vita umana e consente perciò al contratto di assicurazione sempre nuove
possibilità di applicazione. L’assicurazione come forma di previdenza risponde sempre a una evidente
funzione sociale.
Vi sono : Le assicurazioni obbligatorie- infortuni sul lavoro, contro la
resp civile conseguente a sinistri automobilistici; le assicurazioni automatiche-assicurazioni sociali.
Mentre le assicurazioni obbligatorie conservano la struttura propria delle assicurazioni e il loro
fondamento contrattuale, anche se il contratto è stipulato in conseguenza di un obbligo legale a
contrarre, nelle assicurazioni automatiche il rapporto assicurativo si instaura su basi essenzialmente
pubblicistiche, è determinato ex lege nel suo contenuto e non trova più la base in un contratto e tanto
meno in un contratto sinallagmatico. Quando quei determinati eventi si verificano, l’assicuratore è
tenuto alla corresponsione dell’indennità.
Il rischio
Ove si prescinda dalle assicurazioni sociali le quali hanno una struttura essenzialmente pubblicistica,
il rapporto assicurativo trova il suo fondamento in un contratto a titolo oneroso, i cui elementi
essenziali sono rappresentati dal rischio e dal premio. La sostanza del contratto di assicurazione si
pone nell’obbligo assunto dall’assicuratore dietro corrispettivo di un premio, di pagare una somma al
verificarsi di un evento futuro e almeno in qualche suo elemento, incerto, e cioè in definitiva
nell’assunzione di un rischio verso corrispettivo di un premio. Oggetto del contratto di assicurazione è
l’assunzione di un rischio. Trattandosi di un rischio convenzionale è evidente che lo spostamento
dell’onere economico si attua solo in quei limiti e sotto quei presupposti che sono stabiliti nel
contratto. Giuridicamente , l’assunzione del rischio si concreta nella promessa dell’assicuratore di
pagare la somma stabilita nell’eventualità che l’evento futuro e incerto si verifichi. Funzione del
contratto è quella di dare, attraverso la promessa dell’assicuratore una sicurezza economica di fronte
al possibile verificarsi dell’evento. Il rischio è elemento essenziale e non accidentale del contratto. Se il
rischio non esiste o più non esiste al momento della conclusione del contratto, un contratto di
assicurazione non può sorgere validamente; se il rischio cessa di esistere successivamente, il contratto
di assicurazione si scioglie. Rischio è possibilità di avveramento dell’evento. Se l’evento è impossibile
o già verificato alla conclusione del contratto, il contratto è nullo. Se l’evento diviene impossibile dopo
la conclusione del contratto, il contratto di assicurazione si scioglie. A questo riguardo possono farsi
due ipotesi: quella che l’impossibilità dell’evento si determini prima ancora che gli effetti
dell’assicurazione debbano prodursi, nel qual caso l’assicuratore ha diritto solo al rimborso delle
spese; quella in cui l’impossibilità si determini quando gli effetti dell’assicurazione sono già iniziati, nel
qual caso l’assicuratore conserva il diritto ai premi fin quando della cessazione del rischio non abbia
avuto conoscenza per comunicazione dell’interessato o altrimenti e, quando tale conoscenza si
determini nel corso di un singolo periodo, l’assicuratore ha diritto al premio relativo all’intero periodo
di assicurazione in corso.
Collaborazione del contraente nella determinazione del rischio
L’assicuratore deve conoscere con esattezza la situazione oggettiva al momento del contratto e da ciò
la necessaria influenza sul regolamento contrattuale delle modificazioni che in tale situazione
196
oggettiva si determinano e importano una modificazione del rischio. Il contratto di assicurazione non
riguarda un rischio generico e astratto, ma il rischio specifico e concreto che è inerente a una
determinata situazione oggettiva. È necessario che l’assicuratore conosca tutte le circostanze che
possono influire sulla probabilità del verificarsi dell’evento. La legge impone a colui che
l’assicurazione contrae, l’obbligo di dichiarare tutte quelle circostanze che siano rilevanti nella
determinazione del rischio e sulle quali l’assicuratore richiama la sua attenzione attraverso appositi
questionari. Quindi vi deve essere una collaborazione del contraente con lo stipulante ai fini della
precisazione della situazione oggettiva.
Dichiarazioni inesatte e reticenze: la clausola di incontestabilità
La legge distingue a seconda che le dichiarazioni inesatte o reticenze siano o meno dovute a dolo o
colpa grave del contraente. Nel primo caso la legge attribuisce all’assicuratore l’azione di
annullamento del contratto; nel secondo caso, il diritto di recesso. Presupposto comune all’azione di
annullamento e del diritto di recesso è che la dichiarazione inesatta o la reticenza riguardino
circostanze rilevanti nella determinazione del rischio, per modo che l’assicuratore non avrebbe dato il
suo consenso o non lo avrebbe dato a quelle condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose.
Elemento comune alle due ipotesi è che la volontà di esercitare il diritto di impugnativa o di recesso ,
deve essere dichiarata sotto pena di decadenza entro 3 mesi dal giorno in cui l’assicuratore ha avuto
conoscenza dell’inesatta dichiarazione o reticenza. Diversa è nelle due ipotesi l’efficacia del contratto
nel caso in cui l’evento si verifichi prima della dichiarazione della volontà di proporre l’azione di
annullamento o di recedere, o quando ancora non sia decorso il termine di decadenza previsto per tale
dichiarazione. Nell’ipotesi di dolo o colpa grave l’assicuratore non è tenuto a pagare la somma
assicurata; negli altri casi invece è tenuto a pagare una somma ridotta sulla base della differenza tra il
premio convenuto e quello dovuto in relazione alla situazione effettiva. Si opera una specie di
ortopedia del contratto, al quale si conserva efficacia in quei limiti più ristretti che sono consentiti da
un proporzionamento del rischio effettivo al premio pagato. Per limitare le conseguenze che possono
derivare dalle dichiarazioni inesatte o reticenze del contraente, sono a volte inserite nelle polizze le
clausole di incontestabilità, in conseguenza delle quali nessuna contestazione sulla validità ed efficacia
dell’assicurazione può essere sollevata dall’assicuratore quando sia decorso un determinato periodo
dalla conclusione del contratto. Rimane fuori dalla clausola di incontestabilità l’ipotesi di dolo del
contraente.
Modificazione del rischio
La situazione oggettiva può modificarsi e di conseguenza possono modificarsi le probabilità di
avveramento dell’evento. Questa modificazione ha un’influenza sul
contratto di assicurazione in
quanto importi un aggravamento del rischio, sia in quanto ne comporti una diminuzione.
L’aggravamento del rischio ha un’efficacia diretta sul contratto di assicurazione: l’oggetto stesso del
contratto viene a modificarsi. Vi sono rischi che gli assicuratori ritengono addirittura di non poter
assumere; se pertanto durante il contratto il rischio si modifica talmente da rientrare in questa
categoria, non soltanto l’assicuratore ha diritto di recedere dal contratto con effetto immediato,
facendo la relativa comunicazione per iscritto, ma l’assicuratore non risponde quando l’evento si sia
verificato prima di tale termine. Quando l’aggravamento avrebbe determinato solo la corresponsione
di un premio più elevato, rimane il diritto di recesso dell’assicuratore ma anzitutto gli effetti del
recesso operano dopo 15 gg dalla dichiarazione e se l’evento si verifica prima del decorso del termine
concesso per il recesso o prima che questo diventi operativo, l’assicuratore è tenuto a corrispondere la
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somma in quella misura ridotta che risulta dal rapporto tra premio pagato e premio dovuto in
relazione al rischio effettivo. Analoghi principi valgono, nel caso di assicurazione sulla vita, per quegli
aggravamenti del rischio che derivano da cambiamento di professione o di attività dell’assicurato. Il
contraente deve cooperare con l’assicuratore per la determinazione del rischio e deve portare a
conoscenza dell’assicuratore i mutamenti oggettivi che aggravano il rischio. La mancata
comunicazione importa che non inizia il decorso del termine per la dichiarazione di recesso e che
pertanto l’assicurato corre il rischio di non vedersi corrisposta la somma, nel caso in cui l’evento si
verifichi e l’aggravamento sia stato tale da escludere il rischio dal novero di quelli assicurabili. La
diminuzione del rischio non ha un efficacia diretta sul contratto ma solo autorizza il contraente a
richiedere una riduzione del premio. Questa non si opera immediatamente con la comunicazione della
diminuzione del rischio, ma si opera a decorrere dalla scadenza del premio o della rata di premio
successiva alla comunicazione, e viene espressamente riconosciuto all’assicuratore il recesso. Gli
effetti del recesso non si producono immediatamente ma operano dopo un mese dalla dichiarazione in
modo da consentire la eventuale copertura del rischio presso l’assicurato.
Obbligo di non interferire sulla determinazione dell’evento
Le probabilità di avveramento dell’evento sono calcolate essenzialmente su basi oggettive. Deve
escludersi la possibilità da parte dei soggetti che possono avere interesse a che l’evento si verifichi, di
influire attraverso il loro comportamento sul prodursi dell’evento. L’obbligo dell’assicuratore viene a
cessare ogni qualvolta che l’evento si verifichi in conseguenza del dolo o della colpa grave di uno di tali
soggetti. L’obbligo dell’assicuratore permane se l’evento è determinato da dolo o colpa grave de8
dipendenti dell’assicurato e in genere delle persone del fatto delle quali questi deve rispondere.
Principi particolari vigono per il suicidio: la legge ammette l’obbligazione dell’assicurato, stabilendo
come presupposto che il contratto abbia avuto effetto per almeno due anni dalla stipulazione o, nel
caso che vi sia stata una sospensione degli effetti per mancato pagamento dei premi, dal giorno in cui
la sospensione è cessata.
Il premio
Corrispettivo dell’assunzione del rischio è il pagamento del premio. Il premio consiste in una somma di
denaro che si determina in funzione di due elementi: - il premio puro che corrisponde all’equivalente
matematico del rischio; - il caricamento che è costituito dalla spese e dalla quota di utili
dell’assicuratore. Il premio può essere unico, cioè pagato una sola volta, o essere periodico, pagato
periodicamente in relazione ai singoli periodi nei quali è suddiviso il rapporto assicurativo. Il premio è
indivisibile, esso deve essere corrisposto per l’intero. Il pagamento del premio deve essere eseguito al
domicilio del creditore: nella prassi assicurativa è tuttavia molto diffuso l’esigere i premi di
assicurazione al domicilio del debitore. Il pagamento del premio costituisce un obbligo vero e proprio
per chi contrae l’assicurazione nel senso che la copertura del rischio è in funzione del pagamento del
premio. Ciò vale per tutti i tipi di assicurazione. Senza il pagamento del premio il contratto di
assicurazione non è operativo, nel senso che il rischio non è coperto fin quando il premio non sia
pagato. Si determina cioè una sospensione dell’assicurazione, immediata se non è pagato il primo
premio o il premio è unico; dopo 15 gg dalla scadenza, se il mancato pagamento riguardi i premi o le
rate di premio successivi. Sospensione dell’assicurazione non equivale a inefficacia del contratto, ma
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significa solo non copertura del rischio. L’assicuratore può agire per la riscossione dei premi dovutogli
e soltanto se tale azione non si propone nel termine si sei mesi dalla scadenza del premio o della rata
di premio, il contratto di assicurazione si scioglie, fermo restando il diritto dell’assicuratore al premio
per il periodo in corso e al rimborso delle spese.
L’interesse assicurativo
La funzione di previdenza che è tipica dell’assicurazione, pone in evidenza un ulteriore presupposto:
l’interesse. Interesse è la relazione che intercorre tra una persona e l’evento e in conseguenza della
quale l’evento si ripercuote su quella persona, determinando in essa il sorgere di taluni bisogni
economici. Se la relazione mancasse e se l’evento fosse destinato a ripercuotersi su un'altra persona,
l’assicurazione si tramuterebbe in una pura scommessa. L’interesse, come presupposto
dell’assicurazione è espressamente enunciato con riferimento all’assicurazione contro i danni. È nullo
il contratto di assicurazione se, nel momento in cui l’assicurazione deve avere inizio, non esiste un
interesse dell’assicurato al risarcimento del danno. Per l’assicurazione sulla vita questo presupposto
non è espressamente enunciato, ma ciò nn significa che esso non sia necessario, significa solo che esso
è considerato implicito nel fatto che l’assicurazione riguarda un evento proprio dell’assicurato. Se
l’evento riguarda un fatto relativo alla vita dell’assicurato, la relazione necessariamente sussiste senza
bisogno di dimostrazione. È soltanto quando l’assicurazione sia contratta sulla vita di un terzo, che
questa relazione deve sussistere. L’art 1919 c.c. ha aggiunto un ulteriore presupposto già implicito
dell’interesse, e cioè il consenso scritto della persona alla quale l’evento immediatamente si riferisce,
se pure nelle sue conseguenze economiche è destinato a ripercuotersi sull’assicurato. L’interesse è
diverso nell’assicurazione contro i danni e in quella sulla vita. Nella prima l’interesse consiste nel
ripercuotersi del danno, provocato dall’evento, sul patrimonio dell’assicurato; nella seconda
l’interesse consiste nel ripercuotersi dell’evento sulla propria posizione economica o su quella di
persone che sono legate all’assicurato da determinati rapporti di parentela o di amicizia o di
dipendenza o anche di solidarietà umana. L’interesse deve però avere un contenuto economico.
L’interesse è un presupposto dell’assicurazione, non anche l’oggetto del contratto. Oggetto
dell’assicurazione è l’assunzione del rischio e l’interesse serve appunto a giustificare il trasferimento
del rischio come atto di previdenza.
Carattere non unitario dell’assicurazione
Parte della dottrina ha preteso porre come carattere generale dell’assicurazione, la funzione
indennitaria. In tutti i casi, secondo questa dottrina, le prestazioni dell’assicuratore sarebbero dirette a
risarcire un danno, precisamente il danno causato dall’avveramento dell’evento assicurato. Tuttavia
questa tendenza dottrinale non può essere condivisa. Non solo si confonde in tal modo la causa
(danno) con l’effetto (bisogno), ma si trascura che l’effetto può essere conseguenza di una causa che in
nessun modo può essere qualificata come danno. L’espressione danno ha il significato di diminuzione
patrimoniale, non si può qualificare come danno un evento che lasci esattamente integra la situazione
patrimoniale e determini solo nuovi bisogni. L’assicurazione postula costantemente un bisogno a cui
supplire, ai bisogni che derivano da un evento esattamente individuato.
Assicurazione contro i danni e assicurazione sulla vita
La legge raggruppa i diversi possibili eventi in due grandi categorie: eventi produttivi di danni e eventi
attinenti alla vita umana. Alla base della distinzione è posta la diversa funzione che l’assicurazione ha
nelle due ipotesi: nell’assicurazione danni il contratto ha una funzione indennitaria; nell’assicurazione
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vita il contratto, pur proponendosi di procurare i mezzi necessari al soddisfacimento dei bisogni
economici dell’assicurato, in relazione al verificarsi dell’evento assicurativo, non ha funzione
indennitaria. Da ciò derivano differenze sostanziali nelle due ipotesi. Nell’assicurazione danni, il danno
è il presupposto e il limite dell’assicurazione, nell’assicurazione vita questo presupposto e limite non
sussiste, in quanto l’assicurazione non ha funzione indennitaria ma ha la funzione di assicurare una
somma atta a soddisfare i bisogni che si produrranno con il verificarsi dell’evento.
2. Il contratto e le sue vicende
La conclusione del contrato
La conclusione del contratto di assicurazione è regolata dai principi generali in tema di contratti.
•
Una prima deroga ai principi generali è posta in relazione alla efficacia della proposta.
Stabilisce l’art 1887 cc che la proposta scritta diretta all’assicuratore rimane ferma per il
termine di 15 gg o di 30 gg ,se occorra una visita medica a decorrere dalla data di spedizione o
di consegna all’assicuratore o ad un suo agente. Questa deroga trova una giustificazione nella
necessità che l’assicuratore ha di accertare quelle circostanze oggettive che sono rilevanti nella
valutazione del rischio e nella determinazione del premio.
•
Altra deroga riguarda la prova del contratto: il principio della libertà della prova trova una
limitazione in tema di assicurazione richiedendosi la prova scritta del contratto. Tale prova è
apprestata dalla polizza di assicurazione o da altro documento che l’assicuratore è obbligato a
consegnare al suo contraente e del quale a richiesta e a sue spese è tenuto a rilasciare duplicati.
La funzione della polizza è quella di prova del contratto, talora la polizza viene redatta
all’ordine o al portatore ed in tal caso assume la natura di titolo improprio attuandosi
attraverso il trasferimento della polizza la cessione del credito nei confronti dell’assicuratore e
riconoscendosi al giratario o al portatore della polizza la legittimazione ad esigere. La
circolazione della polizza importa circolazione del credito verso l’assicuratore e non anche
automaticamente la circolazione dell’assicurazione. La richiesta della prova scritta risponde ad
esigenze di certezza rispetto ad un contratto particolarmente complesso. Sostanzialmente alla
volontà delle parti è rimesso il regolamento dei reciproci rapporti, il legislatore però intende
che alcune disposizioni dettate a tutela dell’assicurato considerato contraente più debole, non
possono essere derogate se non nel senso più favorevole all’assicurato, e dispone che le
clausole che stabiliscono deroghe a norme in senso meno favorevole all’assicurato siano
sostituite di diritto da corrispondenti disposizioni di legge. Ad esempio la legge intende reagire
a quella prassi seguita nelle polizze per effetto della quale si stabiliscono lunghi termini di
durata del contratto o si rende eccessivamente oneroso l’esercizio del diritto di recesso alla
scadenza (cd disdetta) disponendo che nel caso di durata poliennale l’assicurato ha facoltà di
recedere annualmente dal contratto senza oneri e con preavviso di 60 gg e limitando nel tempo
l’efficacia della proroga tacita.
Assicurazione per conto altrui e per conto di chi spetta
Vi può essere una non coincidenza della persona di colui che contrae l’assicurazione con la persona
dell’assicurato sia perché l’assicurazione è contratta a mezzo di rappresentante sia perché pur essendo
200
contratta l’assicurazione in nome proprio essa è tuttavia contratta per conto altrui o per conto di chi
spetta.
Nel caso in cui l’assicurazione sia contratta a mezzo di rappresentante la sola deroga riguarda l’ipotesi
del rappresentante senza poteri per la quale si dispone:
-
L’obbligazione personale del rappresentante senza poteri all’adempimento del contratto fin
quando non interviene la ratifica o il rifiuto della ratifica da parte dell’interessato deve
corrispondere il premio relativo al periodo di assicurazione in corso al momento della
comunicazione del rifiuto di ratifica.
-
La possibilità di ratifica dell’interessato anche dopo la scadenza ddel contratto o il verificarsi
dell’evento.
Il contratto di assicurazione posto in essere dal rappresentante vincola il rappresentante senza poteri
all’adempimento degli obblighi assunti in nome altrui e vincola altresì l’assicuratore essendo rimesso
unicamente all’interessato di farlo proprio o di farne cessare gli effetti.
Nel caso in cui l’assicurazione sia contratta in nome proprio ma x conto altrui o per conto di chi spetta
particolari deroghe vengono apportate ai principi del mandato senza rappresentanza. Infatti mentre
nel mandato il mandatario acquista i diritto e gli obblighi derivanti dal contratto stipulato con il terzo,
anche se questi è a conoscenza del mandato, nell’assicurazione in questione pur rimanendo a carico
del contraente gli obblighi e pur non avendo l’assicuratore alcun diritto nei confronti del mandante i
diritti derivanti dal contratto spettano esclusivamente all’assicurato e il contraente non può farli
valere senza espresso consenso di lui anche se è in possesso della polizza. La deroga si giustifica il base
ai principi dell’assicurazione i quali non consentono che sulla base del contratto di assicurazione possa
acquistare i diritti chi non ha interesse all’assicurazione.
Polizze di abbonamento. Polizze globali o collettive
Il contratto di assicurazione può riguardare l’assunzione di un rischio singolo o di una pluralità di
rischi. In questa seconda ipotesi può accadere che i rischi possano al momento del contratto essere
determinati soltanto nella loro configurazione astratta e non anche nel loro numero, nella loro
consistenza si parla in tal caso di polizze di abbonamento o globali o collettive. Mediante le polizze di
abbonamento si assicurano tutti i rischi di una determinata categoria afferenti la persona
dell’assicurato nel tempo di durata del contratto, mediante quelle globali o collettive si assicurano i
rischi afferenti la persona dell’assicurato in funzione della comprensione delle cose assicurate in una
determinata azienda o della relazione di dipendenza di una determinata persona da una determinata
impresa. I singoli rischi possono assumere una loro autonomia e dar luogo a distinti rapporti di
assicurazione o invece essere dedotti in contratto come una pluralità unificata.
Assicurazione di pluralità di rischi autonomi
Quando il contratto è destinato a coprire una pluralità di rischi autonomi possono verificarsi tre
ipotesi:
•
L’assicurazione dei singoli rischi è facoltativa per entrambe le parti. In qst caso manca la
volontà attuale di stringere un rapporto di assicurazione, le parti si limitano a fissare lee
modalità di futuri contratti in previsione della loro stipulazione.
201
•
•
L’assicurazione dei singoli rischi è obbligatoria per una delle parti. In qst caso è previsto
l’obbligo di una parte di stipulare questi contratti quando la parte in facoltà ( di solito
l’assicurato) lo richieda.
L’assicurazione dei singoli rischi è obbligatoria per entrambe le parti. . in qst caso esiste
sia la predisposizione di una regolamentazione dei futuri rapporti di assicurazione sia la
volontà attuale di stringere tali rapporti.
Stipulazione del contratto a mezzo di agenti
Il contratto di assicurazione può essere stipulato oltre che dall’assicuratore a mezzo dia genti
espressamente autorizzati alla conclusione dei contratti. I poteri di rappresentanza dell’agente sono
quelli che risultano dalla procura. I contratti conclusi con gli agenti possono modificare e risolvere i
contratti stessi a meno che ciò non sia escluso nell’atto di conferimento di poteri e la legittimazione
attiva e passiva nelle controversie relative ai contratti da essi posti in essere. È riconosciuto all’agente
di assicurazione la legittimazione a ricevere il pagamento di premi.
Le vicende del contratto di assicurazione
Esse in quanto non siano regolate da principi particolari sono disciplinate da principi generali in tema
dei contratti, essendo particolare la struttura del contratto di assicurazione cioè un contratto di durata
a titolo oneroso. Esistono specifiche norme al fine di fissare le conseguenze che sul contratto
determinano le vicende relative all’impresa di assicurazione. La legge prevede distintamente le ipotesi
di fusione, scissione, concentrazione di azienda e di cessione del portafoglio e stabilisce che in qst
ipotesi il contratto di assicurazione non si scioglie ma continua con la società incorporante o che
risulta dalla fusione o con la società che assorbe l’azienda ecc. in caso di liquidazione coatta
amministrativa il contratto di assicurazione si scioglie ma lo scioglimento non è automatico ma si attua
su richiesta degli assicurati, da dirigersi al commissario liquidatore e con effetto dal ricevimento della
richiesta. In mancanza i contratti di assicurazione rimangono efficaci per 60 gg dalla pubblicazione del
decreto di liquidazione nella GU. L’assicurato ha diritto di far valere la nullità del contratto con
conseguente restituzione dei premi pagati quando esso sia stipulato da impresa non autorizzata o alla
quale sia stato fatto divieto di assumere nuovi affari.
Prescrizione dei diritti derivanti dal contratto
Il diritto al pagamento del premio si prescrive in un anno a decorrere dalla scadenza mentre il diritto
all’indennità si prescrive in due anni a decorrere dal giorno in cui si è verificato l’evento.
3. L’assicurazione contro i danni
I vari rami dell’assicurazione contro i danni
Un evento può determinare un danno:
•
In quanto distrugga o menomi un bene esistente nel patrimonio dell’assicurato (esempio
assicurazioni contro gli incendi, i furti, il gelo, la mortalità del bestiame)
202
•
•
In quanto imponga a carico dell’assicurato una responsabilità
In quanto determini la cessazione di un lucro
Funzione indennitaria e interesse nell’assicurazione contro i danni
Presupposto dell’assicurazione è in tutte le ipotesi l’interesse all’assicurazione, cioè fino alla
conclusione del contratto ci deve essere una relazione tra la persona dell’assicurato e l’evento
assicurativo, tale che verificandosi l’evento il danno incide sul patrimonio dell’assicurato. Nelle
assicurazioni di cose tale interesse sussiste non solo quando l’assicurato è proprietario ma anche
quando l’assicurato abbia un diritto reale più limitato di godimento o di garanzia. L’interesse
all’assicurazione oltre che presupposto costituisce nell’assicurazione danni un limite nel senso che non
soltanto non ci può essere un’assicurazione senza interesse ma non ci può essere assicurazione oltre
l’interesse. La funzione indennitaria dell’assicurazione impone che l’assicuratore sia tenuto al
risarcimento del danno subito e che l’assicurazione non sia contratta per una somma superiore a
quella che corrisponde al massimo danno che l’assicurato può risentire in conseguenza del verificarsi
dell’evento.
Sovrassicurazione e pluralità di assicurazioni
In relazione alle assicurazioni relative a cose la legge fa divieto della sovrassicurazione cioè
dell’assicurazione per una somma superiore a quella che rappresenta il valore economico del diritto
che l’assicurato ha sulla cosa. La violazione del divieto se c’è stato dolo del contraente importa
invalidità del contratto, se non ci è stato dolo il contratto ha effetto fino a concorrenza del valore reale.
La legge impone che nel caso in cui per lo stesso rischio siano contratte più assicurazioni da diversi
assicuratori, l’assicurato dia avviso dell’esistenza di esse a tutti gli assicuratori. La violazione se dolosa
esonera gli assicuratori dall’obbligo del pagamento dell’indennità.
Il danno risarcibile: la surroga dell’assicuratore
Principio fondamentale è quello che il valore delle cose perite o danneggiate va determinato con
riferimento al momento del sinistro , solo nell’assicurazione dei prodotti del suolo il danno si
determina in relazione al valore che i prodotti avrebbero avuto al tempo della maturazione o della
raccolta. Ci può essere anche una determinazione preventiva del valore della cosa assicurata al
momento della conclusione del contratto attraverso una stima accettata per iscritto dalle parti (
articolo 1908 cc). L’obbligo dell’assicuratore sussiste nei limiti stabiliti dal contratto soltanto in
relazione al danno effettivamente subito in conseguenza del verificarsi dell’evento. Tale obbligo si
ripartisce tra i vari coassicuratori nel caso di coassicurazione. Il danno risarcibile è soltanto il danno
emergente. Al fine di evitare che l’assicurato ricavi un lucro dall’assicurazione la legge prevede la
surrogazione dell’assicuratore nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili fino a concorrenza
dell’indennità corrisposta. La surrogazione non si attua quando il danno sia causato senza dolo da
parte di parenti o affini dell’assicurato con lui conviventi o da domestici. L’assicurato non deve
pregiudicare il diritto di surrogazione ritenendolo altrimenti responsabile nei confronti
dell’assicuratore. L’assicuratore non risponde dei danni o dei maggiori danni determinati da vizio della
cosa non denunciato nel contratto.
Obbligo di avviso e di salvataggio
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Alla funzione indennitaria del contratto rispondono altresì gli obblighi che incombono sull’assicurato
di fronte al verificarsi del sinistro e cioè l’obbligo di avviso e di salvataggio. In mancato adempimento
ha rilevanza giuridica solo in quanto colposo o doloso.
•
•
L’obbligo di avviso si trae dalla necessità dell’assicuratore di conoscere esattamente come si è
determinato il sinistro e le conseguenze dannose che ne sono derivate e ciò hai fini
dell’accertamento del danno. L’avviso deve essere dato all’assicuratore o all’agente nel termine
di tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o in cui l’assicurato ne ha avuto
conoscenza.
L’obbligo di salvataggio si trae dalla necessità di limitare al massimo il danno. A esso
corrisponde l’obbligo dell’assicuratore di rimborsare le spese e risarcire i danni materiali
provocati dai mezzi adoperati per il salvataggio. Il rimborso e il risarcimento vanno
proporzionati all’interesse che l’assicuratore aveva nel salvataggio e cioè tenendo conto della
parte che il valore assicurato rappresenta rispetto al valore della cosa.
L’inadempimento di tali obblighi in caso di dolo comporta la perdita del diritto all’indennità, ne
comporta una riduzione dell’indennità in caso di colpa.
Circolazione del rapporto assicurativo
Non si deve confondere la necessità dell’esistenza del rapporto tra assicurato ed evento assicurativo
con la necessità di una permanenza di questo rapporto in capo alla stessa persona. Al fine di consentire
il permanere dell’assicurazione nonostante il mutamento della persona dell’interessato la pratica ha
escogitato l’assicurazione per conto di chi spetta nella quale assicurato è colui che al momento del
verificarsi dell’evento si trova con questo nel rapporto voluto dalla legge, a questo fine la legge
all’articolo 1918 cc prevede il trasferimento ex lege del rapporto assicurativo come conseguenza
dell’alienazione delle cose assicurate. Tale congegno soddisfa le esigenze pratiche stabilendosi la
continuazione del rapporto assicurativo, a beneficio dell’acquirente, e consentendosi sia all’acquirente
sia all’assicuratore di non continuarlo.
L’assicurazione della responsabilità civile
Il codice pone espressamente i principi fondamentali sull’assicurazione della responsabilità civile.
Quest’ultima è contratta al fine di tenere indenne l’assicurato di quanto è tenuto a pagare a un terzo, in
conseguenza di un fatto dannoso accaduto durante il tempo dell’assicurazione nello svolgimento
dell’attività prevista nel contratto. La responsabilità dell’assicurato nei confronti del terzo può
dipendere anche da un fatto illecito dell’assicurato. La legge esclude i danni derivanti da fatti dolosi. Da
ciò è sorto il dubbio se l’obbligo del risarcimento debba ritenersi escluso oltre che nel caso di fatto
doloso dell’assicurato anche in quello di fatto doloso delle persone di cui l’assicurato debba
rispondere. La giurisprudenza e la dottrina. Considerando che l’assicurazione di responsabilità civile
rientra nel genus assicurazione danni ritengono che sia coperto dall’assicurazione anche il danno
derivante dal fatto doloso delle persone di cui l’assicurato deve rispondere. Anche secondo ferri la
soluzione appare esatta. È infatti da tener presente che il danno tenuto a risarcire è quello che si
produce nel patrimonio dell’assicurato, non quello subito dal terzo danneggiato. Orbene questo danno
quando sia conseguenza dell’operato di persone di cui per legge si deve rispondere non deriva mai da
fatto doloso esso è conseguente al rapporto di preposizione e trova il suo fondamento nella legge.
204
Il terzo danneggiato non ha azione diretta nei confronti dell’assicuratore e difronte all’inerzia
dell’assicurato nei riguardi dell’assicuratore egli potrebbe avvalersi solo dell’azione surrogatoria
quando ne ricorressero gli altri presupposti. Il credito del terzo danneggiato nei confronti
dell’assicurato ha privilegio sull’indennità dovita dall’assicuratore. L’obbligo dell’assicuratore è
limitato alla somma assicurata, infatti manca la possibilità di una determinazione preventiva del valore
assicurabile. L’obbligo dell’assicuratore si estende anche alle spese di giudizio sostenute
dall’assicurato per resistere all’azione del terzo danneggiato purchè non superino il quarto della
somma assicurata. Le polizze determinano con precisione le ipotesi in cui l’obbligo dell’assicuratore
sorge e i fatti dannosi che sono coperti dall’assicurazione. Determinano anche i rapporti tra
assicuratore e assicurato in ordine alla gestione della lite nei confronti del terzo danneggiato. Il diritto
dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore si determina in funzione del diritto del terzo nei
confronti dell’assicurato in conseguenza di ciò il termine di prescrizione, due anni, decorre dal giorno
in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all’assicurato o ha promosso contro di questo l’azione.
L’assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti
Particolari atteggiamenti assume l’assicurazione della resp civile derivante dalla circolazione dei
veicoli a motore e dei natanti. Non soltanto si è posto il principio dell’obbligatorietà dell’assicurazione
ma si è costituito presso una società concessionaria servizi assicurativi pubblici (consap) un fondo di
garanzia per le vittime della strada e si è posto a carico di questo fondo il risarcimento del danno nelle
ipotesi in cui il sinistro sia provocato da un veicolo o da un natante non identificato, qualora il veicolo
o il natante non risulti coperto da assicurazione, l’impresa di assicurazione presso la quale questi sia
stato assicurato si trovi in stato di liquidazione coatta amministrativa o il veicolo sia posto nin
circolazione contro la volontà del proprietario o ancora il sinistro sia stato cagionato daa un veicolo
privo di assicurazione spedito in italia da altro stato comunitario. Un risarcimento del danno se pur in
misura più limitata è apprestato quindi anche al di fuori di un contratto di assicurazione. Per quanto
attiene al rapporto assicurativo i profili più significativi consistono da un lato nell’attribuzione al
danneggiato di un’azione diretta nei confronti dell’assicuratore dall’altro lato al riconoscimento al
danneggiato di una posizione autonoma rispetto a quella dell’assicurato nei limiti della polizza. Si
tratta di un’azione diretta e non di un diritto proprio del danneggiato nei confronti dell’assicuratore.
Già nel sistema del codice il danneggiato era legittimato a ricevere la prestazione dall’assicuratore.
L’azione diretta rispondendo alla causa stessa dell’assicurazione di resp civile è attribuita al
danneggiato anche quando l’assicurazione ecceda i limiti entro i quali essa sia obbligatoria. Mentre nel
sistema originario soltanto nei limiti dei massimali minimi stabiliti dalla legge si riconosceva al
danneggiato un’autonomia di posizione rispetto a quella dell’assicurato, nel sistema attuale sono
inopponibili nei confronti del danneggiato le eccezioni derivanti dal contratto o dalle sue clausole per
l’intero massimale di polizza con la conseguenza che la posizione del danneggiato e stata resa
interamente autonoma eliminandosi così quella duplicità di posizione in parte di autonomia e di parte
di dipendenza che sussisteva nel sistema precedente. Le ragioni sono che si intende accelerare la
liquidazione dell’indennità e il primo presupposto per raggiungere questa finalità è quello di
svincolare dal contratto il diritto al pagamento dell’indennizzo. I rapporti tra assicuratore e
danneggiato riguardano l’accertamento della resp e la determinazione del danno risarcibile, se questo
danno rientra nel massimale della polizza la corrispondente indennità deve essere comunque pagata
dall’assicuratore. Oggi l’autonomia della posizione del danneggiato riguarda l’intero massimale
previsto in contratto riguarda cioè un diritto che dal contratto deriva e che soltanto dal contratto può
derivare. Oggi quindi si tratta di stabilire come e perché un diritto derivante da un contratto si
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autonomizzi quando sia fatto valere dal terzo danneggiato. Una giustificazione può ricavarsi dal fatto
che la legge speciale in aggiunta al contratto e cioè alla polizza di assicurazione richiede l’emissione da
parte dell’assicuratore un certificato di assicurazione e di un contrassegno di assicurazione da lui
firmato nel quale sono indicati il numero della targa del veicolo e dell’anno mese e gg di scadenza dl
periodo di assicurazione per il quale sono stati pagati i premi. Sono qst i documenti rilevanti ai fini
della circolazione dei veicoli e sulla base di essi che il danneggiato è legittimato a proporre l’azione
diretta nei confronti dell’assicuratore. La polizza di assicurazione pur essendo il presupposto per il
rilascio di questi documenti rimane un atto puramente interno. Vi è cioè in aggiunta al contratto e alla
polizza una dichiarazione unilaterale dell’assicuratore che attesta che un’assicurazione è in atto fino a
una certa data e che i relativi premi sono stati pagati e che quindi esso assicuratore è tenuto al
pagamento dell’indennità. Si tratta di una dichiarazione che si dirige ai terzi e che è rilevante nei loro
confronti. La fonte diretta del rapporto per il terzo danneggiato non è il contratto ma la dichiarazione
contenuta nel certificato e nel contrassegno di assicurazione.
4. l’assicurazione sulla vita
Funzione e atteggiamenti
L’assicurazione sulla vita, pur assolvendo a funzioni di previdenza, non ha carattere indennitario.
L’assicurato attraverso il pagamento di un premio mira a procurarsi una somma o una rendita in
relazione a un evento della vita umana. L’ammontare della somma o della rendita è rimesso alla
determinazione dell’assicurato. Eventi attinenti alla vita umana sono gli eventi normali e cioè comuni
alla vita di ogni uomo e sostanzialmente si riducono alla morte e alla sopravvivenza. Il rischio assunto
dall’assicuratore nelle assicurazioni sulla vita è essenzialmente connesso alla durata della vita umana o
alla morte, e appunto per questo si distinguono la assicurazioni per il caso di morte e quelle per il caso
di vita. Il rischio può dipendere dal fatto che si renda esigibile la somma assicurata, in conseguenza
della morte dell’assicurato o della sua longevità, come può dipendere dal fatto che in conseguenza
della morte dell’assicurato si arresti il pagamento dei premi. Sono assicurazioni per caso di morte,
quelle in cui la morte costituisce l’evento dal quale dipende il rischio dell’assicuratore, nel senso che il
suo verificarsi importa un aggravamento nella posizione dell’assicuratore; sono assicurazioni per caso
di vita quelle in cui è la sopravvivenza che importa un aggravamento nella posizione dell’assicuratore.
La assicurazioni a termine fisso per le quali l’assicuratore si obbliga al pagamento di un capitale ad
epoca fissa, convenendo però che in caso di morte dell’assicurato, si arresti il pagamento dei premi, o
le assicurazioni miste, per le quali l’assicuratore si obbliga a corrispondere un capitale alla morte
dell’assicurato o in caso di sopravvivenza oltre un dato limite, rientrano tra le assicurazioni per il caso
di morte in quanto è questo l’evento al quale è connesso il rischio dell’assicuratore. Sono assicurazioni
per il caso di vita quelle in cui l’assicuratore si obbliga a corrispondere un capitale ad epoca fissa o in
determinate occasioni, se l’assicurato sarà ancora in vita, o si obbliga a corrispondere una rendita
vitalizia, perché in questi casi è dalla sopravvivenza che dipende l’aggravarsi della posizione
dell’assicuratore.
Assicurazione sulla vita di un terzo e assicurazione a favore di terzo
L’assicurazione può essere contratta sulla propria vita o su quella di un terzo, ma in quest’ultimo caso
se si tratta di assicurazione per il caso di morte è necessario un ulteriore presupposto, quello del
consenso scritto del terzo o di un suo legale rappresentante. L’assicurazione sulla vita può essere
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validamente stipulata a favore di terzi. Il beneficiario acquista un diritto proprio ai vantaggi
dell’assicurazione in conseguenza della designazione, la quale può essere fatta sia nel contratto di
assicurazione, sia mediante successiva dichiarazione, sia per testamento. Equivale a designazione di
beneficiario l’attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una persona
determinata. L’assicurazione a favore del terzo beneficiario rientra nella figura più generale del
contratto a favore di terzi. La designazione può essere revocata anche quando il beneficiario abbia
comunicato all’assicuratore per iscritto di voler profittare del beneficio. La designazione del
beneficiario diviene irrevocabile:
•
•
•
Quando essendovi stata rinunzia scritta alla revocabilità da parte del contraente, il beneficiario
ha dichiarato al contraente di voler profittare del beneficio e la rinunzia del contraente e la
dichiarazione del beneficiario sono state comunicate per iscritto all’assicuratore
Con la morte del contraente, essendo il potere di revoca un potere personalissimo non
trasmissibile agli eredi
Quando, essendosi verificato l’evento, il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del
beneficio
In queste ipotesi, la revoca che fosse successivamente disposta non ha addirittura effetto. Anche
quando la designazione del beneficiario sia irrevocabile, essa non ha effetto se il beneficiario attenti
alla vita dell’assicurato e può essere revocata, ove la designazione sia stata fatta a titolo di liberalità,
per ingratitudine o per sopravvenienza dei figli.
Acquisto iure proprio del diritto all’indennità da parte del terzo beneficiario
Anche quando la designazione del beneficiario è contenuta nel testamento, il beneficiario acquista il
diritto iure proprio, non anche iure haereditario: egli pertanto conserva i benefici dell’assicurazione
anche quando rinunci all’eredità. Questo diritto egli acquista direttamente nei confronti
dell’assicuratore e pertanto la somma assicurata in nessun momento può considerarsi entrata nel
patrimonio dell’assicurato. I creditori dell’assicurato nessun diritto possono vantare sulle somme
assicurate e gli eredi dell’assicurato non possono in alcun modo ricomprendere nell’asse ereditario la
somma assicurata. Data la funzione di previdenza alla quale risponde l’assicurazione sulla vita, la legge
sottrae espressamente le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario alle azioni
esecutive e cautelari dei creditori.
Recesso dal contratto: riscatto e riduzione della polizza : Nelle assicurazioni sulla vita di durata
pluriennale è consentito al contraente di recedere ad nutum dal contratto, dopo il primo anno, e come
la legge desume la volontà di recedere dal mancato pagamento dei premi alle scadenze stabilite. In
relazione a questa possibilità di recesso ad nutum è posta la norma che prevede, per il caso di recesso ,
la possibilità di riscatto o di riduzione della polizza. La legge tiene conto infatti che attraverso il
pagamento dei premi il contraente ha adempiuto parzialmente la sua prestazione, mentre
l’assicuratore, in conseguenza del recesso, viene ad esimersi dal compiere la sua.
5. la riassicurazione
Coassicurazione e riassicurazione; i trattati di riassicurazione
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Lo stesso assicuratore si trova normalmente nella necessità di riversare in tutto o in parte, i rischi
derivanti dall’esercizio dell’attività assicurativa su altro assicuratore. Ciò si attua attraverso la
coassicurazione, nella quale più assicuratori assumono uno stesso rischio, ciascuno per una
determinata quota ,sua attraverso la cessione di portafoglio, per effetto della quale viene ceduto ad
altro assicuratore tutto un complesso di contratti di assicurazione, sia attraverso la riassicurazione.
Con la coassicurazione il rischio viene ripartito tra più assicuratori per quote determinate. Il sistema
vigente ne conosce due forme: quella dell’art 1911 c.c. secondo cui in tal caso ogni assicuratore è
responsabile unicamente per la sua quota e di conseguenza l’eventuale incarico ad uno di essi di
gestire l’intero rapporto nei confronti dell’assicurato ( la c.d. delega) significa soltanto l’attribuzione di
un potere di rappresentanza degli altri; e la coassicurazione comunitaria in cui cioè la ripartizione
delle quote di rischio avviene tra imprese con sede in altro stato membro della comunità europea, che
deve essere stipulata con un contratto unico e deve obbligatoriamente prevedere la nomina di un
delegatario tenuto, salva la rivalsa nei confronti degli altri assicuratori, al pagamento dell’intera
indennità assicurativa. La riassicurazione è un contratto di assicurazione con il quale nei limiti
stabiliti nel contratto stesso, l’assicuratore si copre il rischio assunto nei confronti dell’assicurato. Può
essere contratta in relazione a singoli rischi sulla base di contratti stipulati di volta in volta;
normalmente però è contratta globalmente o per categorie di rischi sulla base di contratti normativi, i
cc.dd. contratti o trattati generali di riassicurazione. I trattati di riassicurazione possono essere
diversamente conformati: possono prevedere l’obbligo dell’assicuratore di riassicurare tutti i rischi
della categoria prevista nel contratto e l’obbligo del riassicuratore di coprire tutti i rischi nella misura
stabilita; l’obbligo dell’assicuratore di assicurare tutti i rischi e la facoltà del riassicuratore di non
accettare quelli che non siano di suo gradimento. Nell’ipotesi di riassicurazione mediante trattati è
necessario distinguere il trattato di riassicurazione dalla singola applicazione assicurativa. Il rapporto
di riassicurazione è l’effetto delle singole applicazioni mentre i trattati hanno, salvo quelli obbligatori
per entrambe le parti, valore di accordo normativo. Il sorgere dei singoli rapporti di riassicurazione è
subordinato a presupposti diversi a seconda che l’assicurazione, in base al trattato, sia obbligatoria o
facoltativa per entrambe o una delle parti. La legge si limita ad affermare la necessità della forma
scritta ai fini della prova del trattato di riassicurazione, mentre sottrae le singole applicazioni e i
contratti di riassicurazione per i singoli rischi alle esigenze di prova previste per l’assicurazione in
genere.
Natura ed effetti della riassicurazione: La riassicurazione rientra nella categoria della assicurazioni
danni, in quanto mira a coprire l’assicuratore dalla diminuzione patrimoniale che deriva dall’obbligo
del pagamento della somma assicurata, quando l’evento si verifichi. Si tratta di una specie analoga
anche se distinta, alla assicurazione della responsabilità civile; la diversità consiste infatti soltanto in
ciò che nella riassicurazione il rischio dipende dal sopravvenire di una obbligazione contrattuale,
nell’assicurazione della responsabilità civile il rischio dipende dal sopravvenire di una obbligazione di
risarcimento danni ( contrattuale o extracontrattuale). La riassicurazione non crea rapporti tra
l’assicurato e il riassicuratore, ma soltanto rapporti tra riassicurato e riassicuratore. Il diritto del
riassicurato nei confronti del riassicuratore si fionda sull’insorgere dell’obbligo del riassicurato di
corrispondere l’indennità di assicurazione. È soltanto in quanto un obbligo dell’assicuratore sussista
che sorge l’obbligo del riassicuratore.
Il conto di gestione: Normalmente i rapporti tra riassicuratore e riassicurato vengono regolati
mediante un conto di gestione nel quale vengono indicate le partite attive e passive e che viene per lo
più chiuso annualmente.
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