Corriere della Sera - NAZIONALE sezione: Lavoro - data: 2007-06-29 num: - pag: 36
categoria: REDAZIONALE
Progettazione, marketing e comunicazione: si allargano gli orizzonti di lavoro dei
professionisti di disegno industriale
Il design? E' un affare da manager
Da Ferretti a iGuzzini, cresce il numero di aziende che puntano sull'artista
businessman
Il design come fattore decisionale al momento degli acquisti? Risposta affermativa, visto che il
consumatore gli attribuisce un ruolo di primaria importanza. Che si tratti di un telefonino piuttosto
che di un'auto, ma anche di un bene per la casa o di largo consumo. Così tra due prodotti con
caratteristiche analoghe, a parità di rapporto prezzo-prestazioni, risulterà vincente quello dal
design più accattivante. Ecco perché la figura del designer, da sempre, si preoccupa di progettare
oggetti belli e funzionali. Adesso però cambiano le regole, e il designer deve avere un occhio di
riguardo anche per vendite e business. Giocando un ruolo strategico nelle azioni di marketing e di
comunicazione, e integrandosi all'interno dello staff manageriale. Non a caso Lars Wallentin,
professore al Design Royal Institute di Stoccolma e vice presidente Nestec Itd (Gruppo Nestlé),
parla già di re-design, per indicare l'evoluzione in atto nei settori della progettazione dei prodotti.
«Oggi — spiega Wallentin — non possiamo separare le persone che si occupano di design di
prodotto, da chi deve dare il consenso del marketing e dai responsabili commerciali». In questo
contesto si sviluppano competenze «volte a superare le barriere del design tradizionale». Adesso
alla nuova figura sono richieste capacità di branding, seguendo principi di ecologia e compatibilità
dei materiali, ma — continua Wallentin — «anche la buona conoscenza delle opportunità offerte da
mondo informatico e dal web».
TRA YACHT, LAMPADE E POLTRONE —
Anche nel nostro Paese sta facendo capolino questa nuova tendenza, che cerca di accorpare
competenze manageriali e capacità artistiche. A fronte di aziende come Kartell, che per ora
ricorrono più volentieri a team in cui i designer operano in stretto contatto con i manager
marketing, troviamo società come Riva (gruppo Ferretti), dove da anni i responsabili del design
hanno sviluppato competenze rivolte al business aziendale. Non solo. L'architetto Piergiovanni
Ceregioli, direttore del centro studi iGuzzini, precisa che «nello sviluppo dei nostri prodotti è
presente da tempo la figura dell'art director, in grado di coniugare capacità di designer con il
business aziendale ». Ci sono poi anche altre società, dal design d'interni al lusso, dove questa
figura inizia ad affermarsi.
In effetti, la globalizzazione dei mercati richiede figure che sappiano operare in modo
interdisciplinare, sfruttando le sinergie di gruppo. Il nuovo manager designer deve quindi parlare il
linguaggio del management, e suggerire le opportunità nate dalle richieste dei "piani alti". Non
bisogna però cadere nell'errore di mettere sul mercato figure semplicemente a metà strada.
Spiega a proposito Roberto Verganti, ordinario di gestione dell'innovazione alla School of
Management del Politecnico di Milano: «Un designer deve innanzitutto essere un buon designer e
un manager un buon manager. Solo così un team riesce a integrare il meglio delle competenze».
Lo sanno bene all'Alta scuola politecnica, dove lavorano sull'interdisciplinarietà, aggiungendo
percorsi formativi addizionale per diverse discipline, senza però sacrificare la preparazione
specialistica. Il consiglio, prosegue Verganti, è quindi «studiare in una scuola di design di alto
livello, per poi approfondire le conoscenze acquisite con un percorso di management in una
business school specializzata».
E per quanto riguarda la retribuzione? Come tutte le professioni creative, soprattutto quelle
innovative, non esiste un inquadramento fisso. «Dipende tutto dalla qualità del professionista —
risponde il docente —, si può arrivare a remunerazioni di centinaia di migliaia di euro».
GLI INCUBATORI — Se nell'accezione comune gli studenti di design sono considerati individualisti,
perché si pensa ancora che un'idea creativa sia il frutto di una sola mente, negli ultimi anni invece
il panorama è cambiato. Spiega Anna Barbara, docente dell'area design alla Nuova accademia di
belle arti di Milano: «Accademie come la nostra iniziano ad assumere il ruolo di incubatori di
impresa, dove i giovani sperimentano formule di collaborazione con professionisti e aziende». La
formazione in accademia copre quindi quella fase di start-up lavorativo che sempre più potrà
diventare, in futuro, il cuore della formazione.
Ecco perché diverse scuole di design hanno introdotto materie curricolari come marketing e
sociologia, ma soprattutto master e stages che coinvolgano i futuri manager designer nei
programmi aziendali. Arte e gestione insieme, quindi. Ma per Emanuele Soldini, direttore dello Ied
(Istituto europeo di design), «nel nostro Paese non esiste una figura unica che comprenda
entrambi i ruoli». «Tuttavia», aggiunge, «vengono richieste competenze miste con sempre
maggiore insistenza ». Così si fa strada l'esempio del corso di Yacht Design che lo Ied tiene nelle
sede di Venezia. Qui il designer esperto di architettura d'interni per barche di lusso deve fare i
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conti con budget, consigli di amministrazione e azioni di marketing.
Umberto Torelli
Il caso
E a scuola più coreani che italiani
A studiare design, uno dei simboli del made in Italy nel mondo, ci sono più coreani che italiani. E
questo succede a Milano, non a Seoul. In una scuola italiana, Domus Academy, uno dei 26 migliori
istituti del settore, in Asia ed Europa, secondo il settimanale americano «Business Week». Tra i
192 studenti iscritti all'anno accademico 2006-2007, gli italiani sono infatti solo 21.
A fronte di 37 coreani, 18 cinesi di Taiwan, 16 indiani, 11 turchi... Forse, uno dei vantaggi
competitivi rimasti all'Italia nella «guerra» della globalizzazione, il design con le sue applicazioni,
sta piano piano (anche questo) scivolando verso l'Asia.
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