Cap.8 – LA MISURA DELLA CAPACITA’ PRODUTTIVA 8.1 La misura della capacità produttiva: problemi generali Il problema della misura della capacità produttiva di un sistema economico coincide con l’identificazione di tecniche le quali permettano, sulla base di opportune ipotesi, di giungere ad una stima del livello di produzione potenziale del sistema. Il grado di utilizzo della capacità produttiva o grado di utilizzo degli impianti, si può definire come rapporto fra la produzione effettiva e quella potenziale o massima del sistema. La valutazione della capacità produttiva, e quindi del livello di utilizzo di quest’ultima, rappresenta un argomento di ricerca di notevole interesse per statistici ed economisti e, al tempo stesso, di grande rilevanza nella determinazione delle scelte di politica economica. Come già mostrato nel capitolo 6, una corretta misurazione del grado di utilizzazione della capacità produttiva del sistema è infatti indispensabile al fine di ottenere, a livello macroeconomico, una misura non distorta del livello della produttività globale dei fattori. Un ulteriore motivo di interesse deriva dalla possibilità di utilizzare il concetto di capacità produttiva come punto di partenza per ottenere per via indiretta una misura del ciclo economico e quindi prevedere l’approssimarsi di fasi di recessione o di espansione. Infine, il grado di utilizzazione della capacità 310 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica produttiva del sistema costituisce una variabile esplicativa di fondamentale importanza nella costruzione di modelli econometrici per la stima e la previsione della domanda di beni di investimento. Al fine di fornire una definizione rigorosa del concetto di capacità produttiva è necessario soffermarsi preliminarmente sul concetto di reddito potenziale il quale assume una diversa connotazione a seconda che si assuma di trovarsi in un sistema economico chiuso, senza rapporto alcuno con l’estero, oppure in un’economia aperta. Ponendosi in un’ottica di tipo macroeconomico, nel caso di un’economia chiusa il reddito potenziale coincide con il massimo reddito ottenibile in seguito ad un pieno utilizzo dei fattori produttivi disponibili. Diversamente, in un’economia aperta, i termini del problema vanno reimpostati dal momento che bisogna tener conto del ruolo delle importazioni le quali sono suscettibili di modificare la capacità di offerta. Ne segue che, adottando la definizione di reddito potenziale appena fornita, nel breve periodo, il conseguimento del reddito potenziale si potrebbe accompagnare ad un andamento disastroso dei conti con l’estero oppure ad un forte processo inflazionistico. Per questi motivi, con riferimento ad un’economia aperta risulta senz’altro più utile far riferimento ad una formulazione alternativa del concetto di reddito potenziale ridefinito come il massimo della produzione conseguibile in abbinamento a valori accettabili o sostenibili di alcune variabili di controllo come inflazione e saldo della bilancia dei pagamenti. Sul piano teorico questa definizione, seppur permettendo di superare i limiti della precedente, presenta tuttavia un ampio margine di soggettività legato alla difficoltà di identificare in maniera oggettiva: a) le variabili di controllo rilevanti b) i livelli di soglia al di sotto dei quali il valore delle variabili di controllo possa ritenersi accettabile. Un approccio di natura empirica, senz’altro meno rigoroso sul piano teorico ma, al tempo stesso, estremamente proficuo sul piano operativo, consiste nello stimare il reddito potenziale in termini di un reddito medio o massimo conseguito nel passato. In tal modo si rinunzierebbe ad ottenere una stima di tale variabile per via diretta, aggirando così il problema concettuale legato alla necessità di giungere ad una definizione del reddito potenziale rigorosa e coerente sul piano economico. Quest’ultimo, infatti, verrebbe stimato empiricamente attraverso l’estrapolazione di tendenze passate. 8.2 Principali approcci seguiti in letteratura ed alcune definizioni Diverse ed apparentemente contraddittorie sono le definizioni del concetto di capacità produttiva che sono state fornite in letteratura. Tuttavia, nel quadro generale delineato dalla discussione cui si è fatto cenno nella sezione precedente, il ricorso ad una di esse piuttosto che ad un’altra assume rilievo in relazione allo specifico contesto di riferimento nel quale ci si trova ad operare. E’ innanzitutto necessario distinguere la nozione di capacità produttiva in senso tecnico da quella di capacità produttiva in senso economico. In senso tecnico, la capacità produttiva coincide con la massima produzione ottenibile sulla base di una normale organizzazione della produzione ed una illimitata disponibilità di risorse. Il riferimento ad una organizzazione della produzione ritenuta “normale” introduce in questa definizione un ampio margine di soggettività. Sono infatti tanti e tali i fattori che agiscono nel determinare le condizioni organizzative nelle quali si svolge il processo produttivo da rendere per nulla agevole, se non impossibile, l’identificazione di parametri tecnici i quali consentano di definire in modo oggettivo i limiti all’interno dei quali tali condizioni si possano ritenere “normali”. Basti pensare, ad esempio, alle ricadute sull’organizzazione del processo produttivo che possono avere variazioni nei tempi di manutenzione o riparazione dei macchinari o nella politica di gestione delle scorte e degli approvvigionamenti. In senso economico, nel determinare la capacità produttiva si fa riferimento alla massima produzione compatibile con dei vincoli di carattere economico che vengono generalmente a coincidere con criteri di ottimalità espressi in termini di costo e\o profitto. Una prima accezione molto diffusa fa corrispondere la capacità produttiva in senso economico al livello di produzione che minimizza il costo medio (capacità del minimo costo medio). In condizioni di concorrenza perfetta quest’ultimo coincide con il livello di produzione di equilibrio in corrispondenza del quale il costo medio, il costo marginale, il prezzo ed il ricavo marginali sono uguali. In tal senso si dice che, in questo caso, la capacità massima coincide con la capacità ottima. Una generalizzazione del concetto appena enunciato consiste nel definire la capacità produttiva come quel livello di produzione che consente di mantenere la differenza fra costo marginale e costo medio 312 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica di breve periodo al di sotto di un certo livello obiettivo ritenuto accettabile. Quest’ultimo viene generalmente espresso in termini percentuali (capacità del costo medio sostenibile).. Un approccio alternativo definisce invece la capacità produttiva in senso economico come il livello al quale le aziende reputano opportuno produrre, dato il livello attuale della domanda e la tendenza del mercato prevedibile sulla base dell’informazione disponibile (capacità preferita). E’ opportuno sottolineare che nelle analisi macroeconomiche e, in particolare, in quelle congiunturali, ha senso considerare il concetto di capacità produttiva nella sua accezione economica piuttosto che in quella tecnica La capacità produttiva dell’intero sistema economico o di una singola unità produttiva, infine, può essere valutata rispetto a tutte le risorse coinvolte nel processo produttivo oppure rispetto al solo fattore capitale. Nel primo caso si parla di capacità produttiva in senso lato mentre, nel secondo, di capacità produttiva in senso stretto. 8.3 Alcuni metodi per la misura della capacità produttiva Nel corso di questa sezione verrà presentata una rassegna di alcuni fra i più diffusi approcci alla stima della capacità produttiva avendo soffermandoci sui limiti e sui vantaggi che ciascuno di essi presenta. In generale, distingueremo metodi che giungono ad una misura diretta della capacità produttiva, basati sulle risultanze di indagini dirette presso le imprese e gli altri operatori economici, da metodi che invece fanno uso di modelli econometrici per giungere ad una stima indiretta della capacità produttiva sulla base dell’analisi delle serie storiche relative ad alcune variabili economiche ritenute significative. Fra i primi ci soffermeremo sull’indagine condotta periodicamente in Italia dall’ISAE (Istituto di Studi e Analisi Economica)1 mentre, per quanto riguarda gli approcci di carattere econometrico, i metodi che verranno presi in considerazione considerati sono: il metodo del trend dei picchi 1 Fino al 1998 alcune delle attuali funzioni dell’ISAE, in particolare quelle relative all’analisi della congiuntura, erano svolte dall’Istituto per lo Studio della Congiuntura (ISCO). L’ISAE nasce nel 1999 dalla fusione di altri due enti di ricerca pubblici: l'Istituto Nazionale per lo Studio della Congiuntura (ISCO) e l'Istituto di Studi per la Programmazione Economica (ISPE). anche noto come metodo della Wharton School, il metodo del rapporto capitale-prodotto ed il metodo della Banca d’Inghilterra. 8.3.1 L’ indagine ISAE Le indagini condotte presso le imprese al fine di misurare la capacità produttiva dell’economia, generalmente, non si basano sulla rilevazione diretta di dati di tipo quantitativo relativi al processo produttivo ma bensì sulla raccolta di informazioni di tipo qualitativo sulle aspettative delle imprese coinvolte nell’indagine. Tali indagini sono di tipo campionario e vengono svolte periodicamente, con cadenza mensile (o al più trimestrale). L’informazione da esse prodotta ricopre un ruolo vitale ai fini dell’analisi della congiuntura. In Italia la più importante indagine di questo tipo è quella condotta mensilmente dall’ISAE2 presso le imprese estrattive e manifatturiere. Si tratta di una indagine campionaria nella quale la rilevazione coinvolge ogni mese un panel ragionato di circa 4000 imprese. L’unità di rilevazione è data dall’unità locale (con almeno 10 addetti). Ai fini della selezione del campione, le imprese vengono stratificate per regione, settore di attività economica (classificazione NACE) e per dimensione. Le interviste vengono effettuate in parte tramite invio del questionario a mezzo posta ed in parte tramite telefono basandosi su un sistema di tipo CATI (Computer Assisted Telephone Interview). Il questionario somministrato alle imprese, oltre a richiedere informazioni di natura quantitativa relative al numero di addetti, contiene diciotto domande di natura qualitativa le quali hanno il fine di raccogliere informazioni relativamente allo stato attuale ed alle prospettive di breve periodo (3-4 mesi) di alcune fra le più significative variabili aziendali: ordinativi, giacenze di prodotti finiti, produzione, liquidità, prezzi e costo del denaro. Agli intervistati viene inoltre chiesto di esprimere un giudizio sulla tendenza generale dell’economia italiana. Le domande incluse nel questionario sono a risposta chiusa e, in particolare, l’intervistato può scegliere fra tre diverse modalità del tipo, ad esempio, “alto”, “normale” o “basso” oppure “crescita”, “stazionario”, “decrescita”. Le risposte individuali vengono aggregate secondo uno schema di ponderazione che usa il 2 Una indagine analoga viene condotta negli USA dal National Bureau of Economic Research (NBER). 314 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica numero degli addetti dell’impresa (rilevato dalla stessa indagine) per ponderare le risposte fornite all’interno della stessa branca produttiva (es. industria dell’abbigliamento) ed il valore aggiunto (stimato dall’ISTAT) per aggregare le risposte di diverse branche produttive. Sebbene l’inchiesta si svolga con cadenza mensile, le informazioni relative alla capacità produttiva vengono richieste solo trimestralmente. Agli intervistati viene chiesto se, tenuto conto degli ordini e\o della domanda attesa nei prossimi dodici mesi, l’attuale capacità produttiva è da considerarsi “più che sufficiente”, “sufficiente” o “insufficiente”. I risultati dell’indagine vengono sintetizzati in forma di frequenze relative associate alle singole modalità. Ad esempio, date le tre modalità considerate dall’indagine più che sufficiente (+), insufficiente (-) e sufficiente (=), ed indicato con R(+), R(-), R(=) il numero di rispondenti per ciascuna modalità, le rispettive frequenze relative saranno: P(+)=R(+) / R; P(-)=R(-) / R P(=)=R(=)/R con R(+)+R(-)+R(=)=R e P(+)+P(-)+P(=)=1, dove R rappresenta il numero totale dei rispondenti. Sulla base dei valori assunti da tali frequenze relative, è possibile prevedere se il livello di utilizzazione della capacità produttiva tenderà verosimilmente a crescere, decrescere o rimanere stazionario. Un modo alternativo di esprimere in maniera sintetica i risultati dell’indagine si basa sul calcolo dei cosiddetti saldi di opinione ottenuti come differenza fra le frequenze associate alle diverse modalità. Nel computo dei saldi di opinione non vengono considerate le modalità neutre ovvero si tiene conto solo delle differenze fra le frequenze associate alle modalità estreme. Nel caso di tre sole modalità di risposta, quindi, il saldo sarà ottenuto come: S=P(+)-P(-) Nell’ambito della indagine ISAE, una eccezione al riguardo è rappresentata dalla domanda relativa alle giacenze di prodotti finiti dove il saldo viene calcolato come differenza fra la frequenza associata alla modalità “superiore al normale” e la somma di quelle associate alle modalità “inferiore al normale” e “nessuna scorta.” Si è da più parti osservato come i saldi di opinione, i quali offrono un utile strumento per la valutazione delle aspettative, siano tipicamente caratterizzati dalla presenza di stagionalità. In linea con quanto già fatto dall’ISTAT, al fine di depurare le serie ottenute dagli effetti della componente stagionale, dal marzo 2002 l’ISAE ha adottato il software di destagionalizzazione TRAMO-SEATS in sostituzione del software X11-ARIMA precedentemente utilizzato. Un problema di fondamentale importanza nelle indagini congiunturali riguarda la possibilità di tradurre i saldi di opinione in informazioni di carattere quantitativo sul livello della variabile di interesse. Rifacendosi al concetto di funzione di risposta (Theil, 1961), sotto opportune condizioni, è possibile dimostrare l’esistenza di una relazione di proporzionalità fra il saldo delle opinioni e l’intensità di variazione della variabile (produzione, prezzi, ecc.) e quindi utilizzare delle procedure matematiche ad hoc per giungere ad una quantificazione del livello di tale variabile. La descrizione di queste procedure esula dagli scopi del presente volume. Ad ogni modo, l’ipotesi di base è che l’intervistato risponda con modalità positiva (+) se il fenomeno indagato supera un certo livello, con modalità negativa (-) se il fenomeno assume un valore inferiore ad una soglia predeterminata e con modalità neutra (=) per valori intermedi. Nelle indagini congiunturali del tipo condotto dall’ISAE è importante che le modalità di riposta siano scelte in maniera da favorire al tempo stesso (i) una risposta libera (ossia da ricomprendere l’intera gamma delle possibilità) (ii) da consentire aggregazioni significative. Nel valutare le risultanze dell’indagine va inevitabilmente tenuto conto della natura soggettiva dei giudizi formulati dagli intervistati e dell’inevitabile reticenza di alcune imprese a fornire qualsiasi tipo di informazione sull’andamento corrente e sulle prospettive della propria attività. A questo si deve inoltre aggiungere che agli operatori intervistati non viene fornita alcuna definizione del concetto di capacità produttiva. Malgrado ciò, l’indagine presenta l’indubbio pregio della tempestività oltre a consentire la misurazione statistica di fenomeni di natura soggettiva come le aspettative degli operatori economici. Queste ultime, difficilmente catturabili tramite rilevazioni di natura quantitativa, costituiscono una delle principali determinanti delle variazioni della capacità produttiva e del grado di utilizzazione della stessa. 316 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica 8.3.2 Il metodo del “trend dei picchi” o metodo della Wharton School Tale metodo consente di ottenere una misura della capacità produttiva di tutti i fattori (capacità produttiva in senso lato). L’indice calcolato può tuttavia essere interpretato come una misura della capacità del capitale ovvero della capacità produttiva in senso stretto qualora si complementi l’analisi con l’ulteriore assunzione che il capitale costituisca il solo fattore limitativo della produzione. Per l’applicazione del metodo è necessario disporre delle serie storiche degli indici mensili ISTAT della produzione industriale per classe o categoria di attività economica. L’ipotesi di base sulla quale il metodo si fonda è che a punti di massimo relativo, detti “picchi”, nelle serie storiche degli indici della produzione industriale corrisponda una piena utilizzazione della capacità produttiva. Dopo aver depurato le serie dalla stagionalità, al fine di evitare che le stime ottenute risentano degli effetti di fluttuazioni erratiche di breve periodo, legate ad esempio ad avvenimenti eccezionali di carattere più o meno transitorio, si procede ad una ulteriore aggregazione dei dati su base trimestrale. Quindi, l’analisi non viene condotta sulla serie mensile originaria ma sulla serie delle medie trimestrali dell’indice della produzione industriale così ottenuta. Il passo successivo consiste nell’individuazione dei punti di massimo relativo o picchi. A tal fine si possono seguire criteri di tipo automatico oppure la scelta può anche essere di tipo ragionato. Un esempio di criterio automatico di identificazione è dato dalla semplice regola di decisione, in passato adottata da diversi enti ed istituzioni, in base alla quale un dato valore osservato dell’indice (IPIt) costituisce un picco se esso risulta maggiore dei valori osservati nel trimestre precedente e nei due trimestri successivi ovvero se sono soddisfatte simultaneamente le due condizioni: IPIt> IPIt-1 3 e IPIt>max(IPIt+1, IPIt+2)3 Si noti che, individuando i picchi sulla base di criteri di questo tipo, è in teoria possibile ottenere dei punti nei quali la capacità produttiva supera il 100%. In tal caso si assume che il valore eccedente rappresenti esso stesso un picco, trascurando invece il picco immediatamente successivo. Regole di decisione di questo tipo ben si prestano ad essere implementate in una procedura software consentendo il trattamento di un elevato numero di serie in tempi molto ristretti. In periodi nei quali la produzione settoriale è caratterizzata da accentuate fluttuazioni cicliche possono tuttavia portare all’individuazione di picchi spuri. Per questo motivo, seppur a svantaggio della tempestività, spesso si preferisce ricorrere a criteri ragionati. Una via di mezzo, la quale consente di abbinare i vantaggi dei due approcci, consiste nel ricorrere ad una regola di decisione di tipo automatico la quale sia però in grado di incorporare informazioni ausiliarie (relative, ad esempio, all’intensità media dell’aumento della produzione nell’ultimo periodo, andamento delle scorte e ammontare della spesa per investimenti) le quali consentano di individuare con buona approssimazione il raggiungimento di un punto di minimo nella curva dei costi medi. Nel nostro paese, una procedura di questo tipo è stata in passato adottata dalla Banca d’Italia. Una volta individuati i picchi, infine, l’andamento del prodotto potenziale stimato viene a coincidere con quello della spezzata ottenuta congiungendo i picchi stessi e, per ogni trimestre, il grado di utilizzazione della capacità produttiva viene ottenuto come rapporto fra l’indice osservato e il corrispondente valore individuato sulla spezzata così costruita (Fig. 8.1). Fig.8.1. Esempio di applicazione del metodo del trend dei picchi o metodo della Wharton School 318 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica IPI prodotto potenziale 0 tempo Diverse sono le osservazioni e le perplessità che il metodo descritto ha suscitato fra economisti e statistici economici. Innanzitutto, va sottolineato che, qualunque sia la regola di decisione adottata, la scelta dei picchi rimane entro certi limiti arbitraria ed, inoltre, non è possibile rinvenire nella teoria economica valide argomentazioni per cui in coincidenza dei punti di massimo debba registrarsi l’uguaglianza fra prodotto osservato e prodotto potenziale. Il metodo, inoltre, si fonda sull’ipotesi che la capacità produttiva cresca linearmente nell’intervallo fra un picco e l’altro. Sebbene, nel breve periodo, tale ipotesi possa considerarsi entro certi limiti realistica, lo stesso non può dirsi se si passa a considerare periodi più lunghi, di durata uguale o superiore all’anno. Non è, infine, possibile ottenere una stima della capacità produttiva per gli estremi della serie, ovvero per l’intervallo che precede il primo picco osservato e per quello successivo all’ultimo picco, se non ricorrendo ad un’estrapolazione lineare della serie della capacità stimata al di fuori dell’intervallo di osservazione. 8.3.3 Il metodo del rapporto capitale-prodotto Alla base del metodo del rapporto capitale-prodotto vi è l’ipotesi che il capitale costituisca l’unica risorsa scarsa. A differenza del precedente, esso si configura esclusivamente come un metodo per la misura della capacità produttiva in senso stretto. Ad essere presa in considerazione è solo la relazione fra prodotto potenziale e stock di capitale utilizzato senza tenere il alcun modo conto degli effetti che variazioni nella disponibilità, nella qualità e nei prezzi relativi degli altri fattori potrebbero comportare. Ne segue che la capacità produttiva viene implicitamente definita come il livello massimo oltre il quale non è possibile spingere la produzione senza dover ricorrere a nuovi investimenti. L’applicazione del metodo richiede la disponibilità delle serie storiche dello stock di capitale (K) e del reddito prodotto (Y) per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Si procede quindi alla costruzione della serie storica dei rapporti rt = Kt Yt t=1,…,T dove Kt e Yt indicano lo stock di capitale esistente ed il reddito effettivamente prodotto con riferimento al generico periodo t. Alla base del metodo vi è l’ipotesi che lo stock di capitale Kt sia rigido nel breve termine mentre il secondo è flessibile. Il reddito potenziale viene così a coincidere con quello che realizza il minimo rapporto capitale-prodotto. Formalmente, se si assume che il raggiungimento del livello di piena utilizzazione della capacità produttiva da parte del sistema coincida con l’anno θ in cui la serie dei rapporti rt assume il suo valore minimo rθ, per ogni anno t=1,…,T, una stima del grado di utilizzazione della capacità produttiva viene ottenuta calcolando il rapporto: ct = rθ rt il quale altro non è che il rapporto fra i reciproci delle produttività parziali generiche del capitale in θ e t. 320 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica Va tuttavia notato come il valore del rapporto K/Y possa variare nel tempo anche a seguito di variazioni nella produttività del capitale. Quindi, perché le variazioni del rapporto capitale-prodotto riflettano variazioni nella capacità produttiva, è necessario assumere che, nel periodo oggetto di studio, non intervenga alcuna variazione nei fattori che agiscono nel determinare la produttività del capitale. In particolare,è necessario introdurre le ulteriori ipotesi che la produzione avvenga in regime di coefficienti fissi e che il progresso tecnico sia neutrale. Se si considerano intervalli di tempo sufficientemente lunghi, le ipotesi precedentemente formulate potrebbero non essere più verificate. In tal caso, le variazioni della serie di rapporti ct non sarebbero imputabili esclusivamente a variazioni intervenute nella capacità produttiva del sistema ma anche all’azione di altre cause come, ad esempio, progresso tecnico, accresciuta disponibilità di risorse e miglioramenti nella qualità degli altri fattori della produzione. Queste cause non mancherebbero di avere effetto sulla produttività del capitale. In tal modo, a seguito di una produttività del capitale crescente, si verrebbe ad osservare nell’andamento della serie dei rapporti capitale/prodotto (rt) una tendenza di fondo alla decrescita (componente tendenziale o trend). In questo caso, al fine di ottenere delle misure non distorte della capacità produttiva, si rende necessario effettuare la stima attraverso una procedura a due stadi. Al primo stadio la serie viene preventivamente depurata della componente tendenziale specificando per quest’ultima un opportuno modello statistico. La scelta più semplice consiste nel ricorrere ad una funzione lineare del tempo: Kt = a + bt + u t Yt i cui parametri (a,b) possono essere stimati con il metodo dei minimi quadrati. La serie dei rapporti capitale/prodotto depurati dalla componente tendenziale si ottiene (i) calcolando gli scarti della componente tendenziale stimata Tˆt = aˆ + bˆt rispetto alla propria media e (ii) sottraendo la serie degli scarti dalla serie originaria. Al secondo stadio, infine, una stima della capacità produttiva viene ottenuta applicando la procedura sopra descritta alla serie depurata dal trend (Fig. 8.2). Il metodo illustrato si presta ad essere applicato con buoni risultati in quei paesi caratterizzati da un offerta di lavoro abbondante ed una disponibilità di capitale limitata come, ad esempio, l’Italia degli anni 60’. Le critiche mosse al metodo del rapporto capitale-prodotto riguardano per lo più la sua scarsa flessibilità. La validità delle stime ottenute dipende infatti da una serie di assunzioni e vincoli che non sempre potrebbero essere simultaneamente verificati. Non sono inoltre rinvenibili nell’ambito della teoria economica della produzione argomentazioni valide per cui un basso valore del rapporto K/Y debba necessariamente coincidere con il raggiungimento del pieno utilizzo della capacità produttiva, dal momento che diversi sono i fattori che incidono sul valore di tale rapporto. Sorgono infine alcune non trascurabili perplessità legate alla robustezza del metodo rispetto alla presenza di valori eccezionali. La scelta di adottare un numeratore comune nella costruzione della serie delle stime ct fa sì che la presenza di un valore eccezionale in θ venga ad influenzare pesantemente i valori stimati per l’intero periodo di osservazione. Similmente, la presenza di capacità inutilizzata in θ porterebbe ad una sovrastima del livello di utilizzazione della capacità produttiva, non solo in θ ma anche negli altri periodi. Fig. 8.2. Esempio di applicazione del metodo del rapporto capitaleprodotto 322 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica K\Y Kt/Yt Tt=a+bt serie Kt\Yt depurata dal trend tempo 8.3.4 I metodi basati sulla funzione di produzione: il metodo della Banca di Inghilterra Una vasta categoria di metodi basa il calcolo della capacità produttiva sull’individuazione della relazione che sussiste fra le risorse impiegate ed il massimo prodotto realizzabile. Come visto nel cap. 6, tale relazione viene sintetizzata in una particolare funzione matematica nota come funzione di produzione, la quale misura la quantità massima di prodotto realizzabile a partire dalle quantità assegnate di ciascun fattore produttivo. Se si assume come misura dell’output il valore aggiunto Y, la funzione di produzione sarà del tipo: (1) Yt=F(Kt, Lt, a) dove Kt e Lt sono le quantità di lavoro e capitale impiegate ed a è un vettore di parametri incogniti stimabile con il metodo dei minimi quadrati e che caratterizza la particolare funzione di riferimento. Una volta identificata e stimata la funzione di produzione (1), una misura del prodotto potenziale Yt* può essere ottenuta sostituendo a Kt e Lt il loro livello potenziale ovvero i valori massimi di occupazione e capitale disponibile. Il livello di utilizzazione della capacità produttiva al tempo t viene quindi calcolato rapportando il livello teorico Yt* a quello osservato Yt . Fra i metodi basati sull’impiego della funzione di produzione, assume particolare importanza il cosiddetto metodo della Banca d’Inghilterra. Tale metodo fa riferimento ad una nozione di capacità produttiva analoga a quella su cui si basa il metodo del rapporto capitale-prodotto. Per la sua applicazione è necessario disporre delle serie storiche trimestrali dello stock di capitale e dell’indice della produzione industriale. Nell’ipotesi di una illimitata offerta di lavoro, per sintetizzare la relazione esistente fra prodotto e stock di capitale osservati, si fa riferimento ad una funzione di produzione del tipo: (2) IPIt=F(Kt, a) dove IPIt rappresenta l’indice della produzione industriale nel trimestre t e Kt costituisce una misura dello stock di capitale a metà del trimestre t. E’ importante notare come, diversamente dalla (1), la funzione di produzione (2) esprima la relazione “media” di lungo periodo fra prodotto e capitale osservato. Le stime da essa ottenute ∧ ( IPI t ) vengono quindi a misurare il valore teorico dell’indice che si sarebbe realizzato in assenza di fluttuazioni di natura ciclica, stagionale e\o erratica piuttosto che un valore massimo ottenibile in condizioni operative normali. L’applicazione del metodo presume che la massima utilizzazione della capacità produttiva coincida con il trimestre θ nel quale viene registrato il valore massimo della serie delle differenze: ∧ (3) ∆IPI = IPI t − IPI t Il prodotto potenziale viene quindi stimato attraverso la relazione: 324 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica ∧ IPI t* = η + IPI t (4) con η = max(∆IPI ) . In altre parole, la curva del prodotto potenziale risulta essere parallela a quella del prodotto medio descritta dalla funzione (2) e l’intercetta aggiuntiva η misura la distanza fra le due curve (Fig. 8.3). Il grado di utilizzazione della capacità produttiva viene infine stimato come rapporto fra l’indice della produzione industriale nel trimestre t e l’indice potenziale così stimato. Nella formulazione originaria del metodo, la funzione interpolatrice usata per la stima dell’indice teorico era data da una funzione lineare dello stock di capitale a metà trimestre (Kt). Nelle applicazioni successive si è spesso fatto ricorso a formulazioni via via più complesse. Alcune varianti del metodo, al fine di mantenere costante il livello teorico della capacità utilizzata calcolato come : ∧ IPI t / IPI t* prevedono che la curva dell’indice potenziale sia costruita a partire dalla funzione interpolatrice stimata in maniera tale da mantenere costante la differenza relativa fra le due curve: ∧ δ= IPI t* − IPI t ∧ IPI t piuttosto che la loro differenza assoluta η. In generale l’affidabilità delle stime ottenute dall’applicazione del metodo illustrato dipenderà in maniera determinante dal tipo di funzione interpolatrice adottato per cui occorre riporre particolare cura nell’identificazione della forma funzionale di quest’ultima. Ancora una volta va senza dubbio sottolineato che ci troviamo di fronte ad una procedura di carattere empirico dal momento che la teoria economica non ci suggerisce ragioni per cui la capacità massima debba necessariamente eguagliare il massimo della produzione raggiunto nel passato. Fig. 8.3. Esempio di applicazione del metodo della Banca di Inghilterra IPI prodotto potenziale ( IPI * ) η prodotto osservato (IPI) ∧ prodotto medio ( IPI ) K 8.4. Capacità produttiva e stima della domanda di investimenti: alcuni problemi generali La previsione della domanda di beni di investimento riveste un ruolo di importanza primaria ai fini dell’analisi della congiuntura. Nei conti nazionali l’aggregato degli investimenti coincide con il valore dei beni materiali mobili, durevoli e riproducibili acquistati dai produttori per essere utilizzati nel processo produttivo, per un periodo superiore all’anno, e dei servizi in essi incorporati. Nel capitolo 3 si è visto come, ai fini della stima del capitale con il metodo dell’inventario permanente, gli investimenti vengano identificati con le spese necessarie per accrescere annualmente lo stock di capitale 326 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica fisso oppure semplicemente per rimpiazzare i beni capitali soggetti ad usura o obsolescenza. La domanda di beni di investimento può essere quindi effettuata dagli operatori economici del sistema al fine aumentare la capacità produttiva degli impianti o anche al solo fine di mantenere invariata quella esistente attraverso il semplice rinnovo dei macchinari usurati o obsoleti. Ciò ci aiuta a capire come dal punto di vista economico esista uno stretto legame fra le dinamiche del grado di utilizzo degli impianti e della domanda di beni a scopo di investimento. In particolare, in molti modelli, la domanda di beni di investimento al tempo t (It) viene messa in relazione con i valori del grado di utilizzo della capacità produttiva osservati nei periodi precedenti.. All’avvicinarsi o all’allontanarsi del grado di utilizzo degli impianti alla situazione di pieno impiego, associata al conseguimento del reddito potenziale, corrisponderanno una maggiore o minore pulsione all’investimento. A questo punto è necessario fare due considerazioni. Innanzitutto, va sottolineato come in questo contesto il concetto di capacità produttiva vada inteso in senso stretto. In secondo luogo, nello studio della relazione fra investimenti e utilizzazione della capacità produttiva non si può non considerare il ruolo molto importante ricoperto dalle aspettative degli imprenditori. Come sopra accennato, è possibile giungere ad una quantificazione delle aspettative attraverso inchieste congiunturali del tipo promosso mensilmente dall’ISAE. Ovviamente, il grado di utilizzo degli impianti non costituisce l’unica variabile rilevante nel determinare il livello degli investimenti ma vanno considerati diversi altri fattori. Variazioni durature della domanda aggregata potrebbero infatti rendere necessario un aumento della produzione al quale, in condizioni di invarianza dei prezzi relativi dei fattori produttivi ed in regime di rendimenti di scala costanti, si potrà far fronte solo attraverso l’acquisto di nuovi beni capitali. Nei modelli econometrici, in genere, si utilizza il valore aggiunto stimato come una proxy del livello della domanda aggregata. In taluni casi variazioni nei prezzi relativi dei fattori produttivi potrebbero agire quale determinante degli investimenti. Nel caso in cui, ad esempio, il costo del fattore lavoro aumenti sensibilmente e tale variazione sia percepita come duratura, le imprese saranno portate a sostituire capitale a lavoro attraverso l’acquisto di nuovi macchinari. Un’altra importante variabile è senz’altro data dal livello dello stock di capitale e, più specificatamente, dalla differenza fra lo stock di capitale effettivo dell’impresa ed il livello ottimale di tale variabile determinato sulla base dei prezzi relativi dei fattori primari lavoro e capitale. Tale differenza rappresenta l’investimento desiderato che permetterebbe di raggiungere il livello ottimale dello stock di capitale. Il quadro di riferimento cambia a seconda del tipo di ipotesi formulate sulla sostituibilità dei fattori nel processo produttivo. E’ possibile distinguere due differenti situazioni: a) piena sostituibilità tra fattori produttivi ex ante ed ex post (modello putty-putty) ovvero la combinazione ottimale dei fattori produttivi varia liberamente, senza vincolo alcuno, al variare dei prezzi relativi. b) sostituibilità tra fattori ex ante ma non ex post (modello puttyclay) ovvero, una volta prescelta la combinazione ottima, quest’ultima non può variare al variare dei prezzi relativi dei fattori produttivi. Si pensi, ad esempio, ad un’azienda che ha avviato un processo di riorganizzazione dell’attività produttiva: una volta installati nuovi macchinari e stabilimenti ed una volta assunto nuovo personale esistono dei vincoli di carattere tecnico, economico ed istituzionale che nel breve periodo limitano la possibilità di dismettere gli impianti e di licenziare il personale. Non va infine trascurato il ruolo ricoperto dalla disponibilità di liquidità e dalla profittabilità degli investimenti. Come proxy della prima variabile viene spesso utilizzato il livello dei profitti passati mentre i profitti correnti possono, sotto opportune condizioni, costituire un indicatore attendibile dei profitti attesi. Al fine di giungere, in un’ottica di breve periodo, ad una previsione affidabile della domanda di investimenti non è però sufficiente individuare le variabili rilevanti che influiscono sul livello della variabile di interesse ma anche il ritardo temporale (delay) con cui esse agiscono e la forma della relazione funzionale che lega tali variabili alla domanda di investimenti. La scelta delle variabili da inserire nella funzioni viene suggerita dalla teoria economica mentre per i successivi due passi è necessario fare ricorso a tecniche statistiche di identificazione del modello. 328 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica 8.5 Reddito potenziale ed analisi della congiuntura Il concetto di reddito potenziale assume particolare rilievo nel campo della previsione congiunturale. Gli approcci classici basati sull’impiego di indicatori congiunturali consentono, in generale, di prevedere l’insorgere di fasi di espansione e di recessione del sistema economico ma risultano di scarsa utilità qualora ci si ponga in un’ottica di pianificazione nella quale si vuole prevedere l’allontanarsi o l’approssimarsi del sistema ad un sentiero di crescita ritenuto ottimale o sostenibile al fine di adottare in anticipo gli opportuni correttivi, ove richiesto. Tale giudizio di ottimalità mira a verificare la compatibilità dell’evoluzione della serie storica del prodotto osservato con degli obiettivi predefiniti in termini delle principali variabili macroeconomiche (disoccupazione, inflazione, crescita etc.). Sul piano statistico, per ogni istante temporale, tale sentiero ideale di crescita ben si presta ad essere rappresentato da una stima del reddito potenziale generata da un modello econometrico il quale incorpora i vincoli imposti dal criterio di ottimalità adottato. Si giunge così ad una generalizzazione dell’analisi congiunturale classica in cui anche in presenza di un reddito stabilmente crescente ci si può trovare in fase di recessione se il tasso di crescita del reddito è inferiore a quello della serie del reddito potenziale. Si dirà quindi che un sistema economico è in espansione qualora il reddito prodotto cresca nel tempo tendendo ad avvicinarsi al reddito potenziale e, viceversa, si dirà che il sistema è in recessione qualora il reddito prodotto si allontani progressivamente dal reddito potenziale. L’utilità di una simile impostazione risiede nel fatto che essa, non solo, consente di stabilire se un sistema sia in fase di espansione o di recessione, ma anche di quantificare il margine di manovra disponibile a disposizione delle autorità che decidono la politica economica del paese al fine di adottare delle opportune manovre correttive che consentano di raggiungere il tasso di crescita programmato, preservando i vincoli eventualmente specificati in termini di altre variabili critiche. 8.6 Grado di utilizzo degli impianti e sviluppo locale: un’analisi dei dati recenti Come si è visto nel paragrafo 8.5, dall’analisi dei dati relativi al grado di utilizzo della capacità produttiva di una sistema economico si possono trarre delle informazioni utili per la previsione della congiuntura o anche solo per l’identificazione del profilo ciclico che caratterizza un dato periodo. E’ quindi facile capire come la disponibilità di dati di questo tipo sia di grande interesse non solo a livello nazionale ma anche per l’analisi della congiuntura a livello sub-nazionale: regionale o di ripartizione territoriale. In Italia, trimestralmente, l’ISAE, nell’ambito dell’indagine presso le imprese estrattive e manifatturiere, rende pubblici i dati relativi al grado di utilizzo degli impianti a livello di ripartizione territoriale (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud). Nella Tav. 8.1, per ciascuna ripartizione, sono state riportate le serie storiche relative al grado di utilizzo degli impianti negli anni 2000 e 2001. Si sono prese in considerazione sia le serie grezze che i dati destagionalizzati. Rispetto ai dati grezzi, i dati destagionalizzati offrono infatti delle indicazioni maggiormente attendibili ai fini dell’analisi congiunturale. Il grafico dei dati destagionalizzati (Fig. 8.4 - b) mostra come i valori più elevati vengano registrati per il Nord-Est (Emilia-Romagna, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) caratterizzato da una evidente crescita (da 80.7 a 83.2%) negli ultimi 6 mesi del 2001, dopo la marcata flessione registrata nel secondo trimestre dell’anno (da 82.6 a 80.7%). Si può notare come tale tendenza alla crescita non risulta altrettanto evidente dall’analisi dei dati grezzi (Fig. 8.4 - a) in quanto mascherata dalla presenza di una marcata componente stagionale. Il Nord-Ovest (Piemonte, Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia), dopo la ripresa dell’ultimo trimestre del 2001 (da 78.5 a 82.2%, dati destag.) risulta in calo per tutto il 2001 scendendo a livelli inferiori a quelli del Centro (Toscana, Marche, Umbria Lazio): 74 contro 77.3% alla fine del 2001(dati destag.). I valori più bassi vengono registrati per il Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna) caratterizzato da una forte flessione nell’ultimo trimestre del 2001 (da 75.2 a 71.3%, dati destag.). 330 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica Tav .8.1. Grado di utilizzo degli impianti per ripartizione territoriale – anni 2000-2001 (Fonte: ISAE) Grado di utilizzo degli impianti - dati grezzi NORD OVEST NORD EST CENTRO SUD Q1 2000 80,3 82 76,7 76,9 Q2 2000 79,5 83,7 79,7 77 Q3 2000 78,5 82,6 78,8 76,6 Q4 2000 80,7 81,4 79,5 77,4 Q1 2001 79,4 82,9 78,7 77 Q2 2001 76,6 81,8 79,7 75,7 Q3 2001 76,2 81,8 76,3 75,2 Q4 2001 72,5 81,8 77,3 71 Grado di utilizzo degli impianti - dati destagionalizzati NORD OVEST NORD EST CENTRO SUD Q1 2000 79,8 82,7 77,3 76,9 Q2 2000 78,8 82,6 78,6 76,6 Q3 2000 78,5 82,7 79,3 77,2 Q4 2000 82,2 82,7 79,5 77,6 Q1 2001 78,2 82,6 79,3 76,9 Q2 2001 76,6 80,7 78,5 75,5 Q3 2001 75,9 81,9 76,9 75,2 Q4 2001 74 83,2 77,3 71,3 Fig.8.4. Grado di utilizzo degli impianti (in %) per ripartizione territoriale negli anni 2000 e 2001: (a) dati trimestrali grezzi (b) dati trimestrali destagionalizzati. (a) 85 80 75 NORD OVEST NORD EST CENTRO SUD 70 65 60 Q1 2000 Q2 2000 Q3 2000 Q4 2000 Q1 2001 Q2 2001 Q3 2001 Q4 2001 (b) 86 84 82 80 78 NORD OVEST-SA 76 NORD EST-SA 74 CENTRO-SA SUD-SA 72 70 68 66 64 Q1 2000 Q2 2000 Q3 2000 Q4 2000 Q1 2001 Q2 2001 Q3 2001 Q4 2001 332 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica Di particolare interesse sono poi le informazioni che è possibile ricavare dall’analisi della dinamica dei saggi di variazione del livello di utilizzazione della capacità produttiva (Fig. 8.5). Indicato con gt il valore del grado di utilizzo degli impianti stimato al tempo t, questi ultimi sono calcolati come: γt = g t − g t −1 g t −1 E’ possibile notare come, a parte la flessione registrata nel secondo trimestre del 2001, il Nord-Est rappresenti l’unica area geografica del nostro paese ad essere caratterizzata, nel biennio di riferimento, da tassi di crescita positivi del grado di utilizzo. Fig.8.5. Grado di utilizzo degli impianti per ripartizione territoriale negli anni 2000 e 2001: saggi di variazione (dati destagionalizzati) (Fonte: elaborazione su dati ISAE) 0,06 0,04 0,02 NORD OVEST-SA NORD EST-SA 0 1 2 3 4 5 6 7 8 CENTRO-SA SUD-SA -0,02 -0,04 -0,06 Risultano invece in calo i tassi di crescita delle altre aree caratterizzati da un trend negativo che porta dapprima ad un rallentamento della crescita, nel corso del 2000, e quindi ad un calo sempre più marcato del livello di utilizzazione della capacità produttiva per tutto il 2001. L’unica eccezione è rappresentata dal Centro che nell’ultimo trimestre del 2001 mostra un moderato (+0.5%) aumento del grado di utilizzo degli impianti stimato dall’indagine. Singolare è anche l’andamento del Nord-Ovest che dal marcato aumento (+4.7%) fatto registrare nel quarto trimestre 2000 passa ad un altrettanto marcato calo nel primo trimestre del 2001. Il dato relativo ai saggi di variazione dei dati destagionalizzati è parzialmente in linea con quello fornito dalle variazioni tendenziali sui dati grezzi calcolate per l’anno 2001 (Tav. 8.2) come: γ~k , 2001 = g k , 2001 − g k , 2000 g k , 2000 dove con gk,j si è indicato il valore del grado di utilizzo degli impianti stimato per il trimestre k dell’anno j. Tav .8.2. Grado di utilizzo degli impianti per ripartizione territoriale variazioni tendenziali stimate per l’anno 2001 rispetto al 2000 (Fonte: elaborazione su dati ISAE) Grado di utilizzo degli impianti: variazioni tendenziali-anno 2001 NORD OVEST NORD EST CENTRO SUD Q1 2001 -0,011 0,011 0,026 0,001 Q2 2001 -0,036 -0,023 0,000 -0,017 Q3 2001 -0,029 -0,010 -0,032 -0,018 Q4 2001 -0,102 0,005 -0,028 -0,083 Le variazioni tendenziali costituiscono un modo semplice e rapido per giungere ad una misura della variazione relativo di un fenomeno economico che risulti, in maniera approssimativa, depurata dall’effetto della componente stagionale. In questo senso l’informazione che esse forniscono è comparabile con quella data dai saggi di variazione intertemporale dei livelli destagionalizzati. 334 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica Spunti per la discussione a) Definisci il concetto di capacità produttiva in senso tecnico ed economico. b) Illustra le differenti accezioni che il concetto di capacità produttiva assume in una economia chiusa ed in una economia aperta. c) Definisci cosa si intende panel ragionato di imprese. d) Cosa si intende per variazione tendenziale? e) Cosa è un sistema di rilevazione di tipo CATI e quali sono i vantaggi che derivano dalla sua adozione? f) Illustra i legami esistenti fra la stima della capacità produttiva del sistema economico e stima del trend di una serie storica. Nota bibliografica CIPOLLETTA I. (1992) Congiuntura Economica e Previsione, Il Mulino, Bologna. GUARINI R. E TASSINARI F. (1990) Statistica Economica, Il Mulino, Bologna. QUINTANO C. (1991) Capacità Produttiva e Funzione degli Investimenti, in G. MARBACH (a cura di), Statistica Economica, Utet, Torino. THEIL H. (1961) Economic Forecast and Policy, North Holland, Amsterdam. 336 – A.Santeusanio G.Storti – Statistica economica Cap.8 – LA MISURA DELLA CAPACITA’ PRODUTTIVA 309 8.1 La misura della capacità produttiva: problemi generali........................ 309 8.2 Principali approcci seguiti in letteratura ed alcune definizioni ............. 311 8.3 Alcuni metodi per la misura della capacità produttiva .......................... 312 8.3.1 L’ indagine ISAE 313 8.3.2 Il metodo del “trend dei picchi” o metodo della Wharton School 316 8.3.3 Il metodo del rapporto capitale-prodotto 319 8.3.4 I metodi basati sulla funzione di produzione: il metodo della Banca di Inghilterra 322 8.4. Capacità produttiva e stima della domanda di investimenti: alcuni problemi generali ............................................................................................. 325 8.5 Reddito potenziale ed analisi della congiuntura...................................... 328 8.6 Grado di utilizzo degli impianti e sviluppo locale: un’analisi dei dati recenti ............................................................................................................... 329 Spunti per la discussione ................................................................................. 334 Nota bibliografica ............................................................................................ 335