Liberalizzare le professioni: se non ora, quando? di Lorenzo Castellani. Arriva la manovra finanziaria e le caste professionali si ribellano. In testa alla rivolta la sempre ultraconservatrice categoria forense. Forti le resistenze di un certo gruppo di parlamentari del Pdl nei confronti della riforma delle libere professioni. Non è ancora chiaro come la norma che modifica gli ordini degli avvocati e dei notai sarà emendata nel testo definitivo del decreto, ma la violenza della protesta, che minacciava addirittura di dimissionare il ministro dell’Economia, è davvero significativa. La funzione degli ordini professionali dovrebbe essere quella di garantire la professionalità e la deontologia di chi esercita una specifica professione, funzione che potrebbe essere meglio gestita magari da organismi terzi in base al principio liberale per il quale non è mai opportuno che controllori e controllati coincidano. In Italia però gli ordini esercitano una funzione diversa. Costituiscono una rocca difensiva per chi esercita una professione , nei confronti di chi, soprattutto i giovani laureati, intende competere in quel mercato. Il sistema italiano è imperniato sugli ordini di categoria: ogni professione riconducibile ad un’attività intellettuale, cioè svolta da lavoratori autonomi (avvocati, ingegneri, contabili, architetti), e strutturata attraverso un ordine. Ora confrontiamo questo sistema con un Paese come il Regno Unito. In Inghilterra l’organizzazione della professione attraverso un ordine rappresenta l’eccezione: la norma vede l’esistenza di associazioni professionali i cui membri hanno il diritto di fregiarsi del titolo di professionista “certificato”. Generalmente, però, l’esercizio dell’attività professionale è permesso a chiunque. Non ci sono barriere all’entrata, vincoli costituzionali, vincoli di cittadinanza. Inoltre in Gran Bretagna i professionisti hanno la piena autonomia di contrattare il prezzo dei propri lavori, senza badare a limiti imposti dalla legge, come avviene in Italia. Il fatto che ci sia un tariffario emanato per legge rappresenta la principale causa della mancanza di liberalizzazione nel settore.Il fatto che il prezzo non possa essere deciso dal mercato e il fattore scatenante l’assenza di concorrenza. Il confronto tra Italia e Inghilterra fa, quindi, emergere la rigidità elevatissima che contraddistingue il nostro Paese. Per quanto riguarda il momento dell’avvio dell’attività, i giovani, al termine del percorso di studi, non possono iniziare ad esercitare la professione, ma sono costretti a superare un esame di Stato, quasi completamente controllato dal relativo ordine. Molto spesso il neo laureato deve prestare la propria attività in modo gratuito sotto forma di “praticantato”. Ciò viene normalmente giustificato appellandosi alla necessità di acquisire una professionalità di tipo pratico sotto la guida di un soggetto esperto, che esercita da alcuni anni. La motivazione è giusta e condivisibile fino al momento in cui il tirocinante davvero e messo in condizione di sfruttare quelle ore per apprendere e crescere. Nel momento, però, in cui i praticanti divengono mano d’opera specializzata a costo zero, questa forma di tirocinio diviene inutile e controproducente, ai limiti del servilismo. Il sistema degli ordini di categoria di fatto rallenta e ostacola lo sviluppo di un mercato concorrenziale. Questo significa prezzi bloccati senza possibilità di abbassarli al di sotto di quanto previsto dal tariffario. Con buona pace delle tasche del cliente. Naturalmente sussistono aspetti economicamente importanti e delicati come il destino delle casse previdenziali e assistenziali degli ordini, ma si dovrebbero creare delle situazioni transitorie che viaggino verso una completa liberalizzazione delle professioni. Solo che il concetto di liberalizzazione è sempre gradito quando tocca ad altri e percepito invece come una sgradevole coercizione regolativa quando tocca alla propria corporazione. E’ la politica NIMBY (not in my back yard). Liberali per gli altri sempre, ma quando si tratta del proprio giardino mai. Atteggiamento politico che riassume le non scelte e le mancate riforme di quasi tutto l’ultimo ventennio italiano. E’ poi singolare il fatto che parlamentari eletti come rappresentanti del popolo ritengano che la propria appartenenza ad una casta professionale possa prevalere sul mandato elettorale. Comportamenti che suonano come tradimento dell’interesse generale e del bene pubblico di gran parte della classe dirigente made in Italy. La liberalizzazione delle professioni appare oggi come un problema politico più ampio rispetto a quello della singola riforma degli ordini. Il problema di non sottostare a ricatti irragionevoli dettati da meri interessi di parte. In un Paese dove le cieche partigianerie politiche e corporative sembrano poter imbrigliare, anche in un grave momento di crisi economica, lo sviluppo di un sistema concorrenziale che non può che favorire consumatori ,cittadini e giovani laureati.