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PREFAZIONE
Introduzione storica
Il barbiere di Siviglia è la prima opera buffa scritta da Rossini per
Roma, la capitale dello Stato Pontificio,1 dove fu tenuta a battesimo
nel Nobil Teatro di Torre Argentina il 20 febbraio 1816. 2 La Città
Eterna non fu la sede principale dell’attività di Rossini, sebbene già
la prima opera attribuita al compositore, Demetrio e Polibio (composta
tra il 1808 e il 1810) sia stata rappresentata a Roma al Teatro Valle
il 18 maggio 1812 (il compositore non fu direttamente coinvolto
nell’allestimento e non si sa con precisione quanto di quella musica
fosse effettivamente opera sua). In seguito, a Roma furono allestite
le riprese dell’Inganno felice (Teatro Valle, Carnevale 1813-1814), Tancredi (Teatro Apollo, 26 dicembre 1814) e L’Italiana in Algeri (Teatro
Valle, 14 gennaio 1815), quest’ultima con il titolo Il naufragio felice.
La prima opera commissionata a Rossini da un teatro romano fu
il dramma semiserio Torvaldo e Dorliska, rappresentato per la prima
volta al Teatro Valle3 il 26 dicembre 1815, nel corso della stessa
stagione di Carnevale in cui fu composto il Barbiere. L’anno dopo
fu la volta della Cenerentola al Teatro Valle (25 gennaio 1817) e nel
Carnevale seguente di Adelaide di Borgogna al Teatro Argentina (27
dicembre 1817); dopodiché Rossini non ricevette più altre commissioni da teatri romani fino a Matilde di Shabran (Teatro Apollo, 24
febbraio 1821).
La carriera di Rossini come compositore d’opera era in realtà già
iniziata con le cinque farse scritte per Venezia (1810–1812) e con il
successo della Pietra del paragone per La Scala di Milano (26 settembre
1812). Nel 1815 il compositore fu chiamato a Napoli, dove finì per
ricoprire il ruolo di direttore musicale dei teatri reali, e come prima
opera per il Teatro San Carlo compose Elisabetta, regina d’Inghilterra
(4 ottobre 1815). Le opere serie scritte per Napoli, Otello, Armida,
Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide, Ermione, La donna del lago, Maometto II
e Zelmira, rappresentano la maggior parte dei grandi lavori seri di
Rossini. Dopo Semiramide (Venezia, 3 febbraio 1823), l’ultima opera
scritta per l’Italia, Rossini si trasferì a Parigi. Qui, dopo Il viaggio a
Reims (19 giugno 1825), l’ultima opera in lingua italiana, il compositore iniziò a lavorare per l’Opéra, prima trasformando tre dei suoi
precedenti lavori italiani, Maometto II, Mosè in Egitto e Viaggio, in Le
Siège de Corinthe (9 ottobre 1826), Moïse (26 marzo 1827) e Le Comte
Ory (20 agosto 1828), e poi componendo il suo capolavoro, Guillaume Tell (3 agosto 1829).
Ma è il Barbiere, con il soggetto scelto all’ultimo minuto, i tempi
brevissimi di composizione e il fiasco della prima serata, è il Barbiere,
nato persino sotto altro nome, 4 che è stato ed è ancora nel repertorio
dell’opera italiana costantemente da 192 anni.
1 Per maggiori dettagli sul rapporto creativo di Rossini con la città di
Roma, si rimanda ad Annalisa Bini, «Rossini a Roma, ossia la comicità in trionfo», in Rossini 1792–1992: Mostra storico-documentaria, a cura
di Mauro Bucarelli (Perugia, 1992), 139–60. Si vedano inoltre i saggi
raccolti in occasione del Convegno di studi: Rossini a Roma – Rossini e Roma,
svoltosi a Roma il 26 marzo 1992 e pubblicati dalla Fondazione Marco
Besso (Roma, 1992).
2 Sulla questione della data della prima si tornerà più avanti nel corso di
questa Prefazione.
3 Francesco Sforza Cesarini, impresario del Teatro Argentina, dal 1809
fino al 1816 gestì anche il Teatro Valle, in società con Pietro Cartoni. Si
veda Enrico Celani, «Musica e musicisti in Roma (1750–1850)», Rivista
musicale italiana XVIII (1911), 1–63; XX (1913), 33–88; XXII (1915), 1–56,
257-300: in particolare XX (1913), 74-5. Negli anni in cui scrisse il suo
lavoro sulla musica a Roma, Enrico Celani era archivista della famiglia
Sforza Cesarini.
4 Il libretto della prima rappresentazione romana, stampato da Puccinelli,
Il Carnevale romano
A metà maggio 1815 Rossini scrisse al librettista milanese Angelo
Anelli, di cui aveva già messo in musica L’Italiana in Algeri (Venezia,
Teatro San Benedetto, 22 maggio 1813), informandolo di aver ricevuto una commissione da Roma per il Carnevale seguente e chiedendogli «un tuo libro buffo pieno di capriccio. . . . Se ne hai uno
vecchio accomodalo sono indiffere[nte] purché sia ridicolo». 5 L’8
giugno il compositore scrisse nuovamente al librettista lamentandosi di un libretto che il poeta pare gli avesse offerto. Rossini gli disse
di mettersi in contatto con l’impresario del Teatro Valle, annunciando la sua partenza per Napoli, 6 dove avrebbe sottoscritto il suo
primo impegno contrattuale con i teatri reali.
Nel corso del viaggio da Bologna a Napoli il compositore scrisse
alla madre due volte. La prima lettera, del 17 giugno, fu inviata da
Firenze: «Sono giunto felicemente costà dove tutto è originale e
bello. Non mancano che le care persone mie per esser felice. . . .
Scrivetemi a Roma per Napoli . . .».7 La seconda lettera, del 26 giugno, Rossini la inviò da Roma, dove aveva ricevuto un’accoglienza
calorosa:
Ho fatto un eccelente viaggio. Se vedeste che accoglienza ho in questo
paese restereste incantata. Il Cavalier Canova, il Principe N. N. Tutti
mi vogliono ed io sono stato da tutti e come buon sovrano li ho
felicitati. Le strade di Napoli sono garantite dal continuo passaggio
delle truppe in conseguenza arriverò là col mio baule. 8
Infine, il 27 giugno Rossini informò la madre: «Sono giunto felicemente in Napoli. Tutto è bello. Tutto mi sorprende».9 Una serie di
lettere inviate da Napoli dal compositore alla madre, Anna Guidarini, conferma che il compositore rimase in quella città per tutta
5
6
7
8
9
reca il titolo di Almaviva o sia L’inutile precauzione. Anche se i libretti stampati in occasione di due successive riprese romane (quello stampato da
Mordacchini per la ripresa al Teatro Valle del 3 novembre 1824 e l’altro
per la ripresa al Teatro Apollo il Carnevale 1826, stampato da Giunchi
e Mordacchini) riutilizzano il frontespizio di Puccinelli, tutti gli altri libretti, a cominciare da quello della prima ripresa conosciuta, a Bologna
nell’estate del 1816, utilizzano il titolo Il barbiere di Siviglia. Per uno studio
della storia editoriale dei libretti romani all’epoca del Barbiere, si veda
Daniela Macchione, «Strumenti della ricerca storica. Gli ‘altri’ libretti:
Il barbiere di Siviglia a Roma dopo il 1816», Rivista italiana di musicologia XLI
(2006), 261-71.
Gioachino Rossini, Lettere e documenti, a cura di Bruno Cagli e Sergio
Ragni (Pesaro, 1992–2004), 4 voll., I: 91–2. Lettere e documenti offre un’edizione critica dei testi rossiniani dove l’ortografia originale e l’uso delle maiuscole di Rossini sono preservati e gli interventi editoriali sulla
punteggiatura sono mantenuti al minimo e tutti indicati. In questa Prefazione, come nella sua versione inglese «Preface», nelle citazioni dai
documenti i segni d’interpunzione sono stati integrati laddove sia stato
necessario per una maggior chiarezza e gli errori di ortografia sono stati tacitamente corretti. Le citazioni attinte da Saverio Lamacchia, Il vero
Figaro o sia il falso factotum. Riesame del “Barbiere” di Rossini (Torino, 2008),
sono state già modernizzate, come lo stesso Lamacchia precisa a p. 3
del suo lavoro.
Lettere e documenti, I: 93–4.
Lettere e documenti, IIIa: 80–1: Rossini in un primo momento aveva pensato di partire per Napoli il 17 maggio ma poi rimandò la partenza,
forse a causa dell’instabilità politica a Napoli (si veda Lettere e documenti,
I: 90n). Dopo la sconfitta di Gioachino Murat, il re di Napoli insediato
da Napoleone, a Tolentino il 2–3 maggio 1815, Ferdinando IV ritornò
sul trono del Regno delle due Sicilie con il Trattato di Casalanza del 20
maggio.
Lettere e documenti, IIIa: 82.
Lettere e documenti, IIIa: 84.
XXXI
l’estate,10 alle prese con la preparazione della prima di Elisabetta, regina d’Inghilterra e delle riprese dell’Inganno felice e dell’Italiana in Algeri11
al Teatro dei Fiorentini in ottobre.
Rossini aveva programmato di andare a Roma ad assolvere il contratto per la stagione di Carnevale dopo queste rappresentazioni. Il
27 ottobre scrisse alla madre: «Scrivete a Roma mentre dopo domani parto. Domani sera va in scena L’Italiana in Algeri!».12 Partendo da
Napoli il 29 ottobre, come pianificato, egli sarebbe dovuto arrivare
a Roma presumibilmente il 30 ottobre o l’1 novembre al massimo.
Il 4 novembre scrisse alla madre:
Sono arrivato felicemente in Roma, ed’accolto secondo il solito: . . .
Sono qui bene alloggiato e lo sono perché in compagnia del mio caro
Zamboni il quale mi fa mille politezze, e vi saluta.13
Come si sa dalle lettere ad Anelli già menzionate, Rossini aveva un
contratto con il Teatro Valle per curare la ripresa del Turco in Italia
nella stagione d’autunno (7 novembre 1815), con il basso buffo Luigi Zamboni nel ruolo di Don Geronio, e per comporre una nuova
opera per l’apertura della stagione di Carnevale prevista per il 26
dicembre 1815, il dramma semiserio Torvaldo e Dorliska (il cui libretto
non fu scritto da Anelli, come Rossini aveva sperato nella primavera
precedente, ma dal poeta romano Cesare Sterbini).
Dalle numerose lettere alla madre si evince quanto Rossini sia
stato impegnato dal mese di novembre a tutto il gennaio seguente.
4 novembre:
Avrò presto il libro [di Torvaldo e Dorliska] e spero sicuramente di fare
il mio interesse.14
11 novembre:
L’altra sera andò qui in scena Il Turco in Italia ed ha fatto più furore
che L’Italiana in Algeri. Tutte le sere sono chiamato tre volte sul palco a
ricevere i comuni plausi. Questi Romani sono veramente fanatici.15
2 dicembre:
Io sto lavorando come una bestia; i miei compensi consistono nel aver
notizie vostre e di queste sono diversi giorni che ne sono privo.16
27 dicembre:
Ieri sera andò in scena la mia opera intitolata Torvaldo e Dorliska . . .
L’esito di questa fu buono . . . Il publico non ride perché l’opera è
sentimentale ma però applaudisce e questo basta. Ne scriverò un’altra
subito al Teatro d’Argentina: questa sarà buffa mentre il mio buon
amico Zamboni vi canterà e son sicuro d’un buon esito.17
17 gennaio 1816:
Sabato sera [13 gennaio] andò in scena L’Italiana in Algeri e al solito
fece piacere. . . . Io sono chiamato sul palco tutte le sere in tutti
due i teatri... A Valle nella sera stessa che si aprì Argentina andò in
iscena L’inganno felice il quale fa un fanatismo. Questo completa lo
spettacolo mentre il prim’atto dell’opera nuova [Torvaldo e Dorliska] fa
un immenso piacere e sempre più ma il secondo restava al dissotto
perché troppo serio ed’apoggiato alla donna che è zero.18
10 Le lettere datate 4, 18 e 25 luglio, 8, 23 e 30 agosto, 12 e 26 settembre
forniscono la cronaca di ciò che Rossini fece fino alla prima di Elisabetta,
regina d’Inghilterra. Si veda Lettere e documenti, IIIa: 85–97.
11 Per informazioni sui cambiamenti introdotti a Napoli nell’ultimo lavoro, inclusa l’aggiunta di un’aria per Isabella, «Sullo stil de’ viaggiatori»,
in sostituzione del rondò patriottico «Pensa alla patria», si veda L’Italiana
in Algeri, a cura di Azio Corghi, in Edizione critica delle opere di Gioachino
Rossini, Sezione prima, vol. 11 (Pesaro, 1981).
12 Lettere e documenti, IIIa: 104–5.
13 Lettere e documenti, IIIa: 106.
14 Ibid.
15 Lettere e documenti, IIIa: 108–9.
16 Lettere e documenti, IIIa: 111.
17 Lettere e documenti, IIIa: 113.
18 Lettere e documenti, IIIa: 115–6: dal resoconto di Rossini sembrerebbe che
al Teatro Valle L’inganno felice venisse rappresentato insieme al primo
atto di Torvaldo e Dorliska. La ‘prima donna’ criticata negativamente da
Rossini, la prima Dorliska, era Adelaide Sala.
XXXII
In quegli stessi mesi, il Duca Francesco Sforza Cesarini, proprietario
e impresario del Nobil Teatro di Torre Argentina, stava tentando
disperatamente di organizzare una stagione d’opera buffa nel suo
teatro.19 I teatri romani erano sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica e c’era naturalmente anche una Censura dei libretti. Del resto anche in altre città esistevano organi di vigilanza della proprietà
pubblica, con la differenza che a gestirli erano autorità civili e non
ecclesiastiche. A Roma le stagioni teatrali erano totalmente controllate dalla Chiesa che occupava un ruolo notevole nell’organizzazione: se il Papa si ammalava, ad esempio, i teatri restavano al buio. 20
Mentre il Teatro Valle manteneva un ciclo annuale di allestimenti
d’opere serie e comiche e di balletti, l’Argentina restava aperto soltanto durante il Carnevale, e il Vaticano non sempre concedeva
il permesso alla realizzazione di una stagione. 21 Per il Carnevale
1815–1816, il principale promotore dell’apertura dell’Argentina fu
il Segretario di Stato Cardinal Ercole Consalvi. 22 Apparentemente,
tuttavia, il permesso per l’apertura dell’Argentina non fu concesso
che il 10 novembre, come si evince da quanto scritto da Sforza Cesarini a Carlo Mauri, sostituto del Segretario di Stato:
Io non posso rinvenire ancora dalla mia sorpresa per il discorso
tenuto con l’Eccellentissimo Segretario di Stato sul proposito del
teatro. Tutt’altro mi sarei atteso [...] Io son penetrato e trafitto perché
mi vedo impossibilitato ad eseguire i comandi di S. E. mentre ai 10
di novembre anche i mediocri soggetti sono tutti apocati [cioè sotto
contratto]. S. E. stessa deve esser convinta di ciò, onde io veramente
sono rincresciutissimo perché non posso eseguire i comandi di S. E.
come vorrei, e mi dispiacerebbe ancora di far ridere il De Santis, il
quale con tutto l’agio ha potuto apocare uno, o due buffi buoni. 23
In quei mesi, Mauri fu il destinatario di numerose lettere di Sforza
Cesarini, sempre più angosciate, a iniziare da quella appena citata
per finire con quella del 24 gennaio 1816. Il Duca si sottopose a
una fatica immane per mettere insieme una stagione che sarebbe
cominciata in meno di sette settimane. Si ricorda che già a maggio
Rossini aveva scritto ad Anelli riguardo a un libretto per la successiva stagione di Carnevale al Teatro Valle e il 29 febbraio 1816, una
settimana dopo la prima del Barbiere, egli firmò un contratto con
Pietro Cartoni per comporre «tutto di nuovo uno spartito in musica
19 Si veda Lamacchia, Il vero Figaro. Prima del lavoro di Lamacchia, gli
studiosi (e tra questi anche i curatori di Lettere e documenti) conoscevano
la corrispondenza di Sforza Cesarini relativa alla stagione di Carnevale
che vide il concepimento e la nascita del Barbiere di Siviglia, attraverso le
trascrizioni della documentazione conservata negli archivi della famiglia Sforza Cesarini pubblicate da Enrico Celani («Musica e musicisti in
Roma»). Dal 1992, tuttavia, i documenti sono conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, dove Lamacchia ha potuto studiarli direttamente,
in particolar modo il Minutario, ovvero il copialettere, di Sforza Cesarini. Lo studioso italiano ha anche esaminato per la prima volta vari
documenti relativi al Teatro Argentina conservati nell’Archivio Segreto
Vaticano, come le lettere di Sforza Cesarini al Segretario di Stato Cardinal Ercole Consalvi. Servendosi di tale materiale, Lamacchia argomenta
la tesi che l’opera Almaviva o sia L’inutile precauzione, il titolo romano, fu
concepita come pezzo forte per il tenore Manuel García. Siamo profondamente grati allo studioso per aver messo a nostra disposizione una
copia in formato elettronico del suo lavoro prima della pubblicazione.
20 Lamacchia, 6.
21 Lamacchia (6) nota che nei primi anni dell’Ottocento, precedenti il 1815,
l’Argentina rimase chiuso negli anni 1800–1802 e 1806.
22 Lamacchia, 2–3. In qualità di Segretario di Stato, il Cardinal Consalvi
partecipò al Congresso di Vienna (settembre 1814-giugno 1815), ottenendone il ritorno dei confini del territorio dello Stato Pontificio alla situazione precedente la Rivoluzione francese. Catholic Encyclopedia, «Ercole
Consalvi», <www.newadvent.org>, consultato il 10 settembre 2008.
23 Lamacchia, 7. Sebbene Lamacchia (7n) faccia riferimento a De Santis
come all’«impresario del rivale Teatro Valle», l’esatta relazione tra De
Santis, Cartoni e Sforza Cesarini non è stata ancora stabilita. Il lavoro
di Martina Grempler sul Teatro Valle, di prossima pubblicazione, dovrebbe gettare luce sull’argomento.
buffo di due atti . . . che dovarà andare in scena per prima opera per
il prossimo futuro Carnevale 1816: in 1817 =, e precisamente nella
sera dell’apertura del teatro, che seguirà il di 26 dicembre corrente
anno». 24 Le lettere indirizzate a Mauri, insieme a quelle dirette e
ricevute dagli agenti Francesco Zappi di Bologna e Matthias Cecchi
di Firenze, documentano le ricerche compiute da Sforza Cesarini di
un programma, una compagnia e un’orchestra. Come si vedrà più
avanti, sembra che lo stesso Rossini abbia avuto un ruolo determinante nel fare della stagione un successo e non soltanto per aver
composto il Barbiere.
La stagione al Teatro Argentina
Diversamente dal Valle, il Nobil Teatro di Torre Argentina solitamente metteva in scena opera seria, ma ciò non era un obbligo. 25
Per il Carnevale 1815–1816, Sforza Cesarini iniziò a cercare sia opere serie che comiche. L’11 novembre inviò una stessa lettera sia a
Cecchi che a Zappi:
Ora che sento si aprirà forse un teatro di opera buffa per il venturo
carnevale nel teatro di Argentina […]. Ella dunque m’invii al più
presto possibile una nota de’ soggetti unitamente alle loro ristrette
pretese, quelli i quali si trovino in libertà e da poter disimpegnare
un’opera buffa con plauso nel prossimo carnevale 1815 in 1816 in
questa piazza di Roma. Si desidera una brava prima donna, un
tenore mezzo carattere, e due buffi, uno cioè buffo comico e l’altro
cantante; per altro le inculco di nuovo che siano soggetti da poter
disimpegnare dei spartiti di celebri maestri, e da fare un effetto
sicuro in questa piazza, sù di che le inculco di usare tutta la maggiore
attività e destrezza nel darmi le più sincere informazioni, dalle quali
dipenderà poi di decidersi d’aprire o no il Teatro di Argentina con
la detta opera buffa. Dipenderà dall’onestà delle pretese dei detti
soggetti se si aprirà o no detto teatro. 26
Le risposte non sono state reperite, ma Sforza Cesarini ne accennò il
contenuto nella lettera a Monsignor Mauri del 22 novembre:
Le risposte da me ricevute coll’ultimo ordinario sull’affare Teatro
confermano sempre più esser stato opportunissimo l’aver accettato,
previa l’approvazione del signor Cardinale Segretario di Stato,
l’offerta del corrispondente di Milano per un impresario . . . di opera
seria con balli per Argentina. 27
Lamacchia suggerisce che Sforza Cesarini stesse in realtà muovendosi su due fronti, da un lato insistendo con Cecchi che non era
interessato all’opera seria con balletti e dall’altro facendo credere a
Mauri di contare ancora su un impresario milanese che lo avrebbe
liberato dal fare il lavoro. 28 Ma il 5 dicembre il Duca confessò a
Mauri che quell’innominato impresario non era disponibile: «Intanto non può più pensarsi all’impresario di Milano, e l’impresa per
secondare i venerati comandi di S. E. resta a mio carico ne’ termini
già convenuti colla stessa E. S. della sola opera buffa nel Teatro
Argentina». 29
Nel frattempo Sforza Cesarini stava raccogliendo partiture d’opera (a nolo o in vendita) e iniziava a trattare con cantanti per una
stagione d’opera buffa. All’inizio di dicembre pensava di aprire con
Marco Tondo, o sia La cameriera astuta di Ferdinando Paini (rappresentata per la prima volta a Venezia, al Teatro San Moisè nella primavera 1814) e di chiudere con una ripresa dell’Italiana in Algeri; per
completare il programma, Rossini aveva accettato di comporre una
24 Lettere e documenti, I: 147. L’opera in questione sarebbe stata La Cenerentola,
che andò poi per la prima volta in scena come la seconda della stagione
di Carnevale, il 25 gennaio 1817.
25 Per ulteriori informazioni si veda Bianca Maria Antolini, «Musica e
teatro musicale a Roma negli anni della dominazione francese (1809–
1814)», Rivista italiana di musicologia XXXVIII (2003), 283–380.
26 Lamacchia, 9.
27 Lamacchia, 10. Il documento a cui fa cenno non è conservato.
28 Per ulteriori dettagli, si veda Lamacchia, 9–11.
29 Lamacchia, 11.
nuova opera buffa. È questo quanto si evince da una lettera del basso buffo Zamboni, già a Roma e scritturato da Sforza Cesarini, con
cui il cantante cercava di convincere la cognata, la celebre contralto
Elisabetta Gafforini, ad affrettarsi a raggiungere Roma a far parte
della compagnia dell’Argentina. Nella lettera Zamboni menziona
«le sei opere che avete date in nota a S. E.», 30 da cui si evince che era
già intercorsa qualche trattativa tra l’impresario e la cantante. Dal
momento che una copia della lettera si trova tra le carte di Sforza
Cesarini, Lamacchia crede possa esser stato il Duca almeno a suggerire a Zamboni di scrivere alla Gafforini, se non addirittura ad
avergli dettato la lettera, come insinuato da Celani. 31
Nell’Archivio di Stato di Roma sono conservate due copie di una
bozza del contratto inviato alla Gafforini quello stesso giorno. Si
tratta di un documento a stampa con molte annotazioni che elenca
assieme a Marco Tondo, o sia La cameriera astuta altre due opere: «un
altro vecchio o nuovo a scelta dell’impresario» e un’altra di cui è
lasciato in bianco il posto del titolo. Si stabiliva in più che se per
qualche ragione Marco Tondo non fosse andata in scena, la Gafforini
avrebbe potuto rimpiazzarla con una delle sei opere che gli aveva
già elencato. 32
La Gafforini non si impegnò, pur continuando a negoziare e ad
avanzare sempre maggiori richieste, tanto professionali quanto personali. 33 Il 4 dicembre, dopo che Zamboni ebbe inviato la sua lettera
alla cognata, Sforza Cesarini era ancora nell’incertezza; quel giorno
scrisse a Mauri che egli non poteva «garantire che la Gafforini poi
dopo tanta dilazione accetti il contratto», aggiungendo in un postscriptum: «Monsignore mio io sto in uno stato di violenza e di
angustia inesprimibile, per cui ne risente anche il mio fisico! Io non
mi son trovato mai in un impiccio simile». 34 Il 13 dicembre, mentre
ancora sperava di potersi assicurare la Gafforini, iniziò a prendere
in seria considerazione il suggerimento di Zappi di scritturare Geltrude Righetti-Giorgi, una giovane contralto ritiratasi dalle scene
dopo il recente matrimonio. 35
Oltre a una prima donna e a un «basso buffo cantante» (Zamboni), Sforza Cesarini aveva ancora bisogno di un tenore e di un altro
buffo, ma comico. Il 15 dicembre, quando ancora mancavano tre dei
quattro ruoli principali, Monsignor Mauri ricevette una lettera che
mostra quanto il Duca fosse profondamente stressato:
Scrivo dal letto. . . . Intanto io ancora sono privo del contratto
della Gafforini e del buffo. Milano, o sia il conte Somaglia mi ha
levato de Begnis, e ora Cavara, che ero quasi sicuro d’averlo, avendo
espressamente spedito Benucci in Firenze. Se io lunedì non ho il
contratto della donna e del buffo Ella prepari pure il passaporto
perché io vado via da Roma. Di grazia non se la prendino con me
(particolarmente S. E.) perché io mi ci ammalo dalla passione. Ho già
firmato più di duemila scudi di contratti, e questi resterebbero a mio
carico, onde Ella rifletta lo stato di violenza e di vera inquietezza che
mi agita lo spirito da tanti giorni a questa parte. 36
30 Lamacchia, 15. La lettera completa, attinta da Celani XXII (1915): 47–8, è
pubblicata anche in Lettere e documenti, I: 113–5. Celani non ne fornisce la
data, ma dal momento che nella ricostruzione cronologica il contenuto
del documento si inserisce tra una lettera del 28 novembre e un acceno
al 4 dicembre, in Lettere e documenti si ipotizza che sia stata scritta tra il 28
novembre e l’1 dicembre.
31 Lamacchia, 13, citando Celani XXII (1915), 47. Zamboni, usando cautela
con la cognata, utilizza espressioni come «Ho sentito» e «Sento che»,
senza rivelare la fonte delle informazioni.
32 Lamacchia, 15.
33 Tali richieste comprendevano: l’accordo che le vecchie opere che avrebbe dovuto cantare sarebbero state scelte tra quelle appositamente scritte
per lei, il diritto di approvare il libretto della nuova opera e l’alloggio
anche per la madre e due servi. Lamacchia, 18.
34 Lamacchia, 14.
35 Lamacchia, 16. È chiaro che Sforza Cesarini non conosceva la RighettiGiorgi, che Rossini invece conosceva dai tempi della scuola a Bologna
(si veda Lettere e documenti, I: 116n-117n).
36 Lamacchia, 18.
XXXIII
Il 20, Sforza Cesarini ricevette dalla Gafforini il contratto non
firmato, che il contralto aveva rifiutato perché le veniva concessa
soltanto una e non due delle sei opere che aveva originariamente
elencato all’impresario. Nel corso della settimana il Duca decise di
scritturare la Righetti-Giorgi, come Zappi gli stava insistentemente
consigliando, sottolineando che Rossini avrebbe potuto garantire
su abilità, aspetto e qualità vocale della cantante. Il 28 dicembre
l’impresario ricevette il contratto firmato dalla Righetti-Giorgi.
Sforza Cesarini volle comunicarlo egli stesso al Cardinal Consalvi
direttamente, piuttosto che attraverso Mauri, con le seguenti entusiastiche parole:
posso nel tempo stesso assicurare che la suddetta cantante, secondo
tutte le informazioni avute dalle piazze estere, e quello che me ne
han detto il maestro Rossini ed il buffo Zamboni, che ambedue la
conoscono di persona, è donna da piacere sì per la voce, sì per la
figura, sì per la maniera di cantare. 37
Dopo la prima dell’Italiana in Algeri Sforza Cesarini confidò a Mauri
che «la donna è piaciuta più di quel che mi credevo, ed ha un’eccellentissima voce di contralto». 38
Come secondo buffo il Duca aveva preso in considerazione Paolo
Rosich (che avrebbe cantato la parte di Bartolo a Firenze nell’autunno seguente), Andrea Verni (che avrebbe interpretato Bartolo nella
prima ripresa bolognese e l’anno seguente avrebbe creato la parte
di Don Magnifico nella Cenerentola), Giuseppe De Begnis (che aveva
cantato nel Turco in Italia al Teatro Valle nell’autunno precedente), e
Michele Cavara (Selim nel Turco in Italia a Firenze l’anno prima), per
poi soffermarsi su Bartolomeo Botticelli. La scelta fu confermata in
occasione della prima dell’Italiana in Algeri il 13 gennaio 1816, come
Sforza Cesarini riportò a Mauri:
Il buffo Botticelli si è salvato e nell’Introduzione è stato applaudito;
nel Duetto col tenore sono stati chiamati fuori; solo nel Quintetto
del 2o atto ha voluto forzare un poco troppo, ma tutti gli altri pezzi li
ha detti bene, oltre di che la figura e l’azione sono buonissime. Circa
questo soggetto bisogna contentarsi del mediocre, mentre né io, né
nessuno può trovar di meglio alla metà di dicembre. 39
Per il ruolo del tenore, in quelle settimane Sforza Cesarini era in
trattative con Giacomo Guglielmi, che tuttavia pretendeva «una
paga d’orrore, trattandosi di opera buffa, e più di quel che aveva
[Nicola] Tacchinardi; oltre di che vi è notizia che egli abbia perduta
la voce». 40 Scartato Guglielmi, il Duca si rivolse a Giuseppe Speck,
che, come Zamboni, aveva fatto parte del cast del Turco in Italia al
Valle. Il 16 dicembre Sforza Cesarini informò Zappi d’aver già scritturato Speck. 41 Tuttavia, sembrerebbe che tanto il Duca che Rossini
avessero iniziato le trattative per portare Manuel García a Roma. Il
tenore aveva creato il ruolo di Norfolk in Elisabetta, regina d’Inghilterra,
la prima opera di Rossini per Napoli nell’ottobre 1815, e sebbene il
cantante spagnolo avesse avuto dei problemi con l’impresario napoletano Domenico Barbaja a causa della sua ostinazione a non voler
partecipare alle prove, la sua magnifica voce conquistò Rossini.42
Anche se non vi sono testimonianze di precedenti comunicazioni
intercorse tra Sforza Cesarini e il tenore, il 20 dicembre l’impresario
scrisse a Mauri: «Ieri poi alle ore 23 dica a S. E. che credo d’aver
assicurato per le scene di Argentina uno de’ più bravi tenori d’Eu37
38
39
40
41
Lamacchia, 20.
Lamacchia, 23.
Lamacchia, 22–3.
Lamacchia, 16.
Lamacchia, 17. Da una lettera inviata da Sforza Cesarini a Mauri il 6
dicembre si apprende che Speck voleva lasciare Roma per alcuni giorni,
ma dal momento che si dovevano iniziare le prove immediatamente, il
Duca chiese al sostituto del Segretario di impedire che gli fosse rilasciato il passaporto.
42 Si vedano le comunicazioni di Barbaja a Giovanni Carafa, Duca di Noia
e sovrintendente dei teatri di Napoli, e quelle inviate dal Marchese
Donato Tommasi, Ministro dell’Interno, al Re Ferdinando in Lettere e
documenti, I: 102–3 e 105–6.
XXXIV
ropa». 43 Dunque il 19 il Duca deve aver ricevuto da Napoli la risposta di García a una lettera inviata, probabilmente tramite corriere,
almeno il 18 dicembre.
È possibile che sia stato lo stesso Rossini ad aprire le trattative.
Dal testo di una sua lettera a García del 22 dicembre si evince infatti
che si era già discusso dei lavori cui il cantante avrebbe dovuto
prender parte:
Ti mando le parti dell’Italiana in Algeri, opera scielta da me, perché
in essa vi potrai fare un’eccellente figura, tanto più che il corista di
Roma è basso e che essendo io costà potrò farti tutti quegli accomodi
che desidererai. Ti raccomando di partire il più presto possibile, acciò
si principi a provare, è inutile che ti faccia delle premure, sapendo
quanto sei zelante ed onesto. Vieni dunque che staremo allegri. 44
La minuta della lettera conservata nel copialettere, dettata da Sforza
Cesarini al suo minutante principale, è depennata e reca l’annotazione «non fu spedita». Un’altra lettera invece, il cui testo nel copialettere inizia sulla stessa pagina della precedente sebbene sia datata
26 dicembre, fu effettivamente inviata a García:
Eccoti le parti della prima opera. Questa è una parte nella quale
farai molta figura, tanto più che essendo la suddetta un poco
altina, abbiamo qui il vantaggio di avere il corista bassissimo. Ti
prego perdonarmi se non te l’ho mandate prima, ma tu sai che un
giovane maestro che deve andare in scena con un’opera nuova è
talmente distratto che può mancare anche cogli amici; spero bene
che io essendo nel piccol numero di questi, vorrai compatirmi, e così
disporti a partire più presto che puoi.
Insieme alla lettera c’è un elenco dei pezzi dell’Italiana in Algeri inviati al cantante:
Si mandò assicurata la lettera al tenore Garzia col piego delle
particelle seguenti: Cavatina – Pertichino dell’aria della Donna
– Duetto – Terzetto – Quintetto – Finale del 1o atto – Cavatina del 2 o
atto – Finale del 2 o atto. 45
Se pensiamo che il 26 dicembre fu anche la data della prima di Torvaldo e Dorliska, non si può che nutrire simpatia per il «giovane maestro» che aiutava Sforza Cesarini a fare della sua stagione di opera
buffa un successo in cui avrebbe dato vita a Il barbiere di Siviglia.
In quello stesso 26 dicembre 1815 Rossini firmò anche il contratto
che lo obbligava a comporre e mettere in scena «il secondo Dramma
Buffo che si rappresenterà nel futuro Carnevale sud.o nell’indicato
teatro a forma del libretto, che gli verrà dato dal sud. o Sig.r Impresario, o nuovo, o vecchio da darsi nei primi di Gennaro». 46 La
possibilità che Rossini componesse anche una nuova opera deve
esser stata discussa almeno il 13 dicembre, quando Sforza Cesarini
scrisse a Zappi (che gli aveva inviato le partiture della Cameriera
astuta, il manoscritto autografo, e della Pietra del paragone):
Ho ricevuto la sua del 6 corrente e resto bene inteso riguardo i
spartiti, tanto per il nolo quanto se volessi acquistare in proprietà
quello del Marco Tondo, di cui in seguito la renderò inteso. Non avrò
difficoltà per un egual prezzo darle qualcuno che possa avere io
43 Lamacchia, 19.
44 Lamacchia, 26.
45 Ibid. Si noti che la trascrizione di Celani, XXII (1915), 259–60, come
riprodotta in Lettere e documenti, I: 123, presenta alcuni errori. In una
comunicazione privata Lamacchia ha confermato che l’elenco è di mano
dello stesso minutante di questa come della maggior parte delle lettere
nel copialettere di Sforza Cesarini.
46 Il contratto, conservato nella Biblioteca Teatrale Livia Simoni, Museo
Teatrale alla Scala a Milano (CA 7552), è trascritto in Lettere e documenti,
I: 124–6, e nell’introduzione di Philip Gossett a Il barbiere di Siviglia:
facsimile dell’autografo (Roma, 1993), 60–1.
stesso, e forse ne avrei un buffo che farebbe deciso incontro perché
scritto da celebre maestro. 47
Dal contratto tra Sforza Cesarini e Rossini si apprende che:
1) La nuova opera di Rossini era ancora programmata come la seconda della stagione (invece, le rappresentazioni dell’Italiana in
Algeri iniziate il 13 gennaio, sarebbero state seguite da una sola
recita, il 4 febbraio, del Marco Tondo, o sia La cameriera astuta ritirata
poi dalle scene a favore di altre recite dell’Italiana 48).
2) Il libretto non era stato ancora scelto, anche se Cesarini si impegnava a consegnarne uno a Rossini ai primi di gennaio.
3) Rossini acconsentiva ad apportare qualsiasi modifica pretesa dai
cantanti, su richiesta dell’impresario.
4) Il compositore si impegnava a essere a Roma entro la fine di dicembre (naturalmente il compositore era già sul posto dai primi
di novembre), per completare il primo atto della nuova opera
entro il 16 gennaio 1816 («16» fu cancellato e sostituito con «20»),
iniziare le prove immediatamente e terminare il secondo atto in
tempo per mettere in scena l’opera non più tardi del 5 febbraio
(«circa» fu aggiunto successivamente). Si presume che le correzioni furono introdotte al momento della firma del contratto.
5) Come consuetudine, Rossini si impegnava anche a curare le prove
e dirigere le prime tre recite al cembalo.
6) Il compenso, da consegnarsi dopo la terza esecuzione, fu stabilito
in 400 scudi romani (poco più di quello di Botticelli, 340 scudi,
ma un terzo dei 1200 di García).
7) Per la durata del contratto il compositore fu fatto alloggiare nello
stesso stabile dove alloggiava anche Zamboni (e dove in realtà
abitava già).
Rossini in effetti fu la soluzione ai problemi di Sforza Cesarini: il
compositore alloggiava di già a Roma sotto contratto con il Teatro
Valle, avrebbe ricevuto paga modesta per il suo servizio e aveva
persino funto da agente assicurando la presenza di una star per la
nuova opera. Il Duca si era procurato una compagnia di cantanti
e, di fatto, tre opere. Restava da scegliere un libretto (o procurarsi
un poeta) per la nuova opera di Rossini, scritturare un’orchestra,
iniziare al più presto e portare a termine la stagione nonostante
il ritardo, dal momento che la stagione di Carnevale solitamente
iniziava il 26 dicembre.
Una soluzione era quella di aprire la stagione con L’Italiana in Algeri. Avendo ricevuto soltanto la partitura autografa della Cameriera
astuta all’incirca il 16 dicembre, 49 Cesarini doveva ancora far copiare
le parti per l’esecuzione. Il materiale esecutivo dell’Italiana in Algeri
invece doveva essere certamente già disponibile dal momento che
l’opera era stata rappresentata a Roma al Teatro Valle nel Carnevale
precedente. Questa potrebbe esser stata la motivazione della decisione di porre L’Italiana a inizio stagione e far slittare La cameriera
astuta.
Il Duca fece l’impossibile per mettere in scena L’Italiana in Algeri.
Il 9 gennaio (un martedì) espresse a Mauri la sua angoscia per aver
dovuto metter su un’opera in otto giorni (sperava di aprire la sera
successiva, il 10 gennaio50):
47 Lettere e documenti, I: 119, da Celani, XXII (1915), 50, riportato anche in
Gossett, 62–3. Per maggiori informazioni sulla questione di chi fosse il
legittimo proprietario del manoscritto, se l’autore o l’impresario, e sulle
sorti dell’autografo del Barbiere, si veda Gossett, in particolare 61–3 e
82–5.
48 Lamacchia, 31–2. L’Italiana in Algeri ebbe complessivamente trentuno
recite mentre sette furono quelle del Barbiere, essendo andato in scena
quasi a fine stagione (la Quaresima di quell’anno, bisestile, iniziò il 28
febbraio 1816).
49 Celani, XXII (1915), 53.
50 Si è comunemente supposto (si veda Lettere e documeni, I: 130n) che il
riferimento fosse al mercoledì successivo, 17 gennaio, cosa che non
avrebbe avuto assolutamente senso dal momento che nella lettera già si
parla di prove e dell’esecuzione.
Io faccio una vita da fare il sangue dalla bocca, perché tento quasi
un impossibile ed è una vita tale che non la farò più in vita mia. S.
E. capirà bene cosa vuol dire porre sù una musica di due atti in otto
giorni. Sono cose che non si comprendono se non che da chi sta
dentro, e la prima sera non si calcolano dagl’indiscreti di cui n’è piena
Roma. Io pongo il coltello alla gola a tutti per andare sù mercoledì.
Io sono veramente angustiatissimo. Devo parlare con Lei, ma a solo,
e di massima urgenza, ma io non posso venire. Conviene che Ella
faccia il miracolo di Maometto. Io sono indiscreto, lo capisco, ma si
carichi la prego delle mie circostanze. Ella mi manifesta il desiderio
di tutto il mondo ecc. Non vorrei che tutto il mondo si fosse posto
in capo che in quest’anno dassi di volta al cervello, cosa che io non
me la sento di fare. Ciò che è sicuro che il dover fare le cose in questo
modo, prove, scene, decorazioni, e tutto sul tamburo, è cosa che non
mi piace, ed il risultato sarà d’andar sù indigesti, con gl’attori tutti
sfiatati, e se l’opera va sù, che si resta o a mezz’aria, o si fa fiasco tutti
urlano contro di me... Ah! monsignore mio non è questo il modo di
far l’Impresa! Questo biglietto l’ho incominciato ieri e finito oggi.
Ier sera dopo essermi straziato tutto il giorno, sono stato da un’ora
di notte fino alle cinque per provare ed appurare tutto il primo atto
[dell’Italiana in Algeri] 51 colla direzione del Maestro Rossini, che è
l’autore dell’opera, e lo star sopra un teatro in questa razza di freddi
pare di stare al Monsenì, 52 onde Rossini, la prima donna, il tenore e
tutti non facevano che tremare tutti quanti, e ci siamo intirizziti in
modo che io sono tornato a casa che sono stato più di un’ora senza
potermi riscaldare. 53
Unendo gli sforzi di tutti, sabato 13 gennaio finalmente si cominciò;
il giorno seguente il Duca espresse a Mauri la sua relativa soddisfazione, facendo qualche commento sui cantanti e aggiungendo:
Circa lo scenario e il vestiario ed il modo con cui è illuminato il
palco scenico non sta bene a me di dirlo, io solo so cosa mi ci sono
impazzito, e cosa mi costa, e potrà domandarlo per Roma! Io sono
stato malissimo questa notte fino a 11 ore per essermi veramente
ammazzato ieri sera col boccone in bocca, e per la peste di muschio
che sentii necessariamente varie volte ieri sera. Tutta questa mattina
mi son dovuto sfiatare col poeta per il nuovo libro da scriversi da
Rossini, mentre si sta arretrati senza mia colpa, ed io caro amico
sono stufo di fare una vita simile, che non lo comporta la mia salute
e che mi toglie agl’affari, agli amici, alla mia famiglia. Sono oramai
vecchio, stufo del mondo e non devo pensare che a fare una vita
tranquilla [aveva 44 anni]. Dia queste nuove a S. E., unitamente
agl’atti del mio rispetto. Si è dovuto superare ieri sera un partitaccio
terribile che era del Teatro Valle, che non faceva altro che procurare
di far star zitti tutti quelli che volevano applaudire. Se ne accorse fino
mia moglie nel palco mentre a me non è passato neppur per la testa
di mandar delle persone a far partito contrario al Teatro Valle. Roma
santa e popolo ecc. 54 Nonostante il Maestro dovette sortir fuori dopo
calato il sipario nel 1o atto chiamato dagl’applausi dei spettatori. 55
Il malore di Sforza Cesarini il 14 gennaio era in parte anche dovuto
alla discussione avuta quella mattina con il poeta incaricato di scrivere il nuovo libretto per Rossini. La scelta del Duca era ricaduta su
Jacopo Ferretti, un noto poeta romano, che l’anno seguente avrebbe
scritto La Cenerentola. A metà gennaio, tuttavia, il libretto di Ferretti
51 Anche se Sforza Cesarini scrisse «da un’ora di notte fino alle cinque»,
certamente si riferiva a un sistema orario in cui il giorno iniziava al tramonto (approssimativamente le 18:00). Si veda Eleanor Selfridge-Field,
Song and Season: Science, Culture, and Theatrical Time in Early Modern Venice
(Stanford, 2007).
52 Il Monte Cenisio fa parte delle Alpi Cozie, al confine tra la Francia e
l’Italia.
53 Lamacchia, 22.
54 Sforza Cesarini cita qui la prima parte del proverbio licenzioso «Roma
santa e popolo cornuto», conosciuto anche nella variante «A Roma stanno bene santi e puttane». Si veda Antonio Tiraboschi, Raccolta di proverbi
bergamaschi (Bergamo, 1875), 119.
55 Lamacchia, 23.
XXXV
fu respinto. Secondo quanto affermato dalla prima Rosina, Geltrude Righetti-Giorgi, nel 1823 (in risposta a un articolo di Stendhal
apparso su un giornale inglese), il libretto di Ferretti fu rifiutato
perché al Duca non piacque il soggetto:
Il cosidetto Abate Gentilezza che aveva suggerito a Sterbini di
dirigere il reclamo a Ratti aveva spesso funto da agente anche per
Sforza Cesarini. In una lettera del 12 novembre 1815 a Gaetano
Gioia, 59 Sforza Cesarini scrisse:
Il poeta Ferretti fu incaricato di comporre un libro pel Teatro
Argentina, la cui parte principale fosse pel Tenore Garzia. Ferretti
presentò l’argomento di un’Ufficiale innamorato di una Ostessa, e
contrariato ne’ suoi primi amori da un Curiale. Parve all’impresario,
che l’argomento fosse alquanto vile, e lasciato Ferretti si andò
in traccia dell’altro poeta Sig. Sterbini. Questi ch’era stato poco
fortunato nel Torvaldo e Dorliska, volle un’altra volta sfidare la sorte.
Si concertò con Rossini l’argomento del nuovo libro, e fu scelto di
comune accordo Il barbiere di Siviglia. 56
Gentilezza è Gentilezza, oltre l’essere pigro all’eccesso è uno che ha
delle qualità, che non mi piacciono, e se si è condotto bene con me in
tante occasioni nelle cose di suo dipartimento, ciò è accaduto perché
come suol dirsi gli stavo sempre col coltello alla gola e sapeva, che
avevo le braccia lunghe. . . . Ho dovuto levargli di mano dei spartiti
di musica, se ho voluto mandarli al propretario Zappi, altrimenti se
li sarebbe tenuti per dieci anni almeno. 60
Nessun documento indica con precisione quando avvenne il cambio
di librettista, ma le date di tutti i successivi documenti in cui compare il nome di Sterbini rendono plausibile l’ipotesi che la discussione avuta da Cesarini il 14 gennaio con «il poeta» fosse un ultimo
tentativo di negoziare con Ferretti. Cosa possa esser accaduto dopo
quella mattina è lo stesso Sterbini a raccontarlo nella lettera scritta il 26 febbraio 1816 a Nicola Ratti, subentrato alla direzione del
Teatro Argentina dopo la morte improvvisa di Sforza Cesarini il 16
febbraio. La gestazione del Barbiere di Siviglia fu talmente rapida che
Sterbini non ebbe neanche un contratto formale e aspettò fino alla
prima dell’opera per mettere in chiaro la faccenda del compenso:
Il sig. Abate Gentilezza m’indirizza a lei per ottenere il decisivo di lei
parere sulla somma da pagarmisi in compenso del dramma da me
scritto per le scene del teatro Argentina.
Pregato dal defunto Sig. Duca ad accettare contro mia voglia
questo incarico e pressato dal maestro Rossini, lo accettai sebbene
di mal animo, e nulla combinai sul prezzo del medesimo, sì perché
sono alquanto superiore ad ogni idea di venalità, sì perché imposi
costantemente al Duca che egli stesso a lavoro compiuto avrebbe
deciso del premio, che non doveva poi essere minore di quello stabilito
pel sig. Ferretti al lavoro del quale doveva succedere il mio, e che non
aveva avuto l’obbligo di occuparsene a tutta furia giorno e notte per
darlo in termine di 12 giorni come io ho puntualmente eseguito. Non
credevo io, e dico la verità, che dopo tante fatiche, dopo il carico che
mi sono dato oltre ogni dovere e oltre la sfera delle mie attribuzioni
perché il tutto andasse in piena regola e colla maggiore sollecitudine,
si venisse poi per un vilissimo interesse ad aggiungere nuovi disgusti
a quelli rilevantissimi che ho dovuti incontrare per parte d’un’udienza
mercenaria e indiscreta. 57 Ma giacché la mia sorte ha voluto così, così
sia. Io però incarico il mio padre latore della presente a combinare il
tutto con Lei che avrà le idee della giustizia e della ragionevolezza,
e non vorrà addossarmi il disonore di uno svantaggioso confronto
con il poeta teatrale che mi doveva precedere, e il cui servizio non fu
gradito, sebbene senza di lui colpa. 58
Dunque è probabile che subito dopo la mattina del 14 gennaio,
Sforza Cesarini abbia implorato il poeta Cesare Sterbini ad accettare la commissione in qualche modo replicando alle proteste del
poeta sulla mancanza di tempo e cedendo alle insistenti richieste di
un compenso maggiore di quello previsto per Ferretti.
56 Cenni di una donna già cantante sopra il maestro Rossini in risposta a ciò che ne
scrisse nella [e]state dell’anno 1822 il giornalista inglese in Parigi e fu riportato
in una gazzetta di Milano dello stesso anno (Bologna, 1823), 30–1; il testo è
ristampato in Luigi Rognoni, Rossini (Bologna, 1956, con edizioni successive), 293.
57 Sterbini si riferisce naturalmente ai sostenitori del rivale Teatro Valle,
che fecero del loro meglio per disturbare la prima del Barbiere di Siviglia,
come avevano fatto per la prima dell’Italiana in Algeri. Si veda Lettere e
documenti, I: 146n. Per ulteriori dettagli sulla prima del Barbiere di Siviglia,
si veda sotto.
58 Lamacchia, 24n. Non essendo stato ritrovato l’originale nel fondo Sforza-Cesarini dell’Archivio di Stato, la fonte del documento resta Celani,
XXII (1915), 270. Il testo è riportato anche in Lettere e documenti, I: 145–6.
XXXVI
L’accusa giunse a Gentilezza che il 14 novembre scrisse a Ratti,
protestando di aver restituito le partiture a Zappi già quattro mesi
prima e lamentandosi del trattamento che aveva ricevuto nonostante quanto avesse fatto per il Duca:
per il duca andai in pellegrinaggio verso Napoli, Firenze, Bologna
e Firenze. Strapazzo, dissesto dei miei affari, lucri perduti furono
le conseguenze dei miei sudori. . . . Bramo solo di non sentire più
nominare teatro: e sarò sempre pronto ai suoi comandi e a quelli del
sig. duca sempre però in occorrenze estranee al teatro. 61
Il 17 gennaio, nonostante la decisione presa soltanto due mesi prima
di non aiutare più Sforza Cesarini in affari riguardanti il teatro,
Gentilezza a quanto sembra si sedette con Sterbini a stilare un progetto di sceneggiatura per il libretto del Barbiere di Siviglia, indubbiamente dettato dal poeta, aggiungendo in calce al documento un
breve contratto da far firmare a Sterbini. 62 Il documento è riprodotto come il primo facsimile nel presente volume.
La dichiarazione di Sterbini è il primo documento che attesti la
derivazione del soggetto direttamente dalla commedia di PierreAugustin Caron de Beaumarchais, Le Barbier de Séville, scritta nel
1772 e rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1775. Secondo
la Righetti-Giorgi, «si concertò con Rossini l’argomento del nuovo
libro, e fu scelto di comune accordo Il barbiere di Siviglia». 63 Il succinto
pseudocontratto descriveva l’incarico in modo essenziale, a parole
semplici, e stabiliva i tempi di consegna di ciascun atto. Evidentemente Sforza Cesarini era più interessato a garantirsi l’impegno di
Sterbini e avere una sceneggiatura scritta:
Io infr[ascritt]o prometto e mi obligo di adattare il libretto del Barbiere
di Siviglia come sopra; di dar terminato il primo atto dentro otto
giorni, ed il secondo dentro quindici [sostituito con «dodici»] giorni
dalla data del presente, come ancora di assistere il Maestro, ed alle
prove per mettere in scena, ed occorrendo fare qualche cambiamento
[aggiunto da altra mano:] e di renderlo teatrale al maggior segno.
Roma 17. Genn. 1816 = [firmato] C. Sterbini
Impegnatosi dunque a consegnare entro il 25 gennaio l’Atto I ed entro il 29 gennaio l’Atto II, per portare a termine l’incarico Sterbini,
come disse a Ratti, dovette lavorare giorno e notte.
Il disegno dell’opera come nel documento firmato da Sterbini il
17 gennaio è molto vicino a quello definitivo. Non si fa cenno a una
Sinfonia, che del resto non riguardava il librettista. Il titolo «Intro59 Gioia era un noto coreografo: «Nel 1812 fondò, assieme al Duca [Sforza] Cesarini e altri due membri, una società per la gestione dei Teatri
Municipali di Roma. Dopo pochissimo tempo cedette la sua quota a
Pietro Cartoni». Si veda Lettere e documenti, I: 44n.
60 Celani, XXII (1915), 43.
61 Celani, XXII (1915), 44.
62 Saverio Lamacchia ha riconosciuto la calligrafia di Gentilezza nella
mano principale del documento del 17 gennaio (comunicazione privata,
15 settembre 2008). Il documento, per lungo tempo conosciuto soltanto
attraverso la trascrizione fattane da Celani, è emerso dal mercato antiquario nella primavera 2007, nel Catalogo n. 55 (lotto 93) dell’antiquario
musicale inglese Lisa Cox, ed è stato acquistato dalla Pierpont Morgan
Library insieme a un elenco di Numeri musicali di mano di Sterbini di
cui non si sospettava nemmeno l’esistenza.
63 Righetti-Giorgi, 31; ristampato in Rognoni, 293.
duzione» prima di «Scena I» fu inserito dalla stessa persona, non
identificata, che aggiunse le correzioni al contratto, probabilmente
per chiarire che la Scena I come descritta nella sceneggiatura in
effetti corrispondeva all’Introduzione. Sembra che Sterbini avesse previsto la grande, quanto complessa, scena iniziale e qualcuno
(forse Sforza Cesarini?) potrebbe essersi preoccupato per quello che
sarebbe stato considerato un inizio alquanto atipico. Nell’elenco dei
Numeri del Barbiere compilato da Sterbini successivamente, plausibilmente quando il librettista e Rossini avevano chiarito i loro
progetti, il poeta scrisse «Introduzione» a sinistra nella colonna dei
pezzi. La seguente tabella mette a confronto lo scenario del 17 gennaio, il successivo elenco dei Numeri, non datato, e la struttura
definitiva dell’opera:
Dichiarazione
di Sterbini
=Atto P[ri]mo=
Elenco
dei Numeri
di Sterbini
Atto 1o
Atto I
Introduz.e —
Cavatina Tenore
N. 1 Introduzione [con
Serenata]
— Cavatina
Figaro
N. 2 Cavatina Figaro
— Canzonetta
Tenore
N. 3 Canzone Conte
— Duetto
Tenore e
Figaro
— Cavatina 1.a
donna
— Aria Basilio
— Duetto
Donna e
Figaro
— Aria Botticelli [Bartolo]
— Finale
N. 4 Duetto Conte –
Figaro
[N. 1] Scena I.=
[aggiunto da altra
mano:] Introduzione
[Gentilezza:] Tenore
Serenata e Cavatina con
cori, e introduzione
[N. 2] Scena II. Cavatina
Figaro. Duetto di Carattere
[N. 3] Cavatina del
Tenore
[N. 5] Altra della Donna
[N. 7] Duetto Donna,
e Figaro = di Scena =
Figaro spiega alla Donna
l’amore del Conte
[N. 4] Gran duetto tra
Figaro ed il Conte
[N. 6] Aria Vitarelli [Basilio]
[N. 8] Aria Tutore con
Pertichino
[N. 9] Finale di gran Scena, e giocato assai
=Atto Secondo=
Atto 2.
[Nn. 10 e 11] Tenore
travestito da Maestro di
Musica dà lezione alla
Donna, e qui cade l’aria
della medesima parimenti di scena
[N. 14] Aria S[econ]da
Donna
[N. 13] Quartetto.
Soggetto del quartetto.
Figaro preparato a far
la barba al Tutore, in
questo mentre intanto
amoreggia il Conte con
la Donna. Il Tutore si
crede ammalato, e si fa
partire
[N. 16] Terzetto Figaro,
Donna, e Tenore
[N. 17] Grand’aria del
Tenore
[N. 18] Finaletto
Barbiere (edizione)
o
N. 5 Cavatina Rosina
N. 6 Aria Basilio
N. 7 Duetto Rosina –
Figaro
N. 8 Aria Bartolo
N. 9 Finale Primo
Atto II
— Duetto Te- N. 10 Duetto Conte –
Bartolo
nore e Botticelli
— Aria Donna N. 11 Aria Rosina
N. 12 Arietta Bartolo
— Quintetto
— Aria 2.a
donna
— Temporale
— Terzetto
N. 13 Quintetto
N. 14 Aria Berta
N. 15 Temporale
N. 16 Terzetto
— Aria Tenore N. 17 Aria Conte
— Finale
N. 18 Finaletto Secondo
A parte qualche modifica nella posizione dei Numeri, le maggiori
differenze riguardano l’Atto II, probabilmente ancora non del tutto
progettato il 17 gennaio: nello scenario originario manca il duetto
del Conte e Bartolo ad apertura dell’atto; non si fa menzione dell’Arietta di Bartolo nella lezione di musica; al posto del Quintetto
c’è un Quartetto 64 e anche il Temporale risulta inserito soltanto nel
secondo documento.
La composizione dell’opera
Come ha potuto Rossini comporre e provare il Barbiere in così poco
tempo? I tempi proposti dal contratto, in tutto un mese scarso dai
primi di gennaio, quando avrebbe dovuto ricevere il libretto, al 5
febbraio, la data scelta in un primo momento per la prima rappresentazione, erano eccezionalmente brevi? La prima dell’Occasione fa
il ladro, il 24 novembre 1812, era stata seguita due mesi dopo dal
Signor Bruschino, il 27 gennaio 1813, e ad appena dieci giorni da
quest’ultima opera fu rappresentata per la prima volta Tancredi, il
6 febbraio 1813: due mesi e mezzo per scrivere e mettere in scena
due opere.
Da testimonianze relative alla composizione della Pietra del paragone (Milano, 26 settembre 1812), avvalorate da quanto si legge nel
contratto di Sterbini e nella richiesta di pagamento, si apprende
che il librettista e il compositore lavoravano simultaneamente e che
Rossini metteva in musica le porzioni di testo che man mano il
librettista gli inviava. 65 Si tenga presente, inoltre, che Rossini non
componeva i singoli numeri necessariamente in ordine. La massima urgenza spettava alla musica per i cantanti, dal momento che
dovevano imparare le loro parti. Le particelle comprendevano la
sola linea vocale, la linea del basso e occasionalmente le battute
d’ingresso di una parte strumentale importante o il testo di un altro cantante. Il metodo compositivo di Rossini ben rispondeva a
quest’esigenza: il compositore innanzitutto redigeva una partitura
scheletro, che consisteva nella linea del basso, le parti vocali e il primo violino o altra parte melodica prominente, di modo che le parti
dei cantanti potessero esser copiate anche prima che il numero fosse
orchestrato. In seguito i pezzi completamente orchestrati erano consegnati ai copisti che ne cavavano le parti strumentali. È importante
distinguere i pezzi ‘composti’ da quelli completamente orchestrati.
Nel caso della Pietra del paragone, dieci giorni prima del debutto, dieci
numeri o larghe porzioni di essi dovevano ancora essere orchestrati
o addirittura ‘composti’, ma la maggior parte dei numeri dell’Atto
I, compresi tutti i concertati tranne quello per la sezione iniziale del
Finale, erano stati composti e per lo più orchestrati; anche nell’Atto
II i concertati erano stati composti e tutti orchestrati ad eccezione
del Quintetto. Restavano ancora da comporre quattro arie, per il
compositore più semplici degli insiemi, ma per quattro differenti
solisti66 cosicché non fu lasciato nessun cantante con una grande
quantità di musica da imparare. Sfortunatamente non abbiamo nessun documento che fornisca lo stesso tipo di dettagli sulla composizione del Barbiere di Siviglia.
Da un documento di mano di Camillo Angelini, il maestro al cembalo e maestro di coro del Teatro Argentina, si apprende che Rossini
consegnò il primo atto dell’opera il 6 febbraio; c’è ragione di credere
in forma di partitura scheletro. Secondo Celani:
Il 6 febbraio Camillo Angelini dichiarava di avere ricevuto il primo
atto dell’opera Il barbiere di Siviglia obbligandosi di far cavare tutte
64 Nella partitura, alla fine del recitativo che precede il Quintetto, anche
il compositore del recitativo scrisse «Segue Quartetto». Tuttavia, si noti
che nell’elenco autografo di Sterbini, il titolo è già «Quintetto».
65 Lettere e documenti, I: 34–41, in particolare 38–40. Si veda anche Patricia B. Brauner, «Feverish Composition: Writing La pietra del paragone»
(2006), consultabile on-line nel website del Center for Italian Opera Studies: <http://humanities.uchicago.edu/orgs/ciao/Introductory/Essays_
from_ CIAO/Feverish composition.html>.
66 Macrobio (N. 8), Giocondo (N. 13), Fulvia (N. 15) e Conte Asdrubale
(N. 18).
XXXVII
le particelle del medesimo per distribuirsi l’introduzione «questa
sera», tutto il restante «domani mattina 7». Lo stesso si obbligava
per il secondo atto e per tutte le parti di orchestra «per tenere a
dovere il copista [Giovanni Battista] Cencetti e rimediare alla sua
infingardaggine, attesa l’angustiosa circostanza in cui si trova
l’impresa per porre in scena la suddetta musica». 67
Angelini, facendo inoltre riferimento ai «giovani di Cencetti» [i
commessi della copisteria di Cencetti] si impegnò ad assumere più
assistenti o anche un altro copista esperto a spese di Cencetti nel caso
ce ne fosse stato bisogno, offrendo così un quadro dell’organizzazione della bottega. 68 Allo stesso modo, Angelini si assunse la responsabilità anche della cavatura delle parti vocali del secondo atto e della
preparazione delle parti strumentali. Non si sa quando Rossini abbia
consegnato il manoscritto autografo del secondo atto ad Angelini, né
dunque quanto tempo fu necessario al compositore per completare
l’orchestrazione dell’opera. Il fatto che Il barbiere di Siviglia debuttasse il
20 febbraio, 69 tuttavia, suggerisce che il lavoro non fu portato avanti
con comodo. Ecco un riepilogo delle date più importanti:
17 gennaio: si stabiliscono il soggetto, Il barbiere di Siviglia, e il librettista, Cesare Sterbini.
25 gennaio: Sterbini si impegna a consegnare il libretto dell’Atto I
entro questa data.
29 gennaio: Sterbini si impegna a consegnare il libretto dell’Atto II
entro questa data.
6 febbraio: Rossini completa il primo atto, probabilmente in forma di
partitura scheletro.
7 febbraio: iniziano le prove.
16 febbraio: Sforza Cesarini muore improvvisamente durante la notte.
20 febbraio: la prima del Barbiere di Siviglia.
Non fu poi un’impresa così straordinaria come talvolta è stata descritta. I compositori di opera italiana nella prima metà dell’Ottocento spesso non impiegavano più di un mese per scrivere e allestire
un’opera, tant’è che l’originario accordo contrattuale di Rossini con
il teatro, anche se stipulato piuttosto in ritardo, stabiliva un programma essenzialmente identico a questo.
67 Celani, XXII (1915), 261.
68 I manoscritti copiati nella copisteria di Cencetti, rivestono dunque
un’importanza particolare per quest’opera. Si tratta di un manoscritto
completo in due volumi conservato a Parma, Biblioteca Palatina, Borb.
3089, e soprattutto di un manoscritto del solo primo atto oggi alla
New York Public Library, *ZBT-77. Quest’ultimo reca l’annotazione «In
Roma Nell’Archivio di Gio. Batt. Cencetti Posto al Teatro Valle Via
Canestrari N.o 8» e «In Roma Nel Carnevale / Nel Teatro Argentina».
Numerosi dettagli presenti nella copia di New York suggeriscono che si
tratta di un manoscritto redatto molto presto nella storia dell’opera. Per
ulteriori informazioni, si veda la sezione relativa alle fonti, «Sources»,
del Commento Critico.
69 La data della rappresentazione è fornita da tre fonti. Celani, XXII (1915),
266, riporta dal diario del Principe Agostino Chigi (in I-Rvat) l’annotazione del 21 febbraio: «Ieri sera andò in scena ad Argentina una nuova
burletta del Maestro Rossini intitolata il ‘Barbiere di Siviglia’ con esito
infelice». Il diario del Conte Gallo (Lamacchia, 40, citando Bruno Cagli,
«Amore e fede eterna», in Il barbiere di Siviglia, programma di sala, Pesaro,
Rossini Opera Festival 2005, p. 61n) concorda: «20 febbraio 1816, opera
nuova di Rossini fischiata all’Argentina, intitolata il Barbiere di Siviglia».
Entrambe le fonti datano la prima al 20 febbraio. Nella lettera alla madre del 22 febbraio tuttavia, Rossini scrisse: «Ieri sera andò in scena la
mia opera . . .» Lettere e documenti, IIIa: 119; stando alla data della lettera e
a quel «ieri sera» la prima allora sarebbe andata in scena il 21 febbraio.
La possibilità che Rossini si fosse sbagliato non è prova inimpugnabile.
Ancora, fa notare Lamacchia (40) che «la data del 21 implicherebbe 7
recite consecutive fino al 27, senza neanche un giorno di riposo per i
cantanti, le cui condizioni vocali si possono facilmente immaginare,
dopo 32 recite compiute dal 13 gennaio al 19 febbraio. Tra l’altro, per
non pochi giorni, alle fatiche delle recite serali dell’Italiana in Algeri (e,
per una sola sera, della Cameriera astuta) si saranno aggiunte quelle delle
prove della Cameriera astuta e poi di Almaviva». WGR accetta la data del
20 febbraio 1816.
XXXVIII
Era prassi comune che i compositori d’opera di primo Ottocento
avessero un collaboratore per la stesura dei recitativi secchi, e ciò
rendeva più agevole la lavorazione in tempi rapidi. Nell’unica partitura autografa di Rossini precedente La pietra del paragone che sia sopravvissuta, quella della Scala di seta,70 tutti i recitativi secchi sono di
mano di Rossini e sembrano esser stati composti consecutivamente,
forse nello stesso tempo. Nell’autografo della Pietra del paragone, invece, soltanto i recitativi del primo atto (ad eccezione di due pagine)
sono di mano di Rossini, mentre quelli nel secondo atto sono di diverse altre mani. La prassi di subappaltare i recitativi era largamente
diffusa e l’incarico spesso veniva affidato a musicisti connessi con
il teatro. Dopo che La pietra del paragone sancì la sua reputazione di
compositore, Rossini non compose più i recitativi delle sue opere
comiche, ad eccezione di quelli del Viaggio a Reims. L’unico recitativo
secco scritto da Rossini nel Barbiere di Siviglia è quello che comprende
al suo interno la Canzone del Conte nell’Atto I. Nel complesso la
partitura autografa è vergata con chiarezza, con pochi ripensamenti
e l’articolazione è in molti casi insolitamente precisa. Soltanto l’Aria
Berta (N. 14) appare scritta frettolosamente e soltanto i recitativi prima e dopo quest’aria non sono di mano del compositore principale
dei recitativi del Barbiere (mano α nel Commento Critico).
Che i recitativi del Barbiere di Siviglia sono stati composti da qualcun altro e non semplicemente copiati risulta evidente osservando
la stessa partitura. Philip Gossett ha riconosciuto la stessa mano
anche nei recitativi di Torvaldo e Dorliska, opera composta da Rossini
a Roma nell’autunno 1815. Finora, il compositore dei recitativo non
è stato identificato con certezza. Esistono prove indiziarie tuttavia
che possa trattarsi dello stesso Luigi Zamboni.71 Rossini e Zamboni alloggiavano insieme a Palazzo Paglierini in Vicolo de’ Leutari;
nello stesso edificio dov’erano ospitati anche Manuel García e la
sua famiglia (nel corso del loro viaggio da Napoli a Londra), compreso il figlio, anche lui di nome Manuel, che a quel tempo quasi
undicenne già studiava canto con il padre. Il critico Gustave Hequet
scrisse: «Ho saputo come fu composto il Barbiere di Siviglia da
Manuel García, che lo aveva saputo da suo padre. . . . Da parte sua,
Zamboni, che come García era anch’egli un eccellente musicista, . . .
scrisse tutti i recitativi».72 Non essendo stato finora reperito nessun
manoscritto musicale di mano di Zamboni non si può esser certi
che egli sia stato l’autore dei recitativi del Barbiere.
L’orchestra
Ovviamente Sforza Cesarini doveva mettere insieme un’orchestra
in tempo per l’inaugurazione della stagione. L’Italiana in Algeri, composta a Venezia nel 1813, richiedeva un’orchestra composta da 2
Flauti/Ottavini, 2 Oboi, 2 Clarinetti, 1 Fagotto, 2 Corni, 2 Trombe,
Archi, Timpani e Banda Turca, tutto sommato una tipica orchestra
di dimensioni ridotte. Il barbiere di Siviglia invece richiedeva 2 Flauti/
Ottavini, soltanto 1 Oboe, 2 Clarinetti, 2 Fagotti, 2 Corni, 2 Trombe,
Archi, Gran Cassa e Piatti, Triangolo, Pianoforte (per la scena della
70 Il manoscritto dell’opera, la cui edizione critica è stata curata da Anders
Wiklund nella Serie I, vol. 6 dell’Edizione critica delle opere di Gioachino Rossini (Pesaro, 1991), è conservato nella Nydahl collection del Stiftelsen
Musikkulturens främjande in Stockholm.
71 Si veda ad esempio Alberto Cametti, «La musica teatrale a Roma cento
anni fa», Annuario della Regia Accademia di Santa Cecilia CCCXXXII (1915–
16), 62; Giuseppe Radiciotti (Gioacchino Rossini: vita documentata, opere ed
influenza su l’arte, 3 voll. [Tivoli, 1927–1929], I: 189) scrisse che i recitativi
nella partitura sono di mano di Rossini, ma si sbagliava.
72 Gustave Hequet, «Chronique musicale», L’Illustration. Journal Universel, 21
ottobre 1854, 275: «Je tiens de Manuel García, qui le tenait de son père,
de quelle maniere le Barbier de Séville fut composé. . . . Dans son côte,
Zamboni, qui était comme García un excellent musicien, . . . écrivit
tous les récitatifs». L’articolo include inoltre l’aneddoto secondo cui fu
García a comporre la Canzone e il «petit bolero» del secondo finale,
cosa, quest’ultima, impossibile (si veda più avanti nel testo). Si veda
Marco Beghelli, «Wer hat die Rezitative von Rossinis Il barbiere di Siviglia
komponiert?», La Gazzetta, N. 18 (2008), 4–17.
lezione) e una Chitarra.73 Un aneddoto riportato da Radiciotti vuole
che gli strumentisti a quel tempo disponibili a Roma non fossero
tutti professionisti:
Si narra che, avendo il Rossini, appena giunto a Roma, chiamato
un barbiere, questi lo rase per qualche giorno senza permettersi con
lui alcuna familiarità; ma, quando giunse il momento della prima
prova d’orchestra del Torvaldo, dopo aver eseguito il suo ufficio con
la massima cura, diede senza complimenti una stretta di mano al
compositore, dicendogli in tono cordiale: «Arrivederci» – «Come?»
– chiese un po’ sorpreso il Rossini. – «Sì! Ci rivedremo fra poco al
teatro.» – «Al teatro?» – gridò il Maestro sempre più meravigliato.
– «Senza dubbio. Io sono il primo clarino dell’orchestra».74
Per Sforza Cesarini riuscire a trovare musicisti disoccupati a stagione già iniziata rappresentava un problema (molti erano stati già
ingaggiati dal Teatro Valle); l’orchestrazione del Barbiere non rendeva più semplice la questione. Fu forse a causa delle ristrettezze
finanziarie che le parti per flauto, ottavino e oboe furono scritte
in modo tale da richiedere soltanto due strumentisti piuttosto dei
quattro normalmente impiegati. C’erano dunque un unico flautista
(con l’obbligo dell’ottavino) e un oboista (con l’obbligo, all’occorrenza, sia del flauto che dell’ottavino).75
Nel copialettere di Sforza Cesarini un appunto del 28 dicembre
1815 fa riferimento a due oboisti che si sarebbero potuti reperire a «Foligno, Macerata, Camerino ecc. In mancanza di questi due
trovarne uno in Firenze».76 L’agente Benucci con una lettera del 16
gennaio 1816 rispose che «L’oboè è trovato, egli è un certo Benassi
Antonio di Forlì, professore che dopo Centroni è l’unico in provincia ben cognito al maestro Rossini».77 Per qualche sconosciuta
ragione, tuttavia, Benassi non fu assunto, dal momento che nelle
note delle spese sostenute nella stagione dall’Argentina è elencato
soltanto Luigi Biglioni come oboista, tra l’altro l’unico strumento
specificamente nominato nella lista dei membri dell’orchestra.78 A
Biglioni, di cui si sa che oltre all’oboe suonava il flauto e il clarinetto,79 fu corrisposta la somma di 50 scudi, più degli altri strumentisti
con eccezione del presunto violino principale, Giovanni Landoni
(80 scudi), e Francesco Mazzanti, probabilmente il primo contrabbassista, che avrebbe dovuto accompagnare i recitativi (60 scudi),
ma la stessa somma corrisposta a Camillo Angelini per aver diretto
il coro e suonato il cembalo. Le paghe degli altri musicisti vanno da
un minimo di 15 scudi (due dei trentacinque strumentisti nominati
per la stagione) a 45 scudi (due strumentisti). Una nota specifica
che la paga di Biglioni includeva un supplemento per aver suonato
l’oboe, probabilmente in aggiunta al flauto e all’ottavino: «Biglioni
Luigi compresi 15 s[cudi] per l’Oboe 50 [scudi]», 80 cosicché, senza
il supplemento, la paga sarebbe stata di 35 scudi, leggermente al di
sopra della media. 81
73 Per questioni relative alla strumentazione della Sinfonia, si veda la terza sezione della Prefazione, «Problemi redazionali e di esecuzione del
Barbiere di Siviglia».
74 Radiciotti, I: 177.
75 Per la diversa orchestrazione richiesta soltanto dalla Sinfonia, che è
presa in prestito da Aureliano in Palmira, si veda il Commento Critico.
76 Lamacchia, 172.
77 Ibid.; Lamacchia precisa che il nome corretto è «Benazzi».
78 L’elenco completo è fornito in Celani, XXII (1915), 273. Le note delle spese sostenute oggi mancano dalle carte nell’Archivio di Stato di Roma
e sono conosciute soltanto attraverso Celani, XXII (1915), 272–80. Il
libretto, RO1816 , non dà l’elenco degli strumentisti delle parti principali,
come alcuni libretti talvolta fanno.
79 Lamacchia, 171, citando Renato Meucci, «La costruzione di strumenti
musicali a Roma tra XVII e XIX secolo, con notizie inedite sulla famiglia
Biglioni», in La musica a Roma attraverso le fonti d’archivio, a cura di B. M.
Antolini, A. Morelli, V. V. Spagnuolo (Lucca, 1994), 591–3.
80 Per ulteriori informazioni su Biglioni, si veda Lamacchia, 170–2.
81 Tra le spese registrate nella nota, si legge quella per «un paro di pantaloni di seta per uso del Tenore 5:60» e «un cappello verde di velluto con
penne per uso del medemo 4:20». Si veda Celani, XXII (1915), 276.
Il nuovo titolo
In tanti hanno ipotizzato che il titolo dell’opera sul libretto della
prima rappresentazione fosse Almaviva o sia L’inutile precauzione per
riguardo all’opera di Paisiello sullo stesso soggetto, composta per
San Pietroburgo nel 1782 e abbastanza conosciuta in Italia a quel
tempo. Ma tutte le altre fonti del 1816, tranne una, si riferiscono
all’opera come al Barbiere di Siviglia (l’autore della recensione apparsa
nel periodico Biblioteca teatrale la chiamò La cautela inutile, 82 aggiungendo con un gioco di parole: «Fu veramente inutile la cautela del
Maestro Rossini» 83).
Il frontespizio del libretto a stampa dichiarava che la commedia di
Beaumarchais era stata «di nuovo interamente versificata, e ridotta
ad uso dell’odierno teatro musicale italiano»; ciò potrebbe essere
interpretato tanto come una presa di distanze dal precedente lavoro
quanto come un vanto di originalità. Alcuni tra i primi biografi di
Rossini sostennero che il compositore avesse scritto a Paisiello per
chiedere il permesso di riutilizzare il soggetto (coincidenza volle
che a quel tempo anche Francesco Morlacchi stesse componendo il
suo Barbiere sullo stesso libretto utilizzato da Paisiello, ritenuto di
Petrosellini, che sarebbe andato in scena a Dresda nell’aprile 181684).
Geltrude Righetti-Giorgi smentì decisamente: «Rossini non scrisse
a Paesiello, come si suppone, avendo in mente, che uno stesso argomento possa essere trattato con successo da diversi artisti». 85 Questo è certamente quanto Rossini scrisse al compositore Costantino
Dall’Argine l’8 agosto 1868, quando quest’ultimo gli annunciò l’intenzione di mettere nuovamente in musica il libretto di Sterbini. 86
Più avvincente è la tesi di Lamacchia, che vede nell’uso di Almaviva piuttosto che Barbiere una forma di deferenza alla partecipazione
straordinaria al Teatro Argentina di Manuel García appositamente
nel ruolo del Conte d’Almaviva. 87 Del resto, la parte del tenore principale nell’Italiana in Algeri, Lindoro, non soltanto era troppo alta per
il tenore baritonale spagnolo (si rammenti che Rossini nella lettera al
tenore ci tenne a precisare che il diapason a Roma era più basso che
a Napoli e che in ogni caso sarebbe stato disposto ad apportare i
necessari cambiamenti) ma era anche fuori carattere per un artista
abituato a interpretare ruoli più virili. Che García preferisse uno
stile più robusto a quello leggero e delicato tipico del tenore delle
opere comiche, lo si può anche dedurre dagli esempi riportati dal
figlio, Manuel García Jr. nel suo Traité complet de l’art du chant (1847).
Le varianti vocali per il cantabile del Conte nell’Introduzione (N. 1)
sono esemplificate in due versioni. La prima, che rappresenterebbe
le variazioni di García Sr., è brillante e vivace, mentre la seconda è
più dolce e delicata. García Jr. dichiara di preferire la prima versione,
trovando la seconda «troppo languida per il carattere del personaggio». 88 E cosa c’è di più robusto e brillante dell’aria di bravura
che Sterbini e Rossini concepirono per Almaviva nella scena finale
dell’opera, «Cessa di più resistere»!
La questione della Sinfonia
Tra i numerosi miti sul Barbiere di Siviglia ancora in circolazione,
quello della supposta Sinfonia perduta può essere affrontato con
un’attenta lettura dei documenti. Philip Gossett, nell’introduzione
al facsimile dell’autografo del Barbiere, sottolinea che i primi commentatori ad aver parlato della Sinfonia dimostrano di sapere che
82 Si tratta di una variante del sottotitolo L’inutile precauzione.
83 Annalisa Bini, «Echi delle prime rossiniane nella stampa romana dell’epoca», in Rossini a Roma - Rossini e Roma, 165–98: 176.
84 Radiciotti, I: 194.
85 Righetti Giorgi, 31; ristampato in Rognoni, 293.
86 Radiciotti, I: 196.
87 Lamacchia; si veda in particolare il Capitolo II, «Per comprendere il vero
Conte. Il tenore di Siviglia (Manuel García a Napoli, 1812–15)».
88 «trop langoureuse pour le caractère du personnage»: Manuel García
Jr., École de Garcia. Traité complet de l’art du chant en deux parties (Paris, 1847),
Parte II, 37. (Per un’edizione di queste cadenze si veda l’Appendice V del
Commento Critico).
XXXIX
era stata presa in prestito da Aureliano in Palmira e che la leggenda
dell’esistenza di un’altra Sinfonia divenne popolare soltanto a metà
del secolo. 89 Potrebbe esser stato lo stesso Rossini, nella sua vieillesse,
ad aver incoraggiato queste voci. A metà degli anni Sessanta, su
richiesta dell’editore Escudier, Rossini chiese all’amico Domenico
Liverani di cercare la Sinfonia «originale» del Barbiere nella partitura
autografa (in possesso del Conservatorio di Bologna dal 1862). In
una lettera a Liverani del 12 giugno 1866, Rossini scrisse:
. . . eccomi dunque a ringraziarvi per le premure datevi onde
rinvennire (nel così detto mio autografo del Barbiere) l’originale
mia Sinfonia, e il pezzo concertato della lezione, chi ne sarà mai
il possessore? pazienza... L’Escudier voleva fare, come pendent del
Don Giovanni una edizione completa secondo il mio originale del
Barbiere e sperava ch’io l’avessi messo in misura procurandole i pezzi
rimpiazzati, ne sarà di meno poiché il destino lo vuol così . . .90
Forse, suggerisce Gossett, Rossini provava un certo imbarazzo a
confessare a Escudier di aver preso in prestito la Sinfonia? O forse
Escudier possedeva una fonte in cui la Sinfonia di Aureliano in Palmira era stata sostituita da quella del Turco in Italia, come in tre dei
manoscritti studiati per quest’edizione, o dalla versione di Elisabetta,
regina d’Inghilterra, come in due manoscritti, o addirittura da una
nuova Sinfonia in Sië maggiore, come in alcune delle edizioni a stampa pubblicate in Germania? 91 La fonte di Escudier mancava forse anche di «Contro un cor», un numero solitamente sostituito nelle rappresentazioni? Curiosamente, entrambi i manoscritti del Barbiere di
Siviglia conservati presso la Bibliothèque nationale di Parigi mancano di un’aria di Rosina nella scena della lettera; PA D ha la Sinfonia del Turco mentre PA 8330 ha la versione della Sinfonia come
nell’Elisabetta, regina d’Inghilterra. Perché Liverani non potè inviare al
compositore le copie degli originali? Certamente, sia l’aria originale
di Rosina, il cui testo appare nel primo libretto, che la Sinfonia di
Aureliano in Palmira (la sola parte di Vc e Cb di mano di un copista,
come di consueto in simili casi di autoimprestito) si trovano saldamente al loro posto nella partitura autografa conservata a Bologna
(si veda la sezione dedicata alle fonti, «Sources», nel Commento Critico). Se un giorno la risposta inviata da Liverani a Rossini dovesse
riaffiorare, forse la questione verrà risolta.
La prima
Le leggende sorte attorno al disastroso esito della prima sono una
lunga e incrollabile sfilza. Persino i teatri d’opera d’oggi ne fanno
un uso pubblicitario, come in un commento apparso nel website
dell’Opera di Dallas per la stagione 2006–07:
Conversation Starter: Rossini’s masterpiece was a legendary opening
night disaster! The audience was filled with hecklers who made fun of
the composer’s ostentatious clothing, the cat that wandered onstage,
and the singer who tripped and gave himself a nosebleed just before
he had to start singing! 92
Rossini raccontò alla madre che alla prima fu difficile riuscire ad
ascoltare la musica al di sopra del continuo rumore di fondo del
pubblico:
89 Gossett, 23–4 (in italiano, 76).
90 Ringraziamo l’antiquario James Camner per averci gentilmente fornito
una copia del documento originale.
91 Per informazioni su questo pezzo e una citazione della linea melodica
principale, si veda Philip Gossett, Le sinfonie di Rossini, pubblicato come
Anno 1979 del Bollettino del centro rossiniano di studi (Pesaro, 1979), 114–5.
92 «Per iniziare il dibattito: la prima del capolavoro di Rossini fu un leggendario disastro! Il pubblico pieno di molestatori che prendevano in
giro il pomposo abbigliamento del compositore, il gatto che passeggiava sul palco e il cantante che inciampò procurandosi un’epistassi nasale
proprio poco prima di iniziare a cantare!» <http://www.dallasopera.
org/the_season/060702-index.php>, consultato il mese di aprile 2008.
XL
Ieri sera andò in scena la mia opera e fu sollennemente fischiata. Oh
che pazzie che cose straordinarie si vedono in questo paese sciocco.
Vi dirò che in mezzo a questo la musica è bella assai e nascono di
già sfide per questa soré seconda recita dove si sentirà la musica cosa
che non accadde ieri sera mentre dal principio alla fine non fu che un
immenso sussuro che accompagnò lo spettacolo.93
La presenza di molestatori è confermata dalla lettera di Cesare Sterbini a Nicola Ratti del 26 febbraio 1816:
Non credevo io, e dico la verità, che dopo tante fatiche, dopo il
carico che mi sono dato oltre ogni dovere e oltre la sfera delle mie
attribuzioni perché il tutto andasse in piena regola e colla maggiore
sollecitudine, si venisse poi per un vilissimo interesse ad aggiungere
nuovi disgusti a quelli rilevantissimi che ho dovuti incontrare per
parte d’un’udienza mercenaria e indiscreta.94
Che la claque fosse connessa al Teatro Valle lo si può dedurre anche
dalla lettera del Duca Sforza Cesarini al Cardinal Mauri sulla prima
dell’Italiana in Algeri il 13 gennaio: «Si è dovuto superare ieri sera un
partitaccio terribile che era del Teatro Valle, che non faceva altro che
procurare di far star zitti tutti quelli che volevano applaudire».95
La stessa Geltrude Righetti-Giorgi, la prima Rosina, fu portavoce,
se non fonte, di un altro aneddoto che vuole che Rossini avesse permesso a García di comporre della musica che avrebbe poi eseguito
nel corso della prima. Nelle sue memorie Cenni di una donna (1823),
la cantante scrisse:
Per una malaugurata condiscendenza Rossini, pieno di stima pel
Tenore Garzìa, lo aveva lasciato comporre le ariette, che dovevansi
cantare dopo la introduzione sotto le finestre di Rosina. Ebbe egli con
ciò in pensiere di più giovare all’espressione del carattere spagnuolo.
Garzìa di fatti compose sui temi delle canzoni amorose di quella
nazione.
Ma Garzìa dopo aver accordata la chitarra sulla scena, locché eccitò
le risa degl’indiscreti, cantò con poco spirito le sue cavatine, che
vennero accolte con disprezzo. Io mi era disposta a tutto. Salii
trepidante la scala che dovevami portare sul balcone per dire queste
due parole: «Segui, o caro, deh segui così». Avvezzi i Romani a
colmarmi di plauso nella Italiana in Algeri, si aspettavano che io li
meritassi con una Cavatina piacevole ed amorosa. Quando intesero
quelle poche parole, proruppero in fischi, e schiamazzi.96
Gossett commenta che «La testimonianza della Righetti-Giorgi non
sembra attendibile: il testo che riporta, «Segui, o caro, deh segui
così», è presente nella Canzone scritta da Rossini e sembra piuttosto
improbabile che García abbia riusato proprio queste parole in un
pezzo di sua composizione».97 Ma l’autografo della Canzone suggerisce la possibilità che García avesse improvvisato l’accompagnamento, dal momento che per la chitarra Rossini ha segnato soltanto
una successione di accordi quasi alla fine della strofa per fissare la
modulazione da La minore a Do maggiore. Successivamente, un’altra
mano ha completato l’accompagnamento e non senza errori. Dal
momento che nelle prime copie manoscritte ci sono soltanto gli
accordi segnati da Rossini, l’accompagnamento completo deve esser
stato scritto dopo che fu ricavata la prima copia. È probabile che
durante le recite García abbia improvvisato l’accompagnamento alla
chitarra e che successivamente un altro musicista l’abbia aggiunto
nella partitura autografa (García era egli stesso un compositore,
perciò è improbabile che avesse potuto fare gli errori presenti nella
partitura).98
93
94
95
96
97
98
Lettere e documenti, IIIa: 119.
Lamacchia, 24n, citando Celani, XXII (1915), 270.
Lamacchia, 23.
Righetti-Giorgi, 32–3; ristampato in Rognoni, 294.
Gossett, 22 (in italiano, 74).
Per ulteriori informazioni sull’accompagnamento della Canzone, si
vedano le Note Critiche al N. 3.
La Righetti-Giorgi continuava dicendo che nonostante la sua
Cavatina fosse piaciuta al pubblico romano, la claque del Valle continuò a vanificare gli sforzi della compagnia:
Accadde dopo ciò che doveva necessariamente accadere. La Cavatina
di Figaro sebbene cantata maestrevolmente da Zamboni, ed il
bellissimo duetto fra Figaro e Almaviva cantato pure da Zamboni e
da Garzìa non furono neppure ascoltati. . . . Si credette allora risorta
l’opera; ma non fu così. Si cantò fra me e Zamboni il bel duetto
di Rosina e di Figaro, e l’invidia fatta più rabbiosa sviluppò tutte
le sue arti. Fischiate da ogni parte. Si giunse al Finale, che è una
composizione classica, di cui si onorerebbero i primi compositori del
mondo. Risate, urli e fischi penetrantissimi, e non si faceva silenzio,
che per sentirne de’ più sonori. Allorché si arrivò al bell’unisono:
«Quest’avventura»; una voce chioccia dal lubione gridò: «Ecco li
funerali del D[uca]. C[esarini].» Non ci volle di più. Non si possono
descrivere le contumelie, cui andò soggetto Rossini, che se ne stava
impavido al suo cembalo, e pareva dicesse: Perdona, o Apollo, a
questi Signori, che non sanno ciò, che facciano.
Esguito l’atto primo, Rossini avvisò di far plauso colle mani, non alla
sua opera, come fu creduto comunemente, ma agli attori, che a vero
dire, avevano procurato di fare il loro dovere. Molti se ne offesero.
Ciò basti a dar un’idea del successo dell’Atto Secondo.99
La prima donna non parla di gatti, di corde della chitarra rotte,
capitomboli o epistassi, e di tutto il resto che è entrato a far parte
dell’insieme di fatti e credenze sulla prima dell’opera.
Rossini scrisse nuovamente alla madre il 27 febbraio, la data dell’ultima recita della stagione, per informarla di come la fortuna fosse
cambiata:
Io vi scrissi che la mia opera fu fischiata, ora vi scrivo che la sud: a
ha avuto un esito il più fortunato mentre la seconda sera e tutte le
altre recite date non hanno che applaudita questa mia produzione
con un fanatismo indicibile faccendomi sortire cinque e sei volte a
ricevere applausi di un genere tutto nuovo e che mi fece piangere di
sodisfazione.
A momenti riceverete del denaro il quale farete fruttare.
Io parto domani per Napoli e dopo torno a Roma il venturo Carnevale
ed ho già fatta la scrittura. Il mio Barbier di Siviglia è un capo d’opera e
son certo che se lo sentiste vi piacerebbe essendo questa una musica
spuntanea ed immitativa all’eccesso. Baciatemi mio Padre e dittele
che da Zamboni riceverà il pachetto contenente i diversi oggetti ch’ei
mi cerca. Vogliatemi bene, scrivetemi a Napoli e credetemi di tutto
cuore
il vo figlio
Gioachino Rossini100
Si deve forse credere che la claque, raggiunto il suo obiettivo, si fosse ritirata quietamente? La Righetti-Giorgi fornisce un’importante
testimonianza relativa alle modifiche che Rossini avrebbe da subito
apportato alla partitura e che trovano conferma nell’autografo:
Il giorno dopo Rossini levò dal suo spartito, quanto gli parve
giustamente censurabile;101 indi si finse malato forse per non
ricomparire al cembalo. I Romani frattanto tornarono sul fatto loro, e
pensarono, che almeno bisognava sentir tutta l’opera con attenzione,
99 Righetti-Giorgi, 33–5; ristampato in Rognoni, 294–5.
100 Lettere e documenti, IIIa: 121–3.
101 Nella partitura autografa sono presenti indicazioni di vari tagli. Sebbene non si possa associarle specificamente alle prime rappresentazioni,
potrebbero riflettere un’immediata revisione compiuta dopo la prima.
Comprendono: la conclusione del recitativo dopo la Cavatina di Figaro
(N. 2), la Canzone del Conte (N. 3) e le prime quattro battute del recitativo dopo la Canzone (N. 3); parte del recitativo dopo la Cavatina
di Rosina (N. 5); l’inizio del recitativo dopo l’Aria di Bartolo (N. 8);
gran parte del recitativo dopo l’Aria di Rosina (N. 11) insieme all’intera
Arietta di Bartolo (N. 12). Un passo nel Quintetto (N. 13) potrebbe esser stato tagliato dopo la prima, ma sembra più probabile che fu omesso
già prima che Rossini orchestrasse la partitura. Per ulteriori dettagli, si
veda il Commento Critico dei Numeri citati.
per poscia giudicarne con giustizia. Accorsero quindi al teatro anche
la seconda sera, e vi fecero altissimo silenzio. . . . L’opera fu coronata
del plauso generale. Dopo ci recammo tutti al finto malato, il cui
letto era circondato da molti distinti Signori di Roma, che erano
accorsi a complimentarlo sull’eccellenza del suo lavoro. Alla terza
recita il plauso crebbe; infine il Barbiere di Siviglia di Rossini passò al
rango di quelle composizioni musicali, che non invecchiano, e che
degne sono di stare a fianco delle più belle opere buffe di Paesiello
e di Cimarosa.102
Due recensioni pubblicate su periodici romani poco dopo la recita
confermano le memorie della Righetti-Giorgi. La prima apparve
sulla Biblioteca teatrale:
La Cautela inutile. Fu veramente inutile la cautela del Maestro Rossini,
ed altri suoi soci, perché la prima sera il pubblico fece i soliti sfoghi
quando è annoiato mortalmente.
Nella seconda sera l’opera resuscitò, e fu un vero miracolo. Il Teatro
d’Argentina era pieno, e la cassa del botteghino semi-vuota. Il segreto
magico riuscì. Certo è che vi erano alcuni tratti sublimi, come il Terzetto,
l’istromentale dell’aria su la calunnia, la stretta dell’Introduzione ec.
La Sig. Giorgi mostrò una voce bellissima di contralto, e fece concepire
le più sicure speranze su lei; ma se il signor Garzia non avesse amato
tanto d’infiorare e smerlettare soverchiamente avrebbe forse eccitato
un doppio entusiasmo; ma si ponga per base che voce più bella nelle
grazie e maggior professione non si è trovata in alcun altro tenore, e
che il pubblico Romano gli ha reso giustizia.103
A due settimane dalla fine del Carnevale, il Diario di Roma (13 marzo
1816) commentò:
L’ultima opera buffa messa in musica per il Teatro di Torre
Argentina intitolata il Barbiere di Siviglia se non incontrò la prima sera
l’approvazione del pubblico, la sera appresso e nelle altre consecutive
ne fu ben gustato il pregio, e destò tale entusiasmo che risuonava
il teatro degli evviva per il Sig. Maestro Rossini. Il popolo volle
più volte vederlo sul palcoscenico, e fu persino accompagnato colle
torcie dal teatro fino alla di lui abitazione, tanto è stato l’incontro che
ha fatto questa ultima composizione piena di estro e di vivacità del
rinomato Sig. Maestro Rossini.104
«Alfine», scrive la prima Rosina, «il mondo ha giudicato il Barbiere di
Siviglia di Rossini per un capo d’opera dell’arte».105
Alcune importanti prime riprese
Dopo la prima rappresentazione del Barbiere di Siviglia al Teatro Argentina, Rossini scrisse alla madre due lettere: quella sopracitata in
cui parla del successo dell’opera dopo l’infelice debutto, e un’altra
che chiese a Zamboni di consegnare alla madre a Bologna insieme
ad alcuni oggetti per il padre e a un’ampia parte del compenso ricevuto dall’Argentina. Rossini, già proiettato sul suo rientro a Napoli,
concluse la lettera così: «Addio io vado a Napoli a farmi cinger
nuovi allori. Allegri Mammotta e Papotto il colpo è fatto».106
Bologna, Firenze (1816)
Il barbiere di Siviglia piacque abbastanza da esser ripresa in altre due
città, più tardi in quello stesso anno.107 Pur non essendo coinvolto
102 Righetti-Giorgi, 35-6; ristampato in Rognoni, 295–6.
103 Si veda Lamacchia, 41. Bini («Echi», 176), ricordando che Jacopo Ferretti
scriveva per il periodico, insinua che la recensione possa essere stata
in qualche modo condizionata dal ruolo avuto da Ferretti nella storia
dell’opera.
104 Bini, «Echi», 176.
105 Righetti-Giorgi, 37; ristampato in Rognoni, 296.
106 Lettere e documenti, IIIa: 124.
107 Per una dettagliata descrizione delle differenze tra i libretti stampati per
queste riprese e l’originale romano e per la musica non di Rossini che
fu inserita in queste occasioni, si veda l’Appendice III nella partitura e
nel Commento Critico.
XLI
in questi allestimenti, Rossini venne a conoscenza della prima ripresa, forse attraverso i suoi familiari, dal momento che ebbe luogo
al Teatro Contavalli di Bologna nell’estate 1816. In quest’occasione
Geltrude Righetti-Giorgi vestì nuovamente i panni di Rosina in un
cast per il resto completamente rinnovato. Rossini scrisse alla madre
il 27 agosto (poco più di due settimane dopo l’inizio delle recite
della ripresa il 10 agosto): «Il mio Barbiere di Siviglia sarà sicuramente fischiato in Bologna mentre [Andrea] Verni [Figaro], [Amerigo]
Sbigoli [il Conte], La Giorgi, etc non possono rappresentare questa
[azione] senza urtare il buon senso».108 In questo allestimento la
Righetti-Giorgi si appropriò per Rosina dell’aria del secondo Atto
scritta per García, «Cessa di più resistere», dando inizio a una prassi
documentata da numerosi spartiti a stampa. La cantante introdusse
anche una modifica che divenne presto un’abitudine continuata fin
nel ventesimo secolo: sostituì un’aria a sua scelta (in questo caso
«La mia pace, la mia calma») al posto di «Contro un cor», l’aria
della scena della lezione. L’aria sostituta cantata a Bologna è inclusa nell’Appendice III di quest’edizione critica per il modo in cui il
tempo di mezzo di «Contro un cor», scritto da Rossini, è integrato
nel nuovo contesto. Come esempio di quanto si fosse radicata la
prassi di sostituire un nuovo pezzo nella scena della lezione, basti
citare il caso dell’allestimento del Barbiere al Metropolitan Opera di
New York, il 19 febbraio 1954, quando Roberta Peters cantò «Contro
un cor»: l’archivio del Metropolitan fa notare che «From this date
onward, until 1/23/71, the selection sung by Rosina in the Lesson
Scene was Contro un cor, the aria originally written by Rossini for
this episode».109
La seconda ripresa dell’opera ebbe luogo a Firenze nell’autunno
del 1816 al Teatro della Pergola. Nessuna lettera di Rossini (che in
quel momento a Napoli stava preparando La gazzetta e Otello) dà
modo di pensare che egli fosse a conoscenza di quell’allestimento.
Anche a Firenze la parte di Rosina fu cantata dalla Righetti-Giorgi
e quella del Conte da Sbigoli, mentre Figaro fu interpretato da Antonio Parlamagni e Bartolo da Paolo Rosich, un basso comico che
Sforza Cesarini aveva scartato perché troppo caro,110 invece che da
Nicola Cenni come a Bologna. A Firenze, la Righetti-Giorgi sostituì
l’aria della scena della lezione con «Perché non puoi calmar», probabilmente di Stefano Pavesi, un’aria più elaborata di quella inserita
a Bologna, mentre «Cessa di più resistere» fu omessa del tutto. Una
modifica ancora più significativa fu introdotta nella parte di Bartolo, con la sostituzione della grande aria per buffo «A un Dottor
della mia sorte» con un’altra appositamente scritta dal compositore
residente del teatro fiorentino Pietro Romani, «Manca un foglio».
L’aria di Romani ebbe presto un’ampia circolazione ed è presente
in quasi la metà dei manoscritti studiati per quest’edizione. La Righetti-Giorgi parla dell’aria in questi termini: «L’aria di D. Bartolo,
che fu sostituita a Firenze a quella dello spartito, è composizione
del Sig. Pietro Romani. Essa è una bell’aria, e non ispiace a Rossini,
che sia stata introdotta nella sua opera».111 Radiciotti ha riferito,
confutandolo, l’aneddoto che Romani avrebbe scritto «Manca un
foglio» a Roma nella stagione di Carnevale perché Rossini aveva
108 Lettere e documenti, IIIa: 140–2. Si noti non soltanto che Rossini include
la Righetti-Giorgi nell’elenco dei cantanti che avrebbero suscitato lo
scherno del pubblico ma che definisce l’opera «il mio Barbiere di Siviglia»,
il titolo con cui fu rappresentata a Bologna e, nell’autunno seguente, a
Firenze.
109 «Da questa data in poi e fino al 23/1/71, il brano cantato da Rosina nella
Scena della Lezione rimase Contro un cor, l’aria originariamente scritta
da Rossini per questa scena». Metropolitan Opera, <http://archives.
metoperafamily.org/archives/frame.htm> [Met Performance] CID:164950.
Per una piacevole discussione sulla prassi di introdurre un’altra aria nella
scena della lezione, si veda il capitolo «Che vuol cantare? The Lesson Scene
of Il barbiere di Siviglia» nel libro di Hilary Poriss, Changing the Score: Arias,
Prima Donnas, and the Authority of Performance (Oxford, 2009), di prossima
pubblicazione.
110 Lamacchia, 12.
111 Righetti-Giorgi, 37; ristampato in Rognoni, 296.
XLII
dimenticato di comporre un’aria per Bartolo.112 Nondimeno, dato
il ruolo significativo che l’aria di Romani ha occupato nella storia
del Barbiere di Siviglia, con la sua presenza costante fino al ventesimo
secolo, quest’edizione include il pezzo nell’Appendice III.
Pesaro (1818)
Nella primavera del 1818 Rossini si recò a Pesaro, sua città natale,
per la penultima volta nella sua vita.113 Sebbene si definisse frequentemente «il Pesarese», Rossini non aveva mai dimostrato un
forte legame affettivo con il suo luogo di nascita. Nel 1818, tuttavia,
acconsentì a prestare il suo aiuto per le celebrazioni dell’apertura di
un nuovo teatro, il Teatro Nuovo (rinominato in seguito il Teatro
Rossini). Per l’occasione supervisionò una ripresa della Gazza ladra,
iniziata il 10 giugno 1818 e rimasta sulle scene per ventiquattro
recite.114
L’intenzione era quella di allestire a seguire Il barbiere di Siviglia; il
12 giugno perciò Rossini chiese al padre:
Vi compiacerete andare dal Sig.r Zappi e fare che immediatamente
preparai tutte le particelle cantanti, e lo spartito del mio Barbiere di
Siviglia che voglio dare al momento che Remorini dovrà partire.115
Spero che il sud.o Zappi sarà discreto nel prezzo poiché si tratta
di andare una cosa vecchia, e da lui posseduta. Datemi un pronto
riscontro e indicandomi anche il prezzo.116
Il fatto che Rossini avesse cercato la partitura a Bonoris Zappi avvalora la tesi che all’epoca Zappi fosse il possessore del manoscritto
autografo.117
Apparentemente le recite del Barbiere inaugurate il 2 luglio, furono soltanto due. Rossini si ammalò subito dopo la prima della
Gazza ladra e non c’è alcun motivo di credere che abbia partecipato
a questa ripresa.
Napoli (1818)
Anche se non è dimostrato che Rossini sia stato direttamente coinvolto nelle rappresentazioni del Barbiere di Siviglia a Napoli, l’opera
diventò famosa anche lì, a partire dall’allestimento al Teatro La Fenice del 14 ottobre 1818, quando Rossini stava completando Ricciardo
e Zoraide (Teatro San Carlo, 3 dicembre 1818). Nelle numerose lettere
scritte da Rossini alla madre in questo periodo, Il barbiere di Siviglia
non è menzionato: le opere cui il compositore fa riferimento sono
Ricciardo e Zoraide, Adina (una commissione appena ricevuta da un
nobile portoghese), ed Ermione (inaugurata il 7 marzo 1819).118 La
mancata partecipazione di Rossini all’attività attorno al Barbiere di Siviglia a Napoli potrebbe riflettere i termini del contratto tra Domenico Barbaja, impresario del Teatro San Carlo e del Teatro del Fondo,
e il governo napoletano, che non concedeva a Barbaja il diritto di
produrre opere comiche nei principali teatri d’opera che gestiva.
Nondimeno, a Napoli ci fu una lunga e significativa tradizione di
allestimenti del Barbiere di Siviglia nei più piccoli teatri locali, dove le
parti di buffo erano solitamente cantate in dialetto napoletano. Lo
stesso Rossini si cimentò in un’impresa del genere quando compose per il Teatro dei Fiorentini La gazzetta (26 settembre 1816), il cui
112 Radiciotti, I: 189.
113 Una visita sfortunata nel maggio 1819 fu l’ultima nella città adriatica. Si
veda Lettere e documenti, I: 374–5.
114 Per ulteriori informazioni, si veda la Prefazione all‘edizione critica
dell’opera, a cura di Alberto Zedda, Serie I, vol. 21, in Edizione critica delle
opere di Gioachino Rossini (Pesaro, 1979), XXIV–XXX. Il passo è stato scritto
da Philip Gossett.
115 Ranieri Remorini cantava il ruolo di Fernando e dopo la sua partenza
non furono possibili altre recite della Gazza ladra.
116 Lettere e documenti, IIIa: 212.
117 Si veda la lettera di Sforza Cesarini a Zappi del 13 dicembre 1815, citata
sopra nel testo.
118 Si veda Lettere e documenti, IIIa: 214–34.
principale ruolo comico, Don Pomponio, è interamente in dialetto
napoletano, sia nei recitativi che nei pezzi d’insieme.119 Le opere già
rappresentate in altre città che venivano riprese nei teatrini napoletani erano spesso riscritte così da avere il ruolo comico principale
in dialetto napoletano.
Non sorprende dunque che Il barbiere di Siviglia venisse solitamente
rappresentata a Napoli, almeno fino a metà Ottocento, con Don Bartolo che parlava in dialetto napoletano. È straordinario il numero di
fonti che preserva questa versione, a cominciare da un manoscritto
musicale del Conservatorio di Napoli (NA 189-190) per finire con
un gruppo di libretti a stampa (di cui le edizioni conosciute furono pubblicate dal 1825 al 1857). In queste fonti, il recitativo secco
dell’opera è sostituito da dialoghi parlati, la maggior parte con la
massiccia partecipazione di Don Bartolo. Diversi numeri musicali
sono omessi: l’Aria Bartolo (N. 8), l’Aria Berta (N. 14) e il Recitativo
Strumentato ed Aria Conte (N. 17). L’informazione completa sulle
versioni napoletane del Barbiere di Siviglia è data nell’Appendice IV
del Commento Critico, che include una trascrizione di tutti i dialoghi parlati.
Nessuna fonte contemporanea, neppure NA 189-190 e i libretti a
stampa, conferma che la parte di Don Bartolo fosse in dialetto napoletano anche nei numeri concertati. Nei pezzi in cui il personaggio
prende parte, il Finale Primo (N. 9), il Duetto Conte – Bartolo (N.
10), l’Arietta Bartolo (N. 12) e il Quintetto (N. 13) i suoi interventi
sono nella forma italiana originale. A giudicare dal metodo adottato da Rossini nella Gazzetta, tuttavia, è lecito pensare che i Bartolo
napoletani modificassero il testo da cantare per l’esecuzione. Nel
caso in cui oggi una compagnia scegliesse di allestire l’opera secondo la versione illustrata nell’Appendice IV del Commento Critico,
si raccomanda vivamente di tradurre in dialetto napoletano la parte
di Don Bartolo nei concertati.
Venezia (1819)
L’editore napoletano Girard pubblicò otto estratti dal Barbiere di Siviglia tra il 1820 e i primi anni Trenta dell’Ottocento. Il terzo di questi
(numero di lastra 289, ca. 1822) è l’aria per una Rosina in voce di soprano «Ah se è ver che in tal momento». Il frontespizio precisa che fu
«Cantata dalla Signora Mainvielle Fodor nell’Opera Il Barbiere di Siviglia. Musica del Maestro Gioacchino Rossini».120 Nel 1818 Joséphine Fodor-Mainvielle assunse il ruolo di Rosina per la prima volta a
Londra.121 Subito dopo si recò a Venezia, dove nell’aprile 1819 aprì
la stagione di Quaresima cantando il ruolo eponimo nell’Elisabetta,
regina d’Inghilterra.122 Secondo Marie e Léon Escudier la Fodor-Mainvielle fu particolarmente amata dal pubblico veneziano:
Pour entendre Madame Fodor dans l’opéra buffa, un théâtre fu
ouvert aux frais des abonnés; elle y joua Rosina dans le Barbiere de
Rossini, La capricciosa corretta de Martino, et obtint une autre couronne
et de nouveaux honneurs.123
119 Si veda l’edizione critica dell’opera, a cura di Philip Gossett e Fabrizio
Scipioni, in Edizione critica delle opere di Gioachino Rossini, Serie I, vol. 18
(Pesaro, 2002).
120 Per ulteriori informazioni, si veda la descrizione di epvGI nella sezione
dedicata alle fonti, «Sources», del Commento Critico.
121 La storia è raccontata per intero da Philip Gossett in The Operas of Rossini: Problems of Textual Criticism in Nineteenth-Century Opera (Princeton University tesi di dottorato, 1970), 2 voll., I: 296–302, da cui la presente
Prefazione ha largamente attinto.
122 Un libretto a stampa in F-Pn (Yth. 51919) documenta questa esecuzione e menziona esplicitamente la Fodor-Mainvielle: «ELISABETTA /
REGINA D’INGHILTERRA / DRAMMA PER MUSICA / DA RAPPRESENTARSI / NEL NOBILE TEATRO / DI SAN SAMUELE / PER
L’OCCASIONE DELLA SUA NUOVA APERTURA / nella quadragesima
dell’anno / 1819. / VENEZIA / DALLA STAMPERIA CASALI».
123 Marie e Léon Escudier, Vie et aventures des cantatrices célèbres (Paris, 1856),
247: «Per ascoltare Madame Fodor nell’opera buffa, fu fatto aprire a
spese dei sottoscrittori un teatro dove ella cantò Rosina del Barbiere
di Rossini, La capricciosa corretta di Martino, e ottenne un’altra corona e
nuovi onori».
Sebbene non sia stato identificato nessun libretto che confermi la
partecipazione della Fodor-Mainvielle ad esecuzioni del Barbiere,
Radiciotti ha confermato che tali rappresentazioni ci furono124 e
queste sono anche citate dalla Righetti-Giorgi, che dichiara di aver
ascoltato la Fodor-Mainvielle cantare nel ruolo a Venezia:
Quanto ai trilli e alle volate di Rosina il Sig. Giornalista vorrà forse
fare la critica alla Signora Fodor, che ne sostenne la parte per alcuni
mesi a Parigi, e che sentii io pure in Venezia, cantare la parte di
Rosina, forse con sovverchie rifioriture.125
Rientrata a Parigi, più tardi nel corso di quell’anno la Fodor-Mainvielle assunse il ruolo al Théatre Italien,126 e poi fu ancora Rosina a
Napoli sia nel 1822 che nel 1823 e a Vienna nel 1823. Aveva già in
programma il ruolo di Semiramide a Parigi nel 1825, quando, messa
alle strette da gravi problemi vocali, fu costretta a lasciare la parte
a Giuditta Pasta.127
Rossini soggiornò a Venezia dal 9 aprile 1819 fin verso la fine di
maggio, occupato con la preparazione del pasticcio Eduardo e Cristina, inaugurato il 24 aprile 1819. Dunque, è effettivamente possibile
che abbia preparato per la Fodor-Mainvielle un’aria da inserire nel
Barbiere. Che il pezzo fosse associato con la Fodor-Mainvielle è certo: il suo nome appare sull’edizione napoletana di Girard del 1822 e
anche sull’edizione viennese Cappi e Diabelli del 1823, e la soprano
deve aver cantato il pezzo nei territori di competenza di entrambi
gli editori. Una copia manoscritta conservata nella Biblioteca del
Conservatorio «S. Pietro in Majella» a Napoli (I-Nc, Fondo Rossini
21.3.41bis) è la sola fonte che abbia un’accompagnamento orchestrale del pezzo e anche un recitativo accompagnato introduttivo. La
musica della cabaletta, inoltre, è desunta da una simile cabaletta nell’aria di Sigismondo, «Alma rea il più infelice», dall’opera Sigismondo
di Rossini (Venezia, Teatro La Fenice, 26 dicembre 1814), trasportata
da Mi maggiore a Sol maggiore e più fiorita: esattamente quel genere
di cambiamenti che ci si potrebbe aspettare da Rossini nel caso in
cui abbia preparato la revisione. I due testi, pur con diversa musica,
sono in qualche punto abbastanza simili:
Sigismondo
Ah se m’ami, idolo mio,
Qual maggior felicità!
Più non sento le mie pene,
Più bramare il cor non sa.
Il barbiere di Siviglia
Se innocente è il caro bene
Qual maggior felicità.
Più non sento le mie pene,
Di più il cor bramar non sa.
La composizione è stampata nell’Appendice II della presente edizione.
Sebbene il pezzo non sia presente in alcuna fonte completa del
Barbiere di Siviglia, esso era certamente destinato a seguire il recitativo dopo l’Aria Berta (N. 14), immediatamente prima del Temporale.
Il testo del recitativo e aria (si veda l’Appendice II) è adatto al particolare dilemma in cui si trova Rosina in questo punto dell’opera.
Non si tratta di una generica espressione di emozioni; nel recitativo
Rosina ha paura di aver perso Lindoro, ma il suo cuore le dice che
egli è innocente, come spera che sia nell’aria seguente. Si dovrebbe
inoltre tenere in debita considerazione che Rossini si era portato con
sé a Venezia il poeta Gherardo Bevilacqua Aldobrandini128 perché
limasse il libretto di Eduardo e Cristina (su un libretto precedente che
Giovanni Schmidt aveva scritto per Stefano Pavesi nel 1810); il compositore aveva dunque con sé un collaboratore che avrebbe potuto
fornirgli un testo a richiesta.
124 Radiciotti, III: 209.
125 Righetti-Giorgi, 36; ristampato in Rognoni, 296.
126 Si veda la descrizione di pvC nella sezione dedicata alle fonti, «Sources»,
del Commento Critico e anche l’Appendice V nello stesso Commento.
127 Per ulteriori dettagli, si veda la Prefazione di Philip Gossett all’edizione
critica di Semiramide, a cura di Philip Gossett e Alberto Zedda, in Edizione
critica delle opere di Gioachino Rossini (Pesaro, 2001), Serie I, vol. 34, LII–LIX.
128 Lettere e documenti, I: 370n.
XLIII
La storia successiva
Il barbiere di Siviglia diventò presto l’opera di Rossini più prodotta
e amata in tutta Europa ed è ancora oggi una delle opere più rappresentate. La sua stessa popolarità ha contribuito alla sua demolizione, a tagli, sostituzioni e alterazioni: una storia degna di esser
raccontata, ma che richiederebbe un libro a sé e non brevi osservazioni in questa Prefazione. Nonostante tutto ciò, è rimasta in anima
e cuore Il barbiere.
A partire dalla pubblicazione dell’edizione di Alberto Zedda del
1969,129 essenzialmente condotta sull’autografo di Bologna, le rappresentazioni moderne hanno avuto un testo di riferimento sul quale riesaminare la partitura di Rossini. La presente edizione critica, la
prima condotta sullo studio di più fonti, copie manoscritte, edizioni
a stampa, rielaborazioni e libretti, tutte dell’Ottocento, trae vantaggio da quasi quaranta anni di nuovi studi e conoscenze. Mette a
disposizione di direttori d’orchestra, cantanti, registi e studiosi una
partitura accurata, con l’aggiunta di materiale storico e musicale che
offre ampia possibilità di adattare l’opera di Rossini alle esigenze
del teatro d’opera contemporaneo.
La prima esecuzione della nuova edizione, in una versione preliminare, ha avuto luogo al Lyric Opera di Chicago il 16 febbraio
2008.
Fonti dell’opera: osservazioni generali
A. Autografi
La fonte principale della presente edizione critica del Barbiere di Siviglia è la partitura del compositore (A), conservata nel Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna (I-Bc: UU 21, 2),
l’istituzione precedentemente nota come Civico Museo Bibliografico Musicale e ancor prima come Liceo Musicale.130 L’autografo fu
donato al Liceo Musicale nel maggio 1862, alla morte dell’avvocato bolognese Rinaldo Bajetti, socio dell’Accademia Filarmonica di
Bologna.131 Il manoscritto è rilegato in due volumi, uno per ciascun
atto. Tutti i numeri chiusi dell’opera sono di mano di Rossini, anche
se la maggior parte dell’accompagnamento per chitarra della Canzone Conte (N. 3) è di altra mano. Anche gran parte dei recitativi
secchi è di mano di un altro musicista che collaborò con Rossini,
forse Luigi Zamboni, il basso buffo che creò il ruolo di Figaro. Due
recitativi, prima e dopo l’Aria Berta (N. 14), sono di mano di un
altro collaboratore ancora, non identificato, mentre il breve passo
di recitativo all’interno della Canzone Conte (N. 3) è certamente di
Rossini. L’autografo è completo; soltanto la Sinfonia, che Rossini
prese in prestito da una sua precedente opera, Aureliano in Palmira
(Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1813), non è presente in
partitura completa, ma semplicemente con la parte del basso.
In diverse occasioni Rossini si trovò a scrivere ornamentazioni per i cantanti delle sue opere. Una mezza dozzina di pagine di
varianti autografe per Il barbiere di Siviglia e altre opere sono sparse
nelle biblioteche di Bruxelles, Milano, Parigi e in una collezione privata in Germania e sono tutte edite nell’Appendice I della presente
edizione. L’esistenza di tali varianti autografe documenta la piena
adesione di Rossini alla prassi dell’ornamentazione, parte integrante
dell’esecuzione dell’opera italiana all’inizio dell’Ottocento.
129 Gioachino Rossini, Il barbiere di Siviglia, a cura di Alberto Zedda (Milano,
1969).
130 L’edizione in facsimile del manoscritto autografo con un’Introduzione
di Philip Gossett è stata pubblicata con il patrocinio dell’Accademia
nazionale di Santa Cecilia (L’arte armonica, Serie I – Fonti, 2) (Roma,
1993).
131 Per una discussione sul modo in cui Bajetti possa essere entrato in possesso dell’autografo, e per una descrizione completa del manoscritto, si
veda la sezione dedicata alle fonti, «Sources», del Commento Critico.
XLIV
B. Copie manoscritte
Tutte le fonti manoscritte secondarie esaminate per la presente edizione sono state esaminate in microfilm o copie digitali, anche se si
trattava di manoscritti in gran parte già precedentemente esaminati
in situ. Sono state consultate due serie di fonti manoscritte: venti
specificamente del Barbiere e quindici invece di Aureliano in Palmira,
consultati per la Sinfonia, che è stata appunto presa in prestito da
quest’ultima opera.
Il contenuto delle copie manoscritte del Barbiere di Siviglia è considerevolmente vario. Mentre alcune sono abbastanza vicine ad A
(MI, NY 77, PR 3089 e RO 707-708), altre (BU, FI B e 436, MO
995, PA D e 8330-8331, PR 180-182 e 1112, RO 704-706 e VE)
mostrano tracce significative di tradizioni esecutive successive alle
riprese di Bologna e Firenze del 1816 (quasi la metà delle copie,
per esempio, sostituiscono l’aria originale di Bartolo, «A un Dottor
della mia sorte» [N. 8], con «Manca un foglio», composta da Pietro
Romani per Firenze nel 1816). Il manoscritto NA 189-190 riflette la
tradizione esecutiva diffusa nei teatri dialettali napoletani iniziata
al Teatro La Fenice di Napoli nel 1818 cui è legata anche un’altra
copia manoscritta (NA G). WR riflette invece la tradizione esecutiva tedesca iniziata al Theater an der Wien di Vienna nel 1819.132
Alcune somiglianze fanno supporre altri raggruppamenti: BU, FI B
e 436, MO 995, PA D, PR 180 e 1112 e VE, ad esempio, non hanno
la musica fuori scena di Figaro all’inizio della sua Cavatina (N. 2).
Un numero significativo di fonti non ha la Canzone Conte (N. 3) e
soltanto pochissimi includono l’Aria Conte «Cessa di più resistere»
(N. 17), senza dubbio perché molti tenori non erano in grado di
cantare il pezzo scritto appositamente per Manuel García.
Un manoscritto del solo Atto I (NY 77) è particolarmente interessante perché proviene dall’archivio di Giovanni Battista Cencetti,
nella cui copisteria fu preparato il materiale esecutivo per il Teatro
Argentina nel Carnevale 1816 (si veda l’Introduzione storica in questa Prefazione).
Dal momento che nell’autografo rossiniano è presente soltanto la
parte di basso della Sinfonia,133 non sorprende che molti manoscritti
del Barbiere manchino del tutto di una sinfonia (in alcuni casi risulta
rimossa, in altri sembra non esser mai stata presente) o la sostituiscano con un’altra (solitamente la versione della stessa Sinfonia
utilizzata con sostanziali modifiche per Elisabetta, regina d’Inghilterra
o la Sinfonia del Turco in Italia). L’edizione della Sinfonia del Barbiere
di Siviglia è complicata dall’assenza del manoscritto autografo di
Aureliano in Palmira. Eppure, il confronto di tutte le fonti secondarie
conosciute di Aureliano fornisce un quadro coerente della Sinfonia.
MO, manoscritto della Biblioteca estense universitaria di Modena
(I-MOe: Ms. F. 998) è stato scelto come fonte principale per l’edizione della Sinfonia. Esso è stato innanzitutto confrontato con gli
altri manoscritti superstiti di Aureliano e poi con le lezioni fornite dai
manoscritti del Barbiere che hanno la Sinfonia. Laddove opportuno,
ulteriori conferme sono state desunte dall’autografo dell’Elisabetta,
regina d’Inghilterra. Aspetti relativi alla strumentazione sono analizzati nella terza sezione di questa Prefazione. Le pochissime incertezze a riguardo sono descritte nelle Note Critiche.
C. Fonti a stampa
Mentre era in vita Rossini sono state stampate tre partiture complete del Barbiere di Siviglia. La prima (CB), edita a Parigi nel 1821,
riflette l’adattamento francese dell’opera realizzato da Castil-Blaze
e rappresentato per la prima volta a Lione nel settembre 1821. Essa
non si è rivelata particolarmente utile per l’edizione della partitura
principale, tuttavia ha contribuito all’analisi della prassi dell’ornamentazione al tempo di Rossini curata da Will Crutchfield nell’Ap132 Molti altri manoscritti tedeschi sono fedeli a questa tradizione, ma non
sono stati considerati significativi ai fini della presente edizione.
133 Per una più ampia trattazione, si veda la sezione «Problemi redazionali
e di esecuzione del Barbiere di Siviglia» in questa Prefazione e anche il
Commento Critico alla Sinfonia.
pendice V. La seconda partitura a stampa è romana, pubblicata dalla
ditta Ratti, Cencetti e C. (RCC) nel 1825. Sebbene abbia molti errori,
RCC presenta l’opera completa (inclusi i recitativi) nella sua forma
originale; le lezioni di questa fonte sono state prese in considerazione laddove c’erano incertezze nelle altre fonti, particolarmente nei
recitativi. La terza partitura completa, pubblicata abbastanza tardi,
nel 1864, dalla casa fiorentina Guidi (GUI) è un primo tentativo di
basare un lavoro editorale direttamente sul manoscritto autografo
di Rossini.
Il quadro degli spartiti per voce e pianoforte del Barbiere di Siviglia
è complesso e nessuno è ancora riuscito a chiarirlo in tutti i suoi
dettagli. La popolarità dell’opera, in qualsiasi forma essa fosse conosciuta, determinò un gran numero di edizioni, stampe e ristampe.
Dal momento che Rossini non fu coinvolto in nessuna di queste
pubblicazioni, esse hanno ricoperto un ruolo secondario nella preparazione della presente edizione critica. I primi spartiti134 furono
apparentemente pubblicati nei paesi di lingua tedesca, seguiti poi
da quelli francesi. Gli spartiti italiani apparvero non prima del 1827
con pvRI I. La sezione dedicata alle fonti, «Sources», nel Commento
Critico offre un ampio campione degli spartiti del Barbiere di Siviglia
pubblicati durante la prima metà del XIX secolo. Molti di essi testimoniano la tradizione di sostituire una diversa aria per Rosina
nella scena della lezione. «Cara adorata immagine», un’aria presa in
prestito dal Barone di Dolsheim di Giovanni Pacini (Milano, 23 settembre 1818), è inclusa ad esempio in alcune fonti tedesche e francesi;
«Manca un foglio» di Pietro Romani appare spesso come Aria Bartolo (N. 8a) e l’Aria Conte «Cessa di più resistere» (N. 17), quando
presente, talvolta è assegnata a Rosina (come accadde a Bologna nel
1816; si veda l’Appendice III), trasportata una quinta sopra. Anche
altri numeri risultano trasportati. Inoltre, i recitativi secchi, solitamente esclusi dagli spartiti, sono invece presenti in edizioni pubblicate da Ricordi nel 1827 e 1853 c. (pvRI I e II) e dall’editore Lucca
nel 1838 e successivamente (pvLU I e II).
D. Libretti
Il libretto stampato per l’allestimento del Barbiere di Siviglia al Teatro
Argentina a Roma durante il Carnevale 1816, l’unico, a quanto si sa,
in cui Rossini sia stato direttamente coinvolto, differisce in qualche
dettaglio dal testo messo in musica dal compositore, come del resto
accade nella maggior parte dei libretti del tempo: il testo a stampa
spesso segue regole di versificazione che il compositore non si sente
costretto a osservare; qualche volta nel libretto ci sono errori tipografici e altre volte ancora è il compositore ad aver compiuto degli
errori nello scrivere il testo in partitura. Per la prima volta nella
storia delle edizioni critiche di Rossini pubblicate sotto la direzione
di Philip Gossett, WGR stampa alla fine della presente introduzione
al testo musicale una versione concepita per la lettura del libretto
del Barbiere di Siviglia, essenzialmente nella forma messa in musica
da Rossini e i suoi collaboratori. Tuttavia, trattandosi di un testo
per la lettura, sono stati compiuti alcuni interventi per preservare
la corretta scansione metrico poetica e la forma dei versi, seguendo quando opportuno la struttura del libretto a stampa originale
(RO1816 ). Ogni intervento è segnalato in una nota a piè di pagina.
Nella sezione dedicata alle fonti, «Sources», del Commento Critico WGR fornisce informazioni sul libretto del primo allestimento
134 L’antiquario musicale specializzato, Richard Macnutt, nel suo articolo
«The early vocal scores of Rossini’s Il barbiere di Siviglia: a can of bibliographical worms», in Festschrift Otto Biba zum 60. Geburtstag, a cura di
Ingrid Fuchs (Tutzing, 2006), 705-25, cita un pasticcio inglese definendolo
«the earliest vocal score of any form of the opera to be published [il
primo spartito dell’opera ad esser stato pubblicato]» basato su un’elaborazione fatta da Henry Bishop per il Theatre Royal, Covent Garden. Per
ulteriori informazioni riguardo quest’adattamento, si veda Nadia Carnevale, «“... That’s the Barber!”. Henry Rowley Bishop e l’adattamento
del Barbiere rossiniano», in Ottocento e oltre: Scritti in onore di Raoul Meloncelli,
a cura di Francesco Izzo e Johannes Streicher (Roma, 1993), 99–113. Lo
spartito riveste comunque limitata importanza per WGR.
dell’opera a Roma (RO1816 ) e anche sulle due successive edizioni,
RO1816b e RO1816c, stampate rispettivamente nel 1824 e nel 1826.135
Nell’Appendice III, sono inoltre fornite notizie complete sui libretti
stampati per gli allestimenti a Bologna e Firenze del 1816 (BO1816 e
FI1816 ): molti dei cambiamenti introdotti in questi primi allestimenti
dell’opera entrarono poi nella tradizione esecutiva dell’opera. Infine,
nell’Appendice IV del Commento Critico sono state analizzate altre
fonti, in particolare un libretto, NA1825, che riflettono gli allestimenti
dell’opera nei teatri dialettali napoletani, a partire dal 1818 e almeno
per tutta la prima metà dell’Ottocento.
Problemi redazionali e di esecuzione del Barbiere di Siviglia
A. Orchestrazione
1. Flauto, Ottavino, Oboe
Una particolarità nell’orchestrazione del Barbiere (tranne che nella
Sinfonia; si veda più avanti) è che le parti del Flauto, dell’Ottavino e dell’Oboe sono scritte in modo tale da richiedere soltanto
due esecutori piuttosto che quattro: uno per il Flauto (con l’obbligo
dell’Ottavino) e uno per l’Oboe (con l’obbligo dell’altro Flauto e
dell’Ottavino). In tal modo, quando l’Oboe suona c’è soltanto la
parte di uno dei due Flauti o di uno dei due Ottavini; allo stesso
modo, quando suonano un Flauto e un Ottavino o la coppia di
uno o dell’altro strumento, la parte dell’Oboe non c’è. Un’orchestra
moderna non dovrebbe avere l’esigenza di utilizzare soltanto due
strumentisti (nel caso qualcuno sperasse di risparmiare in questo
modo, trovare oboisti versatili come già al tempo di Rossini potrebbe rappresentare un problema; si veda sopra, nella prima parte
di questa Prefazione) così come non dovrebbe sentire la necessità
di aggiungere una parte ‘mancante’. La situazione è diversa nel caso
della Sinfonia (si veda più avanti).
2. Chitarra
A batt. 98, la fine della prima sezione (Moderato) dell’Introduzione
(N. 1), Rossini ha scritto nell’autografo «Si sentono accordare diverse Chitarre, e poi segue». Di seguito ha segnato l’accordo a piena
orchestra in Do maggiore che apre il Largo introduttivo alla serenata
del Conte «Ecco ridente in cielo». Nella serenata, la parte per chitarra
è interamente scritta per esteso di mano di Rossini. Dal momento
che non ci sono documenti relativi all’assunzione di chitarristi in
occasione del primo allestimento, si può soltanto ipotizzare che ci
fossero almeno due chitarristi e che almeno uno dei due suonasse
la parte notata (in una copia manoscritta [RO 707] alle batt. 100-106
la chitarra è sostituita da una parte arpeggiata per Vc; in NA G alle
batt. 99–142 è aggiunta una diversa parte per Vc).
La chitarra nella Canzone del Conte (N. 3) è un caso differente.
Geltrude Righetti-Giorgi, la prima Rosina, racconta che García, nell’accompagnarsi, accordò la chitarra sul palcoscenico, suscitando le
risa del pubblico;136 in seguito l’aneddoto si arricchì della rottura
delle corde della chitarra. Il libretto e la partitura specificano che la
chitarra dev’essere suonata dal Conte, che nel recitativo precedente
riceve lo strumento da Figaro con le parole «Ecco la chitarra: presto andiamo» seguite dalla didascalia scenica «prende la chitarra,
e canta accompagnandosi». A differenza della serenata, la chitarra
nella Canzone è l’unico strumento d’accompagnamento. La partitura autografa suggerisce che García possa aver improvvisato l’accompagnamento. Rossini infatti ha scritto soltanto una successione
di accordi verso la fine della strofa per fissare la modulazione da
La minore a Do maggiore, lasciando in bianco il resto della parte. Suc135 La storia dei successivi libretti romani è stata ricostruita da Daniela
Macchione, «Strumenti della ricerca storica. Gli ‘altri’ libretti: Il barbiere
di Siviglia a Roma dopo il 1816», in Rivista italiana di musicologia XLI (2006),
261-71.
136 Righetti-Giorgi, 32–3; ristampato in Rognoni, 294. Ci si chiede se
l’accordatura delle chitarre nell’Introduzione non sortì lo stesso effetto
perché in quest’ultima erano coinvolti musicisti di scena e non l’eroe
eponimo.
XLV
cessivamente un’altra mano ha integrato un accompagnamento che
tuttavia manca nelle prime copie della partitura (FI 436, NY 77, PA
D e PR 3089). La Canzone non è presente in molte copie manoscritte e nei primi spartiti; l’accompagnamento completo dell’autografo
è riportato in NA 31 (con l’aggiunta di 6 battute introduttive) e NA
189; RO 704 e 707 condividono uno stesso, nuovo accompagnamento per chitarra che modifica anche quegli accordi segnati da
Rossini; NY 80 sostituisce l’accompagnamento della chitarra con
un accompagnamento d’arpa.
3. Sistri
Nel Barbiere di Siviglia Rossini ha fatto uso di «sister» o sistri in tre
numeri: Introduzione («Sistr»), Finale Primo («Sister / Gran Cassa»)
e Quintetto («Gran Cassa / Sistri»). La parte è notata su un’unica
altezza e nel caso del Barbiere lo strumento a percussione molto
probabilmente corrisponde al Triangolo. Dando uno sguardo all’orchestrazione di alcune delle opere precedenti e seguenti il Barbiere,
il nome dello strumento lo si trova nella partitura di Otello (1815,
soltanto nella Sinfonia137 unito a Timpani ma non alla Gran Cassa) e
Armida (1817, nell’insieme di Timpani, Gran Cassa, Piatti e «Sister»).
Il nome Triangolo d’altra parte appare nella Gazza ladra (1816, soltanto nella Sinfonia insieme a Timpani, Gran Cassa e due Tamburi),
Mosè in Egitto (1818, insieme a Timpani, Gran Cassa, Piatti e Banda
Turca), La donna del lago e Bianca e Falliero (entrambe del 1819, insieme
a Timpani, Gran Cassa e Piatti). Lo strumento è sottinteso nell’«et.»
in Semiramide (1823, «Timpani, Gran Cassa, et et.» che probabilmente
comprendeva anche i Piatti). Soltanto in Ermione (1819) entrambi i
termini appaiono nella stessa opera e all’interno di un solo numero.
Nella Sinfonia e nella Marcia (N. 5) sono indicati Timpani, Gran
Cassa, Piatti «etc.»; nel Coro (N. 2), Rossini ha scritto «Sistri» all’inizio del pezzo ma «Triangolo» all’entrata dello strumento. Si noti
dunque che l’uso di un nome piuttosto che di un altro non dipende
dal teatro per il quale l’opera fu composta.
Un articolo di Renato Meucci sugli strumenti a percussione nell’opera italiana nell’Ottocento è corredato da un’illustrazione della
disposizione dell’orchestra nel Teatro San Carlo di Napoli dopo il
1816, in cui si intravede un triangolo con tre dischi (metallici) da un
lato, contrassegnato semplicemente come «Triangolo»,138 vicino a un
Cappello cinese e Piatti (il gruppo comprende anche un Serpentone). Il Bollettino del centro rossiniano di studi recentemente ha pubblicato
un articolo del direttore d’orchestra Simone Fermani139 in cui l’autore tenta di risalire al tipo di strumento che nel Barbiere ha richiesto la
notazione della parte in crome separate a gambi in direzione alterna.
Meucci ha trovato che tale notazione era specificamente utilizzata
per vari tipi di tamburi e che la direzione alterna dei gambi probabilmente differenziava i colpi della mano destra e della sinistra. Ad
ogni modo, in riferimento alla sezione delle percussioni, Meucci
afferma che spesso si trova:
una parte destinata ai ‘sistri’ (rigorosamente al plurale) che . . . andrà
intesa come generica richiesta da parte del compositore di strumenti
della ‘banda turca’; questa richiesta, proprio per la variabilità degli
organici [dei diversi teatri], doveva di volta in volta venire adeguata
alle disponibilità locali.
A testimonianza della ‘adattabilità’ di questa sezione di strumenti
a percussione, si può citare d’altronde la prescrizione, nella
partitura rossiniana del Barbiere (all’inizio dell’aria del Conte «Cessa
di più resistere» nel II atto), di una grancassa ‘ad libitum’ il cui
137 La Sinfonia di Otello è desunta da quella di Sigismondo, tuttavia, un autografo si trova anche nella partitura di Otello.
138 Renato Meucci, «I timpani e gli strumenti a percussione nell’Ottocento
italiano», Studi verdiani 13 (1998), 183–254, in particolare 203–5, «Banda Turca», e 221–2, «Triangolo (acciarino, sistro)». L’illustrazione è a p.
242.
139 Simone Fermani, «Il sistro del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini:
un’ipotesi di riscoperta e ricostruzione», Bollettino del centro rossiniano di
studi XLVI (2006), 67–79.
XLVI
pentagramma, ad eccezione di due sole note, è completamente vuoto
. . . evidentemente delegando ad altri la cura di strumentare nella
maniera dovuta quella parte orchestrale.140
B. Sinfonia
La Sinfonia del Barbiere di Siviglia è sempre stata quella dell’Aureliano
in Palmira (1813), nonostante la leggenda di una perduta Sinfonia
originale su temi spagnoli. Nel manoscritto autografo del Barbiere di
Siviglia (A) tuttavia della Sinfonia si trova soltanto la parte per Vc e
Cb. Dall’esame delle varie fonti si evince con chiarezza che il compositore nell’utilizzare la Sinfonia nel Barbiere non vi ha apportato
alcuna modifica. Nel frattempo, in realtà, Rossini l’aveva già riutilizzata in una nuova veste e con una nuova orchestrazione nell’Elisabetta, regina d’Inghilterra (1815), ma si tratta di una versione che non
ha lasciato alcuna traccia nelle fonti della Sinfonia dell’Aureliano /
Barbiere. Il fatto che non esista la partitura completa della Sinfonia
del Barbiere in A tuttavia ha fatto sì che i manoscritti del Barbiere di
Siviglia: 1) mancano del tutto di una Sinfonia; 2) oppure utilizzano
una Sinfonia sostituta, normalmente la Sinfonia del Turco in Italia;
3) oppure adottano la Sinfonia di Elisabetta, regina d’Inghilterra.
In assenza del manoscritto autografo di Aureliano in Palmira, la presente edizione ha confrontato tutte le fonti secondarie conosciute di
Aureliano, traendone un quadro coerente della sinfonia. L’autografo
di Elisabetta, regina d’Inghilterra è stato d’aiuto nel determinare dinamica e articolazione, sebbene le differenze tra le due versioni siano tali
che le lezioni di Elisabetta non possono essere sempre adottate.
Un problema ben più importante riguarda la Sinfonia di Aureliano
e il suo riutilizzo nel Barbiere. Nell’Aureliano in Palmira Rossini ha
scritto parti per 2 Flauti, 2 Oboi, e Timpani, ma nella più modesta
orchestra del Barbiere di Siviglia il compositore aveva a disposizione soltanto due strumentisti per le parti dei Flauti e dell’Oboe e
nessuno per i Timpani (aveva invece un suonatore di Gran Cassa,
strumento che è presente anche nelle fonti di Aureliano). Ciò si rileva
con chiarezza dall’intera partitura e anche da prove documentarie
relative alla prima esecuzione, quando in orchestra c’erano soltanto
1 flautista (con l’obbligo dell’Ottavino) e 1 oboista (con l’obbligo sia
dell’altro Flauto che dell’Ottavino). In tutta l’opera, dunque, come si
è detto, non sono mai notate due parti di Oboe e laddove ci siano
due Flauti o Ottavini, l’Oboe tace.
Nessuna delle fonti del Barbiere dove la Sinfonia sia presente tuttavia sembra far caso a questa limitazione: esse semplicemente riproducono la Sinfonia di Aureliano nella sua forma originale. WGR
preferisce lasciare che i teatri d’opera prendano la loro decisione a
riguardo. Perciò in quest’edizione della Sinfonia, le parti musicali
dell’Aureliano per 2 Flauti, 2 Oboi e Timpani sono stampate a caratteri più piccoli, mentre un’elaborazione delle parti del Flauto e Oboe
con un solo strumentista per ciascuna parte, come nell’orchestrazione del Barbiere di Siviglia, presenta un compendio delle quattro parti.
Tuttavia, dal momento che è improbabile che un teatro moderno
impieghi un oboista con obbligo del Flauto e dell’Ottavino, per la
Sinfonia sarebbe appropriato utilizzare due Flauti e un Oboe, con il
secondo Flauto che suona la parte per Fl II dall’Aureliano in Palmira e
occasionalmente qualche nota della parte per Ob II dell’Aureliano.
C. Altri autoimprestiti141
Oltre alla Sinfonia, Rossini riutilizzò pochi altri temi presi dalle sue
opere, e nella maggior parte dei casi li riscrisse largamente o li collocò in un nuovo contesto. Dal momento che gli studiosi possono non
trovarsi d’accordo nell’identificare gli autoimprestiti, nessun elenco
di tali temi può essere considerato definitivo. I seguenti autoimprestiti, tuttavia, potrebbero mettere d’accordo i vari elenchi:
140 Meucci, 204–5.
141 La sezione seguente è presa in gran parte da Gossett, 25–6 (italiano
77–8).
1) Il tema di apertura dell’Introduzione (N. 1), «Piano pianissimo»,
è preso dal Sigismondo, dove appare nell’introduzione corale al secondo atto, «In segreto».
2) Il tema principale dell’assolo del Conte nell’Introduzione, «Ecco
ridente in cielo», è tratto da un coro dell’Aureliano in Palmira, «Sposa
del grande Osiride». Rossini utilizzò questo tema anche nella sua
prima cantata napoletana, Giunone, eseguita il 12 gennaio 1816 (in
assenza del compositore), per la celebrazione del compleanno del
re. In questo caso si trattava del coro d’introduzione, «Dea, cui d’intorno ai talami».
3) Parte del tema della cabaletta nella Cavatina Rosina (N. 5), «Io
sono docile», era stata già usata due volte: nell’Aureliano in Palmira,
come cabaletta («Non lasciarmi in tal momento») della Gran Scena
di Arsace; e nell’Elisabetta, regina d’Inghilterra, come tema della cabaletta («Questo cor ben lo comprende») della Cavatina Elisabetta.
4) Il tema del crescendo nell’Aria Basilio (N. 6) si trovava già nel
Sigismondo, all’interno della prima sezione del Duetto per Aldamira
e Ladislao, «Perché obbedir disdegni».
5) Melodie simili al tema della cabaletta («Ah tu solo, amor, tu
sei») del Duetto per Rosina e Figaro (N. 7) si incontrano per la
prima volta nella Cambiale di matrimonio (Venezia, Teatro San Moisè,
3 novembre 1810), nella cabaletta dell’Aria Fanni, «Vorrei spiegarvi
il giubilo».
6) Una melodia orchestrale nell’Aria Bartolo (N. 8), che accompagna il testo «I confetti alla ragazza?», proviene dal Duetto per Sofia
e Gaudenzio del Signor Bruschino, «È un bel nodo» (alle parole «Deh
quai sono a me spiegate»).
7) Molti temi nel Temporale (N. 15) sono presi da un gruppo
di simili scene disseminate nelle precedenti opere di Rossini. La
composizione più affine è il Temporale della Pietra del paragone, ma il
tema conclusivo era già presente nella sesta delle sue Sonate a quattro
giovanili, nell’ultimo movimento, «Tempesta».
8) Uno dei principali temi del Terzetto (N. 16), «Dolce nodo avventurato», era stato già usato come ultimo movimento della cantata
di Rossini per due voci e pianoforte, Egle ed Irene, scritta a Milano nel
1814, con lo stesso caratteristico intreccio delle voci, alle parole «Voi
che amate, compiangete».
9) Il tema del Finaletto Secondo, «Di sì felice innesto», era stato
utilizzato da Rossini pochi mesi prima, a Roma, per una cantata,
L’Aurora, composta in onore della principessa russa Caterina Kutusoff. Venne utilizzato come idea musicale principale dell’Allegro al
verso «E qual cagion sì insolita».142
Citazioni, reminiscenze, accenni: questi autoimprestiti ritornano
in tutte le misure e tutte le forme. Eppure, ad eccezione della Sinfonia, nessuno porta con sé un minimo accenno al suo uso o al
suo significato originale. A ognuna di queste idee Rossini attribuì
un ruolo specifico nel contesto del Barbiere di Siviglia. Non resero
certamente meno gravoso il suo impegno compositivo. Ancora una
volta è opportuno citare la Righetti-Giorgi, secondo la quale la composizione del Barbiere di Siviglia «gli costò studio, e fatica».143 Non c’è
ragione di dubitare delle sue parole.
D. Varianti vocali autografe (Appendice I)
In diverse occasioni, lo stesso Rossini preparò ornamentazioni vocali ad uso dei cantanti. Le pagine che le contengono possono o meno
specificare il loro destinatario e tra le varianti qualcuna potrebbe
riferirsi a opere di altri compositori, ma è chiaro che Rossini le scris142 Si veda E. Rudakova, «РУССКАЯ КАНТАТА Дж. РОССИНИ „АВРОРА“»,
Sovetskaja Musika, N. 8 (1955), 60-8. La cantata completa è trascritta in
un supplemento. Secondo Rudakova, il tema dell’Allegro conclusivo,
quello che Rossini ha riutilizzato nel Finaletto Secondo, è derivato da
una melodia popolare russa. Un po’ meno convincente è la teoria, esposta da Galina Kopytowa e Thomas Aigner nel saggio «Russische Volksmelodien bei Rossini und Strauss», Die Fledermaus, Mitteilung 9–10 del
Wiener Institut für Strauß-Forschung (novembre, 1995), 89–92, che il
tema dell’Aria Berta (N. 14) deriva da una melodia popolare russa.
143 Righetti-Giorgi, 26; ristampato in Rognoni, 291.
se per determinati artisti. La significatività delle varianti autografe
rispetto a quelle scritte da altri è duplice: innanzitutto la loro stessa
esistenza testimonia la piena accettazione da parte di Rossini della
prassi dell’ornamentazione come parte integrante dell’esecuzione
dell’opera italiana all’inizio dell’Ottocento; poi, da questi esempi è
anche possibile dedurre quale tipo di ornamentazione egli ritenesse
più appropriata. Ad esempio, è sulla base delle varianti che ci si
inizia a chiedere se la prassi di concludere gli allegro con note acute
e/o corone fosse del tutto conosciuta nello stile italiano al tempo di
Rossini. Per una risposta condotta sull’analisi tanto delle varianti
autografe quanto di quelle non autografe, si veda l’Appendice V.
L’Appendice I include tutte le varianti conosciute di Rossini, scritte
esclusivamente per la parte di Rosina e riguardanti sezioni della Cavatina (N. 5), il Duetto con Figaro (N. 7) e il Terzetto (N. 16). Quelle
per la Cavatina sono desunte da quattro diversi manoscritti, di cui
soltanto uno datato (1852). Le varianti per il Duetto provengono da
un manoscritto di dodici pagine redatto prima del 1839 e dedicato
alla cantante Madame de Chambure (nata Eugénie Rouget). Il manoscritto contiene variazioni per diverse opere di Rossini e di altri
compositori, ma soltanto le varianti del Barbiere sono state incluse
nella presente edizione. Anche le varianti per il Terzetto provengono da una singola fonte, priva di data, che include varianti anche per
altre opere del compositore. La notazione di Rossini è relativamente
chiara e non presenta problemi di interpretazione oltre a quelli comunemente offerti dalle sue partiture. Laddove l’ornamentazione
non sia inserita nel suo contesto e manchi ogni riferimento al pezzo
di appartenenza, il primo problema che si presenta agli studiosi
è proprio l’identificazione e la localizzazione. Nell’Appendice I le
varianti sono state identificate, localizzate e corredate del testo appropriato. Per facilitare lo studio delle varianti di «Una voce poco
fa», provenienti da più fonti, l’Appendice I presenta tutta la linea
solistica delle batt. 13–42 e 80–114 della Cavatina, con le varianti
allineate in modo appropriato.
E. Un’aria per Rosina aggiunta da Rossini nel 1819 (N. 14bis),
«Ah se è ver» (Appendice II)
Molto presto nella storia dell’opera il ruolo di Rosina iniziò ad esser
cantato da soprani, ma non fu che verso la fine del XIX secolo che si
cercò di trasformare l’eroina rossiniana in una bambola meccanica
alla Olympia di Les Contes d’Hoffman. Ci si augura che questa degenerazione della musica di Rossini, legata a cantanti come Estelle
Liebling, Lily Pons e Beverly Sills, finisca senza ulteriore trambusto.
È tuttavia ancora possibile che un soprano canti il ruolo di Rosina
senza farne una buffonata di coloratura e c’è ragione di pensare
che Rossini non avrebbe disapprovato. Infatti, sembra che lo stesso
compositore abbia preparato un’aria per il soprano Joséphine FodorMainvielle quando questa vestì il ruolo di Rosina a Venezia nella
primavera 1819. La cabaletta dell’aria «Ah se è ver che in tal momento» per la Fodor-Mainvielle è desunta da un’aria di Sigismondo,
mentre il testo e il recitativo introduttivo è adeguato al dilemma vissuto da Rosina nel punto dell’opera per cui l’aria fu concepita, poco
prima del Temporale (N. 15). L’aria fu pubblicata in riduzione per
voce e pianoforte dall’editore Girard di Napoli, città dove la FodorMainvielle cantò il ruolo di Rosina ed è probabile che la cantante
abbia usato quest’aria là dove ci sarebbe stato anche un mercato per
la sua musica. Per ulteriori informazioni riguardo all’aria e alla sua
storia, si veda la prima parte di questa Prefazione e l’Appendice II,
in cui è pubblicata un’edizione completa della composizione.
F. Una Cavatina per Rosina aggiunta nel 1816 (N. 11a),
«La mia pace, la mia calma» (Appendice III)
La prima Rosina, il mezzosoprano Geltrude Righetti-Giorgi, nel
corso del primo anno dell’opera vestì nuovamente i panni di Rosina
in due riprese, a Bologna nell’estate e a Firenze nell’autunno (si veda
Appendice III). La cantante restò così affascinata dall’aria di bravura
XLVII
(N. 17) che Rossini aveva scritto per García, il Conte Almaviva, che
la volle per sé a Bologna (perché ciò fosse possibile il recitativo precedente fu modificato nel libretto). Altre cantanti fecero simili accomodamenti e in numerose fonti musicali l’aria del Conte è passata
a Rosina. Il Carnevale seguente a quello della prima del Barbiere lo
stesso Rossini, certamente su richiesta della Righetti Giorgi, utilizzò
la musica della sezione conclusiva di quest’aria nella sezione finale
dell’aria «Non più mesta accanto al fuoco» di Cenerentola, altro
ruolo creato dalla mezzosoprano.
A Bologna la Righetti-Giorgi fu responsabile anche di un’importante modifica alla scena della lezione (N. 11), dove sostituì l’Aria
Rosina «Contra un cor» (N. 11) con una nuova Cavatina, «La mia
pace, la mia calma» (N. 11a), un pezzo il cui compositore resta sconosciuto. La Righetti-Giorgi sostituì la scena originale della lezione
anche nella successiva ripresa a Firenze, ma utilizzando un altro
pezzo (attribuito a Stefano Pavesi). Ben presto le prime donne ne
fecero una consuetudine, utilizzando anche altre arie («La mia pace,
la mia calma» si trova soltanto in quattro dei manoscritti consultati
per quest’edizione), come ad esempio la cabaletta «Di tanti palpiti»,
dalla Cavatina Tancredi dell’opera omonima, cantata da Joséphine
Fodor-Mainvielle a Parigi. La prassi si diffuse talmente che il pubblico del primo Novecento arrivò ad aspettarsi un concerto in miniatura in quel punto dell’opera.
La particolarità di «La mia pace, la mia calma», la ragione per
cui è stata inclusa in quest’edizione, risiede nel fatto che nel nuovo
contesto di quest’aria fu inserito il tempo di mezzo dell’aria originale di Rossini. Ciò valga dunque come suggerimento ai cantanti
moderni su come l’uso di arie sostitute possa esser fatto in modo
più pertinente nel Barbiere con un simile adattamento del tempo di
mezzo originale di Rossini.
G. Un’aria per Bartolo aggiunta nel 1816 (N. 8a),
«Manca un foglio» (Appendice III)
Nell’autunno 1816, al Teatro della Pergola di Firenze ebbe luogo
la seconda ripresa documentata del Barbiere di Siviglia. Per quest’allestimento fu introdotta una modifica significativa nella parte di
Bartolo, cantata da Paolo Rosich: la grande aria per buffo scritta
da Rossini «A un Dottor della mia sorte» (N. 8) fu sostituita da
«Manca un foglio» (N. 8a), scritta dal compositore Pietro Romani,
una figura connessa al teatro fiorentino per gran parte della prima
metà del secolo. «Manca un foglio» conobbe un’immediata ed ampia
diffusione ed è presente in quasi la metà dei manoscritti studiati per
la presente edizione. Geltrude Righetti-Giorgi, nel ruolo di Rosina
anche a Firenze, nelle sue memorie menziona quest’aria e dichiara
che Rossini non era infastidito dal fatto che venisse cantata nella sua
opera (si veda sopra nella prima parte di questa Prefazione). Non
è tuttavia provato che Rossini fosse a conoscenza dell’allestimento
fiorentino e si può soltanto immaginare che avrebbe preferito un
Bartolo che cantasse «Manca un foglio» bene piuttosto che «A un
Dottor della mia sorte» male. Dal momento che l’aria di Romani
fu parte integrante delle rappresentazioni del Barbiere ancora nel
Novecento (specialmente fuori d’Italia), quest’edizione la include
nell’Appendice III.
H. La versione napoletana (Appendice IV)
A Napoli, a partire dall’ottobre 1818, l’opera riscosse un enorme
successo e sebbene non sembra esser stato direttamente coinvolto in
nessuna delle riprese, il compositore non avrebbe potuto ignorarne
l’esito. Il Teatro San Carlo, il principale teatro napoletano che solitamente allestiva soltanto opere serie, non mise in scena Il barbiere di
Siviglia fino al 1821.144 Dunque, la prima napoletana dell’opera ebbe
luogo al Teatro La Fenice, uno dei piccoli teatri d’opera della città
partenopea che non erano gestiti dall’impresario Barbaja. Era consuetudine del Teatro La Fenice di Napoli allestire opere con dialoghi
144 Si veda Lettere e documenti, I: 76n.
XLVIII
in prosa al posto dei recitativi, e il protagonista comico che recitava
in dialetto napoletano. A quel tempo il principale adattore di libretti in dialetto napoletano era Filippo Cammarano, conosciuto
in particolare per i suoi lavori sulle opere del Goldoni. Secondo gli
annunci pubblicati sul Giornale del Regno delle Due Sicilie, dall’ottobre
1818 al marzo 1820, ci furono più di cento rappresentazioni del Barbiere prima al Teatro La Fenice e poi in altri piccoli teatri, il Teatro
Nuovo e il Teatro San Carlino, cui si aggiunsero le rappresentazioni
della stagione 1820-1821 al Teatro San Ferdinando. C’è motivo di
credere che tutti questi allestimenti utilizzassero una versione dell’opera con il recitativo sostituito dal dialogo parlato e Don Bartolo
che parlava in dialetto napoletano. Anche se dell’opera in questa
veste non si conosce nessun libretto precedente a quello del 1825
(NA1825 ), questa è documentata in una partitura manoscritta superstite conservata al Conservatorio di Napoli (NA 189-190), versione
ampiamente illustrata da WGR nell’Appendice IV.
I. L’ornamentazione (Appendice V a cura di Will Crutchfield)
Il barbiere di Siviglia fu composta in tempi quando l’abbondante variazione delle linee vocali era ancora fondamentale nell’interpretazione
operistica, nei giudizi del pubblico e nel mestiere del cantante. Le
varianti scritte da Rossini sono la migliore testimonianza di come
il compositore abbia aderito a questa prassi; nel caso del Barbiere si
ha a disposizione un’ampia offerta di interventi di sua mano estremamente istruttiva anche se limitata alla parte di Rosina (si veda
Appendice I). Molti altri artisti, tuttavia, hanno lasciato documenti
che vanno ad aggiungersi, integrandoli, a quelli di Rossini. Alcune varianti sono state poi aggiunte in varie partiture manoscritte
studiate per quest’edizione, come anche in alcuni spartiti per canto
e pianoforte. Cantanti come Laure Cinti-Damoreau possedevano
taccuini con variazioni. Nelle edizioni a stampa le ornamentazioni possono trovarsi nella linea vocale senza nessuna indicazione
che le identifichi come varianti o le attribuisca a un dato cantante,
come invece accade nell’edizione Carli del N. 7, il Duetto di Rosina
e Figaro (1821 c.), che riporta sul frontespizio: «Duo / Chanté par
M.me Fodor et M.r Pellegrini / dans le Barbier de Séville / Musique
de Rossini / avec tous les agrémens que ces deux chanteurs y font,
écrits par eux mêmes».145 Anche le edizioni a stampa di elaborazioni
per pianoforte solo o a quattro mani e per altri strumenti spesso hanno ornamentazioni. Fonte importante di notizie relative alla
prassi dell’ornamentazione sono i manuali, particolarmente l’Art du
chant di Manuel García Jr., figlio del grande tenore che creò il ruolo
del Conte Almaviva.
Dopo aver raccolto per diversi decenni numerosi esempi di ornamentazioni, Will Crutchfield li ha analizzati e messi in ordine
utilizzandoli nella presente edizione per illustrare i tipi di varianti
impiegati da cantanti contemporanei di Rossini o a questi riconducibili. Chi usa la presente edizione, che scelga o meno di adottare uno
stile tardivo, potrebbe essere interessato a conoscere come venissero
accolti questi elementi stilistici dagli stessi colleghi di Rossini e dal
pubblico. L’impressione ricavata dalle fonti dell’epoca è che non
fossero i cantanti a scegliere una data variante per una particolare
ragione, ma che piuttosto si trattasse della spontanea adesione a
un linguaggio musicale tanto del compositore che dell’interprete in
un milieu musicale dove il rispetto delle idee del compositore non
sembrava contraddire la libertà degli esecutori di parafrasare quelle
idee o di sostituire la loro superficie con personali invenzioni.
145 «Duo / cantato da M.me Fodor e M.r Pellegrini / nel Barbiere di Siviglia.
Musica di Rossini / con tutti gli ornamenti introdotti dai due cantanti,
composti da loro stessi». Per ulteriori informazioni, si veda l’Appendice
V nel Commento Critico.
J. Lisa/Berta
Un finto problema nel Barbiere di Siviglia è la questione del nome che
Rossini in un primo momento pensò dovesse essere quello della
seconda donna, un soprano: Lisa e non Berta.146 Nel Finale Primo
(N. 9) il compositore scrisse il nome Lisa per tre volte, ma lo corresse
due volte (per uno di questi esempi si veda il secondo facsimile).
Trattandosi della prima volta nell’opera in cui Berta canta in un
numero concertato, Rossini potrebbe aver avuto delle incertezze
riguardo al nome corretto. Il personaggio appare nuovamente in
un contesto simile soltanto nella sua aria (N. 14), dove è chiamato
soltanto Berta, e nel Finaletto Secondo (N. 18), dove occupa la parte più acuta. I compositori dei recitativi utilizzano sempre il nome
Berta.
Se si seguono precisamente le indicazioni di Rossini non c’è ragione di scambiare le parti di Berta e Rosina nel Finale Primo. L’unico punto in cui Rosina canta sopra Berta in modo significativo è a
176-190, una ripresa di 72-86, dove Rosina chiaramente deve avere
la parte melodica principale. Naturalmente è Berta che sale al do 5
alla fine del Finale Primo (655 e 663), come Rossini ha indicato con
chiarezza.
Ringraziamenti
Editors—and other scholars on whose labors they build—must
find and evaluate sources, struggle with their contradictions and
uncertainties, seek feedback from performers, proofread over and
over in order to eliminate inadvertent error (not even the best
edition is error-free). There is romance, to be sure, but also much
Sitzfleisch. Through all of this, however, the critical editions continue
to recognize the composer as the central figure in the Italian operatic
landscape and to seek where possible to reproduce his voice as fully
and accurately as possible.147
Per la collaborazione prestata nella localizzazione e nell’esame
delle fonti, si ringraziano innanzitutto le biblioteche che hanno
fornito copie dei numerosi manoscritti ed edizioni a stampa studiati nel preparare questo volume (si veda l’elenco delle fonti principali). Nonostante la sempre più avanzata tecnologia applicata ai
servizi nelle biblioteche, alcuni bibliotecari hanno prestato la loro
assistenza personalmente ed è per il loro aiuto che si ringraziano
(in ordine alfabetico): Fran Barulich, Pierpont Morgan Library; Pierangelo Bellettini, Museo internazionale e biblioteca della musica
di Bologna; Domenico Carboni, Conservatorio «S. Cecilia», Roma;
Andrea Cawelti, Houghton Library, Harvard University; Robert
Dennis, Loeb Music Library, Harvard University; Johan Eeckeloo,
Royal Conservatory Library, Bruxelles; Denise Gallo, Library of
Congress; François-Pierre Goy, Bibliothèque nationale de France; Tiziana Grande, Conservatorio «S. Pietro a Majella», Napoli;
Ryan Hendrickson, Howard Gotlieb Archival Research Center,
Boston University; Douglas Hoeck, Northwestern University Music Library; Sabine Kurth, Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di
Baviera; Francesco Melisi, Conservatorio «S. Pietro a Majella», Napoli; Diane Ota, Boston Public Library; Maria Adele Ziino Ponte-
146 Si rammenti che in Beaumarchais i due servi, uomini entrambi, sono
chiamati «La Jeunesse» e «L’Éveillé», mentre nell’opera di Paisiello c’è un
unico servo.
147 Philip Gossett, Divas and Scholars: Performing Italian Opera (Chicago, 2006),
165: «I curatori delle edizioni critiche—e gli altri studiosi sul cui lavoro
si basano—devono trovare e valutare le fonti, tormentarsi con le loro
contraddizioni e incertezze, cercare riscontri da parte degli esecutori,
tornare sopra le bozze ancora e ancora per scovare degli errori involontari (neppure la migliore delle edizioni ne è immune). Certamente
c’è del romanzesco, ma anche tanto Sitzfleisch. Con tutto ciò, le edizioni
critiche continuano a riconoscere nel compositore la figura centrale nel
panorama dell’opera italiana e a cercare dove possibile di riprodurre la
sua voce nel modo più completo e accurato possibile».
corvo, Accademia Filarmonica, Roma; Licia Sirch, Conservatorio
«G. Verdi», Milano.
Oltre a bibliotecari, anche collezionisti, antiquari e studiosi hanno aiutato a localizzare ed esaminare le fonti. Si ringraziano: Marco
Beghelli per informazioni su Zamboni; Franz Beyer, Monaco di Baviera, per aver permesso di esaminare direttamente l’autografo delle
varianti vocali di Rossini in suo possesso; Maria Birbili per l’aiuto
nelle ricerche a Napoli; Mauro Bucarelli per aver per primo segnalato un manoscritto non ancora catalogato del Fondo Michotte a
Bruxelles; Rosa Cafiero per averci dato accesso al suo database dei
giornali napoletani; James Camner per aver offerto gentilmente la
copia di una lettera importante di Rossini; Lisa Cox per aver prontamente aiutato a localizzare la «Dichiarazione» di Sterbini; Mark
Everist per aver esaminato fonti conservate alla Bibliothèque nationale de France; Saverio Lamacchia per aver condiviso una versione
preliminare del suo libro sul Barbiere di Siviglia prima della pubblicazione, che include trascrizioni di documenti dall’archivio Sforza
Cesarini; Richard Macnutt per l’aiuto con i primi spartiti a stampa
dell’opera; Reto Müller per aver segnalato la presenza sul mercato
della «Dichiarazione» di Sterbini; Fiamma Nicolodi per aiuto con le
fonti fiorentine; Hilary Poriss per informazioni sulle arie sostitute
nella scena della lezione; John M. Ward, Professor emeritus presso
l’Harvard University, per i numerosi favori riguardanti la considerevole collezione di partiture a stampa che sta raccogliendo per
la Houghton Library dell’Harvard University; Agostino Ziino per
l’aiuto con le fonti all’Accademia Filarmonica di Roma.
La presente edizione nella forma preliminare ha avuto la fortuna
di tre diversi allestimenti; siamo grati agli esecutori per l’incoraggiamento e le loro reazioni. In particolare, ringraziamo: dell’allestimento al Chicago Lyric Opera nel febbraio-marzo 2008, il direttore
d’orchestra Donato Renzetti, Joyce Di Donato (Rosina) e tutto il
cast, nonché il bibliotecario John Rosenkrans; dell’allestimento a
Caramoor (New York) nel luglio 2008, il direttore d’orchestra Will
Crutchfield; dell’allestimento a Baden-Baden nell’ottobre 2008, il
direttore d’orchestra Thomas Hengelbrock e il Dramaturg Thomas
Krümpelmann. Della Bärenreiter-Verlag, Kassel, ringraziamo Wolfgang Thein, Annette Thein, Douglas Woodfull-Harris, Tobias Gebauer e tutto lo staff, per essersi tanto impegnati nella realizzazione
di un’edizione bella e accurata.
Come sempre, c’è anche chi ha aiutato in così tanti o insoliti
modi che i loro contributi non possono essere enumerati; tra questi:
Charles Brauner, Daniela Macchione e Sergio Ragni.
Sono molti anni che lavoro con Philip Gossett e da lui, erudito
prelibato, continuo ad apprendere, ed è sulle sue fatiche che quest’edizione è stata costruita. Gossett come direttore d’edizioni è
profondamente e attivamente coinvolto in ogni fase del lavoro ed
è grazie a lui che le edizioni critiche della musica di Rossini sono
così ben accolte tanto dagli interpreti che dagli studiosi. Questo
volume avrebbe dovuto recare anche la sua firma ed è con umiltà
e con gioia che ringrazio sopra tutti Philip Gossett, al quale va il
seguente finaletto:
ROS. Costò sospiri e pene – un sì felice istante . . .
FIG. Ecco che fa un’Inutil precauzione.
Patricia B. Brauner
Oak Park, Illinois
ottobre 2008
XLIX