Meccanismi del danno lombare da movimentazione di

EUR MED PHYS 2008;44(Suppl. 1 to No. 3)
Meccanismi del danno lombare da movimentazione di carichi
manuali: diagnosi di medicina manuale
G. SABBADINI1, G. BRUGNONI2
1ASA
Introduzione
Molto ampia è la letteratura epidemiologica sul “low back pain”,
ma è difficile confrontare i risultati dei questionari e degli studi per
la diversità dei termini usati per definire la sintomatologia.
Tuttavia si può valutare la prevalenza intorno al 15-30% in un
dato momento, 19-43% in un mese e dal 60 al 70% durante tutta la
vita.
Ancora più limitata l’evidenza per la sciatica: come sintomo associato alla lombalgia intorno al 35% dei casi, ma come prevalenza
durante la vita la vera sciatica diagnosticata in base a severi criteri si
colloca intorno al 2-5 % con preponderanza nei maschi.
Per quanto riguarda la disabilità, cioè la perdita della capacità di
svolgere le attività della vita quotidiana e lavorativa, pressochè il 714% degli adulti negli Stati Uniti hanno dolore lombare che provoca
disabilità in un periodo di un anno1.
Anche per quanto riguarda la prevalenza e l’incidenza del LBP da
movimentazione di carichi manuali, non vi sono dati univoci. Può
essere pertanto interessante prendere in considerazione i dati che
riguardano la situazione ospedaliera. Stubbs e coll. (1983)2 su un
campione di 3912 infermieri inglesi ha trovato che la percentuale dei
soggetti che riferivano disturbi lombari nei dodici mesi precedenti
l’indagine era del 43% e tali disturbi sono stati la causa del 12% dei
giorni di assenza per malattia.
Dalle ricerche di Magora (1970)3, risultava che gli infermieri presentavano la prevalenza maggiore di lombalgia tra le varie categorie
di esposti; il dato risultava inferiore solo a quello relativo ai lavoratori della carta e del tessile. Dehlin (1976)4 riferisce che, da un’indagine sul lavoro di 267 infermiere in un ospedale geriatrico, di età
media di 29 anni, la lombalgia è risultata essere presente nel 46,8%
dei casi.
Questi dati sono talmente significativi che il National Institute of
Occupational Safety and Healt (NIOSH - USA)5 pone i disturbi
muscolo-scheletrici al secondo posto nella lista dei dieci problemi di
salute più rilevanti nei luoghi di lavoro.
Scopo del lavoro
Da questi dati epidemiologici seppur sommari, emergono alcune
considerazioni importanti.Prima di tutto l’importanza statistica di
questa patologia, cosicché ne sono interessati un gran numero di
medici, di medicina generale e di specialisti.
Poiché il dolore non è sempre facilmente correlabile alle immagini radiologiche, anche nel caso della degenerazione discale, e talora
anche per l’ernia del disco, presente e asintomatica in buona parte
della popolazione, è evidente che solo una semeiotica clinica, che
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Agenzia Sanità e Ambiente, Udine;
2Casa di Cura “Capitanio”, Milano
utilizzi manovre provocative del dolore, assai più concrete della
semplice palpazione di supposti movimenti intervertebrali, e nello
stesso tempo più semplice da eseguire, ripetibile con breve istruzione, e standardizzata, può consentire tale correlazione e condurre a
una diagnosi clinica molto più solida.
Esaminando i criteri medico-legali in uso nella diagnosi di Medicina del Lavoro, come vedremo basati soprattutto sulle immagini
radiologiche, abbiamo ritenuto utile esporre questa semeiotica che
può molto agevolare questa diagnosi.
Nello stesso tempo ci è parso interessante fornire ai Fisiatri gli
elementi di base, clinici e giuridici per la diagnosi delle patologie
lavoro- correlate per quanto riguarda il danno lombare, considerato
che, a norma di legge, tutti i medici devono essere in grado di valutare l’importanza della genesi professionale del danno, e ancora di
più questo vale per i Fisiatri continuamente confrontati col dolore
lombare.
Meccanismi di genesi del danno lombare
Sull’articolazione intervertebrale o unità funzionale vertebrale, nel
mantenimento delle diverse posture, agisce, oltre alla forza-peso dei
segmenti corporei sovrastanti, anche la forza sviluppata dai muscoli
del tronco di volta in volta coinvolti. Questa è a sua volta funzione
del tipo di postura o di movimento attivato, nonché delle eventuali
forze esterne applicate (ad esempio i pesi sollevati). Cosi, ad esempio, quando viene compiuto un gesto di sollevamento, con rachide
in massima flessione, di un peso dal pavimento, si realizza un notevole impegno dei muscoli erettori spinali che devono, con un braccio di azione molto corto (circa 5 cm.), eguagliare e addirittura superare la resistenza rappresentata dal peso del corpo flesso in avanti e
dal peso sollevato, che agisce peraltro con un braccio di azione molto più lungo rispetto al fulcro situato a livello discale. Si produce in
tal modo una contrazione muscolare molto intensa, che a sua volta
si trasforma in una forza compressiva sul complesso disco-vertebra.
All’interno delle unità funzionali lombari, la struttura più sensibile
si è dimostrata essere la cartilagine limitante vertebrale ove più facilmente si verificano, per carichi assiali elevati, delle microfratture che
di fatto rappresentano il primo passo verso la possibile degenerazione della colonna. D’altra parte, anche il disco intervertebrale si è
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SABBADINI
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dimostrato essere sensibile a carichi assiali e rotazionali elevati, che
possono indurre microfissurazioni nelle fibre concentriche dell’anulus fibroso, all’interno delle quali migra in parte il materiale del
nucleo polposo, dando così origine all’ernia discale.
Carico approssimativo per cmq. sul disco L3-L4 in un soggetto di
70 kg in differenti posture, movimenti, manovre6.
Supino
30 kg
Eretto
70 kg
Seduto eretto senza supporto
100 kg
Cammina
85 kg
Inclina il tronco
95 kg
Tronco flesso (20°)
120 kg
Tronco flesso (20°) con 10 kg in mano
185 kg
Solleva 20 kg, rachide eretto, ginocchi flessi
210 kg
Solleva 20 kg, rachide flesso, ginocchi estesi
340 kg
Individuazione della patologia come lavoro correlata
Ottaviani7, trattando la “spondilodiscoartrosi” distingue i quadri di
degenerazione vertebrale anteriore o intersomatica (comunemente
definita spondilodiscoartosi) e di “artrosi” posteriore o apofisaria.
Secondo questa classificazione, solo i quadri coinvolgenti il pilastro
anteriore sarebbero da attribuirsi a patologia lavoro-correlata, giacché in questo caso le alterazioni dei corpi vertebrali sono secondari
alla progressiva disidratazione, degenerazione e schiacciamento di
uno o più dischi intervertebrali adiacenti: a causa di questa alterazione strutturale dei dischi intervertebrali le sollecitazioni di pressione si concentrano sui bordi dei corpi vertebrali, con sclerosi reattiva delle limitanti somatiche superiore ed inferiore e proliferazione
osteofitaria marginale che, insieme alla riduzione dello spazio intersomatico, costituiscono la triade radiologica della spondilodiscoartrosi. Lo sviluppo in sede postero-laterale degli osteofiti che, in corrispondenza del forame di coniugazione, possono giungere a interferire con la rispettiva radice nervosa e poi a comprimerla, costituisce una complicazione del quadro spondiloartrosico, la cui presenza, in assenza di una compromissione primitiva del disco che deve
essere considerato il vero e proprio organo bersaglio delle attività di
movimentazione manuale dei carichi, di per sé non rende tale quadro oggetto di valutazione dell’esistenza di una malattia professionale. Per quanto riguarda la “Ernia discale lombare”, vanno separatamente considerate le forme in atto con o senza compromissione
radicolare e le forme ridotte chirurgicamente, così come una particolare attenzione interpretativa va dedicata alla protrusione con o senza interessamento radicolare. Si ritiene in Medicina del Lavoro, che
la rilevanza clinica di un’ernia discale si configura quando l’ estroflessione interferisce con le strutture nervose, giacché le altre condizioni anatomo-patologiche non determinano condizioni clinicamente
significative. Ed è altresì noto che anche semplici protrusioni discali
possono esercitare un’ azione irritativo-compressiva sulle strutture
nervose: anche in questo caso la lesione assume un’ apprezzabile
evidenza clinica. L’interpretazione delle ernie e delle protrusioni
discali che non determinano un conflitto con le strutture nervose dovrà avvenire utilizzando i criteri indicati per la valutazione delle
spondilodiscopatie. In sintesi, sembra razionale affermare che costituiscono oggetto di valutazione, dal punto di vista medico legale, in
presenza di una sintomatologia sia pur minima e il riscontro di qualche sia pur minimo riflesso funzionale, le seguenti forme patologiche: 1) quadri di artrosi lombare anteriore che siano radiologicamente caratterizzati almeno dalla triade: a) sclerosi reattiva delle
limitanti somatiche superiore ed inferiore; b) proliferazione osteofitaria marginale; c) riduzione dello spazio intersomatico. 2) alterazioni
del disco intervertebrale rese evidenti con appropriati esami di dia-
2
gnostica per immagini (RM o TC), comprese anche le protrusioni
discali, purché determinino interessamento radicolare.
Valutazione del danno da movimentazione manuale dei carichi
Esiste un livello sotto al quale le linee guida non si ravvisa necessità di una valutazione del rischio da movimentazione manuale dei
carichi, rischio definito da due punti: 1) carico superiore a 3 kg per
azioni di movimentazione svolte in via non occasionale; 2)azioni
occasionali in cui il carico si avvicina ai valori limite, derivabili con
metodi ad indice che devono soddisfare il rigore deduttivo nella analisi causa-effetto, per le ricadute che la stessa ha in campo assicurativo, civile e penale. Si riconoscono tali requisiti al metodo NIOSH
(Tab. I)8: é ragionevole adottare come cut-off il valore 2 dell’indice di
sollevamento NIOSH. Come esempio si riporta in Tab. II9 il rapporto
peso-frequenza che determina un valore NIOSH approssimato a 2 in
due condizioni ipotetiche: busto in flessione di 60° (Ipotesi A); considerando una condizione di distanza orizzontale di presa disagevole,
condizione simulata assumendo un valore medio di presa orizzontale
pari a 40 cm (Ipotesi B). In assenza di valutazione NIOSH le condizioni operative mostrate in Tab. II indicano una condizione nella
quale si può raggiungere o superare un indice NIOSH di 2.
In sintesi, se non sono disponibili valutazioni con indice sintetico
di rischio, costituiscono elementi interessanti per individuare il nesso
del danno con l’attività lavorativa, le seguenti condizioni:
a) che l’attività di movimentazione venga svolta per almeno il 50%
del tempo di permanenza nell’azienda e da almeno 5 anni;
b) che i carichi movimentati siano almeno di 3 kg;
c) che le azioni di movimentazione manuale abbiano frequenza
superiore a 1 volta ogni 5 minuti o frequenze inferiori se i carichi
sono prossimi al valore limite di 30 kg per i maschi e 20 per le
femmine;
d) che la postura determini il mantenimento del tronco flesso per
più di 60°, più di 2 volte al minuto per almeno il 50% del turno
di lavoro.In questo caso la condizione b) deve essere riditta a 2
kg,e la c) rispettivamente a 24 e 16 kg.
Interesse della Medicina Manuale nella diagnosi delle patologie lavoro-correlate
Per valutare i disturbi della funzione motoria, e in caso di dolore
vertebrale,per identificare le strutture da cui questo origina, l’anamnesi e l’esame clinico sono di assoluta importanza.Come già accennato, gli esami radiologici nella gran parte dei casi segnalano solo
modificazioni morfologiche (artrosi, discopatie, protrusioni
discali,ecc.) che si ritrovano con grande frequenza anche in soggetti
asintomatici Ciò in parte vale anche per la patologia disco-radicolare, poiché immagini di ernie e protrusioni sono presenti in molti
soggetti da sempre asintomatici.Un grande passo avanti nella soluzione di questo problema è stato fatto da R.Maigne10,che in una lunga serie di lavori, a partire dagli anni ’60, ha proposto un nuovo
modello di esame clinico, basato non sulla palpazione, ma su manovre di provocazione del dolore, che sono in letteratura le più riproducibili.Queste manovre mirano a identificare uno o più segmenti
mobili vertebrali sofferenti :qualora le indagini radiologiche accertino che non vi sono lesioni organiche, questo disturbo viene definito“Disturbo Doloroso Intervertebrale Minore”, (DDIM) o “Intervertebral Minor Painful Dysfunction”, e sta alla base di gran parte della
patologia vertebrale dolorosa disfunzionale, o vi coesiste, come nella
patologia disco-radicolare.Il disturbo intervertebrale in molti casi si
riflette nel territorio metamericamente corrispondente, e quindi questo modello comprende una serie di test per valutare l’interessamento di cute, sottocute,tendini, periostio e muscoli, sempre basati su
manovre provocative del dolore.L’esame clinico che proponiamo si
può suddividere in 5 parti principali.
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Tabella I. – NIOSH 1997 - National Institute of Occupational Safety
and Health (relazione causale fra danno al rachide lombare e fattore
di rischio).
Fattori di rischio
Forte evidenza
Evidenza
Insufficiente evidenza
Sollevamenti
Posture incongrue
Lavoro fisico pesante
Vibrazioni whole body
Posture fisse
(+++)
(++)
(+/0)
+++
++
++
+++
+/0
Si effettua con il soggetto in stazione eretta,dapprima esaminando
il piano frontale posteriore, rilevando la posizione della testa,l’altezza delle spalle e la posizione delle scapole; i triangoli della taglia;le
creste iliache e le pliche glutee; l’atteggiamento delle ginocchia e dei
calcagni; l’eventuale presenza di curve scoliotiche e di gibbi.
Esame dinamico
Consiste nell’esame dei due movimenti opposti su ciascuno dei 3
piani ortogonali dello spazio, per ricercare:
– le eventuali limitazioni al movimento;
– la comparsa di dolore in un punto dell’arco di movimento;
– le eventuali alterazioni nello svolgersi del movimento;
– tratti di colonna rigidi o deviazioni dal piano di movimento evidenziabili nella flessione e nella lateroflessione.
I risultati di questo esame possono essere graficamente rappresentati su uno schema a stella ideato da R.Maigne.
Esame locale dei segmenti mobili
Ideato da R.Maigne, consiste in una serie di manovre provocative
del dolore articolare intervertebrale utile su tutto il rachide a partire,
in senso caudale, da C6, per ricercare uno o più segmenti mobili
dolorosi.
Consta di 4 manovre principali:
1) Pressione assiale sulle spinose
Soggetto prono, si preme sulle spinose in senso postero-anteriore
coi pollici sovrapposti
2) Pressione laterale sulle spinose una volta identificata la o le spinose dolenti, si preme coi pollici prima a destra poi a sinistra sul
fianco della spinosa, onde ricercare quale dei due sensi di rotazione che imprimiamo sia doloroso.
3) Legamento sopraspinoso e interspinoso
È utile ricercare la dolorabilità di queste strutture mediante una
pressione e frizione con la punta dell’indice, o con una moneta
sull’apice della spinosa e sullo spazio interspinoso.
4) Punto paramediano articolare
Si esercita una pressione a circa 1 cm. lateralmente alle spinose
in corrispondenza del massiccio articolare posteriore per evocare
eventuale dolore, utilizzando l’indice sovrapposto al medio.
Esame dei tessuti molli
R. Maigne ha descritto una serie di segni a carico della cute, sottocute, fascie, tendini, periostio,muscoli, che ha denominato” Sindrome cellulo-periosteo-mialgica” o” Sindrome Neurotrofica di Origine
Vertebrale”.Fenomeni di questo tipo erano stati precedentemente
descritti, ma non messi in relazione a disturbi funzionali dei segmenti mobili vertebrali.
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Tabella II. – Condizioni operative che determinano un indice NlOSH
pari a 2.
Ipotesi A
Ipotesi B
Esame statico
SABBADINI
Peso
(kg)
Frequenza
(atti/min)
Peso
(kg)
Frequenza
(atti/min)
30
25
20
15
10
5
2
3
4
5.5
7
10
20
16
13
10
6
3.5
2
3
4
5.5
7
10
Il rilievo accurato di questi segni è una parte più che importante
dell’esame clinico, poichè lo stretto rapporto che li lega in modo
metamerico alla disfunzione intervertebrale va evidenziato in modo
chiaro, onde poter agire causalmente sul rachide; d’altra parte essi
vanno trattati accuratamente e in modo adatto, poiché in molti casi,
dopo un certo tempo, divengono autonomi dalla causa vertebrale e
non rispondono alla sola terapia vertebrale.
I fenomeni osservabili a carico della cute sono soprattutto di
carattere dermografico.
A carico del sottocute si rilevano alcuni fenomeni caratteristici,
cioè modificazioni della consistenza che può essere valutata con un
pizzicotto.
Anche lo sclerotomo può essere interessato da questi fenomeni
sia per quanto riguarda i tendini e le loro inserzioni, sia determinate
zone periostee, e in alcuni casi anche i legamenti articolari.
Il dolore tendineo è spesso presente nella spalla e nel gomito.Il
dolore propriamente periosteo è frequente sulla cresta iliaca sia nelle zone mediali sia al fianco , e sul trocantere.Punti legamentosi
dolorosi sembrano situarsi nelle articolazioni tibio peroneale prossimale e distale, nell’articolazione acromio- clavicolare e nella radioomerale e radio-ulnare.
Tutti questi fenomeni vanno esplorati mediante una frizione leggera.
La componente muscolare del dolore miofasciale è rilevante e
assume diversi aspetti, che possono andare da punti dolorosi semplici (tender points) a punti “grilletto” (trigger points), a contrazioni
persistenti dolorose alla palpazione che assumono l’aspetto di un
cordone o bastoncino duro,(taut bands) che R.Maigne ha ben
descritto denominandoli “cordons indurés”.Si rilevano facilmente
con una palpazione accurata della massa muscolare.
Esame dei segni neurologici e della dura madre
Accanto ai segni sensitivi, riflessi, motori che utilizziamo per individuare il livello di sofferenza radicolare, è necessario anche valutare i cosiddetti “segni della dura madre”, cioè le manovre che, mobilizzando il sacco durale e le radici dei nervi spinali possono evidenziare una zona di irritazione della dura stessa o tra questa e le strutture adiacenti, o sul colletto delle radici.Per necessità didattica questi
segni sono stati divisi11 in:
1) segni durali “alti”, cioè quelli che si ricercano con manovre sul
capo. Il più noto è il segno di Neri 1° in posizione eretta, seduta,
supina: la flessione del capo determina l’insorgenza del dolore
lombare;
2) segni durali “bassi”,sono i classici segni di Lasègue ,che si rileva
con anca e ginocchio flessi a 90° estendendo il ginocchio fino a
che compare il dolore sciatico, lo Streight raising leg o SRL, cioè
il sollevamento di tutto l’arto inferiore a ginocchio esteso,il Femoral Strecht Test( FST), o Wasserman-Boschi (W.B.) o segno del n.
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SABBADINI
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crurale: flessione del ginocchio ed estensione dell’anca, con soggetto prono,che provoca stiramento del nervo crurale e/o dolore
lombare.
Due test che, in qualche modo possono essere utilizzati come
controllo o esclusione di una patologia durale sono il segno della
trazione assiale descritto da Brugnoni11: la trazione sul capo ferma e
sostenuta per qualche secondo può determinare l’insorgenza di un
dolore lombare avvertito dal Paziente .Questo segno non è concomitante a quelli della dura madre e, poiché la trazione viene esercitata
su tutto il rachide, potrebbe essere l’espressione di una sofferenza
dei legamenti longitudinali anteriore o posteriore: è presente infatti
anche in casi in cui manca il dolore provocato con le manovre di
pressione sulle spinose e sulle articolazioni, dianzi descritte.
Il secondo è il segno di Patrick, che mobilizzando in flessione,
abduzione e rotazione esterna dapprima l’anca ne valuta mobilità e
dolorabilità, e alla fine mobilizzando anche il rachide, con Paziente
supino, risveglia un eventuale dolore lombare senza mettere in gioco la mobilità delle radici e del sacco durale.
Utile è anche il rilievo dei segni liquorali:sono segni che, aumentando la pressione endoliquorale, in caso di irritazione della dura
madre determinano l’insorgenza del dolore.
Concludendo, questo esame ci permette ,per sommazione e sottrazione dei sintomi e dei segni, di effettuare una complessiva ipotesi diagnostica utilizzabile per le scelte terapeutiche, anche se è
indubbia la necessità di studi semeiogenetici e di ulteriore e più
ampia validazione della riproducibilità inter-operatore.
4
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