In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
INDICE
1
Il Romanico
………………..4
2
Cronologia
………………..5
3
Tecniche
e
sistemi
dell’architettura romanica
4
La Borgogna
………………..6
L’abbazia di Cluny - storia
………………..7
5.1
5.2
6
7.1
9
10.1
11.1
………………..5
Descrizione
…………….13
Saint-Martin a Chapaize
……………..23
Saint-Philibert
- storia
……………..25
7.2
8.1
costruttivi
a
Tournus
Descrizione
……………..27
Elementi comuni dei monasteri cistercensi
……………..30
8.2
……………..32
Abbazia di Notre-Dame a Fontenay
L’apporto
del
restauro
monumenti francesi
ottocentesco
per
i
……………..38
L’abbazia di Vézelay - storia
……………..40
10.2
……………..42
Descrizione
La città di Digione
……………..46
11.2
Il monastero di San Benigno a Digione storia
……………...47
11.3
Descrizione
………….…..50
11.4
L’organo della cattedrale
………….…..52
2
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
1 Il Romanico
Quella che oggi viene comunemente chiamata arte romanica nacque e si sviluppò
nei secoli XI e XII. Il nome fu coniato nella seconda metà dell’Ottocento in
contrapposizione col Gotico, per sottolinearne il suo carattere neolatino. Il Romanico si
riallaccia a molteplici tradizioni culturali, da quella classicheggiante dell’epoca carolingia a
quella aristocratica del periodo ottoniano, da quella dell’epoca bizantina a quella
dell’antichità classica, e riguarda un territorio vastissimo, dalla Francia all’Italia
meridionale, dall’Inghilterra alla Spagna.
L’XI secolo in Europa fu caratterizzato da un eccezionale risveglio dell’attività
edificatoria, conseguente alla rinascita economica che si verificò dopo il Mille. In primo
luogo si venne a formare una struttura economica maggiormente incentrata
sull’agricoltura, nella quale le attività pastorali erano ridotte al minimo. Si moltiplicarono i
dissodamenti di terre che portarono alla nascita di nuovi villaggi, la popolazione cominciò a
crescere, le città si ripopolarono e con esse risorsero le attività artigianali e commerciali. Di
regione in regione, con i ritmi lenti ma regolari delle fiere, si muovevano per l’Europa
manufatti preziosi, idee e persone. L’architettura, prevalentemente ecclesiastica, viene
considerata la manifestazione artistica trainante della cultura romanica.
Fig. 1 - L’Europa al tempo delle crociate.
3
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
L’anonimato contraddistingue l’arte romanica; gli artisti diffusero scelte
iconografiche, soluzioni costruttive e innovazioni tecniche, senza adoperarsi affinché il loro
nome venisse tramandato ai posteri, segno che l’artefice era tenuto in minore
considerazione rispetto alle sue opere. Inoltre la circolazione di idee, soggetti iconografici
e tecniche, se da una parte favorì la nascita di stili simili in aree geografiche anche molto
distanti, dall’altra genera problemi interpretativi delle opere e incertezze sull’individuazione
delle radici culturali degli artisti, nonché sui loro spostamenti.
2 Cronologia
I monasteri benedettini, nati a seguito della regola di San Benedetto dell’811, si
svilupparono in Europa durante l’impero carolingio. Nell’888, con la caduta dell’impero a
causa delle invasioni barbariche che in Francia ebbero luogo ad opera dei normanni,
nacque e si rafforzò il sistema feudale per il controllo e la difesa del territorio. La tipologia
del monastero di Cluny, che aveva adottato una propria regola, si diffuse per tutto l’inizio
dell’XI secolo, epoca dell’impero ottoniano, dando origine a forme architettoniche che
prendono il nome di protoromanico. Successivamente la riforma monastica di Cîteaux,
adottata verso la fine dell’impero ottoniano (conclusosi nel 1098), segnò lo sviluppo delle
abbazie cistercensi, nello stile che gli storici identificano come Romanico maturo. Con il
rafforzamento della monarchia francese capetingia (discendente da Ugo Capeto) a partire
dalla seconda metà del XII secolo, si assisterà alla nascita del Gotico.
3 Tecniche e sistemi costruttivi dell’architettura
romanica
Caratteristiche basilari dell’edificio romanico sono la robustezza dell’impianto e
l’articolazione delle strutture portanti. Uno dei numerosi problemi tecnici che dovettero
affrontare gli architetti fu quello di sostituire le coperture a capriate lignee con le volte in
muratura, per ridurre i rischi di incendio e migliorare l’acustica interna delle chiese: questo
comportò innanzi tutto un radicale mutamento nella progettazione degli elementi strutturali.
Probabilmente uno dei primi tentativi in questo senso fu la costruzione nelle navate1
laterali di volte con dimensioni più modeste rispetto alla navata centrale. Le pareti in
muratura crebbero in spessore per poter sopportare il peso di questi nuovi elementi. Alle
semplici colonne delle chiese paleocristiane venne sostituito il pilastro composito che
permetteva il sostegno delle arcate sulle quali si innestavano le volte. Queste furono
inizialmente a botte (ovvero semicilindriche) e si evolsero poi in quelle più complesse a
crociera (quattro vele spartite da costoloni che scaricano il peso su quattro pilastri
angolari). La volta a crociera permetteva una struttura più agile; la difficoltà maggiore
consisteva nell’ideazione dei costoloni, i quali fungevano da centinatura per il tavolato di
mattoni.
Un esempio di come potesse apparire un cantiere medioevale ci è offerto da un
manoscritto dell’XI secolo conservato presso l’abbazia di Montecassino, dove viene
raffigurato il cantiere della torre di Babele.
I cantieri utilizzavano materiali comuni a tutte le civiltà fino alla Rivoluzione
industriale: pietra, mattone e legno. La scelta del materiale era funzione del bacino di
approvvigionamento delle maestranze: più il cantiere era importante, più il bacino era
esteso.
1
Spazio compreso fra due file di colonne o pilastri che sostengono una copertura.
4
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Sul legno non vi è molto da dire, dato che le strutture si sono col tempo deteriorate
e non possediamo testimonianze conservate dell’epoca.
Il mattone, costituito da argilla, fu il primo elemento prefabbricato in edilizia in
quanto veniva realizzato in fornaci con misure standard. L’impasto di argilla veniva posto
in cassette e messo ad essiccare; tolto poi dalle cassette, il mattone era sottoposto a
cottura nei forni. In base al tempo di cottura, si ottenevano diverse tipologie di mattoni: dai
ferrigni, i mattoni più cotti poiché più vicini al fuoco, con colorazione scura, fino agli albasi,
i meno cotti, con colorazione più chiara. I primi risultavano più resistenti, ma allo stesso
tempo presentavano una minore aderenza alla malta, mentre i secondi offrivano
caratteristiche contrarie.
La malta, in epoca medioevale, era molto grossolana, costituita da molto inerte 2.
Una tecnica molto diffusa nella posa dei mattoni era la stilatura o listatura, ovvero il
passaggio della punta della cazzuola sui giunti dei mattoni a malta fresca per aumentarne
la presa. L’intonaco veniva utilizzato solitamente per la finitura ad affresco o per eventuali
decorazioni.
Il problema della muratura romanica era l’apertura di finestre, essendo una
muratura portante. Questo problema veniva ovviato mediante un espediente costruttivo
costituito dalla strombatura, ovvero un restringimento della muratura in corrispondenza
delle aperture: ciò garantiva inoltre un minore scambio termico con l’esterno. Nel Gotico,
con la diffusione del vetro, le finestre verranno concepite a spalle rette.
Molto spesso nelle murature medioevali sviluppate in altezza si nota la presenza di
fori; essi servivano per l’innesto di travi a sbalzo dette pontarie, per l’allestimento di
ponteggi che permettevano di operare a quote considerevoli.
Le tegole venivano realizzate con lo stesso procedimento dei mattoni, e si
distinguevano in base alla loro forma in coppi (curvi) ed embrici (piane).
Se per i mattoni esisteva una netta divisione tra il produttore e il posatore, per la
pietra vi era una forte identità tra scultore e architetto per cui chi intagliava la pietra era
anche colui che lavorava in cantiere. La prima architettura romanica nacque senza
scultura, la pietra era incoerente3 e tagliata a martello senza rifiniture. Tipico era l’uso dei
ciottoli di fiume disposti a lisca di pesce. La lavorazione della pietra iniziò alla fine dell’XI
secolo; in base al grado di finitura dei blocchi le murature si distinguono in tre tipologie:
muratura incoerente, a corsi paralleli (ogni fila aveva la stessa altezza) e coerente, tipica
dei cantieri gotici maturi.
Una volta estratta dalle cave, la pietra veniva trasportata in cantiere, dove si iniziava
la lavorazione. Gli strumenti del mestiere erano: la subbia, grosso punteruolo che, usato
con un martello, serviva per la prima sgrossatura, il picconcello, costituito da una punta da
un lato e da un’ascia dall’altro, utilizzato per un successivo affinamento, e la gradina,
rastrello dentellato che segnava le superfici della pietra con striature parallele. Venivano
poi eseguite le eventuali lucidature, riservate alla scultura, al fine di eliminare tutti i segni
della lavorazione.
4 La Borgogna
Non c’è dubbio che le condizioni naturali abbiano favorito la perizia artigianale degli
uomini in quest’area. La facilità di reperimento e lavorazione della pietra in Borgogna ha
fatto si che, fin dalle più remote origini, si sia sviluppata l’attitudine a costruire
meticolosamente persino il più semplice muro di recinzione. I calcari bianchi, lavorati in
2
3
Nel caso specifico, sabbia.
Grezza, non squadrata.
5
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
pietre rettangolari poco spesse e rigorosamente regolari, forniscono ancora oggi il
materiale più diffuso per le costruzioni.
Studiando da vicino il Romanico della Borgogna, gli storici (tra cui il celebre
Raymond Oursel, esperto anche della vita di Guglielmo da Volpiano) tendono a
distinguere più rami di tale fenomeno: dopo la fioritura delle chiese di tipo lombardo
dell’anno mille, si delinea la scuola dei monumenti derivanti dall’influenza della grande
Abbazia di Cluny con volte a botte acuta. Come reazione alle ardite architetture di questo
periodo nasce un gruppo di chiese coperte completamente con volte a crociera e non più
a botte, secondo la tipologia dell’abbazia di Vézelay. Il terzo gruppo di edifici è costituito
dalle chiese dette a navata scura prevalentemente con pianta a “T” le quali, scavalcando
l’esperienza cluniacense e degli edifici a crociera, sembrano unire le superbe navate
dell’anno mille ad un’architettura pura, senza difetti, che ha come suo capolavoro l’abbazia
di Fontenay. La formazione di questo modello si deve alla resistenza che la vecchia
diocesi di Autun oppose all’infiltrazione invadente dei modelli cluniacensi, preparando così
i presupposti di semplicità, austerità e bellezza dell’architettura cistercense.
Durante tutto l’XI secolo i costruttori locali ebbero modo di far propri la tecnica e i
sistemi costruttivi comacini, al punto che non si sa più con certezza quel che era proprio
degli uni e degli altri. La tecnica di posa in opera della pietra è rimasta inalterata nei secoli:
nel XVIII secolo le case dei vignaioli e le fattorie non erano costruite in modo diverso dai
campanili del periodo protoromanico. Trasmessa sino ai giorni nostri, questa tecnica cede
malvolentieri al cemento delle nuove generazioni e non è affatto raro imbattersi in qualche
recinzione di campagna murata di fresco secondo i modi tramandati, ovvero l’opus
spicatum4 grossolano o la tessitura muraria a dente di sega.
5.1 L’abbazia di Cluny - storia
L’11 settembre 910 l’abbazia di Cluny (in latino Cluniacum) fu fondata dal duca
Guglielmo d’Aquitania conte di Mâcon detto il Pio, come bene proprio di San Pietro, votato
principalmente all’onore e alla difesa della Sede apostolica. L’atto di fondazione specifica
che il duca donava ai Santi Apostoli Pietro e Paolo la sua residenza di Cluny cinta da un
giardino e da una proprietà, così come la cappella erettavi in onore di Maria, Madre di Dio,
e di San Pietro, principe degli Apostoli; egli abbandonava altresì tutte le pertinenze di
questa grande proprietà terriera. Il nuovo monastero diretto dall’abate Bernon, monaco di
Autun, aveva come centro la dimora del signore dove i monaci ebbero la loro prima casa.
La proprietà annoverava inoltre un certo numero di villaggi o di gruppi di casolari, la
maggior parte dei quali esiste ancora, abitati dai fittavoli del proprietario. All’animazione
propria di questo complesso fondiario si aggiungeva il traffico economico e commerciale
che percorreva la valle della Grosne, legame naturale di comunicazione tra Saône e la
Loira: il crocevia cluniacense sarebbe stato uno dei fattori della futura prosperità
dell’abbazia. La presenza delle reti stradali ebbe forse un ruolo nella fondazione di Cluny,
ma non meno determinante fu la presenza della foresta attorno alla proprietà ducale,
un’inesauribile riserva di legno adatto ad essere lavorato o utilizzato per il riscaldamento,
oltre che una zona provvidenziale di raccoglimento e di ritiro.
Nel documento di fondazione dell’abbazia si ritrovano almeno quattro decisioni
capitali. La prima stabiliva che il nuovo monastero sarebbe stato retto dalla regola di San
Benedetto. La seconda prevedeva l’esenzione dell’abbazia da qualsiasi soggezione
temporale o spirituale che non fosse quella della Sede romana: i monaci avranno il potere
e la libertà di eleggere come abate e guida qualcuno del loro ordine, (…) di modo che
4
Disposizione obliqua dei mattoni che genera un disegno simile ad una spiga di grano.
6
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
questa elezione, semplicemente di ordine religioso, non possa essere intralciata ne dalla
nostra opposizione ne da quella di qualsivoglia potenza. In un periodo in cui le potestà
civili interferivano ad ogni occasione negli affari interni delle comunità, moltiplicando abusi,
esazioni e atti di violenza, tale precauzione era saggia. Parecchi abati scelsero essi stessi
il loro successore più capace. La terza decisione affermava la dipendenza esclusiva e
stretta alla Sede apostolica. Essa era simboleggiata da un tributo di dieci soldi che i
monaci di Cluny avrebbero dovuto saldare ogni cinque anni a Roma per il mantenimento
dell’illuminazione. Dunque un privilegio affidava a Cluny la custodia degli apostoli Pietro e
Paolo e la difesa del Pontefice romano. Di tanta responsabilità l’abbazia di Cluny ebbe
sempre piena consapevolezza. La si vede, appena nata, aderire incondizionatamente a
Roma a rischio di essere coinvolta nelle difficoltà e nei disordini che, dal X al XII secolo,
dilaniarono la penisola mettendo in pericolo la stessa Sede apostolica. Infine l’ultima
decisione conteneva l’ingiunzione delegata ai monaci dal duca fondatore di dedicarsi alle
opere quotidiane di misericordia verso i poveri, i bisognosi, gli stranieri e i pellegrini. Essa
implicava il precetto di ospitalità, fondamentale per ogni comunità monastica e incluso
nella regola di San Benedetto.
Dal 910 al 1120 non si desistette mai di costruire a Cluny. Una prima chiesa (Cluny
I) ancora parecchio modesta, fu consacrata nel 926; a partire dal 948 l’abate Aimard ne
faceva iniziare una più grande e più bella (Cluny II), continuata poi da Maiolo e consacrata
nel 981. La chiesa presentava diversi elementi innovativi, tra cui la presenza di un grande
quadriportico5 frontale detto Galilea6, ed era così costituita: pianta cruciforme con tre
navate longitudinali, abside7 principale con due absidi laterali, transetto8 aggettante con
un’abside per lato. Ad ovest era preceduta da due torri, mentre una torre si innalzava sulla
crociera9. Il coro10, diviso a sua volta in tre navate, era una sorta di chiesa riservata ai
monaci.
Con Olidone si ebbe, oltre alla copertura a volte dell’edificio, la ricostruzione
generale del monastero. Tuttavia era tale il progredire della comunità cluniacense,
divenuta centro di un’immensa congregazione, che la chiesa del 981 si rivelò ben presto
troppo piccola. Durante le funzioni ci si accalcava, a scapito della preghiera e del
raccoglimento. Non senza titubanze Sant’Ugo decise infine una ricostruzione integrale. I
lavori iniziarono per ciò che appariva più urgente, cioè gli edifici monastici: l’ospizio e le
scuderie, la foresteria, il refettorio, l’infermeria e una cappelletta. Tutti questi edifici sono
scomparsi, ad eccezione delle scuderie di Sant’Ugo. Terminata questa prima campagna,
Sant’Ugo poté intraprendere la costruzione di una nuova chiesa. La prima pietra fu posta
ufficialmente nel 1088. E’ cosa certa che l’immenso cantiere messo insieme da Sant’Ugo a
Cluny accaparrò dal 1088 in poi tutti gli scultori e gli esperti della pietra che si trovavano in
Borgogna: a tal proposito si presume che i maestri abbiano concepito con estrema
precisione la disposizione e l’iconografia delle loro sculture a priori, attuando una sorta di
progetto esecutivo della loro opera grandiosa. Le sculture vennero poi sicuramente
ritoccate per garantirne la visibilità, data la loro collocazione a parecchi metri da terra.
Il 25 ottobre 1095, in occasione del viaggio in Francia dove si predicò la prima
crociata, Papa Urbano II, ex monaco cluniacense, consacrava gli altari maggiore e
mattutino della nuova chiesa, mentre i vescovi riuniti attorno a lui dedicavano tre altari
secondari della zona absidale.
5
Spazio antistante le basiliche cristiane, quadrato o rettangolare, circondato da un portico lungo i lati interni e chiuso
verso l’esterno.
6
Spazio di incontro con il Salvatore.
7
Elemento architettonico a completamento della parte estrema della navata opposta all’ingresso.
8
Spazio disposto ortogonalmente all’asse maggiore della chiesa.
9
Intersezione tra navata e transetto.
10
Parte dell’edificio religioso, attorno o di fronte l’altare, dove stanno gli ecclesiastici partecipanti alla liturgia.
7
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 2 - Papa Urbano II consacra l’altar maggiore della nuova chiesa (25 ottobre 1095).
Il 25 ottobre 1130 Papa Innocenzo II, cacciato dall’Italia dallo scisma di Anacleto,
provvedeva alla dedica della chiesa portata a compimento.
Il monumento, lungo secondo il piano di origine 125 m, non oltrepassava di molto le
più grandi chiese coeve meta di pellegrinaggi (Saint-Sernin di Tolosa e Compostela), ma
l’aggiunta di un grande nartece11 di cinque campate12 aumentò la lunghezza sino a 187 m
e la chiesa abbaziale divenne la più vasta di tutta la cristianità. Essa era soprattutto, con la
sua pianta magnificamente sviluppata a croce arcivescovile, la sua altezza di 30 m sotto
volta, le sue doppie navatelle di altezza decrescente, i suoi quattro campanili e ben presto
le sue due torri di facciata, la più splendida creazione plastica che sia mai stata concepita
dal genio romanico. Lo splendore delle diverse cerimonie, caratterizzate da un’attenzione
particolare al canto dei salmi, era ravvivato dalla bellezza degli abiti liturgici, dalla
preziosità degli oggetti di culto e dal numero di religiosi (da due a trecento); la
conseguenza di questa vita votata alla preghiera fu la diminuzione del lavoro manuale, per
cui le terre vennero cedute a fittavoli laici che assicuravano il sostentamento e la
prosperità del monastero, i conversi13.
L’influenza del monastero fu talmente ampia che a metà dell’XI secolo quasi un
centinaio di monasteri in tutto l’occidente erano affiliati a Cluny, centro intellettuale da cui
si irradiarono l’arte e la cultura romanica. Cluny stessa consacrò le immense ricchezze
accumulate attraverso cospicue donazioni alla costruzione e alla decorazione di edifici
religiosi. DaI punto di vista architettonico i cluniacensi contribuirono a mantenere vivi
alcuni elementi dell’architettura romanica, come l’arco a tutto sesto nelle finestre e nei
portali, e ad accogliere nuovi elementi gotici, come l’arco a sesto acuto nelle arcate e negli
archi traversi della navata centrale.
11
12
13
Portico antistante la facciata delle chiese romaniche.
Spazi compresi tra due elementi portanti vicini.
Laici con parziali voti che provvedono ai lavori manuali all’interno di un’abbazia.
8
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 3 - Cluny III ultimata nel 1230.
Nel periodo in cui fu abate Pietro il Venerabile, nominato abate nel 1122, l’abbazia
conobbe un periodo di penuria di mezzi finanziari: da parte sua l’abate raddrizzò le finanze
dell’abbazia prima di continuare i lavori della navata ancora incompiuta. Inoltre nel 1125 il
crollo di una volta da poco costruita rallentò il corso dei lavori. In occasione della
dedicazione della chiesa in onore dei Santi Pietro e Paolo, l’edificio era praticamente
9
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
ultimato: i lavori vennero terminati nel 1230 con la realizzazione delle volte ad ogiva e del
portale.
Fig. 4 - Sezioni trasversale e longitudinale della chiesa.
La struttura era talmente completa che alle generazioni successive non rimaneva
più molto da aggiungere: una cappella a volte ogivali sostituì, nel secolo XIV, una delle
absidiole14 del transetto maggiore; un’altra, gioiello di architettura e scultura fiammeggianti,
fu accostata al braccio meridionale del transetto minore dall’abate mecenate Giovanni di
Borbone (1456-1480). Occorre precisare che il campanile del braccio settentrionale del
transetto maggiore fu compiuto del tutto nel XV secolo.
Nel corso del XVII secolo personalità illustri, tra cui il cardinal Richelieu, si
succedettero come abati commendatari di Cluny.
14
Piccola abside.
10
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Nel 1750 il priore claustrale Dom Dathoze iniziò a radere al suolo gli ambienti
conventuali e li ricostruì da cima a fondo in un gusto classico.
Fig. 5 - Il chiostro ideato da Dom Dathose.
Nel 1787 l’antica osservanza di
Cluny venne abolita.
Cluny III sopravvisse fino oltre la
Rivoluzione francese; passata nelle mani
indegne di tre incolti, essa venne
smantellata sotto gli occhi impotenti del
Comune di Cluny, accanito nel volerla
salvare. Il massacro venne condotto a
compimento nel 1823.
Gli scavi condotti sin dal 1928
dall’architetto
americano
Kennet
J.
Contant, hanno restituito, attraverso
disegni e plastici, l’immagine grandiosa del
complesso scomparso. Dal 1944 al 1964
un’opera urbanistica senza precedenti
ispirata dall’allora sindaco di Cluny Charles
Pleindoux, ha isolato la bella torre dei
Fromages, di base romanica, e le sue
adiacenze, così come le cinque campate
della navatella sud del nartece. In
mancanza dell’opera meravigliosa perduta,
questa sistemazione permette quanto
Fig. 6 - La chiesa abbaziale dopo la sistemazione
urbanistica condotta dal 1944 al 1964.
11
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
meno di evocarne al meglio la grandezza e le dimensioni schiaccianti.
5.2 Descrizione
Caratteristiche:
Cluny III
Lunghezza totale
Lunghezza del nartece
Lunghezza della navata fino al transetto
Lunghezza del transetto maggiore
Altezza della navata maggiore
Altezza all’intersezione del transetto
Larghezza della navata maggiore (inclusi sostegni)
Larghezza totale del corpo della chiesa
Altezza della cupola del campanile dell’Acqua benedetta
12
187,31 m
32,45 m
73,75 m
73,75 m
29,50 m
36,87 m
14,75 m
40,82 m
32,20 m
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
La città poggia su due colline delle quali quella di sinistra è rocciosa (la Cras), l’altra
a destra era destinata a pascolo fino a poco tempo fa (il Fouettin). Esse rappresentano il
simbolo della doppia vocazione cluniacense: da un lato l’ardua conquista della fede
attraverso l’estensione della riforma e dall’altro il soggiorno provvidenziale di pace e di
raccoglimento per le tante anime crocifisse che sono venute e che vengono a rifugiarsi
ancora oggi.
I caratteri del borgo sono definiti dai muri di vecchia ocra cotta, dai tetti bassi a
coppi e dalle case ravvicinate in un pittoresco disordine lungo la strada principale, il cui
sinuoso asse sfiora i bastioni abbaziali. La città è punteggiata dai campanili dell’Acqua
benedetta, delle chiese di Notre-Dame e di San Marcello, dalle torri dei Fromages e dei
Moulins, così come dalla graziosa torricella Fabry a nord. A nord-est dal lato della valle si
nota la presenza della grande torre Rotonda.
13
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig.7 - Da sinistra a destra: il campanile dell’Acqua benedetta, la torre dei Moulins e la torre Rotonda.
Gli edifici conventuali del
XVIII secolo sono intatti,
sotto enormi tetti in
ardesia;
le
loro
ali
classiche avanzano al
centro di un grazioso
giardino
curato
alla
francese.
La
lunga
facciata è sormontata da
un frontone triangolare.
A destra dei prati, la
costruzione del grande
farinier
(granaio)
dei
monaci risalente al XIII
secolo, ha raccolto le
collezioni
lapidarie
dell’abbazia e della città:
nella bella sala al piano
terra coperta da volte
Fig. 8 - Gli edifici conventuali del XVIII secolo.
ogivali su una fila di
colonne, sono conservati
parecchi frammenti di epoca romanica. Il piano superiore, la cui struttura a carena è un
notevolissimo lavoro di falegnameria gotica (costruito dall’abate Yves I, 1257-1275),
conserva i capitelli scolpiti del coro della chiesa grande. All’ingresso della sala, due plastici
di stucco bianco presentano uno la ricostruzione della facciata dell’abbazia e l’altro la sua
zona absidale.
14
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 9 - Cluny III in un plastico.
I grandi capitelli salvati dal disastro godono di un’ambientazione maestosa e di
ampio respiro, disposti sopra un cassone semicircolare che vorrebbe alludere all’emiciclo
dell’abside che essi un tempo delimitavano. Al centro dell’emiciclo è stata posta su un
altare romanico l’urna che avrebbe custodito il cuore di Sant’Ugo. I due capitelli posti alle
estremità, a sinistra il peccato di Adamo ed Eva e a destra il sacrificio di Abramo, si
addossavano ai pilastri che segnavano l’ingresso all’emiciclo.
Fig. 10 - La sala superiore del farinier.
L’iconografia rappresenta, procedendo da sinistra
a destra, un capitello corinzio, tre atleti dei quali
uno è giocatore in palestra, la raffigurazione di un
apicoltore che pulisce un alveare, le tre Virtù
15
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
teologali (Fede, Speranza e Carità) con l’aggiunta di una virtù cardinale (Giustizia)
incorniciate entro mandorle ovali e congiunte, allegorie delle stagioni feconde (primavera
ed estate), i quattro Vangeli o il Giardino di Cluny suddivisi in due capitelli, infine le otto
tonalità della monodia. Secondo il professor Conant i capitelli sono l’illustrazione di una
lettera di elogi a Cluny scritta nel XI secolo da San Pier Damiani.
La statuaria di Cluny, rinnovamento della grammatica ornamentale, diede le mosse
a Vezélay. Essa però non si impose come esuberanza decorativa portatrice di lusso, ma lo
sforzo dei monaci fu proprio quello di sostituire all’abbondanza, un mestiere più
controllato, composizioni più religiose, misurate e severe. Questo giustifica l’ispirazione
all’antichità classica cui fa ricorso l’architettura della grande chiesa; ne sono un esempio il
basamento attico delle colonne privo di ornamenti, i pilastri scanalati che irrigidiscono
l’ossatura interna e alcuni cespi corinzi di disegno purissimo. In quest’opera di libera
imitazione e interpretazione dei modelli classici si riconosce l’intento di far rivivere nel
prodigio cristiano e borgognone la maestà romana; Cluny voleva diventare la “seconda
Roma”.
Il punto di riferimento del complesso è costituito dal monumentale campanile
romanico dell’Acqua benedetta, il cui ottagono dai ricchi trafori è fiancheggiato da una
torretta scalare quadra chiamata torre dell’Orologio. Esso si slancia da un basamento
possente, spalleggiato alle estremità da due contrafforti in risalto. E’ una torre di due piani
ottagonali riccamente finestrati e ornati: al piano inferiore un’apertura inquadrata tra due
16
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
arcatelle cieche a pieno sesto; gli archivolti15 sono intagliati con motivi di tortiglioni o di
volute. Al di sopra una bifora su ogni lato è ugualmente fiancheggiata da archi ciechi, sotto
un motivo di archetti pensili alla lombarda pesantemente restaurati. Il braccio sud del
transetto maggiore, l’unico rimasto in piedi, su cui si innalzano i campanili dell’Acqua
benedetta e dell’Orologio, indica pressappoco i due terzi della lunghezza totale.
Commenta Oursel: come un dito alzato esso sembra chiamare il cielo a testimone del
delitto degli uomini che lo ha lasciato.
Fig 11 - La torre dell’Acqua benedetta e il campanile dell’Orologio.
Una nota incisione dell’avvocato Louis Prévost dà un’idea fortemente evocatrice
dello stato degli edifici abbaziali tra il 1668 e il 1672. Il complesso, fiancheggiato a nord
dalla grande chiesa abbaziale, era un pittoresco accostarsi di chiostri, alloggi, cappelle e
15
Elemento architettonico costituito da una fascia di modanature che gira sulla curva di un arco, seguendone il
contorno.
17
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
dipendenze, dai quali emergeva il campanile della chiesa, parzialmente conservata, di
Cluny II.
Fig. 12 - Veduta del complesso abbaziale secondo una rappresentazione storica.
La chiesa abbaziale da ovest ad est risultava così composta: la facciata inquadrata
da due torri (i barbans), il nartece di cinque campata a tre navate, la navata di undici
campate tagliata dal grande transetto, munito di due absidiole per braccio, e il coro
formato da due campate interrotte da un nuovo transetto con un’absidiola per braccio.
Fig. 13 - Plastico di Cluny III.
18
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
La grande porta romanica della cinta abbaziale contemporanea a Cluny III (1100) si
presenta a doppia apertura su modello della porta romana. Attraverso di essa si vede il
campanile ottagonale dell’Acqua benedetta.
A sinistra si trovano i due palazzi abbaziali. Il primo
costruito ad opera dell’abate Giovanni di Borbone (XV
secolo), ospita il museo civico Ochier, che raggruppa
frammenti scolpiti e dipinti provenienti dalla chiesa
abbaziale, tra cui la chiave di volta della quinta campata del
nartece, scolpita con l’Agnello pasquale (XII secolo) e
incisa da un’affascinante iscrizione:
HIC PARVUS SCULPOR AGNUS
IN CELO MAGNUS
ovvero “Qui sono scolpito come un agnellino, in cielo sono
grande”. Il secondo palazzo, costruito nel XVI secolo da
Jacques e Geffroy d’Ambroise, consanguinei del primo
ministro di Luigi XII, è l’attuale municipio.
Da via Kennet Contant si accede all’antica facciata
del
nartece,
dove
vi
rimangono
l’ammorsatura
settentrionale del portale fiammeggiante e i basamenti
massicci delle due torri quadrate (i Barbans).
Le scuderie di Sant’Ugo, splendida costruzione
romanica, sebbene tagliata dall’apertura di una strada,
resta notevole per la qualità della muratura – una costante
della costruzione cluniacense al suo apogeo attorno al
Fig. 14 - Il palazzo d’Ambroise.
1100 – e la regolarità delle antiche aperture a tutto sesto.
A destra della piazza ha inizio via 11 agosto, aperta dopo i bombardamenti tedeschi
del 1944, che costituisce una felice veduta in prospettiva della chiesa parrocchiale di
Notre-Dame (XIII secolo), della torre quadrata dei Fromages che rinforzava l’angolo sudovest della cinta abbaziale e dei ruderi dell’alloggio dei fratelli laici. Queste vestigia,
riportate in parte in luce dai bombardamenti, includono in particolare un arcone divisorio
dallo slancio magnifico. Il complesso, pulito e valorizzato nel 1965, contribuisce ad
evocare la potenza cluniacense.
19
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 15 - I basamenti dei pilastri visibili oggi.
Ciò che resta dell’abbazia è adibito oggi a Scuola Nazionale di Arti e Mestieri,
insieme all’attiguo palazzo di Papa Gelasio (XIV secolo, molto restaurato) dal nome del
pontefice che volle morire a Cluny nel 1119. L’accesso avviene attraverso una porticina
aggiunta nel XVII secolo. Una scala che scende dalla sala d’ingresso, sbocca nella galleria
settentrionale del chiostro del XVIII secolo, nel cui sottosuolo esistono ancora le
fondamenta di Cluny II. All’estrema destra della galleria una scala del XVIII secolo è
ornata dalla bellissima ringhiera in ferro battuto detta di fratello Placido; a sinistra una
porta in stile classico introduce alla crociera del transetto romanico. Due campate, coperte
da volta a botte acuta, inquadrano la cupola ottagona che sostiene il campanile dell’Acqua
benedetta e la cui altezza, inconcepibile per il periodo Romanico, raggiunge oltre 32 m.
20
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 16 - Interno del transetto lato sud e imposta della cupola che sostiene il campanile dell’Acqua benedetta.
La decorazione scultorea non è di minor maestria: cornici ornate da piccoli dischi,
capitelli a fogliame dal modello perfetto o a motivi di animali ornamentali.
Ad est si aprono due cappelle affiancate. Quella della prima campata non è che una
delle absidiole semicircolari della pianta primitiva, che ne aveva previste due su ognuno
dei bracci del transetto maggiore. La seconda, provvista a destra di una torretta scalare a
chiocciola, fu costruita dall’abate Pierre de Chastellux (1322-1344) sul braccio sud del
grande transetto e intitolata a San Marziale; è caratterizata da due campate con una zona
absidale a cinque ante, e da raffinate volte ogivali. Di fronte all’absidiola romanica, una
porticina immette nella torre dell’Orologio, in genere non visitabile. In cima alla scala, vi è
una cappella romanica dedicata a San Michele arcangelo.
Ancor meno ci resta del transetto orientale: un residuo di muro, un’absidiola
semicircolare con colonne-contrafforti e la cappella fiammeggiante di Giovanni di Borbone,
magnifica opera tardo-gotica, ornata in modo sobrio e originariamente messa in risalto da
quindici grandi statue a tutto tondo, tutte scomparse. Non ne restano che le basi,
anch’esse scolpite con busti sporgenti di profeti del Vecchio Testamento di impressione,
forza e rilievo.
L’ultimo piano della torre dei Fromages è stato sistemato a belvedere .
In occasione degli scavi del nartece nel 1964 sono stati riesumati alcuni capitelli e
diversi frammenti del portale occidentale, tra cui una testina scolpita che evoca l’arte greca
preclassica.
Nel sobborgo orientale, non lontano dall’antico ponte della Levée, sta la chiesa di
Saint-Marcel, costruzione tardo-romanica (1159) la cui pianta giustappone una navata
rettangolare, una campata sotto il campanile romanico a cupola, una breve campata del
coro e l’abside semicircolare. La sua struttura scarna è rialzata da un campanile
21
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
ottagonale simile a quelli della vicina chiesa abbaziale, alto tre piani di cui il primo chiuso e
gli altri due aperti da bifore a tutto sesto. Una flèche16 in muratura, acuta e forata da due
file di oculi nella parte superiore, corona il campanile.
6 Saint-Martin a Chapaize
Fig. 17 – Stratigrafia storica della chiesa.
L’abbazia di San Pietro di Chalon sur Saône possedeva nel villaggio di Chapaize un
priorato del quale oggi rimane la chiesa di Saint-Martin, una delle più impressionanti in
stile lombardo che si possano trovare nella regione di Mâcon. Quasi certamente
l’edificazione è da attribuire a Guglielmo da Volpiano, a seguito della riorganizzazione dei
monasteri della città a lui commissionata da Ugo di Chalon.
Nei primi anni del XII secolo la volta a botte a tutto sesto della navata centrale, già
indebolita dall’incendio sviluppatosi attorno al 1100, crollò per effetto delle spinte laterali e
venne dunque ricostruita; è comunque visibile un tratto di volta primitiva in corrispondenza
dell’arco all’incrocio col transetto.
16
Guglia.
22
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Nel XVI secolo, malgrado la presenza di un muro di cinta fortificato, (di cui sussiste
ancora oggi una torre di difesa a nord della chiesa) le guerre di religione obbligarono i
monaci a rifugiarsi a Chalon. La chiesa diventò parrocchiale nel XVII secolo. Gli edifici
monastici vennero lasciati in stato di abbandono e alcuni di questi servirono nel 1743
come riserva di materiale per la costruzione della canonica.
Fig. 18 - Viste esterne: la facciata e la zona absidale.
Il profilo della costruzione sorge ad un tratto dalle strade della foresta. La facciata è
semplice e piatta, con il corpo centrale appena in rilievo; una torre all’intersezione tra
navata e transetto, riccamente sottolineata da archetti pensili lombardi, rialza la struttura
massiccia delle cinque campate della navata e conchiude i volumi dell’abside ricostruita
nel XII secolo. Sulla parete nord del campanile si scopre una statua-colonna raffigurante
un “meditante”(o eremita).
All’interno l’ambiente è suddiviso in tre navate secondo la pianta cosiddetta
basilicale. Le aperture sono state variate nel corso dei secoli: mentre nel medioevo la luce
proveniente dalle finestre delle navate e della cupola era garantita da feritoie, le finestre
laterali aperte successivamente servono a garantire l’illuminazione della parte bassa della
chiesa.
La visione dell’interno è abbellita dal recente restauro che ha messo in luce la
qualità della muratura: robusti pilastri circolari dalle imposte a triangolo ribaltato
sostengono la volta a botte acuta rimaneggiata. Il tiburio17 ottagonale su trombe18 corona
l’intersezione.
17
18
Copertura esterna di una cupola, formata da strutture verticali disposte secondo il perimetro della stessa.
Pennacchi di raccordo tra la crociera del transetto su base quadrata e l’imposta della cupola a pianta rotonda o
poligonale.
23
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 19 - Vista della navata maggiore e dell’intersezione tra navata e transetto.
7.1 Saint-Philibert a Tournus - storia
L’impianto dell’antica città di Tournus è dovuto a due fattori naturali: l’esistenza del
fiume Saône che costeggia le colline del Mâconnais e la presenza di un terrazzamento
ben isolato e facilmente difendibile interposto tra le prime pendici della collina e il fiume,
sufficiente a risparmiare alla località le piene e le inondazioni stagionali e assicurarle un
habitat saldo e stabile. Sulla riva opposta del fiume si trovano le cave della pietra calcarea
rosa e ocra utilizzata per la costruzione della chiesa. Gli sbocchi economici e commerciali
completavano una posizione militarmente vantaggiosa che probabilmente venne usata sin
dal periodo romano.
Secondo la tradizione il cristianesimo giunse sul sito in quanto Valeriano,
evangelizzatore dell’area lionese, in questo luogo subì il martirio nel II secolo. E’ cosa
certa che ben presto la sua tomba divenne luogo frequentato di pellegrinaggi ed officiato
da una comunità monastica.
L’oscurità delle origini è troncata da un avvenimento di grande portata: nell’875 il re
Carlo il Calvo donava ai monaci di Saint-Philibert-de-Grandeur, che le continue scorrerie
normanne avevano cacciato dal loro monastero originario a Noirmoutier, il monastero di
San Valeriano. Essi portarono con se il loro tesoro più prezioso, le spoglie di SanitPhilibert, loro padre fondatore.
I monaci dimostrarono di voler salvaguardare la libertà di elezione dell’abate,
specialmente quando il conte di Chalon cercò di interferire con tale evento, ricordando i
precetti della regola di San Benedetto nella lettera di donazione di Tournus.
La tranquillità dei monaci fu brutalmente sconvolta dalle terribili incursioni degli
ungari nel 937 che saccheggiarono e incendiarono il monastero. Passato il flagello si
provvide alla ricostruzione della chiesa, rimettendo in onore il dimenticato San Valeriano. Il
corpo del Santo venne racchiuso in un reliquiario che nel 979 l’abate Etienne depose con
24
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
cerimonia solenne sull’altare della cripta19, probabilmente edificata per tale avvenimento
(purtroppo la Chronistorie de Tournus non descrive i lavori eseguiti).
Durante il breve periodo in cui furono abati Guglielmo da Volpiano e i suoi diretti
successori, il cantiere di Tournus venne investito di quella febbre del costruire che
caratterizza la nascita e lo sviluppo dell’arte romanica, interrotta però da gravi momenti di
crisi: l’incendio del 1006 e la carestia del 1030 durata tre anni.
Dalle fonti storiche si deduce che nel sinistro del 1006 le cripte dove i due corpi
santi giacevano uno accanto all’altro non perirono del tutto. Successivamente all’incendio
quel che più urgeva era consolidarle e permettere la ripresa del culto nella soprastante
chiesa. Tuttavia negli anni intorno al mille la passione di costruire e di rinnovare era
talmente grande e diffusa che non ci si limitò a rappezzare le parti danneggiate, ma si
decise di ingrandire la chiesa, dotandola di un vestibolo degno della rinomanza dei Santi
che essa custodiva.
Wago, abate di Tournus dal 989 al 1008, nel prendere provvedimenti a seguito
dell’incendio in questione, si avvalse probabilmente della consulenza di Guglielmo da
Volpiano, incontrandolo all’elezione di Olidone, abate di Cluny, e invitandolo quasi
certamente a visitare il cantiere. Se ciò fosse vero, non è da escludere che, ad imitazione
di San Benigno di Digione, siano state prese in considerazione navate laterali doppie con
tribuna o galleria di deambulazione al di sopra delle navate più esterne. Le due porte che
dal piano superiore del nartece sboccano nel vuoto ne sarebbero la conferma. Nel 1019 si
celebrò una consacrazione per la ricostruzione di una parte imprecisata della chiesa, a
conferma delle ricostruzioni descritte.
Fig. 20 - I campanili costruiti sulla facciata del nartece e sul punto d’intersezione del transetto nel XII secolo.
A confronto di questa attività edificatoria incessante, l’apporto del XII secolo fu
relativamente modesto: due campanili, uno sul punto d’intersezione del transetto e l’altro
sulla facciata del nartece, completarono il profilo della costruzione. Il loro stile adorno è
quello dell’ultima generazione del Romanico.
Ancora più ridotte risultano le aggiunte gotiche. Dopo il saccheggio ad opera degli
ugonotti nel 1562, un collegio di canonici sostituì nel 1627 i benedettini. Loro prima cura fu
di dorate la chiesa di un organo nuovo, la cui cassa a nido di rondine datata 1629 gratifica
19
Dal greco CRIPTOS ovvero nascosto, spazio di culto dedicato alle reliquie concepito come sepolcro monumentale.
L’ambiente, poco accessibile, aveva percorsi di fruizione regolamentati dal clero.
25
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
del suo grazioso aggetto la controfacciata della navata maggiore. Nel 1825 Victor Hugo, in
partenza per la Svizzera, ammirava la maestosa semplicità della chiesa abbaziale, in
seguito restaurata dall’architetto Questel in modo non molto radicale tra il 1845 e il 1850;
altri edifici abbaziali restaurati sono stati: la galleria del chiostro dell’XI secolo, la sala
capitolare del XIII secolo e gli ambienti conventuali.
7.2 Descrizione
Caratteristiche:
Lunghezza totale
Larghezza totale massima
Larghezza della facciata
Altezza totale del campanile grande a est
Altezza totale del campanile grande a ovest
Larghezza del campanile grande
78,00 m
34,00 m
16,50 m
57,00 m
52,00 m
8,50 m
26
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Altezza totale del campanile piccolo
Altezza della torre meridionale di facciata
Altezza esterna della navata maggiore
Lunghezza interna
Larghezza della navata maggiore
Larghezza del transetto
Altezza della cupola
Altezza della nave maggiore
Altezza del presbiterio20
Altezza della tribuna di San Michele
Nartece
Larghezza
Profondità
Altezza
Cripta
Larghezza
Lunghezza
Altezza
50,00 m
25,00 m
21,00 m
76,80 m
18,60 m
26,77 m
20,00 m
18,00 m
13,00 m
12,50 m
13,70 m
18,85 m
7,40 m
5,65 m
11,80 m
3,65 m
L’accesso alla chiesa avviene attraverso una strada stretta che, passando tra due
torri circolari, penetra all’interno della cinta muraria.
Sorprendente esito dell’architettura romanica, la chiesa di Tournus presenta
all’interno della sua possente composizione strutturale e ornamentale, un’unità di base
quadrata. La stessa ubicazione della chiesa è sorprendente, addossata alla collina e
fronteggiante la Saône, nella regione dove nacque la prima arte romanica mediterranea.
La costruzione, con pianta a croce latina21,
innalza il fronte del nartece a mo di fortezza,
inquadrato da due torri e marcato da una doppia
galleria sovrapposta di arcatelle lombarde.
L’interno
del
nartece
rafforza
questa
affermazione di possanza legata ad una maestria
tecnica impressionante: i volumi del piano terra, vero e
proprio piedistallo, sono stati progettati in funzione del
peso schiacciante del piano superiore che essi devono
sostenere. Le volte a crociera della parte centrale sono
controbilanciate dalle volte a botte trasversali delle
navatelle. A piombo sui forti pilastri in muratura si
alzano quelli corrispondenti del piano superiore, al
quale si accede attraverso una torretta angolare
addossata al corpo laterale sud. Essi sorreggono una
magnifica volta a botte a tutto sesto. Sembra che
l’architetto abbia usato tutte le possibili volte all’epoca
conosciute; su questo piano si tratta di mezze botti
Fig. 21 - Il possente nartece visto dalla città.
divise da archi a tutto sesto che fanno da solido
contrafforte al corpo centrale e permettono allo stesso tempo l’apertura di finestre a tutto
sesto al di sopra del loro piano di attacco. La parte anteriore della navata centrale si apriva
verso un abside in aggetto mediante una grande arcata rinforzata detta arco di Gerlannus
dall’iscrizione oscura che si rileva su di una pietra incastrata nel lato destro:
GERLANNUS ABATE ISTO MO NETERIUM E ILE
20
21
Parte della chiesa riservata agli officianti.
Disposta a “T”.
27
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
L’archivolto22 è ornato sulla faccia principale da motivi di fogliame, a sinistra da uno
straordinario mascherone umano e a destra da un personaggio visto di profilo munito di
martello e benedicente con la mano destra; il tutto poggia su due colonne angolari con
basi e capitelli lavorati. Gli storici ravvisano in questa figura l’abate cui fa allusione il testo.
Queste figurazioni umane sono le prime, assieme a quelle della cripta di San Benigno di
Digione, che l’arte romanica ai suoi albori ha prodotto in Borgogna.
Fa seguito a questa mole una navata inondata di luce che ne è al tempo stesso il
logico completamento e l’antitesi, caratterizzata da pilastri circolari in pietra rosea
proveniente dalle vicine cave di Préty. I pilastri rotondi che scompongono il corpo di
fabbrica, transetto e coro inclusi, in sette campate, creano un effetto plastico privo di ogni
artificio decorativo. La cupola all’intersezione che sostiene uno dei più straordinari
campanili romanici di tutta la regione (forato da due registri di bifore) e le cornici di gusto
lombardo presenti sul tiburio fissato trasversalmente all’asse dell’edificio, sono un’ulteriore
testimonianza della folgorante intersezione delle forme comacine nei distretti della
Borgogna meridionale.
Fig. 22 - L’interno della chiesa.
La navata si interseca ad est con un transetto dalla muratura di grande tessitura in
calcare bianco. Transetto e coro al di sopra mostrano i segni di una duplice campagna di
costruzione, sottolineata dalla presenza di una sottomurazione condotta durante la prima
metà del XI secolo al di sopra dei muri della cripta. Probabilmente il transetto in origine
22
Elemento architettonico costituito da una fascia di modanature che gira sulla curva di un arco seguendone il
contorno.
28
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
non era voltato: alla fine dell’XI secolo e durante il primo quarto del XII, transetto e coro
furono rimaneggiati: i bracci del transetto furono coperti da una volta a botte e all’incrocio
venne lanciata una cupola ottagonale le cui trombe sono sorrette da serie di sei colonnine,
mentre altre due sostengono l’archivolto che incornicia ognuna delle aperture praticate nei
lati principali.
Dal presbiterio ad emiciclo si aprono tre cappelle radiali. Prima della messa in opera
delle attuali vetrate che oscurano eccessivamente il coro, l’edificio non mancava di legami
con Vézelay.
Alle estremità occidentale e orientale, il nartece da una parte e il transetto dall’altra
svolgono il ruolo di moli d’arresto e bloccano di netto qualsiasi rischio di disgiunzione
longitudinale del sistema.
La zona absidale si eleva al di sopra della cripta, accessibile dal braccio nord del
transetto, della quale riproduce esattamente la pianta a deambulatorio 23 semicircolare
coronato da tre cappelle radiali; altre due cappelle sono accostate a nord e a sud delle
campate laterali. Una doppia fila di cinque colonne sottili, coronate da magnifici capitelli
intagliati in calcare biondo, divide il vano centrale della cripta. Le affinità che uniscono le
sculture della chiesa indicano una datazione intorno alla prima metà dell’XI secolo. Le
grandi carestie attorno al 1030 hanno tarpato le ali allo slancio di queste opere.
Le due parti essenziali dell’edificio, transetto e coro da una parte, nartece e navata
dall’altra, progrediscono separatamente e contemporaneamente durante tutto il corso
dell’XI secolo, come se fossero state affidate ognuna ad un cantiere diverso che
perfezionava i propri metodi di lavoro e si rinnovava senza comunicare con l’altro.
Uno dei misteri più sconcertanti di questo edificio è che il disordine della
costruzione non genera contrasto o conflitto di forme, bensì una sorprendente impressione
di sintesi unitaria e di compiutezza. Le vicende storiche del IX e del X secolo suggeriscono
una spiegazione della quale però bisogna avvalersi con prudenza estrema: si potrebbe
ipotizzare che la convivenza tra i monaci fondatori e quelli sopraggiunti di Saint-Philibert
avrebbe potuto incidere in qualche misura sul dualismo delle concezioni architettoniche.
Con maggior sicurezza si può osservare che la chiesa fu al tempo stesso chiesa abbaziale
e meta di pellegrinaggi, quindi la sua funzione liturgica fu duplice e concomitante. La
chiesa fu solo in parte riservata all’uso proprio e ben definito dei monaci in quanto anche i
fedeli e devoti di San Valeriano e San Filiberto, che costituivano flussi di pellegrinaggio tra
i più praticati nella regione, dovevano avere libero accesso alle venerate reliquie
8.1 Elementi comuni dei monasteri cistercensi
La riforma cistercense ha come principio fondamentale quello di riportare il
monachesimo alle origini, prima della contaminazione del feudalesimo, secondo gli ideali
di purezza, rigore e disciplina dettati dalla regola di San Benedetto. Uno dei principi
cistercensi è quello di creare una rete di collegamenti tra tutti i monasteri; spesso le nuove
fonazioni mantengono il nome delle abbazie madri borgognone, come nel caso delle
abbazie di Chiaravalle che ereditano il nome dall’abbazia Clairvaux.
Caratteristica delle abbazie cistercensi (derivate cioè dal monastero di Cîteaux) è la
matrice compositiva delle piante basata sul quadrato, figura che nella tradizione cristiana
rappresenta il cosmo. Il cerchio e il quadrato simboleggiano i due aspetti fondamentali di
Dio: l’unità e la manifestazione divina. Il cerchio esprime il celeste, il quadrato il terrestre,
non in quanto opposto al celeste ma in quanto creato. Nei rapporti fra il cerchio e il
quadrato esiste una distinzione e una conciliazione: il cerchio sarà per il quadrato ciò che il
23
Prolungamento delle navate laterali di una chiesa oltre il transetto, intorno al coro.
29
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
cielo è per la terra e l'eternità per il tempo, ma il quadrato si inscrive in un cerchio, vale a
dire la terra è dipendente dal cielo. Per i cristiani il Cristo rappresenta l'umanità, l'uomo
quadrato per eccellenza. Da ciò non solo derivò la costruzione delle chiese ad quadratum,
ma anche l'uso di porre nelle chiese la Pietra Angolare come simbolo di Cristo Gesù,
come si legge nella lettera di S. Paolo agli Efesini ( ... Pietra maestra angolare essendo lo
stesso Cristo Gesù sopra di cui l'edificio tutto insieme connesso si innalza in tempio santo
del Signore… ). Questa formazione delle piante delle chiese cistercensi presenta delle
analogie con l’uomo di Santa Ildegarda il quale, con i piedi uniti e le braccia tese, ha
cinque misure uguali nel senso della lunghezza e della larghezza. Una chiesa cistercense
ad quadratum si inscrive in un rettangolo; la sua pianta ha 12 misure uguali nel senso
della lunghezza e otto nel senso della larghezza, cioè si ha il rapporto dodici ottavi che è
uguale a tre mezzi.
Nello studio dell'architettura cistercense è necessario tener presente la disposizione
costante degli edifici che compongono il monastero e i concreti motivi funzionali che
determinano tale disposizione. La pianta di un’abbazia cistercense si presenta articolata,
secondo la regola di San Benedetto, in un organismo complesso e autosufficiente con una
disposizione razionale e pratica degli edifici.
I principali elementi esterni che
determinano la posizione dei vari
ambienti di un'abbazia cistercense
sono: la configurazione del terreno,
il clima, il corso d'acqua presso cui
viene costruito il monastero e la
direzione dei venti. Quando, per
ragioni di topografia locale, non si
poteva edificare l'abbazia sulle rive
di un corso d'acqua, si costruivano
canali, acquedotti e laghi artificiali.
Tutti gli edifici dell'abbazia e anche
gli orti, i giardini, le vigne nelle
immediate adiacenze, sono protetti
da un muro di cinta chiamato muro
della clausura che limita l'ambiente
strettamente monastico da cui i
monaci non possono uscire.
L'abbazia comunica con l'esterno
mediante una porta principale
presso la quale abita un monaco
anziano, saggio, la cui maturità
d'animo non gli permette di andar
vagando; il suo compito è quello di
ricevere i visitatori e rendere loro
risposte. Presso la portineria,
nell'interno del muro di clausura,
sorge la foresteria che comprende
il refettorio e il dormitorio per gli
ospiti, l'infermeria e, nelle grandi
abbazie, anche un ospizio per
Fig. 23 - Planimetria dell’abbazia cistercense di Fontenay.
poveri. Accanto alla portineria c'è
una cappella per i forestieri e le donne che non possono entrare nell'ambito monastico,
accessibile dall’esterno mediante una porta. Gli edifici si articolano in maniera razionale
30
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
attorno al chiostro, cuore dell'abbazia. Ad oriente si eleva sempre il fabbricato dei monaci
coristi, ad occidente quello dei fratelli conversi o laici: due complessi monastici adatti e
riservati alle diversità di vita dei due gruppi di religiosi che collaborano al buon andamento
dell’abbazia. L'edificio più importante è la chiesa, orientata, a croce latina, che occupa
generalmente la parte più elevata del terreno ed è disposta sul lato nord dell'abbazia per
riparare l'ambiente dai venti di tramontana e per non impedire l'espandersi della luce sugli
altri edifici. È generalmente a tre navate, con abside rettangolare e transetto. Poiché le
chiese cistercensi sono esclusivamente riservate ai religiosi, presentano la disposizione
degli stalli per la preghiera corale nella navata centrale; alcune abbazie sono persino prive
dell'ingresso centrale sulla facciata. Il coro dei monaci è separato da quello dei conversi da
una balaustra alla quale è addossato un pulpito chiamato jube, dalla formula latina jube,
domne benedicere che il monaco cantava per chiedere la benedizione all'abate prima
della lettura. Appoggiati al muro di fondo ci sono alcuni banchi per i fratelli infermi. La
chiesa presenta una porta laterale chiamata porta dei coristi situata verso la parte
terminale della navata destra e comunicante con il chiostro, e un'altra sulla stessa navata
ma nella prima campata, detta porta dei conversi perché mette in comunicazione la chiesa
con i dormitori di questi ultimi. Nel braccio destro del transetto si apre la porta di accesso
alla sacrestia e ha inizio la scala che conduce al dormitorio dei coristi; nel braccio sinistro
la cosiddetta porta dei morti immette nel cimitero monastico. Sulla crociera del transetto si
eleva il campanile che, per disposizione degli Statuti Capitolari, deve essere di legno, di
modeste dimensioni e con piccole campane, tali da poter essere suonate
contemporaneamente da un solo monaco. Attraverso la porta dei coristi si passa nella
galleria orientale del chiostro dove si apre - oltre ad una seconda porta della sacrestia l'aula capitolare o Capitolo, considerata l'ambiente più importante del monastero dopo la
chiesa. In esso si svolge il capitolo delle colpe durante il quale i religiosi si accusano
spontaneamente delle mancanze pubbliche contro la regola, per riparare al cattivo
esempio e chiedere il perdono dei confratelli. Vi si svolgono anche le riunioni comunitarie
per questioni riguardanti direttamente il monastero, come l'ammissione dei novizi alla
professione, la vestizione religiosa, l'elezione dell'abate, gli acquisti e le vendite dei terreni
e altri problemi d’importanza rilevante. Il posto dell'abate è al centro della parete orientale
da cui partono sedili di pietra fino alla porta. Subito dopo, dal lato sud si accede al
calidarium dove gli amanuensi fanno sciogliere i colori per le miniature; quindi si passa poi
allo scriptorium e alle altre sale di lavoro. Il refettorio, situato nel lato opposto a quello della
chiesa, è perpendicolare a questa. L'ala occidentale del monastero viene chiamata edificio
dei conversi perché riservata esclusivamente ai fratelli non coristi. Al pian terreno è situato
il dispensarium, grande sala rustica adibita a deposito di frumento, vino, olio e di altri
prodotti dell'agricoltura. Separato da una galleria che conduce al chiostro segue il
refettorio dei conversi, mentre al piano superiore sono ubicati i loro dormitori.
La pianta appena descritta viene denominata bernardina perché ideata da San
Bernardo per l'abbazia di Chiaravalle e adottata come modello per i nuovi monasteri.
8.2 Abbazia di Notre-Dame a Fontenay
Quando San Bernardo divenne abate di Clairvaux, fondò tre colonie: TroisFontaine, Foigny e Fontenay. L’edificazione di quest’ultima venne iniziata nel 1119 su di
un terreno donato al santo da un parente. Il nome del luogo deriva dal latino fontanetum e
sta ad indicare la ricchezza del sito di acque e sorgenti.
31
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 24 - Planimetria generale dell’abbazia di Fontenay.
San Bernardo seppe trarre preziose conclusioni dal crollo di una volta della chiesa
di Cluny, episodio che confermò la fragilità della volta a botte acutizzante sovrapposta ad
una zona aperta per l’illuminazione diretta della navata; egli, dettando ai costruttori della
chiesa abbaziale di Fontenay un programma basato sulla composizione matematica delle
parti, incastrò strettamente la volta a botte acutizzante della navata centrale entro le
navate laterali voltate a botti trasverse (espediente simile venne adottato nel piano terra
del nartece di Tournus). La razionalità dell’architettura che ne derivò è riferibile a rapporti
musicali, secondo il pensiero medioevale che sosteneva l’esistenza di una musica celeste
prodotta dal moto dei pianeti non udibile dall’orecchio umano, ma riproducibile attraverso
proporzioni geometriche. Dunque si può affermare che i cistercensi furono i primi ad
applicare principi musicali in architettura.
La chiesa venne dedicata nel 1147 da Papa Eugenio III, il Papa voluto e sostenuto
da San Bernardo in quanto suo allievo. Nel 1500 l’abbazia contava 300 tra monaci e
conversi.
L’abbazia illustra, con la sua chiesa, il chiostro, il refettorio, il dormitorio, la
boulangerie e la forgia, l’ideale autarchico delle prime comunità cistercensi; venne cioè
ideata in modo che tutto il necessario – l’acqua, il mulino, l’orto – fosse presente nel
monastero e i monaci non avessero bisogno di rivolgersi all’esterno. Inoltre la vita
monastica segnò un ritorno al lavoro manuale che rese celebri i monaci di Fontenay per la
32
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
loro abilità e perizia nel canalizzare le
acque per la bonifica, l’irrigazione e la
produzione di energia idraulica.
La differenza evidente dell’abbazia
di Fontenay e, in generale, delle abbazie
cistercensi rispetto a quelle cluniacensi è
la totale assenza di ogni decorazione
figurativa,
finalizzata
a
conferire
semplicità e purezza alle celebrazioni
religiose, secondo gli ideali di San
Bernardo.
Dal
punto
di
vista
della
costruzione, l’abbazia di Fontenay
rappresentò un cantiere – scuola
cistercense
dove
si
formarono
Fig. 25 - Il complesso abbaziale di Fontenay – vista aerea.
capomastri,
muratori,
carpentieri,
scalpellini e tagliapietre. Proprio per questa capacità delle maestranze di divulgare
raffinatissime conoscenze nell’arte del costruire, viene attribuita all’esperienza
architettonica cistercense la transizione dallo stile Romanico al Gotico.
La chiesa è composta da una navata di otto campate con navate laterali, da un
transetto aggettante da ogni braccio dal quale si aprono a est due cappelle quadrate, e da
un coro di due campate a fondo piano. I pilastri che dividono la navata maggiore dalle
laterali, sono polilobati24, coronati da capitelli semplicemente modanati25 con
scantonature26.
Fig. 26 - Interno e facciata della chiesa abbaziale.
Sull’altare della chiesa sono raccolte le lapidi mortuarie di alcuni abati. Nell’abside
di destra si trova il monumento funebre del cavaliere Mello d’Epoisses e della sua dama,
sui quali vegliano alcuni putti che leggono libri seduti a gambe incrociate. L’uscita di
sinistra è chiamata porta dei morti: da qui i feretri dei monaci venivano trasportati nel
24
25
26
A sezione composta.
Sagomati.
Smusso degli spigoli.
33
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
cimitero dell’abbazia. Il pietrisco che costituisce la pavimentazione odierna della chiesa
non è originale.
La facciata semplice con portale strombato27, era preceduta in origine da un portico.
Essa presenta un sistema razionale di aperture dettato da una simbologia: tre finestre
superiori ad indicare il mondo divino e quattro aperture inferiori per quello terreno.
Al centro del complesso abbaziale sorge l’abitazione settecentesca del proprietario
privato, costruita in stile rurale raffinato con pietre grigie.
Fig. 27 - La colombaia e il chiostro.
Il dormitorio è una lunga navata di quasi 60 m coperta da una grande carena
capovolta. Qui i monaci dormivano insieme su pagliericci, senza la possibilità di
accendervi dei fuochi, ammessi dalla regola solo nella sala del capitolo. Sul lato che si
attesta sulla chiesa, una finestra permetteva ai monaci più anziani di seguire i riti liturgici.
Fig. 28 - Il dormitorio.
Il motivo che spiega la presenza di una forgia all’interno dell’abbazia è l’esistenza a
poca distanza di un giacimento di ferro. La forgia è un edificio imponente, le cui pareti
esterne rivelano ancora tracce del ferro e del fuoco che lo abitavano. Possenti pilastri
reggono le volte dell’edificio. Restano gli attrezzi del lavoro degli operai metallurgici e gli
ingegnosi sistemi che adoperavano per sollevare il ferro e portarlo sul maglio dove veniva
27
Con sguincio degli stipiti.
34
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
battuto. La parete esterna della forgia è ancora fiancheggiata dalla canalizzazione del
corso d’acqua che percorre la valle e che alimentava il sistema di ruote.
Fig. 29 - La forgia – vista esterna.
Fig. 30 - La forgia – interno.
35
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 31 - Il canale di alimentazione della forgia e la fontana settecentesca.
Il sistema restò in funzione fino al 1791, quando nuovi proprietari passarono dalla
lavorazione del ferro a quella della cellulosa. Il complesso fu adibito a cartiera fino al 1906,
anno in cui gli edifici vennero ricondotti al loro aspetto originario, mentre nel 1981 venne
dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Lungo il torrente, a monte, numerosi bacini conservano una ricca itticultura. Lo
stesso canale alimenta dal XVIII secolo la vasca monumentale progettata e costruita per il
piacere della frivola nobiltà.
36
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Fig. 32 - Il platano secolare datato 1730 tra a forgia e la chiesa.
9 L’apporto del restauro ottocentesco per i monumenti
francesi
La Rivoluzione francese identificò nei palazzi, nelle ville e nei castelli la
testimonianza della tirannia della precedente dinastia monastica e nelle chiese e nei
conventi quella di una religione secolare che si era deciso di sopprimere e sostituire con
quella della Dea Ragione; persino il castello di Versailles venne messo all’asta nel 1793.
La triste vicenda di cattedrali e abbazie francesi è impressionante: quelle che il fanatismo
37
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
rivoluzionario non è arrivato a distruggere, sono rimaste talmente mutilate e offese da
rendere il loro restauro estremamente complesso.
In base al concordato firmato da Napoleone nel 1801 con la Chiesa di Roma,
vennero restituite al culto le chiese profanate, ma non i beni espropriati e i redditi
confiscati, per cui soltanto lo Stato avrebbe potuto provvedere alla loro ricostruzione.
Fortunate le chiese adibite ad usi profani, in quanto potevano ricevere una manutenzione
dal Genio Civile. Altre chiese che risultavano pericolanti vennero demolite, altre ancora
vendute ad imprese private per ricavarne materiale da costruzione. Molte infine furono
vittime delle grandi demolizioni urbanistiche attuate nell’ottocento per l’apertura di strade,
piazze e per far posto a nuovi edifici pubblici. Tra le chiese scomparse più importanti
rientra l’abbazia di Cluny.
Dopo la caduta di Napoleone, la cosiddetta Restaurazione degli Orléans e la
successiva monarchia Borbonica, si verificò un ritorno verso l’antico e verso il ripristino di
quei monumenti che meglio lo rappresentavano. La Francia da questo punto di vista era
impreparata, dato che l’esigenza dei restauri si presentava in un momento artistico
spiritualmente opposto al carattere stilistico dei monumenti da recuperare. Non erano
infatti gli architetti neoclassici i più adatti alla comprensione e alla cura dei palazzi, delle
cattedrali gotiche e delle abbazie romaniche. I contrasti generarono per tutto l’Ottocento
un dibattito continuo, tanto da costituire per la storia del restauro la pagina più
interessante, anche per le molteplici influenze che ne derivarono per gli altri paesi europei.
Era evidente che per un certo periodo gli architetti restauratori dovessero procedere per
tentativi e senza una qualsiasi regola generale; come potevano del resto gli architetti
neoclassici conciliare gli ideali di simmetria che praticavano nelle nuove costruzioni con le
improvvisazioni continue e frammentarie di un’architettura antica?
Fu a questo punto che si affermò la grande
figura dell’architetto Eugenio Emanuele Viollet-leDuc, nato a Parigi nel 1814 e morto a Losanna nel
1879.
Per comprendere la sua posizione bisogna
tener conto che egli venne a trovarsi storicamente
nel periodo di trapasso tra neoclassicismo ed
eclettismo. E’ necessario inoltre considerare che
verso il 1840 si era ben lontani da una qualsiasi
definizione del problema del restauro; egli si trovò
ad operare su monumenti poco intesi, mai studiati
e sui quali era passata la furia distruttrice della
Rivoluzione.
Viollet-le-Duc era uno storico, osservatore,
disegnatore finissimo e ottimo scrittore. Ciò gli
diede modo di diventare il massimo trattatista
dell’architettura francese del suo secolo. Egli
insegnò la necessità di accostarsi ai monumenti da
restaurare con profonda umiltà: “occorre una
religiosa
discrezione, una rinunzia completa di ogni
Fig. 33 - Eugenio Emanuele Viollet-le-Duc
idea personale, e nei problemi nuovi, quando si
debbano aggiungere parti nuove, anche se non sono mai esistite, occorre mettersi al
posto dell’architetto primitivo e supporre che cosa farebbe lui se tornasse al mondo e se
avesse innanzi lo stesso problema.” Quando Viollet-le-Duc introdusse dei falsi stilistici nei
suoi restauri, lo fece nell’intenzione di ripristinare l’unità corale di un’architettura, restituirla
alla sua unità stilistica per ristabilirne l’integrità. La sua profonda conoscenza degli stili può
averlo tradito, trascinandolo ad operare senza limiti fino alle estreme conseguenze di una
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In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
ricostruzione o di un completamento. Ma era anche un artista e come tale non poteva non
perseguire un ideale di bellezza nell’opera d’arte compiuta, come nel pensiero di chi
l’aveva concepita. L’attività di Viollet-le-Duc fu eccezionale particolarmente dal 1850 al
1870. La sua presenza ormai indiscussa in Francia veniva richiesta anche da altri paesi,
compresa Firenze che ripetutamente lo invitò (invano) per giudicare il concorso per la
nuova facciata del Duomo nel 1864.
Fig. 34 - L’abbazia di Vézelay in alcuni schizzi di Viollet-le-Duc.
In Francia ancora oggi non è difficile sentire condannare le ricostruzioni con la frase
“c’est Viollet-le-Duc”; è infatti abituale l’uso di attribuirgli qualsiasi restauro o per lo meno di
ricondurlo ad una sua scuola in realtà mai esistita.
Tra i lavori di restauro di Viollet-le-Duc vi è la chiesa di Vézelay, ricostruita
nell’interno e nelle volte e restaurata, non senza qualche arbitraria soluzione, nella facciata
ancora in buona parte romanica, ma gotica nella zona centrale.
10.1 L’abbazia di Vézelay - storia
Nell’887 i normanni saccheggiarono e incendiarono il piccolo monastero di SaintPère fondato nell’855 dall’allora duca di Lione reggente di Provenza. I monaci fecero
appena in tempo a rifugiarsi sul vicino poggio dove rimanevano alcune rovine di un
oppidum celtico, restandovi poi stabilmente.
Il monastero primitivo era stato posto sotto il patronato della Madonna. Tuttavia era
convinzione dell’epoca che esso detenesse il corpo di Maria Maddalena. La leggenda
poggia su di un fondamento storico incontestabile che è la precocità in Borgogna del culto
della Santa penitente, manifestato per la prima volta da uno scritto dal titolo Sermo in
verenactione Sanctae Maria Magdalenae attribuito a Ottone di Cluny. In base a questa
testimonianza si ritiene che la devozione per la Maddalena si diffuse a Vézelay attraverso
il canale di Cluny. Una seconda teoria darebbe credito alla legenda Aurea scritta tra il
1255 e il 1266 da Iacopo da Varazze, vescovo di Genova, secondo cui la Maddalena, 14
anni dopo la passione di Cristo, approdò a Marsiglia insieme ad altri discepoli, morendo
dunque in Francia.
39
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Sta di fatto che a partire dall’XI secolo erano in molti i pellegrini che, sul percorso di
Santiago di Compostela o (nel verso opposto) di Roma, percorrevano le pendici rocciose
per affollarsi attorno alle reliquie di colei che ancor prima degli Apostoli aveva visto il Cristo
risorto.
Con passione l’abbazia organizzò, rafforzò e difese la propria libertà contro
chiunque pretendesse limitarla. Essa dipendeva dalla giurisdizione del vescovo, ma
sostenne una lunga lotta per emanciparsene. La bolla del 1103 che essa riuscì ad
ottenere dal Papa costituisce in sostanza la carta dei suoi privilegi: i beni del monastero,
comprese le elemosine, non potevano essere diminuiti o sottratti da nessuna autorità. In
particolare era proibito al vescovo della diocesi fare pubbliche stazioni o celebrare
privatamente messe nell’abbazia, senza esservi stato espressamente invitato dall’abate
personalmente. Stanco delle continue discordie, Papa Eugenio III prese nel 1151
l’iniziativa di aprire un’inchiesta che avrebbe dovuto determinare i diritti e le relative
prerogative degli abati e del vescovo di Autun nella città di Vézelay, nonché all’interno del
monastero.
Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 1120 un grandissimo incendio devastò il
monastero; la Chronique del Saint-Maixent enumera circa 1927 morti. Ancora durante il
corso del XII secolo l’abbazia subì i danni del fuoco; l’incendio devastò persino la cripta
delle reliquie, risparmiando solo un’immagine della Beata Maria Madre di Dio.
Nel 1146 San Bernardo di
Chiaravalle vi predicò la seconda
crociata capeggiata da Riccardo Cuor
di Leone ed è ancora a Vézelay che
si radunò la terza crociata del 1190.
Nel 1256 due legati pontifici
vennero in gran pompa per una
nuova ricognizione dei resti della
Maddalena, rivelando che in passato,
con l’avvicinarsi dei saraceni, le sacre
ossa erano state traslate in segreto in
un sarcofago sconosciuto. Tale
sarcofago venne misteriosamente
riscoperto nel 1279; Papa Bonifacio
VIII ne affidò la custodia ai figli di San
Domenico. Da questo momento iniziò
il declino di Vézelay.
Nel 1568 gli ugonotti si
appropriarono di Vézelay; si narra che
essi all’interno vi giocassero a bocce
con le teste tagliate delle loro vittime.
Nella notte fra il 21 e il 22
ottobre 1819 un fulmine colpì l’alta
Fig. 35 - San Bernardo di Chiaravalle in una miniatura.
torre di facciata e per la sesta volta il
santuario arse.
Quando nel 1840 Viollet-le-Duc accorse sul luogo, la chiesa non era che una
carcassa sventrata, destinata alla rovina. Non ne resterebbe più nulla se l’architetto non
avesse osato metter mano ad un restauro generale della basilica.
40
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
10.2 Descrizione
Caratteristiche:
Lunghezza massima
Lunghezza del nartece
Larghezza del nartece
103,00 m
20,40 m
23,60 m
41
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Altezza della navata del nartece
Larghezza della navata del nartece
Larghezza delle navatelle del nartece
Lunghezza della navata della chiesa
Larghezza totale
Larghezza della navata centrale
Altezza della navata centrale
Larghezza delle navate laterali
Larghezza del transetto
Lunghezza del transetto
Lunghezza del coro
Larghezza del coro
Altezza della torre Antonia
Altezza della torre di facciata
Cripta
Lunghezza
Larghezza
20,00 m
10,20 m
6,20 m
62,00 m
23,00 m
10,60 m
18,50 m
6,20 m
28,00 m
9,00 m
16,00 m
10,60 m
35,00 m
38,00 m
19,00 m
8,80 m
Il nome Vézelay ha una probabile origine celtica: il prefisso vezh (che indica la
durata e lo scorrere del tempo) e la seconda sillaba lech’h (che significa grande pietra)
indicano come traduzione pietra del tempo antico.
La composizione architettonica del complesso è in un certo qual modo dettata dalla
duplice funzione che la chiesa era chiamata a svolgere come parte di un’abbazia
benedettina, con un grande coro riservato ai monaci, e come santuario tra i più frequentati
dell’occidente, giustapponendo all’area del coro una grande navata e una cripta provvista
di altari.
Fig. 36 - Viste d’interno.
Una lunga navata centrale romanica a dieci campate, fiancheggiata da navatelle e
preceduta da un nartece della stessa larghezza lungo tre campate e provvisto di corpi
laterali, un transetto di aggetto lieve sul quale si articola un vasto coro gotico a
deambulatorio coronato da cinque absidiole a raggiera tangenti fra loro, compongono un
42
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
insieme basso e piano, rialzato da due torri: una sul lato sud della facciata e l’altra piantata
sull’ultima campata della navata centrale. Le sue forme sono forti, robuste: grandi arcate a
tutto sesto con ghiere esterne decorate con un fregio di foglie e pilastri cruciformi con
mezze colonne inserite regolarmente sui quattro lati. L’apporto cluniacense è sensibile
solo nei piccoli pilastri che, annidati negli angoli, sostengono gli archi delle pareti laterali
posti attorno alle finestre. Volte a crociera coprono in modo uniforme sia la navata centrale
che quelle laterali.
Una nicchia della navata di destra nei pressi dell’abside ospita la statua di San
Bernardo di Chiaravalle che bandisce una croce e ciò che resta di una spada. La
pavimentazione è lastricata con pietre grigie su alcune delle quali, nelle due navate
laterali, sono incise sette lettere in alfabeto maiuscolo greco.
I lavori di ricostruzione iniziati nel 1106 e interrotti dall’incendio del 1120, non
trascurarono nulla affinché alla dignità del santuario e delle reliquie in esso contenute
corrispondesse lo splendore di un programma arricchito dagli ornamenti della pietra
scolpita.
Vezelay apprende tutta la ricchezza
della decorazione cluniacense: sono
infatti dimostrate da tempo le affinità
che intercorrono tra i famosi capitelli
salvati a Cluny e la scultura di
Vézelay.
Oltre
alle
ghirlande
ornamentali che sottolineano con
tratto
brillante
le
articolazioni
essenziali della struttura, la navata
annovera non meno di un centinaio di
capitelli scolpiti. I soggetti sono
fantastici, due di essi rappresentano
scene ed episodi della mitologia
pagana: l’educazione di Achille
(navatella meridionale) e il ratto di
Ganimede (navata centrale, lato sud);
tali forme sembrano illustrare un
rinascimento antico che si sviluppa
proprio nella civiltà romanica fin dagli
ultimi anni dell’XI secolo. Molto più
numerosi sono i soggetti biblici: fiumi
del paradiso, caduta di Adamo ed
Eva, sacrificio di Caino e Abele,
morte di Caino, vita di Giacobbe,
Davide che spezza la mascella del
leone, Davide e Golia, Daniele fra i
leoni, Giuditta e Oloferne, e così via.
Le vite di San Pietro, Sant’Antonio,
San Martino, San Benedetto e
Sant’Eugenia forniscono parecchi
soggetti. Un motivo ricorrente è
costituito da demoni, animatori
Fig. 37 - Capitello scolpito.
malefici di queste immagini. Si
osserva che la santa patrona Maria Maddalena non è mai raffigurata, così come sono
quasi assenti gli episodi della vita di Gesù, come ad indicare che la figura abbagliante del
43
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Cristo in Maestà dagli occhi severi posta sulla lunetta del portale della navata maggiore
basta da sola a far concentrare su di essa il fervore dei pellegrini.
Fig. 38 - Cristo in maestà sulla lunetta del portale centrale.
Dalle sue mani si diffondono i raggi della Pentecoste, affinché siano evangelizzati
tutti i popoli della terra. Esso rappresenta l’opera più sapiente di tutta la statuaria romanica
della Borgogna. Due piccoli portali laterali lo inquadrano. Sotto i loro ricchi archivolti
sopraelevati, essi presentano: a destra scene dell’infanzia di Cristo (Annunciazione,
Visitazione, Annunzio ai pastori, Natività, Adorazione dei magi), a sinistra i pellegrini di
Emmaus e l’Apparizione di Cristo agli apostoli dopo la resurrezione.
Alcuni studiosi intuiscono alcune simbologie che rimandano alla discendenza reale
di Gesù Cristo e dunque alla ricerca dei cavalieri Templari per il Graal. D’altro canto non si
può dimenticare che gli stessi cavalieri si riunirono a Vézelay dopo che San Bernardo
diede loro la regola dell’Ordine del Tempio.
Fig. 39 – Alcune viste dell’esterno dell’abbazia.
Iniziato poco dopo la navata maggiore, il nartece riveste di penombra i portali. Il
frontone, con le sue cinque monofore ad ogiva messe a scalare ed i piedritti adorni di
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In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
statue e colonne, è gotico. Una galleria di arcate trilobate28 occupa il registro superiore,
sotto una serie di archivolti a sesto acuto.
Dall’interno del transetto due scale sboccano in fondo ad un’ampia cripta coperta da
volte a crociera che si stende sotto la zona absidale; essa è divisa in tre navate da due file
di esili colonne i cui capitelli scolpiti da fogliame mostrano somiglianze con quelli
cistercensi di Fontenay e preannunciano lo stile Gotico.
L’Unesco ha inserito Vézelay nell’elenco dei santuari considerati patrimonio
dell’umanità.
11.1 La città di Digione
Digione si impone tra le città d’arte francesi per la qualità, l’omogeneità e la
coerenza di ogni singolo monumento. Nasce come castrum29 nel basso impero romano
(52 a.C.) con il nome di Divio. Nel 1015 Roberto I, primo duca di Borgogna, la scelse come
capitale del suo ducato. Durante la guerra dei 100 anni il ducato si alleò ripetutamente con
l’Inghilterra, tanto è vero che fu Giovanni il Buono di Valois a catturare Giovanna d’Arco e
a consegnarla agli inglesi. Pare che ai duchi di Borgogna, indipendenti politicamente fino
al 1477, si debba l’importante invenzione culinaria della senape, nata come salsa capace
di coprire il sapore rancido della carne che all’epoca si conservava difficilmente.
Digione, capoluogo della Côte d’Or, vanta tra i migliori vigneti del mondo, coltivati
su un terreno rosso dorato (da cui il nome della regione). Ad ovest, fuori dalle mura e di
fronte alle colline piantate a vigneti, il borgo si raggruppa attorno alla tomba
dell’evangelizzatore San Benigno e all’abbazia, mentre l’espansione urbana del medioevo
crea un tessuto continuo costituito da reticoli di strade sinuose e vicoli che si diramano tra
la varietà di case dai tetti aguzzi.
Il mecenatismo dei duchi e successivamente degli stati di Borgogna dona a Digione
il Palais des Ducs, edificio al quale schiere di rinomati architetti non cessarono mai di
lavorare dal XV secolo fino alla fine dell’Ancien Regime, tra cui Hardouin-Mansart,
l’ideatore di Versailles. Il Palais des Ducs, che oggi ospita l’Hôtel des Ville (municipio) e il
Musée des Beax-Arts, si affaccia sulla semicircolare Place de la Libération in stile Luigi
XIV. La borghesia parlamentare dei secoli XVII e XVIII costruì alloggi per benestanti nei
quali si mette in mostra l’appagamento del viver bene.
Di particolare rilevanza è la chiesa di Notre-Dame (1230), considerata il miglior
esempio di architettura gotica in Borgogna e scrigno della decana delle Madonne nere
francesi detta di Buona Speranza. In uno dei campanili della chiesa si trova il famoso
orologio Jaquemart, portato a Digione come trofeo di guerra da Filippo l’Ardito nel 1383. In
origine il carillon dell’orologio era formato da un piccolo fabbro in ferro che batteva le ore,
al quale gli abitanti di Digione aggiunsero successivamente una moglie (XVII secolo)
chiamata Jaqueline, un figlio (XVIII secolo) Jaquelinet, e quindi una figlia (XIX secolo)
Jaquelinette! Su di una parete della chiesa dal lato della Rue de la Chouette, è visibile una
civetta in pietra: si dice che appoggiare la mano sinistra sulla testa della civetta porti
fortuna.
La ricostruzione a seguito dell’incendio del 1137 ha fornito la città della chiesa
romanica di Saint-Philibert, priva oggi delle sue tre absidi, voltata a crociera con portico del
XIII secolo (dinnanzi al quale veniva eletto il Sindaco della città), una graziosa flèche di
pietra aggiunta nel XV secolo e un portale meridionale dove si ritrova la grazia della
28
29
Costituite da tre lobi.
Insediamento romano dotato di una propria fisionomia giuridica e territoriale.
45
In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
scultura romanica al suo crepuscolo. Si pensa che l’ornamentazione delicata del portale
provenga dalla vicina chiesa abbaziale.
Vestigia della città è anche la chiesetta dei Templari costruita a Tichâtel e
trasportata pietra per pietra sulle pendici dell’altopiano di Corcelles-les-Monts, al limite
della periferia della città. La navata rettangolare e il coro rettilineo sono coperti da volte a
botte, mentre la zona absidale termina con tre finestre disuguali.
Tra gli altri monumenti della città sono da ricordare: la Cappella Ducale (XIII
secolo), custode dell’Ostia Santa donata da Papa Eugenio IV nel 1433; il Palazzo del
Ciambellano o degli Ambasciatori, nello stile Gotico fiammeggiante (1490); Il sontuoso
Palazzo di Giustizia (XV – XVI secolo); la Certosa di Champmol, necropoli dei duchi
vallesi; la chiesa di Saint-Jean dalla bella volta a botte lignea sorretta da pareti nude; la
chiesa di Saint-Michel, con una squisita e gracile navata fiammeggiante dietro
un’impressionante facciata rinascimentale; la chiesa delle Carmelitane, prototipo di una
ricca fioritura classica; La Biblioteca Municipale, che conserva la collezione dei libri
teologici, la Bibbia per prima, che furono miniati nell’abbazia di Cîteaux; infine la chiesa
delle suore di San Bernardo con la sua meravigliosa cupola.
Famosa come città universitaria, Digione non manca di locali di tendenza tra cui la
discoteca L’An-fer più in voga al momento, Le Cappuccino, locale Bohemien di gusto, Le
Chez Nous dietro Rue Quentin, tradizionale e alternativo al tempo stesso, Le Crockodil in
Rue Berbisey e la Rhumerie la Jamaique in Place de la Republique. L’ufficio del turismo è
in Place Darcy.
11.2 Il monastero di San Benigno a Digione - storia
La fondazione del monastero di San Benigno di Digione si perde nella leggenda. Ad
ovest del castrum romano si estendeva un’ampia zona cimiteriale dove vi erano tombe
pagane e cristiane. Tra queste vi era un grande sarcofago a cui i contadini rivolgevano le
loro preghiere, venendo miracolosamente esauditi. Era tale l’ammirazione che il vescovo
di Langres Gregorio tentò di proibirne l’adorazione, considerandolo un culto superstizioso.
Allora San Benigno apparve al vescovo e, rimproverandogli la sua incredulità, gli impose
di erigere sulla sua tomba una chiesa dignitosa coperta da volte eleganti.
Del martire Benigno non si conosce molto, tuttavia una forte tradizione fa di lui un
discepolo di San Policarpo, figlio spirituale di San Giovanni evangelista.
Non si sa in quale momento preciso si sia costituita attorno alla tomba
l’aggregazione di una comunità monastica che ne garantì la custodia e il culto. Secondo la
Chronique de Saint-Bénigne, redatta nell’XI secolo, questa fondazione si dovette al
vescovo Gregorio in persona, che dette il mandato di governarla a Eustade de Mesmont.
In seguito il re di Borgogna Gondran gratificò l’abbazia con ricche donazioni e istituì la
liturgia della lode perpetua.
L’VIII secolo inferse grandi colpi alla prosperità di San Benigno. Le guerre e le
incursioni saracene generarono una deplorevole decadenza morale e materiale. Fu
soltanto nell’869 che il vescovo riformatore Issac si mosse per la necessaria restaurazione
dell’abbazia; la sua prima cura fu quella di introdurre la regola benedettina. La chiesa fu
ricostruita quasi da cima a fondo su di una pianta molto più vasta di quella primitiva. Essa
sovrapponeva due edifici provvisti di un ampio transetto e di cinque absidi degradanti,
prolungate ad oriente da una rotonda.
La cripta fa intuire che i costruttori preromanici della Borgogna prediligevano le
piante rotonde e l’edicola circolare restituita dagli scavi della cattedrale di Saint-Pierre a
Ginevra ovvero la rotonda della chiesa di Lémenc a Chambéry sono la prova
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In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
dell’espansione attraverso le zone meridionali e alpine del sistema costruttivo dell’ampia
area burgunda.
All’inizio del X secolo il santuario era in condizione di poter accogliere le reliquie di
numerosi santi. Si narra al proposito che nel 944 il Foucher, abate di San Benigno, portò
da Gerusalemme una spina della corona di Cristo. Durante questo periodo oscuro,
minacciato dalle incursioni barbariche, l’ordine si trasferì all’interno del castrum.
Il personaggio di Guglielmo è certamente la figura più illustre di tutta la storia di San
Benigno di Digione. Nel 990 il vescovo di Langres Brun de Roucy lo chiamò a restaurare
moralmente e materialmente l’abbazia. Oltre all’introduzione dell’osservanza di Cluny,
l’opera di Guglielmo consisté nel rimaneggiare la basilica carolingia, in fondo alla quale
egli volle realizzare il suo capolavoro, il più mirabile di tutta la Gallia, la gigantesca rotonda
alta tre piani, di cui oggi permane solo quello terreno.
Fig. 40 - L’abbazia di Digione ai tempi di Guglielmo da Volpiano (vista prospettica e sezione longitudinale).
Alcuni studiosi cercano di ridimensionare l’opera attuata da Guglielmo a San
Benigno, supponendo che egli non ricostruì del tutto la chiesa abbaziale carolingia, ma
sviluppò solamente gli spunti che essa offriva, sopraelevando la rotonda tradizionale che
prolungava verso oriente la chiesa basilicale. I testi della Chronique de Saint-Benigne di
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In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Digione prevengono questi giudizi e illuminano la personalità vera di Guglielmo, guida e
maestro di uomini, rilevando l’afflusso all’abbazia di personalità illustri, molte delle quali
dall’Italia. Da Milano, Ravenna, Pomposa si recavano da lui le migliori figure religiose del
tempo e sovente ritornavano in Italia con la sua approvazione per assumere cariche
importanti. Le competenze architettoniche dell’abate probabilmente derivavano
dall’influenza del territorio in cui si formò, ovvero la regione di Como, riserva inesauribile di
tagliapietre, muratori, impastatori di malta e stucco. A Digione l’opera dei capomastri
comacini fu determinante; i disegni pubblicati nel XVIII secolo da dom Plancher nella sua
Historie de Bourgogne permettono di constatare che modi comacini ispirarono l’elegante
galleria di nicchie a tutto sesto sulla parte esterna della rotonda, prima applicazione in
Borgogna di un’ornamentazione destinata, durante tutto l’XI secolo, ad avere gran favore.
Questa firma della manodopera basterebbe a far presumere la provenienza dei costruttori
della rotonda. Ma la Chronique de Saint-Benigne va molto oltre, attribuendo all’abate
Guglielmo una responsabilità tecnica diretta: mentre il vescovo Brun de Roucy garantiva
semplicemente la gestione finanziaria ed economica del cantiere, Guglielmo dirigeva le
squadre di operai e dettava il lavoro, assumendo il ruolo di capocantiere al vertice, per cui
agli architetti non restava altro che realizzare praticamente le sue ideazioni. E’ altrettanto
certo che egli garantì l’effettiva direzione del cantiere, compito che non presuppone
soltanto un’autorità sulle diverse categorie di tecnici, ma una vigilanza e un controllo
sufficientemente attenti ad evitare qualsiasi falsa manovra, scoprire difetti di fabbricazione
e prevenire incidenti o imprevisti.
Guglielmo però non ebbe il tempo e la possibilità di portare a termine il restauro
generale dell’abbazia. Al suo successore, l’abate Halinard, viene attribuita una splendida
sala con volte a crociera che forma, con le sue strutture rudi e massicce, un
impressionante contrasto con l’eleganza raffinata dei piani superiori. Elementi come la
muratura piccola in calcare, i robusti pilastri in muratura a sezione quadra o tonda, le
singolari imposte a triangolo rovescio per il passaggio dalla sezione circolare a quella
ortogonale, ricordano vagamente la chiesa di Chapaize recentemente restaurata.
L’incendio del 1137 divorò l’abbazia e il quartiere urbano che le si era sviluppato attorno;
gli abati misero mano ad un restauro che arricchì la chiesa di tre portali scolpiti. Il nuovo
edificio però ebbe vita breve in
quanto a partire dal 1280
l’abate Ugo d’Arc lo fece
radere al suolo e intraprese la
costruzione di un coro gotico.
La costruzione della navata
continuò durante il XIV secolo,
in uno stile più spoglio che
tradisce
probabilmente
carenze finanziarie ma non
privo
di
grandiosità.
In
particolare la statura esterna
non manca di slancio ed
equilibrio.
Con
la
Rivoluzione
l’abbazia fu secolarizzata e la
chiesa divenne Cattedrale nel
1792; ciò fece procedere
Fig. 41 – Una delle torri, eredità della ricostruzione del XIV secolo.
subito all’abbattimento della
rotonda, la quale, riscoperta tra il 1843 e il 1853 in occasione della realizzazione di una
nuova sacrestia, fu oggetto di un restauro radicale a cura dell’architetto digionese Suisse.
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In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Particolare commovente: proprio nell’anniversario della festa del Santo patrono rivennero
alla luce l’emiciclo della tomba e la vasca del sarcofago in arenaria.
11.3 Descrizione
Caratteristiche:
Lunghezza della basilica preromanica
Larghezza
64,00 m
26,00 m
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In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Diametro della cripta
Lunghezza dell’edicola orientale (oratorio di S. Maria)
Larghezza dell’oratorio
17,00 m
4,70 m
4,35 m
Dalla pianta si riconosce la similitudine con il Santo Sepolcro di Gerusalemme, con
quadriportico iniziale, cinque navate con abside e due percorsi concentrici. La struttura,
costruita sul modulo del quadrato, richiama la romanità riproponendo le proporzioni e
l’apertura sulla sommità della cupola che si ravvisano nel Pantheon.
Si penetra oggi nella cripta mediante una scala che si apre sul corridoio della
sacrestia. Vicinissima alla cripta, la bella e luminosa sala gotica dell’antico dormitorio ha
per basamento un’impressionante edificio sotterraneo, le cui enormi pilastrature e la
muratura evidenziano la prima arte romanica mediterranea che Guglielmo aveva
contribuito ad impiantare in Borgogna. Il dormitorio, oggi museo, raccoglie tre commoventi
vestigia (una testa di San Benigno e due portali scolpiti) della chiesa e degli edifici
ricostruiti a seguito dell’incendio del 1137.
La Chronique de Saint-Bénigne, redatta nell’XI secolo, contiene la descrizione del
complesso pressoché completamente demolito al momento della costruzione della chiesa
gotica: nel piano terra vi erano non meno di 104 colonne e quattro altari stavano attorno a
quello principale, eretto sulla tomba di San Benigno; al di sopra la chiesa, illuminata da 70
vetrate, annoverava 121 colonne, la maggior parte delle quali separavano la navata
centrale da quelle laterali coperte a doppia volta.
Una scala moderna dà accesso al braccio meridionale della chiesa bassa, coperto
da volta a crociera, i cui costoloni scaricano su colonne tonde. Lo stato di disfacimento in
cui versavano i resti della chiesa riesumata dai restauratori nel secolo scorso diede adito
ad una ricostruzione ex novo di murature, pilastri e capitelli senza la logica originaria.
Tra i bracci nord e sud si sviluppa l’emiciclo principale nel cui fondo, in una fossa
rettangolare incurvata verso ovest, si trova la pietra del venerato sarcofago.
Fig. 42 - Le rovine della cripta ad oggi.
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In Borgogna sulle tracce di Guglielmo
Quattro colonnine dai capitelli nudi, molto rimaneggiati, incorniciano questo vano e
sorreggono una volta a botte intersecata da volte trasverse. Altre sei colonne circolari
delimitano l’emiciclo, delineando un deambulatorio semicircolare che permette di venerare
la tomba e di passare da un braccio all’altro. E’ su di esso che si apre quanto resta della
famosa rotonda che Guglielmo da Volpiano fece costruire tra il 1001 e il 1016. Lo stato
attuale dei luoghi impoverisce e altera l’impressione fortissima che dovevano provare
pellegrini e fedeli quando contemplavano dinanzi a loro la foresta di pilastri disposti in tre
file concentriche, i tre piani sovrapposti e la colonna di luce che, cadendo dall’alto,
inondava il punto centrale e lambiva i fusti dalle tonalità avorio. La rotonda di Guglielmo
sviluppa un doppio deambulatorio anulare attorno ad un ottagono centrale delimitato da
otto colonne. Un secondo colonnato di sedici colonne separa il primo dal secondo
deambulatorio. Un terzo di ventiquattro semicolonne, i cui capitelli sono nuovi, è
addossato contro il muro esterno. L’autenticità delle volte è dubbia, mentre l’ottagono
centrale all’origine era aperto e creava un vuoto aspirato dall’alta cupola del piano
superiore. Una volta a botte ricopre il primo deambulatorio, mentre nel secondo volticelle a
crociera si frappongono agli scomparti voltati a botte.
Un’intenzione di natura mistica aveva determinato la divisione in tre piani della
rotonda: il piano terra era consacrato a San Giovanni Battista; il piano intermedio, cui si
accedeva da due torri scalari laterali, era dedicato alla Madonna e annoverava 68 colonne;
il terzo piano era dedicato alla Santissima Trinità, con 36 colonne.
Le cappelle di San Giovanni Battista e della Madonna constavano di un doppio
deambulatorio, quella della Trinità di un unico ambulacro anulare attorno al vuoto centrale.
Le tre arcate che delimitano l’accesso alla cripta sono sorrette da grosse colonne i
cui capitelli pongono alcune questioni. La prima di carattere iconografico: sembrerebbe di
riconoscere sulle quattro facce di un capitello il tetramorfo evangelico; sull’altro vi si
scorgono strane combinazioni di uomini seduti, mostri o demoni e protomi animali 30. La
seconda riguarda la composizione piena ed estremamente sovraccarica di trafori. Tali
caratteristiche rendono difficile una datazione di queste opere, barbare e allo stesso tempo
colte, prima dell’anno 1000. La loro fattura le accomunerebbe ad alcuni pezzi della tarda
scultura romanica che si riscontrano nel chiostro della collegiata di Sant’Orso ad Aosta,
oppure nella lunetta con il Cristo in maestà proveniente dall’abbazia e oggi conservata nel
museo archeologico della città.
Dalla rotonda si apre ad est una sala voltata a crociera, probabilmente uno dei resti
delle costruzioni carolinge, che immette in un oratorio rettangolare in cui sbocca un
corridoio a gomito ampiamente restaurato. Alcuni storici riconoscono in questo corridoio
una cappella dedicata alla Madre di Dio, risalente almeno al X secolo e descritta in un
testo del 938. La visita di questo incontestabile decano31 di tutte le chiese e cappelle
digionesi, normalmente non è consentita.
11.4 L’organo della Cattedrale
Il primo organo venne realizzato nella chiesa nel 1572 ad opera di François des
Oliviers. Nel 1632 Simon Duprey fu incaricato per la costruzione di un nuovo organo a 15
registri con 1 manuale e pedaliera. Nel 1740 i monaci decisero di costruire un nuovo
organo: la cassa venne eseguita in stile Luigi XIV dai falegnami e scultori digionesi Edme
e Gullaume Marlet, mentre l’organo venne realizzato da Karl Joseph Riepp.
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Testa animale in rilievo usata nell’arte antica come elemento decorativo.
Monumento o testimonianza che, in virtù della sua antichità, riveste un significato rilevante.
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Nel 1787 Jean Richard ricostruì lo strumento e nel 1860 Aristide Cavaillé-Coll
eseguì un rinnovamento esteso che portò all’inserimento di un principale 32’ sul
grand’organo. Nel 195 un’ampia ristrutturazione trasformò l’azione meccanica dello
strumento in elettro-pneumatica.
Dal 1987 al 1996 l’organo venne riportato al suo aspetto originario del XVII secolo
grazie al restauro condotto da Gerhard Schmid.
Lo strumento si presenta attualmente a 73 registri con 5 manuali e pedaliera.
Fig.43 - Il famoso organo settecentesco della Cattedrale.
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