autocorrelazione spaziale

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Corso di Popolazione e territorio
A.A. 2007-2008
Appunti ad uso interno
AUTOCORRELAZIONE SPAZIALE
Nello studio di variabili statistiche spaziali, cioè con valori che rappresentano la variabile in aree
territoriali, il tema dell’autocorrelazione spaziale si traduce nel verificare se la presenza di una
particolare intensità di un fenomeno in una determinata area implichi la presenza dello stesso
fenomeno nelle aree contigue.
Per capire cosa s’intende per autocorrelazione spaziale esaminiamo il termine. L’elemento più
importante è costituito dalla parola “correlazione”. In generale, la correlazione misura la relazione
prevalente fra una coppia di variabili. I coefficienti utilizzati normalmente in statistica forniscono
informazioni sulla sua natura e il suo grado. Il segno del coefficiente di correlazione informa sulla
natura della relazione: il segno + indica una relazione diretta, il segno – indica una relazione
inversa. Il valore numerico indica invece la forza della relazione.
Se  è il coefficiente:
  1 La relazione è forte
  0 La relazione è debole
Nel caso in cui le variabili sono misurate su scala intervallo/rapporto, il coefficiente di correlazione
è quello di Pearson.
Nel termine autocorrelazione spaziale, è inoltre contenuto il suffisso auto: dato che si considera una
sola variabile la correlazione, in questo caso, riguarda il legame tra coppie di osservazioni della
stessa variabile. Questo tipo di correlazione si verifica perché le realizzazioni della variabile in
questione sono ordinate in qualche modo.
L’autocorrelazione può dunque essere definita come la relazione tra i valori di una certa variabile
attribuibile a un qualche ordinamento dei suoi valori.
Tale presupposto va contro l’analisi statistica classica, secondo la quale non esiste un tale
ordinamento dei valori e dunque le osservazioni sono sempre, a coppie, indipendenti. Tuttavia, nella
maggior parte dei casi, i dati spaziali non sono indipendenti: accade infatti che osservazioni che si
riferiscono ad aree più vicine mostrino meno variabilità di dati relativi ad aree che risultano più
lontane tra loro. L’esatta natura di questo modello, tuttavia, varia al variare dell’insieme di dati,
poiché ciascun data-set ha la sua funzione di variabilità e distanza fra i dati.
Tale variabilità è generalmente calcolata attraverso una funzione chiamata semi-varianza, descritta
dalla:
2

z x  h   z x 
 h   
nh 
i 1
n(h)
,
in cui z definisce un valore in una particolare localizzazione, h è la distanza fra i valori e n(h) è il
numero di coppie di valori la cui distanza è pari ad h.
La rappresentazione della funzione sul piano cartesiano è chiamata semi-variogramma (o
semplicemente variogramma).
L’ordinamento da cui dipende l’esistenza dell’autocorrelazione spaziale può essere descritto come
una configurazione spaziale degli n valori osservati di una certa variabile X e può essere descritto
da una matrice (n x n) di valori Wij , cioè la matrice W, in cui le etichette di riga e colonna sono le
osservazioni.
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Gli 0 della matrice indicano che le osservazioni corrispondenti alle righe e alle colonne non sono
contigue nell’ordine di associazione, mentre la presenza del valore 1 indica la contiguità tra le unità
corrispondenti alla riga e alla colonna della matrice.
Pertanto, nell’espressione autocorrelazione spaziale, il termine “spaziale” si riferisce al modo in cui
i valori di una certa variabile X sono ordinati su una superficie piana.
Ovviamente, se i dati raccolti sono punti, poiché i punti non possono essere contigui nel senso
fisico del termine, è necessario trovare un sistema per trasformare la prossimità di coppie di punti in
un ordinamento spaziale su di un piano.
Tra questi metodi è particolarmente noto il metodo dei poligoni di Thiessen.
Il metodo dei poligoni di Thiessen permette di suddividere geometricamente lo spazio in zone di
pertinenza di ogni punto. A ciascuno di essi viene attribuita un’area che si trova più vicina a esso
che a qualunque degli altri punti. Lo spazio viene così suddiviso da una serie di linee che sono
equidistanti dai due punti a esse più vicini. Il risultato sarà, pertanto, una serie di poligoni, tanti
quanti sono i punti, all’interno dei quali se ne troverà solo uno.
La caratteristica dei poligoni di Thiessen è che ad ogni dato puntuale viene associata un’area; lo
spazio all’interno di quell’area assume i valori più vicini a quelli del valore puntuale che a qualsiasi
altro punto. Questo è un modo di mostrare aree individuali di influenza attorno ad ogni set di punti e
può essere un potente strumento analitico di visualizzazione.
I poligoni sono costruiti a partire dall’unione con linee rette dei punti vicini più vicini (si creano i
triangoli di Delaunay); su tali connettori vengono costruite le rette perpendicolari bisettrici; il loro
punto d’incontro (i baricentri dei triangoli di Delaunay) sono i vertici dei poligoni di Thiessen.
A
B
D
C
E
Pertanto, l’autocorrelazione spaziale può essere definita come la relazione tra i valori di una certa
variabile che è attribuibile al modo in cui le corrispondenti unità areali sono disposte su una
superficie piana..
A
B
C
D
E
A
0
1
1
1
0
B
1
0
0
1
1
C
1
0
0
1
0
D
1
1
1
0
1
E
0
1
0
1
0
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La matrice così costruita avrà valori 0 quando i poligoni non sono contigui (per definizione un’area
non può essere contigua a se stessa), avrà invece valore 1 se le aree sono contigue.
Un’importante proprietà della matrice W è che è simmetrica.
Concetto e definizione operativa di contiguità
Si può in primo luogo osservare come sostanzialmente la contiguità spaziale sia un fattore che
interagisce con il fenomeno studiato, con ruoli ed effetti non molto diversi da quelli che si hanno nel
campo della ricerca sperimentale (ad esempio l’interazione dovuta all’appartenenza delle cavie alla
stessa nidiata, o l’interazione dovuta al sovrapporsi dei trattamenti).
Una seconda osservazione riguarda il fatto che la prossimità spaziale è spesso un fattore che non è
possibile tenere sotto controllo in maniera adeguata; ciò accade sia per le difficoltà connesse alla
definizione (forma e dimensione) delle unità territoriali di rilevazione, sia perché i fenomeni sociodemografici sono rilevati su unità amministrative le quali hanno, come abbiamo visto, le più diverse
forme ed estensioni, e sono pertanto assoggettate all’azione del fattore della contiguità con intensità
anche notevolmente diversa.
Possono inoltre sussistere, soprattutto nel campo socio-demografico, altri elementi di contatto tra le
unità territoriali che giocano anch’essi il ruolo di fattori di interazione e che possono interagire con
la contiguità spaziale. Ad esempio questi fattori possono essere identificati dalla lunghezza del
confine tra due unità territoriali, da collegamenti stradali, ferroviari ed aerei esistenti tra le unità; e
non è difficile immaginare che anche in altri campi di indagine possano presentarsi fattori di
interazione che si aggiungono e si sovrappongono a quello della contiguità.
Concettualmente la contiguità spaziale è una relazione che riguarda coppie di unità; date quindi n
unità le relazioni di contiguità delle n2 possibili coppie ordinate di unità possono essere
rappresentate sulla matrice W descritta più sopra.
Nella sua forma generalizzata, gli elementi wij della matrice W sono numeri non negativi che
esprimono l’intensità con cui la circostanza della contiguità agisce sulle determinazioni del
fenomeno nelle unità i e j.
Per quanto riguarda la definizione operativa di contiguità, nel caso più semplice in cui le unità
territoriali sono individuate da una griglia regolare con celle quadrate la prossimità spaziale fra due
celle può essere definita dall’avere uno dei lati in comune (caso della “torre”) o dall’avere uno dei
vertici in comune (caso dell”alfiere”) o almeno uno di entrambi (caso della “regina”):
Rooks Case
Bishops Case
Queen’s (King) Case
Di questi, il modello più semplice e più comunemente usato è il Rooks Case (caso della torre), e
in seguito, ad esso si farà riferimento ove non altrimenti specificato.
Nel caso di unità di forma irregolare (unità amministrative) la contiguità fra due unità può essere
data dall’esistenza di un confine in comune oppure può essere espressa in funzione della lunghezza
di tale confine o della distanza fra i baricentri geografici (o ancora tra i centroidi di popolazione);
inoltre, tale distanza può essere misurata in linea d’aria o seguendo le strade di collegamento oppure
essere espressa da una funzione che tenga conto di più elementi insieme, come ad esempio, la
funzione
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g ij  Dij a Bib( j )  wij
dove Dij è la distanza tra le unità i-esima e j-esima, misurata tra due opportuni punti e Bi(j) è la
proporzione del confine dell’unità i-esima che è anche confine dell’unità j-esima j (si ha però in
generale wij ≠ wji).
Nel definire la funzione g si potrebbe anche tener conto di elementi di natura non spaziale come il
tempo di percorrenza per recarsi da una unità all’altra. Si può anzi dire che nel contesto del
fenomeno studiato si dovrebbe tener conto di ogni circostanza che si ritenga capace di interagire
con il fenomeno. Pertanto, al primitivo concetto di contiguo si è nel corso del tempo affiancato il
concetto di interconnesso.
La definizione del sistema di interconnessioni (cioè la matrice dei pesi wij) è dunque il problema di
fondo per affrontare la misura dell’autocorrelazione. La matrice W è però soltanto una scelta del
ricercatore, un’ipotesi di lavoro rispetto alla quale assume significato l’analisi della correlazione; se
infatti dall’analisi non emerge la presenza di autocorrelazione spaziale vuol dire che il
comportamento del fenomeno nelle unità interconnesse non si differenzia da quello riguardante il
complesso delle coppie di unità e questo può indicare sia assenza di autocorrelazione, sia la non
adeguatezza dello schema di interconnessioni introdotte nel contesto di indagine .
Da ciò consegue l’importanza, nella fase preliminare alla conduzione di una analisi di
autocorrelazione spaziale, della raccolta di tutte le informazioni utili a far luce sulle relazioni che
legano le coppie di unità interconnesse.
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Misura dell’autocorrelazione spaziale
In presenza di autocorrelazione spaziale positiva, valori simili della variabile risultano spazialmente
raggruppati, mentre in presenza di autocorrelazione spaziale negativa, risultano spazialmente
raggruppati i valori dissimili della variabile; l’assenza di autocorrelazione spaziale indica una
distribuzione casuale dei valori nello spazio.
Quali intervalli di valori assegnare ai termini “positiva”, “negativa” o “assenza” di autocorrelazione
spaziale è un problema che trova infinite soluzioni.
ESEMPIO
Supponiamo che la variabile sia “caratteristica urbana del territorio”, e che questa variabile abbia
solo due modalità, urbano (U) e rurale (R); vi sono allora 4 possibili tipi di adiacenza:
UU
UR
RU
RR
Ciascuna delle possibili combinazioni ricorre casualmente 0,25 volte, quindi le aree con valori
dissimili compariranno casualmente il 50% delle volte.
Quando i valori reali coincidono con le frequenze attese, la distribuzione è casuale, se invece
UR+RU>50%, significa che prevalgono le coppie dissimili e dunque si è in presenza di
autocorrelazione negativa, viceversa, se UR+RU<50%, significa che prevalgono le coppie simili e
dunque si ha autocorrelazione positiva.
L'autocorrelazione spaziale misura il legame di dipendenza tra le manifestazioni di un fenomeno e il
territorio su cui esso si realizza; in definitiva si parlerà di autocorrelazione positiva se, trovandosi
intensità alta del carattere in una zona, anche le zone contigue presenteranno alta intensità (lo stesso
in caso di bassa intensità), e di autocorrelazione negativa se ad una bassa intensità del carattere in
una zona corrisponderà alta intensità nelle zone contigue; in caso non si verifichino tali situazioni, si
avrà mancanza di autocorrelazione spaziale.
Gli elementi necessari per il calcolo degli indici di autocorrelazione spaziale sono una misura della
variabilità del fenomeno studiato e una matrice che rappresenti la configurazione del territorio
considerato.
La statistica cross product
Tutti gli indici di autocorrelazione spaziale fanno riferimento ad una statistica cross-product.
  Wij Cij
i
j
Dove Wij è la matrice di connessione (o di contiguità, o di ponderazione spaziale), i cui valori sono
una funzione di una qualche misura di contiguità dei dati originali (ad es. Rooks Case ecc.).
La Cij invece, è la misura della distanza tra i valori i e j di una certa variabile (distanza euclidea, di
Manhattan ecc.).
La statistica cross product può essere pensata come il modello lineare generale
dell’autocorrelazione spaziale.
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Si consideri la seguente mappa delle aree e dei valori una certa variabile.
Aree
Valori
a
b
c
9
6
3
d
e
f
8
5
2
g
h
i
7
4
1
Si determina la matrice Wij delle contiguità (seguendo il modello Rook Case):
Wij
a
b
c
d
e
f
g
h
i
a
0
1
0
1
0
0
0
0
0
b
1
0
1
0
1
0
0
0
0
c
0
1
0
0
0
1
0
0
0
d
1
0
0
0
1
0
1
0
0
e
0
1
0
1
0
1
0
1
0
f
0
0
1
0
1
0
0
0
1
g
0
0
0
1
0
0
0
1
0
h
0
0
0
0
1
0
1
0
1
i
0
0
0
0
0
1
0
1
0
Calcoliamo ora la matrice Cij, che ha le stesse dimensioni della Wij, ma che contiene le distanze, ad
esempio calcolate con il metodo delle distanza euclidea.
Cij  Vi  V j 
2
e osserviamo la matrice prodotto C ijWij (prodotto cella per cella)
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a
b
c
d
e
f
g
h
i
a
0
9
0
1
0
0
0
0
0
b
9
0
9
0
1
0
0
0
0
c
0
9
0
0
0
1
0
0
0
d
1
0
0
0
9
0
1
0
0
e
0
1
0
9
0
9
0
1
0
f
0
0
1
0
9
0
0
0
1
g
0
0
0
1
0
0
0
9
0
h
0
0
0
0
1
0
9
0
9
i
0
0
0
0
0
1
0
9
0
Totale
10
19
10
11
20
11
10
19
10
120
Per ottenere il valore della statistica cross-product si sommano i valori risultanti:
   Wij C ij
i
j
Il valore definitivo della statistica cross-product è dunque 120.
Come interpretare questo risultato?.
Sappiamo che questo risultato è solo uno dei possibili risultati che si otterrebbero randomizzando le
assegnazioni dei valori della variabile nelle 9 aree, possibili risultati che sono = 9!=362.880.
Il valore ottenuto, 120, dovrebbe quindi essere confrontato con i valori della distribuzione che si
otterrebbe se si producessero tutte le possibili combinazioni dei valori nelle diverse aree.
In generale, per il modello della statistica  non è possibile fare riferimento ad una distribuzione
teorica (come invece accade per i particolari indici di Geary e Moran), proprio perché si è voluto
che la definizione dei parametri di Cij fosse lasciata libera, con la possibilità di introdurre delle
misure della distanza diverse da quella euclidea classica.
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ESEMPIO:
 w1
w
 3
w2 
w4 
1 2
3 4


Riassegniamo i valori casualmente P4=4!=24
1
3
2
4
1
4
2
3
1
2
3
4
1
4
3
2
1
2
4
3
1
3
4
2
2
3
1
4
2
4
1
3
2
1
3
4
2
4
3
1
2
1
4
3
2
3
4
1
3
2
1
4
3
4
1
2
3
1
2
4
3
4
2
1
3
1
4
2
3
2
4
1
4
2
1
3
4
3
1
2
4
1
2
3
4
3
2
1
4
1
3
2
4
2
3
1
Mi chiedo se l’osservazione sia dovuta all’esistenza di una particolare relazione tra le aree oppure
se sia dovuta al caso; per rispondere a questa domanda devo calcolare la statistica scelta su tutti i
casi possibili e verificare se l’osservazione mostra un valore interno o esterno alla distribuzione dei
risultati calcolati su tutti i casi possibili:
Se la statistica è
  V1  V2   V3  V4 
2
2
Ottengo la seguente distribuzione di 
r
f( r)
2
8
10
8
8
8
Il calcolo di  per l’osservazione ( =2) rientra nella distribuzione pertanto non vi è ragione di
affermare che la sua manifestazione sia inusuale; infatti la frequenza con cui compare è uguale a
quella degli altri valori.
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Se invece utilizzo la statistica
*  V1  V2   V2  V3   V3  V4 
2
2
2
Ottengo la seguente distribuzione dei valori di 

r*
f(r*)
3
6
9
11
14
17
2
4
6
6
4
2
Il valore calcolato per la situazione osservata è *=3; confrontato con i valori della distribuzione il
valore 3 ha una frequenza molto bassa.
Ne deduco che la distribuzione dei valori sul territorio nel caso in esame è difficilmente attribuibile
al caso.
ESEMPIO
a b 
c d 


9 6
8 5


Cij  Vi  V j 
2
a b c d
a 0 1 1 0
Wij
b 1 0 0 1
c 1 0 0 1
d
0 1 1 0
a b c d
a b c d
Cij
a
0
9 1 16
b
c
9
1
0 4
4 0
1
9
d 16 1 9
0
   WijCij
i
j
a 0 9 1 0 10
b 9 0 0 1 10
c
d
1 0 0 9 10
0 1 9 0 10
40
P4  4! 24

f ( )
40 8
44 8
76 8
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Il metodo di Monte Carlo
Nelle situazioni reali, tuttavia, le possibili combinazioni spaziali dei valori sono troppe per arrivare
a produrre l’intera distribuzione delle frequenze associate alla distribuzione dei risultati, quindi
l’unico metodo per verificare se il valore della statistica cross-product risulta accettabile consiste
nel costruire una distribuzione su un certo numero di campioni casuali i quali, per aumentarne il
contenuto descrittivo, vengono cumulati.
Uno dei metodi utilizzati a questo scopo è il metodo di Monte Carlo. Con il Metodo di Monte Carlo
è possibile operare il confronto fra il valore osservato e la distribuzione casuale generata dal metodo
attraverso approssimazioni successive. Il Metodo Monte Carlo fa parte della famiglia dei metodi
statistici non parametrici. È utile per superare i problemi computazionali legati ai test esatti (ad
esempio i metodi basati sulla distribuzione binomiale e calcolo combinatorio, che per grandi
campioni generano un numero di permutazioni eccessivo).
Il metodo è usato per trarre stime attraverso simulazioni. Si basa su un algoritmo che genera una
serie di numeri tra loro incorrelati, che seguono la distribuzione di probabilità che si suppone abbia
il fenomeno da indagare. L'incorrelazione tra i numeri è assicurata da un test chi quadrato.
La simulazione Monte Carlo calcola una serie di realizzazioni possibili del fenomeno in esame, con
il peso proprio della probabilità di tale evenienza, cercando di esplorare in modo denso tutto lo
spazio dei parametri del fenomeno. Una volta calcolato questo campione rappresentativo, la
simulazione esegue delle 'misure' delle grandezze di interesse su tale campione. La simulazione
Monte Carlo è ben eseguita se il valore medio di queste misure sulle realizzazioni del sistema
converge al valore vero.
Da un altro punto di vista le simulazioni Monte Carlo non sono altro che una tecnica numerica per
calcolare integrali.
Le sue origini risalgono alla metà degli anni 40 all'interno del progetto Metropolis. I formalizzatori
del metodo sono J.Von Neumann e S.Ulam, il nome Monte Carlo fu assegnato in seguito da
N.Metropolis in riferimento al celebre casino.
ESEMPIO:
Si voglia stimare il rendimento mensile di un titolo azionario. Il titolo esiste da cinque anni, quindi
si hanno a disposizione solo 60 rendimenti mensili. Supponiamo che i rendimenti si distribuiscano
seguendo una variabile casuale normale.
Calcoliamo:

Media campionaria

Scarto quadratico medio campionario, su base giornaliera (che poi si adatterà con la formula
della radice quadrata del tempo al periodo mensile.)
Con un modello di regressione lineare cercheremo di stimare la media a un mese. Successivamente,
si andranno a generare attraverso l'algoritmo Monte Carlo una serie di medie "sperimentali" che
saranno ricavate da una distribuzione normale (perché si è ipotizzato che i rendimenti seguano
questa distribuzione) con media pari alla media stimata e scarto quadratico medio pari allo scarto
quadratico medio campionario a un mese.
Una strategia per procedere e stimare la vera media del fenomeno, a questo punto, può essere quella
di ricavare la media generale di tutte le medie sperimentali ottenute. I dati ottenuti forniscono stime
tanto migliori quanto maggiore è il numero delle prove fatte.
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Nel caso dell’autocorrelazione spaziale, si opera sostanzialmente nel modo seguente: ci sono n
valori, ci sono n! permutazioni degli stessi; si scelgono casualmente un certo numero di
permutazioni e si calcola la distribuzione di frequenza empirica cumulata, della quale è anche
possibile calcolare il valore atteso e lo scarto quadratico medio. Tale funzione è il termine di
confronto per il valore osservato, nel senso che, in base a tale funzione, è possibile verificare se esso
può essere considerato un evento raro oppure no.
Il metodo di Monte Carlo funziona per qualsiaisi statistica, per alcune statistiche, casi particolari
della forma generica Cross Product (Join-count, Moran, Geary), è invece possibile fare riferimento
ad una distribuzione teorica Normale, sempre che il numero delle unità geografiche sulle quali
viene misurata l’autocorrelazione spaziale risulti abbastanza elevato.
Se conosciamo la media e la varianza siamo dunque in grado di eseguire un test
z
  E  
Var  
Per la statistica generale Cross-Product la media e la varianza hanno le seguenti forme:
E   
S 0 0
nn  1





Var   
S11
S  2S1 2  21  S 02  S1  S 2 02  1  2
2
 2

 E T 
2nn  1
4nn  1n  2
nn  1n  2n  3
dove:
S0   Wij
0   Cij
i j i
i
S1   Wij  W ji   2Wij 
2
2
j i
i
i
j i
S 2   Wi.  W.i    2Wi. 
2
i
2
i
1 
j i
1
Cij  C ji   2   Cij 2

2 i j i
i j i
2   Ci.  C.i    2Ci. 
2
i
2
i
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Appunti ad uso interno
Esempio:
v1
v5
v9
v13
v2
v6
v19
v14
v3
v7
v11
v15
v4
v8
v12
v16
2
3
7
7
3
2
6
8
2
2
8
9
5
6
4
5
Wij
v1
v1
v2
v3
v4
v5
v6
v7
v8
v9
v10
v11
v12
v13
v14
v15
v16
v2
0
1
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
v3
1
0
1
0
0
1
0
0
0
0
0
0
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v4
0
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v6
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1
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1
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1
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1
0
0
0
v10 v11 v12 v13 v14 v15 v16
0
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0
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0
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1
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0
0
0
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1
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1
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1
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1
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1
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1
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1
0
0
1
0
0
1
0
1
0
0
1
0
0
1
0
48=S0
Cij
v1
v1
v2
v3
v4
v5
v6
v7
v8
v9
v10
v11
v12
v13
v14
v15
v16
0
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0,1
0
0
0
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0,2
0,4
0
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0,5
0,1
v2
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0
0
0
0
0
0
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0,3
0
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0,3
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0
v3
0
0
0
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0
0
0
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0,2
0,4
0
0,3
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0,5
0,1
v4
0,1
0
0,1
0
0
0,1
0,1
0
0
0
0,1
0
0
0,1
0,2
0
v5
0
0
0
0
0
0
0
0,1
0,2
0,1
0,3
0
0,2
0,3
0,4
0
v6
0
0
0
0,1
0
0
0
0,2
0,3
0,2
0,4
0
0,3
0,4
0,5
0,1
v7
0
0
0
0,1
0
0
0
0,2
0,3
0,2
0,4
0
0,3
0,4
0,5
0,1
v8
0,2
0,1
0,2
0
0,1
0,2
0,2
0
0
0
0
0
0
0
0,1
0
v9
0,3
0,2
0,3
0
0,2
0,3
0,3
0
0
0
0
0,1
0
0
0
0
v10
0,2
0,1
0,2
0
0,1
0,2
0,2
0
0
0
0
0
0
0
0,1
0
v11
0,4
0,3
0,4
0,1
0,3
0,4
0,4
0
0
0
0
0,2
0
0
0
0,1
v12
0
0
0
0
0
0
0
0
0,1
0
0,2
0
0,1
0,2
0,3
0
v13
0,3
0,2
0,3
0
0,2
0,3
0,3
0
0
0
0
0,1
0
0
0
0
v14
0,4
0,3
0,4
0,1
0,3
0,4
0,4
0
0
0
0
0,2
0
0
0
0,1
v15
0,5
0,4
0,5
0,2
0,4
0,5
0,5
0,1
0
0,1
0
0,3
0
0
0
0,2
v16
0,1
0
0,1
0
0
0,1
0,1
0
0
0
0,1
0
0
0,1
0,2
0
2,364583
1,552083
2,364583
0,927083
1,552083
2,364583
2,364583
1,114583
1,635417
1,114583
2,489583
1,072917
1,635417
2,489583
3,677083
0,927083
29,64583
29,64=0
Dove
234
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Appunti ad uso interno
Cij 

1
Vi  V j
2  S0
2
Perciò:
S0   Wij  48
i j i
Trattandosi
valori 0,1
0   Cij  29,6458
di
j i
i
S1 
1
Wij  W ji 2  1  2Wij 2  2Wij2  2Wij  2S 0  96

2 i j i
2 i j i
i j i
i j i
1 
1
Cij  C ji 2  1  2Cij 2  2 Cij 2  15,9510

2 i j i
2 i j i
i j i
S 2   Wi.  W.i    2Wi.   608
2
Poiché la matrice è
simmetrica
2
i
i
2   Ci.  C.i   225,2153
2
i
Allora:
E   
S 0 0
48  29,6458

 5,9292
nn  1
16  15
Var   
S  2S1   2  21 
S11
 2

2nn  1
4nn  1n  2

S
2
0


 S1  S 2  02  1  2
2
 E    1,1877
nn  1n  2n  3
235
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Appunti ad uso interno
Wij*Cij
v1
v2
v3
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v6
v7
v8
v9
v10
v11
v12
v13
v14
v15
v16
v1
0,00
0,01
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v2
0,01
0,00
0,01
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v3
0,00
0,01
0,00
0,09
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v4
0,00
0,00
0,09
0,00
0,00
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v5
0,01
0,00
0,00
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,17
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v6
0,00
0,01
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,00
0,00
0,17
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v7
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,17
0,00
0,00
0,38
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v8
0,00
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,17
0,00
0,00
0,00
0,00
0,04
0,00
0,00
0,00
0,00
v9
0,00
0,00
0,00
0,00
0,17
0,00
0,00
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
v10
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,17
0,00
0,00
0,01
0,00
0,04
0,00
0,00
0,04
0,00
0,00
v11
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,38
0,00
0,00
0,04
0,00
0,17
0,00
0,00
0,01
0,00
v12
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,04
0,00
0,00
0,17
0,00
0,00
0,00
0,00
0,01
v13
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
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0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
v14
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,04
0,00
0,00
0,01
0,00
0,01
0,00
v15
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,01
0,00
0,17
v16
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,01
0,00
0,00
0,17
0,00
0,02
0,03
0,10
0,10
0,19
0,19
0,54
0,22
0,18
0,26
0,59
0,22
0,01
0,06
0,19
0,18
3,08
  Wij Cij 3,08
i
j
Applichiamo la standardizzazione:
z* 
3,08  5,9292
1,1877
 2,61439
Applichiamo il test sulla Normale a due code:
l’ipotesi nulla H0=non vi è autocorrelazione spaziale, cioè i valori sono distribuiti in modo casuale.
Poiché al livello di significatività al 95%, i valori limite sono –1,96 e + 1,96, il valore osservato è
nella zona di rifiuto.
Concludiamo che si deve rifiutare l’ipotesi nulla, dunque vi è una significativa autocorrelazione
spaziale NEGATIVA (cfr. z*=-2,61).
236
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Appunti ad uso interno
237
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Appunti ad uso interno
Analogamente alla correlazione, diversi coefficienti si devono calcolare a seconda che le variabili
siano misurate su scala nominale, ordinale o di intervallo/rapporto.
Tra i principali indici di autocorrelazione spaziale, gli indici di Moran, Geary e Join-Count,
derivano dalla statistica cross-product.
JOIN-COUNT (conteggio dei legami)
Se la variabile è misurata su scala nominale, allora una unità areale possiede o non possiede la
caratteristica in questione. La statistica join-count viene appunto usata per variabili dicotomiche
(successo/insuccesso, bianco/nero). Siano allora n1 le unità che posseggono la caratteristica, tali
unità saranno codificate con valore B, le altre (n2) con valore W.
n1  n2  n
P(B) 
n1
n
; P(W )  2
n
n
Supponiamo ora che WW sia il numero di coppie di unità contigue con valore (W,W), BB sia il
numero di coppie di unità contigue (B,B) e, infine, sia BW il numero di coppie di unità contigue in
cui una delle due è B e una è W (B,W)+(W,B).
Ovviamente, la somma
BB+WW+BW=J
è uguale al numero delle connessioni nella partizione del piano.
Se si assume che le estrazioni delle unità sono indipendenti il numero totale di possibili
configurazioni spaziali sul piano è 2n.
Allora:
Jn12
E ( BB )  2 è il numero atteso di coppie BB se il numero di legami complessivi è J
n
2 Jn1 n2
E ( BW ) 
n2
Jn 2
E (WW )  22
n
Questi valori sono derivati dal modello binomiale.
Poiché si estraggono coppie di valori infatti, il modello è
2
n2
n n
n2
 n1 n2 
    12  2 1 2  22
n n n
n
n n
dove il primo termine indica la probabilità di estrarre a caso una coppia di unità areali in modo tale
che entrambe siano codificate con B; questo termine è sia una probabilità che una percentuale
(infatti 12=1). Moltiplicando questa probabilità per il numero totale di coppie J si ottiene il valore
indicato. Analogamente per quanto riguarda E(WW). Per E(BW) si deve tener conto del fatto che si
considerano sia le coppie (B,W) che le coppie (W,B), ecco quindi il perché del 2.
238
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Appunti ad uso interno
Se invece ipotizziamo assenza di indipendenza è possibile ottenere questo risultato partendo da
un’altra prospettiva: il numero totale delle possibili configurazioni spaziali è
n!
n1!n 2 !
la probabilità di estrarre una unità codificata con B alla prima estrazione è
n1
n
rimangono pertanto n1  1 unità con valore B e complessivamente n  1 unità.
La probabilità condizionata di estrarre una seconda unità codificata con B è pertanto
Pertanto la probabilità congiunta in una estrazione casuale è
n1  1
.
n  1
n1 n1  1
, moltiplicando questo valore
nn  1
per J si ottiene il corrispondente valore atteso.
E ( BB )  J
n1 n1  1
nn  1
Analogamente per E(WW).
E ( BW )  2 J
n1 n2
nn  1
La probabilità condizionata di estrarre una seconda unità codificata con W è invece
n2
.
n  1
n1 n2
, moltiplicando
nn  1
questo valore per J si ottiene il corrispondente valore atteso (poiché si considerano anche i legami
WB, tale quantità andrà moltiplicata per 2).
Pertanto la probabilità congiunta in una estrazione casuale del tipo (BW) è
E ( BW )  2 J
n1 n2
nn  1
In definitiva, se le aree con la medesima codifica tendono a presentarsi in coppie contigue, allora il
numero di coppie BW tende a diminuire mentre il numero di coppie BB o di coppie WW aumenta o
entrambe (dipende dai valori di n1 e n2). D’altro canto, se invece tendono a presentarsi coppie di
valori dissimili, allora BW tende a J e BB e WW tendono a 0.
239
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Appunti ad uso interno
ESEMPIO
Si consideri una superficie piana che è stata ripartita in 4 unità areali.
Siano n1/n e n2/n, t.c. n1=n2=2, con n1=numero di unità che posseggono una data caratteristica e n2
= numero di persone che non la posseggono.
In tal caso J = 4, di conseguenza la corrispondente matrice di connessione W sarà
0 1 1 0
1 0 0 1
1 0 0 1
0 1 1 0
con J=(1,1)+(1,0)+(0,0)
Assumendo l’ipotesi di indipendenza delle estrazioni casuali, lo spazio campionario delle possibili
configurazioni spaziali è (24) il seguente:
0
0
0
0
0
0
1
0
0
1
0
0
0
1
1
0
0
0
0
0
A
B
0
0
1
1
F
C
1
0
1
0
G
D
1
1
0
0
0
0
H
E
1
0
1
1
I
1
0
J
1
0
1
1
1
0
0
1
1
1
0
1
0
1
1
1
1
1
1
0
K
L
1
1
1
1
M
N
O
P
Distribuzione
A
B
C
D
E
F
G
H
I
J
K
L
M
N
O
BB
0
0
0
0
0
1
1
1
1
0
0
2
2
2
2
BW
0
2
2
2
2
2
2
2
2
4
4
2
2
2
2
WW
4
2
2
2
2
1
1
1
1
0
0
0
0
0
0
240
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Appunti ad uso interno
P
4
0
0
14
BB
12
BW
10
8
6
4
2
0
0
1
2
3
4
Il valore atteso
Jn12
4
 4  1  E (WW );
2
16
n
Jn n
4  2  2 32
E ( BW )  2  12 2  2 

2
16
16
n
E ( BB ) 
Se invece si ipotizza l’assenza di indipendenza, allora lo spazio campionario delle possibili
configurazioni è il seguente:
1
1
0
1
0
0
1
0
1
0
0
0
0
1
1
1
1
0
0
1
Q
0
1
1
0
R
S
T
U
V
Distribuzione
Q
R
S
T
U
V
BB
1
1
1
1
0
0
BW
2
2
2
2
4
4
WW
1
1
1
1
0
0
Il valore atteso
n n  1
2 1 2
E ( BB )  J 1 1
4

nn  1
43 3
E ( BW )  2 J
n1 n2
22 8
8

nn  1
43 3
241
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Appunti ad uso interno
I risultati più affidabili per questo tipo di statistica si verificano quando n>20 e preferibilmente
n>30; E’ inoltre assai auspicabile che i valori n1 e n2 siano prossimi. Infine, se n2>n1 è preferibile
basare il test su BB , se invece n1>n2 è preferibile considerare WW.
Ipotesi di Normalità
In generale, al crescere del numero delle osservazioni le precedenti distribuzioni (Binomiale e
ipergeometrica) tendono alla Normale, pertanto è possibile fare riferimento alle seguenti formule
riconducibili alla statistica    Wij C ij :
i
j
Ad esempio, si consideri la variabile codificata nel seguente modo: B,W
I legami tra le aree confinanti saranno dunque del tipo BB, BW, WB, WW.
La statistica Join Count consiste nel confrontare il numero di legami osservati del tipo BB (o WW)
oppure i legami del tipo BW (e WB) con quelli attesi.
La misura dei legami osservati è
Il numero di legami BB risulta = */2
dove
*   Wij C ij
i
j
C ij  ViV j
1 i  j  1
Wij  
0 altrimenti
(definizione del modello di contiguità di tipo “rook)”
analogamente, il numero di legami WW sarà
*   Wij C ij
i
j
C ij  1  Vi 1  V j 
1 i  j  1
Wij  
0 altrimenti
Il numero di legami BW risulta = /2
dove
   Wij C ij
i
j
C ij  Vi  V j 
2
1 i  j  1
Wij  
0 altrimenti
242
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243
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Nell’ipotesi di indipendenza delle estrazioni, il numero dei legami attesi
1 n12
S0
2 n2
n n
E ( BW )  S 0 1 2 2
n
1 n2 1
E (WW )  S 0 22  S 0  E ( BB )  E ( BW )
2 n
2
dove:
E ( BB ) 
S 0   wij
i
j i
Inoltre, la varianza è
1  n   n   n 
 n 
Var ( BB )   1  1  1   S1 1  1   S 2  1 
4 n  
n  
n
 n 
2
Var ( BW ) 
S1 
1   n1  n1 
 n1  n1 
 n1  n1  
4 S1  1    S 2  1  1  4 1   
4   n 
n
n 
n  
 n 
 n 
1
wij  w ji 2

2 i j i
S 2   wi.  w.i 
2
i
Con le informazioni a disposizione è possibile applicare il test Z.
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ESEMPIO
V1
V2
1
1
V3
V4
0
0
Si desidera verificare l’esistenza di autocorrelazione spaziale nei dati; si utilizza la statistica JOIN
COUNT per il calcolo del numero di legami “discordi” (del tipo 0,1); il confronto fra il numero
osservato di tali legami e quello atteso informa sulla presenza di autocorrelazione spaziale (infatti,
se la frequenza osservata di legami “discordi” è superiore a quella attesa, significa che valori
dissimili di una stessa variabili tendono a presentarsi in unità contigue, quindi si è in presenza di
autocorrelazione spaziale negativa).
   Wij C ij
i
j
C ij  Vi  V j 
2
1 i  j  1
Wij  
0 altrimenti
Quindi stiamo cercando il numero di legami di tipo (0,1)
Wij
Cij
V1
V2
V3
V4
V1
0
1
1
0
V2
1
0
0
V3
1
0
V4
0
1
WijCij
V1
V2
V3
V4
V1
0
0
1
0
1
1
V2
0
0
0
1
1
0
0
V3
1
0
0
0
1
0
0
V4
0
1
0
0
1
V1
V2
V3
V4
V1
0
0
1
1
1
V2
0
0
1
0
1
V3
1
1
1
0
V4
1
1
=4;
pertanto il numero osservato di legami di tipo (0,1) è /2=2.
4
Poiché
n1=2 ; n=4
S 0   wij
i
j i
=2
E(BW)=2*(2*2)/4=2
Il numero dei legami “discordi” (0,1) osservati è uguale a quello atteso pertanto vi è assenza di
autocorrelazione spaziale.
245
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ESEMPIO: un approccio grafico all’autocorrelazione con la statistica join-count
Nella mappa dell’ipotetica regione sopra riportata, vi sono 5 aree: quelle con carattere urbano sono
colorate di rosso, quelle rurali sono colorate di giallo.
Un qualsiasi oggetto spaziale composto di un’area e di un confine con altre aree può essere
rappresentato con un grafico di nodi e collegamenti tra nodi.
Quando le aree sono colorate i nodi possono essere anch’essi colorati. La mappa sopra riportata può
essere rappresentata così:
La descrizione dei legami tra i nodi colorati può essere rappresentata semplicemente usando una
matrice di connessione.
I nodi sono allineati (ad esempio) in ordine alfabetico: a ciascun nodo corrisponde un colore, i
colori dietro i numeri corrispondono alle combinazioni, il numero 1 corrisponde ad adiacenza, il
numero 0 corrisponde a non adiacenza.
A
B
C
D
E
A
0
1
1
1
0
B
1
0
1
0
0
C
1
1
0
1
1
D
1
0
1
0
1
E
0
0
1
1
0
246
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Appunti ad uso interno
A questo punto possiamo riordinare le celle della tabella in modo tale che siano distinte le zone
urbane da quelle rurali
A
C
B
D
E
A
0
1
1
1
0
C
1
0
1
1
1
B
1
1
0
0
0
D
1
1
0
0
1
E
0
1
0
1
0
Siamo così in grado di vedere dalla matrice quali sono le aree connesse che sono “pure” e quali le
“ibride”.
Infatti, dalla matrice indicata, delle 14 celle in cui vi è connessione, si ricava:
UU = 2
RR = 2
UR = 5
RU = 5
Quindi UR+RU=10>14/2, e dunque l’autocorrelazione è negativa, cioè tendono a raggrupparsi aree
con valori dissimili.
Con riferimento all’esempio precedente:
V1
V2
1
1
V3
V4
0
0
I legami che abbiamo trovato sono questi:
V1
V2
V3
V4
247
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Vediamo invece come si può applicare il modello ai dati reali
a
1
b
0
c
1
d
0
e
0
=WijCij
Cij=(Vi-Vj)2
Wij
a
b
c
d
e
a
b
c
d
e
a
0
1
1
1
0
b
1
0
1
0
c
1
1
0
d
1
0
e
0
0
a
b
c
d
e
a
0
1
0
1
1
a
0
1
0
1
0
2
0
b
1
0
1
0
0
b
1
0
1
0
0
2
1
1
c
0
1
0
1
1
c
0
1
0
1
1
3
1
0
1
d
1
0
1
0
0
d
1
0
1
0
0
2
1
1
0
e
1
0
1
0
0
e
0
0
1
0
0
1
10
Il numero dei legami BW è infatti =/2=5
Invece
Wij
=WijCij
Cij=(Vi*Vj)
a
b
c
d
e
a
b
c
d
e
a
0
1
1
1
0
b
1
0
1
0
c
1
1
0
d
1
0
e
0
0
a
b
c
d
e
a
0
0
1
0
0
a
0
0
1
0
0
1
0
b
0
0
0
0
0
b
0
0
0
0
0
0
1
1
c
1
0
0
0
0
c
1
0
0
0
0
1
1
0
1
d
0
0
0
0
0
d
0
0
0
0
0
0
1
1
0
e
0
0
0
0
0
e
0
0
0
0
0
0
2
fornisce il numero dei legami di tipo BB (o analogamente WW) =/2=1
Attenzione!
L’approccio grafico conteggia i legami in maniera doppia, infatti ad esempio, in quest’ultimo caso
si tratta del legame di A con C che nell’approccio grafico viene considerato due volte: (C;A) e
(A;C).
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