In Borgogna sulle tracce di Guglielmo INDICE 1 Il Romanico ………………..4 2 Cronologia ………………..5 3 Tecniche e sistemi dell’architettura romanica 4 La Borgogna ………………..6 L’abbazia di Cluny - storia ………………..7 5.1 5.2 6 7.1 9 10.1 11.1 ………………..5 Descrizione …………….13 Saint-Martin a Chapaize ……………..23 Saint-Philibert - storia ……………..25 7.2 8.1 costruttivi a Tournus Descrizione ……………..27 Elementi comuni dei monasteri cistercensi ……………..30 8.2 ……………..32 Abbazia di Notre-Dame a Fontenay L’apporto del restauro monumenti francesi ottocentesco per i ……………..38 L’abbazia di Vézelay - storia ……………..40 10.2 ……………..42 Descrizione La città di Digione ……………..46 11.2 Il monastero di San Benigno a Digione storia ……………...47 11.3 Descrizione ………….…..50 11.4 L’organo della cattedrale ………….…..52 2 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo 1 Il Romanico Quella che oggi viene comunemente chiamata arte romanica nacque e si sviluppò nei secoli XI e XII. Il nome fu coniato nella seconda metà dell’Ottocento in contrapposizione col Gotico, per sottolinearne il suo carattere neolatino. Il Romanico si riallaccia a molteplici tradizioni culturali, da quella classicheggiante dell’epoca carolingia a quella aristocratica del periodo ottoniano, da quella dell’epoca bizantina a quella dell’antichità classica, e riguarda un territorio vastissimo, dalla Francia all’Italia meridionale, dall’Inghilterra alla Spagna. L’XI secolo in Europa fu caratterizzato da un eccezionale risveglio dell’attività edificatoria, conseguente alla rinascita economica che si verificò dopo il Mille. In primo luogo si venne a formare una struttura economica maggiormente incentrata sull’agricoltura, nella quale le attività pastorali erano ridotte al minimo. Si moltiplicarono i dissodamenti di terre che portarono alla nascita di nuovi villaggi, la popolazione cominciò a crescere, le città si ripopolarono e con esse risorsero le attività artigianali e commerciali. Di regione in regione, con i ritmi lenti ma regolari delle fiere, si muovevano per l’Europa manufatti preziosi, idee e persone. L’architettura, prevalentemente ecclesiastica, viene considerata la manifestazione artistica trainante della cultura romanica. Fig. 1 - L’Europa al tempo delle crociate. 3 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo L’anonimato contraddistingue l’arte romanica; gli artisti diffusero scelte iconografiche, soluzioni costruttive e innovazioni tecniche, senza adoperarsi affinché il loro nome venisse tramandato ai posteri, segno che l’artefice era tenuto in minore considerazione rispetto alle sue opere. Inoltre la circolazione di idee, soggetti iconografici e tecniche, se da una parte favorì la nascita di stili simili in aree geografiche anche molto distanti, dall’altra genera problemi interpretativi delle opere e incertezze sull’individuazione delle radici culturali degli artisti, nonché sui loro spostamenti. 2 Cronologia I monasteri benedettini, nati a seguito della regola di San Benedetto dell’811, si svilupparono in Europa durante l’impero carolingio. Nell’888, con la caduta dell’impero a causa delle invasioni barbariche che in Francia ebbero luogo ad opera dei normanni, nacque e si rafforzò il sistema feudale per il controllo e la difesa del territorio. La tipologia del monastero di Cluny, che aveva adottato una propria regola, si diffuse per tutto l’inizio dell’XI secolo, epoca dell’impero ottoniano, dando origine a forme architettoniche che prendono il nome di protoromanico. Successivamente la riforma monastica di Cîteaux, adottata verso la fine dell’impero ottoniano (conclusosi nel 1098), segnò lo sviluppo delle abbazie cistercensi, nello stile che gli storici identificano come Romanico maturo. Con il rafforzamento della monarchia francese capetingia (discendente da Ugo Capeto) a partire dalla seconda metà del XII secolo, si assisterà alla nascita del Gotico. 3 Tecniche e sistemi costruttivi dell’architettura romanica Caratteristiche basilari dell’edificio romanico sono la robustezza dell’impianto e l’articolazione delle strutture portanti. Uno dei numerosi problemi tecnici che dovettero affrontare gli architetti fu quello di sostituire le coperture a capriate lignee con le volte in muratura, per ridurre i rischi di incendio e migliorare l’acustica interna delle chiese: questo comportò innanzi tutto un radicale mutamento nella progettazione degli elementi strutturali. Probabilmente uno dei primi tentativi in questo senso fu la costruzione nelle navate1 laterali di volte con dimensioni più modeste rispetto alla navata centrale. Le pareti in muratura crebbero in spessore per poter sopportare il peso di questi nuovi elementi. Alle semplici colonne delle chiese paleocristiane venne sostituito il pilastro composito che permetteva il sostegno delle arcate sulle quali si innestavano le volte. Queste furono inizialmente a botte (ovvero semicilindriche) e si evolsero poi in quelle più complesse a crociera (quattro vele spartite da costoloni che scaricano il peso su quattro pilastri angolari). La volta a crociera permetteva una struttura più agile; la difficoltà maggiore consisteva nell’ideazione dei costoloni, i quali fungevano da centinatura per il tavolato di mattoni. Un esempio di come potesse apparire un cantiere medioevale ci è offerto da un manoscritto dell’XI secolo conservato presso l’abbazia di Montecassino, dove viene raffigurato il cantiere della torre di Babele. I cantieri utilizzavano materiali comuni a tutte le civiltà fino alla Rivoluzione industriale: pietra, mattone e legno. La scelta del materiale era funzione del bacino di approvvigionamento delle maestranze: più il cantiere era importante, più il bacino era esteso. 1 Spazio compreso fra due file di colonne o pilastri che sostengono una copertura. 4 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Sul legno non vi è molto da dire, dato che le strutture si sono col tempo deteriorate e non possediamo testimonianze conservate dell’epoca. Il mattone, costituito da argilla, fu il primo elemento prefabbricato in edilizia in quanto veniva realizzato in fornaci con misure standard. L’impasto di argilla veniva posto in cassette e messo ad essiccare; tolto poi dalle cassette, il mattone era sottoposto a cottura nei forni. In base al tempo di cottura, si ottenevano diverse tipologie di mattoni: dai ferrigni, i mattoni più cotti poiché più vicini al fuoco, con colorazione scura, fino agli albasi, i meno cotti, con colorazione più chiara. I primi risultavano più resistenti, ma allo stesso tempo presentavano una minore aderenza alla malta, mentre i secondi offrivano caratteristiche contrarie. La malta, in epoca medioevale, era molto grossolana, costituita da molto inerte 2. Una tecnica molto diffusa nella posa dei mattoni era la stilatura o listatura, ovvero il passaggio della punta della cazzuola sui giunti dei mattoni a malta fresca per aumentarne la presa. L’intonaco veniva utilizzato solitamente per la finitura ad affresco o per eventuali decorazioni. Il problema della muratura romanica era l’apertura di finestre, essendo una muratura portante. Questo problema veniva ovviato mediante un espediente costruttivo costituito dalla strombatura, ovvero un restringimento della muratura in corrispondenza delle aperture: ciò garantiva inoltre un minore scambio termico con l’esterno. Nel Gotico, con la diffusione del vetro, le finestre verranno concepite a spalle rette. Molto spesso nelle murature medioevali sviluppate in altezza si nota la presenza di fori; essi servivano per l’innesto di travi a sbalzo dette pontarie, per l’allestimento di ponteggi che permettevano di operare a quote considerevoli. Le tegole venivano realizzate con lo stesso procedimento dei mattoni, e si distinguevano in base alla loro forma in coppi (curvi) ed embrici (piane). Se per i mattoni esisteva una netta divisione tra il produttore e il posatore, per la pietra vi era una forte identità tra scultore e architetto per cui chi intagliava la pietra era anche colui che lavorava in cantiere. La prima architettura romanica nacque senza scultura, la pietra era incoerente3 e tagliata a martello senza rifiniture. Tipico era l’uso dei ciottoli di fiume disposti a lisca di pesce. La lavorazione della pietra iniziò alla fine dell’XI secolo; in base al grado di finitura dei blocchi le murature si distinguono in tre tipologie: muratura incoerente, a corsi paralleli (ogni fila aveva la stessa altezza) e coerente, tipica dei cantieri gotici maturi. Una volta estratta dalle cave, la pietra veniva trasportata in cantiere, dove si iniziava la lavorazione. Gli strumenti del mestiere erano: la subbia, grosso punteruolo che, usato con un martello, serviva per la prima sgrossatura, il picconcello, costituito da una punta da un lato e da un’ascia dall’altro, utilizzato per un successivo affinamento, e la gradina, rastrello dentellato che segnava le superfici della pietra con striature parallele. Venivano poi eseguite le eventuali lucidature, riservate alla scultura, al fine di eliminare tutti i segni della lavorazione. 4 La Borgogna Non c’è dubbio che le condizioni naturali abbiano favorito la perizia artigianale degli uomini in quest’area. La facilità di reperimento e lavorazione della pietra in Borgogna ha fatto si che, fin dalle più remote origini, si sia sviluppata l’attitudine a costruire meticolosamente persino il più semplice muro di recinzione. I calcari bianchi, lavorati in 2 3 Nel caso specifico, sabbia. Grezza, non squadrata. 5 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo pietre rettangolari poco spesse e rigorosamente regolari, forniscono ancora oggi il materiale più diffuso per le costruzioni. Studiando da vicino il Romanico della Borgogna, gli storici (tra cui il celebre Raymond Oursel, esperto anche della vita di Guglielmo da Volpiano) tendono a distinguere più rami di tale fenomeno: dopo la fioritura delle chiese di tipo lombardo dell’anno mille, si delinea la scuola dei monumenti derivanti dall’influenza della grande Abbazia di Cluny con volte a botte acuta. Come reazione alle ardite architetture di questo periodo nasce un gruppo di chiese coperte completamente con volte a crociera e non più a botte, secondo la tipologia dell’abbazia di Vézelay. Il terzo gruppo di edifici è costituito dalle chiese dette a navata scura prevalentemente con pianta a “T” le quali, scavalcando l’esperienza cluniacense e degli edifici a crociera, sembrano unire le superbe navate dell’anno mille ad un’architettura pura, senza difetti, che ha come suo capolavoro l’abbazia di Fontenay. La formazione di questo modello si deve alla resistenza che la vecchia diocesi di Autun oppose all’infiltrazione invadente dei modelli cluniacensi, preparando così i presupposti di semplicità, austerità e bellezza dell’architettura cistercense. Durante tutto l’XI secolo i costruttori locali ebbero modo di far propri la tecnica e i sistemi costruttivi comacini, al punto che non si sa più con certezza quel che era proprio degli uni e degli altri. La tecnica di posa in opera della pietra è rimasta inalterata nei secoli: nel XVIII secolo le case dei vignaioli e le fattorie non erano costruite in modo diverso dai campanili del periodo protoromanico. Trasmessa sino ai giorni nostri, questa tecnica cede malvolentieri al cemento delle nuove generazioni e non è affatto raro imbattersi in qualche recinzione di campagna murata di fresco secondo i modi tramandati, ovvero l’opus spicatum4 grossolano o la tessitura muraria a dente di sega. 5.1 L’abbazia di Cluny - storia L’11 settembre 910 l’abbazia di Cluny (in latino Cluniacum) fu fondata dal duca Guglielmo d’Aquitania conte di Mâcon detto il Pio, come bene proprio di San Pietro, votato principalmente all’onore e alla difesa della Sede apostolica. L’atto di fondazione specifica che il duca donava ai Santi Apostoli Pietro e Paolo la sua residenza di Cluny cinta da un giardino e da una proprietà, così come la cappella erettavi in onore di Maria, Madre di Dio, e di San Pietro, principe degli Apostoli; egli abbandonava altresì tutte le pertinenze di questa grande proprietà terriera. Il nuovo monastero diretto dall’abate Bernon, monaco di Autun, aveva come centro la dimora del signore dove i monaci ebbero la loro prima casa. La proprietà annoverava inoltre un certo numero di villaggi o di gruppi di casolari, la maggior parte dei quali esiste ancora, abitati dai fittavoli del proprietario. All’animazione propria di questo complesso fondiario si aggiungeva il traffico economico e commerciale che percorreva la valle della Grosne, legame naturale di comunicazione tra Saône e la Loira: il crocevia cluniacense sarebbe stato uno dei fattori della futura prosperità dell’abbazia. La presenza delle reti stradali ebbe forse un ruolo nella fondazione di Cluny, ma non meno determinante fu la presenza della foresta attorno alla proprietà ducale, un’inesauribile riserva di legno adatto ad essere lavorato o utilizzato per il riscaldamento, oltre che una zona provvidenziale di raccoglimento e di ritiro. Nel documento di fondazione dell’abbazia si ritrovano almeno quattro decisioni capitali. La prima stabiliva che il nuovo monastero sarebbe stato retto dalla regola di San Benedetto. La seconda prevedeva l’esenzione dell’abbazia da qualsiasi soggezione temporale o spirituale che non fosse quella della Sede romana: i monaci avranno il potere e la libertà di eleggere come abate e guida qualcuno del loro ordine, (…) di modo che 4 Disposizione obliqua dei mattoni che genera un disegno simile ad una spiga di grano. 6 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo questa elezione, semplicemente di ordine religioso, non possa essere intralciata ne dalla nostra opposizione ne da quella di qualsivoglia potenza. In un periodo in cui le potestà civili interferivano ad ogni occasione negli affari interni delle comunità, moltiplicando abusi, esazioni e atti di violenza, tale precauzione era saggia. Parecchi abati scelsero essi stessi il loro successore più capace. La terza decisione affermava la dipendenza esclusiva e stretta alla Sede apostolica. Essa era simboleggiata da un tributo di dieci soldi che i monaci di Cluny avrebbero dovuto saldare ogni cinque anni a Roma per il mantenimento dell’illuminazione. Dunque un privilegio affidava a Cluny la custodia degli apostoli Pietro e Paolo e la difesa del Pontefice romano. Di tanta responsabilità l’abbazia di Cluny ebbe sempre piena consapevolezza. La si vede, appena nata, aderire incondizionatamente a Roma a rischio di essere coinvolta nelle difficoltà e nei disordini che, dal X al XII secolo, dilaniarono la penisola mettendo in pericolo la stessa Sede apostolica. Infine l’ultima decisione conteneva l’ingiunzione delegata ai monaci dal duca fondatore di dedicarsi alle opere quotidiane di misericordia verso i poveri, i bisognosi, gli stranieri e i pellegrini. Essa implicava il precetto di ospitalità, fondamentale per ogni comunità monastica e incluso nella regola di San Benedetto. Dal 910 al 1120 non si desistette mai di costruire a Cluny. Una prima chiesa (Cluny I) ancora parecchio modesta, fu consacrata nel 926; a partire dal 948 l’abate Aimard ne faceva iniziare una più grande e più bella (Cluny II), continuata poi da Maiolo e consacrata nel 981. La chiesa presentava diversi elementi innovativi, tra cui la presenza di un grande quadriportico5 frontale detto Galilea6, ed era così costituita: pianta cruciforme con tre navate longitudinali, abside7 principale con due absidi laterali, transetto8 aggettante con un’abside per lato. Ad ovest era preceduta da due torri, mentre una torre si innalzava sulla crociera9. Il coro10, diviso a sua volta in tre navate, era una sorta di chiesa riservata ai monaci. Con Olidone si ebbe, oltre alla copertura a volte dell’edificio, la ricostruzione generale del monastero. Tuttavia era tale il progredire della comunità cluniacense, divenuta centro di un’immensa congregazione, che la chiesa del 981 si rivelò ben presto troppo piccola. Durante le funzioni ci si accalcava, a scapito della preghiera e del raccoglimento. Non senza titubanze Sant’Ugo decise infine una ricostruzione integrale. I lavori iniziarono per ciò che appariva più urgente, cioè gli edifici monastici: l’ospizio e le scuderie, la foresteria, il refettorio, l’infermeria e una cappelletta. Tutti questi edifici sono scomparsi, ad eccezione delle scuderie di Sant’Ugo. Terminata questa prima campagna, Sant’Ugo poté intraprendere la costruzione di una nuova chiesa. La prima pietra fu posta ufficialmente nel 1088. E’ cosa certa che l’immenso cantiere messo insieme da Sant’Ugo a Cluny accaparrò dal 1088 in poi tutti gli scultori e gli esperti della pietra che si trovavano in Borgogna: a tal proposito si presume che i maestri abbiano concepito con estrema precisione la disposizione e l’iconografia delle loro sculture a priori, attuando una sorta di progetto esecutivo della loro opera grandiosa. Le sculture vennero poi sicuramente ritoccate per garantirne la visibilità, data la loro collocazione a parecchi metri da terra. Il 25 ottobre 1095, in occasione del viaggio in Francia dove si predicò la prima crociata, Papa Urbano II, ex monaco cluniacense, consacrava gli altari maggiore e mattutino della nuova chiesa, mentre i vescovi riuniti attorno a lui dedicavano tre altari secondari della zona absidale. 5 Spazio antistante le basiliche cristiane, quadrato o rettangolare, circondato da un portico lungo i lati interni e chiuso verso l’esterno. 6 Spazio di incontro con il Salvatore. 7 Elemento architettonico a completamento della parte estrema della navata opposta all’ingresso. 8 Spazio disposto ortogonalmente all’asse maggiore della chiesa. 9 Intersezione tra navata e transetto. 10 Parte dell’edificio religioso, attorno o di fronte l’altare, dove stanno gli ecclesiastici partecipanti alla liturgia. 7 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 2 - Papa Urbano II consacra l’altar maggiore della nuova chiesa (25 ottobre 1095). Il 25 ottobre 1130 Papa Innocenzo II, cacciato dall’Italia dallo scisma di Anacleto, provvedeva alla dedica della chiesa portata a compimento. Il monumento, lungo secondo il piano di origine 125 m, non oltrepassava di molto le più grandi chiese coeve meta di pellegrinaggi (Saint-Sernin di Tolosa e Compostela), ma l’aggiunta di un grande nartece11 di cinque campate12 aumentò la lunghezza sino a 187 m e la chiesa abbaziale divenne la più vasta di tutta la cristianità. Essa era soprattutto, con la sua pianta magnificamente sviluppata a croce arcivescovile, la sua altezza di 30 m sotto volta, le sue doppie navatelle di altezza decrescente, i suoi quattro campanili e ben presto le sue due torri di facciata, la più splendida creazione plastica che sia mai stata concepita dal genio romanico. Lo splendore delle diverse cerimonie, caratterizzate da un’attenzione particolare al canto dei salmi, era ravvivato dalla bellezza degli abiti liturgici, dalla preziosità degli oggetti di culto e dal numero di religiosi (da due a trecento); la conseguenza di questa vita votata alla preghiera fu la diminuzione del lavoro manuale, per cui le terre vennero cedute a fittavoli laici che assicuravano il sostentamento e la prosperità del monastero, i conversi13. L’influenza del monastero fu talmente ampia che a metà dell’XI secolo quasi un centinaio di monasteri in tutto l’occidente erano affiliati a Cluny, centro intellettuale da cui si irradiarono l’arte e la cultura romanica. Cluny stessa consacrò le immense ricchezze accumulate attraverso cospicue donazioni alla costruzione e alla decorazione di edifici religiosi. DaI punto di vista architettonico i cluniacensi contribuirono a mantenere vivi alcuni elementi dell’architettura romanica, come l’arco a tutto sesto nelle finestre e nei portali, e ad accogliere nuovi elementi gotici, come l’arco a sesto acuto nelle arcate e negli archi traversi della navata centrale. 11 12 13 Portico antistante la facciata delle chiese romaniche. Spazi compresi tra due elementi portanti vicini. Laici con parziali voti che provvedono ai lavori manuali all’interno di un’abbazia. 8 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 3 - Cluny III ultimata nel 1230. Nel periodo in cui fu abate Pietro il Venerabile, nominato abate nel 1122, l’abbazia conobbe un periodo di penuria di mezzi finanziari: da parte sua l’abate raddrizzò le finanze dell’abbazia prima di continuare i lavori della navata ancora incompiuta. Inoltre nel 1125 il crollo di una volta da poco costruita rallentò il corso dei lavori. In occasione della dedicazione della chiesa in onore dei Santi Pietro e Paolo, l’edificio era praticamente 9 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo ultimato: i lavori vennero terminati nel 1230 con la realizzazione delle volte ad ogiva e del portale. Fig. 4 - Sezioni trasversale e longitudinale della chiesa. La struttura era talmente completa che alle generazioni successive non rimaneva più molto da aggiungere: una cappella a volte ogivali sostituì, nel secolo XIV, una delle absidiole14 del transetto maggiore; un’altra, gioiello di architettura e scultura fiammeggianti, fu accostata al braccio meridionale del transetto minore dall’abate mecenate Giovanni di Borbone (1456-1480). Occorre precisare che il campanile del braccio settentrionale del transetto maggiore fu compiuto del tutto nel XV secolo. Nel corso del XVII secolo personalità illustri, tra cui il cardinal Richelieu, si succedettero come abati commendatari di Cluny. 14 Piccola abside. 10 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Nel 1750 il priore claustrale Dom Dathoze iniziò a radere al suolo gli ambienti conventuali e li ricostruì da cima a fondo in un gusto classico. Fig. 5 - Il chiostro ideato da Dom Dathose. Nel 1787 l’antica osservanza di Cluny venne abolita. Cluny III sopravvisse fino oltre la Rivoluzione francese; passata nelle mani indegne di tre incolti, essa venne smantellata sotto gli occhi impotenti del Comune di Cluny, accanito nel volerla salvare. Il massacro venne condotto a compimento nel 1823. Gli scavi condotti sin dal 1928 dall’architetto americano Kennet J. Contant, hanno restituito, attraverso disegni e plastici, l’immagine grandiosa del complesso scomparso. Dal 1944 al 1964 un’opera urbanistica senza precedenti ispirata dall’allora sindaco di Cluny Charles Pleindoux, ha isolato la bella torre dei Fromages, di base romanica, e le sue adiacenze, così come le cinque campate della navatella sud del nartece. In mancanza dell’opera meravigliosa perduta, questa sistemazione permette quanto Fig. 6 - La chiesa abbaziale dopo la sistemazione urbanistica condotta dal 1944 al 1964. 11 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo meno di evocarne al meglio la grandezza e le dimensioni schiaccianti. 5.2 Descrizione Caratteristiche: Cluny III Lunghezza totale Lunghezza del nartece Lunghezza della navata fino al transetto Lunghezza del transetto maggiore Altezza della navata maggiore Altezza all’intersezione del transetto Larghezza della navata maggiore (inclusi sostegni) Larghezza totale del corpo della chiesa Altezza della cupola del campanile dell’Acqua benedetta 12 187,31 m 32,45 m 73,75 m 73,75 m 29,50 m 36,87 m 14,75 m 40,82 m 32,20 m In Borgogna sulle tracce di Guglielmo La città poggia su due colline delle quali quella di sinistra è rocciosa (la Cras), l’altra a destra era destinata a pascolo fino a poco tempo fa (il Fouettin). Esse rappresentano il simbolo della doppia vocazione cluniacense: da un lato l’ardua conquista della fede attraverso l’estensione della riforma e dall’altro il soggiorno provvidenziale di pace e di raccoglimento per le tante anime crocifisse che sono venute e che vengono a rifugiarsi ancora oggi. I caratteri del borgo sono definiti dai muri di vecchia ocra cotta, dai tetti bassi a coppi e dalle case ravvicinate in un pittoresco disordine lungo la strada principale, il cui sinuoso asse sfiora i bastioni abbaziali. La città è punteggiata dai campanili dell’Acqua benedetta, delle chiese di Notre-Dame e di San Marcello, dalle torri dei Fromages e dei Moulins, così come dalla graziosa torricella Fabry a nord. A nord-est dal lato della valle si nota la presenza della grande torre Rotonda. 13 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig.7 - Da sinistra a destra: il campanile dell’Acqua benedetta, la torre dei Moulins e la torre Rotonda. Gli edifici conventuali del XVIII secolo sono intatti, sotto enormi tetti in ardesia; le loro ali classiche avanzano al centro di un grazioso giardino curato alla francese. La lunga facciata è sormontata da un frontone triangolare. A destra dei prati, la costruzione del grande farinier (granaio) dei monaci risalente al XIII secolo, ha raccolto le collezioni lapidarie dell’abbazia e della città: nella bella sala al piano terra coperta da volte Fig. 8 - Gli edifici conventuali del XVIII secolo. ogivali su una fila di colonne, sono conservati parecchi frammenti di epoca romanica. Il piano superiore, la cui struttura a carena è un notevolissimo lavoro di falegnameria gotica (costruito dall’abate Yves I, 1257-1275), conserva i capitelli scolpiti del coro della chiesa grande. All’ingresso della sala, due plastici di stucco bianco presentano uno la ricostruzione della facciata dell’abbazia e l’altro la sua zona absidale. 14 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 9 - Cluny III in un plastico. I grandi capitelli salvati dal disastro godono di un’ambientazione maestosa e di ampio respiro, disposti sopra un cassone semicircolare che vorrebbe alludere all’emiciclo dell’abside che essi un tempo delimitavano. Al centro dell’emiciclo è stata posta su un altare romanico l’urna che avrebbe custodito il cuore di Sant’Ugo. I due capitelli posti alle estremità, a sinistra il peccato di Adamo ed Eva e a destra il sacrificio di Abramo, si addossavano ai pilastri che segnavano l’ingresso all’emiciclo. Fig. 10 - La sala superiore del farinier. L’iconografia rappresenta, procedendo da sinistra a destra, un capitello corinzio, tre atleti dei quali uno è giocatore in palestra, la raffigurazione di un apicoltore che pulisce un alveare, le tre Virtù 15 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo teologali (Fede, Speranza e Carità) con l’aggiunta di una virtù cardinale (Giustizia) incorniciate entro mandorle ovali e congiunte, allegorie delle stagioni feconde (primavera ed estate), i quattro Vangeli o il Giardino di Cluny suddivisi in due capitelli, infine le otto tonalità della monodia. Secondo il professor Conant i capitelli sono l’illustrazione di una lettera di elogi a Cluny scritta nel XI secolo da San Pier Damiani. La statuaria di Cluny, rinnovamento della grammatica ornamentale, diede le mosse a Vezélay. Essa però non si impose come esuberanza decorativa portatrice di lusso, ma lo sforzo dei monaci fu proprio quello di sostituire all’abbondanza, un mestiere più controllato, composizioni più religiose, misurate e severe. Questo giustifica l’ispirazione all’antichità classica cui fa ricorso l’architettura della grande chiesa; ne sono un esempio il basamento attico delle colonne privo di ornamenti, i pilastri scanalati che irrigidiscono l’ossatura interna e alcuni cespi corinzi di disegno purissimo. In quest’opera di libera imitazione e interpretazione dei modelli classici si riconosce l’intento di far rivivere nel prodigio cristiano e borgognone la maestà romana; Cluny voleva diventare la “seconda Roma”. Il punto di riferimento del complesso è costituito dal monumentale campanile romanico dell’Acqua benedetta, il cui ottagono dai ricchi trafori è fiancheggiato da una torretta scalare quadra chiamata torre dell’Orologio. Esso si slancia da un basamento possente, spalleggiato alle estremità da due contrafforti in risalto. E’ una torre di due piani ottagonali riccamente finestrati e ornati: al piano inferiore un’apertura inquadrata tra due 16 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo arcatelle cieche a pieno sesto; gli archivolti15 sono intagliati con motivi di tortiglioni o di volute. Al di sopra una bifora su ogni lato è ugualmente fiancheggiata da archi ciechi, sotto un motivo di archetti pensili alla lombarda pesantemente restaurati. Il braccio sud del transetto maggiore, l’unico rimasto in piedi, su cui si innalzano i campanili dell’Acqua benedetta e dell’Orologio, indica pressappoco i due terzi della lunghezza totale. Commenta Oursel: come un dito alzato esso sembra chiamare il cielo a testimone del delitto degli uomini che lo ha lasciato. Fig 11 - La torre dell’Acqua benedetta e il campanile dell’Orologio. Una nota incisione dell’avvocato Louis Prévost dà un’idea fortemente evocatrice dello stato degli edifici abbaziali tra il 1668 e il 1672. Il complesso, fiancheggiato a nord dalla grande chiesa abbaziale, era un pittoresco accostarsi di chiostri, alloggi, cappelle e 15 Elemento architettonico costituito da una fascia di modanature che gira sulla curva di un arco, seguendone il contorno. 17 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo dipendenze, dai quali emergeva il campanile della chiesa, parzialmente conservata, di Cluny II. Fig. 12 - Veduta del complesso abbaziale secondo una rappresentazione storica. La chiesa abbaziale da ovest ad est risultava così composta: la facciata inquadrata da due torri (i barbans), il nartece di cinque campata a tre navate, la navata di undici campate tagliata dal grande transetto, munito di due absidiole per braccio, e il coro formato da due campate interrotte da un nuovo transetto con un’absidiola per braccio. Fig. 13 - Plastico di Cluny III. 18 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo La grande porta romanica della cinta abbaziale contemporanea a Cluny III (1100) si presenta a doppia apertura su modello della porta romana. Attraverso di essa si vede il campanile ottagonale dell’Acqua benedetta. A sinistra si trovano i due palazzi abbaziali. Il primo costruito ad opera dell’abate Giovanni di Borbone (XV secolo), ospita il museo civico Ochier, che raggruppa frammenti scolpiti e dipinti provenienti dalla chiesa abbaziale, tra cui la chiave di volta della quinta campata del nartece, scolpita con l’Agnello pasquale (XII secolo) e incisa da un’affascinante iscrizione: HIC PARVUS SCULPOR AGNUS IN CELO MAGNUS ovvero “Qui sono scolpito come un agnellino, in cielo sono grande”. Il secondo palazzo, costruito nel XVI secolo da Jacques e Geffroy d’Ambroise, consanguinei del primo ministro di Luigi XII, è l’attuale municipio. Da via Kennet Contant si accede all’antica facciata del nartece, dove vi rimangono l’ammorsatura settentrionale del portale fiammeggiante e i basamenti massicci delle due torri quadrate (i Barbans). Le scuderie di Sant’Ugo, splendida costruzione romanica, sebbene tagliata dall’apertura di una strada, resta notevole per la qualità della muratura – una costante della costruzione cluniacense al suo apogeo attorno al Fig. 14 - Il palazzo d’Ambroise. 1100 – e la regolarità delle antiche aperture a tutto sesto. A destra della piazza ha inizio via 11 agosto, aperta dopo i bombardamenti tedeschi del 1944, che costituisce una felice veduta in prospettiva della chiesa parrocchiale di Notre-Dame (XIII secolo), della torre quadrata dei Fromages che rinforzava l’angolo sudovest della cinta abbaziale e dei ruderi dell’alloggio dei fratelli laici. Queste vestigia, riportate in parte in luce dai bombardamenti, includono in particolare un arcone divisorio dallo slancio magnifico. Il complesso, pulito e valorizzato nel 1965, contribuisce ad evocare la potenza cluniacense. 19 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 15 - I basamenti dei pilastri visibili oggi. Ciò che resta dell’abbazia è adibito oggi a Scuola Nazionale di Arti e Mestieri, insieme all’attiguo palazzo di Papa Gelasio (XIV secolo, molto restaurato) dal nome del pontefice che volle morire a Cluny nel 1119. L’accesso avviene attraverso una porticina aggiunta nel XVII secolo. Una scala che scende dalla sala d’ingresso, sbocca nella galleria settentrionale del chiostro del XVIII secolo, nel cui sottosuolo esistono ancora le fondamenta di Cluny II. All’estrema destra della galleria una scala del XVIII secolo è ornata dalla bellissima ringhiera in ferro battuto detta di fratello Placido; a sinistra una porta in stile classico introduce alla crociera del transetto romanico. Due campate, coperte da volta a botte acuta, inquadrano la cupola ottagona che sostiene il campanile dell’Acqua benedetta e la cui altezza, inconcepibile per il periodo Romanico, raggiunge oltre 32 m. 20 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 16 - Interno del transetto lato sud e imposta della cupola che sostiene il campanile dell’Acqua benedetta. La decorazione scultorea non è di minor maestria: cornici ornate da piccoli dischi, capitelli a fogliame dal modello perfetto o a motivi di animali ornamentali. Ad est si aprono due cappelle affiancate. Quella della prima campata non è che una delle absidiole semicircolari della pianta primitiva, che ne aveva previste due su ognuno dei bracci del transetto maggiore. La seconda, provvista a destra di una torretta scalare a chiocciola, fu costruita dall’abate Pierre de Chastellux (1322-1344) sul braccio sud del grande transetto e intitolata a San Marziale; è caratterizata da due campate con una zona absidale a cinque ante, e da raffinate volte ogivali. Di fronte all’absidiola romanica, una porticina immette nella torre dell’Orologio, in genere non visitabile. In cima alla scala, vi è una cappella romanica dedicata a San Michele arcangelo. Ancor meno ci resta del transetto orientale: un residuo di muro, un’absidiola semicircolare con colonne-contrafforti e la cappella fiammeggiante di Giovanni di Borbone, magnifica opera tardo-gotica, ornata in modo sobrio e originariamente messa in risalto da quindici grandi statue a tutto tondo, tutte scomparse. Non ne restano che le basi, anch’esse scolpite con busti sporgenti di profeti del Vecchio Testamento di impressione, forza e rilievo. L’ultimo piano della torre dei Fromages è stato sistemato a belvedere . In occasione degli scavi del nartece nel 1964 sono stati riesumati alcuni capitelli e diversi frammenti del portale occidentale, tra cui una testina scolpita che evoca l’arte greca preclassica. Nel sobborgo orientale, non lontano dall’antico ponte della Levée, sta la chiesa di Saint-Marcel, costruzione tardo-romanica (1159) la cui pianta giustappone una navata rettangolare, una campata sotto il campanile romanico a cupola, una breve campata del coro e l’abside semicircolare. La sua struttura scarna è rialzata da un campanile 21 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo ottagonale simile a quelli della vicina chiesa abbaziale, alto tre piani di cui il primo chiuso e gli altri due aperti da bifore a tutto sesto. Una flèche16 in muratura, acuta e forata da due file di oculi nella parte superiore, corona il campanile. 6 Saint-Martin a Chapaize Fig. 17 – Stratigrafia storica della chiesa. L’abbazia di San Pietro di Chalon sur Saône possedeva nel villaggio di Chapaize un priorato del quale oggi rimane la chiesa di Saint-Martin, una delle più impressionanti in stile lombardo che si possano trovare nella regione di Mâcon. Quasi certamente l’edificazione è da attribuire a Guglielmo da Volpiano, a seguito della riorganizzazione dei monasteri della città a lui commissionata da Ugo di Chalon. Nei primi anni del XII secolo la volta a botte a tutto sesto della navata centrale, già indebolita dall’incendio sviluppatosi attorno al 1100, crollò per effetto delle spinte laterali e venne dunque ricostruita; è comunque visibile un tratto di volta primitiva in corrispondenza dell’arco all’incrocio col transetto. 16 Guglia. 22 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Nel XVI secolo, malgrado la presenza di un muro di cinta fortificato, (di cui sussiste ancora oggi una torre di difesa a nord della chiesa) le guerre di religione obbligarono i monaci a rifugiarsi a Chalon. La chiesa diventò parrocchiale nel XVII secolo. Gli edifici monastici vennero lasciati in stato di abbandono e alcuni di questi servirono nel 1743 come riserva di materiale per la costruzione della canonica. Fig. 18 - Viste esterne: la facciata e la zona absidale. Il profilo della costruzione sorge ad un tratto dalle strade della foresta. La facciata è semplice e piatta, con il corpo centrale appena in rilievo; una torre all’intersezione tra navata e transetto, riccamente sottolineata da archetti pensili lombardi, rialza la struttura massiccia delle cinque campate della navata e conchiude i volumi dell’abside ricostruita nel XII secolo. Sulla parete nord del campanile si scopre una statua-colonna raffigurante un “meditante”(o eremita). All’interno l’ambiente è suddiviso in tre navate secondo la pianta cosiddetta basilicale. Le aperture sono state variate nel corso dei secoli: mentre nel medioevo la luce proveniente dalle finestre delle navate e della cupola era garantita da feritoie, le finestre laterali aperte successivamente servono a garantire l’illuminazione della parte bassa della chiesa. La visione dell’interno è abbellita dal recente restauro che ha messo in luce la qualità della muratura: robusti pilastri circolari dalle imposte a triangolo ribaltato sostengono la volta a botte acuta rimaneggiata. Il tiburio17 ottagonale su trombe18 corona l’intersezione. 17 18 Copertura esterna di una cupola, formata da strutture verticali disposte secondo il perimetro della stessa. Pennacchi di raccordo tra la crociera del transetto su base quadrata e l’imposta della cupola a pianta rotonda o poligonale. 23 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 19 - Vista della navata maggiore e dell’intersezione tra navata e transetto. 7.1 Saint-Philibert a Tournus - storia L’impianto dell’antica città di Tournus è dovuto a due fattori naturali: l’esistenza del fiume Saône che costeggia le colline del Mâconnais e la presenza di un terrazzamento ben isolato e facilmente difendibile interposto tra le prime pendici della collina e il fiume, sufficiente a risparmiare alla località le piene e le inondazioni stagionali e assicurarle un habitat saldo e stabile. Sulla riva opposta del fiume si trovano le cave della pietra calcarea rosa e ocra utilizzata per la costruzione della chiesa. Gli sbocchi economici e commerciali completavano una posizione militarmente vantaggiosa che probabilmente venne usata sin dal periodo romano. Secondo la tradizione il cristianesimo giunse sul sito in quanto Valeriano, evangelizzatore dell’area lionese, in questo luogo subì il martirio nel II secolo. E’ cosa certa che ben presto la sua tomba divenne luogo frequentato di pellegrinaggi ed officiato da una comunità monastica. L’oscurità delle origini è troncata da un avvenimento di grande portata: nell’875 il re Carlo il Calvo donava ai monaci di Saint-Philibert-de-Grandeur, che le continue scorrerie normanne avevano cacciato dal loro monastero originario a Noirmoutier, il monastero di San Valeriano. Essi portarono con se il loro tesoro più prezioso, le spoglie di SanitPhilibert, loro padre fondatore. I monaci dimostrarono di voler salvaguardare la libertà di elezione dell’abate, specialmente quando il conte di Chalon cercò di interferire con tale evento, ricordando i precetti della regola di San Benedetto nella lettera di donazione di Tournus. La tranquillità dei monaci fu brutalmente sconvolta dalle terribili incursioni degli ungari nel 937 che saccheggiarono e incendiarono il monastero. Passato il flagello si provvide alla ricostruzione della chiesa, rimettendo in onore il dimenticato San Valeriano. Il corpo del Santo venne racchiuso in un reliquiario che nel 979 l’abate Etienne depose con 24 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo cerimonia solenne sull’altare della cripta19, probabilmente edificata per tale avvenimento (purtroppo la Chronistorie de Tournus non descrive i lavori eseguiti). Durante il breve periodo in cui furono abati Guglielmo da Volpiano e i suoi diretti successori, il cantiere di Tournus venne investito di quella febbre del costruire che caratterizza la nascita e lo sviluppo dell’arte romanica, interrotta però da gravi momenti di crisi: l’incendio del 1006 e la carestia del 1030 durata tre anni. Dalle fonti storiche si deduce che nel sinistro del 1006 le cripte dove i due corpi santi giacevano uno accanto all’altro non perirono del tutto. Successivamente all’incendio quel che più urgeva era consolidarle e permettere la ripresa del culto nella soprastante chiesa. Tuttavia negli anni intorno al mille la passione di costruire e di rinnovare era talmente grande e diffusa che non ci si limitò a rappezzare le parti danneggiate, ma si decise di ingrandire la chiesa, dotandola di un vestibolo degno della rinomanza dei Santi che essa custodiva. Wago, abate di Tournus dal 989 al 1008, nel prendere provvedimenti a seguito dell’incendio in questione, si avvalse probabilmente della consulenza di Guglielmo da Volpiano, incontrandolo all’elezione di Olidone, abate di Cluny, e invitandolo quasi certamente a visitare il cantiere. Se ciò fosse vero, non è da escludere che, ad imitazione di San Benigno di Digione, siano state prese in considerazione navate laterali doppie con tribuna o galleria di deambulazione al di sopra delle navate più esterne. Le due porte che dal piano superiore del nartece sboccano nel vuoto ne sarebbero la conferma. Nel 1019 si celebrò una consacrazione per la ricostruzione di una parte imprecisata della chiesa, a conferma delle ricostruzioni descritte. Fig. 20 - I campanili costruiti sulla facciata del nartece e sul punto d’intersezione del transetto nel XII secolo. A confronto di questa attività edificatoria incessante, l’apporto del XII secolo fu relativamente modesto: due campanili, uno sul punto d’intersezione del transetto e l’altro sulla facciata del nartece, completarono il profilo della costruzione. Il loro stile adorno è quello dell’ultima generazione del Romanico. Ancora più ridotte risultano le aggiunte gotiche. Dopo il saccheggio ad opera degli ugonotti nel 1562, un collegio di canonici sostituì nel 1627 i benedettini. Loro prima cura fu di dorate la chiesa di un organo nuovo, la cui cassa a nido di rondine datata 1629 gratifica 19 Dal greco CRIPTOS ovvero nascosto, spazio di culto dedicato alle reliquie concepito come sepolcro monumentale. L’ambiente, poco accessibile, aveva percorsi di fruizione regolamentati dal clero. 25 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo del suo grazioso aggetto la controfacciata della navata maggiore. Nel 1825 Victor Hugo, in partenza per la Svizzera, ammirava la maestosa semplicità della chiesa abbaziale, in seguito restaurata dall’architetto Questel in modo non molto radicale tra il 1845 e il 1850; altri edifici abbaziali restaurati sono stati: la galleria del chiostro dell’XI secolo, la sala capitolare del XIII secolo e gli ambienti conventuali. 7.2 Descrizione Caratteristiche: Lunghezza totale Larghezza totale massima Larghezza della facciata Altezza totale del campanile grande a est Altezza totale del campanile grande a ovest Larghezza del campanile grande 78,00 m 34,00 m 16,50 m 57,00 m 52,00 m 8,50 m 26 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Altezza totale del campanile piccolo Altezza della torre meridionale di facciata Altezza esterna della navata maggiore Lunghezza interna Larghezza della navata maggiore Larghezza del transetto Altezza della cupola Altezza della nave maggiore Altezza del presbiterio20 Altezza della tribuna di San Michele Nartece Larghezza Profondità Altezza Cripta Larghezza Lunghezza Altezza 50,00 m 25,00 m 21,00 m 76,80 m 18,60 m 26,77 m 20,00 m 18,00 m 13,00 m 12,50 m 13,70 m 18,85 m 7,40 m 5,65 m 11,80 m 3,65 m L’accesso alla chiesa avviene attraverso una strada stretta che, passando tra due torri circolari, penetra all’interno della cinta muraria. Sorprendente esito dell’architettura romanica, la chiesa di Tournus presenta all’interno della sua possente composizione strutturale e ornamentale, un’unità di base quadrata. La stessa ubicazione della chiesa è sorprendente, addossata alla collina e fronteggiante la Saône, nella regione dove nacque la prima arte romanica mediterranea. La costruzione, con pianta a croce latina21, innalza il fronte del nartece a mo di fortezza, inquadrato da due torri e marcato da una doppia galleria sovrapposta di arcatelle lombarde. L’interno del nartece rafforza questa affermazione di possanza legata ad una maestria tecnica impressionante: i volumi del piano terra, vero e proprio piedistallo, sono stati progettati in funzione del peso schiacciante del piano superiore che essi devono sostenere. Le volte a crociera della parte centrale sono controbilanciate dalle volte a botte trasversali delle navatelle. A piombo sui forti pilastri in muratura si alzano quelli corrispondenti del piano superiore, al quale si accede attraverso una torretta angolare addossata al corpo laterale sud. Essi sorreggono una magnifica volta a botte a tutto sesto. Sembra che l’architetto abbia usato tutte le possibili volte all’epoca conosciute; su questo piano si tratta di mezze botti Fig. 21 - Il possente nartece visto dalla città. divise da archi a tutto sesto che fanno da solido contrafforte al corpo centrale e permettono allo stesso tempo l’apertura di finestre a tutto sesto al di sopra del loro piano di attacco. La parte anteriore della navata centrale si apriva verso un abside in aggetto mediante una grande arcata rinforzata detta arco di Gerlannus dall’iscrizione oscura che si rileva su di una pietra incastrata nel lato destro: GERLANNUS ABATE ISTO MO NETERIUM E ILE 20 21 Parte della chiesa riservata agli officianti. Disposta a “T”. 27 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo L’archivolto22 è ornato sulla faccia principale da motivi di fogliame, a sinistra da uno straordinario mascherone umano e a destra da un personaggio visto di profilo munito di martello e benedicente con la mano destra; il tutto poggia su due colonne angolari con basi e capitelli lavorati. Gli storici ravvisano in questa figura l’abate cui fa allusione il testo. Queste figurazioni umane sono le prime, assieme a quelle della cripta di San Benigno di Digione, che l’arte romanica ai suoi albori ha prodotto in Borgogna. Fa seguito a questa mole una navata inondata di luce che ne è al tempo stesso il logico completamento e l’antitesi, caratterizzata da pilastri circolari in pietra rosea proveniente dalle vicine cave di Préty. I pilastri rotondi che scompongono il corpo di fabbrica, transetto e coro inclusi, in sette campate, creano un effetto plastico privo di ogni artificio decorativo. La cupola all’intersezione che sostiene uno dei più straordinari campanili romanici di tutta la regione (forato da due registri di bifore) e le cornici di gusto lombardo presenti sul tiburio fissato trasversalmente all’asse dell’edificio, sono un’ulteriore testimonianza della folgorante intersezione delle forme comacine nei distretti della Borgogna meridionale. Fig. 22 - L’interno della chiesa. La navata si interseca ad est con un transetto dalla muratura di grande tessitura in calcare bianco. Transetto e coro al di sopra mostrano i segni di una duplice campagna di costruzione, sottolineata dalla presenza di una sottomurazione condotta durante la prima metà del XI secolo al di sopra dei muri della cripta. Probabilmente il transetto in origine 22 Elemento architettonico costituito da una fascia di modanature che gira sulla curva di un arco seguendone il contorno. 28 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo non era voltato: alla fine dell’XI secolo e durante il primo quarto del XII, transetto e coro furono rimaneggiati: i bracci del transetto furono coperti da una volta a botte e all’incrocio venne lanciata una cupola ottagonale le cui trombe sono sorrette da serie di sei colonnine, mentre altre due sostengono l’archivolto che incornicia ognuna delle aperture praticate nei lati principali. Dal presbiterio ad emiciclo si aprono tre cappelle radiali. Prima della messa in opera delle attuali vetrate che oscurano eccessivamente il coro, l’edificio non mancava di legami con Vézelay. Alle estremità occidentale e orientale, il nartece da una parte e il transetto dall’altra svolgono il ruolo di moli d’arresto e bloccano di netto qualsiasi rischio di disgiunzione longitudinale del sistema. La zona absidale si eleva al di sopra della cripta, accessibile dal braccio nord del transetto, della quale riproduce esattamente la pianta a deambulatorio 23 semicircolare coronato da tre cappelle radiali; altre due cappelle sono accostate a nord e a sud delle campate laterali. Una doppia fila di cinque colonne sottili, coronate da magnifici capitelli intagliati in calcare biondo, divide il vano centrale della cripta. Le affinità che uniscono le sculture della chiesa indicano una datazione intorno alla prima metà dell’XI secolo. Le grandi carestie attorno al 1030 hanno tarpato le ali allo slancio di queste opere. Le due parti essenziali dell’edificio, transetto e coro da una parte, nartece e navata dall’altra, progrediscono separatamente e contemporaneamente durante tutto il corso dell’XI secolo, come se fossero state affidate ognuna ad un cantiere diverso che perfezionava i propri metodi di lavoro e si rinnovava senza comunicare con l’altro. Uno dei misteri più sconcertanti di questo edificio è che il disordine della costruzione non genera contrasto o conflitto di forme, bensì una sorprendente impressione di sintesi unitaria e di compiutezza. Le vicende storiche del IX e del X secolo suggeriscono una spiegazione della quale però bisogna avvalersi con prudenza estrema: si potrebbe ipotizzare che la convivenza tra i monaci fondatori e quelli sopraggiunti di Saint-Philibert avrebbe potuto incidere in qualche misura sul dualismo delle concezioni architettoniche. Con maggior sicurezza si può osservare che la chiesa fu al tempo stesso chiesa abbaziale e meta di pellegrinaggi, quindi la sua funzione liturgica fu duplice e concomitante. La chiesa fu solo in parte riservata all’uso proprio e ben definito dei monaci in quanto anche i fedeli e devoti di San Valeriano e San Filiberto, che costituivano flussi di pellegrinaggio tra i più praticati nella regione, dovevano avere libero accesso alle venerate reliquie 8.1 Elementi comuni dei monasteri cistercensi La riforma cistercense ha come principio fondamentale quello di riportare il monachesimo alle origini, prima della contaminazione del feudalesimo, secondo gli ideali di purezza, rigore e disciplina dettati dalla regola di San Benedetto. Uno dei principi cistercensi è quello di creare una rete di collegamenti tra tutti i monasteri; spesso le nuove fonazioni mantengono il nome delle abbazie madri borgognone, come nel caso delle abbazie di Chiaravalle che ereditano il nome dall’abbazia Clairvaux. Caratteristica delle abbazie cistercensi (derivate cioè dal monastero di Cîteaux) è la matrice compositiva delle piante basata sul quadrato, figura che nella tradizione cristiana rappresenta il cosmo. Il cerchio e il quadrato simboleggiano i due aspetti fondamentali di Dio: l’unità e la manifestazione divina. Il cerchio esprime il celeste, il quadrato il terrestre, non in quanto opposto al celeste ma in quanto creato. Nei rapporti fra il cerchio e il quadrato esiste una distinzione e una conciliazione: il cerchio sarà per il quadrato ciò che il 23 Prolungamento delle navate laterali di una chiesa oltre il transetto, intorno al coro. 29 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo cielo è per la terra e l'eternità per il tempo, ma il quadrato si inscrive in un cerchio, vale a dire la terra è dipendente dal cielo. Per i cristiani il Cristo rappresenta l'umanità, l'uomo quadrato per eccellenza. Da ciò non solo derivò la costruzione delle chiese ad quadratum, ma anche l'uso di porre nelle chiese la Pietra Angolare come simbolo di Cristo Gesù, come si legge nella lettera di S. Paolo agli Efesini ( ... Pietra maestra angolare essendo lo stesso Cristo Gesù sopra di cui l'edificio tutto insieme connesso si innalza in tempio santo del Signore… ). Questa formazione delle piante delle chiese cistercensi presenta delle analogie con l’uomo di Santa Ildegarda il quale, con i piedi uniti e le braccia tese, ha cinque misure uguali nel senso della lunghezza e della larghezza. Una chiesa cistercense ad quadratum si inscrive in un rettangolo; la sua pianta ha 12 misure uguali nel senso della lunghezza e otto nel senso della larghezza, cioè si ha il rapporto dodici ottavi che è uguale a tre mezzi. Nello studio dell'architettura cistercense è necessario tener presente la disposizione costante degli edifici che compongono il monastero e i concreti motivi funzionali che determinano tale disposizione. La pianta di un’abbazia cistercense si presenta articolata, secondo la regola di San Benedetto, in un organismo complesso e autosufficiente con una disposizione razionale e pratica degli edifici. I principali elementi esterni che determinano la posizione dei vari ambienti di un'abbazia cistercense sono: la configurazione del terreno, il clima, il corso d'acqua presso cui viene costruito il monastero e la direzione dei venti. Quando, per ragioni di topografia locale, non si poteva edificare l'abbazia sulle rive di un corso d'acqua, si costruivano canali, acquedotti e laghi artificiali. Tutti gli edifici dell'abbazia e anche gli orti, i giardini, le vigne nelle immediate adiacenze, sono protetti da un muro di cinta chiamato muro della clausura che limita l'ambiente strettamente monastico da cui i monaci non possono uscire. L'abbazia comunica con l'esterno mediante una porta principale presso la quale abita un monaco anziano, saggio, la cui maturità d'animo non gli permette di andar vagando; il suo compito è quello di ricevere i visitatori e rendere loro risposte. Presso la portineria, nell'interno del muro di clausura, sorge la foresteria che comprende il refettorio e il dormitorio per gli ospiti, l'infermeria e, nelle grandi abbazie, anche un ospizio per Fig. 23 - Planimetria dell’abbazia cistercense di Fontenay. poveri. Accanto alla portineria c'è una cappella per i forestieri e le donne che non possono entrare nell'ambito monastico, accessibile dall’esterno mediante una porta. Gli edifici si articolano in maniera razionale 30 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo attorno al chiostro, cuore dell'abbazia. Ad oriente si eleva sempre il fabbricato dei monaci coristi, ad occidente quello dei fratelli conversi o laici: due complessi monastici adatti e riservati alle diversità di vita dei due gruppi di religiosi che collaborano al buon andamento dell’abbazia. L'edificio più importante è la chiesa, orientata, a croce latina, che occupa generalmente la parte più elevata del terreno ed è disposta sul lato nord dell'abbazia per riparare l'ambiente dai venti di tramontana e per non impedire l'espandersi della luce sugli altri edifici. È generalmente a tre navate, con abside rettangolare e transetto. Poiché le chiese cistercensi sono esclusivamente riservate ai religiosi, presentano la disposizione degli stalli per la preghiera corale nella navata centrale; alcune abbazie sono persino prive dell'ingresso centrale sulla facciata. Il coro dei monaci è separato da quello dei conversi da una balaustra alla quale è addossato un pulpito chiamato jube, dalla formula latina jube, domne benedicere che il monaco cantava per chiedere la benedizione all'abate prima della lettura. Appoggiati al muro di fondo ci sono alcuni banchi per i fratelli infermi. La chiesa presenta una porta laterale chiamata porta dei coristi situata verso la parte terminale della navata destra e comunicante con il chiostro, e un'altra sulla stessa navata ma nella prima campata, detta porta dei conversi perché mette in comunicazione la chiesa con i dormitori di questi ultimi. Nel braccio destro del transetto si apre la porta di accesso alla sacrestia e ha inizio la scala che conduce al dormitorio dei coristi; nel braccio sinistro la cosiddetta porta dei morti immette nel cimitero monastico. Sulla crociera del transetto si eleva il campanile che, per disposizione degli Statuti Capitolari, deve essere di legno, di modeste dimensioni e con piccole campane, tali da poter essere suonate contemporaneamente da un solo monaco. Attraverso la porta dei coristi si passa nella galleria orientale del chiostro dove si apre - oltre ad una seconda porta della sacrestia l'aula capitolare o Capitolo, considerata l'ambiente più importante del monastero dopo la chiesa. In esso si svolge il capitolo delle colpe durante il quale i religiosi si accusano spontaneamente delle mancanze pubbliche contro la regola, per riparare al cattivo esempio e chiedere il perdono dei confratelli. Vi si svolgono anche le riunioni comunitarie per questioni riguardanti direttamente il monastero, come l'ammissione dei novizi alla professione, la vestizione religiosa, l'elezione dell'abate, gli acquisti e le vendite dei terreni e altri problemi d’importanza rilevante. Il posto dell'abate è al centro della parete orientale da cui partono sedili di pietra fino alla porta. Subito dopo, dal lato sud si accede al calidarium dove gli amanuensi fanno sciogliere i colori per le miniature; quindi si passa poi allo scriptorium e alle altre sale di lavoro. Il refettorio, situato nel lato opposto a quello della chiesa, è perpendicolare a questa. L'ala occidentale del monastero viene chiamata edificio dei conversi perché riservata esclusivamente ai fratelli non coristi. Al pian terreno è situato il dispensarium, grande sala rustica adibita a deposito di frumento, vino, olio e di altri prodotti dell'agricoltura. Separato da una galleria che conduce al chiostro segue il refettorio dei conversi, mentre al piano superiore sono ubicati i loro dormitori. La pianta appena descritta viene denominata bernardina perché ideata da San Bernardo per l'abbazia di Chiaravalle e adottata come modello per i nuovi monasteri. 8.2 Abbazia di Notre-Dame a Fontenay Quando San Bernardo divenne abate di Clairvaux, fondò tre colonie: TroisFontaine, Foigny e Fontenay. L’edificazione di quest’ultima venne iniziata nel 1119 su di un terreno donato al santo da un parente. Il nome del luogo deriva dal latino fontanetum e sta ad indicare la ricchezza del sito di acque e sorgenti. 31 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 24 - Planimetria generale dell’abbazia di Fontenay. San Bernardo seppe trarre preziose conclusioni dal crollo di una volta della chiesa di Cluny, episodio che confermò la fragilità della volta a botte acutizzante sovrapposta ad una zona aperta per l’illuminazione diretta della navata; egli, dettando ai costruttori della chiesa abbaziale di Fontenay un programma basato sulla composizione matematica delle parti, incastrò strettamente la volta a botte acutizzante della navata centrale entro le navate laterali voltate a botti trasverse (espediente simile venne adottato nel piano terra del nartece di Tournus). La razionalità dell’architettura che ne derivò è riferibile a rapporti musicali, secondo il pensiero medioevale che sosteneva l’esistenza di una musica celeste prodotta dal moto dei pianeti non udibile dall’orecchio umano, ma riproducibile attraverso proporzioni geometriche. Dunque si può affermare che i cistercensi furono i primi ad applicare principi musicali in architettura. La chiesa venne dedicata nel 1147 da Papa Eugenio III, il Papa voluto e sostenuto da San Bernardo in quanto suo allievo. Nel 1500 l’abbazia contava 300 tra monaci e conversi. L’abbazia illustra, con la sua chiesa, il chiostro, il refettorio, il dormitorio, la boulangerie e la forgia, l’ideale autarchico delle prime comunità cistercensi; venne cioè ideata in modo che tutto il necessario – l’acqua, il mulino, l’orto – fosse presente nel monastero e i monaci non avessero bisogno di rivolgersi all’esterno. Inoltre la vita monastica segnò un ritorno al lavoro manuale che rese celebri i monaci di Fontenay per la 32 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo loro abilità e perizia nel canalizzare le acque per la bonifica, l’irrigazione e la produzione di energia idraulica. La differenza evidente dell’abbazia di Fontenay e, in generale, delle abbazie cistercensi rispetto a quelle cluniacensi è la totale assenza di ogni decorazione figurativa, finalizzata a conferire semplicità e purezza alle celebrazioni religiose, secondo gli ideali di San Bernardo. Dal punto di vista della costruzione, l’abbazia di Fontenay rappresentò un cantiere – scuola cistercense dove si formarono Fig. 25 - Il complesso abbaziale di Fontenay – vista aerea. capomastri, muratori, carpentieri, scalpellini e tagliapietre. Proprio per questa capacità delle maestranze di divulgare raffinatissime conoscenze nell’arte del costruire, viene attribuita all’esperienza architettonica cistercense la transizione dallo stile Romanico al Gotico. La chiesa è composta da una navata di otto campate con navate laterali, da un transetto aggettante da ogni braccio dal quale si aprono a est due cappelle quadrate, e da un coro di due campate a fondo piano. I pilastri che dividono la navata maggiore dalle laterali, sono polilobati24, coronati da capitelli semplicemente modanati25 con scantonature26. Fig. 26 - Interno e facciata della chiesa abbaziale. Sull’altare della chiesa sono raccolte le lapidi mortuarie di alcuni abati. Nell’abside di destra si trova il monumento funebre del cavaliere Mello d’Epoisses e della sua dama, sui quali vegliano alcuni putti che leggono libri seduti a gambe incrociate. L’uscita di sinistra è chiamata porta dei morti: da qui i feretri dei monaci venivano trasportati nel 24 25 26 A sezione composta. Sagomati. Smusso degli spigoli. 33 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo cimitero dell’abbazia. Il pietrisco che costituisce la pavimentazione odierna della chiesa non è originale. La facciata semplice con portale strombato27, era preceduta in origine da un portico. Essa presenta un sistema razionale di aperture dettato da una simbologia: tre finestre superiori ad indicare il mondo divino e quattro aperture inferiori per quello terreno. Al centro del complesso abbaziale sorge l’abitazione settecentesca del proprietario privato, costruita in stile rurale raffinato con pietre grigie. Fig. 27 - La colombaia e il chiostro. Il dormitorio è una lunga navata di quasi 60 m coperta da una grande carena capovolta. Qui i monaci dormivano insieme su pagliericci, senza la possibilità di accendervi dei fuochi, ammessi dalla regola solo nella sala del capitolo. Sul lato che si attesta sulla chiesa, una finestra permetteva ai monaci più anziani di seguire i riti liturgici. Fig. 28 - Il dormitorio. Il motivo che spiega la presenza di una forgia all’interno dell’abbazia è l’esistenza a poca distanza di un giacimento di ferro. La forgia è un edificio imponente, le cui pareti esterne rivelano ancora tracce del ferro e del fuoco che lo abitavano. Possenti pilastri reggono le volte dell’edificio. Restano gli attrezzi del lavoro degli operai metallurgici e gli ingegnosi sistemi che adoperavano per sollevare il ferro e portarlo sul maglio dove veniva 27 Con sguincio degli stipiti. 34 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo battuto. La parete esterna della forgia è ancora fiancheggiata dalla canalizzazione del corso d’acqua che percorre la valle e che alimentava il sistema di ruote. Fig. 29 - La forgia – vista esterna. Fig. 30 - La forgia – interno. 35 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 31 - Il canale di alimentazione della forgia e la fontana settecentesca. Il sistema restò in funzione fino al 1791, quando nuovi proprietari passarono dalla lavorazione del ferro a quella della cellulosa. Il complesso fu adibito a cartiera fino al 1906, anno in cui gli edifici vennero ricondotti al loro aspetto originario, mentre nel 1981 venne dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Lungo il torrente, a monte, numerosi bacini conservano una ricca itticultura. Lo stesso canale alimenta dal XVIII secolo la vasca monumentale progettata e costruita per il piacere della frivola nobiltà. 36 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Fig. 32 - Il platano secolare datato 1730 tra a forgia e la chiesa. 9 L’apporto del restauro ottocentesco per i monumenti francesi La Rivoluzione francese identificò nei palazzi, nelle ville e nei castelli la testimonianza della tirannia della precedente dinastia monastica e nelle chiese e nei conventi quella di una religione secolare che si era deciso di sopprimere e sostituire con quella della Dea Ragione; persino il castello di Versailles venne messo all’asta nel 1793. La triste vicenda di cattedrali e abbazie francesi è impressionante: quelle che il fanatismo 37 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo rivoluzionario non è arrivato a distruggere, sono rimaste talmente mutilate e offese da rendere il loro restauro estremamente complesso. In base al concordato firmato da Napoleone nel 1801 con la Chiesa di Roma, vennero restituite al culto le chiese profanate, ma non i beni espropriati e i redditi confiscati, per cui soltanto lo Stato avrebbe potuto provvedere alla loro ricostruzione. Fortunate le chiese adibite ad usi profani, in quanto potevano ricevere una manutenzione dal Genio Civile. Altre chiese che risultavano pericolanti vennero demolite, altre ancora vendute ad imprese private per ricavarne materiale da costruzione. Molte infine furono vittime delle grandi demolizioni urbanistiche attuate nell’ottocento per l’apertura di strade, piazze e per far posto a nuovi edifici pubblici. Tra le chiese scomparse più importanti rientra l’abbazia di Cluny. Dopo la caduta di Napoleone, la cosiddetta Restaurazione degli Orléans e la successiva monarchia Borbonica, si verificò un ritorno verso l’antico e verso il ripristino di quei monumenti che meglio lo rappresentavano. La Francia da questo punto di vista era impreparata, dato che l’esigenza dei restauri si presentava in un momento artistico spiritualmente opposto al carattere stilistico dei monumenti da recuperare. Non erano infatti gli architetti neoclassici i più adatti alla comprensione e alla cura dei palazzi, delle cattedrali gotiche e delle abbazie romaniche. I contrasti generarono per tutto l’Ottocento un dibattito continuo, tanto da costituire per la storia del restauro la pagina più interessante, anche per le molteplici influenze che ne derivarono per gli altri paesi europei. Era evidente che per un certo periodo gli architetti restauratori dovessero procedere per tentativi e senza una qualsiasi regola generale; come potevano del resto gli architetti neoclassici conciliare gli ideali di simmetria che praticavano nelle nuove costruzioni con le improvvisazioni continue e frammentarie di un’architettura antica? Fu a questo punto che si affermò la grande figura dell’architetto Eugenio Emanuele Viollet-leDuc, nato a Parigi nel 1814 e morto a Losanna nel 1879. Per comprendere la sua posizione bisogna tener conto che egli venne a trovarsi storicamente nel periodo di trapasso tra neoclassicismo ed eclettismo. E’ necessario inoltre considerare che verso il 1840 si era ben lontani da una qualsiasi definizione del problema del restauro; egli si trovò ad operare su monumenti poco intesi, mai studiati e sui quali era passata la furia distruttrice della Rivoluzione. Viollet-le-Duc era uno storico, osservatore, disegnatore finissimo e ottimo scrittore. Ciò gli diede modo di diventare il massimo trattatista dell’architettura francese del suo secolo. Egli insegnò la necessità di accostarsi ai monumenti da restaurare con profonda umiltà: “occorre una religiosa discrezione, una rinunzia completa di ogni Fig. 33 - Eugenio Emanuele Viollet-le-Duc idea personale, e nei problemi nuovi, quando si debbano aggiungere parti nuove, anche se non sono mai esistite, occorre mettersi al posto dell’architetto primitivo e supporre che cosa farebbe lui se tornasse al mondo e se avesse innanzi lo stesso problema.” Quando Viollet-le-Duc introdusse dei falsi stilistici nei suoi restauri, lo fece nell’intenzione di ripristinare l’unità corale di un’architettura, restituirla alla sua unità stilistica per ristabilirne l’integrità. La sua profonda conoscenza degli stili può averlo tradito, trascinandolo ad operare senza limiti fino alle estreme conseguenze di una 38 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo ricostruzione o di un completamento. Ma era anche un artista e come tale non poteva non perseguire un ideale di bellezza nell’opera d’arte compiuta, come nel pensiero di chi l’aveva concepita. L’attività di Viollet-le-Duc fu eccezionale particolarmente dal 1850 al 1870. La sua presenza ormai indiscussa in Francia veniva richiesta anche da altri paesi, compresa Firenze che ripetutamente lo invitò (invano) per giudicare il concorso per la nuova facciata del Duomo nel 1864. Fig. 34 - L’abbazia di Vézelay in alcuni schizzi di Viollet-le-Duc. In Francia ancora oggi non è difficile sentire condannare le ricostruzioni con la frase “c’est Viollet-le-Duc”; è infatti abituale l’uso di attribuirgli qualsiasi restauro o per lo meno di ricondurlo ad una sua scuola in realtà mai esistita. Tra i lavori di restauro di Viollet-le-Duc vi è la chiesa di Vézelay, ricostruita nell’interno e nelle volte e restaurata, non senza qualche arbitraria soluzione, nella facciata ancora in buona parte romanica, ma gotica nella zona centrale. 10.1 L’abbazia di Vézelay - storia Nell’887 i normanni saccheggiarono e incendiarono il piccolo monastero di SaintPère fondato nell’855 dall’allora duca di Lione reggente di Provenza. I monaci fecero appena in tempo a rifugiarsi sul vicino poggio dove rimanevano alcune rovine di un oppidum celtico, restandovi poi stabilmente. Il monastero primitivo era stato posto sotto il patronato della Madonna. Tuttavia era convinzione dell’epoca che esso detenesse il corpo di Maria Maddalena. La leggenda poggia su di un fondamento storico incontestabile che è la precocità in Borgogna del culto della Santa penitente, manifestato per la prima volta da uno scritto dal titolo Sermo in verenactione Sanctae Maria Magdalenae attribuito a Ottone di Cluny. In base a questa testimonianza si ritiene che la devozione per la Maddalena si diffuse a Vézelay attraverso il canale di Cluny. Una seconda teoria darebbe credito alla legenda Aurea scritta tra il 1255 e il 1266 da Iacopo da Varazze, vescovo di Genova, secondo cui la Maddalena, 14 anni dopo la passione di Cristo, approdò a Marsiglia insieme ad altri discepoli, morendo dunque in Francia. 39 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Sta di fatto che a partire dall’XI secolo erano in molti i pellegrini che, sul percorso di Santiago di Compostela o (nel verso opposto) di Roma, percorrevano le pendici rocciose per affollarsi attorno alle reliquie di colei che ancor prima degli Apostoli aveva visto il Cristo risorto. Con passione l’abbazia organizzò, rafforzò e difese la propria libertà contro chiunque pretendesse limitarla. Essa dipendeva dalla giurisdizione del vescovo, ma sostenne una lunga lotta per emanciparsene. La bolla del 1103 che essa riuscì ad ottenere dal Papa costituisce in sostanza la carta dei suoi privilegi: i beni del monastero, comprese le elemosine, non potevano essere diminuiti o sottratti da nessuna autorità. In particolare era proibito al vescovo della diocesi fare pubbliche stazioni o celebrare privatamente messe nell’abbazia, senza esservi stato espressamente invitato dall’abate personalmente. Stanco delle continue discordie, Papa Eugenio III prese nel 1151 l’iniziativa di aprire un’inchiesta che avrebbe dovuto determinare i diritti e le relative prerogative degli abati e del vescovo di Autun nella città di Vézelay, nonché all’interno del monastero. Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 1120 un grandissimo incendio devastò il monastero; la Chronique del Saint-Maixent enumera circa 1927 morti. Ancora durante il corso del XII secolo l’abbazia subì i danni del fuoco; l’incendio devastò persino la cripta delle reliquie, risparmiando solo un’immagine della Beata Maria Madre di Dio. Nel 1146 San Bernardo di Chiaravalle vi predicò la seconda crociata capeggiata da Riccardo Cuor di Leone ed è ancora a Vézelay che si radunò la terza crociata del 1190. Nel 1256 due legati pontifici vennero in gran pompa per una nuova ricognizione dei resti della Maddalena, rivelando che in passato, con l’avvicinarsi dei saraceni, le sacre ossa erano state traslate in segreto in un sarcofago sconosciuto. Tale sarcofago venne misteriosamente riscoperto nel 1279; Papa Bonifacio VIII ne affidò la custodia ai figli di San Domenico. Da questo momento iniziò il declino di Vézelay. Nel 1568 gli ugonotti si appropriarono di Vézelay; si narra che essi all’interno vi giocassero a bocce con le teste tagliate delle loro vittime. Nella notte fra il 21 e il 22 ottobre 1819 un fulmine colpì l’alta Fig. 35 - San Bernardo di Chiaravalle in una miniatura. torre di facciata e per la sesta volta il santuario arse. Quando nel 1840 Viollet-le-Duc accorse sul luogo, la chiesa non era che una carcassa sventrata, destinata alla rovina. Non ne resterebbe più nulla se l’architetto non avesse osato metter mano ad un restauro generale della basilica. 40 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo 10.2 Descrizione Caratteristiche: Lunghezza massima Lunghezza del nartece Larghezza del nartece 103,00 m 20,40 m 23,60 m 41 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Altezza della navata del nartece Larghezza della navata del nartece Larghezza delle navatelle del nartece Lunghezza della navata della chiesa Larghezza totale Larghezza della navata centrale Altezza della navata centrale Larghezza delle navate laterali Larghezza del transetto Lunghezza del transetto Lunghezza del coro Larghezza del coro Altezza della torre Antonia Altezza della torre di facciata Cripta Lunghezza Larghezza 20,00 m 10,20 m 6,20 m 62,00 m 23,00 m 10,60 m 18,50 m 6,20 m 28,00 m 9,00 m 16,00 m 10,60 m 35,00 m 38,00 m 19,00 m 8,80 m Il nome Vézelay ha una probabile origine celtica: il prefisso vezh (che indica la durata e lo scorrere del tempo) e la seconda sillaba lech’h (che significa grande pietra) indicano come traduzione pietra del tempo antico. La composizione architettonica del complesso è in un certo qual modo dettata dalla duplice funzione che la chiesa era chiamata a svolgere come parte di un’abbazia benedettina, con un grande coro riservato ai monaci, e come santuario tra i più frequentati dell’occidente, giustapponendo all’area del coro una grande navata e una cripta provvista di altari. Fig. 36 - Viste d’interno. Una lunga navata centrale romanica a dieci campate, fiancheggiata da navatelle e preceduta da un nartece della stessa larghezza lungo tre campate e provvisto di corpi laterali, un transetto di aggetto lieve sul quale si articola un vasto coro gotico a deambulatorio coronato da cinque absidiole a raggiera tangenti fra loro, compongono un 42 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo insieme basso e piano, rialzato da due torri: una sul lato sud della facciata e l’altra piantata sull’ultima campata della navata centrale. Le sue forme sono forti, robuste: grandi arcate a tutto sesto con ghiere esterne decorate con un fregio di foglie e pilastri cruciformi con mezze colonne inserite regolarmente sui quattro lati. L’apporto cluniacense è sensibile solo nei piccoli pilastri che, annidati negli angoli, sostengono gli archi delle pareti laterali posti attorno alle finestre. Volte a crociera coprono in modo uniforme sia la navata centrale che quelle laterali. Una nicchia della navata di destra nei pressi dell’abside ospita la statua di San Bernardo di Chiaravalle che bandisce una croce e ciò che resta di una spada. La pavimentazione è lastricata con pietre grigie su alcune delle quali, nelle due navate laterali, sono incise sette lettere in alfabeto maiuscolo greco. I lavori di ricostruzione iniziati nel 1106 e interrotti dall’incendio del 1120, non trascurarono nulla affinché alla dignità del santuario e delle reliquie in esso contenute corrispondesse lo splendore di un programma arricchito dagli ornamenti della pietra scolpita. Vezelay apprende tutta la ricchezza della decorazione cluniacense: sono infatti dimostrate da tempo le affinità che intercorrono tra i famosi capitelli salvati a Cluny e la scultura di Vézelay. Oltre alle ghirlande ornamentali che sottolineano con tratto brillante le articolazioni essenziali della struttura, la navata annovera non meno di un centinaio di capitelli scolpiti. I soggetti sono fantastici, due di essi rappresentano scene ed episodi della mitologia pagana: l’educazione di Achille (navatella meridionale) e il ratto di Ganimede (navata centrale, lato sud); tali forme sembrano illustrare un rinascimento antico che si sviluppa proprio nella civiltà romanica fin dagli ultimi anni dell’XI secolo. Molto più numerosi sono i soggetti biblici: fiumi del paradiso, caduta di Adamo ed Eva, sacrificio di Caino e Abele, morte di Caino, vita di Giacobbe, Davide che spezza la mascella del leone, Davide e Golia, Daniele fra i leoni, Giuditta e Oloferne, e così via. Le vite di San Pietro, Sant’Antonio, San Martino, San Benedetto e Sant’Eugenia forniscono parecchi soggetti. Un motivo ricorrente è costituito da demoni, animatori Fig. 37 - Capitello scolpito. malefici di queste immagini. Si osserva che la santa patrona Maria Maddalena non è mai raffigurata, così come sono quasi assenti gli episodi della vita di Gesù, come ad indicare che la figura abbagliante del 43 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Cristo in Maestà dagli occhi severi posta sulla lunetta del portale della navata maggiore basta da sola a far concentrare su di essa il fervore dei pellegrini. Fig. 38 - Cristo in maestà sulla lunetta del portale centrale. Dalle sue mani si diffondono i raggi della Pentecoste, affinché siano evangelizzati tutti i popoli della terra. Esso rappresenta l’opera più sapiente di tutta la statuaria romanica della Borgogna. Due piccoli portali laterali lo inquadrano. Sotto i loro ricchi archivolti sopraelevati, essi presentano: a destra scene dell’infanzia di Cristo (Annunciazione, Visitazione, Annunzio ai pastori, Natività, Adorazione dei magi), a sinistra i pellegrini di Emmaus e l’Apparizione di Cristo agli apostoli dopo la resurrezione. Alcuni studiosi intuiscono alcune simbologie che rimandano alla discendenza reale di Gesù Cristo e dunque alla ricerca dei cavalieri Templari per il Graal. D’altro canto non si può dimenticare che gli stessi cavalieri si riunirono a Vézelay dopo che San Bernardo diede loro la regola dell’Ordine del Tempio. Fig. 39 – Alcune viste dell’esterno dell’abbazia. Iniziato poco dopo la navata maggiore, il nartece riveste di penombra i portali. Il frontone, con le sue cinque monofore ad ogiva messe a scalare ed i piedritti adorni di 44 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo statue e colonne, è gotico. Una galleria di arcate trilobate28 occupa il registro superiore, sotto una serie di archivolti a sesto acuto. Dall’interno del transetto due scale sboccano in fondo ad un’ampia cripta coperta da volte a crociera che si stende sotto la zona absidale; essa è divisa in tre navate da due file di esili colonne i cui capitelli scolpiti da fogliame mostrano somiglianze con quelli cistercensi di Fontenay e preannunciano lo stile Gotico. L’Unesco ha inserito Vézelay nell’elenco dei santuari considerati patrimonio dell’umanità. 11.1 La città di Digione Digione si impone tra le città d’arte francesi per la qualità, l’omogeneità e la coerenza di ogni singolo monumento. Nasce come castrum29 nel basso impero romano (52 a.C.) con il nome di Divio. Nel 1015 Roberto I, primo duca di Borgogna, la scelse come capitale del suo ducato. Durante la guerra dei 100 anni il ducato si alleò ripetutamente con l’Inghilterra, tanto è vero che fu Giovanni il Buono di Valois a catturare Giovanna d’Arco e a consegnarla agli inglesi. Pare che ai duchi di Borgogna, indipendenti politicamente fino al 1477, si debba l’importante invenzione culinaria della senape, nata come salsa capace di coprire il sapore rancido della carne che all’epoca si conservava difficilmente. Digione, capoluogo della Côte d’Or, vanta tra i migliori vigneti del mondo, coltivati su un terreno rosso dorato (da cui il nome della regione). Ad ovest, fuori dalle mura e di fronte alle colline piantate a vigneti, il borgo si raggruppa attorno alla tomba dell’evangelizzatore San Benigno e all’abbazia, mentre l’espansione urbana del medioevo crea un tessuto continuo costituito da reticoli di strade sinuose e vicoli che si diramano tra la varietà di case dai tetti aguzzi. Il mecenatismo dei duchi e successivamente degli stati di Borgogna dona a Digione il Palais des Ducs, edificio al quale schiere di rinomati architetti non cessarono mai di lavorare dal XV secolo fino alla fine dell’Ancien Regime, tra cui Hardouin-Mansart, l’ideatore di Versailles. Il Palais des Ducs, che oggi ospita l’Hôtel des Ville (municipio) e il Musée des Beax-Arts, si affaccia sulla semicircolare Place de la Libération in stile Luigi XIV. La borghesia parlamentare dei secoli XVII e XVIII costruì alloggi per benestanti nei quali si mette in mostra l’appagamento del viver bene. Di particolare rilevanza è la chiesa di Notre-Dame (1230), considerata il miglior esempio di architettura gotica in Borgogna e scrigno della decana delle Madonne nere francesi detta di Buona Speranza. In uno dei campanili della chiesa si trova il famoso orologio Jaquemart, portato a Digione come trofeo di guerra da Filippo l’Ardito nel 1383. In origine il carillon dell’orologio era formato da un piccolo fabbro in ferro che batteva le ore, al quale gli abitanti di Digione aggiunsero successivamente una moglie (XVII secolo) chiamata Jaqueline, un figlio (XVIII secolo) Jaquelinet, e quindi una figlia (XIX secolo) Jaquelinette! Su di una parete della chiesa dal lato della Rue de la Chouette, è visibile una civetta in pietra: si dice che appoggiare la mano sinistra sulla testa della civetta porti fortuna. La ricostruzione a seguito dell’incendio del 1137 ha fornito la città della chiesa romanica di Saint-Philibert, priva oggi delle sue tre absidi, voltata a crociera con portico del XIII secolo (dinnanzi al quale veniva eletto il Sindaco della città), una graziosa flèche di pietra aggiunta nel XV secolo e un portale meridionale dove si ritrova la grazia della 28 29 Costituite da tre lobi. Insediamento romano dotato di una propria fisionomia giuridica e territoriale. 45 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo scultura romanica al suo crepuscolo. Si pensa che l’ornamentazione delicata del portale provenga dalla vicina chiesa abbaziale. Vestigia della città è anche la chiesetta dei Templari costruita a Tichâtel e trasportata pietra per pietra sulle pendici dell’altopiano di Corcelles-les-Monts, al limite della periferia della città. La navata rettangolare e il coro rettilineo sono coperti da volte a botte, mentre la zona absidale termina con tre finestre disuguali. Tra gli altri monumenti della città sono da ricordare: la Cappella Ducale (XIII secolo), custode dell’Ostia Santa donata da Papa Eugenio IV nel 1433; il Palazzo del Ciambellano o degli Ambasciatori, nello stile Gotico fiammeggiante (1490); Il sontuoso Palazzo di Giustizia (XV – XVI secolo); la Certosa di Champmol, necropoli dei duchi vallesi; la chiesa di Saint-Jean dalla bella volta a botte lignea sorretta da pareti nude; la chiesa di Saint-Michel, con una squisita e gracile navata fiammeggiante dietro un’impressionante facciata rinascimentale; la chiesa delle Carmelitane, prototipo di una ricca fioritura classica; La Biblioteca Municipale, che conserva la collezione dei libri teologici, la Bibbia per prima, che furono miniati nell’abbazia di Cîteaux; infine la chiesa delle suore di San Bernardo con la sua meravigliosa cupola. Famosa come città universitaria, Digione non manca di locali di tendenza tra cui la discoteca L’An-fer più in voga al momento, Le Cappuccino, locale Bohemien di gusto, Le Chez Nous dietro Rue Quentin, tradizionale e alternativo al tempo stesso, Le Crockodil in Rue Berbisey e la Rhumerie la Jamaique in Place de la Republique. L’ufficio del turismo è in Place Darcy. 11.2 Il monastero di San Benigno a Digione - storia La fondazione del monastero di San Benigno di Digione si perde nella leggenda. Ad ovest del castrum romano si estendeva un’ampia zona cimiteriale dove vi erano tombe pagane e cristiane. Tra queste vi era un grande sarcofago a cui i contadini rivolgevano le loro preghiere, venendo miracolosamente esauditi. Era tale l’ammirazione che il vescovo di Langres Gregorio tentò di proibirne l’adorazione, considerandolo un culto superstizioso. Allora San Benigno apparve al vescovo e, rimproverandogli la sua incredulità, gli impose di erigere sulla sua tomba una chiesa dignitosa coperta da volte eleganti. Del martire Benigno non si conosce molto, tuttavia una forte tradizione fa di lui un discepolo di San Policarpo, figlio spirituale di San Giovanni evangelista. Non si sa in quale momento preciso si sia costituita attorno alla tomba l’aggregazione di una comunità monastica che ne garantì la custodia e il culto. Secondo la Chronique de Saint-Bénigne, redatta nell’XI secolo, questa fondazione si dovette al vescovo Gregorio in persona, che dette il mandato di governarla a Eustade de Mesmont. In seguito il re di Borgogna Gondran gratificò l’abbazia con ricche donazioni e istituì la liturgia della lode perpetua. L’VIII secolo inferse grandi colpi alla prosperità di San Benigno. Le guerre e le incursioni saracene generarono una deplorevole decadenza morale e materiale. Fu soltanto nell’869 che il vescovo riformatore Issac si mosse per la necessaria restaurazione dell’abbazia; la sua prima cura fu quella di introdurre la regola benedettina. La chiesa fu ricostruita quasi da cima a fondo su di una pianta molto più vasta di quella primitiva. Essa sovrapponeva due edifici provvisti di un ampio transetto e di cinque absidi degradanti, prolungate ad oriente da una rotonda. La cripta fa intuire che i costruttori preromanici della Borgogna prediligevano le piante rotonde e l’edicola circolare restituita dagli scavi della cattedrale di Saint-Pierre a Ginevra ovvero la rotonda della chiesa di Lémenc a Chambéry sono la prova 46 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo dell’espansione attraverso le zone meridionali e alpine del sistema costruttivo dell’ampia area burgunda. All’inizio del X secolo il santuario era in condizione di poter accogliere le reliquie di numerosi santi. Si narra al proposito che nel 944 il Foucher, abate di San Benigno, portò da Gerusalemme una spina della corona di Cristo. Durante questo periodo oscuro, minacciato dalle incursioni barbariche, l’ordine si trasferì all’interno del castrum. Il personaggio di Guglielmo è certamente la figura più illustre di tutta la storia di San Benigno di Digione. Nel 990 il vescovo di Langres Brun de Roucy lo chiamò a restaurare moralmente e materialmente l’abbazia. Oltre all’introduzione dell’osservanza di Cluny, l’opera di Guglielmo consisté nel rimaneggiare la basilica carolingia, in fondo alla quale egli volle realizzare il suo capolavoro, il più mirabile di tutta la Gallia, la gigantesca rotonda alta tre piani, di cui oggi permane solo quello terreno. Fig. 40 - L’abbazia di Digione ai tempi di Guglielmo da Volpiano (vista prospettica e sezione longitudinale). Alcuni studiosi cercano di ridimensionare l’opera attuata da Guglielmo a San Benigno, supponendo che egli non ricostruì del tutto la chiesa abbaziale carolingia, ma sviluppò solamente gli spunti che essa offriva, sopraelevando la rotonda tradizionale che prolungava verso oriente la chiesa basilicale. I testi della Chronique de Saint-Benigne di 47 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Digione prevengono questi giudizi e illuminano la personalità vera di Guglielmo, guida e maestro di uomini, rilevando l’afflusso all’abbazia di personalità illustri, molte delle quali dall’Italia. Da Milano, Ravenna, Pomposa si recavano da lui le migliori figure religiose del tempo e sovente ritornavano in Italia con la sua approvazione per assumere cariche importanti. Le competenze architettoniche dell’abate probabilmente derivavano dall’influenza del territorio in cui si formò, ovvero la regione di Como, riserva inesauribile di tagliapietre, muratori, impastatori di malta e stucco. A Digione l’opera dei capomastri comacini fu determinante; i disegni pubblicati nel XVIII secolo da dom Plancher nella sua Historie de Bourgogne permettono di constatare che modi comacini ispirarono l’elegante galleria di nicchie a tutto sesto sulla parte esterna della rotonda, prima applicazione in Borgogna di un’ornamentazione destinata, durante tutto l’XI secolo, ad avere gran favore. Questa firma della manodopera basterebbe a far presumere la provenienza dei costruttori della rotonda. Ma la Chronique de Saint-Benigne va molto oltre, attribuendo all’abate Guglielmo una responsabilità tecnica diretta: mentre il vescovo Brun de Roucy garantiva semplicemente la gestione finanziaria ed economica del cantiere, Guglielmo dirigeva le squadre di operai e dettava il lavoro, assumendo il ruolo di capocantiere al vertice, per cui agli architetti non restava altro che realizzare praticamente le sue ideazioni. E’ altrettanto certo che egli garantì l’effettiva direzione del cantiere, compito che non presuppone soltanto un’autorità sulle diverse categorie di tecnici, ma una vigilanza e un controllo sufficientemente attenti ad evitare qualsiasi falsa manovra, scoprire difetti di fabbricazione e prevenire incidenti o imprevisti. Guglielmo però non ebbe il tempo e la possibilità di portare a termine il restauro generale dell’abbazia. Al suo successore, l’abate Halinard, viene attribuita una splendida sala con volte a crociera che forma, con le sue strutture rudi e massicce, un impressionante contrasto con l’eleganza raffinata dei piani superiori. Elementi come la muratura piccola in calcare, i robusti pilastri in muratura a sezione quadra o tonda, le singolari imposte a triangolo rovescio per il passaggio dalla sezione circolare a quella ortogonale, ricordano vagamente la chiesa di Chapaize recentemente restaurata. L’incendio del 1137 divorò l’abbazia e il quartiere urbano che le si era sviluppato attorno; gli abati misero mano ad un restauro che arricchì la chiesa di tre portali scolpiti. Il nuovo edificio però ebbe vita breve in quanto a partire dal 1280 l’abate Ugo d’Arc lo fece radere al suolo e intraprese la costruzione di un coro gotico. La costruzione della navata continuò durante il XIV secolo, in uno stile più spoglio che tradisce probabilmente carenze finanziarie ma non privo di grandiosità. In particolare la statura esterna non manca di slancio ed equilibrio. Con la Rivoluzione l’abbazia fu secolarizzata e la chiesa divenne Cattedrale nel 1792; ciò fece procedere Fig. 41 – Una delle torri, eredità della ricostruzione del XIV secolo. subito all’abbattimento della rotonda, la quale, riscoperta tra il 1843 e il 1853 in occasione della realizzazione di una nuova sacrestia, fu oggetto di un restauro radicale a cura dell’architetto digionese Suisse. 48 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Particolare commovente: proprio nell’anniversario della festa del Santo patrono rivennero alla luce l’emiciclo della tomba e la vasca del sarcofago in arenaria. 11.3 Descrizione Caratteristiche: Lunghezza della basilica preromanica Larghezza 64,00 m 26,00 m 49 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Diametro della cripta Lunghezza dell’edicola orientale (oratorio di S. Maria) Larghezza dell’oratorio 17,00 m 4,70 m 4,35 m Dalla pianta si riconosce la similitudine con il Santo Sepolcro di Gerusalemme, con quadriportico iniziale, cinque navate con abside e due percorsi concentrici. La struttura, costruita sul modulo del quadrato, richiama la romanità riproponendo le proporzioni e l’apertura sulla sommità della cupola che si ravvisano nel Pantheon. Si penetra oggi nella cripta mediante una scala che si apre sul corridoio della sacrestia. Vicinissima alla cripta, la bella e luminosa sala gotica dell’antico dormitorio ha per basamento un’impressionante edificio sotterraneo, le cui enormi pilastrature e la muratura evidenziano la prima arte romanica mediterranea che Guglielmo aveva contribuito ad impiantare in Borgogna. Il dormitorio, oggi museo, raccoglie tre commoventi vestigia (una testa di San Benigno e due portali scolpiti) della chiesa e degli edifici ricostruiti a seguito dell’incendio del 1137. La Chronique de Saint-Bénigne, redatta nell’XI secolo, contiene la descrizione del complesso pressoché completamente demolito al momento della costruzione della chiesa gotica: nel piano terra vi erano non meno di 104 colonne e quattro altari stavano attorno a quello principale, eretto sulla tomba di San Benigno; al di sopra la chiesa, illuminata da 70 vetrate, annoverava 121 colonne, la maggior parte delle quali separavano la navata centrale da quelle laterali coperte a doppia volta. Una scala moderna dà accesso al braccio meridionale della chiesa bassa, coperto da volta a crociera, i cui costoloni scaricano su colonne tonde. Lo stato di disfacimento in cui versavano i resti della chiesa riesumata dai restauratori nel secolo scorso diede adito ad una ricostruzione ex novo di murature, pilastri e capitelli senza la logica originaria. Tra i bracci nord e sud si sviluppa l’emiciclo principale nel cui fondo, in una fossa rettangolare incurvata verso ovest, si trova la pietra del venerato sarcofago. Fig. 42 - Le rovine della cripta ad oggi. 50 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Quattro colonnine dai capitelli nudi, molto rimaneggiati, incorniciano questo vano e sorreggono una volta a botte intersecata da volte trasverse. Altre sei colonne circolari delimitano l’emiciclo, delineando un deambulatorio semicircolare che permette di venerare la tomba e di passare da un braccio all’altro. E’ su di esso che si apre quanto resta della famosa rotonda che Guglielmo da Volpiano fece costruire tra il 1001 e il 1016. Lo stato attuale dei luoghi impoverisce e altera l’impressione fortissima che dovevano provare pellegrini e fedeli quando contemplavano dinanzi a loro la foresta di pilastri disposti in tre file concentriche, i tre piani sovrapposti e la colonna di luce che, cadendo dall’alto, inondava il punto centrale e lambiva i fusti dalle tonalità avorio. La rotonda di Guglielmo sviluppa un doppio deambulatorio anulare attorno ad un ottagono centrale delimitato da otto colonne. Un secondo colonnato di sedici colonne separa il primo dal secondo deambulatorio. Un terzo di ventiquattro semicolonne, i cui capitelli sono nuovi, è addossato contro il muro esterno. L’autenticità delle volte è dubbia, mentre l’ottagono centrale all’origine era aperto e creava un vuoto aspirato dall’alta cupola del piano superiore. Una volta a botte ricopre il primo deambulatorio, mentre nel secondo volticelle a crociera si frappongono agli scomparti voltati a botte. Un’intenzione di natura mistica aveva determinato la divisione in tre piani della rotonda: il piano terra era consacrato a San Giovanni Battista; il piano intermedio, cui si accedeva da due torri scalari laterali, era dedicato alla Madonna e annoverava 68 colonne; il terzo piano era dedicato alla Santissima Trinità, con 36 colonne. Le cappelle di San Giovanni Battista e della Madonna constavano di un doppio deambulatorio, quella della Trinità di un unico ambulacro anulare attorno al vuoto centrale. Le tre arcate che delimitano l’accesso alla cripta sono sorrette da grosse colonne i cui capitelli pongono alcune questioni. La prima di carattere iconografico: sembrerebbe di riconoscere sulle quattro facce di un capitello il tetramorfo evangelico; sull’altro vi si scorgono strane combinazioni di uomini seduti, mostri o demoni e protomi animali 30. La seconda riguarda la composizione piena ed estremamente sovraccarica di trafori. Tali caratteristiche rendono difficile una datazione di queste opere, barbare e allo stesso tempo colte, prima dell’anno 1000. La loro fattura le accomunerebbe ad alcuni pezzi della tarda scultura romanica che si riscontrano nel chiostro della collegiata di Sant’Orso ad Aosta, oppure nella lunetta con il Cristo in maestà proveniente dall’abbazia e oggi conservata nel museo archeologico della città. Dalla rotonda si apre ad est una sala voltata a crociera, probabilmente uno dei resti delle costruzioni carolinge, che immette in un oratorio rettangolare in cui sbocca un corridoio a gomito ampiamente restaurato. Alcuni storici riconoscono in questo corridoio una cappella dedicata alla Madre di Dio, risalente almeno al X secolo e descritta in un testo del 938. La visita di questo incontestabile decano31 di tutte le chiese e cappelle digionesi, normalmente non è consentita. 11.4 L’organo della Cattedrale Il primo organo venne realizzato nella chiesa nel 1572 ad opera di François des Oliviers. Nel 1632 Simon Duprey fu incaricato per la costruzione di un nuovo organo a 15 registri con 1 manuale e pedaliera. Nel 1740 i monaci decisero di costruire un nuovo organo: la cassa venne eseguita in stile Luigi XIV dai falegnami e scultori digionesi Edme e Gullaume Marlet, mentre l’organo venne realizzato da Karl Joseph Riepp. 30 31 Testa animale in rilievo usata nell’arte antica come elemento decorativo. Monumento o testimonianza che, in virtù della sua antichità, riveste un significato rilevante. 51 In Borgogna sulle tracce di Guglielmo Nel 1787 Jean Richard ricostruì lo strumento e nel 1860 Aristide Cavaillé-Coll eseguì un rinnovamento esteso che portò all’inserimento di un principale 32’ sul grand’organo. Nel 195 un’ampia ristrutturazione trasformò l’azione meccanica dello strumento in elettro-pneumatica. Dal 1987 al 1996 l’organo venne riportato al suo aspetto originario del XVII secolo grazie al restauro condotto da Gerhard Schmid. Lo strumento si presenta attualmente a 73 registri con 5 manuali e pedaliera. Fig.43 - Il famoso organo settecentesco della Cattedrale. . 52