la nuova disciplina dei finanziamenti erogati dai soci considerazioni

LA NUOVA DISCIPLINA DEI FINANZIAMENTI EROGATI DAI SOCI
CONSIDERAZIONI ECONOMICO-AZIENDALI
CHRISTIAN FAVINO
INDICE
1. Premessa......................................................................................................................3
2. I “finanziamenti” e i “versamenti” effettuati dai soci: il Principio Contabile n. 28 e gli
orientamenti della dottrina e della giurisprudenza..............................................................5
3. I finanziamenti dei soci ai sensi del novellato art. 2467 c.c. ........................................15
4. L’inosservanza delle disposizioni ex art. 2467 c.c. Cenni sulle responsabilità in ambito
civilistico e penale ...........................................................................................................33
5. Considerazioni conclusive ........................................................................................36
Allegato n. 1 – Codici ATECO 2002 dei settori mercelogici osservati ....................39
Bibliografia...................................................................................................................40
2
LA NUOVA DISCIPLINA DEI FINANZIAMENTI EROGATI DAI SOCI
CONSIDERAZIONI ECONOMICO-AZIENDALI (∗)
a cura del dott. Christian Favino
UGDC di Foggia
****
1. Premessa
La riforma del diritto societario introdotta con il d.lgs. n. 6 del 2003 ha apportato
sostanziali modifiche alla disciplina dei finanziamenti erogati dai soci a favore delle società a
responsabilità limitata.
Il primo comma del nuovo art. 2467 c.c. dispone, infatti, che “il rimborso dei
finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli
altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della
società, deve essere restituito (…)”.
Il secondo comma del citato articolo precisa che “(…) s’intendono finanziamenti dei soci
a favore della società quelli in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un
momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta
un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una
situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.
A ben vedere, la norma innanzi riportata statuisce un principio già parzialmente
affermatosi in dottrina ed in giurisprudenza. La nuova disciplina prevede, infatti, che il
rimborso del debito ai soci, per finanziamenti da questi erogati in particolari condizioni
economico-finanziarie, debba esser postergato rispetto agli altri diritti vantati dai creditori
estranei alla compagine societaria.
E’ di tutta evidenza che la postergazione dei crediti finanziari vantati dai soci consente di
rafforzare la tutela dei creditori, scoraggiando altresì il fenomeno della sottocapitalizzazione
societaria1. In sostanza, con tale norma il legislatore ha inteso “evitare che con
∗
Il presente contributo è pubblicato nei Quaderni Monografici Rirea (n. 33/2005) e distribuito in allegato alla
Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale (fasc. n. 7-8/2005).
1 E’ opportuno precisare che la dottrina distingue due forme differenti di sottocapitalizzazione: quella
«nominale» e quella «materiale».
“La prima si afferma ricorrere quando l’impresa sociale è dotata sì dei mezzi necessari al suo esercizio, ma
questo si realizza – non attraverso l’apporto di mezzi propri (= conferimenti imputati in capitale: «capitale
proprio» o «capitale di rischio»), che anzi è effettuato in misura del tutto inadeguata – ma con la concessione
diretta o indiretta di prestiti («capitale di credito») da parte dei soci. La seconda forma di sottocapitalizzazione
è ravvisata tutte le volte in cui il fabbisogno finanziario di una società, dotata di un capitale del tutto
3
finanziamenti formalmente diversi dai conferimenti il socio possa sottrarsi al proprio tipico
rischio e presentarsi per questo aspetto su un piano di parità con i creditori”2.
Il rimborso privilegiato dei creditori estranei alla compagine societaria determina, infatti,
una equiparazione – limitatamente alle modalità ed al grado di rimborso – tra i finanziamenti
dei soci ed i conferimenti effettuati sotto forma di aumento del capitale sociale3. La disciplina
in esame, pertanto, rende meno vantaggioso per i soci il ricorso alle forme di finanziamento
alternative al conferimento di capitale proprio, poiché disconosce il diritto ad esigere il
rimborso con lo stesso grado di prelazione attribuito alle altre categorie di creditori.
E’ appena il caso di ricordare che i versamenti effettuati a titolo di capitale di rischio –
tecnicamente definiti “conferimenti di capitale” – sono permanentemente vincolati alle
sorti della società ed il loro rimborso è generalmente consentito solo in sede di
scioglimento della società stessa.
Al contrario, i versamenti effettuati dai soci a titolo di capitale di credito sono, per loro
natura, liberamente rimborsabili nei tempi e secondo le modalità concordate tra le parti.
La nuova formulazione dell’art. 2467 c.c. modifica la disciplina dei finanziamenti erogati
dai soci, alterando l’assunto secondo il quale detti valori, in quanto iscritti fra i debiti, hanno
diritto – in sede di liquidazione della società – alla ripartizione dell’attivo in concorso con le
altre posizioni creditorie esistenti.
La norma in argomento interesserà un gran numero di imprese nazionali di piccole e
medie dimensioni, atteso che l’operazione di finanziamento dei soci ha rappresentato – fino
ad oggi – uno strumento di rafforzamento finanziario largamente diffuso nella pratica
societaria.
A tal riguardo è verosimile attendersi che la disposizione in esame inciderà sia sulla
struttura finanziaria delle aziende, sia sulle scelte e sui comportamenti adottati in futuro dai
soci e dagli amministratori.
sproporzionato rispetto all’oggetto sociale, non è coperto nemmeno con prestiti dei soci”, G.B. PORTALE,
Capitale sociale e società per azioni capitalizzata, in Rivista delle società, n. 1/1991, pp. 29-30.
2 C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Cedam, Padova 2003, p. 42.
3 Cfr. F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, vol. XIX,
Cedam, Padova 2003, p. 474; A. ZOPPINI, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci nella società a responsabilità
limitata e i prestiti provenienti da ‘terzi’ (con particolare riguardo alle società fiduciarie), in Rivista di diritto privato, n.
2/2004, pp. 417 ss.
“Questa previsione del codice civile si spiega con l’intento di favorire la capitalizzazione delle società
commerciali onde ottenere un aumento della competitività del nostro sistema imprenditoriale.
E’ noto a tutti che, nell’ambito dell’esercizio dell’attività imprenditoriale svolta in forma societaria, l’utilizzo
del capitale di debito rappresenta una scelta assai meno rischiosa rispetto al ricorso al capitale sociale,
godendo peraltro la disciplina in tema di restituzione dei conferimenti anche di una flessibilità maggiore
rispetto a quanto previsto con riferimento alla procedura di restituzione del capitale esuberante (…)”,
C. SANTORIELLO, Restituzione di somme versate dai soci a titolo di finanziamento: profili penali, in E-dispensa del 11
marzo 2004 su “Le novità fiscali e societarie del bilancio 2003” (sito internet: www.tuttomap.it), p. 28.
4
Il presente lavoro intende evidenziare alcune criticità emergenti dall’applicazione della
norma contenuta nel citato art. 2467 c.c.
Ci si soffermerà, innanzitutto, su alcuni concetti, mutuati dall’economia aziendale e dal
diritto societario, che consentiranno di chiarire i confini di applicazione della disciplina in
esame.
A tal fine si provvederà a tracciare un quadro riassuntivo delle differenti forme di
versamenti e/o finanziamenti erogati dai soci: si preciserà, in sostanza, quando una dazione
di denaro (o altro differente apporto) debba farsi ricadere nella fattispecie dei finanziamenti
(costituenti capitale di credito) ovvero, al contrario, in quella dei conferimenti (ossia
incrementi del capitale di rischio). A tal riguardo, si farà riferimento alle interpretazioni
contenute nel documento n. 28 dei principi contabili nazionali, richiamando, ove
necessario, gli orientamenti della dottrina più autorevole.
Successivamente, nel terzo paragrafo si focalizzerà l’attenzione sulla nuova disciplina dei
finanziamenti erogati dai soci, evidenziando gli aspetti più controversi concernenti la
concreta applicazione del novellato art. 2467 c.c.
Nel quarto paragrafo si farà cenno, invece, ai risvolti civilistici e penali conseguenti alla
eventuale inosservanza delle disposizioni in trattazione.
Nell’ultimo paragrafo, infine, si esporranno alcune brevi riflessioni conclusive.
2. I “finanziamenti” e i “versamenti” effettuati dai soci: il Principio Contabile n. 28
e gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza
E’ noto che le fonti di finanziamento a cui un’impresa fa ricorso si suddividono in due
macrocategorie: il capitale di rischio e il capitale di credito4.
“Il capitale può pervenire all’azienda da diverse fonti e può essere vincolato ad essa in forme molto varie che
si riconducono alle due ricordate categorie del «capitale proprio» (o di proprietà o di conferimento) e del
capitale di credito. Se nella loro tipica espressione queste due forme di capitale presentano vincoli
economicamente e giuridicamente molto diversi, la pratica conosce una ricca varietà di forme di
finanziamento per le quali si passa gradualmente, quasi senza salto, dal vincolo di capitale proprio al vincolo
di credito”, P. ONIDA, Economia d’azienda, Utet, Torino 1998, p. 416 ss.; si veda anche: G. AIROLDI,
G. BRUNETTI, V. CODA, Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna 1994; A. AMADUZZI, L’azienda nel suo sistema e
nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino 1987; ANT. AMADUZZI, Manuale di Economia Aziendale, Cacucci
Editore, Bari 1995; D. AMODEO, Ragioneria generale delle imprese, Giannini Editore, Napoli 1994; E. ARDEMANI
(a cura di), Il bilancio di esercizio, Giuffrè Editore, Milano 1991; U. BERTINI, Il sistema d’azienda. Schema di analisi,
Giappichelli, Torino 1990; P. CAPALDO, Reddito, capitale e bilancio d’esercizio. Una introduzione, Giuffrè Editore,
Milano 1998; R. CARAMEL (a cura di), Il bilancio delle imprese, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano 1992;
C. CARAMIELLO, Capitale e reddito. Operazioni di gestione e “dinamica” dei valori, Giuffrè Editore, Milano 1993;
M. CARATOZZOLO, Il bilancio d’esercizio, Giuffrè Editore, Milano 1998; P.E. CASSANDRO, Trattato di ragioneria.
L’economia delle aziende e il suo controllo, Cacucci, Bari 1992; F. CERBIONI, L. CINQUINI, U. SOSTERO, Contabilità e
bilancio, McGraw-Hill, Milano 2003; M. CONFALONIERI, Le operazioni societarie sul capitale, Edizioni Il Sole 24
Ore, Milano 1999; F. DEZZANI, P. PISONI, L. PUDDU, Il bilancio, Giuffrè Editore, 1994; M. FANNI,
L. COSSAR, Il metodo contabile, La nuova Italia Scientifica, Roma 1994; G. FRATTINI, Contabilità e bilancio. Principi
4
5
Nella prima categoria rientrano tutti gli apporti di capitale destinati a sostenere l’attività
d’impresa in modo permanente.
In virtù di tali apporti i soci acquisiscono, oltre al diritto alla ripartizione degli eventuali
utili realizzati, anche il diritto al futuro rimborso del capitale conferito. A tal riguardo è
opportuno sottolineare che la restituzione delle somme oggetto di conferimento potrà
effettuarsi – in sede di liquidazione della società – solo dopo aver preventivamente
soddisfatto tutti i creditori sociali.
Nella seconda tipologia (capitale di credito) rientrano, invece, le erogazioni –
generalmente effettuate da soggetti estranei alla compagine sociale – per le quali la società
riconosce:
a)
durante l’esecuzione del contratto, il diritto ad una remunerazione certa, specificamente
concordata tra le parti;
b)
alla scadenza del contratto, il diritto alla restituzione delle somme prestate, con
rimborso prioritario rispetto al capitale di rischio.
A ben vedere la classificazione innanzi proposta si rivela non sempre adeguata per
classificare tutte le tipologie di operazioni finanziarie effettuate dai soci a favore della
società. In particolare sorgono perplessità circa la natura e la corretta qualificazione di
alcuni versamenti che, seppur classificati tra i debiti di finanziamento, hanno la funzione di
dotare l’impresa di fonti finanziarie permanenti assimilabili al capitale proprio. Si tratta, in
sostanza, di forme “ibride” di finanziamento, a metà strada tra gli apporti di capitale
proprio ed i prestiti erogati a titolo di capitale di credito5.
economici, disciplina giuridica, normativa fiscale, Egea, Milano 2003; C. MASINI, I bilanci d’impresa. Principi e concetti,
Giuffrè Editore, Milano 1957; G. MELIS, Elementi di economia aziendale, Giuffrè Editore, Milano 2001;
T. ONESTI (a cura di), Appunti delle lezioni di Ragioneria Generale, Adriatica Editrice Salentina, Lecce 1997;
P. ONIDA, Il bilancio d’esercizio nelle imprese. Significato economico del bilancio. Problemi di valutazione, Giuffrè Editore,
Milano 1974; G. PAOLONE, Il bilancio di esercizio: funzione informativa, principi, criteri di valutazione, Giappichelli,
Torino 2004; G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni capitalizzata, cit., pp. 3 ss.; A. QUAGLI, Bilancio
d’esercizio e principi contabili, Giappichelli, Torino 2003; B. QUATRARO, S. D’AMORA, Trattato pratico delle
operazioni sul capitale, tomo I, Giuffrè Editore, Milano 2001; F. SUPERTI FURGA, Reddito e capitale nel bilancio di
esercizio, Giuffrè Editore, Milano 1991; ID, Il bilancio di esercizio secondo la normativa europea, Giuffrè Editore,
Milano 1994; G. TANTINI, I «versamenti in conto capitale» tra conferimenti e prestiti, Giuffrè Editore, Milano, 1990;
G. ZAPPA, Il reddito d’impresa, Giuffrè Editore, Milano 1950.
5 “(…) alla autonomia privata sono consentiti, nelle società di capitali, conferimenti atipici e ciò sia nel senso
che si tratta di conferimenti eseguiti al di fuori degli schemi giuridico-formali previsti per la costituzione delle
società e per l’aumento del capitale sociale, sia perché sono conferimenti destinati ad incrementare il
patrimonio della società fuori del capitale”, CASS., 04/08/1995, n. 8587.
“Le denominazioni sono le più varie e spesso vengono utilizzate per identificare allo stesso modo fattispecie
piuttosto diverse. Il quadro è poi completato dalla pressoché totale carenza di una disciplina legislativa,
quanto meno sul piano civilistico, posto che le uniche norme con le quali risulta in qualche modo disciplinato
il fenomeno sono di carattere fiscale”, M.T. BRODASCA, Commento a Trib. Genova del 12 febbraio 2002, in Le
società, n. 4/2003, p. 621.
6
Tali casi hanno avuto, fino ad oggi, particolare diffusione fra le società di piccole e medie
dimensioni. In tali contesti, infatti, i soci trovavano conveniente – anche per ragioni fiscali
– sopperire al fabbisogno finanziario della società, attraverso l’erogazione di prestiti
liberamente rimborsabili e, soprattutto, non postergati rispetto agli altri debiti societari6.
Una possibile schematizzazione delle differenti forme di apporto finanziario erogate dai
soci è contenuta nel Principio Contabile n. 28 (Patrimonio Netto), in cui si forniscono utili
chiarimenti in merito alla natura da assegnare a ciascuna tipologia di operazione.
Il citato documento distingue, in particolare, le seguenti tipologie di versamenti7:
-
versamenti a titolo di finanziamento;
-
versamenti a fondo perduto;
-
versamenti in conto futuro aumento di capitale;
-
versamenti in conto aumento di capitale.
I versamenti a titolo di finanziamento sono dei veri e propri prestiti, autonomamente
erogati dai soci8, a fronte dei quali sorge un obbligo di rimborso ad una data scadenza
generalmente prestabilita. Il documento n. 28 chiarisce che non incide sulla natura di tali
versamenti la pattuizione (o meno) di interessi da corrispondere ai soci9, né tanto meno si
deve ritenere necessaria la partecipazione di tutti i soci in misura proporzionale alla quota
di capitale sociale detenuta.
L’elemento che caratterizza, quindi, i c.d. “versamenti a titolo di finanziamento” è
certamente la sussistenza di un obbligo di rimborso del prestito alle scadenze
(eventualmente) prefissate. A tal fine, la prevalente dottrina suggerisce di redigere un
Si può affermare che la recente riforma del diritto societario ha ampliato i casi di operazioni finanziarie
“ibride”, a metà strada tra i prestiti e gli apporti di capitale. Sul tema cfr. N. ABRIANI, La struttura finanziaria
delle società di capitali nella prospettiva della riforma, in Rivista del diritto commerciale, 2002, I, pp. 131 ss.
6 Secondo CASS., 19 marzo 1996, n. 2314, “tra l’ipotesi dell’erogazione di fondi del socio alla società a titolo di
mutuo e quella del formale conferimento a titolo di aumento del capitale (già deliberato) la prassi è andata da
tempo elaborando una terza via, costituita da versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica
consiste nell’essere destinati ad incrementare il patrimonio della società, talvolta anche sotto forma di
copertura di perdite, senza però riflettersi sul capitale nominale della società stessa e senza perciò essere
sottoposti ai vincoli legali propri del capitale sociale in senso stretto”.
7 Cfr. CNDC, CNRC, Principi contabili, Giuffrè Editore, Milano 2003.
8 Secondo TRIB. TRANI, 23 ottobre 2003, “(…) appare innegabile che per far sorgere a carico di ciascun socio
l’obbligo del finanziamento alla società a titolo di mutuo non è sufficiente il solo assenso della società
ottenuto con delibera dell’organo assembleare (…) essendo necessario a questo specifico scopo che vengano
pure conclusi ulteriori e distinti accordi contrattuali tra la società e ciascuno dei soci o, eventualmente anche
un altro solo accordo contrattuale con tutti i soci, in cui però essi assumano una posizione contrattuale
distinta e contrapposta rispetto a quella della società”.
9 Si può ragionevolmente ritenere che i suddetti finanziamenti siano sostanzialmente assimilabili al contratto
di mutuo disciplinato dagli artt. 1813 ss. del codice civile: essi si presumono, pertanto, concessi a titolo
oneroso, salvo diversa pattuizione tra le parti. Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato,
Giuffrè Editore, Milano 1994, pp. 558 ss.
7
apposito documento nel quale illustrare le caratteristiche del finanziamento, quali il piano di
rimborso, l’eventuale onerosità o, perlomeno, l’esplicito impegno alla restituzione delle
somme oggetto del finanziamento10.
In considerazione delle caratteristiche innanzi richiamate, i versamenti a titolo di
finanziamento trovano collocazione, in bilancio, nel passivo dello stato patrimoniale alla
voce D.3, denominata “Debiti verso soci per finanziamenti”11.
Una ulteriore definizione dei versamenti erogati dai soci a titolo di prestito può cogliersi
nella delibera CICR del 3 marzo 1994. In tale documento si precisa che l’acquisizione di
fondi presso i soci con obbligo di rimborso – si tratta, quindi, di versamenti diversi dagli
aumenti del capitale sociale – non rappresenta “raccolta di risparmio tra il pubblico”
quando sussistano contemporaneamente le seguenti condizioni:
-
il socio erogante sia iscritto da almeno tre mesi nel libro soci;
-
la partecipazione posseduta dal socio sia almeno pari al 2% del capitale sociale
indicato nell’ultimo bilancio approvato;
-
la possibilità di acquisire finanziamenti dai soci sia espressamente prevista nello
statuto societario12.
In merito alla possibilità di una eventuale “conversione” del debito di finanziamento in
capitale di rischio, la dottrina e la giurisprudenza ritengono ammissibile che tali valori
possano essere destinati ad aumentare gratuitamente il capitale sociale o a coprire le perdite
subite o attese; è chiaro, però, che “in tali casi è comunque necessaria una delibera
assembleare (straordinaria in caso di aumento del capitale sociale ed ordinaria nel caso di
“I finanziamenti dei soci rientrano nella categoria dei mutui. Ne consegue che in capo alla società incombe
l’obbligo di restituzione ed i soci che li hanno eseguiti hanno diritto al loro rimborso secondo le pattuizioni
intercorse. (…) E’ quindi opportuno che le caratteristiche del finanziamento (modalità di erogazione e di
rimborso, termine di restituzione, fruttuosità o infruttuosità dello stesso, eventuale tasso di interesse, ecc.)
siano contrattualmente definite (anche mediante scambio di lettere commerciali) tra il socio e la società prima
dell’esecuzione dello stesso”, G. VASAPOLLI, A. VASAPOLLI, Gli apporti dei soci tra versamenti e finanziamenti, in
E-dispensa MAP del 10 dicembre 2003, “La compravendita di aziende e le operazioni straordinarie”, (sito internet:
www.tuttomap.it).
Si precisa che le caratteristiche del finanziamento possono essere esplicitate – oltre che mediante lo scambio
di corrispondenza – anche redigendo un atto pubblico o una scrittura privata registrata, oppure mediante
approvazione di una delibera assembleare sottoscritta da ciascun socio finanziatore.
11 Si noti che con la riforma del diritto societario è stato introdotto anche un nuovo punto della nota
integrativa (19-bis) nel quale occorre esplicitare la misura dei “finanziamenti effettuati dai soci alla società,
ripartiti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri”.
12 “Sempre a tale proposito si deve ancora rilevare che la Banca d’Italia, con comunicato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 12 dicembre 1994, n. 289, ha precisato che, ai fini della disciplina in oggetto, non
costituiscono «raccolta di risparmio presso soci» le singole operazioni di finanziamento a favore della società
che uno o più soci decidano di eseguire, sempre che tali operazioni non si configurino, di fatto, come forme
di raccolta”, G. VASAPOLLI, A. VASAPOLLI, Gli apporti dei soci tra versamenti e finanziamenti, cit., p. 54.
10
8
copertura di perdite) che espliciti la volontà dei soci di utilizzare i finanziamenti a copertura
delle perdite o ad aumento del capitale sociale”13.
E’ opportuno precisare che dal verbale assembleare deve emergere chiaramente la
volontà di ciascun socio finanziatore di voler modificare la qualificazione del proprio
versamento. In tale ottica deve leggersi, infatti, la precisazione, contenuta nel Principio
Contabile n. 28, paragrafo B)1, in cui si ribadisce che il passaggio a capitale sociale dei
finanziamenti è adottabile solo previa rinuncia di ciascun socio al diritto di restituzione
(art. 1236 c.c. “Dichiarazione di remissione del debito”)14. Ove così non fosse, si consentirebbe
alla stessa società di incidere unilateralmente sui diritti soggettivi (patrimoniali) vantati da
ciascun socio finanziatore.
Al secondo punto della classificazione proposta nel Principio Contabile n. 28 sono
richiamati i “versamenti a fondo perduto”, ovvero quelle somme erogate dai soci per le
quali, contrariamente al caso precedente, non sussiste alcun obbligo di rimborso15.
Dette rimesse sono assimilate alle riserve di capitale e, pertanto, sono collocate nel
passivo dello stato patrimoniale al punto VII della macroclasse A - Patrimonio Netto (voce
A.VII. “Altre riserve”)16.
“Occorre ricordare infine che dell’aumento gratuito del capitale sociale beneficeranno tutti i soci, compresi
quelli che non hanno effettuato il versamento oppure lo hanno effettuato in misura non proporzionale alla
loro quota di partecipazione nella società”, E. BARRERI, D. GAI, I finanziamenti dei soci di società di capitali.
Aspetti civilistici e fiscali alla luce delle riforme in atto, in Il fisco, n. 13/2004, pp. 1955 ss.
14 Secondo TRIB. MONZA, 6 luglio 2001, “non v’è dubbio che se il creditore è libero di rinunciare al suo
diritto (art. 1236 c.c.) a fortiori possa rinunciare a una qualità «naturale» del credito. Non può invece ritenersi
legittimo che il debitore, senza il consenso del creditore modifichi unilateralmente la natura del rapporto
obbligatorio, trasformando la situazione soggettiva dell’altra parte da soggetto titolare di una posizione di
credito (sia pur in capo a persona che rivesta in pari tempo qualità di socio) in quella di detentore di una
partecipazione societaria.
(…) è certo che con i prestiti postergati (…) il creditore non dismette il proprio credito e non compie un
versamento in conto capitale o a fondo perduto: l’ammontare del debito non viene a far parte del capitale ma
va separatamente appostato nella parte passiva del bilancio e, se da un punto di vista meramente economico,
il creditore subisce in maggior grado rispetto ad altri creditori il rischio della insolvenza, nondimeno resta un
creditore che conserva giuridicamente il diritto alla restituzione della somma versata e può per l’intero
ammontare insinuarsi al passivo fallimentare.
(…) Stando così le cose, appare illecita la delibera societaria che, senza il consenso del creditore postergato
abbia utilizzato il suo credito imputandolo a capitale, trattandosi di una novazione non contrattuale del
rapporto obbligatorio”.
Cfr. anche M. CONFALONIERI, Bilanci ed operazioni straordinarie, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano 2000, pp. 303304; C. SOTTORIVA, Nota a sentenza Trib. Monza, 6 luglio 2001, in Le società, n. 5/2002, pp. 600 ss.
15 “(…) i versamenti a fondo perduto si differenziano dai finanziamenti dei soci in quanto i primi entrano, una
volta effettuati, nella piena disponibilità della società, mentre per gli altri permane l’obbligo della restituzione.
(…) è da escludere che i versamenti a fondo perduto abbiano causa di mutuo perché appunto manca l’obbligo
di restituzione; ma neppure si può dire che abbiano causa donandi, perché mancano gli elementi essenziali del
contratto di donazione (animus e forma). Non resta che riconoscere la atipicità di queste elargizioni,
avvicinandole, al massimo all’ipotesi dell’adempimento del terzo (…)”, M. BOIDI, I versamenti ed i finanziamenti
dei soci, Libro MAP n. 3, Associazione MAP, Torino 2004, p. 140.
16 G.E. COLOMBO, G.B. PORTALE, Trattato delle società per azioni, vol. 7, Bilancio d’esercizio e consolidato, Utet,
Torino 1994, p. 369.
13
9
Si tratta, in sostanza, di versamenti volontari, infruttiferi, liberamente erogati dai soci
senza alcun limite di forma e senza rispettare necessariamente il vincolo della
proporzionalità rispetto alla partecipazione al capitale sociale17. Essi rappresentano una
forma di finanziamento certamente più snella e meno onerosa rispetto all’aumento di
capitale: in quest’ultimo caso, infatti, occorrerà convocare l’assemblea straordinaria e
procedere alle necessarie modifiche dell’atto costitutivo.
Generalmente, quindi, i versamenti a fondo perduto sono il frutto di autonome iniziative
dei singoli soci; in alcuni casi, però, gli stessi soci stipulano appositi patti parasociali, nei
quali vengono precisate le condizioni che giustificano l’intervento finanziario a favore della
società18.
Le somme versate a fondo perduto, essendo qualificate come parti ideali del patrimonio
netto, non comportano alcun obbligo di restituzione ai soci, se non al momento della
liquidazione della società. E’ opportuno precisare che la loro eventuale restituzione avverrà,
ad ogni modo, in misura proporzionale al capitale sociale detenuto da ciascun socio, ed
indipendentemente, quindi, dall’ammontare dei contributi effettivamente erogati da
ciascuno di essi19.
Va ricordato, inoltre, che nella categoria dei versamenti in esame sono ricomprese anche
le erogazioni concesse dai soci per coprire eventuali perdite in corso di formazione, ovvero
“Trattasi (…) di apporti non di capitale, destinati a confluire in riserve patrimoniali e ad essere perciò
registrati in bilancio tra le altre poste formanti il patrimonio netto.
(…) Né certamente è necessario adottare, per la validità del contratto (atipico conferimento di capitale) in
esame una delibera assembleare o porre in essere altro atto formale da cui risulti il versamento dei soci.
Parimenti non è indispensabile che risultino agli atti societari i nominativi dei soci che hanno effettuato i
conferimenti e la percentuale attribuibile a ciascuno di loro. Anzi, la mancanza di indicazioni in tal senso, al di
là della presunzione che ogni socio abbia versato in ragione delle sue azioni, induce a far ritenere che i
versamenti siano stati effettuati a copertura delle perdite, poiché l’esigenza di esplicitare la rispettiva quantità
dei conferimenti viene in maggior rilievo ove i predetti versamenti siano stati eseguiti in conto aumento
capitale o a titolo di prestito”, TRIB. GENOVA, 12 febbraio 2002. Cfr. anche TRIB. ROMA, 11 febbraio 1995.
18 “La dottrina unanime (Oppo, Santoni) ritiene validi i c.d. patti di finanziamento, ossia le convenzioni
parasociali in forza delle quali alcuni soci si impegnano ad effettuare finanziamenti in favore delle società nei
termini e nelle condizioni previste dalle convenzioni parasociali medesime. I soci assumono così obblighi
ulteriori ed accessori rispetto agli obblighi nascenti dal contratto di società.
Fra i patti di finanziamento rientrano i patti aventi ad oggetto i c.d. «versamenti a fondo perduto», consistenti
in pattuizioni parasociali in forza delle quali i soci si impegnano ad effettuare in favore della società
attribuzioni patrimoniali dirette ad incrementare il patrimonio, ma non qualificabili come conferimenti ai sensi
degli art. 2253 ss. c.c.
Tali patti danno luogo alla figura del contratto a favore di terzo, che, nel caso in esame, è la società; questa
acquista il diritto di disporre delle somme versate dai soci (…) e non sarà tenuta a restituirle ai soci (…)”,
B. QUATRARO, S. D’AMORA, Trattato pratico delle operazioni sul capitale, cit., p. 322.
19 Cfr. G.B. PORTALE, Appunti in tema di «versamenti in conto futuri aumenti di capitale eseguiti da un solo socio», in
Banca, borsa e titoli di credito, n. 1/1995, p. 93; B. QUATRARO, S. D’AMORA, Trattato pratico delle operazioni sul
capitale, cit., pp. 320 ss.
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10
perdite già rilevate negli esercizi precedenti20. In tali casi si utilizzano generalmente
differenti denominazioni quali “versamenti in conto capitale”, “versamenti per copertura
perdite” ovvero “versamenti per copertura perdite future”21. Gli stanziamenti in parola solo
occasionalmente vengono esplicitamente iscritti nello stato patrimoniale; di solito, infatti,
essi sono immediatamente compensati con le perdite accertate a fine esercizio.
La dottrina ha espresso perplessità circa la possibile restituzione dei versamenti a fondo
perduto da parte della società. Secondo alcuni autori, infatti, detti versamenti
rappresenterebbero delle riserve indisponibili; di conseguenza, l’eventuale distribuzione
delle stesse, sarebbe subordinata alle limitazioni previste in materia di diminuzione del
capitale sociale22.
Secondo la prevalente dottrina, invece, i versamenti in conto capitale rappresenterebbero
dei fondi liberamente utilizzabili al pari delle riserve disponibili, con la conseguenza che
anche l’assemblea ordinaria può deliberarne un loro particolare utilizzo o addirittura la loro
restituzione ai soci23.
La classificazione proposta nel Principio Contabile n. 28 distingue, infine, i “versamenti
in conto aumento di capitale” e quelli “in conto futuro aumento di capitale”.
Le categorie di versamenti innanzi citate si riferiscono ad erogazioni destinate ad un
successivo aumento del capitale sociale; a tal riguardo, è di tutta evidenza che la distinzione
fra le due tipologie citate è connessa alla presenza o meno della delibera assembleare di
aumento del capitale sociale.
Nel caso dei “versamenti in conto futuro aumento di capitale” vi è la riscossione di
somme destinate ad un futuro (eventuale) aumento del capitale sociale: tali rimesse
rappresentano, pertanto, dei fondi vincolati ad uno specifico scopo – il futuro aumento di
capitale – perfezionabile solo con la successiva approvazione dell’assemblea straordinaria24.
La dottrina ha precisato che la classificazione proposta nel Principio Contabile n. 28 “a livello
terminologico fa rientrare nella più ampia categoria dei «versamenti a fondo perduto» i «versamenti in conto
capitale» e i «versamenti a copertura perdite»”, M. CONFALONIERI, Bilanci ed operazioni straordinarie, cit., p. 303.
21 G. VASAPOLLI, A. VASAPOLLI, Gli apporti dei soci tra versamenti e finanziamenti, cit., p. 52.
22 Cfr. F. CHIOMENTI, I versamenti a fondo perduto, in Rivista di diritto commerciale, II, 1974, pp. 111 ss.
23 Cfr. P. FERRO LUZZI, Imputazione a capitale della posta: “soci c/finanziamento infruttifero”, in Giurisprudenza
Commerciale, II, 1982, p. 260; F. GALGANO, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico
dell’economia, Padova 1988, pp. 375 ss.; B. QUATRARO, S. D’AMORA, Trattato pratico delle operazioni sul capitale,
cit., p. 324; G. TANTINI, I «versamenti in conto capitale» tra conferimenti e prestiti, cit.; G. VASAPOLLI, A. VASAPOLLI,
Gli apporti dei soci tra versamenti e finanziamenti, cit., p. 51.
24 “Va opportunamente premesso il rilievo che i versamenti in questione si caratterizzano per il fatto di essere
stati effettuati anticipatamente (ed in funzione) di un futuro aumento di capitale che i soci hanno previsto o si
sono addirittura accordati di deliberare. Essi, dunque, consistono nell’esborso anticipato del denaro
occorrente a liberare, in tutto o in parte, il futuro aumento di capitale.
20
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I versamenti in conto aumento capitale corrispondono, invece, ad erogazioni per aumenti
del capitale sociale la cui delibera assembleare, seppur già stata approvata, non risulta
ancora iscritta nel Registro delle Imprese. Anche in questo caso si tratta di fondi
patrimoniali indisponibili, vincolati ad uno specifico scopo, la cui eventuale restituzione è
possibile solo in caso di mancato perfezionamento della procedura di aumento del capitale
sociale.
Le due tipologie di “versamenti” poc’anzi esaminate – qualificabili tra i conferimenti
atipici del capitale di rischio – vanno iscritte nel bilancio fra le “Altre riserve” del patrimonio
netto (voce A.VII. del passivo)25.
Si è già detto che nella pratica, nonostante le precisazioni contenute nel Principio
Contabile n. 28, si riscontrano frequentemente alcune fattispecie di dubbia classificazione.
In particolare creano incertezza quelle situazioni in cui i soci effettuano versamenti a favore
della società, senza esplicitarne la causa sottostante26. Tali casi risultano particolarmente
frequenti nelle piccole realtà societarie a stretta base azionaria nelle quali dette erogazioni
non trovano giustificazione in una delibera assembleare, né tanto meno in un separato
documento.
L’evidente collegamento con il futuro aumento di capitale è l’elemento che distingue i versamenti in questione
da quelli «a fondo perduto», nei quali manca il predetto collegamento.
Ne consegue che, mentre l’utilizzazione dei versamenti a fondo perduto dà luogo ad un aumento gratuito del
capitale sociale, l’utilizzazione dei versamenti in conto futuro aumento di capitale dà luogo ad un aumento «a
pagamento» (anticipato), che va attribuito automaticamente ai soli soci che effettuarono tali versamenti ed in
proporzione degli stessi e non a tutti i soci (come avverrebbe se l’aumento di capitale fosse gratuito)”,
B. QUATRARO, S. D’AMORA, Trattato pratico delle operazioni sul capitale, cit., pp. 333 ss.
Si noti che “i versamenti in conto futuro aumento possono essere utilizzati dalla società solo per liberare
aumenti onerosi e non anche per coprire eventuali perdite, a meno che ovviamente non risulti una diversa
volontà dei soci o del socio che li hanno effettuati”, M. BOIDI, I versamenti ed i finanziamenti dei soci, cit., p. 141.
“(…) nell’ipotesi in cui le erogazioni di somme da parte dei soci siano effettuate in vista di un aumento di
capitale, programmato, ma non ancora deliberato – c.d. versamento in conto futuro aumento di capitale – la
mancata adozione della delibera di aumento del capitale comporta la nascita in capo alla società di un obbligo
di restituzione dell’apporto patrimoniale ricevuto. In tal caso, i soci hanno dunque diritto alla restituzione di
quanto versato, cosicché i corrispondenti importi non sono iscrivibili fra le riserve o comunque non possono
essere medio tempore utilizzati per la copertura di perdite. Ove dunque risulti accertata indiscutibilmente la reale
destinazione in conto futuro aumento di capitale di tali versamenti, logica conseguenza sarà che la società non
potrà disporre degli stessi per ripianare le perdite”, M.T. BRODASCA, Commento a Trib. Genova del 12 febbraio
2002, cit., pp. 621 ss.
25 E’ opportuno sottolineare che “possono tuttavia sollevarsi legittimi dubbi circa la correttezza di tale
appostazione con riferimento ai versamenti in conto futuro aumento del capitale sociale che (…) non
vengono da subito acquisiti irrevocabilmente al patrimonio della società, essendo quindi forse preferibile
iscriverli, fintanto che non siano imputati formalmente a capitale, in un apposito fondo per rischi ed oneri”,
G. SPALTRO, Commento a Trib. Trani del 23 ottobre 2003, in Le società, n. 4/2004, p. 482.
Cfr. anche TRIB. REGGIO EMILIA, 30/10/1988; TRIB. TORINO, 19/06/1981; E. BOCCHINI, La struttura
finanziaria delle società per azioni, Cedam, Padova 1993, p. 266.
26 “(…) vi sono dei casi (si pensi, ad esempio, al versamento in conto futuro aumento di capitale) che restano
sempre in un’area grigia che dovrebbe essere evitata al fine di non portare a difformità interpretative e a
contenziosi che possono diventare anche molto complessi (…)”, P. COMUZZI, Contrasto alla sottocapitalizzazione
e diritto societario, in Il fisco, n. 13/2004, p. 1963.
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Sul punto la giurisprudenza si era pronunciata, in un primo tempo, stabilendo che, in
mancanza di chiare manifestazioni di volontà, i versamenti effettuati dai soci dovessero
essere inquadrati, in via presuntiva, fra i conferimenti “atipici” di capitale di rischio27.
Tale impostazione era, peraltro, avversata dalla dottrina più autorevole che ne denunciava
la assoluta mancanza di fondamento normativo28.
In considerazione di tali critiche la giurisprudenza più recente ha modificato il suo
orientamento precisando che spetta all’interprete tener conto, caso per caso, sia delle
circostanze in cui sono stati effettuati i versamenti, sia dell’eventuale fine (non dichiarato)
perseguito attraverso l’operazione oggetto del contenzioso29.
Tale approccio ermeneutico andrà adottato con maggiore incisività nei casi in cui emerga
il sospetto che i versamenti oggetto di esame siano stati artificiosamente classificati fra i
prestiti “liberamente rimborsabili”, al solo fine di poter procedere a distribuzioni
preferenziali del patrimonio aziendale, in danno dei creditori ed in evidente contrasto con il
c.d. principio della par condicio creditorum30.
La stessa Cassazione ha ulteriormente chiarito che, in alcuni casi, la manifestazione di
volontà delle parti – soci finanziatori e società – possa essere legittimamente desunta dal
CASS., 3 dicembre 1980, n. 6315, “(…) il versamento effettuato dai soci della società in conto futuro
aumento di capitale, pur non determinando un incremento del capitale sociale e pur non attribuendo alle
relative somme la condizione giuridica propria del capitale, ha una causa che di norma è diversa da quella del
mutuo (a meno che non esista una specifica pattuizione in contrario, tale da snaturare il tipo di elargizione e
da ricondurla allo schema di un comune finanziamento), ed è simile invece a quella del conferimento in conto
capitale che è un conferimento di rischio”.
28 P. FERRO LUZZI, I «versamenti in conto capitale», in Giurisprudenza Commerciale, II, 1981, pp. 895 ss.;
G. TANTINI, I «versamenti in conto capitale» tra conferimenti e prestiti, cit., pp. 120 ss.
29 CASS., 19 marzo 1996, n. 2314, “(…) la già rilevata frequenza dell’uso di termini non intesi nel loro
significato tecnico giuridico (e quasi sempre volti più al perseguimento di finalità fiscali che a definire
civilisticamente la fattispecie) rende necessario non arrestarsi alla mera denominazione adoperata nelle
scritture contabili della società, per volgere invece l’attenzione soprattutto al modo in cui concretamente è
stato attuato il rapporto, alle finalità pratiche cui esso appare essere diretto ed agli interessi che vi sono attesi”.
Successive pronunce in tal senso: CASS., 14 dicembre 1998, n. 12539; CASS., 19 luglio 2000, n. 9471; CASS.,
6 luglio 2001, n. 9209; CASS., 21 maggio 2002, n. 7427; TRIB. VERONA, 15 maggio 1998; TRIB. ROMA,
21 maggio 2001. Cfr. G. TANTINI, Nota a sentenza del Tribunale di Roma del 21 maggio 2001, in Giurisprudenza
Commerciale, n. 5 /2003, pp. 690 ss.
“Nell’ambito di questa indagine, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, è necessario
accertare quale sia stata la reale intenzione delle parti tra le quali il rapporto si è instaurato, dovendo il giudice
di merito, nell’esercizio di tale attività ermeneutica tener conto del modo in cui concretamente è stato attuato
il rapporto, nonché delle finalità pratiche perseguite e degli interessi implicati, e potendo pure, nella
considerazione di una pluralità di elementi ermeneuticamente rilevanti, operare una selezione in base alla
rispettiva valenza, attribuendo a uno o alcuni di essi una posizione di preminenza nell’iter formativo del suo
convincimento”, TRIB. TRANI, 23 ottobre 2003.
30 “(…) si evince, peraltro, che talvolta viene deliberatamente utilizzata una terminologia equivoca, al fine
dapprima di iscrivere il versamento tra le riserve e consentire alla società di esibire un patrimonio netto più
elevato, per poi pretenderne la restituzione, ad esempio nel caso di insolvenza della società, riqualificandolo
come finanziamento, così operando un illecito travaso di poste del passivo ideale al passivo reale della
situazione patrimoniale, ad esclusivo vantaggio dei soci ed a danno di quanti, nel contrarre obbligazioni con la
società, abbiano fatto affidamento su un determinato patrimonio sociale quale garanzia generica del rimborso
dei loro crediti”, G. SPALTRO, Commento a Trib. Trani del 23 ottobre 2003, cit., p. 484. Cfr. anche G. TANTINI,
Nota a sentenza del Tribunale di Roma del 21 maggio 2001, cit., pp. 690 ss.
27
13
bilancio approvato dall’assemblea ordinaria31. Più precisamente la Suprema Corte ha
affermato che l’approvazione del bilancio rappresenta lo strumento utilizzato dai soci per
chiarire la causa sottostante ad un determinato versamento. Pertanto, in mancanza di altri
elementi e salvo prova contraria, l’erogazione effettuata dai soci, se iscritta nella
macroclasse D. (Debiti) del passivo, deve esser equiparata ad un vero e proprio
finanziamento, in ragione del quale i soci vantano un diritto di rimborso equivalente a
quello degli altri creditori sociali.
Tale soluzione deve considerarsi certamente ragionevole, ancorché occorre ribadire che
trattasi, comunque, di una presunzione relativa, suscettibile di ribaltamenti nel caso in cui
emergano elementi di particolare rilievo che giustifichino la “riqualificazione” dei
versamenti in esame32.
A tal proposito è opportuno precisare che, nel caso in cui la società si rifiuti di restituire
un presunto finanziamento effettuato da un socio, spetti a quest’ultimo dimostrare la
sussistenza del diritto alla restituzione di quanto precedentemente prestato33.
Vi sono, infine, altri casi in cui, pur sussistendo una chiara manifestazione della volontà
perseguita dalle parti contraenti, siano carenti alcuni requisiti essenziali per la definizione
del rapporto sottostante.
Si pensi, ad esempio, al caso di un prestito erogato dai soci preventivamente autorizzato
con delibera assembleare e regolarmente collocato in bilancio fra i debiti societari nella
macroclasse D. Si ipotizzi, però, che, nonostante la chiara manifestazione di volontà
espressa nel bilancio, non vengano definite in modo chiaro le modalità e le scadenze per
procedere alla restituzione delle somme precedentemente riscosse.
31 CASS., 14 dicembre 1998, n. 12539 “(…) se, tuttavia, manca una chiara manifestazione di volontà, la chiave
di lettura della qualificazione non può che essere ricercata nella terminologia adottata dal bilancio: questo è
soggetto all’approvazione dei soci e le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio diventano
determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento”. Cfr. anche APP. ROMA,
15/07/2002.
“Si tratta di capire quando un versamento sia da considerare come un versamento infruttifero ma ripetibile
dal socio e quando sia invece un importo erogato a titolo definitivo e quindi non ripetibile dal socio che lo ha
erogato. La soluzione che viene prospettata dalla dottrina più autorevole (…) è quella di dare una
fondamentale importanza al bilancio: se l’importo è erogato come finanziamento (per quanto a restituzione
differita e magari postergata) deve essere iscritto nella voce “debiti verso altri finanziatori” e non nella voce
“altre riserve distintamente indicate”, P. COMUZZI, Contrasto alla sottocapitalizzazione e diritto societario, cit.,
p. 1963. Si veda anche G. TANTINI, Il bilancio di esercizio, Cedam, Padova, 2000.
32 G. TANTINI, Nota a sentenza del Tribunale di Roma del 21 maggio 2001, cit., p. 690 ss.
33 CASS. (MAS), 6 luglio 2001, n. 9202, “L’attore che chieda la restituzione di una somma di denaro,
affermando di averla data a mutuo, è tenuto a dare la prova, oltre che della avvenuta consegna del denaro,
anche che questa è stata effettuata per un titolo che ne importi l’obbligo alla restituzione, con la conseguenza
che l’onere della prova su di lui incombente può dirsi adempiuto solo quando risultino accertati entrambi tali
elementi del fatto costitutivo della pretesa, senza che la contestazione del convenuto, il quale riconoscendo di
aver ricevuto la somma deduca una diversa ragione della sua dazione, configuri un’eccezione in senso
sostanziale, tale da invertire l’onere della detta prova”.
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In tal caso, la mancata previsione dei termini per la restituzione potrebbe legittimare
l’interprete a “riqualificare” i versamenti in parola, classificandoli come apporto di mezzi
propri e disconoscendone il diritto al rimborso34.
Secondo una valutazione particolarmente rigorosa – confortata peraltro da una recente
pronuncia giurisprudenziale – si può affermare che la mancata indicazione di una scadenza
per il rimborso possa rappresentare un indizio di negozio simulato, con la conseguenza che
detta omissione rappresenti, in concomitanza di altri eventuali indizi, un fondato motivo
per disconoscere il diritto al rimborso rivendicato dal socio35.
Più misurato, invece, deve considerarsi l’orientamento dottrinale secondo cui la
mancanza di un piano di rientro rappresenta una circostanza tale da far ipotizzare una
scadenza a vista del finanziamento. In tale ottica, pertanto, il prestito dovrà essere
rimborsato ogni qualvolta ne faccia esplicita richiesta il socio finanziatore36.
3. I finanziamenti dei soci ai sensi del novellato art. 2467 c.c.
Il problema della indeterminatezza di confini esistenti tra l’apporto di capitale di rischio
ed i finanziamenti concessi dai soci a titolo di mutuo ha assunto particolare rilievo anche a
seguito delle recenti novità introdotte con la riforma del diritto societario37.
TRIB. TRANI, 23 ottobre 2003, “Esaminando poi il tenore letterale delle delibere assembleari (…) si nota in
primo luogo che mentre nelle delibere del 12 marzo e del 3 ottobre 1988 non vi è alcuna previsione in termini
di restituzione dei finanziamenti, nell’analoga delibera (…) del 9 gennaio 1989 è stabilito che «i finanziamenti
saranno restituiti ai soci appena si realizzi disponibilità di cassa». (…) deve comunque rilevarsi la scarsa
rilevanza probatoria dell’espressione «appena si realizzi disponibilità di cassa»; e ciò in considerazione del suo
carattere equivoco, non essendo specificato se la disponibilità di cassa doveva riguardare l’intero
finanziamento o anche soltanto una parte di esso, e non essendo neppure agevolmente individuabile il
momento in cui si possa creare una disponibilità di cassa in una società con pesanti, continue e perduranti
perdite”.
35 TRIB. TRANI, 23 ottobre 2003, “Tutti gli elementi sopra enucleati, vale a dire, l’assenza di un contratto
scritto inquadrabile nello schema del mutuo; l’inattendibilità della classificazione delle relative poste contenuta
nelle scritture contabili dell’impresa; la posizione soggettiva assunta dai soci esclusivamente in un rapporto
interno alla società; l’assenza di un predeterminato termine di restituzione ai soci; la dichiarata ed esplicita
finalità pratica perseguita; l’interesse economico effettivamente soddisfatto; l’obbligatorietà, nonché la
proporzionalità rispetto alle quote sociali; portano a concludere univocamente che la reale intenzione dei soci
(…) sia stata quella di realizzare degli apporti finanziari destinati ad aggiungersi ai conferimenti eseguiti all’atto
della costituzione della società (…), e che si sono tradotti in incrementi del patrimonio netto della società nel
preciso intento di incrementare stabilmente l’attività imprenditoriale”. Si veda anche: A. COLAVOLPE,
Commento a sentenza Trib. Monza, 13 novembre 2003, in Le società, n. 6/2004, pp. 746 ss.; M. SPIOTTA, Nota a
sentenza App. Milano del 31 gennaio 2003, in Giurisprudenza Commerciale, n. 5/2003, II, pp. 632 ss.
36 “(…) L’assenza di un termine preciso per la restituzione delle somme versate dai soci non è elemento di per
se stesso sufficiente ad escludere che possa trattarsi di finanziamento, non essendo tale mancata previsione
incompatibile con la fattispecie negoziale del mutuo atteso che l’art. 1817 c.c. espressamente dispone che se il
termine per la restituzione delle somme non è fissato, così come qualora sia stato convenuto che il mutuatario
pagherà quando potrà, le parti possono chiedere che venga stabilito dal giudice, avuto riguardo delle
circostanze”, G. SPALTRO, Commento a Trib. Trani del 23 ottobre 2003, cit., p. 486.
37 Cfr. N. ABRIANI, T. ONESTI, (a cura di), La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto, in
Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, n. 263, Giuffrè Editore, Milano 2004; E. CAVALIERI, Appunti in margine alla
riforma del diritto societario, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n. 1/2005; A. D’ALESSIO,
34
15
Come già si è osservato in premessa, il primo comma del novellato art. 2467 c.c. dispone,
infatti, che il “rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato
rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la
dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito”.
Secondo le disposizioni suindicate “s’intendono finanziamenti dei soci a favore della
società quelli in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui,
anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo
squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione
finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.
L’analisi delle implicazioni derivanti dalla norma innanzi riportata risulta particolarmente
complessa e non priva di incertezze.
Ad un primo esame si nota, innanzitutto, che la nuova disciplina introduce un principio
di revocabilità assoluta di qualsiasi rimborso effettuato a favore dei soci nell’anno
precedente alla data di fallimento; detto principio non ammette prova contraria e non
consente, quindi, al socio di dimostrare l’eventuale insussistenza di un intento fraudolento.
Secondo quanto affermato nella relazione accompagnatoria al d.lgs. n. 6 del 2003, la
scelta di postergare i crediti vantati dai soci rappresenta una soluzione “comune alla
maggior parte degli ordinamenti e sostanzialmente già affermata in giurisprudenza”38.
Nella stessa relazione si fa cenno, però, alla estrema difficoltà nel fissare validi criteri che
consentano di individuare la fattispecie dei “finanziamenti effettuati dai soci a favore della
società che formalmente si presentano come capitale di credito, ma nella sostanza
economica costituiscono parte del capitale proprio”.
In sostanza il legislatore ha preso atto della impossibilità di stabilire parametri quantitativi
“idonei a distinguere tale forma di apporto rispetto ai rapporti finanziari tra soci e società
B. IANNIELLO, P. MOLINO, A. MORGIGNI, Riforma societaria, Ipsoa, Milano 2003, pp. 128-129; L. DE ANGELIS,
Dal capitale «leggero» al capitale «sottile»: si abbassa il livello di tutela dei creditori, in Le società, n. 12/2002, pp. 1456 ss.;
D. FICO, Il finanziamento delle società di capitali, Ipsoa, Milano 2005; ORGANISMO ITALIANO DI CONTABILITA’, OIC
1. I principali effetti della riforma del diritto societario sulla redazione del bilancio d’esercizio, ottobre 2004.
38 “La pericolosità per i creditori sociali della sottocapitalizzazione nominale era già stata avvertita verso la
fine degli anni trenta, dalla giurisprudenza del Reichsgericht, la quale faceva notare che la descritta modalità di
finanziamento conserva al socio la possibilità di «crearsi, nel caso di insuccesso [dell’impresa], il ruolo di
creditore al fine di poter vantare una pretesa sul patrimonio sociale in concorso con gli altri creditori, mentre
come socio dovrebbe essere postergato a questi».
(…) per quanto qui interessa è sufficiente dire, per il momento, che oggi, per il diritto tedesco, nel caso di
assoggettamento della società a procedura concorsuale, tutti i crediti concessi dai soci alla società,
direttamente o indirettamente (…), devono essere trattati come «capitale proprio» se la società, nel momento
in cui ha avuto il finanziamento, non era in grado di ottenere credito (…) alle normali condizioni di mercato”,
G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni capitalizzata, cit., p. 30.
16
che non meritano di essere distinti da quelli con un qualsiasi terzo”39. Per tale ragione, lo
stesso legislatore ha ritenuto opportuno stabilire un approccio “tipologico” attraverso il
quale l’interprete deve individuare, volta per volta, la causa del versamento, osservando sia
la concreta situazione della società finanziata, sia la prassi comunemente adottata nel
rispettivo mercato di riferimento40.
Si è già detto che con tale previsione normativa si è inteso tutelare i creditori estranei alla
compagine societaria, assimilando il trattamento dei finanziamenti (erogati dai soci) a quello
del capitale di rischio41. Tale misura legislativa consente, allo stesso tempo, di contrastare il
fenomeno della sottocapitalizzazione nominale, in quanto essa riduce drasticamente gli
elementi di convenienza propri dei versamenti aventi causa di mutuo.
L’analisi puntuale dell’art. 2467 c.c. consente di circoscrivere, almeno parzialmente,
l’ambito di applicazione della norma in esame. Si può affermare, pertanto, che la
disposizione poc’anzi citata si applica a tutte le fattispecie che soddisfano le seguenti
condizioni:
1. vi sia stato un finanziamento da parte dei soci in qualsiasi forma effettuato;
2. detto finanziamento sia stato rimborsato, anche solo parzialmente, prima della
dichiarazione di fallimento della società;
3. al momento del finanziamento, anche in considerazione dell’attività svolta, vi
fosse un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto,
ovvero la situazione finanziaria della società fosse tale da far ritenere ragionevole
Un esempio di legislazione che, al contrario, ha adottato criteri basati su “parametri matematico finanziari”
è rappresentato dalla legge azionaria della California del 1975, successivamente modificata con il c.d. Model
Business Corporation Act (oggi Revised Model Business Corporation Act).
“La legge californiana (…) condiziona le «distribuzioni» ai soci (…) al rispetto di termini matematico-finanziari (un
coefficiente di solvibilità ed un coefficiente di liquidità) (…). Il Model Business Corporation Act (MBCA) limita, per
contro, la tutela dei creditori sociali al rispetto di un c.d. test d’insolvenza, in virtù del quale non possono essere fatte
«distribuzioni» ai soci quando la società è «insolvable» o lo diventerebbe con le «distribuzioni»: è considerata
«insolvable» la società che nel corso normale della sua attività non è in grado di pagare i propri debiti (equity insolvency
test), come pure quella il cui attivo totale è inferiore al passivo totale aumentato di quanto sarebbe versato agli
azionisti privilegiati in caso di liquidazione (balance sheet test)”, G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni
capitalizzata, cit., p. 25.
Limitatamente ai parametri inizialmente previsti nella legge azionaria del 1975, prosegue il Portale in nota:
“(…) le «distribuzioni» (…) sono sempre possibili se esistono utili accantonati a riserva; in caso diverso,
devono essere rispettate due condizioni: la prima è che l’attivo di bilancio superi il passivo di oltre il 25% (c.d.
test di solvibilità); la seconda (c.d. test di liquidità) che l’attivo corrente corrisponda almeno al passivo corrente
(oppure che sia quanto meno pari al 125% del passivo corrente se gli utili medi degli ultimi due esercizi, prima
delle tasse e degli oneri finanziari, siano stati inferiori alla media degli oneri finanziari dello stesso periodo)”.
40 Cfr. Relazione Tecnica allo schema di decreto legislativo recante riforma organica della disciplina delle
società di capitali e società cooperative, in attuazione della L. 03 ottobre 2001, n. 366.
41 La disciplina recentemente introdotta accresce la tutela dei creditori estranei alla compagine societaria in
quanto “attraverso i prestiti alla società (sottocapitalizzata) i soci si precostituiscono un titolo in sede
fallimentare per allineare le proprie pretese a quelle dei cosiddetti creditori esterni, alterando così la regola che
nelle società vuole che il rischio del socio sia per definizione postergato a quello dei creditori sociali”,
G.B. PORTALE, A. ZOPPINI, Disciplina finanziaria all’europea, in Il Sole 24 Ore del 9 gennaio 2003.
39
17
il ricorso ad un conferimento, piuttosto che ad un finanziamento liberamente
rimborsabile.
Si noti che la norma in esame è collocata dal legislatore nel capo VII (libro V, titolo V del
codice civile), dedicato alle società a responsabilità limitata: a prima vista, quindi, si
dovrebbe presumere che detta norma si applichi unicamente alle società aventi la medesima
forma giuridica. Tale interpretazione è confortata dal fatto che il fenomeno della
sottocapitalizzazione riguarda principalmente le società di capitali di piccole e medie
dimensioni, costituite solitamente sotto forma di società a responsabilità limitata.
A ben vedere, però, si osserva che l’applicazione della disciplina in esame andrà estesa, in
alcuni casi, anche ad altre tipologie di società di capitali.
L’articolo 2497–quinquies c.c. dispone, infatti, che “ai finanziamenti effettuati a favore
della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da
altri soggetti ad essi sottoposti si applica l’art. 2467”. Si noti che, in questo caso, non vi è
alcun richiamo alla forma societaria assunta dalla società finanziata: si può ritenere,
pertanto, che in tali circostanze la disciplina contenuta nel 2467 c.c. interessi anche le altre
tipologie societarie diverse dalla società a responsabilità limitata42.
Proseguendo nell’analisi puntuale dell’art. 2467 c.c., si osserva che il riferimento ai
finanziamenti “in qualsiasi forma” effettuati, amplia la casistica dei rimborsi revocabili. Alla
disciplina in argomento saranno assoggettati, infatti, sia i prestiti effettuati direttamente dal
socio (mediante dazioni di denaro), sia i c.d. “finanziamenti sostitutivi indiretti”.
Si tratta, in quest’ultimo caso, di quei finanziamenti erogati da soggetti estranei alla società
i quali, a fronte del loro impegno finanziario, ricevono garanzie (fideiussioni personali,
pegni, ecc.) da parte dei soci43.
L’operazione in parola assume i tratti di un finanziamento indiretto dei soci in quanto, in
caso di insolvenza della società, i “terzi finanziatori” potranno soddisfarsi direttamente sui
soci, avvalendosi delle garanzie precedentemente ottenute. Gli stessi soci, una volta
soddisfatte le istanze creditorie di cui si sono fatti garanti, subentreranno nella stessa
42 “(…) l’ambito di applicazione della disposizione in discorso è limitato alle sole società a responsabilità
limitata (…) Relativamente alle società aventi forma giuridica diversa da quella ora considerata, l’art. 2467 c.c.
non risulta richiamato e quindi deve ritenersi che non trovi applicazione: in ogni caso, attraverso il richiamo
contenuto nell’art. 2497-quinquies c.c., è comunque prevista la postergazione del credito del socio nel caso di
finanziamenti effettuati a favore della società – anche per azioni – da quanti esercitano su di essa attività di
direzione e coordinamento anche indirettamente”, C. SANTORIELLO, Restituzione di somme versate dai soci a titolo
di finanziamento: profili penali, cit., p. 29.
43 Cfr. CNDC, FONDAZIONE ARISTEIA, I finanziamenti dei soci nella nuova società a responsabilità limitata, documento n.
34/2003. Sul trattamento contabile delle garanzie si veda G. ZANDA, E. LAGHI, I. ROMAGNOLI, Le lettere di patronage:
problemi di contabilizzazione, Giappichelli, Torino 1998.
18
posizione dei finanziatori garantiti e potranno rivendicare – in concorso con gli altri
creditori sociali – la restituzione del loro “apporto indiretto”.
Un’analisi particolarmente rigorosa dell’art. 2467 c.c. induce parte della dottrina a
dubitare circa l’effettivo rafforzamento degli strumenti posti a tutela dei creditori estranei
alla compagine societaria. In particolare il De Angelis sottolinea che “l’inefficacia postfallimentare dei rimborsi di tali finanziamenti limitata all’anno precedente l’apertura della
procedura «sembra trattare come atti leciti e non toccabili» i rimborsi dei versamenti
medesimi eseguiti oltre tale termine anche in presenza di tangibili manifestazioni del
dissesto, o quanto meno della crisi, dell’impresa sociale”44.
Lo stesso Autore solleva anche la questione relativa al momento in cui possa farsi valere
la postergazione. In sostanza il De Angelis si interroga se la procedura di revoca dei
rimborsi possa esser attivata solo con la dichiarazione di fallimento ovvero, al contrario,
anche quando la società sia ancora in funzionamento.
Nel caso in cui si dovesse interpretare rigidamente il dettato normativo si potrebbe
giungere alle seguenti conclusioni:
a) i rimborsi effettuati entro un periodo antecedente il termine annuale, previsto
nell’art. 2467 c.c., non sono più ripetibili;
b) i creditori non possono far valere la postergazione se non dopo la dichiarazione
di fallimento o la messa in liquidazione della società.
E’ evidente che una tale interpretazione indurrebbe i creditori a voler anticipare il
fallimento (o la liquidazione) della società, onde evitare che gli eventuali rimborsi già
effettuati a favore dei soci si consolidino per decorrenza del termine annuale innanzi
richiamato.
Le due questioni interpretative innanzi illustrate devono esser risolte – a parere di chi
scrive – considerando gli obiettivi perseguiti dal legislatore; a tal riguardo è appena il caso di
precisare che la norma in esame intende rafforzare la tutela dei creditori.
Si deve ritenere, perciò, che l’art. 2467 c.c. – pur introducendo una presunzione assoluta
di revocabilità dei rimborsi effettuati entro un anno dal fallimento – non ha inteso limitare,
gli strumenti giudiziari – già esistenti prima della riforma – che consentono ai creditori di
revocare i rimborsi lesivi della par conditio creditorum45.
L. DE ANGELIS, Dal capitale «leggero» al capitale «sottile»: si abbassa il livello di tutela dei creditori, cit., p. 1464.
Cfr. M. RESCIGNO, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, in
Atti del Convegno “La riforma del diritto societario”, Courmayeur, 27-28 settembre 2002, Giuffrè Editore, Milano
2003, pp. 245 ss.
45 Cfr. CNDC, FONDAZIONE ARISTEIA, I finanziamenti dei soci nella nuova società a responsabilità limitata,
n. 34/2003.
44
19
A tal proposito va ricordato che, già prima delle disposizioni in argomento, la dottrina
riteneva certamente attivabile lo strumento della “riqualificazione” del finanziamento dei
soci, ove ricorressero i presupposti del negozio in frode alla legge46. Secondo tale approccio
il contratto di finanziamento non va considerato nullo, ma deve esser trattato in modo tale
che si realizzino gli effetti del negozio volutamente elusi (ossia la postergazione dei crediti
vantati dai soci).
Un’ulteriore questione sollevata in dottrina mira a chiarire se i versamenti oggetto della
disciplina in esame debbano essere postergati ai soli debiti esistenti al momento del
finanziamento, ovvero a tutti i debiti esistenti al momento del rimborso.
E’ opportuno evidenziare che i diritti volutamente salvaguardati dall’art. 2467 c.c. sono
solo quelli dei creditori esistenti al momento del finanziamento; gli altri creditori sorti
successivamente hanno la possibilità di conoscere l’entità dei debiti finanziari contratti dalla
società (compresi quelli con i propri soci) e di valutare i rischi connessi.
A ben vedere, però, l’art. 2467 c.c. non distingue tra debiti sorti prima o dopo il
finanziamento, per cui è certamente lecito accogliere l’orientamento che propende per un
“congelamento” dei rimborsi ai soci, fino a quando non sia stata interamente soddisfatta
l’intera massa dei creditori estranei alla compagine societaria47.
A tal riguardo, è opportuno precisare, però, che l’opposizione ad un eventuale rimborso a
favore di un socio può esser fatta valere solo nel momento in cui l’insolvenza della società
non consenta di soddisfare le istanze degli altri creditori.
Si ritiene condivisibile, quindi, l’orientamento dottrinale secondo il quale “la
postergazione non comporta una equiparazione dei finanziamenti al capitale di rischio, ma
regola soltanto il concorso del credito del socio alla restituzione con i crediti degli altri
creditori sociali: il finanziamento resta, pertanto, liberamente rimborsabile, salvo che la
situazione della società sia tale da non consentire il soddisfacimento integrale degli altri
creditori sociali”48.
G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni capitalizzata, cit., pp. 114-115.
Cfr. COMMISSIONE DI DIRITTO SOCIETARIO – ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI DI MILANO,
Nuovo diritto societario: le soluzioni operative. Finanziamenti dei soci nelle s.r.l., in Diritto e Pratica delle Società, n. 1/2003.
“(…) per quanto concerne la postergazione, va sottolineato che non potrà mai trattarsi di una possibile
postergazione, bensì, una volta effettuati i finanziamenti in presenza delle condizioni sopra evidenziate, di un
cappio non più scioglibile. La conseguenza, al momento immancabile, è che non viene data possibilità alcuna
di distinguere tra finanziamenti pre e post riforma, tra finanziamenti fruttiferi e infruttiferi, tra crediti di terzi
pre e post finanziamenti: il finanziamento del socio, sussistendo tutte le condizioni previste dalla norma,
rimane congelato sino a quando tutti i debiti, di qualsiasi natura, nei confronti dei terzi non siano stati saldati”,
M. BOIDI, I versamenti ed i finanziamenti dei soci, cit., pp. 134 ss.
48 “La restituzione dei finanziamenti operata dagli amministratori in spregio al dettato normativo comporta
inevitabilmente una responsabilità degli stessi verso la società e verso i creditori sociali: questi ultimi potranno
pertanto agire direttamente nei confronti di quegli amministratori che, rimborsando i finanziamenti in presenza
di una situazione che ne imporrebbe invece la postergazione, siano incorsi in una violazione degli obblighi di
46
47
20
Un ultimo aspetto su cui sorgono perplessità è il trattamento da riservare ai finanziamenti
dei soci avvenuti prima dell’entrata in vigore della riforma (1° gennaio 2004). Si pone il
dubbio, infatti, se i prestiti preesistenti debbano esser soggetti alla disciplina ex art. 2467
c.c.
Anche su tale problematica non vi è un orientamento unanime, atteso che l’applicazione
ex nunc della norma non è confortata da alcuna previsione normativa. La nuova
formulazione dell’art. 2467 c.c. fa riferimento, infatti, a tutti i rimborsi effettuati a favore
dei soci, indipendentemente dal momento in cui si sono originati i relativi titoli di debito.
Si ritiene peraltro certamente più ragionevole l’orientamento dottrinale secondo il quale la
nuova disciplina debba applicarsi ai soli finanziamenti erogati successivamente alla entrata
in vigore della riforma societaria49.
****
Si è detto più volte che l’analisi dell’art. 2467 c.c. pone l’interprete nella condizione di
dover approfondire tematiche più propriamente riconducibili all’alveo delle scienze
economico-aziendali.
In particolare, il secondo comma dell’art. 2467 c.c. – nello stabilire quali fattispecie
debbano essere assoggettate alle norme in argomento e quali, invece, ne restino escluse –
richiama alcuni concetti che si ritiene opportuno chiarire nel seguito del presente paragrafo.
Va precisato, innanzitutto, che l’utilizzo di nozioni piuttosto generiche, quali l’“eccessivo
squilibro dell’indebitamento” ed il ricorso “ragionevole” ai conferimenti piuttosto che al
capitale di credito, mal si adatta al nostro ordinamento giuridico basato sul civil law50.
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, a norma dell’art. 2393 c.c.”, M.A. COMNENO, Modalità di
finanziamento di una s.r.l., in E-dispensa del 08/04/2004 su “S.r.l.: attuazione della riforma societaria” (sito internet:
www.tuttomap.it).
“(…) non è tuttavia ulteriormente desumibile che a tali «prestiti» debba essere integralmente estesa la
disciplina del capitale sociale e/o delle riserve: in particolare, per quanto sia giusto affermare che la
restituzione dei prestiti-sostitutivi equivale sostanzialmente ad una riduzione di capitale (non esuberante), non
è pensabile un’applicazione estensiva dell’art. 2445 c.c., né, probabilmente, un mutamento di competenza
(dell’organo amministrativo dell’assemblea dei soci) per la decisione della loro restituzione”, G.B. PORTALE,
Capitale sociale e società per azioni capitalizzata, cit., p. 119.
Prosegue l’Autore: “(…) Fuori dalle procedure concorsuali, la «riqualificazione» non necessariamente ha il
carattere della definitività: essa cessa non appena la società diventi solvente (indipendentemente dai «prestiti»)
o finisce di trovarsi nella situazione di manifesta sottocapitalizzazione”, p. 121.
49 “I finanziamenti effettuati dai soci trovano infatti la loro causa in un contratto stipulato tra il socio e la
società: contratto sul quale la Legge non può incidere in modo retroattivo (in conformità a quanto disposto
dall’art. 11 delle Disposizioni Preliminari al c.c.) e che pertanto rimarrà regolato dalle disposizioni previgenti”,
M.A. COMNENO, Modalità di finanziamento di una s.r.l., cit., p. 18.
21
In sostanza i riferimenti fatti dal legislatore rendono incerto l’ambito di applicazione della
norma e saranno presumibilmente causa di frequenti contenzioni tra i soci e gli altri
creditori.
La scelta di non fissare rigidi parametri quantitativi risponde certamente ad un principio
di generale buonsenso che tiene conto soprattutto delle svariate peculiarità che
contraddistinguono ciascuna impresa51.
Tale approccio normativo determina, però, notevoli incertezze per individuare le
fattispecie “sanzionate” dal legislatore.
Occorre stabilire, pertanto, dei criteri più o meno oggettivi che consentano di accertare
concretamente la sussistenza delle seguenti fattispecie:
a) un “eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”;
b) una “situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un
conferimento” piuttosto che un finanziamento da parte dei soci52.
A tal fine si ritiene utile analizzare separatamente i due casi richiamati dal legislatore,
fornendone alcune possibili interpretazioni.
Si intende, pertanto, chiarire innanzitutto il concetto sub a) di “eccessivo squilibrio
dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”.
A tal riguardo un richiamo immediato può essere fatto alla letteratura aziendalistica in
materia di analisi del bilancio per indici53. Si ritiene utile, pertanto, segnalare quanto meno i
50 Il De Angelis esprime perplessità circa “l’indeterminatezza di questo rinvio alla clausola generale della
ragionevolezza, che ha un significato sufficientemente definito nella common law – nel cui sistema la
giurisprudenza suole frequentemente valutare gli atti e i comportamenti in base allo standard of reasonable man –
ma che non ne ha uno altrettanto sicuro nella civil law, e segnatamente nel diritto italiano”, L. DE ANGELIS,
Dal capitale «leggero» al capitale «sottile»: si abbassa il livello di tutela dei creditori, cit., pp. 1463-1464.
51 La dottrina afferma, ad esempio, che “la struttura finanziaria (essenzialmente la composizione del passivo
tra debito e mezzi propri e, in subordine, la composizione del debito) debba essere coerente con la formula
competitiva adottata, ossia coerente con la natura della specifica impresa (…)”, E. PARAVANI, Analisi
finanziaria, McGraw-Hill, Milano 2002, p. 81.
52 Sul concetto di “eccessivo squilibrio dell’indebitamento” e di “ragionevole” rapporto tra conferimenti e
finanziamenti si vedano: N. ANGIOLA, Crisi d’impresa. Modelli di analisi e previsione, Quaderni della sezione di
scienze economico-aziendali e ambientali, Università degli Studi di Lecce, 1998; A. BANDETTINI, Finanza
aziendale. Le fonti, Cedam, Padova 1987; W.H. BEAVER, Financial ratios as predictors of failure, in Journal of
Accounting Research, 1966; V. CODA, G. BRUNETTI, F. FAVOTTO, Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie
d’impresa, Etas Libri, Milano 2002; G. FERRERO, Il controllo finanziario nelle imprese. Strumenti del controllo di sintesi,
Giuffrè Editore, Milano 1984; L. GUATRI, All’origine delle crisi aziendali: cause reali e cause apparenti, in Finanza
marketing e produzione, n. 1/1985, pp. 11 ss.; T. ONESTI, La valutazione economica del capitale economico delle aziende in
perdita: un metodo empirico, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n. 5-6/1988;
E. PARAVANI, Analisi finanziaria, cit.
53 Sull’analisi di bilancio si vedano: A. AMADUZZI, G. PAOLONE, I bilanci di esercizio delle imprese, Utet, Torino 1986;
R.A. BREALEY, S.C. MYERS, S. SANDRI, Principi di finanza aziendale, 4a ed., McGraw-Hill, Milano 2003; L. BRUSA,
S. GUELFI, L. ZAMPROGNA, Finanza d’impresa, Etas Libri, Milano 2001; C. CARAMIELLO, F. DI LAZZARO,
G. FIORI, Indici di bilancio. Strumenti per l’analisi della gestione aziendale, Giuffré Editore, Milano 2003; M. CATTANEO,
Analisi finanziaria e di bilancio, Etas Libri, Milano 1973; A. CECCHERELLI, Il linguaggio dei bilanci, Le Monnier, Firenze
1970; V. CODA, G. BRUNETTI, M. BERGAMIN BARBATO, Indici di bilancio e flussi finanziari, Etas Libri, Milano 1974; G.
FERRERO, F. DEZZANI, P. PISONI, L. PUDDU, Le analisi di bilancio. Indici e flussi, Giuffré Editore, Milano 2003;
22
parametri maggiormente utilizzati nella pratica professionale per stimare la solvibilità e
solidità finanziaria di un’impresa (cfr. tabella n. 1).
Tabella n. 1 – Valori limite dei principali indici di struttura54
Indici / Rapporti
Composizione
Valori critici
Valori ottimali
Leverage
Totale fonti
Mezzi propri
>5
<3
Grado di capitalizzazione
Capitale proprio
Debiti finanziari
< 0,6
>1
Grado di copertura degli
oneri finanziari
Ebitda / Of
(ovvero)
Ebit / Of
< 2,0
> 5,5
< 1,7
> 4,0
Osservando la tabella dianzi riportata si potrà certamente obiettare che l’analisi dei soli
indici relativi alla struttura finanziaria di un’impresa, non consente di esprimere un giudizio
complessivo sulle sue condizioni di generale equilibrio nel medio-lungo termine. La stessa
dottrina concorda sulla necessità di leggere gli indici solo dopo averli collocati in un
“sistema di coordinamento” che consenta di esplicitare le relazioni esistenti tra la gestione
finanziaria, la gestione patrimoniale e quella economica.
Pur condividendo pienamente gli orientamenti dottrinali che suggeriscono una lettura
sistematica degli indici di bilancio, occorre considerare, peraltro, che solitamente ad una
maggiore complessità dei modelli di analisi suggeriti, corrisponde una minore propensione
al loro concreto utilizzo, soprattutto quando ci si rivolge ad un contesto composto
principalmente da realtà aziendali di medio-piccole dimensioni.
Si è dell’avviso, pertanto, che anche l’analisi di pochi indici di struttura, purché
significativi, consenta quantomeno di esprimere un primo giudizio, parziale ma indicativo,
sulla sostenibilità del rapporto esistente tra indebitamento e capitale di rischio.
Non a caso una parte della dottrina più autorevole ha proposto, in passato, l’utilizzo di
tabelle di sintesi (cfr. tabella n. 2) che potessero agevolare l’analisi di bilancio e
l’interpretazione dei relativi indici.
Si ritiene opportuno precisare, però, che la sola osservazione degli indici di bilancio non
potrà considerarsi condizione sufficiente per stabilire quali fattispecie ricadano nell’alveo di
O. PAGANELLI, Valutazione delle aziende e analisi di bilancio, Utet, Torino, 1992; P. PISONI, L. PUDDU, Analisi di bilancio.
Casi ed esercizi, Giappichelli, Torino 1992; U. SOSTERO, P. FERRARESE, Analisi di bilancio, Giuffré Editore, Milano
2000.
54 Si precisa che la misura dei parametri suggeriti (valori critici e valori ottimali) è tratta da E. PARAVANI,
Analisi finanziaria, cit., pp. 164-168.
23
applicazione dell’art. 2467 c.c. L’analisi per indici, a ben vedere, servirà solo come
indicatore di un possibile squilibrio finanziario che andrà comunque studiato in maniera più
approfondita e che dovrà esser necessariamente confortato da ulteriori elementi probatori.
Tabella n. 2 – Analisi delle differenti espressioni di indebitamento55
Ctot / Cp
Ct / Ctot
Ct / Cp
Analisi sintetica
1,0
0,0
0,0
1,0 ÷ 1,5
0,0 ÷ 0,33
0,0 ÷ 0,50
1,5 ÷ 1,8
0,33 ÷ 0,44
0,5 ÷ 0,80
1,8 ÷ 3,0
0,44 ÷ 0,67
0,80 ÷ 2,0
> 3,0
> 0,67
> 2,0
Indipendenza da capitale di credito: caso limite
dell’assenza di strutture finanziarie legate
all’indebitamento
Livello fino a 1,5: struttura finanziaria
tendente a risultare più che soddisfacente,
in quanto idonea a consentire l’espansione
dell’impresa
Livello variabile tra 1,5 e 1,8: area di equilibrio
connessa con una struttura finanziaria
ancora tendenzialmente soddisfacente,
sebbene già al limite
Livello variabile tra 1,8 e 3,0: struttura
finanziaria
caratterizzata
sia
pure
variamente, da uno stato non ancora
patologico, per altro indicativo di tendenze
squilibratrici e quindi da tenere sotto
assiduo e attento controllo
Livello superiore a 3: segnalazione di «stati
patologici» via via più gravosi, connessi con
«aree» variamente estese di squilibrata
struttura finanziaria
Dalla tabella innanzi riprodotta si evince che un indicatore particolarmente significativo e
di immediata lettura è certamente il leverage (noto anche come rapporto di indebitamento o grado
di indebitamento), pari al rapporto tra il totale delle fonti di finanziamento e l’ammontare del
patrimonio netto.
Il Ferrero definisce il leverage un «indicatore finanziario di sintesi» facilmente calcolabile
tramite un semplice «rapporto aritmetico» e particolarmente utile, in quanto rivela
informazioni essenziali concernenti, innanzitutto, la dipendenza finanziaria dal capitale di
terzi ed, indirettamente, anche la «struttura finanziaria» e la «situazione di liquidità»
dell’impresa56.
G. FERRERO, Il controllo finanziario nelle imprese. Strumenti del controllo di sintesi, Giuffrè Editore, Milano 1984,
p. 28.
56 “Di per se stesso, questo indicatore (…) presenta peculiari caratteristiche di un «indice di struttura delle fonti»,
apparentemente proteso a sottolineare, delle «fonti» medesime, solo la loro diversa «origine». Per altro, andando
al di là delle prime «apparenze», esso, in quanto risultante di composite relazioni tra «complesse» variabili, diviene
supporto informativo a più vasto raggio. (…) In questi termini, come composito indicatore di «struttura finanziaria», il
«grado di indebitamento» si atteggia a «perno di un sistema di indicatori» che, per la «natura complessa» delle variabili
da cui dipende, è atto a riflettere, sia pure indirettamente ed implicitamente, anche fondamentali aspetti delle
esistenti relazioni tra «struttura finanziaria» e «situazione di liquidità» (detta anche «situazione finanziaria»)”, IBIDEM,
p. 19.
55
24
Detto indicatore assume un valore iniziale pari ad 1 nell’ipotesi di inesistenza assoluta di
debiti finanziari; esso cresce ogni volta che detti debiti aumentano più che
proporzionalmente rispetto al capitale proprio e tende (teoricamente) all’infinito nell’ipotesi
in cui la consistenza dei mezzi propri, collocati al denominatore, si riduce (ad esempio in
seguito a perdite d’esercizio) approssimandosi allo zero57.
Si è già detto poc’anzi che cercare di stabilire un unico valore di indebitamento oltre il
quale un’impresa deve considerarsi “finanziariamente squilibrata” non è accettabile, ove si
consideri che il mix ottimale tra capitale di credito e capitale di rischio è funzione anche (e
soprattutto) del tipo di attività svolta dall’impresa osservata58.
Di certo, però, gli amministratori dovranno, d’ora innanzi, valutare attentamente la
condizione finanziaria in cui versa l’impresa per stabilire se sia ragionevole invitare i soci ad
apportare nuovo capitale di rischio piuttosto che finanziare l’impresa stessa con ulteriori
prestiti.
A tal fine, si ritiene che un utile parametro di riferimento, sul quale basare le proprie
analisi finanziarie, possa rivelarsi l’indice medio di indebitamento delle imprese nazionali,
suddiviso per tipologia di attività svolta59.
Nella prima colonna della tabella n. 3 si riportano, pertanto, alcune elaborazioni
statistiche condotte su un campione di società a responsabilità limitata suddivise per settori
di attività (fonte dati AIDA – Bureau van Dijk SA).
Nelle altre colonne sono esposte, invece, le medesime informazioni riferite ad un
campione di società italiane di medie e grandi dimensioni (fonte dati Mediobanca)60.
La tendenza all’infinito dell’«indice di indebitamento» è una situazione verosimilmente “constatabile
durante il «funzionamento» (ai margini della «liquidazione» ) di un’impresa nella quale il netto patrimoniale
risulti interamente eroso da perdite di gestione. Questa verosimile situazione, già pesante, ovviamente
peggiora quando degeneri, più o meno rapidamente, trasformandosi in quella di «passivo scoperto», nella
quale il netto patrimoniale risulta negativo (…) e più che mai «patologico» appare il corrispondente «grado di
indebitamento»”, G. FERRERO, Il controllo finanziario nelle imprese. Strumenti del controllo di sintesi, cit., p. 26.
58 “Il rapporto (di indebitamento n.d.a.) varia da azienda ad azienda e, per una stessa impresa, da momento a
momento. Su di esso, infatti influiscono alcuni fattori quali il tipo di attività da finanziare, la stabilità nel
tempo dei prezzi e del volume delle vendite, la situazione economica generale, ecc.”, G. ZANDA, La grande
impresa, Giuffrè Editore, Milano 1974, p. 52.
59 “Per una proficua utilizzazione dei metodi in parola si rende necessario confrontare: 1. valori degli indici,
determinati con riferimento a periodi già trascorsi, con valori assunti in relazione all’epoca presente, al fine di
formulare un apprezzamento sull’andamento nel tempo del fenomeno osservato; 2. valori effettivamente
osservati e valori preventivati; 3. valori riferiti all’azienda con valori medi del settore di appartenenza o riferiti
ad un campione di imprese comparabili.
(…) I quozienti testé elencati consentono di rilevare fattori potenziali o latenti di crisi unicamente se il loro
scostamento, rispetto ai valori medi del gruppo di riferimento, appare significativo”, N. ANGIOLA, Crisi
d’impresa. Modelli di analisi e previsione, cit., pp. 76-77.
60 Si ritiene utile riportare anche i valori medi di indebitamento delle imprese di medio-grande dimensione per
due ragioni. In primo luogo perché rappresentano ad ogni modo un utile parametro di riferimento per stimare
la misura dell’indebitamento “fisiologico” di un determinato settore. In secondo luogo si è già detto che in
determinate circostanze, ai sensi dell’art. 2497–quinquies c.c., la postergazione dei finanziamenti è applicabile
anche alle altre società di capitali diverse da quelle a responsabilità limitata.
57
25
Tabella n. 3 – Valori medi di indebitamento per tipologia di attività svolta
Banca dati AIDA61
S.r.l. italiane
anno 2002
Mediobanca62
medie imprese italiane
anno 2000
Mediobanca63
imprese italiane
anno 2002
numero
imprese
osservate
Leverage 64
Tot. passivo
Cap. proprio
Leverage finanz.
Dfin + Cp
Cp
Leverage
Tot. passivo
Cap. proprio
Leverage finanz.
Dfin + Cp
Cp
Leverage
Tot. passivo
Cap. proprio
Abbigliamento
1.090
3,98
2,35
3,76
1,91
2,80
Alimentare e bevande
1.570
3,27
2,42
3,77
2,04
2,95
Carta ed editoria
1.138
3,30
1,97
3,31
1,97
2,86
Chimico e farmaceutico
1.451
2,81
1,94
3,16
1,67
2,54
Costruzioni
4.876
5,26
-
-
2,49
8,23
Distribuz.ne al dettaglio
3.517
4,43
-
-
1,92
3,33
Elettromeccanico
1.482
3,30
2,06
3,62
2,25
3,05
Gomma e cavi
170
2,93
-
-
1,78
3,01
Legno e mobili
1.330
3,58
2,27
3,87
-
-
Macchine ed attrezz.re
2.184
3,20
2,05
3,80
1,98
11,09
Meccanico
6.720
3,17
2,07
3,76
1,57
3,24
Mezzi di trasporto
411
3,30
2,02
3,77
1,62
3,28
Pelli e cuoio
847
3,83
2,56
4,31
-
-
Prodotti per edilizia
848
2,89
1,56
3,27
1,54
2,02
Siderurgico/metallurgico
723
2,89
2,36
3,86
2,12
3,11
Tessile
702
3,04
2,10
3,32
2,04
2,96
2.646
3,05
2,13
3,78
-
-
125
3,22
-
-
1,81
2,61
Trattamento metalli
Vetro
61 Elaborazione su dati AIDA - BUREAU VAN DIJK SA. I valori riportati nella colonna n. 2 si riferiscono ad un
campione di imprese italiane aventi forma giuridica di società a responsabilità limitata. La suddivisione per
settori di attività è stata realizzata in base ai codici ATECO 2002 (si veda l’allegato n. 1 per il dettaglio dei
singoli settori). I risultati esposti corrispondono alla media aritmetica semplice dei valori di leverage relativi alle
imprese rientranti nei primi due quartili del campione, precedentemente ordinato secondo valori crescenti di
indebitamento.
62 Elaborazione su dati MEDIOBANCA - UNIONCAMERE, Le medie imprese industriali italiane (1996-2000). In
questo caso i valori indicati sono stati calcolati utilizzando i dati cumulati riportati nella pubblicazione innanzi
citata.
63 Elaborazione su dati MEDIOBANCA, Dati cumulativi di 1941 società italiane (1993-2002). Per le metodologie di
calcolo utilizzate si veda la nota precedente.
64 Si noti che il rapporto di indebitamento indicato nelle colonne nn. 2, 4 e 6 comprende al numeratore anche
i debiti commerciali; al contrario, il leverage finanziario calcolato su dati Mediobanca (colonne nn. 3 e 5) tiene
conto dei soli debiti di natura finanziaria.
Tale precisazione spiega la misura più contenuta dei valori di leverage finanziario (colonne nn. 3 e 5) rispetto al
rapporto di indebitamento “lordo” indicato nelle restanti colonne.
Si noti che – salvo le due sole eccezioni rappresentate dal rapporto di indebitamento del comparto
“costruzioni” e “macchine ed attrezzature” (fonte MEDIOBANCA – colonna n. 6) – l’elaborazione di dati
provenienti da fonti differenti ha prodotto risultati sostanzialmente coerenti fra loro e, comunque, in linea
con le indicazioni generalmente suggerite dalla dottrina.
26
L’analisi dei dati riportati in tabella consente di affermare che, salvo alcune eccezioni,
l’indice medio di indebitamento, in ciascuno dei settori osservati, non si discosta dai
parametri suggeriti dalla prevalente dottrina.
Partendo dai valori indicati in tabella, ciascun amministratore potrà svolgere le dovute
considerazioni sull’equilibrio finanziario della propria impresa. Ove si dovessero riscontrare
sensibili scostamenti rispetto ai suesposti parametri medi, se ne dovrà opportunamente
individuare la causa, tenendo presente le specifiche condizioni in cui opera l’impresa,
nonché le eventuali strategie di sviluppo, gli effetti connessi al mutamento futuro di una o
più variabili (c.d. analisi di sensitività)65, i mutamenti attesi nel settore di appartenenza o, più
in generale, l’andamento economico dei mercati nazionali ed internazionali66.
I parametri riportati rappresentano, quindi, con i limiti già accennati in precedenza, una
soglia di sicurezza, oltre la quale è lecito dubitare che vi sia equilibrio fra il capitale di
credito ed il capitale di rischio. E’ doveroso ribadire che i “valori limite” osservati
empiricamente non rappresentano in alcun modo una verità assoluta, per cui ogni
considerazione conclusiva dovrà sempre essere confortata da uno studio più ampio e
completo che accerti, in concreto, la sussistenza di una condizione finanziaria insostenibile.
Non si può, pertanto, affermare che vi sia una relazione biunivoca tra il superamento dei
parametri indicati in tabella e la condizione di squilibrio finanziario: tale circostanza
rappresenterà semplicemente una sorta di “campanello d’allarme” che richiederà la
realizzazione di ulteriori studi necessari per valutare con maggiore correttezza la situazione
economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa.
Allo stesso modo è doveroso precisare che l’accertamento di rapporti di indebitamento
inferiori ai “valori limite” indicati in tabella non deve esser interpretato aprioristicamente
come un segnale di stabile equilibrio finanziario della società osservata. Anche in questo
caso sarà necessario effettuare ulteriori analisi che possano confermare (ovvero smentire) il
giudizio positivo espresso inizialmente.
Giova sottolineare, ad ogni modo, che una quantificazione numerica del concetto di
eccessivo “squilibrio finanziario” è fornita anche dalla disciplina tributaria recentemente
riformata con il d.lgs. n. 344 del 2003.
“L’analisi di sensitività si propone di indagare:
1. cosa succede dal punto di vista dei risultati economici di gestione se (what if), a parità di condizioni,
si modificano – senza intaccare le altre – alcune variabili da cui tali risultati dipendono;
2. cosa fare per (goal seeking) conseguire un prefissato obiettivo, avendo a disposizione una gamma –
spesso ampia – di scelte discrezionali di gestione;
3. quale impatto producono certe scelte discrezionali sulla dinamica (impact analysis) dei mezzi aziendali
e sulla performance dell’azienda.”, N. ANGIOLA, Crisi d’impresa. Modelli di analisi e previsione, cit., p. 83.
66 Cfr. G. FERRERO, Il controllo finanziario nelle imprese. Strumenti del controllo di sintesi, cit., p. 29.
65
27
In particolare il novellato art. 98 del Tuir, per contrastare l’utilizzo fiscale della
sottocapitalizzazione, limita la deducibilità degli interessi passivi corrisposti sui
finanziamenti erogati dai soci “qualificati” (c.d. thin capitalization)67. La norma in esame
dispone, infatti, la indeducibilità degli interessi passivi, nel caso in cui il rapporto tra il
finanziamento medio annuo e la quota di patrimonio netto contabile, attribuibili a ciascun
socio finanziatore, sia superiore a quattro68.
In tema di eccessivo indebitamento, si ritiene opportuno fare un ultimo cenno ad un altro
margine di bilancio particolarmente significativo.
Si tratta della c.d. “posizione finanziaria netta” (o “indebitamento finanziario netto”) con
la quale si misura l’eccedenza del fabbisogno finanziario netto rispetto all’ammontare dei
mezzi propri; detto margine si calcola quale differenza tra i debiti di natura finanziaria
(indipendentemente dalla loro scadenza) e le attività immediatamente realizzabili (attività
liquide)69.
Pertanto, dopo aver provveduto a riclassificare il bilancio secondo un criterio di
pertinenza gestionale, la posizione finanziaria netta potrà essere alternativamente
determinata nei modi seguenti70:
Attivo immobilizzato operativo netto
+ Capitale circolante operativo netto
= Capitale investito operativo
– Fondo TFR
Fabbisogno finanziario netto
– Patrimonio netto
= Posizione finanziaria netta
Cfr. P. COMUZZI, Contrasto alla sottocapitalizzazione e diritto societario, cit., pp. 1959 ss.
“Si considerano soci qualificati ai fini dell’applicazione della thin cap: •) i soggetti che direttamente o
indirettamente controllano ai sensi dell’art. 2359 del Codice civile, il debitore; •) i soggetti che partecipano al
capitale sociale del debitore con una quota pari o superiore al 25%, alla determinazione della quale
concorrono le partecipazioni detenute da parti correlate. Le due condizioni sono alternative”, R. LUGANO,
Contro la sotto-capitalizzazione penalizzati gli interessi passivi, in Telefisco 2005, Edizioni Il Sole 24 Ore, febbraio
2005, pp. 61 ss.
69 La posizione finanziaria netta “esprime l’ammontare dei debiti finanziari al netto delle attività che
potrebbero essere liquidate ed utilizzate immediatamente per il rimborso e rappresenta una misura
dell’ammontare di debito per il quale non esiste un’immediata copertura”, E. PARAVANI, Analisi finanziaria,
cit., p. 165.
70 Cfr. M. ROMANO, M. TALIENTO, La riduzione del capitale sociale ai sensi dell’art. 2445 c.c. Considerazioni economicoaziendali, in Rivista Italiana di Ragioneria e Economia Aziendale, luglio-agosto 2003, p. 339 ss.; si vedano anche
E. PARAVANI, Analisi finanziaria, cit., p. 132 ss.; P. ROSIELLO, Dal report di tesoreria al rendiconto della posizione
finanziaria. L’analisi di un modello basato sulla rappresentazione della posizione finanziaria netta complessiva, Dossier online, SanPaolo Imprese.com.
67
68
28
ovvero
Debiti finanziari
– Attività liquide (cassa, c/c bancari, titoli a breve, ecc.)
= Posizione finanziaria netta
Occorre precisare che il monitoraggio dei valori assunti nel tempo dalla posizione
finanziaria netta darà informazioni ancor più significative laddove – volendo ragionare in
termini relativi – si rapporti il valore dello stesso indicatore al fabbisogno finanziario netto
(ovvero al totale delle attività)71.
Dopo aver analizzato la prima parte dell’art. 2467 c.c., comma 2, riferita al concetto di
“eccessivo squilibrio dell’indebitamento”, occorre ora individuare i casi sub b) di “situazione
finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.
La seconda fattispecie richiamata dal legislatore deve ritenersi ancor più generica rispetto
alla nozione di “eccessivo indebitamento” trattato in precedenza.
E’ opportuno, pertanto, cercare di individuare le condizioni che giustificano il ricorso ad
un conferimento di capitale proprio, piuttosto che ad un finanziamento.
Secondo una parte della dottrina una “situazione di protratta illiquidità” può esser un
valido elemento per considerare “ragionevole” un conferimento; viceversa, una condizione
di “temporanea illiquidità” giustificherebbe un finanziamento invece di un aumento di
capitale72.
Questa interpretazione dottrinale, ancorché parzialmente fondata, deve ritenersi poco
convincente e certamente non esaustiva. E’ ragionevole pensare, infatti, che se il legislatore
avesse voluto stabilire una relazione tra il concetto di “ragionevolezza” e la condizione di
“illiquidità duratura” della società, avrebbe utilizzato dei termini tecnici più stringenti e
meno soggetti alla interpretazione discrezionale.
C’è da considerare, oltretutto, che l’aumento di capitale sociale può esser liberato anche
mediante conferimento in natura: in questi casi è evidente che la liquidità aziendale non
migliorerebbe affatto e lo scopo della norma risulterebbe inequivocabilmente disatteso.
71 Cfr. M. ROMANO, M. TALIENTO, La riduzione del capitale sociale ai sensi dell’art. 2445 c.c. Considerazioni economicoaziendali, cit., p. 446. La dottrina ritiene che il rapporto tra la posizione finanziaria netta e il totale delle attività
(c.d. tasso di incidenza del debito finanziario netto) non dovrebbe prudenzialmente superare un valore pari al
35%. Può considerarsi ottimale, invece, un valore al di sotto del 20%. Cfr. E. PARAVANI, Analisi finanziaria,
cit., p. 165.
72 Cfr. CNDC, FONDAZIONE ARISTEIA, I finanziamenti dei soci nella nuova società a responsabilità limitata, cit.
29
E’ lecito ritenere, pertanto, che vi siano altri presupposti ai quali possa collegarsi il
concetto di “ragionevolezza” di cui si discute.
Giova ricordare che la dottrina più autorevole sostiene che il ricorso al capitale di credito
risulta conveniente – e quindi ragionevole – fino a quando il costo marginale dei nuovi
finanziamenti (d) si mantiene al di sotto della remunerazione del capitale investito (Roi).
In tale situazione, infatti, ferme restando le generali condizioni di equilibrio finanziario
già commentate in precedenza (ossia un rapporto di indebitamento sostenibile nel
medio/lungo termine), la società incrementa il rendimento dei mezzi propri (Roe) in virtù
del meccanismo di “leva finanziaria”, sintetizzato nella seguente relazione matematica73:
Roe = Roi +
Ct
× (Roi - d)
Cp
dove
Roe = redditività complessiva dei mezzi propri
Roi = rendimento del capitale investito
Ct = capitale di terzi
Cp = capitale proprio (o mezzi propri)
d = onerosità del capitale di terzi
E’ appena il caso di osservare che la leva finanziaria ha effetti positivi sul Roe fino a
quando l’onerosità del capitale di terzi (d) è inferiore al rendimento del capitale investito
(Roi).
A tal riguardo, va precisato che, generalmente, ad un aumento del rapporto di
indebitamento corrisponde un incremento del tasso medio di remunerazione del capitale di
terzi; tale fenomeno si spiega ove si consideri che un rapporto di indebitamento via via
crescente comporta una maggiore probabilità di default della società finanziata74.
Cfr. T. ONESTI (a cura di), Appunti delle lezioni di Ragioneria Generale, cit., p. 143 ss.
“E’ bene chiarire che non esiste un mix ottimale di fonti di finanziamento, ergo un leverage ottimale. In
generale si può affermare che il leverage è a un livello sostenibile finché resta pari a due. Oltrepassare questo
livello di sicurezza vuol dire indebitarsi troppo, pagare oneri finanziari aggiuntivi. In pratica, verrebbe a
mancare la remunerazione normale e consueta e, conseguentemente, si manifesterebbe una riduzione della
capacità aziendale di ottenere finanziamenti”, T. ONESTI, Appunti delle lezioni di Metodologie e Determinazioni
Quantitative d’Azienda I: contabilità e bilancio. Teoria e pratica di bilancio, Grenzi Editore, Foggia 2002, p. 16.
“(…) un andamento che rifletta crescenti livelli del «grado di indebitamento» sarebbe senz’altro indubbio
indice di crescente disagio nel ricorso al credito o, più precisamente, nell’ottenere nuovo credito e nel
reperirlo a condizioni economiche: disagio che in concreto si tradurrebbe in una progressiva paralisi
finanziaria, la quale spesso si accompagna a proibitivi livelli di onerosità del credito stesso ed alla richiesta, da
parte dei finanziatori, di sempre più larghe e impegnative garanzie, sia reali che personali (…)”,
G. Ferrero, Il controllo finanziario nelle imprese. Strumenti del controllo di sintesi, cit., p. 31. Cfr. G. CATTURI, Lezioni di
economia aziendale, vol. II, Cedam, Padova 1984; V. CODA, G. BRUNETTI, F. FAVOTTO, Analisi, previsioni,
simulazioni economico-finanziarie d’impresa, cit.; G. PIVATO, Le gestioni industriali produttrici di servizi, Utet, Torino
1958.
73
74
30
La crescente onerosità del capitale di terzi implica il raggiungimento di un “punto di
rottura”, oltre il quale il costo del finanziamento attinto presso terzi sarà maggiore del
rendimento prodotto con i successivi investimenti (Roi)75. In tal caso è del tutto evidente
che la crescente erosione del risultato netto, ad opera degli oneri finanziari, si ripercuoterà
sul rendimento medio del capitale proprio.
Occorre considerare, infine, che una situazione di leva finanziaria negativa aggrava anche
il rapporto di indebitamento, atteso che gli oneri finanziari superano il risultato operativo,
determinando una perdita d’esercizio76.
E’ lecito ritenere, in definitiva, che esista una relazione tra il meccanismo della leva
finanziaria ed il concetto di “ragionevolezza” statuito nell’art. 2467 c.c.
Nel momento in cui si intende rimborsare il prestito di un socio, occorre perciò stabilire
se, al momento del finanziamento, vi erano dei margini per sfruttare le potenzialità della
leva finanziaria.
Tale apprezzamento potrà esser fatto confrontando l’onere figurativo del finanziamento77
con il rendimento medio (atteso) del capitale investito.
A tal fine la dottrina suggerisce di monitorare anche un altro indicatore di bilancio che
fornisce sintetiche informazioni sia sulla sostenibilità dell’indebitamento (ossia l’eventuale
“eccessivo
squilibrio
dell’indebitamento”),
sia
sulla
possibilità
di
incrementare
convenientemente tale margine (ovvero la “ragionevolezza” di un finanziamento in luogo
di un conferimento).
Si tratta del c.d. grado di copertura degli oneri finanziari, ossia il rapporto tra il risultato
operativo (Ebit) e gli oneri finanziari (Of): più alto sarà il valore di tale indice, più ampi
saranno i margini per remunerare ulteriori finanziamenti attinti da fonti esterne78.
“Il ricorso al prestito (sotto qualsiasi forma) non può perdurare all’infinito. Infatti, quando il cosiddetto
quoziente di indebitamento e cioè il rapporto tra il credito ed il capitale proprio raggiunge determinati limiti, il
prestito è scarsamente garantito, per cui i finanziatori non sono propensi a concedere ulteriori sovvenzioni
all’azienda”, G. ZANDA, La grande impresa, cit., p. 52.
76 “Crescenti livelli di grado di indebitamento riflettono, di per se stessi, manovre non equilibrate della «leva
finanziaria», che possono pesare, anche sensibilmente, sulle emergenti relazioni tra «liquidità» e «redditività».
(…) I fabbisogni patologici sono dunque connessi con impieghi superflui, erroneamente lievitati rispetto alle
concrete possibilità di economica utilizzazione dei medesimi (…)”, G. FERRERO, Il controllo finanziario nelle
imprese. Strumenti del controllo di sintesi, cit., p. 31.
77 Si parla di onere figurativo in quanto, di frequente, i prestiti concessi dai soci sono infruttiferi. In questi casi
l’onere figurativo può essere ragionevolmente stimato facendo riferimento agli studi sul costo-opportunità del
capitale proprio. Cfr. L. GUATRI, M. BINI, Nuovo trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, Milano 2005;
G. ZANDA, M. LACCHINI, T. ONESTI, La valutazione delle aziende, IV ed., Giappichelli, Torino 2001, pp. 350 ss.;
G. ZANDA, E. D’AMICO, E. LAGHI, G. ORICCHIO, La stima del capitale economico d’impresa: modelli per la
determinazione del premio per il rischio, in Rivista Bancaria, n. 1/1995.
78 “Si comprende (…) come la possibilità di attingere mezzi monetari a prestito da terzi (capacità di credito) sia
largamente determinata dalla capacità dell’impresa finanziata di assicurare flussi prospettici di ricavi superiori
ai flussi prospettici di costi (inclusi, tra questi, anche gli oneri dei prestiti), generando nuova ricchezza (reddito
positivo) attraverso l’attività produttiva (capacità di reddito). Le prospettive di redditività dell’impresa finanziata
75
31
In conclusione, nell’ipotesi in cui il finanziamento dei soci sia avvenuto in costanza di un
rapporto tra Ebit e Of sufficientemente elevato79, è legittimo affermare – almeno
inizialmente e salvo prova contraria – che i successivi rimborsi non dovrebbero esser
assoggettati alle disposizioni contenute nell’art. 2467 c.c.
La centralità del rapporto tra il risultato operativo e gli oneri finanziari è confermata
anche dalla constatazione che la società di rating Standard & Poor’s colloca il medesimo
indice tra i principali indicatori da monitorare per poter esprimere un giudizio sulla
solvibilità di un’impresa (cfr. tabella n. 4)80.
Tabella n. 4 – Schema di giudizio della solvibilità di un’impresa (Standard & Poor’s)
Impresa / Indici
Ebit/Of
Ebitda/Of
RO/V
F - Insolvente
≤1
E – Molto rischiosa
1÷2
≤ 2,5
D – Rischiosa
1÷2
> 2,5
C – Rischio moderato
>2
> 2,5
≤ 5%
B – Sicura
>2
> 2,5
> 5%
A – Molto sicura
>5
> 7
> 5%
D/(D+PN)
FCO/D
≥ 30%
≤ 40%
<
30%
> 40%
La tabella n. 4 rappresenta uno strumento per valutare il grado di solvibilità di
un’impresa. In sostanza, nel caso in cui il rapporto Ebit/Of risulti minore di “1”, la società
osservata è giudicata “insolvente” indipendentemente dal valore assunto dagli altri indici di
bilancio. Al contrario, ove il suddetto rapporto risulti superiore all’unità, si potrà tener
conto degli ulteriori vincoli di bilancio (riportati nella tabella), la cui soddisfazione
consentirà di esprimere un giudizio positivo sul grado di solvibilità dell’impresa osservata.
sono certamente la più valida delle garanzie per chi si accinge a finanziare attività produttive”, E. CAVALIERI
(a cura di), R. FERRARIS FRANCESCHI, F. RANALLI, Appunti di economia aziendale, vol. I, Edizioni Kappa, Roma
1995, p. 122.
79 “I messaggi operativi che l’indicatore Ebit/Of segnala sono molto chiari: se l’indicatore è inferiore a 1,
l’azienda è in perdita (in quanto i margini non sono in grado di sopportare il costo del debito) e in grave
tensione finanziaria; se l’indicatore è inferiore a 2, ne deriva che l’azienda è in precario equilibrio finanziario
(ha un debito troppo costoso rispetto al rendimento del business o ha debiti già molto consistenti, che non
possono assolutamente incrementarsi); se è invece maggiore di 5, è chiaro che l’impresa ha un potenziale di
investimento non sfruttato o delle capacità di restituzione del capitale proprio esuberante. E’ ovvio che i
termini numerici del problema sopra indicati sono significativi ma non corretti in senso assoluto”,
E. PARAVANI, Analisi finanziaria, cit., p. 86. Per la stima del rating sintetico e del rischio di default
corrispondente ai diversi valori assunti dall’indice di copertura degli oneri finanziari, si vedano AA.VV.,
Analisi di bilancio. Valutazioni, rating e simulazioni, Wolters Kluwer Italia, Milano 2003; A. DAMODARAN,
Valutazione delle aziende, Apogeo, Milano 2002; I. FACCHINETTI, Rendiconto finanziario e analisi dei flussi, Edizioni
Il Sole 24 Ore, Milano 2005.
80 Cfr. E. PARAVANI, Analisi finanziaria, cit., p. 93 ss.
32
4. L’inosservanza delle disposizioni ex art. 2467 c.c. Cenni sulle responsabilità in
ambito civilistico e penale
Nei paragrafi precedenti si è osservato che il rimborso dei prestiti, precedentemente
erogati dai soci, non rappresenta di per sé un illecito, ma è considerato un’operazione
“sospetta” che il legislatore ha inteso disciplinare con particolare rigore.
Dal punto di vista fiscale, l’eccessivo ricorso al prestito oneroso dei soci, finalizzato ad
incrementare gli oneri deducibili, è stato contrastato con le disposizioni contenute nell’art.
98 Tuir (c.d. thin capitalization).
In sede civile, invece, il legislatore ha inteso, innanzitutto, contrastare il fenomeno della
sottocapitalizzazione, limitando la restituzione dei finanziamenti erogati dai soci ed
equiparandone la disciplina del rimborso a quella più stringente prevista per il capitale
sociale.
E’ evidente che la genericità dei termini utilizzati nell’art. 2467 c.c. rende arduo applicare
concretamente la norma in commento; allo stesso tempo, sussistono non poche incertezze
in merito alle responsabilità civili e penali che potrebbero derivare dalla inosservanza delle
prescrizioni in essa contenute.
A tal riguardo occorre evidenziare che l’art. 2467 c.c. non fa menzione delle possibili
sanzioni applicabili: esse vanno ricercate, pertanto, in altre disposizioni di legge.
Va chiarito, innanzitutto, che la disciplina sanzionatoria degli indebiti rimborsi ai soci per
finanziamenti è sostanzialmente diversa da quella applicabile al caso della illecita
restituzione del capitale sociale.
A ben vedere, infatti, la prima fattispecie rappresenta una distribuzione preferenziale
dell’attivo, punibile ai sensi dell’art. 216, comma 3, l.f., mentre la seconda configura il reato
(ben più grave) di bancarotta patrimoniale, sanzionata ex art. 216 l.f., comma 181.
81 Art. 216, comma 1, l.f. “E’ punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore
che: 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo
scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti; 2) ha sottratto,
distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di
recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile
la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”.
Art. 216, comma 3, l.f. “E’ punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito che, prima o durante la
procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula
titoli di prelazione”.
Cfr. V. RAGONESI, Diritto e pratica fallimentare, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano 2001, pp. 455 ss.; V.L. CUNEO,
Le procedure concorsuali, II ed., tomo II, Giuffrè Editore, Milano 1988, pp. 1720 ss.
Nei casi di illecita restituzione del capitale sociale si riscontra “una oggettiva inesistenza dell’obbligazione per
la cui estinzione l’adempimento è stato eseguito (condictio indebiti sine causa). Infatti, poiché il diritto dei soci ad
ottenere una restituzione del capitale di rischio conferito alla società, non sorge neppure prima dello
scioglimento della società e della sua completa liquidazione, (…) i pagamenti ricevuti a tale titolo da ciascuno
33
La disciplina sanzionatoria dei rimborsi effettuati a favore dei soci per debiti di
finanziamento sembra potersi individuare anche nell’art. 2633 c.c., nel quale si dispone che
“i liquidatori che, ripartendo i beni sociali fra i soci prima del pagamento dei creditori
sociali e dell’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, cagionano danno ai
creditori, sono puniti, a querela della parte offesa, con la reclusione da sei a tre anni (…)”.
A ben vedere, però, la disposizione in commento non disciplina i casi previsti
dall’art. 2467 c.c. Essa sanziona, infatti, i rimborsi preferenziali effettuati ai soci, intesi
unicamente come titolari del patrimonio netto e non come “creditori” della società.
A tal proposito va chiarito che nella definizione di “creditori sociali” devono farsi
rientrare – al pari di qualsiasi altro soggetto estraneo alla compagine societaria – anche i
soci che abbiano apportato capitale di credito alla società.
Si deve ritenere, perciò, che non possa esservi collegamento tra la disciplina sanzionatoria
prevista nel citato art. 2633 c.c. e le fattispecie contemplate nell’art. 2467 c.c.82.
Si può affermare, invece, che le sanzioni applicabili nei casi ex art. 2467 c.c. possano
essere individuate più opportunamente nell’art. 216, comma 3, l.f. (c.d. “bancarotta
fraudolenta preferenziale”)83.
Il collegamento tra le due disposizioni è suffragato dalla constatazione che la norma
civilistica si limita a modificare il grado di privilegio esistente tra i diritti dei creditori esterni
alla compagine sociale e i creditori ad essa riconducibili.
dei soci sono stati eseguiti in totale assenza del debito che intendevano estinguere”, TRIB. TRANI, 23 ottobre
2003.
Conferma il Giannelli: “(…) non tutti i versamenti dei soci sono assimilati ai finanziamenti i quali postulano
pur sempre l’obbligo di rimborso della società, sia pure postergato rispetto al soddisfacimento degli altri
creditori; in particolare, quelli dichiaratamente in conto capitale si sottraggono alla disciplina dettata
dall’art. 2467 c.c. con il risultato che i soci che li hanno eseguiti non saranno considerati creditori, ancorché
postergati causa societatis e non avranno, quindi, diritto al rimborso, sia pure postergato rispetto al
soddisfacimento degli altri creditori sociali (…); con il risultato che i rimborsi dei versamenti, in caso di
fallimento della società, saranno oggetto di ripetizione ed assoggettati a regole più severe (anche in sede
penale) rispetto a quelle dettate dall’art. 2467. (…) Gli eventuali rimborsi ai soci saranno, cioè, assoggettati alla
disciplina della bancarotta per distrazione e non già alla (meno severa) disciplina della bancarotta
preferenziale”, G. GIANNELLI, Le operazioni sul capitale nella società a responsabilità limitata, in Giurisprudenza
Commerciale, n. 6/2003, pp. 804-805.
82 “La circostanza che il pagamento dei creditori sociali debba avvenire secondo un certo ordine – in base al
quale i soci vanno postergati rispetto agli altri detentori di titoli di credito – non è sufficiente a colorare di
rilievo penale, sub specie di violazione dell’art. 2633 c.c., la condotta del liquidatore che corrisponda le somme
dovute prima al socio e poi agli altri creditori: si è infatti comunque in presenza di un adempimento d’un
obbligazione, a nulla rilevando che il credito sia vantato da un soggetto appartenente alla compagine
societaria, anziché da un esterno all’ente commerciale”, C. SANTORIELLO, Restituzione di somme versate dai soci a
titolo di finanziamento: profili penali, cit., p. 31.
83 Si precisa che le disposizioni contenute nell’art. 216 l.f. sono applicabili anche alle società di capitali ai sensi
dell’art. 223 l.f., comma 1: “Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali,
ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel
suddetto articolo”.
34
In sostanza, un amministratore che dovesse procedere ad una “incauta” restituzione dei
finanziamenti erogati dai soci, senza preventivamente assicurare il soddisfacimento degli
altri creditori, rischierebbe di essere perseguito per bancarotta fraudolenta preferenziale
nell’eventualità in cui, entro un anno dalla data del rimborso, venisse dichiarato il fallimento
della società stessa84.
E’ appena il caso di osservare che l’art. 216 l.f., comma 3, sanziona i casi di distribuzione
preferenziale dell’attivo societario effettuati in spregio al principio della par conditio
creditorum.
Il comportamento illecito si realizza allorquando sussistono l’elemento materiale del reato,
ossia la distribuzione preferenziale dell’attivo, e l’elemento psicologico, ovvero la volontà di
favorire una parte del ceto creditorio in danno di altri creditori aventi uguali diritti85.
L’analisi della norma fallimentare in commento sembra confermare altresì l’orientamento
suggerito nei paragrafi precedenti, secondo cui il rimborso anticipato a favore dei soci non
rappresenta motivo di illecito, ove sussistano comunque disponibilità sufficienti a
soddisfare i diritti dei restanti creditori e, quindi, ove non si riscontri un effettivo danno per
i creditori86.
Allo stesso modo deve ritenersi non sanzionabile penalmente il pagamento fatto
dall’amministratore in presenza di un provvedimento coattivo fatto valere dal creditore, in
quanto, in questo caso, verrebbe meno la volontà di danneggiare gli altri creditori87.
“Laddove tale modalità di pagamento dei debiti sociali non sia rispettata ed intervenga, in seguito, il
fallimento della persona giuridica, si sarà in presenza – quanto meno sotto il profilo dell’elemento oggettivo –
di una condotta di bancarotta preferenziale”, C. SANTORIELLO, Restituzione di somme versate dai soci a titolo di
finanziamento: profili penali, cit., p. 33.
85 “Secondo un insegnamento corrente in dottrina e in giurisprudenza, non occorre che anche il danno dei
creditori sia voluto, basta che ne sia accettata l’eventualità”, C. PEDRAZZI, Fallimento. Commentario Scialoja –
Branca, a cura di F. GALGANO, Zanichelli Editore, Bologna 1995, p. 121; cfr. anche AA.VV., Crisi d’impresa e
riforma della legge fallimentare, Atti del Convegno – Maratea 22-24 giugno 2001, Bancaria Editrice; L. CONTI,
I reati fallimentari, Utet, Torino 1991, pp. 186 ss.
86 “Ciò trova una notevole conferma nell’art. 2629, comma 2, del codice civile (nuova formulazione) secondo
cui «Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato». E siccome l’art. 2629 del codice
civile (nuova formulazione) è richiamato dall’art. 223 della legge fallimentare (anch’esso si intende, nuova
formulazione) è evidente che la bancarotta riparata prima del giudizio è estinta”, U. GIULIANI–BALESTRINO,
La struttura della bancarotta alla luce del D.L. n. 61/2002, Atti del Convegno “La riforma del diritto societario ed il
nuovo diritto penale commerciale”, Pinerolo 30 novembre 2004, in Il fisco, all.to n. 4/2003, pp. 16-17.
“Ci pare evidente che il presupposto della bancarotta preferenziale è lo stato di insolvenza. Se lo stato
d’insolvenza è lontano, incerto ed evitabile, non vi è dubbio che pagare il creditore è lecito. Non vi è «danno»
per i creditori se vi è la possibilità che l’insolvenza non sorga.
(…) gli studiosi concordemente giungono alla conclusione che non costituisce bancarotta preferenziale il
pagamento non dannoso di un credito garantito da ipoteca o da pegno che abbia – ove si considerino le
garanzie – un valore uguale o superiore al pagamento che si effettua, ovvero quando tutti i creditori di pari
grado possono essere integralmente soddisfatti. Il che è quanto dire – sia pure implicitamente – che in assenza
di un danno concreto per i creditori, il fatto non costituisce reato”, U. GIULIANI–BALESTRINO, La bancarotta e
gli altri reati concorsuali, Giuffrè Editore, Milano 1991, p. 398; cfr. anche L. CONTI, I reati fallimentari, cit., pp. 189
ss.; C. SANTORIELLO, Restituzione di somme versate dai soci a titolo di finanziamento: profili penali, cit., p. 32.
87 Cfr. C. PEDRAZZI, Fallimento. Commentario Scialoja–Branca, cit., p. 123.
84
35
Si ritiene opportuno, infine, accennare all’eventualità – in verità piuttosto remota – che il
reato di cui al 2163 l.f. venga esteso anche al “creditore-socio” che abbia beneficiato di un
rimborso preferenziale.
Il creditore deve ritenersi sostanzialmente esente dal rischio di concorso nel reato di
bancarotta preferenziale, in quanto il divieto di pagamenti preferenziali, penalmente
sanzionato, grava solo sul debitore.
Tale possibilità deve considerarsi solo eventuale, soprattutto ove si consideri che
l’art. 1186 c.c. legittima la richiesta di rimborso preferenziale avanzata dal creditore nel
momento in cui dovesse manifestarsi la insolvenza del debitore. Il citato art. 1186 c.c.
stabilisce, infatti, che “quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore
può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha
diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva
promesse”88.
Lo stesso creditore potrà eventualmente esser perseguito penalmente solo nel caso in cui
abbia “forzato”, eventualmente con l’uso della violenza o delle minacce, l’adempimento
preferenziale della prestazione89.
5. Considerazioni conclusive
La disciplina dei finanziamenti erogati dai soci a favore della società rappresenta una
problematica particolarmente complessa ed ampia.
Nel corso del presente lavoro si sono analizzati i molteplici aspetti che rendono
controversa la disciplina in argomento.
Innanzitutto si è trattato il problema della corretta qualificazione delle somme versate dai
soci: si è inteso chiarire, pertanto, la differenza tra conferimenti di capitale proprio e
versamenti a titolo di finanziamento. A tal fine sono stati approfonditi soprattutto gli
“Con riguardo alla bancarotta preferenziale un’indicazione risolutiva si trae piuttosto dall’art. 1186 c.c., che
autorizza il creditore a esigere immediatamente la prestazione dal debitore divenuto insolvente. Se
quest’ultimo, come stabilisce tale disposizione, decade dal termine stabilito a suo favore, a maggior ragione il
creditore è autorizzato a esigere il pagamento dei debiti già scaduti.
(…) Non c’è dunque simmetria di posizione giuridica tra creditore e debitore insolvente: quanto al secondo, il
divieto penalmente sanzionato di pagamenti preferenziali deroga all’obbligo civilistico; il creditore può invece
giovarsi di una norma permissiva specificamente riferita all’ipotesi di insolvenza del debitore, norma che
neutralizza a suo favore il divieto espresso dall’incriminazione in esame”, C. PEDRAZZI, Fallimento.
Commentario Scialoja–Branca, cit., p. 133.
89 “Non costituisce concorso il solo fatto di ricettare o di commettere incauto acquisto: altrettanto va detto
dell’accettare un pagamento nella bancarotta preferenziale. Ove però a dette condotte si aggiunga un fatto
d’istigazione o a questo equivalente, il concorso sussisterà”, U. GIULIANI–BALESTRINO, La bancarotta e gli altri
reati concorsuali, cit., p. 493.
88
36
aspetti relativi alla natura ed alla disciplina applicabile ai versamenti “impropri” di capitale,
quali, ad esempio, i “versamenti a fondo perduto”, i “versamenti in conto capitale” ed i
“versamenti in conto futuro aumento di capitale”.
E’ stato evidenziato, inoltre, che la natura controversa dei finanziamenti erogati dai soci
ha comportato, in passato, l’instaurarsi di numerosi contenziosi tra le società, i soci ed i
creditori: la giurisprudenza ha svolto un lavoro di ermeneutica particolarmente delicato,
chiarendo gli aspetti più problematici connessi alla tematica in argomento.
Con la riforma del diritto societario il legislatore, mutuando gli orientamenti della
giurisprudenza e della dottrina, ha statuito un principio generale di postergazione dei debiti
per finanziamenti erogati dai soci; la stessa norma, contenuta nell’art. 2467 c.c., ha altresì
precisato che i rimborsi avvenuti nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento
dovranno essere restituiti al curatore.
E’ di tutta evidenza che la disposizione di cui sopra ha inteso scoraggiare il fenomeno
della sottocapitalizzazione societaria, ampliando la tutela dei creditori estranei alla
compagine societaria.
L’analisi puntuale della norma in trattazione ha evidenziato, però, anche alcuni limiti di
rilevante spessore.
Il legislatore, infatti, nel definire le fattispecie sottoposte a postergazione, ha utilizzato
concetti piuttosto ampi e discrezionali.
Si è stabilito, in sostanza, che le limitazioni ai rimborsi dei prestiti erogati dai soci
sussistano solo nei casi in cui i finanziamenti stessi siano stati concessi in un momento in
cui risultava un “eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”
ovvero in una “situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un
conferimento”.
Si può intuire che il riferimento a concetti vaghi e generici, come quelli innanzi riportati,
sarà causa di nuovi contenziosi giudiziari, al pari di quanto già avveniva nel recente passato.
Anche in questo caso, pertanto, saranno la giurisprudenza e la dottrina a chiarire i confini
di applicazione della norma contenuta nell’art. 2467 c.c.
Resta, in definitiva, la sensazione che la nuova disciplina dei finanziamenti erogati dai soci
presenti ancora preoccupanti zone d’ombra che ne ostacolano una chiara ed univoca
applicazione.
Occorrerà, quindi, approfondire ulteriormente gli aspetti problematici brevemente trattati
in questa sede, soprattutto ove si consideri che il rimborso “incauto” effettuato dagli
37
amministratori assume – in determinate circostanze – i gravi connotati del reato di
bancarotta fraudolenta preferenziale.
38
Allegato n. 1 – Codici ATECO 2002 dei settori mercelogici osservati
Denominazione settore
Codici ATECO 2002
Abbigliamento
17.7; 18.0; 18.2;
Alimentare e bevande
15;
Carta ed editoria
21; 22;
Chimico e farmaceutico
24; 25.2;
Costruzioni
45;
Distribuzioni al dettaglio
52;
Elettromeccanico
29.70; 30; 31.1; 31.2; 31.4;
Gomma e cavi
25.1; 31.3;
Legno mobili
20; 36.1;
Macchine ed attrezzature
28.1 ÷ 28.3; 28.5; 28.6; 28.70 ÷ 28.74; 29.1; 29.2; 29.32;
29.4; 29.5; 29.70; 30; 31.1; 31.2; 31.4; 29.30; 29.31; 34; 35;
Meccanico
29.1; 29.2; 29.32; 29.4; 29.5;
Mezzi di trasporto
29.30; 29.31; 34; 35;
Pelli e cuoio
18.1; 18.3; 19;
Prodotti per l’edilizia
26.2 ÷ 26.8;
Siderurgico e metallurgico
27; 28.4; 28.74; 37.1;
Tessile
17.1 ÷ 17.6;
Trattamento metalli
28.1 ÷ 28.3; 28.5; 28.6; 28.70 ÷ 28.74;
Vetro
26.1
39
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