PER UNA TEORIA DELL’INTERPRETAZIONE GIURIDICA.
PAGINE SCELTE E COMMENTATE DAGLI STUDENTI A.A.2012-2013
a.a. 2012-2013
FRANCESCA FILOSA
ALESSANDRO TEDESCO
LAURA SANTAMARIA
KRIZIA ANTINOZZI
SAMANTA DE GASPERIS
GIORGIO CERNESI
ANDREA MASTROPIETRO
ALESSANDRA ILARY GALASSO
VALENTINA DE CASTRO
MARIA PELLEGRINI
MILENA VICALVI
ANDREA D’ORAZIO
ANGELICA CALCE
ELIA DI SANTO
SILVIA NECULAI
MARIA TERESA BORTONE
STEFANIA TARALLO
ALESSIA MELEO
LAURA CICCONE
MARILISA ONORATI
MARTINA CRESCE
ANTONIO DI NARDO
DIANA FILOSA
DANIELA IANNETTA
2
a.a. 2012-2013
VALENTINA MARRAFFA
LAURA MAURA
MICHELA VANORE
YULIYA NINKO
ARMANDO ARDUINI
MARILENA ANGELONE
FERDINANDO MAIORANO
SIMONA SCAPPATICCI
GELSOMINA VIOLO
CARLA BUONAMANO
NANDO SCHIAVI
SERENA LONARDO
EMANUELE TEDESCHI
LUCA CAPRARA
CARMELINA CAPPELLI
GIOVANNI VITALETTI
VALERIA MARROCCO
EMANUELE DI STEFANO
ELISABETTA MERCADANTE
STEFANIA SCHETTINO
PASQUALINA POLIZZI
ALESSANDRA D’ORAZIO
ESTER LUPOLI
FRANCESCO ALTAMURA
VALERIA NORCIA
MARIA TERESA ARAMINO
3
a.a. 2012-2013
DAVIDE LOFFREDI
STEFANIA DE FABRITIIS
GIULIANA DONATIELLO
RAFFAELE FRAIOLI
VELIA ZAMBARDI
NICE TARANTINO
MARCO SORVILLO
MANUELA VALENTE
MICHELA FERRUCCI
ANTONIO POSABELLA
VALERIA ROMANO
DAVIDE BOTTONI
ANNA BUTTARAZZI
LUCA CAPRARA
ELISABETTA CIAMBERLANO
LIVIA DI LUNA
LORENA MAINI
GIULIA DI ZAZZO
ROBERTA PACITTI
VALERIO D’OVIDIO
TOMMASO FALCONE
ANTONELLA LENA
MARCO MAGNANTE
ERIKA PETRUCCI
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a.a. 2012-2013
SEZIONE I: IL DIRITTO È UN SISTEMA?
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a.a. 2012-2013
1. ... a partire dall’‘idea’ di ‘sistema’ di Hans Kelsen
(FRANCESCA FILOSA)
Nell’ampio spettro delle teorie sistemiche si trova, di considerevole interesse, quella di Hans Kelsen. Infatti, nell’ambito della
teoria generale Kelsen afferma che il diritto è da intendersi come
ordinamento giuridico, sistema di norme dinamico1; per chiarire
quest’ultima espressione bisogna partire dall’analisi che lo stesso
effettua in riferimento a giustificazione, fondazione o derivazione
da altre norme. Il dinamismo nella giustificazione, fondazione o
derivazione da altre norme si ricerca guardando come queste si
siano prodotte: il giurista-filosofo intende il diritto come un sistema di tipo piramidale nel quale ogni norma è collegata ad un’altra
secondo una relazione gerarchica. Queste si dispongono su diversi
piani intesi come gradi o livelli gerarchici, al vertice della piramide domina la Grundnorm: la norma fondamentale «come norma
suprema deve essere presupposta, in quanto non può essere posta
da un’autorità, la cui competenza dovrebbe riposare su una norma
ancora più elevata. La sua validità non può essere dedotta da una
norma superiore, il fondamento della sua validità non può più essere discusso»2. Per meglio comprendere tale sistema c’è bisogno
1
Kelsen osserva come i sistemi normativi possono essere dinamici statici e misti; il sistema normativo statico è quello in cui una norma è collegata all’altra
norma secondo un rapporto di derivazione statico, di deducibilità logica, come
ad esempio le norme di diritto naturale; nel sistema normativo dinamico vi sono
una pluralità di catene di norme che fanno capo alla norma fondamentale. Un
esempio di sistema normativo misto, riportato da Kelsen, sono i Dieci Comandamenti, che fanno parte di un sistema statico in quanto dalle norme generali
dei Dieci Comandamenti possono essere inferite altre norme più particolari, dinamico in quanto una norma dei Dieci Comandamenti conferisce ai genitori un
potere sui figli e in quanto la validità dipende dalla validità della norma secondo cui si deve obbedire a Dio. H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, Torino,1966, p. 222.
2
Ivi, p. 59. In altre parole solo definendo la norma fondamentale come presupposta e non posta, la si può considerare come suprema, infatti se fosse state posta da un’autorità questa sarebbe dovuta essere legittimata da un’altra norma
andando a creare un regresso ad infinitum.
6
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di appurare il rapporto che insiste tra sistema giuridico e la validità delle norme, i gradi del sistema giuridico ed in ultimo i criteri di
identificazione delle norme del sistema e del sistema giuridico.
In merito al primo aspetto, Kelsen afferma che una norma è esistente in quanto è valida e conseguentemente assume carattere
vincolante e deve essere osservata; ponendo una netta separazione
tra mondo dell’essere (Sein) e mondo del dover essere (Sollen) la
validità, e quindi l’esistenza delle norme, appartiene alla categoria
del dover essere, solo così sarà possibile non creare una catena
normativa infinita e ancorare alla norma fondamentale la validità
di tutte le altre norme dell’ordinamento. Per quanto riguarda i criteri di individuazione delle norme del sistema giuridico, Kelsen
pone l’accento sul rispetto del diritto positivo e del diritto formale:
rientrano nel sistema giuridico le norme che sono prodotte nel rispetto del diritto formale e del diritto positivo, sia le norme che
infondono il potere, indicando poi i modi attraverso cui questo
può essere esercitato, sia le norme che indicano i contenuti di
quelle norme che possono essere prodotte esercitando i medesimi
poteri, con un’unica funzione: quella di stabilire le condizioni che
devono essere presenti affinché un atto sia un atto giuridico produttivo di norme. In questo sistema piramidale così descritto da
Kelsen, un aspetto ritenuto fondamentale nell’ordinamento giuridico è stato tralasciato, ossia il concetto di giustizia. In un suo
scritto egli si chiede cosa sia la giustizia e si rende conto di non
aver fornito una risposta esaustiva poiché definire cosa sia la giustizia in senso assoluto sarebbe pretenzioso e questo rimane – a
suo dire – un sogno; l’unica definizione possibile è quella di giustizia relativa, cioè « quella sotto la cui tutela può prosperare la
scienza, e con la scienza la verità e la sincerità. È la giustizia della
libertà la giustizia della pace, la giustizia della democrazia, la giustizia della tolleranza»3.
Il normativismo di Kelsen può, quindi, riassumersi attraverso la
considerazione fornita da questi sul diritto inteso come un sistema
costituito da norme, ognuna delle quali è collegata ad un’altra, fino ad un’ultima norma fondamentale la cui validità è presupposta.
3
ID., Che cosa è la giustizia?, in Problemi sulla giustizia, a cura di A. Catania,
Salerno, 1997.
7
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L’opera La dottrina pura del diritto ha condotto Kelsen
all’elaborazione di una scienza del diritto ‘purificata’ da qualsiasi
elemento empirico e concetti come la morale, la politica, la sociologia, la psicologia: solo attraverso tale processo inibitorio è possibile garantire l’esattezza e l’oggettività del diritto; Kelsen così
mette a punto una netta opposizione alla teoria del giusnaturalismo, attraverso la quale i principi giuridici si deducono dai valori
assoluti propri dell’umanità ed immanenti nella natura. Da tale
opera è inoltre possibile trarre l’identificazione tra Stato e diritto e
la dipendenza dello Stato rispetto alla legge; lo Stato è un ordinamento politico in quanto organizzazione politica, «per essere uno
Stato, l’ordinamento giuridico deve avere il carattere di
un’organizzazione nel senso più stretto e specifico del termine …
deve istituire organi … per la produzione e l’applicazione delle
norme da cui esso è costituito; deve insomma presentare un certo
grado di accentramento»4. Gli elementi che compongono lo Stato
sono riassunti da Kelsen nella popolazione, nel territorio e nella
sovranità e sono suscettibili soltanto di una determinazione giuridica: l’unità di una popolazione di uno Stato è dovuta, secondo il
giurista-filosofo, al fatto che per tutti gli individui della medesima
popolazione è in vigore lo stesso ordinamento giuridico, divenendo così la popolazione l’ambito di validità personale
dell’ordinamento giuridico statale; il territorio, quale altro elemento dello Stato, è uno spazio tridimensionale e l’unità di questo
spazio non è naturale o geografica, piuttosto è la conoscenza giuridica ciò che determina i confini del territorio dello Stato; Kelsen
scrive che «il territorio dello Stato si può definire come l’ambito
di validità spaziale di un ordinamento giuridico statale»5, mentre
l’ambito della validità cronologica è costituito dall’esistenza temporale.
L’ultimo elemento dello Stato, cioè la sovranità, è descritto da
Kelsen come il potere di produrre e applicare norme giuridiche di
governo, esercitato dagli uomini autorizzati dall’ordinamento giuridico ed il potere statale è la validità di un effettivo ordinamento
giuridico statale; il potere dello Stato deve essere indipendente e
4
5
ID., La dottrina pura del diritto, cit., p. 318.
Ivi, p. 322.
8
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quindi non vincolato a nessun altro ordinamento giuridico statale
ad eccezione della subordinazione dell’ordinamento giuridico internazionale. Nella peculiare caratterizzazione che Kelsen propone, lo Stato e i suoi elementi costitutivi sono definiti quindi come
un ordinamento giuridico. La visione avalutativa del diritto di
Kelsen e la validità formale dell’ordinamento giuridico non possono corrispondere alle esigenze della società post-moderna, poiché l’ordinamento giuridico quale costruzione gerarchica di norme
aventi queste qualsiasi contenuto è espressione di un «un formalismo atto a rendere più deboli i deboli e più oppressi gli oppressi»6.
Solo attribuendo un contenuto specifico ad ogni norma si può garantire il principio di uguaglianza affinché gli uomini possano
convivere nella reciprocità7 e non nell’assoggettamento, evitando
così che il diritto divenga «la legge della forza più forte»8.
2. Le relazioni tra i sistemi nell’ambito del concetto di ‘logica
immunitaria’ (ALESSANDRO TEDESCO)
Focalizzando l’attenzione sull’analisi dell’orientamento sistemico-funzionale di Luhmann, e passando dagli argomenti ‘sistemici’ di Kelsen a quelli di Luhmann, si nota che nella teoria
dell’argomentazione giuridica l’autore – nella posizione di osservatore – considera il diritto come un sistema e – dal punto di vista
funzionale – lo intende diretto ad una funzione.
Analizzando la tripartizione dei gradi dell’osservazione – costituita dai tre momenti della designazione dell’oggetto o del soggetto, della sua distinzione e infine della sua differenziazione – il
riflesso dal punto di vista sistemico funzionale è quello di
un’attività osservativa in cui il punto di partenza, caratterizzato
dal «disordine» e dalla complessità iniziale, viene successivamente trasferito, attraverso un processo di semplificazione, ad un sistema. Per Luhmann quindi, in termini funzionali, ogni sistema ha
6
B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, p.
58.
7
ID., Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p. 67.
8
Ibidem.
9
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una finalità; in questo orizzonte, così, l’uomo viene sistematizzato
nel sistema biologico e finalizzato alla funzione della continuazione della sua esistenza. Guardando da questa prospettiva alla
complessità della nostra società – combinazioni ed articolazioni
plurime di strutture in ogni settore (diritto, economia ecc.) – per
Luhmann vi è la necessità di sistematizzare tale società complessa, attraverso l’individuazione di una serie di elementi omogenei
che portino ogni apparato della realtà sociale al suo sistema di riferimento. In questo senso, ad esempio, l’università potrà essere
ricondotta al sistema sapere, la banca al sistema economia e in
modo analogo tutti gli altri sistemi.
Luhmann ambisce a sistematizzare tutti i fenomeni. In questa
pluralità di sistemi, il diritto è il sistema immunitario di tutti gli
altri sistemi: esso è in grado di tutelare l’intera società, asserendo
che, come ha affermato Freud, «l’uomo civile ha barattato una
parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza»9, ovvero ha frenato, limitato e represso la sua pulsione ad una libertà
assoluta e così ha ottenuto una qualche sicurezza. Nel loro flusso
di comunicazioni i sistemi non interagiscono tra di loro in maniera gerarchica ma eterarchica; in condizione di parità essi dialogano in una relazione in cui, laddove un sistema non operi, muore
assorbito dagli altri sistemi. Nella programmazione biovitalistica
dei sistemi ognuno di essi necessita – oltre che di una propria funzione – di un codice: codice che si manifesta in modo binario. Solo attraverso il suo particolare codice binario, ad esempio, il sistema diritto potrà definire un fenomeno concreto come diritto
(fatto giuridicamente rilevante) o non diritto (giuridicamente irrilevante), ottenendo così una fictio della riduzione della complessità attraverso la contrapposizione tra diritto e non diritto. Dunque
ogni sistema opera con il suo codice facendo selezione e, in questo senso, il sistema economia agirà filtrando ogni fattore della
società nella biforcazione tra i due poli della capacità di pagamento-non capacità di pagamento. Tali contrasti, fra combinazioni
contrarie, sono l’oggetto dell’azione dei sistemi in questione:
un’attività consistente nel sezionare ogni fattore in una delle due
estremità del codice. Il procedimento costante di verificazione del
9
S. FREUD, Il disagio della civiltà, Torino, 1978, p. 608.
10
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fatto in analisi, definisce la successiva distinzione di esso in uno
dei due poli del codice binario. Il sistema è così informato al metodo di differenziazione in una delle due estremità: le attività concrete della realtà sociale vengono dunque distinte in base al loro
essere rilevanti o meno per il sistema in quel momento operante.
Bisogna però, fra tutti i sistemi, evidenziare che il sistema economia attualmente si pone sempre più in una posizione dominante: «la logica dell’economia … presenta lo scontro tra pulsione vitale e pulsione aggressiva, ma non contempla alcuna domanda
sulla selezione dei contenuti dell’attività legislativa e giurisdizionale. Il diritto e la giustizia divengono apparati di funzionamento
dell’economia»10 e si subordinano così al sistema economia. Oggi, nel paradigma bionaturalistico dei sistemi, a causa
dell’elemento del denaro – mezzo chiave del sistema economia –
assistiamo ad una forza pervasiva senza eguali del mondo economico. Il denaro (sistema economia), per la sua caratterizzante
immediatezza transitiva, si differenzia dalla legge (sistema diritto)
poiché quest’ultima necessita di un lungo iter temporale per essere istituita ed affermarsi nella società. Proprio per questa ragione
si muove una critica di potenziale negazione dell’assenza di gerarchia nelle relazioni intersistemiche. Quando il rapporto eterarchico viene meno, il sistema diritto – privo della stessa forza del
sistema economia – tende a manifestarsi come «una giustizia
spesso resa mera funzionalità operativa al servizio dell’utile, di
volta in volta identificato, dunque resa giustificazione (della volontà di potenza)»11. Nella società attuale, quindi, la risposta al
conflitto tra i diversi impulsi dei sistemi viene lasciata all’inerzia
del denaro e il diritto così vi si adatta ed uniforma. Sottovalutare,
dunque, la maggiore difficoltà che il sistema diritto oggi incontra
nell’esercizio della sua funzione immunitaria equivale a ridurre le
sue facoltà e restringere il suo ruolo in favore del rigido dispotismo economico.
10
B. ROMANO, Economia pulsionale e ragione giuridica, in Perché la filosofia
del diritto oggi, (a cura di Luisa Avitabile), Napoli, 2011, p. 23.
11
D. M. CANANZI, Interpretazione alterità giustizia, Torino, 2008, p. 279.
11
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3. I sistemi sociali come sistemi di comunicazione: in particolare, il sistema giuridico (LAURA SANTAMARIA)
Continuando nell’analisi dell’opera di Luhmann, sulla base della traccia lasciata da Kelsen, si può evincere come Luhmann in
tutta la sua opera abbia cercato di descrivere adeguatamente la società, riprendendo il concetto sociologico di ‘sistema’ e aprendolo
a prospettive metodologiche nuove.
L’intera società è un fitto tessuto di relazioni, organizzato in sistemi, (sistema giuridico, sistema economico, sistema religione,
ecc.), che costituisce nel suo insieme la «costellazione di sistemi».
I sistemi sono immersi in un ambiente complesso e multidimensionale in forza del flusso continuo di dati, di informazioni, che si
producono in modo contingente. A causa della crescente complessità dell’ambiente, quest’ultimo rappresenta una continua minaccia per la sopravvivenza dei sistemi sociali, e quindi risulta necessaria una semplificazione della realtà esterna. La teoria dei sistemi
nasce quindi come strumento di neutralizzazione della complessità
sociale. Il sistema giuridico, in particolare, ha specificamente una
funzione immunitaria, nel senso che esso cura le «patologie» della
società, vale a dire le controversie, impedendo che le stesse conducano ad una estinzione del sistema stesso. Ma in che modo? Bisogna premettere che il diritto, per Luhmann, è un insieme di «aspettative normative di comportamento generalizzate»12. Ciò significa che il legislatore, osservatore di primo grado nel sistema
diritto, sceglie e seleziona le aspettative della collettività (aspettative cognitive) che siano meritevoli di tutela, commutandole in
aspettative normative, attraverso la formazione delle norme. A
questo punto l’osservatore di secondo grado, che nell’opera di
Luhmann è rappresentato dalla figura del giudice, osserva i materiali già selezionati dal legislatore, adattando le fattispecie astratte
alle fattispecie concrete13.
Paradigmaticamente, il giudice offre la visuale prospettica per
poter affermare che ogni sistema, oltre ad auto-osservarsi, compie
un’etero-osservazione, facendo sì che si creino relazioni intersi12
13
N. LUHMANN, I diritti fondamentali come istituzione, Bari, 2002, p. 142.
Cfr. ID., Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 237.
12
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stemiche, come per esempio il sistema giuridico è in continua relazione con il sistema economico.
Per Luhmann il sistema giuridico viene prevaricato dal sistema
economico: la funzione legislativa finora descritta è nullificata
dall’invadenza del sistema economico. In primo luogo, perché il
legislatore, nella formazione delle leggi, è continuamente influenzato dalle vicende economiche; in secondo luogo, perché le regole
del mercato sono sempre in continua evoluzione, a differenza delle norme giuridiche che sono ferme, stabili; in terzo luogo, e forse
è questo il motivo fondamentale di una tale prevaricazione da parte del sistema economico sul sistema diritto, perché il linguaggio
del mercato (linguaggio dei numeri, dei prezzi) è più veloce, immediatamente conoscibile e assimilabile, dal momento che non ha
bisogno di una cognizione di senso, a differenza del linguaggio
delle parole, che la presuppone costantemente14.
Luhmann sostiene che un sistema sociale è tanto più in grado
di resistere alle pressioni dell’ambiente quanto più è elevata la sua
complessità interna. Del medesimo avviso è Bruno Romano, che
nella sua critica al fondamentalismo funzionale, scrive: «La complessità esige la semplificazione, che necessita degli interventi di
sistemi sempre più confinati, dunque qualificati da funzioni che,
intensificando il loro specializzarsi, ottengono una semplificazione, destinata però ad essere, nuovamente e sempre, superata da ulteriore complessità, che si rigenera con la circolazione di ulteriori
dati = informazioni, riguardanti la semplificazione già conseguita»15. È questa continua alternanza tra complessità e semplificazione a permettere al sistema sociale di sopravvivere nella complessità dell’ambiente esterno.
La premessa da cui prende piede tutta la teoria luhmanniana è
che i sistemi sono autopoietici: «sistemi che producono essi stessi
non soltanto le loro strutture, ma anche gli elementi dei quali essi
sono composti»16. Gli elementi principali di un sistema sociale
non sono gli uomini, bensì la comunicazione, intesa come
14
B. ROMANO, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Torino,
2009, p. 77.
15
Ivi, p. 93.
16
N. LUHMANN, Teoria della società, Milano, 1992, p. 21.
13
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l’operazione autopoietica di base dei sistemi sociali17. Per autopoiesi del sistema sociale dobbiamo quindi intendere la sua chiusura
e la sua auto-referenza, vale a dire che non esiste niente al di fuori
degli eventi comunicativi che lo formano: tutto ciò che è sistema è
prodotto ricorsivamente dal sistema stesso, non può avere input
dall’esterno. Per Luhmann è l’universo della comunicazione sociale a costituire il sistema sociale. Quindi non sono gli uomini a
formare la società, in quanto con i loro pensieri e le loro azioni si
pongono al di fuori del sistema, sono esterni ad esso. Invece, intendendo la comunicazione come l’operazione di base del sistema
sociale, si ritiene che essa, producendo ricorsivamente altra comunicazione, aumenti la complessità del sistema, tanto da far sì
che esso possa semplificare la complessità dell’ambiente e sopravvivere in esso.
E a tal riguardo è possibile muovere una critica: è inopportuno
parlare di «autopoiesi» con riguardo ai sistemi sociali, in quanto
essa presuppone non solo una chiusura operazionale (cioè che la
comunicazione derivi da altri atti comunicativi e a sua volta generi
altra comunicazione) che è presente nei sistemi sociali, ma presuppone anche un’auto-produzione dei propri elementi, che di fatto manca nei sistemi sociali. Infatti, la comunicazione è pur sempre un atto dell’individuo. Ma per Luhmann i soli elementi costitutivi del sistema sociale sono gli atti comunicativi, e quindi gli
individui biologici che partecipano alla comunicazione non possono essere considerati parte del processo autopoietico. Manca
quindi, a mio avviso, un aspetto essenziale perché possa sussistere
autopoiesi del sistema.
A questo punto è necessario comprendere come Luhmann intende la comunicazione: egli si allontana dalle concezioni tradizionali per le quali la comunicazione deve essere intesa come trasmissione di contenuti da un emissario ad un ricevente. Luhmann,
invece, attribuisce particolare importanza al contenuto della comunicazione e ai suoi destinatari. Egli asserisce che la comunicazione vada intesa come la sintesi di tre operazioni: a) emissione di
un atto comunicativo da parte di un ego (è quel soggetto che «dice» qualcosa e non altri, ovvero è a lui e non ad altri che può esse17
ID., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 1990, p. 65.
14
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re imputata la responsabilità dell’emissione); b) informazione, vale a dire il contenuto di senso che alter assegna a quell’atto comunicativo, mediante la propria interpretazione; c) comprensione,
cioè la sintesi tra emissione ed informazione18. Quest’ultima si realizza quando il ricevente l’atto comunicativo riesce a distinguere
chi ha emesso l’informazione dal suo contenuto. La comunicazione, allora, non si ha con la semplice emissione di un atto comunicativo, ma è necessario che vi sia una sintesi tra il momento
dell’emissione dell’atto comunicativo e quello dell’informazione.
È solo allora che vi sarà comprensione e quindi comunicazione.
La comprensione serve, in sostanza, come punto di partenza per
altre comunicazioni. Il processo comunicativo, allora, viene, da
Luhmann, sottoposto ad una sorta di inversione dell’ordine sequenziale del messaggio. È chi riceve l’informazione a doverla interpretare e ad esercitare un controllo sulle intenzioni e sui contenuti dell’informazione. La comunicazione, quindi, non si sostanzia in un semplice trasferimento di senso da un centro di elaborazione ad un altro. Essa implica sempre una comprensione di
quell’atto comunicativo da parte di chi riceve l’informazione. Ed è
da questo momento che si genera nuova comunicazione. Per la
teoria luhmanniana può realizzarsi effettivamente un trasferimento
di senso tra soggetti solo se sussiste una comunanza di codici, di
conoscenze preliminari che consentono la selezione delle informazioni: solo se vi è una conoscenza presupposta da ambo le parti
di un certo codice può ritenersi effettuato un passaggio di informazioni19. In concreto, non può mai parlarsi realmente di passaggio di informazioni tra due centri di elaborazione: un braccio levato, ad esempio, può essere inteso come un saluto, ma anche come
il movimento di qualcuno che si stira20. L’atto comunicativo viene
senz’altro compreso dall’alter secondo i suoi pensieri, ma resta
sempre l’incertezza nell’emittente che quanto da lui comunicato
sia stato compreso realmente nel senso che egli gli attribuiva; allo
stesso modo, una tale incertezza permane nel ricevente, il quale
18
Ibidem.
Cfr. www.filosofia.rai.it.
20
D. TOSINI, Niklas Luhmann: il diritto nella teoria dei sistemi sociali, Roma,
2009, p. 21.
19
15
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non ha la certezza di aver colto il senso inteso dall’emittente. In
questo caso non si è realizzato un trasferimento di informazione,
bensì si ha una doppia incertezza. La comunicazione presuppone
che si assuma una presa di posizione rispetto a quanto sia stato
comunicato, tale da orientare una reazione seguente. Solo in questo modo la comunicazione produce altra comunicazione, assicurando l’autopoiesi del sistema. La comunicazione è rischiosa, nel
senso che vi è sempre l’incertezza che l’alter possa non aver colto
il senso dell’informazione, ma nonostante ciò la comunicazione
deve proseguire, anche se sotto forma di conflitto, perché solo con
la continuazione della comunicazione il sistema emergerà da se
stesso. Intendendo la comunicazione in questi termini, per Luhmann essa soddisfa e attua la selezione necessaria ed ineludibile
nei sistemi sociali, così da ridurre la complessità.
A mio avviso, è possibile criticare il pensiero di Luhmann sulla
base di quanto fin qui è stato detto: se è vero che il sistema giuridico ha una funzione immunitaria, cioè volta ad evitare controversie nella società, al fine di tutelare la sopravvivenza dello stesso
sistema in un ambiente complesso, come può essere plausibile
l’idea di Luhmann per la quale la comunicazione possa garantire
l’autopoiesi del sistema, mediante una costruzione di senso, se essa genera conflitti ed incertezza?
4. Codice binario e diritto (KRIZIA ANTINOZZI)
I concetti di senso e di comunicazione21 sono fondamentali per
la comprensione della teoria luhmanniana, tanto che approfonden21
Per Luhmann l’unità elementare del sistema è la comunicazione, tanto da affermare che la società è costituita da comunicazioni e non da uomini. Questa
affermazione scardina i pilastri della sociologia classica e impone importanti
conseguenze epistemologiche. Rispetto alla tradizione, egli nega «1. che una
società sia costituita da uomini concreti e da relazioni tra uomini; 2. che le società siano unità regionali, territorialmente delimitate, per cui il Brasile è una
società diversa dalla Tailandia; 3. e che le società, pertanto possono essere osservate dall’esterno come gruppi di uomini o come territori». N. LUHMANN,
Teoria della società, Milano, 2003, pp. 13-14. Rimanere tanto nella tradizione
umanistica quanto in quella regionalistica significherebbe per Luhmann rendere
16
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doli si possono definire in maniera dettagliata le caratteristiche
della teoria sistemica. Partendo dal presupposto che il senso sia la
capacità di tenere presenti le possibilità ulteriori rispetto al dato
attuale senza mai annullarle, la comunicazione diviene la possibilità stessa di operare una selezione in un orizzonte di senso. Scrive
Luhmann: «Il senso non consente altra scelta se non la scelta. La
comunicazione estrae qualcosa dall’orizzonte di volta in volta attuale a cui rimanda e che essa stessa sta costituendo scartando
qualcos’altro. La comunicazione è un’elaborazione della selezione. Essa non seleziona tuttavia, nello stesso modo in cui si prende
questo o quello da una provvista. La selezione attivata nella comunicazione costituisce un suo orizzonte proprio»22. Questa sintesi comunicativa richiede l’autoreferenza. Tale nozione, protagonista di un vero e proprio mutamento di paradigma della teoria sistemica, rappresenta il cuore dei sistemi costituiti sul senso, tanto
che si può dire che i sistemi sociali sono sistemi autoreferenziali.
Il concetto di autoriferimento assume in Luhmann una collocazione del tutto originale rispetto alla tradizione, non fa riferimento,
infatti, alla filosofia della coscienza o al soggetto, ma alla dimensione sociale dell’esperienza sistemica23. Se i sistemi esistono, e
questa è la proposta gnoseologica di Luhmann, allora essi esisteranno solo come sistemi autoreferenziali: «Un sistema può essere
definito come autoreferenziale se costituisce in proprio, quali unità funzionali, gli elementi di cui è composto, e se attiva in tutte le
relazioni fra questi ultimi un rinvio a tale autocostituzione, che
vana quella conquista importantissima della teoria sistemica, che abbraccia
l’apporto qualitativo piuttosto che quello quantitativo e soprattutto significherebbe non venire fuori dall’impasse contenuto nello schema soggetto-oggetto. Il
processo di desoggettivazione portato avanti da questo autore e il rifiuto del
concetto di oggetto soppiantato da quella distinzione, auspica, invece, una descrizione della società all’interno della società. Questo implica rapporti circolari e quindi autoreferenziali.
22
ID., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Bologna, 1990, p.
254.
23
Sulla collocazione del concetto di autoriferimento all’interno del soggetto al
fine di dare una definizione di “io”, cfr. D. R. HOFSTADTER, Gödel, Escher,
Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, Milano, 1990.
17
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viene quindi in questo modo continuamente riprodotta»24.
L’autoriferimento non contempla mai la totalità dell’unità autopoietica25 e per questo non va confuso con la mera tautologia.
L’autoriferimento è quindi, sempre un autoriferimento concomitante, «una designazione basata su una distinzione. L’operazione
del riferimento risulta incluso in ciò che designa. Essa designa
qualcosa del quale essa stessa fa parte. L’operazione non designa
affatto se stessa in quanto operazione. Essa designa, sempre sotto
la guida di una distinzione, qualcosa con cui essa s’identifica»26.
Ogni sistema s’identifica attraverso il codice binario, il quale recepisce il materiale proveniente dai flussi operazionali, motore di
comunicazione tra i vari sistemi, ed opera una selezione- semplificazione della complessità intrinseca nella natura dei sistemi. Questo procedimento di semplificazione nel sistema diritto si concretizza nell’ascrizione al polo diritto delle aspettative normative e al
polo non diritto delle aspettative cognitive. Queste operazioni di
ascrizione avvengono attraverso il legislatore che opera una terzietà funzionale27. La schematizzazione giusto/falso, accettabile/inaccettabile, diritto/non diritto si trova già in entrambi i versanti. La valutazione negativa di una possibilità di deviazione viene esposta nel sistema, non lasciata certo all’ambiente e quindi ignorata. La comunicazione, in questa operazione di selezione del
codice binario, si costituisce in modo paradossale quale unità tra
autoreferenza ed eteroreferenza. In ogni comunicazione si possono distinguere il riferimento al sistema (autoreferenza) e il riferimento all’ambiente (eteroreferenza).
La ricombinazione tra autoreferenza ed eteroreferenza è alla
base stessa del processo autopoietico. L’autoreferenza basale si
collega direttamente al concetto del senso in quanto è
l’attualizzazione di un dato che ritorna a se stesso dopo essersi distinto da tutte le altre possibili comunicazioni. Le possibilità di au24
N. LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit., p.
105.
25
Per sistema autopoietico s’intende un sistema che ridefinisce continuamente,
riproducendosi e sostenendosi al suo interno.
26
N. LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit., p.
677.
27
ID., Il diritto della società, Torino, 2012, passim.
18
a.a. 2012-2013
toriferimento non si esauriscono solo nella forma
dell’autoriferimento basale, ma possono essere anche di tipo processuale e riflessivo. Come si è detto l’autoriferimento non è mai
un rinvio totale a sé ed è per questo che, nelle tre forme di autoriferimento citate, ciò a cui bisogna prestare attenzione è la differenza usata. L’autoriferimento basale si serve della distinzione fra
elemento e relazione. Gli elementi di cui si serve il sistema sociale, quindi le comunicazioni, sono eventi e come tali sono soggetti
all’irreversibilità del tempo e la portano all’interno del sistema.
Questa ultima caratteristica precisa ulteriormente cosa voglia dire
tenere il senso a base di circolarità di riproduzione di sistemi.
Come è noto, infatti, il senso apre un ventaglio di possibilità, che
possono essere realizzate sempre in modo diverso rispetto al dato
attuale. Nell’autoriferimento basale, che usa gli eventi come elementi, è, allora da escludersi ogni circolazione causale: «Le teorie
che attribuiscono un’importanza fondamentale ad una tale circolarità, ad esempio le teorie della regolazione cibernetica ignorano la
«nullità» temporale degli elementi. Gli eventi svaniscono nel momento del loro nascere; nell’istante successivo non sono già più
disponibili per una retroazione. Nei sistemi fondati sul senso,
l’autoriferimento di base resta senza attuazione causale. Sembra
perciò che vi sia un nesso profondo fra l’irreversibilità del tempo e
la genesi del senso quale forma di elaborazione delle informazioni»28. Questa irreversibilità del tempo, essenziale per l’esplicarsi
dell’autoriferimento basale, sottosta anche alla forma
dell’autoriferimento processuale. Il terzo modello di autoriferimento è quello della riflessione. In questo caso la forma richiesta
è quella dell’unità tra sistema e ambiente: «La riflessione richiede
in altre parole, l’introduzione della differenza fra sistema e ambiente. Se ciò non avviene nell’ottica dell’unità di questa differenza, parleremo di razionalità»29. I sistemi sociali sono in grado di
stabilizzarsi nel momento in cui sono capaci di replicare in modo
pertinente alle sfide provenienti dalla crescente complessità ambientale. Afferma Luhmann: «La possibilità che un sistema venga
distrutto dall’ambiente aumenta sicuramente. Ma i sistemi, forse,
28
29
ID., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit., p. 684.
Ivi, p. 691.
19
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sono più minacciati dall’aumento della dipendenza della felicità
familiare dipendente dal denaro. Questi accoppiamenti strutturali
possono essere descritti se si permette la distinzione sistema/ambiente. Se tutto è lo stesso, si può pensare solo ad una catastrofe generale»30. La costruzione della realtà che emerge
dall’autoriferimento, si fonda dunque su una circolarità ricorsiva
chiusa. È la chiusura che determina l’autonomia del sistema, ma
non la sua indipendenza dall’ambiente. Per questo ogni chiusura è
anche apertura. Ogni sistema definisce, infatti il proprio «sé» tracciando dei confini che lasciano fuori tutto ciò che viene identificato come ambiente del sistema. Scrive Luhmann: «Il carattere
chiuso di un sistema fondato sul senso, può essere inteso, come
controllo delle proprie possibilità di negazione in occasione della
produzione dei propri elementi»31. Il sistema, quindi, sceglie:
«L’unità del sistema autopoietico è il trattamento ricorsivo di questa differenza tra continuare o no, che riproduce la differenza come condizione della propria continuità. Ogni passo ha la propria
selettività che consiste nello scegliere l’autopoiesi invece che fermarla. Questo processo va concepito come «codice d’esistenza»
con la conseguenza che ogni elemento può essere presentato come
una selezione»32. La selezione è importante per evitare la paralisi
del paradosso33. Il paradosso è fondato nel fatto che l’unità del sistema consiste in due valori incompatibili, quindi che una distinzione ha due lati che, dal punto di vista temporale, sono contemporaneamente rilevanti, però non si possono usare contemporaneamente34. Il secondo valore è un valore negativo, un valore di controllo, una valore che fa sì che tutto il diritto diventi contingente35,
considerando anche il non-diritto.
30
ID., Unsere Zukunft hängt von Entscheidungen ab, Bielefeld, 1993.
ID., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit., p. 680.
32
ID., L’autopoiesi dei sistemi sociali, in R. GENOVESE, C. BENEDETTI, P.
GARBOLINO, Modi di attribuzione. Filosofia e teoria dei sistemi, Napoli, 1989,
p. 257.
33
ID., Il diritto della società, cit., p. 163.
34
Ibidem.
35
Si pone nella teoria sistemica di Luhmann il problema della doppia contingenza.
31
20
a.a. 2012-2013
5. La funzione del diritto nella società delle funzioni
(SAMANTA DE GASPERIS )
Al fine di individuare la funzione del diritto nel sistema della
società occorre innanzitutto definire quest’ultima. Intesa come un
sistema omnicomprensivo di tutte le operazioni sociali, la società
è il risultato di un meccanismo, operato dal diritto, di adattamento
della stessa al suo ambiente. Questo processo è secondario perché
primariamente la società medesima si adatta all’ambiente: il
diritto è inteso come una macchina cibernetica, programmata per
mantenere costanti determinate condizioni36. La società è quindi
intesa come un sistema aperto.
Se invece è intesa sulla base del concetto di sistema
autopoietico, emerge la natura della società quale sistema
operativamente chiuso, non in grado di porsi in contatto con il suo
ambiente per mezzo delle sue operazioni sociali, ossia per mezzo
delle comunicazioni. La caratteristica più peculiare di un sistema
autopoietico è che si mantiene con i suoi stessi mezzi e si
costituisce distinto dall’ambiente circostante mediante la sua
stessa dinamica, in modo tale che le due cose sono inscindibili37.
Su tali basi la società non può essere concepita come un sistema
che si adatta. In questo senso la società è intesa come un sistema
chiuso.
Nel sistema società, la pretesa giuridica esige che certe
aspettative e non altre siano assunte nella strategia normativa del
sistema giuridico. La funzione del diritto è quella di stabilizzare le
aspettative, selezionando quelle meritevoli di tutela. Lo stesso
diritto non può però essere stabile nel tempo ossia pretendere che
qualcosa che è stato valido in passato lo sia per sempre. Il testo
della legge si modifica con il modificarsi delle condizioni con cui
gli individui fanno parte della società Accanto a questa logica
36
Cfr. N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 521.
Cfr. H. MATURANA, F. VARELA, L'albero della conoscenza, Milano, 1992,
p. 62, citato in V. DE ANGELIS, La logica della complessità, Milano, 1996, p.
49.
37
21
a.a. 2012-2013
funzionale esiste una logica simbolica che istituisce elementi che
rimandano al senso, ai valori ecc. I simboli stanno sempre per
qualcosa e generano stabilità nella società. Nel campo del diritto
l’istituzione di una rete simbolica avviene secondo una logica
procedimentale che, come la ragione numerica, non registra
domande di senso ma esegue le operazioni sistemiche vincenti. Il
diritto è una procedura retta dal terzo condizionale, la ragione
procedurale è la ragione giuridica38. Il giudizio giuridico si
presenta solo nell’ordine del simbolico perché è un ordine
controfattuale, triale (pronunciato nel nome di). Guardando al
diritto come un sistema che vincola il futuro della società, esso è
inteso da Luhmann come un sistema immunitario che registra i
conflitti interni e sviluppa soluzioni che possono essere
generalizzate in vista di conflitti futuri. La logica immunitaria
consente la differenziazione funzionale del sistema sociale e
l’autopoiesi dei sistemi parziali differenziati. La costellazione di
questi sistemi costituisce l’ambiente che il diritto osserva. Da tali
sistemi parziali provengono i «materiali» che, selezionati ed
orientati dalla logica immunitaria, si abbinano al codice binario
(diritto/illecito) del sistema giuridico come suoi programmi
condizionali39. Il diritto ha una funzione immunitaria quando vi è
conflitto. Il conflitto è un segnale di cambiamento che rimette in
discussione i caratteri di senso già determinati, evitando
l’irrigidimento del sistema.
Il diritto nel processo di differenziazione produce un’attesa
denominata aspettativa che può essere cognitiva, ed essere attesa o
disattesa, oppure giuridica ossia ci si aspetta che si faccia
giustizia. Il legislatore, tra le tante aspettative cognitive, seleziona
quelle che diventeranno normative. La funzione del diritto, in base
alle aspettative normative, è quella di giungere alla sicurezza delle
aspettative. È una funzione ateleologica (senza fine) perché il
diritto si pone come mezzo e non come fine e si pone come uno
scambio nella matrice del gratuito; la matrice dell’utile appartiene
al mercato. Il diritto è universale e incondizionato se è gratuito. La
38
B. ROMANO, Sulla visione procedurale del diritto, Torino, 2001, p. 20.
N. LUHMANN, La differenziazione del diritto, cit., p. 86 ss., citato in M.
BARCELLONA, Critica del nichilismo giuridico, Torino, 2006, p. 122.
39
22
a.a. 2012-2013
sua funzione può essere anonima solo a condizione che non abbia
suoi fini propri. L’istituzione del diritto avviene sulla base della
differenza nomologica tra legalità e giuridicità; la giuridicità si
struttura intorno all’a priori dell’affermazione dell’uguaglianza
nella differenza40.
6. La certezza del diritto: il ruolo dell’interpretazione in un sistema giuridico eterogeneo (GIORGIO CERNESI)
Nell’età post-moderna e della globalizzazione si è andata configurando una società sempre più complessa ed articolata, caratterizzata dalla proliferazione di fonti idonee a produrre leggi che insidiano nel profondo la certezza del diritto e che ha portato i giuristi ad una interpretazione estensiva delle norme, all’utilizzo di applicazioni analogiche e al ricorso ai principi generali
dell’ordinamento giuridico. L’attuale complessità del sistema giuridico rende possibile che medesime fattispecie vengano disciplinate in modi divergenti in relazione all’eterogeneo assetto normativo delle fonti del diritto, che per loro estrinseca natura appartengono a molteplici livelli di produzione. L’eterogeneità del sistema
giuridico, posta in rilievo dal flusso della temporalità, ha reso necessaria l’analisi di una complessa società in continua evoluzione,
andando così ad alimentare un acceso dibattito sull’interazione tra
mercato e diritto41. Alla vecchia concezione di mercato, inteso
quale luogo del baratto o dello scambio, viene introdotta una visione raffinata e complessa che si sostanzia nella reale e viva «anima biologica»42 della moderna economia; il diritto entrando in
relazione con il sistema economico rischia, però, di cedere la propria autonomia ad una determinatezza e tipizzazione di tipo strettamente economico, funzionale al momento dei pagamenti e servile al linguaggio della moneta. In questa prospettiva il sistema eco40
Cfr. L. AVITABILE, Lezioni di teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale, a. a. 2012/2013.
41
Cfr. ID., Sistemi e diritto, p. 6, in
http://www.docente.unicas.it/useruploads/000785/files/sistemi_e_diritto.pdf
42
Ivi, p. 5.
23
a.a. 2012-2013
nomico andrebbe ad offuscare e svuotare di senso il diritto tradizionalmente inteso, diritto che sin dalle forme primordiali ha posto l’accento sull’individuo e sul riconoscimento incondizionato
ed universale tra gli uomini stessi. La moderna concezione di
quello che si configurerebbe un sistema diritto contaminato
dall’economia, rischia di far perdere il ruolo centrale dell’uomo
che non viene colto più come soggetto titolare di diritti incondizionati, ma come una pluralità di frammenti dell’io43 funzionali ai
vari sistemi. Per evitare questa stagnazione e sistematizzazione del
diritto uno specifico compito è attribuito al giurista, che deve
svolgere l’attività interpretativa, senza però cadere in errore ponendosi come uno scienziato «tecnico delle norme»44, poiché non
si può rendere certa e numerabile la parola: la conoscenza scientifica del diritto non esiste45. Sarebbe assurdo pensare che un calcolatore economico emettesse sentenze restrittive della libertà altrui,
infatti, lo stesso identico reato commesso da due persone diverse
configura declinazioni differenti nella recezione da parte di chi le
giudica. Parafrasando Kant dovremmo dedurre che il giurista si
debba porre come «artista della ragione»46, poiché la mancata
possibilità di positivizzare tutto il diritto in un momento storico e
temporale non ci permette di avere dei diritti dati una volta per
tutte. Colui che si pone come interprete non deve considerare soltanto la testualità come punto di riferimento, poiché questa rappresenta un «rinvio di senso»47 che qualifica l’essere artista del
giurista e dell’interprete e lo porta a domandarsi quali siano i legami tra diritto, senso e linguaggio.
43
Cfr. A. ARGIROFFI, Una filosofia del diritto secondo Bruno Romano, in
http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/recensioni/2003/D_Q3_Argirof
fipdf.
44
L. AVITABILE, I doveri del giurista, le critiche della filosofia del diritto, in
http://www.docente.unicas.it/useruploads/000785/files/i_doveri_del_giurista,_l
e_critiche_della_filosofia_del_diritto.pdf, p.11 ss.
45
Cfr. ID., Lezioni di teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale, a. a. 2012/2013.
46
ID., L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann, in
http://www.docente.unicas.it/useruploads/000785/files/argumenta
iuris.
schleiermacher e luhmann.pdf, p. 2.
47
Ivi, p. 5.
24
a.a. 2012-2013
La nostra idea di diritto rimane, ad ogni modo, fortemente legata al diritto positivo, in quanto rappresentazione di uno ius positumun diritto in continua formazione che deve essere sempre aggiornato e positivizzato, andandosi così a configurare un «fenomeno diritto», inteso come ciò che appare e si manifesta nei confronti della società. Criticabile risulta allora la teoria di Niklas Luhmann, che rinviene nel diritto un sistema immunitario48 incentrato nella sua funzione, tale sistema si muove in un ambito socialmente complesso nel quale l’osservazione tra i vari sistemi ne determina la differenziazione; il diritto della società trova la sua collocazione e definizione nella differenziazione funzionale rispetto
agli altri sistemi sociali. Tale «scienza giuridica» tende
all’eutanasia49 del diritto, modellando la giuridicità su quelli che
sono linguaggi numerici, dei prezzi e dei mercati. Assolutamente
non condivisibile appare, per tale ragione, la configurazione del
«sistema» diritto, che andrebbe a porre in luce una terzietà funzionale dello stesso, nonché una funzione immunitaria che permetta
soltanto agli altri sistemi di non incepparsi50. Il diritto, infatti, deve avere e mantenere una propria e autonoma forma, una forma
capace di cambiare continuamente grazie all’attività interpretativa,
non intesa quale «macchina automatica self-service: si inserisce
un testo e se ne ottiene una interpretazione»51, bensì come un’arte
nella quale il giurista cerca di comprendere e conoscere meglio la
portata della disposizione, alla luce di quelli che sono i principi
generali dell’ordinamento. L’interprete deve, quindi, riconoscere e
fare propri i principi dell’ordinamento, svilupparli e capire se operino come influenze di significato in relazione al singolo dato
48
A. FIORILLO, Il sistema del fondamentalismo funzionale: riflessioni critiche,
a
partire
dall’opera
di
Bruno
Romano,
in
http://www.docente.unicas.it/useruploads/000785/files/fiorillo.pdf, p. 36.
49
Ivi, p. 37.
50
Cfr. R. NOCERINO, Complessità e diritto: brevi riflessioni su Niklas Luhmann
e Bruno Romano, Rivista quadrimestrale on-line, in www.i-lex.it, Dicembre
2010, numero 11, http://www.i-lex.it/articles/volume5/issue11/nocerino.pdf.
51
M.L. DE RISI, Principi generali e argomentazione giuridica, in Interpretazioni del funzionalismo giuridico, (a cura di Luisa Avitabile), Napoli, 2010, p.
103.
25
a.a. 2012-2013
normativo. Il diritto implica l’uomo e l’uomo implica il diritto52,
non esiste diritto senza interpretazione, così come molto probabilmente non c’è interpretazione senza ricerca del giusto53, intesa
quale riconoscimento di una legalità radicata e di uno Stato di diritto fondato su un caposaldo come il principio di uguaglianza.
7. La teoria di Luhmann e le aspettative (ANDREA
MASTROPIETRO)
La funzione del diritto è correlata alle aspettative, intese non come
stato di coscienza attuale, ma come aspetto temporale del senso
delle comunicazioni. Le norme sarebbero il frutto di una progressiva attività di istituzionalizzazione, ossia di scelta tra le varie aspettative possibili e di un successivo processo di stabilizzazione.
Le aspettative vengono generalizzate in tre dimensioni:
temporale, sociale e oggettuale. La norma assume la fisionomia di
un’aspettativa simbolicamente generalizzata sostenuta dal consenso e ridotta nella sua complessità contenutistica. Attraverso i simboli il sistema crea stabilità, controlla il futuro e seleziona le incertezze a partire dal sentimento di fiducia delle norme. Luhmann
afferma che le norme giuridiche sono autonome e che la loro validità non dipende da altre norme. Egli concepisce il diritto come un
sistema autopoietico, ossia un sistema autoreferenziale e autonomo che resta normativamente chiuso. Il diritto viene definito come
un sistema di comunicazione basato sul codice binario legale/illegale in grado di elaborare inputs esterni nei termini del proprio modello normativo autonomo, restando immune da qualsiasi
influenza normativa esterna. Luhmann radicalizza il concetto di
comunicazione definendolo come unità o sintesi di tre selezioni:
emissione, informazione e comprensione (quest’ultima intesa come osservazione delle differenze delle due precedenti relazioni).
52
Cfr. L. DI SANTO, Diritto e tempo nella riflessione filosofico-giuridica di
Bruno Romano: Rivista quadrimestrale on-line, in www.i-lex.it, Agosto 2010,
numero 9, http://www.i-lex.it/articles/volume5/issue9/disanto.pdf.
53
Cfr. L. AVITABILE, Lezioni di teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale, a. a. 2012/2013.
26
a.a. 2012-2013
Il sistema giuridico, cioè, è in grado di elaborare elementi provenienti dai sistemi della morale, della politica e dell’economia
selezionandoli nei termini del proprio codice legale/illegale e restando indipendente da essi. Per Luhmann la funzione del sistema
giuridico è proprio quella di stabilizzare le aspettative, che in un
mondo complesso sono caratterizzate dall’incertezza. Ciò significa che il diritto si assume il compito di garantire che una serie di
aspettative saranno ripetutamente confermate e difese ogniqualvolta verranno disattese. Ne consegue che lo sviluppo e il mantenimento di un certo ordine sociale sarà tanto più probabile quanto
più consistenti saranno le informazioni fornite dal diritto e più effettiva la difesa delle norme. Per elevare un’aspettativa al rango di
norma giuridica, occorre che essa attraversi due processi selettivi:
il primo concernente il suo contenuto,la sua dimensione materiale,
il secondo relativo ai costi sociali delle norme. Il diritto rende possibile poter sapere con quali aspettative si trovi sostegno sociale e
quali no54. Il compito centrale della sociologia e della stessa filosofia è quello di elaborare una teoria generale in grado di pensare
la società stessa in rapporto a precisi fondamenti unitari. Il pensatore tedesco afferma che le scienze sociali moderne non hanno elaborato ancora una vera comprensione del fenomeno sociale con
metodologie adeguate capaci di stabilizzare gli stessi sistemi sociali, che interagiscono con le sfide provenienti dall’ambiente e
che riescono a resistere a pressioni interne ed esterne. L’ambiente
è tutto ciò che ci circonda e di cui facciamo parte in
un’interazione continua culturale; è molto complesso, più complesso del sistema che lo vuole dirigere ed è spesso imprevedibile
54
Luhmann si occupa di problematiche sociologiche, che approderanno allo
studio della filosofia con l’esperienza della Repubblica di Weimar (1919-1933).
Nella Repubblica di Weimar manca la stabilità per garantire le aspettative della
popolazione dopo la grave sconfitta del primo conflitto mondiale. Luhmann
parte dalla premessa che gli elementi primari ed unici di un qualsiasi sistema
sociale non siano gli aspetti principali, ovvero gli uomini, ma gli effetti della
comunicazione, cioè comunicazioni che producono altre comunicazioni. Senza
comunicazione non esiste nessuna forma di sistema sociale. Un sistema sociale
è in grado di costituirsi, ricostituirsi ma soprattutto di autogestirsi mediante una
perenne comunicazione. L’uomo è invece un sistema più complesso, in quanto
sistema psicologico (coscienza) in grado di pensare. I sistemi sociali, invece,
non pensano ma agiscono sotto forma di interazione, organizzazione, società.
27
a.a. 2012-2013
perché sempre in divenire. È il sistema che deve adeguarsi con
strategie appropriate all’ambiente; se il sistema non riesce ad adeguarsi all’ambiente in evoluzione finisce per soccombere, non
avendo aspettative.
Non sempre, tuttavia, le aspettative rispondono alla realtà; devono resistere ad eventuali delusioni, che aumentano le problematiche sociali e culturali. Nelle aspettative non mancano funzioni
motivazionali, come nel diritto, che danno sicurezza al cittadino
anche in prospettiva futura. Il diritto è una forma valida, referenziale per dirimere tensioni sociali. Da sempre il diritto opera in un
quadro di aspettative e di adattamenti sociali attraverso norme giuridiche che regolano una giusta attribuzione di valori «diritto/non
diritto» ,in zone di reciproca compatibilità. Il sistema giuridico in
concreto ha il precipuo compito di stabilizzare le aspettative normative per mezzo della regolamentazione temporale oggettiva e
sociale. Il diritto, nelle sue norme statuite, deve essere rispettato e
imposto; qualora venisse violato si avrebbe la caduta delle aspettative.
Spesso immaginiamo il diritto come limitazione della possibilità o libertà di condotta, ma è altrettanto vero che il diritto può assumere bene la funzione dell’abilitazione ad una condotta che,
senza il diritto stesso, non sarebbe possibile. Rinunciando ad una
parte del diritto, come affermano gli Illuministi, si partecipa alla
fruizione di un diritto maggiore che prima non sarebbe stata
assolutamente possibile. Con l’affermazione del diritto condiviso
subentrano le aspettative comuni e singole, progetti, ricerche e
studi di comunicazione e di interazione. Scaturiscono aspettative
cristallizzate e stabili con prospettive di sicurezza di vita e di controllo sul futuro. Le aspettative nel modus della normalità e le aspettative nel modus della normatività sono tra loro vicinissime, le
une accanto alle altre. Le aspettative favorite dal diritto garantiscono il diritto stesso per reciprocità.
Può anche capitare che le aspettative entrino in conflitto tra loro, vale a dire in contraddizione tra loro nella comunicazione, deludendo in questo modo l’agire dell’individuo e della società; si
assiste, quindi al diritto che, da un lato, tende a dirimere conflitti
e, dall’altro, li crea. Ogni conflittualità, tuttavia, può trovare solu-
28
a.a. 2012-2013
zioni solo nelle aspettative di normative giuste e adeguate, organizzate e statuite dal diritto stesso. Tutto l’ordinamento sociale si è
sviluppato e continua a svilupparsi in base ad aspettative rispondenti ad esigenze sociali. In uno stato democratico è più che lecito, sia a livello soggettivo sia a livello sociale, auspicare delle prospettive
per
la
realizzazione
migliore
di
uno Stato di diritto che riesca a garantire condizioni migliori per il
godimento effettivo di diritti civili e sociali55. Habermas afferma
che i diritti umani e il principio di sovranità popolare rappresentino ancora le uniche idee per dare giustificazione al diritto moderno. Il diritto non deriva dalla morale né è un caso particolare della
morale, come afferma Alexy. Il diritto nasce per garantire
l’integrazione sociale, per garantire i diritti di ogni individuo, non
è autoreferenziale secondo la concezione luhmanniana, funzionale
allo stabilizzarsi delle aspettative di comportamento. In conclusione le aspettative sono regolate dal diritto proprio per garantire a
ciascuno individuo e alla società garanzie, stabilità e progresso.
8. Il ‘fenomeno’ diritto (ALESSANDRA ILARY GALASSO)
Lo scopo di queste pagine resta quello di un’esposizione generale della fenomenologia per poi giungere al concetto fenomenologico del diritto, dopo che la ‘giuridicità’ è stata trattata come ‘sistema’.
Il concetto di fenomeno è indicato come ciò che si manifesta in
se stesso; la fenomenologia come metodo si mostra come un modo particolare di incontrare qualcosa e, ancora, un lasciar vedere
da se stesso ciò che si manifesta così come si manifesta da se
stesso56. Ma che cos’è che la fenomenologia deve «lasciar vedere?». Inoltre, che cos’è ciò che merita il nome di «fenomeno» in
55
Uno Stato moderno, è il pensiero di Talcott Parsons, pone al centro della sua
analisi il diritto per assicurare a tutti i cittadini coesione e solidarietà sociale. Il
diritto moderno può stabilizzare, infatti, aspettative di comportamento in una
società complessa avida di legittimità.
56
M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, Torino, 1969, pp. 94-96.
29
a.a. 2012-2013
senso caratteristico?57«Si tratterà – risponde Heidegger – di qualcosa che innanzitutto e per lo più non si manifesta, di qualcosa che
resta nascosta rispetto a ciò che si manifesta innanzitutto e di
qualcosa che appartiene in linea essenziale a ciò che si manifesta e
per lo più, in modo da esprimerne il senso ed il fondamento»58. Si
danno due modi in cui ciò che rimane nascosto, ciò che non si
manifesta innanzitutto, è connesso a ciò che viene in luce. In una
prima maniera, ciò che viene in luce si mostra come ciò che sembra in un determinato modo, pare così come se…; più precisamente, si rende chiaro in una data specificità così come invece non è:
si tratta del parvente, della parvenza59. Quest’ultima è una modificazione derivata e privativa del fenomeno stesso. In un secondo e
altro modo la connessione tra ciò che rimane nascosto e quello che
viene in luce è presentata da Heidegger come l’apparenza, come
l’apparire. Proprio in questo senso, per esempio, si parla
dell’apparire di una malattia, si allude cioè ad eventi del corpo che
vengono alla luce e che, venendo alla luce, fanno da indizi (o sintomi) di qualcosa che in se stessa non si manifesta60. Apparenza
come apparenza «di qualcosa» non significa dunque manifestazione di sé, bensì significa: annunciarsi di qualcosa che non si
manifesta, mediante qualcosa che si manifesta61. Proprio in questa
direzione, l’apparire è un non manifestarsi, ancora, ciò che non si
manifesta nel modo in cui non si manifesta l’apparenza non può
neppure sembrare, quindi esser parvenza. In definitiva, apparire
significa annunciarsi mediante qualcos’altro che viene in luce:
nell’apparire rimane sempre presupposto il fenomeno stesso. Apparire significa dunque annunciarsi di ciò che rimane nascosto, di
ciò che non si manifesta. «La ricerca fenomenologica –afferma
Bruno Romano – si scopre sempre connessa alle vicende del chi,
non riducibile alla cosa-data, ma costitutivamente sospeso nel
compito di ritrovarsi nella relazionalità del ‘senso’, secondo quel
dispiegarsi della domanda di senso ove ciascuno incontra l’altro
57
Cfr. ibidem.
Ibidem. Vd. anche B. ROMANO, Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2002, p. 39.
59
M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, cit., p. 29.
60
Cfr. ibidem.
61
Cfr. ibidem.
58
30
a.a. 2012-2013
come reciprocamente essenziale al suo ritrovarsi»62. Centrale nella filosofia del diritto di Bruno Romano è il concetto di differenza
nomologica, che indica il differire del diritto rispetto alla norma,
rispetto alle leggi positive, ancora, rispetto alle singole forme storiche del presentarsi del «giuridico». In definitiva, il diritto è da
considerarsi come ciò che si sottrae ma nell’annunciarsi delle singolari e definitive forme e concretizzazioni storiche del giuridico
stesso. Queste ultime sostituiscono l’apparire, cioè il venire alla
luce, da un punto di vista storico, di ciò che via via si istituisce e
che diviene, quindi, l’istituito. L’identificazione definitoria del diritto (come ciò che non si manifesta) con il fatto della positività
storica della legge o con una ragione universalizzante a-storica e
a-temporale, cioè del tutto decontestualizzata, conduce ad una
strutturazione fattualistica (il fatto della positività o il fatto della
ragione) del diritto stesso che è antitetica a quella ortonoma. In
conclusione, a differenza del concetto di diritto in sé qui, nella direzione di Bruno Romano, il diritto risulta essere – oltre ogni riduzione – ciò che non-si-manifesta di ciò che appare storicamente. Ritornando alla definizione da cui siamo partiti, si pone in evidenza come la ricerca fenomenologica del diritto sia connessa alle
«vicende del chi» che rimane sospeso nel compito mai esauribile
della determinazione esistenziale della sua identità, non solipsisticamente, ma sempre con e per l’altro, essenziale al suo «ritrovarsi». Bruno Romano offre una griglia concettuale compiuta attraverso la quale è possibile leggere ed analizzare il mostrarsi del fenomeno giuridico nella contemporaneità. La filosofia non si esaurisce nell’acquisizione di conoscenze, ma concerne la qualità ed il
senso del relazionarsi dei «soggetti parlanti» diversi dai semplici
viventi. Il fenomeno giuridico si mostra nell’opera dell’istituire
che specifica il coesistere dei parlanti, opera dell’istituire che toglie dall’immaginario avviando al simbolico (Lacan). Il pensiero
filosofico del diritto non è riconducibile ad un ambito specifico
confinato del sapere giuridico destinato ad essere applicato per un
qualche uso. Infatti, con Jasper la filosofia si dispiega in un linguaggio cifrato o evocativo, le scienze, invece, insistono su un
62
B. ROMANO, Relazione con altri e fenomenologia del diritto. Due studi per
Heidegger (1889-1989), Roma, 1989, p. 82.
31
a.a. 2012-2013
linguaggio numerico e incerto. In definitiva, il sistema giuridico
non è riducibile, come nell’ ambito di una teoria dei sistemi sociali, ad un sistema biologico, cioè di semplici viventi, privo quindi
di domande sul senso. Nell’epoca contemporanea e post-moderna
la filosofia del diritto, con la sua antropologia orientata, lascia il
posto ad una prospettiva scientista configurantesi come sociologia
del diritto che, trasponendo elementi dei sistemi biologici – riguardanti i semplici viventi – nel sistema giuridico, opererebbe alla stregua di una biologia giuridica. La condizione post-moderna e
post-soggettiva manifesta un’opera di svuotamento dell’uomo, che
è colto, non più come soggetto titolare di diritti incondizionati nello Stato di diritto, bensì come una pluralità di frammenti dell’io
funzionali ai vari sistemi. Si tratta, quindi, dell’opera di svuotamento dell’integrità e della pienezza inesauribile del se stesso
soggetto dell’agire e del relazionarsi. In questa prospettiva postmoderna e post-soggettiva, il sistema diritto non è più osservato
nella sua complessità fenomenologica, bensì come fatto; alla ragione giuridica dell’istituire ortonomo si sostituisce la ragione
procedurale: in definitiva, al comunicare «cifrato» della ragione
giuridica è sovrapposto l’informare «numerico» della ragione procedurale. La genealogia del diritto presenta il fenomeno diritto
come incentrato sulla relazione giuridica, cioè sulla relazione di
riconoscimento incondizionato ed universale tra gli uomini, relazione che supera quella di esclusione basata quest’ultima sulla
mera fattualità. Nella fenomenologia esplicata da Heidegger, ovvero come ricerca del senso e del fondamento del fenomeno stesso, il fenomeno non è la funzionalità del puro fatto, proprio perché, rispetto alla fattualità, la fenomenologia disvela il senso ed
il fondamento. Le leggi giuridiche sorgono come ipotesi di leggi
per ipotesi di condotte: tale fenomenologia del diritto conduce ad
una visione del diritto come interezza disfunzionale della questione senso dell’esistere propria del «chi», soggetto giuridico in
quanto soggetto ipotizzante. Tale fenomenologia del diritto si distingue nettamente dalla dottrina pura del diritto di Kelsen che
«prepara» una dottrina funzionale del diritto come nell’opera di
Luhmann. Della ragione che costituisce il diritto si possono dare
due letture diverse: per la prima il diritto sorge in quanto è deter-
32
a.a. 2012-2013
minato da processi che ne sono la causa ed in essi si dà la spiegazione del diritto stesso; in relazione alla seconda lettura il diritto
è istituito secondo un interpretarsi dei parlanti che presiedono con
libertà e creatività al processo dell’istituire. Nella prima lettura
(Lacan, Luhmann) il soggetto si ritrova come soggetto determinato e non come soggetto libero, quale si configura nella seconda
accezione. A seguito dello svuotamento della soggettività, la filosofia del diritto diviene una vera e propria «biologia giuridica» tipica dei viventi. Allo stesso modo della determinazione simbolica
in Lacan, la determinazione sistemica secondo Luhmann intende il
diritto alla stregua di un sistema immunitario degli altri sistemi
sociali; la validità di una norma è legata esclusivamente al diritto
vigente come funzionale agli altri sistemi sociali. Nella contemporaneità è leggibile l’avviarsi di un esito che Bruno Romano definisce come post-umanistico, oltreché post-soggettivo o asoggettivo. Il diritto è qualificabile alla stregua della fattualità in
un movimento eteronomo. Alla esplicitazione della sua genesi fenomenologica, quale ricerca del senso del suo funzionamento in
direzione ortonoma, si impone invece il funzionamento del suo
senso, come sistema immunitario della catena dei sistemi sociali.
Viene obliato quindi il senso esistenziale del diritto cioè il che ne
è del se stesso nel coesistere con gli altri, a vantaggio di una prospettiva solo funzionalistica che si riferisce ai frammenti scissi
dell’io.
9. L’incidenza della temporalità nel diritto (VALENTINA DE
CASTRO)
Gli argomenti sinora discussi portano a riflettere
sull’impegnativa questione della relazione tra diritto e tempo.
Nessuno può dubitare della temporalità dell’uomo, sia come individuo sia come genere: il suo essere è un essere temporale ossia
non eterno, contrassegnato da nascita e morte, origine e fine. Perciò, in quanto è un fatto umano, il diritto è anch’esso contrasse-
33
a.a. 2012-2013
gnato dalla temporalità63. La questione diritto e temporalità non è
nuova, infatti il diritto, come ogni altro fenomeno (dal greco
φαινόμενον: ciò che appare), e proprio in quanto fenomeno, ha a
che fare col tempo: esso è sintesi tra passato, presente e futuro. Il
diritto è il continuo transitare intorno a queste tre dimensioni temporali, tale aspetto emerge nel lavoro di adeguamento della norma
(operato dal giudice) fatta nel passato, ma che deve essere applicata nel presente ed avrà incidenze nel futuro.
Nella sua essenza fenomenologica il diritto si delinea temporalmente come durata, fondata sull’unità-contemporaneità delle
dimensioni temporali. Il senso temporale del diritto come principio unitario organizzante delle relazioni intersoggettive libera il
rapporto che si situa nelle forme e nei contenuti della giuridicità
dall’angoscia dell’improvviso, tipica delle relazioni non giuridiche64. La vita degli uomini è un tentativo, condotto in varie forme,
di prolungare nel tempo la propria esistenza. E può dirsi altrettanto di ogni entità biologica in genere; non solo, ma anche le nostre
opere e costruzioni sembrano, per tramite dell’uomo, volersi proiettare nel tempo il più a lungo possibile. Per cui si può concentrare il senso, almeno apparente e immediato, di ogni realtà, in una
gigantesca lotta per la sopravvivenza condotta contro il tempo. È
così anche per il diritto e i suoi istituti. Il diritto è creato e costruito dagli uomini riuniti in determinate comunità, che attraverso esso tentano di sfuggire allo scorrere del tempo, di dare permanenza
all’esistenza dei singoli individui e della comunità stessa: il diritto è voluto per permanere, per eternarsi. La questione diritto e
tempo assume, a mio avviso, un rilievo tutto particolare anche da
un altro punto di vista: se una sorta di lotta contro il tempo sembra
essere caratteristica comune di tutto l’esistente, il diritto testimonia un ambito in cui questo carattere emerge con peculiare evidenza. I futuristi di inizio novecento che esaltavano la «bellezza
della velocità del tempo» probabilmente non avrebbero mai immaginato che quella stessa velocità, un secolo dopo, si sarebbe per
63
M. KOLACINSKI, Dio fonte del diritto naturale, linee di dibattito tra teologia
morale e filosofia del diritto, Roma, 1997, p.74.
64
B. ROMANO, Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale, Roma, 1985 p. 212 ss.
34
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lo meno decuplicata sull’onda della rivoluzione tecnologica incidendo profondamente sul modus vivendi dell’uomo moderno. Ed è
proprio la velocità, che conduce il tempo, fiume eracliteo, a travolgere – o quanto meno a modificare, a plasmare attraverso un
procedimento di erosione – tutto ciò che ha la pretesa di contrastarlo con la propria immobilità, diritto ed istituti giuridici compresi. Il concetto di temporalità tocca il mondo del diritto e, anzi,
di temporalità è intriso qualunque principio, istituto, atto o negozio giuridico65. Il rapporto diritto e tempo ha interessato seppur
implicitamente diversi filosofi. A tal proposito, la concezione del
tempo come numero o misura, risalente ad Aristotele, richiama la
funzione regolativa tipica del diritto. Ad imprimere tuttavia il
primo impulso ad una riflessione tematica sulla questione diritto e
tempo è Kant, mettendo in luce connessioni radicali coi concetti
di legge, di dovere, giustizia; sebbene sia da notare la diversa sistemazione che in Kant assumono, proprio in riferimento al tempo, la morale e il diritto. La legge morale, l’imperativo categorico
è tale in quanto sostanziato di un tempo che è eternità: è l’eternità
del dovere morale che garantisce la sua perennità razionale sopra i
volubili cambiamenti del soggetto; è il tempo con contenuto di
permanenza quello che trasforma le massime in leggi; è il tempo
eterno di fronte al tempo vuoto, è il tempo esigente il compimento
completo di una legge morale di fronte al tempo come forma preliminare della intuizione sensibile, quello che caratterizza la filosofia della Ragion pratica di fronte alla filosofia della Ragion pura66.
È nota la posizione di Bergson, che per primo introduce una distinzione interna a ciò che viene ordinariamente designato come tempo. Da una parte il tempo come misura, utilizzato ed utilizzabile nella pratica quotidiana dei commerci e delle scienze. Un
tempo, precisa Bergson, spazializzato, riducibile cioè in ultima istanza ad un quantum spaziale predeterminato in vista della misurazione. Dall’altra il tempo come durata, il tempo vissuto come
65
Cfr. L. CUOCOLO, Tempo e potere nel diritto costituzionale, Milano, 2009,
p. 5.
66
Cfr. F. E. DE TEJADA, Il tempo nella Filosofia giuridica di Kant, in Rivista
Internazionale di Filosofia del diritto, 1957, p. 713.
35
a.a. 2012-2013
fenomeno della coscienza, completamente diverso dall’invariabile
succedersi di istanti indifferenziati del tempo spazializzato67. La
rivoluzione bergsoniana produce un rinnovato interesse per il
tempo anche nella filosofia del diritto, prevalentemente in Germania ad opera di Gerhart Husserl68. Nel saggio Temporalità e diritto69 si evidenzia come per Husserl ogni dimensione del diritto appare corrispettiva di un tipo ideale umano e persino di una forma
del potere statuale: così, l’uomo del presente temporale corrisponde al potere esecutivo, l’uomo del futuro al potere legislativo,
l’uomo del passato al potere giudiziario, evidenziando appunto
come il rapporto tempo-diritto venga interpretato e anzi vissuto in
maniera diversa a seconda di quale dei tre poteri montesquieiani il
giurista si trova ad operare70. Facendo riferimento al rapporto
tempo-diritto di Gerhart Husserl, così come sopra delineato, si rileva che mentre il privatista tende a guardare al tempo passato per
trovare in esso le regole del presente (della fattispecie), il costituzionalista è viceversa in buona parte rivolto a prefigurare il futuro,
(il corso degli umani eventi) o quanto meno a predisporre strumenti giuridici adatti a consentire trasformazioni non traumatiche
dell’ordinamento giuridico nel suo scontato modificarsi nel tempo.
La questione diritto e tempo non trova fondamento solo nella
filosofia, non mancando infatti riferimenti normativi espliciti al
tempo, di seguito riportati.
L’art. 28 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793 dispone che «un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e mutare la sua Costituzione: una generazione non
può assoggettare alle sue leggi le generazioni future».
67
Molto simile a ciò che Agostino aveva già designato con lo stesso termine:
un presente vissuto che raccogliendo il passato si slancia in direzione
dell’avvenire, secondo la classica formula agostiniana del presente come «praesens de praeteritis, praesens de praesentibus, praesens de futuris» .
AGOSTINO, Confessiones, XI, 20, 26.
68
Cfr. G. HUSSERL, Diritto e tempo. Saggi di filosofia del diritto, Milano,
1998.
69
V. FROSINI, Temporalità e diritto, in Rivista di diritto civile, 1999.
70
Cfr. ivi , p. 431 ss.
36
a.a. 2012-2013
Le costituzioni sono imbevute di tempo nel loro continuo dialogare con il cangiante presente, rappresentato appunto dal giudice
costituzionale: le costituzioni non restano sempre se stesse, il loro
significato muta e mutano anche i criteri ermeneutici con cui è
opportuno affrontarne l’interpretazione71.
Il diritto, nella prospettiva costituzionalistica, sembra sottomettersi al tempo, quasi rassegnato a subire inevitabili senescenze.
L’art. 11 delle Preleggi così recita: «La legge non dispone che
per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo»72.
In tale ottica il diritto tende infatti a lamellare il tempo e questo
ritrova nel diritto una serie di punti fermi, una serie di immobilità,
ai quali ricollega il verificarsi di eventi giuridici che, almeno potenzialmente, hanno la presunzione di porsi poi al di fuori del
tempo, o, quanto meno, al di fuori del suo fluire.
Al termine della disamina diritto-tempo, una piccola riflessione personale: la necessità forse di riconoscere un diritto al proprio
tempo, il vero lusso della nostra epoca.
10. Verso
PELLEGRINI)
la
funzionalità
dell’interpretazione
(MARIA
Nella teoria sistemico-funzionale di Luhmann, ogni sistema,
caratterizzante la società complessa, è per sua natura spinto da una
funzione determinata che lo differenzia dagli altri sistemi73. Alla
base di ogni sistema, e in generale delle società complesse, vi è
l’organizzazione, come se fosse «un mega sistema funzionale»74,
dotato di un suo management, un apparato decisionale autonomo.
Tra i sistemi sociali, quello a cui Luhmann pone maggiormente
attenzione, è il sistema giuridico. Tale sistema, basandosi quasi
completamente sulla decisione istituzionalizzata o formalizzata,
«rappresenta il momento di maggiore condensazione di quello che
si intende per ultrastabilità nell’organizzazione attraverso la deci71
R. BIN, Che cos’è la Costituzione, Bologna, 2007, p. 16.
Cfr. art. 25 della Costituzione.
73
Cfr. N. LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit.,
passim.
74
ID., Organizzazione e decisione, Milano, 2005, p. 5.
72
37
a.a. 2012-2013
sione»75. Secondo Luhmann «il diritto in quanto sistema autopoietico, operativamente chiuso, è tenuto a garantire in modo stabile la
sua funzione»76. Si delinea cosi l’immunitarismo del diritto inteso
come operato servile del sistema alla funzione. Il sistema normativo per Luhmann ha la funzione immunitaria: quella di far funzionare, immunizzandola, la costellazione degli altri sistemi, quali
il mercato, la religione, la politica, etc. Oltre a questa specifica
funzione, l’attività del diritto consiste anche in un’altra attività,
che è il nucleo del diritto: la condensazione delle aspettative, che
si concretizzano nella trasformazione da aspettative cognitive (le
quali non sono altro che materiale proveniente dalla costellazione
dei sistemi sotto forma di ansia di giustizia) in aspettative normative (norme giuridiche), alle quali non è attribuita alcuna valenza,
non sono aspettative di senso. Questa trasformazione è possibile
perché «il diritto si alimenta dagli altri sistemi e dalla reciproca
produzione di programmi condizionali»77. È qui che è collocata
l’operatività funzionale del legislatore, il quale è un tramite che
assegna, ad uno dei due poli diritto-non diritto, il materiale ricevuto dagli altri sistemi. Appare chiaro come in questo meccanismo
non rientrano nella funzione del diritto le domande di senso sulla
giustizia, sulle ragioni del diritto e sulla necessità di motivazione
della sentenza essendo privo delle figure di imparzialità e terzietà.
Nella società complessa «l’unica preoccupazione diventa quella di
emettere una decisione che possa avere una ricorsività nel sistema,
che possa essere riprodotta e riutilizzata all’interno del sistema,
come qualsiasi altra operazione»78. La necessità di una decisione,
per Luhmann, sorge esclusivamente quando il giudice, nella sua
posizione di operatore funzionale, si trova davanti a un paradosso
non superabile e la situazione è così descritta da Luhmann: «c’è
una decisione quando si dà qualcosa di principalmente non decidibile. Altrimenti la decisione sarebbe già decisa e dovrebbe sol75
L. AVITABILE, Le forme del funzionalismo giuridico in Interpretazioni del
funzionalismo giuridico, a cura di Luisa Avitabile, Napoli, 2010, p. 21.
76
N. LUHMANN, Mercato e diritto, Torino, 2007, p. 156.
77
A. CASINELLI, La ‘trasformazione della terzietà giuridica’ e la funzione immunitaria, in Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit., p. 125.
78
Ivi, pp. 126-127.
38
a.a. 2012-2013
tanto essere compresa». La decisione serve, quindi, alla sola risoluzione di una contraddizione, correggendo la disfunzione del sistema, sulla base della contingenza, tendendo al ripristino del successo operazionale che caratterizza i sistemi. In tale prospettiva
muta anche quella particolare attività svolta dal giurista in relazione al testo della norma: l’interpretazione giuridica. Luhmann non
parla di interpretazione ma di argomentazione da intendersi come
«razionalizzazione posteriore del testo»79, eliminando le eventuali
incoerenze utilizzando l’argomento come intermediario tra premesse e conclusioni, rendendolo successivamente comprensibile.
Del funzionamento del testo, dal punto di vista sintatticogrammaticale, si occupa la procedura normativa ma ciò che rileva
è l’inserimento del testo in modo coerente all’interno del diritto
vigente, la testualità giuridica è prodotta dal sistema mediante osservazione, o meglio auto-osservazione, constatando al suo interno la presenza di lacune normative e elaborando prassi grazie
all’etero-osservazione che gli permetta di comunicare anche con
gli altri sistemi sociali. L’importanza dell’osservazione
nell’ambito dell’argomentazione giuridica si ravvisa nel fatto che
per Luhmann, l’interpretazione è un’osservazione di secondo grado, in quanto avviene su un testo già elaborato (norma, sentenza).
Luhmann, nella teorizzazione dell’argomentazione giuridica, prescinde dalle intenzioni del legislatore, infatti gli argomenti adeguati sono necessari esclusivamente per enunciare se quella norma
è in grado di far funzionare o meno il sistema, oppure relegarla,
qualora non lo fosse, nel polo del codice binario del sistema giuridico «non diritto». Per Luhmann, quando un interprete si avvicina
al testo, «quello che fa quando interpreta è preparare
un’argomentazione. Lo può fare se prima simula la comunicazione nella forma di conversazione con se stesso o nella forma di
pensieri articolati, verbalizzati, come una prova di comunicazione»80. Il primo momento di questo procedimento consiste in
un’interpretazione intrinseca del testo (lettura e attribuzione di
senso); il secondo momento è caratterizzato dall’esternazione
dell’interpretazione per mezzo di un’argomentazione preparata e
79
80
N. LUHMANN, Il diritto delle società, Torino, 2012, p. 315.
Ivi, pp. 336.
39
a.a. 2012-2013
comunicata in modo articolato e convincente, e quindi funzionale.
Per Luhmann non si applica, in questa tipologia di argomentazione, il sillogismo (premessa maggiore, premessa minore e conclusione) ma tutto avviene attraverso «gli exempla a partire dai quali
la norma appare come il prodotto finale di una serie di argomenti,
un’adeguatio priva del momento interpretativo-qualitativo»81. Elementi dell’argomentazione giuridica sono la validità del diritto e
l’attività argomentativa, utilizzati per evitare che da parte degli altri sistemi vengano creati argomenti idonei per modificare il diritto, attraverso degli «accoppiamenti strutturali»82, attraverso i testi
e a partire da essi. L’argomento quindi non deve convincere ma
«l’argomentazione all’interno del ragionamento deve avere una
stretta attinenza logica con le parole del testo che, una volta dato
oggettivamente, non è più suscettibile di libera interpretazione,
diventando uno strumento affinché tutti intendano la stessa cosa»83. L’interpretazione ha quindi la funzione di ausilio per prendere una decisione nella polarità conforme-non conforme al diritto, grazie ad argomenti che spingono verso un’interpretazione il
più possibile omogenea.
11. L’argomentazione funzionale (MILENA VICALVI)
La questione dell’argomentazione giuridica84 è sempre al centro delle discussioni giusfilosofiche con orientamenti diversi e a
volte anche contrapposti. L’argomentazione giuridica85 può esse-
81
R. L. DE MONACO, Distinzioni nell’argomentazione giuridica, in Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit., p. 135.
82
N. LUHMANN, R. DE GIORGI, Teoria della società, Milano, 1992, p. 33.
83
S. TREGLIA, La testualità: analisi di due sistemi giuridici, in Interpretazioni
del funzionalismo giuridico, cit., p. 151.
84
Aristotele ha discusso per primo di una teoria dell’argomentazione, seguito
da altri come Chaim Perelman che ha provveduto ad una successiva sistemazione. Per l’argomentazione vd. N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit.,
p. 338 e ss.; B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, passim.
85
Cfr. ibidem.
40
a.a. 2012-2013
re considerata come un ragionamento che permette di arrivare a
conclusioni partendo da enunciati che costituiscono premesse.
Nella discussione sull’argomentazione occupa un posto di rilievo la dogmatica giuridica, accezione ricca di interpretazioni
sebbene comunemente intesa come quella vasta disciplina che
concepisce la norma come un dogma vale a dire un a priori vero e
proprio. La dogmatica non è autoreferenziale, ma funzionale
all’applicazione del diritto, questo viene sottolineato da molti giuristi86 che hanno contribuito ad avviare una ricerca nel contesto
delle relazioni intercorrenti tra questa e la visione sociale. Assumendo che in società avanzate, le questioni giuridiche vengano
trattate nell’ambito di un sistema automatizzato e, in caso di conflitto, sottoposte a decisione, si prefigura un quadro di riferimento
nel quale è possibile chiedersi quale sia la funzione87 di una dogmatica giuridica per un sistema giuridico come quello concepito
da Luhmann nella complessa «teoria sistemico funzionale».
Quindi nella tecnica argomentativa sistemico-funzionale non trova
applicazione il sillogismo, ma tutto viene concentrato
dall’interprete negli exempla88 a partire dai quali la norma appare
come il prodotto finale di una serie di argomenti, un’adequatio
priva del momento interpretativo-qualitativo che comporterebbe
tempo e costi sociali. Dopo aver effettuato premesse relative
all’argomentazione in senso logico-funzionale e alla dogmatica
giuridica, si può avviare una discussione sull’interpretazione giuridica, con riferimento all’opera di Luhmann in cui si distingue tra
una procedura di formazione posta in essere dal legislatore, interprete delle aspettative cognitive e normative89, e una procedura di
interpretazione della testualità giuridica. Infatti, Luhmann defini86
Cfr. tra gli altri, C. STARK, Empirie in der Rechtsdogmatik, in Juristenzeitung, XXVII, 1972, pp. 609-614.
87
Per il concetto di “funzione” in Luhmann, B. ROMANO, Terzietà del diritto e
società complessa, Roma, 1998, p. 87 ss.
88
M. V. VECCHIO, Argomentazione giuridica e complessità del diritto in Luhmann, in Interpretazioni del funzionalismo giuridico, a cura di Luisa Avitabile, Napoli, 2010, p. 131.
89
Il diritto è un fenomeno sensibile che si distingue per questa ragione da tutti
gli altri fenomeni poiché incide sulle vite umane, sull’ansia di giustizia e legittimazione.
41
a.a. 2012-2013
sce il legislatore un «osservatore di primo grado» che attraverso
l’osservazione designa l’argomento per procedere all’elaborazione
della testualità legislativo-normativa e lo seleziona in quanto conforme90 all’intera costellazione dei sistemi sociali, disposti secondo un ordine funzionale per poi procedere alla formazione del testo.
Secondo Luhmann, emerge un senso, ovvero un significato, in
continua formazione, interpretabile in occasione dell’applicazione
al caso specifico che consta di due momenti: un’interpretazione
letterale, che implica la lettura e la comprensione del testo91 e la
sua razionalizzazione a posteriori che cerca di risalire alle premesse argomentative adottate dal legislatore o più esattamente alla
ratio che lo stesso ha impiegato per seguire una tesi piuttosto che
un’altra. Si può circoscrivere l’interpretazione in Luhmann ad una
procedura di astrazione del testo, attraverso la quale si rigetta
l’ermeneutica e al tempo stesso si preserva l’argomento, per cui la
ragione è la funzionalità dell’argomento. Per Luhmann, allora,
l’interpretazione
per
argomenti
consiste
nell’adeguare
l’argomento, cioè la ragione funzionale, alla procedura finalizzata
allo scopo dell’interprete, ovvero al caso concreto. Per cui
l’argomentare, vale a dire, procedere per argomenti, significa
semplificare funzionalmente, risalendo alle premesse del legislatore e adeguare l’intepretazione a priori alla procedura specifica, in
modo tale che questa sia valida e possa orientarsi in una determinata direzione facendo funzionare il sistema giuridico. Per Luhmann l’interpretazione è semplicemente la preparazione di
un’argomentazione dopo aver osservato i materiali che emergono92 all’interno del sistema di funzioni. Si può affermare, che
l’interpretazione è un comportamento posto in essere da un lettore
di un testo che acquista valore di comportamento sociale allorché
90
L’argomento è conforme nel senso che è finalizzato alla procedura di formazione del testo, cioè, ne prosegue lo stesso scopo. Cfr. L. AVITABILE, Lezioni di
Teoria dell’interpretazione e informatica giuridica, Università degli studi di
Cassino, a.a. 2009-2010.
91
La comprensione avviene in base alle proprie conoscenze. In questo senso, il
giurista non è mai profano dal momento che è chiamato ad intervenire nel settore di sua competenza.
92
N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 342.
42
a.a. 2012-2013
è esternata, cioè comunicata e trasformata in argomentazione.
L’argomento usato nell’interpretazione deve proporre una decisione conforme al sistema-diritto, secondo la struttura propria del
codice binario diritto/non diritto: ne consegue che l’argomento e
l’interpretazione sono relazionati alla decisione ed acquistano omogeneità e «unisemia» in funzione del mantenimento del sistema
al quale appartengono. La dogmatica, l’argomentazione e
l’interpretazione così qualificate sono meccanismi che a priori eliminano la polisemia e la plurivocità, quindi le discussioni sul
testo in base a principi classici del diritto quali l’equità e la giustizia allo scopo di pervenire lo stato confusionale e garantire uniformità. L’argomento e l’argomentazione non si sviluppano de toto ad ipsum ma de pare ad partem che non è il metodo della gerarchia ma della eterarchia dei sistemi, in modo tale che
l’argomento sia immediatamente comunicabile93.
L’argomento giuridico è il simbolo della validità del diritto ma,
allo stesso tempo, non consente di modificare il testo giuridico,
servendo solo al funzionamento del sistema. Questo funzionalismo implica l’abbandono dei principi generali, come le domande
di senso che, oltre ad impedirne il funzionamento94, causano la
perdita di «energia» nel procedimento. Esso deve essere convincente a seconda della fattispecie concreta in cui lo utilizziamo,
quindi si può dire che l’argomentazione è la combinazione di tre
operazioni
fondamentali:
operazione/osservazione,
autoosservazione/etero-osservazione, controverso/incontroverso. In
Luhmann non esiste una forma monolitica dell’interpretazione, altrimenti il sistema cadrebbe nell’unità del paradosso, essa è sempre a due versanti95, controverso-incontroverso di cui il secondo
deve necessariamente prevalere per far funzionare il sistema ed
evitare che ci siano questioni che possano metterlo in discussione.
Luhmann nella teorizzazione dell’argomentazione giuridica
prescinde dalle intenzioni del legislatore, infatti gli argomenti adeguati sono necessari esclusivamente per enunciare se quella
norma è in grado di far funzionare o meno il sistema e relegarla,
93
Cfr. ivi, p. 136.
Cfr. ibidem.
95
Cfr. ivi, p. 338.
94
43
a.a. 2012-2013
qualora non lo fosse , nel polo del codice binario del sistema giuridico non diritto. L’argomentazione giuridica ha la forma di un
argomento che non può essere distinto in buono o cattivo, convincente o meno convincente, ma solo come funzionale/non funzionale. Se l’argomento giuridico sia il simbolo della volontà del diritto e della validità dello stesso, esso non ha la capacità di modificare il diritto vigente, rimesso alle competenze del legislatore né
di dare validità a nuovi diritti o a nuove obbligazioni96.
Tra gli elementi dell’argomentazione giuridica sono da annoverare la validità del diritto e l’attività argomentativa che, utilizzati
per evitare che vengano creati da parte degli altri sistemi argomenti volti a modificare il diritto, si collegano tra di loro attraverso quelli che Luhmann definisce accoppiamenti strutturali attraverso i testi e a partire da essi. È proprio mediante i testi che il sistema giuridico guadagna la possibilità di coordinare le sue strutture, infatti, il linguaggio è utilizzato sia per comunicare
all’esterno, sia per auto coordinarsi al suo interno. I testi realizzano il collegamento tra queste strutture e formalizzano la comunicazione per renderla effettiva. I testi hanno un significato eccezionale per l’argomentazione giuridica perché rendono possibile
l’auto-osservazione semplificata del sistema. Nel senso letterale
dei testi si fonda l’argomentazione giuridica, infatti
l’interpretazione letterale è per Luhmann il massimo della semplificazione, definita anche razionalizzazione posteriore del testo,
poiché soltanto dopo averlo letto e compreso si può essere in grado di interpretarlo. L’argomento per Luhmann non deve convincere, ma l’argomentazione all’interno del ragionamento deve avere
una stretta attinenza logica con le parole del testo che, una volta
dato oggettivamente, non è più suscettibile di libera interpretazione, diventando uno strumento affinché tutti intendano la stessa cosa97. L’interpretazione non deve mandare in frantumi la funzione
costitutiva del testo, quanto proporre una decisione riguardo quel96
Cfr. ID., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, cit.
Luhmann ritiene che sia ingannevole la ripartizione dell’eredità
dell’interpretazione tra ermeneutica, dialettica, dialogica e retorica. Questa costituisce una distinzione classica da superare. Cfr. ID., La differenziazione del
diritto, Bologna, 1990.
97
44
a.a. 2012-2013
lo che è conforme o meno al diritto in base al codice binario conforme/non conforme98. L’interpretazione deve avere l’unisemia,
cioè l’uniformità, l’omogeneità delle interpretazioni attraverso argomenti che spingono verso un’interpretazione il più possibile
omogenea99.
12. Il diritto come garanzia del funzionamento delle società
(ANDREA D’ORAZIO)
Nella versione della teoria generale dei sistemi adottata da Luhmann, tutti i sistemi conservano una distanza dall’ambiente e dagli altri sistemi situati nell’ambiente. Ciò dipende dal fatto che
tanto la scelta dei criteri (strutture), che stabiliscono le relazioni e
i collegamenti tra gli elementi, quanto la produzione di questi ultimi, sono realizzati in modo autonomo dal sistema ed è per questo che si parla di sistemi che oltre ad essere auto-organizzati sono
anche autopoietici100.
All’interno dei sistemi sociali presi in esame dal sociologo, nei
quali l’operazione o elemento impiegato è la comunicazione, si
può osservare la genesi di ulteriori differenze sistema/ambiente, il
cui risultato è la differenziazione di diversi sottosistemi, ognuno
ambiente per l’altro101.
Nella società moderna (sistema sociale complessivo), il principio che regola l’articolazione interna della comunicazione è di tipo funzionale, si è per questo motivo affermata una differenziazione funzionale dei sottosistemi. Questo criterio ha una logica
precisa: si tratta della riorganizzazione dell’intero sistema sociale
in modo che ogni sottosistema sia primariamente orientato
98
Cfr. ID., Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 338 e ss.
Cfr. S. TREGLIA, La testualità: analisi di due sistemi giuridici, in Interpretazioni del funzionalismo giuridico, a cura di Luisa Avitabile, Napoli, 2010, p.
151.
100
N. LUHMANN, Sistemi sociali: Fondamenti di una teoria generale, cit., p. 65
ss.
101
Cfr. N. LUHMANN, R. DE GIORGI, Teoria della società, Milano 1992, cap. 4.
99
45
a.a. 2012-2013
all’assolvimento di una specifica funzione sociale per il sistema
complessivo della società102.
La differenziazione del diritto come sottosistema denota allora
il fatto che il diritto moderno è un insieme di processi decisionali
fondati su una pretesa di autonomia decisionale, originata dal tentativo di sostituire al condizionamento di determinati vincoli normativi (per esempio, di tipo religioso) procedure e principi di
nuova fattura, ai quali affidare in modo esclusivo la realizzazione
di una specifica funzione sociale103.
Il diritto moderno è moderno anche per un’altra proprietà correlata ad una caratteristica cruciale della società: la variabilità o
contingenza strutturale104. Riferita al fatto che, sotto la spinta di
alcuni sistemi trainanti l’evoluzione della società (in particolare,
l’economia), tutti i sottosistemi della società sono continuamente
in preda all’esigenza di individuare nuove strutture. Questa perenne ricerca comporta un’apertura al futuro, ossia l’assunzione della
provvisorietà delle strutture esistenti nel presente che funzionano
finché determinate decisioni non impongono di sostituirle con altre, per rispondere in modo più efficiente alla funzione a cui sono
destinate e in modo più congruente con la complessità richiesta
dallo sviluppo sociale105.
Di evoluzione di strutture è il caso di parlare solamente se sono
rilevabili tre momenti o meccanismi fondamentali: la variazione,
la selezione e la ristabilizzazione106.
La ristabilizzazione in particolare è un intervento che produce
un riassetto del sistema, consistente nell’integrazione della nuova
componente selezionata positivamente entro la struttura complessiva dello stesso. Questo meccanismo equivale, in altre parole, al
riordino o alla riorganizzazione delle strutture del sistema attraverso l’acquisizione di una nuova componente strutturale stimolata da una variazione, e riconosciuta da una selezione positiva. Se
102
Cfr. ivi, pp. 290-316.
Cfr. N. LUHMANN, La differenziazione del diritto: contributi alla sociologia
e alla teoria del diritto, Bologna, 1990, cap. 2.
104
Cfr. ID., Osservazioni sul moderno, Roma, 1995, cap. 3.
105
Cfr. ID., Struttura della società e semantica, Roma-Bari, 1983, cap. 4.
106
Cfr. N. LUHMANN, R. DE GIORGI, Teoria della società, cit., pp. 191-229.
103
46
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questo riassetto ha luogo, si è soliti parlare di un’acquisizione evolutiva107.
L’apertura al futuro, sul piano delle operazioni dei sottosistemi
funzionali della società moderna, comporta inevitabilmente
un’accentuata variabilità strutturale. Il prodotto di questo cambiamento strutturale, osservato come possibilità di guadagni di efficienza, configura la contingenza strutturale come un fatto positivo, ma questo è solo un lato della medaglia. Difatti la ristrutturazione dei sistemi è altresì correlata all’osservazione di effetti collaterali, che la società stessa imputa alle operazioni dei sottosistemi, il che comporta la percezione della contingenza strutturale
come una condizione negativa, tanto più marcata quanto maggiore
è l’entità e la frequenza di avvenimenti ritenuti dannosi. È tipica
della società contemporanea la tendenza a registrare un insieme
crescente di condizioni negative attribuibili a decisioni prese nella
società, piuttosto che a fattori naturali108. Il concetto di rischio
serve esattamente ad indicare questa selezione dell’imputazione:
più precisamente, una forma di osservazione realizzata nel sistema
di comunicazioni della società, il cui risultato è la connessione
causale tra un danno, una lesione o una perdita, da una parte, e
una comunicazione o azione elaborata nella società stessa da un
qualche attore sociale, dall’altra109. La conseguenza più importante dell’assunzione di questa prospettiva, che si potrebbe chiamare
prospettiva del rischio, è la problematizzazione più o meno radicale delle strutture decisionali che guidano i sottosistemi funzionali,
proprio nella misura in cui è ad esse che viene imputata la responsabilità di determinate conseguenze negative. Com’è facile immaginare, ciò diventa, a sua volta, una fonte aggiuntiva di variabilità
strutturale, tanto quanto alla problematizzazione delle strutture cui
sono imputati i danni segue un processo d’innovazione volto a
rendere le operazioni dei sistemi meno rischiose. Un esempio è il
fatto che, al fine di compensare certi tipi di danni connessi allo
sviluppo tecnico, alcuni ordinamenti giuridici sono ricorsi
107
Cfr. ibidem.
Cfr. U. BECK, La società del rischio: verso una seconda modernità, Roma,
2000.
109
Cfr. N. LUHMANN, Sociologia del rischio, Milano, 1996, cap. 1.
108
47
a.a. 2012-2013
all’imputazione della responsabilità e all’obbligo di risarcimento
anche in assenza di colpa (responsabilità oggettiva) in altre parole,
nonostante la conformità della propria condotta alle norme giuridiche. Il motivo giuridico-politico è dato naturalmente dal fatto
che, altrimenti, dati i rapporti moderni, si dovrebbero proibire
sempre più azioni, cioè le si dovrebbe rendere illegali, anche se
nel decorso tipico non ci sarebbe da attendersi nessun danno. Determinate norme vengono sì stabilizzate, ma a condizione che non
si verifichino particolari eventi, osservati come danni ingiusti.
Questi possono giustificare la sospensione di questa stabilizzazione. Pur rimanendo valide anche al tempo del danno, le norme entrano in una temporanea fase di «emergenza» che le «congela», al
fine di garantire certe richieste di compensazione.
La ragione fondamentale per la quale il diritto si sottopone in
questo modo alla prospettiva del rischio è l’esigenza di controllare
una crescente massa di tensioni sociali innescate, ad esempio, dai
rischi tecnologici (si pensi a quelli in campo industriale per gli effetti sull’ambiente e sulla salute). Nel contempo, gli accadimenti
dannosi difficilmente imputabili alla violazione di norme sono tali, nel presente, anche e soprattutto perché non erano prevedibili e
quindi codificabili nel passato. Allo stesso modo, altri eventi futuri non saranno imputabili alla violazione di norme, perché, daccapo, oggi non sono prevedibili.
L’opzione di vietare le attività dalle quali dipendono i danni resta impraticabile ma, proprio a causa di questa impraticabilità,
permane l’urgenza di controllare le tensioni sociali che dipendono
da questi effetti.
I movimenti sociali riescono senz’altro a far emergere nel sistema di comunicazione i rischi tematizzandoli come problemi dotati di costi sociali. Ma le proteste e le azioni dimostrative sono
perturbazioni che possono sempre degenerare in scontri o violenza
in altre parole, in condizioni che si ripercuotono negativamente
sulla riproduzione dei sistemi sociali. I meccanismi del sistema
giuridico sono tra le soluzioni più adottate dalla società per controllare queste tensioni. Infatti, i procedimenti giuridici operano
come canali adatti alla gestione dei conflitti. In una certa misura,
sono in grado di scongiurare il pericolo di disordine e violenza.
48
a.a. 2012-2013
Per conseguire questo risultato, il diritto deve sempre avere a disposizione degli appigli o degli attrattori del conflitto (che siano
diritti, nuovi diritti o principi speciali di imputazione della responsabilità) ognuno in grado di suscitare (e in una certa misura di
soddisfare) l’aspettativa di una tutela e di un risarcimento rispetto
ai rischi della società moderna.
In questo senso, come ha ipotizzato Luhmann, le prestazioni
del diritto, congiuntamente ad altri meccanismi di controllo delle
tensioni sociali, costituiscono una sorta di sistema immunitario
della società110.
Il diritto non serve ad evitare il conflitto; comporta anzi una
moltiplicazione dei possibili conflitti, ma cerca solo di evitare
l’attuarsi violento degli stessi, fornendo per ognuno forme di comunicazione appropriate.
Il diritto serve a continuare la comunicazione con altri mezzi.
Esso è appropriato alla società non soltanto se recepisce i conflitti
che si verificano, ma, più propriamente, solo quando riesce a produrre un numero sufficiente di conflitti, ed a mettere a disposizione una sufficiente complessità interna per il loro trattamento.
Con questo schema lecito/illecito tuttavia si deve tutelare, per
quanto possibile, l’autopoiesi del sistema di comunicazione rappresentato dalla società, difendendola dal maggior numero possibile di perturbazioni che tale sistema produce dal proprio interno.
Lo sforzo di controllare le tensioni sociali equivale al tentativo
di mantenere aperto il sistema giuridico alle nuove richieste di intervento provenienti dalla società o, detto in altri termini, di far sì
che la propria strutturazione sia il più possibile congruente con la
complessità dell’ambiente sociale, un’esigenza che nella teoria
dei sistemi è anche indicata come requisite variety111.
110
Cfr. ID., Sistemi sociali, cit., pp. 578-581.
Cfr. ID., La differenziazione del diritto: contributi alla sociologia e alla teoria del diritto, cit., cap.11.
111
49
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13. L’interpretazione funzionale come garanzia della terzietà?
Lo status del giurista: la terzietà (ELIA DI SANTO)
Ogni volta che si discorre di interpretazione del diritto non si può
non fare riferimento alla terzietà. La terzietà è un fenomeno specifico attraversato il più delle volte da numerose contraddizioni che
si avvertono soprattutto quando il soggetto terzo è chiamato ad incarnare l’ideale di giustizia, oggetto alla base del pensiero filosofico di grandi autori, come Cicerone, il quale, nelle sue riflessioni,
interrogandosi sulla ricerca del giusto, afferma che
l’interpretazione è un ulteriore tassello che serve per esercitare la
giustizia, vista dal medesimo come una virtù volontaria, che
l’uomo deve esercitare mediante la sua voluntas, nella ricerca del
giusto. I modelli di terzietà possono essere molteplici: in Luhmann, per esempio, viene teorizzata una figura di soggetto terzo
che allo stesso tempo è incluso ed escluso dal concetto di terzietà,
in quanto situato all’interno di programmi condizionali nonché
all’interno del cd. codice binario dei sistemi; in Habermas viene
teorizzato un modello di terzietà imparziale, ma non disinteressato; etc… In particolare, quest’ultimo pone l’attenzione su un preciso interesse che la terzietà è chiamata a tutelare, ossia la ragione
di stato o l’utilità sociale, entrambi appartenenti alla cultura critica
di Kojéve, il quale, invece, si fa teorizzatore di una terzietà tanto
disinteressata, quanto imparziale. In tal senso, la terzietà diviene
una vera e propria lotta per il riconoscimento, come il desiderio di
ogni essere umano di dare e ricevere amore, che rappresenta
l’origine dell’idea della giustizia,112 che è fonte produttiva di diritto. Il medesimo altresì mette in luce che «i contendenti non sono
ancora soggetti di diritto, fino a quando non si da un arbitro, cioè
un terzo che intervenga col solo scopo di far trionfare la giustizia»113, fine che solo tale soggetto è in grado di assicurare. Ciò,
però, può avere riscontro pratico solo quando tale visione del concetto di terzietà viene riscontrata all’interno di relazioni dialogiche, che, nel mondo dell’essere, intercorrono tra l’Io e il Tu. Ko112
113
A. KOJÉVE, Linee di una fenomenologia del diritto, Milano, 1989, p. 225 ss.
Ibidem, ivi p. 244-245
50
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jéve, nel quadro delle sue riflessioni, contraddistingue i rapporti
giuridici da quei rapporti che erroneamente vengono considerati
come tali, ma che in realtà non lo sono, non avendo i caratteri della terzietà e dell’immanenza, a differenza del diritto (rapporti morali, religiosi, economici etc.) e rileva come, a differenza del moralista e del religioso, il giurista, affinché nel sistema diritto sia
terzo ed imparziale, non è chiamato ad agire in una dimensione di
individualismo, esasperato dall’egocentrismo, ma non è neppure
chiamato ad agire in una dimensione di totale condiscendenza e
magnanimità. «L’imparzialità e il disinteresse del giurista…riguardano le parti: non deve essere né amico né nemico di
una di esse»114. Questo dovere di imparzialità del giurista, come
anche il suo disinteresse, che deve essere dimostrato nei confronti
dell’oggetto in causa, rappresentano qualifiche specifiche, che caratterizzano lo status di soggetto terzo e non vanno in alcun modo
riferite all’intervento della terzietà. La terzietà implica
l’equidistanza di colui che giudica dagli interessi in gioco. In virtù
del principio di ragionevolezza «L’equità scopre che le persone
non sono né uguali né ineguali, ma qualitativamente diverse»115,
solo in tal senso il giurista diviene artista dell’interpretazione giuridica, per usare un’espressione forgiata da Kant; l’arte marca
l’impegno al dialogo, logos, che permette alla parola di circolare e
di giungere ad un sapere adeguato, comprensivo dell’alterità, affinché il dialogo venga condotto in direzione della cosa pubblica.
Dunque, in tale prospettiva, il logos diviene uno strumento che
permette all’uomo di affrancarsi dalla sua premessa biologica, bios, dando un senso alle sue controversie (che sono sempre controversie di senso), viste come un rapporto di scambio non ricondotto
alla matrice dell’utile, come nell’economia, in cui c’è sempre un
do ut des, ma come un relazionarsi nel gratuito. Il diritto è universale ed incondizionato perché è nell’ottica del gratuito. Tuttavia il
giurista, il più delle volte, non risulta essere libero da condizionamenti biologici, anche se comunque resta libero di prendere (o
non prendere) una posizione di fronte a questi. Ogni decisione che
prende deve essere, però, ad ogni modo sorretta da un senso. Va
114
115
L. AVITABILE, Il Terzo-giudice tra gratuità e funzione, Torino, p.10 ss.
ibidem
51
a.a. 2012-2013
da sé che il giurista deve distanziarsi dalla corruzione della contingenza, perché solo così risulterà imparziale e terzo, capace di
agire secondo un ideale di giustizia. Attraverso la contingenza,
l’uomo diventa soggetto impersonale, schiavo di operazioni funzionali che lo usano e lo consumano, così come una macchina usa
e consuma le proprie energie. In questo caso l’Io diviene il Me,
ossia diviene un semplice componente funzionale della macchina
«legale» del nulla. Ciò vuol dire che «il me delle funzioni viene
assolutizzato dal sistema mercato, che usa il sistema diritto come
suo apparato strumentale, tendendo a trasformare il processo giuridico in un accadimento mercantile»116. Il giurista terzo crea il
senso di ciò che è, restando distanziato dal fluire delle funzioni.
Così facendo, egli riesce ad attribuire contenuto giusto alle norme.
Il giurista deve utilizzare le norme con una consapevolezza senza
confini. La terzietà del giurista ha come suo presupposto
l’imparzialità dello stesso: un giudice non può essere terzo se non
è altresì imparziale. Paradossalmente, però, egli può essere imparziale senza essere terzo. Nel processo svolto nel contraddittorio tra
le parti, il giudice è sempre terzo. «Terzo» significa equidistante
dal primo e dal secondo, quindi «diverso». Spostando il concetto
sul piano ordinamentale capiamo, dunque, che il giudice è terzo
quando è altro rispetto alle parti. Dunque solo la complessiva celebrazione del processo giuridico permette al giudice di assumere
una decisione, intesa come giudizio giuridico, comprensivo della
certezza del diritto e connotato dalle sue caratteristiche di imparzialità. Solo in questo modo viene soddisfatta quella che è la finalità del diritto: la terzietà.
116
B.ROMANO, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit.
52
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SEZIONE II: ERMENEUTICA E ARGOMENTAZIONE GIURIDICHE
53
a.a. 2012-2013
1. L’evoluzione del diritto attraverso l’ermeneutica e
l’argomentazione (SILVIA NECULAI)
Cosa sia il diritto è una domanda che ogni giurista tende a non
affrontare volentieri. Generalmente, risponde a tale quesito delegandone – appunto la risposta – ad un filosofo del diritto. Il problema però è reale, soprattutto oggi , ove il nostro ordinamento
rappresenta un movimento di grande trasformazione della società ,
come l’attuale.
Dalla nascita del fenomeno giuridico, i vari giuristi hanno attribuito ai vari ordinamenti giuridici alcune caratteristiche, quali in
primo luogo quella della coerenza e della completezza. Tali attributi, insieme al successivo interesse verso la razionalità del legislatore sono infatti fattispecie ancora richiamate dagli interpreti
del diritto, come caratteristiche necessarie della legislazione, sui
quali è possibile fondare tutta una serie di argomenti utili
all’interpretazione.
Non dobbiamo considerare il diritto come un punto di partenza
, ma il risultato del lavoro di un giurista-interprete. Tale soggetto,
per riuscire nel suo difficile compito, utilizza una smisurata gamma di strumenti che, per forza di cose, rappresentano quella separazione netta tra un diritto romano (ancorato a principi del tutto
superati) ed un diritto attuale, volto sempre di più al passo con i
tempi.
Questa è quella che suole dirsi «ermeneutica giuridica» – «istituto che si propone di esaltare gli argomenti , i quali vengono accreditati per ricavare dai testi normativi una descrizione ed un loro
significato, non determinano altro che la regola da applicare al caso concreto»117.
Ma la storia dell’ermeneutica ha origini più antiche; si afferma
per la prima volta negli ambienti della riforma protestante, in seguito, nel 1654 – il termine ricorre nel titolo dell’operadi J. K.
117
Definizione che può ricondurre al pensiero di Gadamer
54
a.a. 2012-2013
Dannahauser come «l’arte della retta interpretazione delle sacre
scritture»118. L’argomento, cosi laicizzato – viene visto come
l’arte universale di comprensione delle cose attraverso le parole .
Certo è che il fondatore della filosofia ermeneutica contemporanea, Friedrich Schleiermacher, si sia servito di categorie del passato per creare l’ermeneutica del futuro. In primo luogo,
Schleiermacher concepisce l’ermeneutica come un’attività che
non si applica più su singoli testi di difficile interpretazione, ma
diviene un processo diretto alla comprensione del testo nel suo
complesso. Questo discorso implica un mutamento formale e sostanziale: compito dell'ermeneutica non sarà più la pratica pedagogica della subtilitas explicandi, della capacità di spiegare il testo ad un pubblico privo degli strumenti necessari per intenderne
il significato; bisogna altresì fare ricorso alla subtilitas intelligendi, cioè alla capacità dell'ermeneuta di comprendere complessivamente il testo. La subtilitas intelligendi contiene in sé la subtilitas explicandi, dal momento che non si può intendere un testo partendo da una comprensione prelinguistica: se l'ermeneutica ha dei
limiti, questi limiti si identificano con quelli del linguaggio 119.
Il contributo dato da Hans Georg Gadamer all’ermeneutica
contemporanea è stato decisivo; le sue tesi essenziali sono state
fissate nel suo libro più importante Verità e metodo – stabilisce
una distinzione tra «sapere scientifico» e «sapere ermeneutico o
extra metodico» (basato sulla facoltà e sensibilità, il cui operare
non è del tutto ricostruibile , esattamente come il gusto, il tatto e
tutte le percezioni sensoriali personali ), in tal modo «basando la
sua opera sulla naturale indissolubilità tra parola e cosa, ove il linguaggio si offre all’esperienza analitica come modo corretto di
concepire e accogliere il dato ermeneutico»120.
La tesi conclusiva di Gadamer è che l’ermeneutica può costituirsi come una metodica universale, può dare il suo giudizio in
ambiti che eccedono la conoscenza storica, l’estetica, la storia e la
118
J. K. DANNAHAUSER, Hermeneutica sacra, sive methodus exponendum
sacrarum litterarum , 1654.
119
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Hermeneutik und Kritik, F. a. M., 1977, p. 129
120
R. DOTTORI, Ermeneutica come compito teorico e pratico, Milano 1995 p.
261 e ss.
55
a.a. 2012-2013
filosofia del diritto, raffigurando cosi la saggezza pratica – nel
senso teorizzato da Aristotele.
Nell’approccio alla tecnica dell’argomentazione invece , si deve mettere in risalto il ruolo del metodo, e non la capacità di invenzione di ciascuno. La tecnica dell’argomentazione individua il
giusto metodo di argomentare, che non garantisce una pura vittoria , ma evita gli errori 121.
Come ben sappiamo, è un dato certo che nessun discorso di diritto è corretto se non è adeguatamente argomentato122, tenendo
ben distinte però la scienza del diritto e l’ars dell’argomentazione,
creandosi così un nesso indissolubile e inopinabile. Il diritto, visto
pertanto come una scienza di fatti e valori, al pari delle così dette
scienze sociali, non può sussistere senza argomentazione: essa infatti non si limita alla componente data dai fatti, ma implica una
componente di valori123.
In questo contesto occorre precisare che il teorico
dell’argomentazione giuridica non è solo colui che analizza la
struttura, i contenuti e le funzioni degli argomenti utilizzati da
giudici e giuristi, ma soprattutto, «colui che a partire da uno studio
analitico e normativo del ragionamento pratico, elabora una concezione generale del diritto»124. E non c’è discorso sui valori senza argomentazione, dipendendo esso non solo e non tanto dalle caratteristiche dell’oggetto ma anche e soprattutto dai criteri di ragionevolezza del soggetto .
Ecco dunque – la tecnica dell’argomentare, vista come una
funzione tipica ed irrinunciabile di ogni giurista – è dominata dal121
Sull’argomentazione vd. in generale P. CANTÙ, I. TESTA, Teorie
dell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo, Milano, 2006.
122
G. M. AZZONI, La retorica fra scienza e professione legale. Questioni di
metodo , Milano, 2004, p. 123 ss.
123
W. DILTHEY, Introduzione alle scienze dello spirito, Firenze, 1974, e poi
dalla c.d. Scuola del Baden: W. WINDELBAND, Preludi. Saggi e discorsi
d’introduzione alla filosofia , Milano 1947, p. 105 (ma Windelband muterà opinione, e con lui i più, virando verso un’idea metafisica dei valori che li escluderà da ogni studio scientifico).
124
S. BERTEA, Certezza del diritto e argomentazione giuridica, Catanzaro,
2002, p. 81.
56
a.a. 2012-2013
la retorica e dalla necessità di persuadere il pubblico, in quanto la
tesi del giurista (quale avvocato, giudice oppure pubblico ministero) non sarebbe asseverata se gli argomenti che la sostengono non
soddisfacessero l’esigenza di «accertamento della realtà giuridica’’. D’altronde è inammissibile la formula secondo cui – se la
norma è chiara – non è necessaria ulteriore interpretazione ; stiamo parlando del brocardo latino in claris non fit interpretatio; la
chiarezza è un risultato dell’argomentazione e non una sua pretesa. Essa deve ricercare la ratio legis, in quanto la sua funzione è
quella di attuare i principi sanciti all’interno di un dato ordinamento giuridico – attraverso una valutazione del significato delle
espressioni usate.
Come detto in esordio, il sistema diritto è un sistema coerente e
completo, quindi una vera e propria scienza, non certamente perfetta (in quanto soggiace ad un’interpretazione che in ogni momento può rovesciare gli argomenti ), ma sicuramente idonea a
porre le basi per il rispetto dei principi che regolano l’intera collettività.
2. Il concetto di interpretazione tra tecnica e ermeneutica
(MARIA TERESA BORTONE)
Lo spirito della norma, definibile qui ratio legis, si può ricostruire attraverso l’interpretazione.
Diverso è l’effetto dell’interpretazione, a seconda di chi si rende autore.
La più importante sembrerebbe quella compiuta dal legislatore,
che perciò si dice autentica e che vale per tutti indistintamente,
con carattere vincolante di portata generale e necessaria. Tutti i
tipi di interpretazione scaturiscono fondamentalmente dal teorema
di un’ideale completezza del sistema giuridico vigente. Ne deriva
che la comprensione del diritto è possibile a partire
dall’interpretazione della norma, radicata nella soggettività, che è,
a un tempo, conoscitiva del diritto e formativa della norma. La
norma giuridica formata, cioè con un contenuto giuridico autenti-
57
a.a. 2012-2013
co, si alimenta nell’apertura al diritto, alla verità della relazione125.
Questa verità coincide con l’imparzialità e con la terzietà che giudica le azioni secondo la priorità dell’inclusione dell’altro (giusto), rispettato alla sua esclusione (non giusto).
Radicando il discorso in questioni più strettamente filosoficogiuridiche, si può ravvisare che, nella prospettiva di Pareyson,
l’uomo incontra la possibilità di decidersi responsabilmente e
dunque liberamente, di fronte all’alternativa del giusto e del non
giusto, essendo chiamato a formare nella relazione il contenuto
del diritto126. La verità rappresentata dal diritto si pone interna al
rapporto, quel rapporto in cui l’uomo coesiste. Il diritto si dà soltanto nella verità del rapporto, quindi tramite l’interpretazione giuridica, radicata nella formatività soggettiva, nel suo nesso con
l’imputabilità giuridica. Indagata nella sua genesi fenomenologica, l’imputabilità giuridica significa sempre inizialmente dover rispondere del proprio diritto d’essere nei confronti di un terzo, che
può essere giudice di tale diritto solo in quanto imparziale e disinteressato: «a partire dal terzo si pone il problema della giustizia
fondamentale, quello del diritto che inizialmente è sempre quello
dell’altro»127. L’aspettativa normativa più iniziale può dirsi che
consista nel pretendere dall’altro «il diritto a non subire violenza
alcuna»128. Il diritto trascende il rapporto ma si svela nel rapporto
tra gli uomini, nel medio dell’interpretazione formativa della norma giuridica concreta. La possibilità del diritto è vincolata alla
formatività umana, che opera nella libertà, mai separabile dalla
temporalità129 e della storicità dell’esistenza e, quindi, della norma
e della sua interpretazione130. Il diritto si pone quale a priori, an-
125
J. MUKAROSKY, Il significato dell’estetica. La funzione estetica in rapporto
alla realtà sociale,alle scienze,all’arte, Torino, 1937, p. 24.
126
G. RICONDA, Del bene e del male, Roma, 2001, p. 7.
127
E. LEVINAS, Alterità e trascendenza, Genova, 2006, p. 91.
128
F. SCHILLER, Sulla poesia ingenua e sentimentale, Del sublime, Sul patetico,
Sul sublime, Milano, 2001, p. 179.
129
B. ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, Milano, 1973, p. 113.
130
M. PAGANO, Storicità e novità dell’interpretazione, Storiografia ed ermeneutica, Padova, 1975, pp. 245 e ss.
58
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che in senso trascendentale131, della relazione intersoggettiva132,
nel medio della quale si dà la concretezza della norma giuridica. Il
terzo del diritto, centralmente il giudice, non si riferisce alla contingenza empirica dei fatti, esperiti nell’istantaneità del loro presentarsi come evento, ma rinviene la regola del rapporto, non in
una arbitrarietà esterna al rapporto stesso, bensì nell’attività
dell’interprete imparziale del caso concreto. L’esperienza del diritto è dunque un’esperienza personale, che riguarda tutti e ognuno, nella concreta singolarità dei rapporti istituiti133.
L’inventività propria dell’opera ermeneutica del terzo del diritto «consiste nel saper comprendere e interpretare il caso singolo e
rendervi efficacemente e benignamente operante la legge: guardando da un lato a una normatività in formulata o a una legge universalissima e dell’altro a un caso singolo determinatissimo, concreto e persino irripetibile»134. L’interminabilità dell’elemento
singolare e soggettivo dell’interpretazione, nel rinvio costante al
recepimento dell’istanza altrui, evita che la normatività giuridica
si riduca a «legge estrinseca, codice immobile, norma fissa e indifferente, incapace di tradursi in massima dell’agire concreto e in
regola individuale, incapace insomma di regolare la vita se non
con un’impostazione oppressiva e rigoristica e con un’osservanza
estorta e legalistica»135. Ciò non significa che la creatività inventiva della regola non debba riferirsi essenzialmente alla normatività,
altrimenti si avrebbe il puro arbitrio, abbandonato al flusso del divenire, indifferente al contenuto del diritto, perché indifferente alla singolarità degli uomini.
In ambito giuridico, ogni agire dell’uomo risulta privo di scopo
se non rinvia alla regola che lo guida, che solo estrinsecamente interessa o coincide con un fine funzionalmente indirizzato alla soddisfazione di un bisogno, come è proprio del fenomeno economi131
K. JASPERS, Psicologia delle visioni del mondo, Roma, 2000, pp. 38 e ss.
M. IVALDO, L’interpersonalità nella visione trascendentale: costituzione,
confronti, prospettive, in Soggetto e Persona. Ricerche sull’autenticità
dell’esperienza morale,, Roma, 1988, p. 47.
133
M. BUBER, Il principio dialogico e altri saggi, Milano, 1993, p. 59.
134
L. PAREYSON, Iniziativa e libertà, Milano, 2005, p. 230.
135
T. SERRA, Virtualità e realtà delle istituzioni. Ermeneutica, diritto e politica
in H.Arendt, Torino,1997, p. 49.
132
59
a.a. 2012-2013
co. Riconoscere la norma non significa necessariamente rispettarla, perché è proprio del suo appello della libertà consentire la possibilità della trasgressione. A questo consegue la validità del giudizio imparziale, che traduce nella regola, «cioè trovarne
l’applicazione caso per caso. L’espressione caso per caso ricorda
di solito qualcosa di empirico e di arbitrario: non così in questo
caso, in cui si tratta di incarnare la legge nella situazione senza
dissolverla, mantenendola in tutto il suo vigore imperativo di legge senza opprimerla nella sua singolarità, ma trasformandola nel
suo valore»136. Dunque, nell’opera dell’interprete delle norme vigenti, interviene un’inventività che non cede all’arbitrio se incarna
la giuridicità cui fa riferimento, sottraendo con ciò il rapporto al
flusso indifferente della vita, in senso meramente biologico. Nel
darsi concreto del rapporto, l’operare del diritto è tale da presentarsi come risposta di giustizia, regola imparziale che non conferma mai la norma al rapporto stesso, coincidendo con le ragioni
dell’una o dell’altra tra le parti. Pertanto l’interprete del diritto,
«se non crea la legge, tuttavia non si limita soltanto a scoprirla,
ma la configura in modo da agevolarne l’esecuzione senza attenuarne per nulla l’obbligatorietà e la normatività, perduto il carattere d’una legalità esterna e superiore, opera concretamente nella
vita umana risolvendole i casi singoli»137. Si chiarifica che
l’esecuzione della norma non può certo intendersi come mero accedere al dettato della regola da tradurre nella realtà come se fosse
possibile superare la possibilità dell’interpretazione personale138,
ma di nuovo come appello alla creatività formativa del singolo
che, in modo irripetibile, darà vita a quella regola, nella libertà del
suo riconoscimento quale fonte di giustizia. Il diritto si presenta
come garanzia della realizzazione dell’opera condivisa.
Il contenuto della regola giuridica è tale da garantire esclusivamente l’inesauribilità della libertà di tutti e di ciascuno, che attraverso l’opera formativa dell’azione, incontra il limite non superabile del riconoscimento delle libertà dell’altro139.
136
L. PAREYSON, cit. p. 231.
Ibidem.
138 L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano, 2005, p. 54.
139
ID., Esistenza e persona, Genova, 2002, p. 177.
137
60
a.a. 2012-2013
3. L’ermeneutica contemporanea (STEFANIA TARALLO)
Comunemente, scopo di ogni argomentazione è quello di provocare o accrescere l’adesione delle idee che vengono presentate
al loro consenso: un’argomentazione è efficace se riesce ad accrescere questa intensità di adesione in modo da determinare presso
gli uditori l’azione voluta (azione positiva o astensione) o per lo
meno a creare presso di loro una disposizione all’azione che si
manifesterà al momento opportuno140. L’ermeneutica è la metodologia dell’interpretazione141: la parola deriva dal greco, con un riferimento ad Hermes, messaggero degli dei; per tale motivo viene
giustificata la definizione che il nostro lessico le ha attribuito, ovvero comprensione, spiegazione e chiarimento del testo normativo. Possiamo considerare l’ermeneutica come la fonte più importante di tutto il processo interpretativo e, sulla base di tale considerazione, interpretazione, ermeneutica e argomentazione, anche
se di per sé non hanno una ragione, devono essere collegate tra di
loro142. Facendo un riferimento all’attuale ermeneutica, è possibile rilevare che si tende a non comprendere, ma ad eseguire in conseguenza degli impulsi; così ci si domanda se sia stata archiviata a
favore di una tecnica, come ad esempio quella legislativa. Per tornare alla visione originaria, l’ermeneutica deve sottrarsi
all’adeguamento del mondo attuale, alla forza dei poteri, perché è
solo in questo modo che si può tornare alla più totale comprensione, trovandoci attualmente in una apparente comprensione. Gadamer e Schleiermacher possono essere considerati i fondatori
dell’ermeneutica contemporanea, anche se le loro visioni possono
essere delineate, in base ai loro tratti, lontane l’una dall’altra.
Mentre per Schleiermacher l’ermeneutica permette di comprendere il testo dell’autore tornando in un tempo in cui era possibile ri140
C. PERELMAN, Trattato dell’argomentazione: la nuova retorica, Torino,
1989, p. 49.
141
H. GADAMER, Verità e metodo, Milano, 1960.
142
Lezioni Teoria dell’interpretazione a.a. 2012/2013: «l’interpretazione è
un’attività spirituale che serve a rendere chiaro un testo».
61
a.a. 2012-2013
vivere le promesse storiche in relazione al testo esaminato, per
Gadamer tale operazione è quasi paragonata all’inverosimile. Ritiene impossibile un ritorno al passato rivivendo in modo oggettivo, in quanto l’esistenza presente e contingente dell’uomo, come
aveva scritto Heidegger, è il luogo in cui si forma necessariamente
una pre-comprensione della realtà che va a contaminare di conseguenza anche la realtà, rendendo la visione del passato qualcosa di
diverso dal passato stesso. Si dà via così ad un circolo ermeneutico: la comprensione di un testo storico è condizionata da una precomprensione del presente, la quale è a sua volta frutto di un processo che la determina storicamente. Questo entrare nel movimento storico della comprensione è chiamato da Gadamer «fusione di
orizzonti»: nel processo che porta entro il circolo ermeneutico si
vanno a fondere due orizzonti, quello dello studioso che si forma
nella pre-comprensione del presente, e quella del testo da comprendere, il quale porta con sé l’insieme di tutte le comprensioni e
di tutte le tradizioni che ha vissuto. L’ermeneutica contemporanea
di Gadamer non solo comprende il testo, ma lo arricchisce di quelle problematiche che non vennero prese in considerazione, e che
invece vengono portate alla luce dal continuo lavoro degli interpreti che aggiungono domande e risposte ai diversi significati che
vengono attribuiti al testo in relazione al presente143. Avvalorando
l’idea di Heidegger, che la verità è un evento, Gadamer afferma
che l’uomo, in una esperienza storica filosofica e artistica, non
può restare distaccato in quanto è egli stesso parte dell’evento relativo alla verità, e per essere se stesso, deve prendere una posizione nei confronti dell’accadere. L’esperienza è vista come una
nuova apertura ad altre esperienze e contemporaneamente ne favorisce sempre nuove, portando così oggetti e soggetti storici ad
essere modificati e decisi da una traduzione. L’ermeneutica opera
quindi nella continua mediazione tra storia e verità, ma questa dialettica, a differenza di quella hegeliana, non giunge mai al compimento assoluto e si risolve in un’analisi continua. La comprensione avviene cosi solo tramite «un’applicazione», ed è costituita
essenzialmente dal legame con la prassi, concretezza e singola si143
http://www.padrebergamaschi.com/Filosofia/gadamer.html
62
a.a. 2012-2013
tuazione144. Da una comprensione del testo normativo può venir
fuori un nuovo testo, una creazione intellettuale145, che possono
manifestarsi tramite le opere dell’ingegno e delle invenzioni industriali. Presupposto delle creazioni intellettuali è che l’idea diventa
identità protetta, prevedendo una situazione di dominio da parte
dell’autore.
Nella prospettiva del diritto positivo, il riferimento va alla legge 22 aprile 1941, la quale riconosce la protezione, con il diritto
d’autore, delle opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il
modo o la forma di espressione146.
Nel diritto d’autore sono compresi anche un diritto morale e un
diritto patrimoniale. Il primo è posto a tutela della personalità
dell’autore ed è indisponibile, irrinunciabile e imprescrittibile; a
sua volta contiene il diritto di paternità e integrità dell’opera, il diritto dell’inedito e il diritto del pentimento. Trattasi di diritto assoluto, non è sottoposto a condizione o rinuncia, non è espropriabile
e può essere provato senza limite di tempo. Il secondo consiste nel
diritto di opporsi a qualunque deformazione o mutilazione della
stessa che possa arrecare un pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’autore. Anche tale diritto è inalienabile, tuttavia, non
può essere ritenuto un diritto assoluto, poiché esso è limitato ai soli casi in cui sussista pregiudizio per l’onore o la reputazione
dell’autore. Tale diritto è esclusivo, in quanto spetta solo
all’autore e ai suoi aventi causa, e a differenza del diritto morale
d’autore, quello patrimoniale costituisce un diritto soggettivo disponibile; in via generale inoltre sono liberamente trasferibili con
atto in forma scritta.
144
http://www.parodos.it/filosofia/hans_georg_gadamer.
Lezioni Teoria dell’interpretazione, a.a. 2012/2013.
146
In virtù di quanto previsto dall’art. 2575 c.c. «Formano oggetto del diritto
d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle
scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al
teatro, e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma
d’espressione».
145
63
a.a. 2012-2013
4.
Storicità
dell’interpretazione
e
dell’argomentazione nel diritto (ALESSIA MELEO)
cronologia
L’interprete della legge compie la sua attività attingendo a
«due biblioteche diverse, l’una dedicata a ciò che le leggi prescrivono in un certo luogo e in un certo tempo (quid iuris), e l’altra al
giusto del diritto (quid ius)»147. L’attività cui si fa riferimento rappresenta il laborioso, ma allo stesso tempo nobile, lavoro
dell’interprete, il quale trovandosi difronte il testo giuridico, la
norma, muove da essa superandola, andando cioè oltre il suo contenuto estrinseco, il dato letterale, che è contingente e fattuale, e
tendendo verso la giustizia, sinonimo di verità.
Per fare ciò l’interprete deve avvalersi di un’interpretazione
che non tenda solo ad argomentare, ma che dal nulla porti ad esistenza l’essere, «che costituisce l’a-priori dell’interpretazione,
mantenendosi nel riferimento costante alla libertà formativa»148.
Nell’argomentazione infatti, la parola si limita ad operare una
semplice ricostruzione, una sorta di relazione (dal latino relatio,
riferire); colui che argomenta, sottraendosi all’universalità intrinseca dell’ermeneutica, rinuncia alla comprensione del senso supremo racchiuso nella testualità giuridica e trasmigra fatti e atti
con puntualità cronologica, sconfinando però in un campo asettico, dove le formule del diritto sono permeate da un tecnicismo
sterile. Un diritto concepito in tal modo, ossia scevro della ricerca
di senso che è in primis ricerca del giusto149, è un diritto che contempla un’effimera legalità, la quale non muove da solide basi e
pertanto non è destinato alla durata nel tempo, ma è rebus sic
stantibus; al contrario, il diritto non deve essere servile
all’urgenza, né essere dettato dalla contingenza, ciò altrimenti
prospettabile con un’interpretazione che sia sinonimo di argomentazione tecnica e funzionale come quella luhmanniana150.
147
A. AMATO MANGIAMELI, Arte e/o tecnica. Sfide giuridiche, Padova, 2012, p.
14.
148
G. BARTOLI, Filosofia del diritto come ontologia della libertà: formatività
giuridica e personalità della relazione a partire dall’opera di Luigi Pareyson,
Roma, 2008, p. 156.
149
Lezioni di Teoria dell’interpretazione a. a. 2012/2013.
150
N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., pp. 313 e ss.
64
a.a. 2012-2013
Da tutto ciò si evince come l’interpretazione, o meglio
l’ermeneutica, intesa come «arte di comprendere un discorso giustamente»151, e l’argomentazione costituiscono un binomio inscindibile per il perseguimento della verità e insieme fanno parlare
il «già detto» e il «non detto» in un processo di approfondimento
dell’intenzione del legislatore che impone all’interprete di «indagare» la parola.
Pareyson152 concepisce l’interpretazione non come una mera
decifrazione di simboli, ma come l’unica possibilità dell’uomo di
raggiungere la verità e ne compendia magistralmente l’essenza assurgendo che essa è contemporaneamente espressiva e rivelativa.
Quest’ultima affermazione scaturisce dalla distinzione che egli
opera tra due tipi di pensiero, uno espressivo, l’altro rivelativo: il
primo, tipico dell’ideologia, è un pensiero che esprime il proprio
tempo, anzi è perfettamente calato in esso, determinando una sorta
di chiusura la quale nega l’universalità e quindi la verità; al contrario il pensiero rivelativo, tipico della filosofia, pur all’interno di
una prospettiva storica e personale, fa di questa prospettiva il luogo della rivelazione della verità, infatti mentre esprime il proprio
tempo diventa anche capace di dire la verità universale. Il pensiero
rivelativo ha in Pareyson, il carattere dell’interpretazione che «è
sempre caratterizzata dall’inseparabilità di espressione e rivelazione, cioè per un verso dalla personalità del suo soggetto, che si
esprime nell’atto di far di se stesso l’organo della rivelazione, e
per l’altro dall’inesauribilità del suo oggetto»153 e l’aspetto storico
non costituisce un limite ma «l’interpretazione è quella forma di
conoscenza ch’è rivelativa e ontologica in quanto storica e personale»154.
«Un’interpretazione solo espressiva infatti, somatizza i sintomi
dell’argomentazione tecnica, la quale domina formule vuote e
schematismi relegati al tempo che esprime. Chi interpreta solo
mediante l’argomentazione si attiene ad una sequenza cronologica
di fatti, i quali non conducono alla terzietà e non conferiscono cer151
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, Milano, 2000, p. 338.
L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano, 1971, pp. 16 e ss.
153
Ivi, p. 102.
154
Ivi, p. 54.
152
65
a.a. 2012-2013
tezza al diritto. Quest’ultimo inteso come ricerca del giusto nel legale, necessita di un’interpretazione giuridica che vada oltre i confini della realtà immanente e sconfini il dato cronologico poiché
ciò che è solo storico è un’espressione temporale, per questo caduca e transitoria e, come tale, non può dar luogo ad un’autentica
interpretazione»155.
Solo in questa direzione l’interpretazione giuridica nutre il diritto di verità e terzietà, allontanandosi dal pericolo di un annichilimento giuridico, pericolo che potrebbe fugacemente insidiarsi
laddove la contingenza, l’urgenza e l’utile siano misura del diritto.
In definitiva dunque, l’interprete deve appellarsi al proprio compito di «artista della ragione» e non di mero tecnico delle norme156,
e ha il dovere di ricercare il giusto nel legale, sacrificando nel
concetto di arte l’utile, concentrando in questo modo tutti gli sforzi verso la terzietà del diritto, garanzia di certezza e alterità.
5. L’ermeneutica come elemento essenziale del comprendere
(LAURA CICCONE)
L’ermeneutica, per lungo tempo è stata ricondotta ad una tradizione che poneva al centro dell’interpretazione i testi sacri. Questa
concezione mutò con la teoria ermeneutica di Schleiermacher che
la definì «arte del comprendere»157 elaborando l’idea di un orizzonte comune tra l’interprete e il testo, strettamente vincolati nel
circolo ermeneutico. In questa visione l’ermeneutica assume un
significato più ampio, viene configurata come una scienza, che
permette l’interpretazione del testo e la comprensione dell’altro. Il
più importante contributo per l’attuale significato e struttura
dell’ermeneutica proviene – come non si è mancato di ricordare –
da Gadamer, che analizza il concetto al fine di introdurlo
all’interno di una dimensione strettamente legata all’esistenza u-
155
G. MODICA, Per una antologia della libertà. Saggio sulla prospettiva filosofica di Luigi Pareyson, Roma, 1980, p. 96.
156
Lezioni, a. a. 2012/2013.
157
F.D.E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, Milano, 2000.
66
a.a. 2012-2013
mana, non condividendo la visione dell’ermeneutica come semplice insieme di regole.
Gadamer, contrariamente ai suoi predecessori, pone al centro
della sua riflessione il logos, che è quindi rivalutato e considerato
come fulcro vero e proprio dell’esperienza ermeneutica. Distanziandosi dalle teorie che consideravano il linguaggio come insieme di segni, l’autore arriva a delinearlo come capacità di rintracciare la parola giusta, come allusione. Dalla teoria di Schleiermacher, Gadamer, riprende l’idea del circolo ermeneutico per individuare il rapporto che intercorre tra interprete e precomprensioni: nell’interpretazione non si assiste ad una chiusura
nel circolo, ma ad una apertura del soggetto al testo e al suo significato, che consente di mettere in discussione le proprie convinzioni ed i propri pre-giudizi. Tra l’interpretante ed il testo vi è un
abisso temporale che viene colmato dalla tradizione, realizzando
una fusione degli orizzonti che consente di comprendere la verità
del testo e non solo le intenzioni del legislatore. È per questa motivazione che nel corso del tempo possono aprirsi, in relazione a
diversi interpreti, diverse interpretazioni di senso. La ricerca gadameriana si risolve in una storicità che domina l’interpretazione e
la coscienza sociale prevale sulla lettera della norma. Habermas,
maggiore critico dell’ideologia di Gadamer, rileva che così come
il linguaggio non si risolve in se stesso, allo stesso modo la tradizione, che viene riconosciuta da Gadamer come autorità, deve necessariamente superarsi nella continua ricerca interpretativa e non
rimanere ferma su se stessa. Nell’opera Verità e metodo risulta
chiaro il tentativo di dare all’ermeneutica una dimensione filosofica ed universale, individuando il suo elemento principale nel rapporto dialogico, che permette la comprensione del testo. Tale tecnica interpretativa ricerca ciò che la norma non dice, andando oltre il testo stesso attraverso un continuo rinvio di senso. Non si
può non considerare che nel momento interpretativo ogni soggetto
porta con sé un proprio bagaglio di pre-giudizi e precomprensioni. Per sostenere la sua tesi, Gadamer parte dall’analisi
dell’opera d’arte che i suoi contemporanei consideravano scissa
dalla realtà e dalla ricerca del vero e del falso. L’arte viene quindi
inserita nell’universalità, diviene un’esperienza estetica complessa
67
a.a. 2012-2013
che non si limita all’osservazione, ma contiene la conoscenza
stessa. L’osservatore diventa parte della conoscenza nel rapporto
stesso con l’opera d’arte.
Gadamer non condivide l’idea che l’arte sia pura bellezza, ma
piuttosto la definisce come un’esperienza nel e del mondo che non
solo permette una ampia comprensione dell’autore, ma consente
all’autore di comprendere se stesso e la realtà che lo circonda. Per
comprenderne la reale struttura ricorre all’analogia con il gioco.
Quest’ultimo è dotato di una propria essenza indipendente dai
giocatori. Ogni giocatore è un essere-giocato dal gioco stesso.
L’arte è strutturata come il gioco, non è semplice fruizione, né un
semplice oggetto, ma è di più, è un evento. La verità, come l’arte,
non deve essere una conquista metodica, oggettiva, ma extra metodica che discende dall’autopresentazione della cosa al soggetto
interpretante158.
In questa visone, l’uomo diviene un tramite poiché la cosa stessa (linguaggio, verità, arte) agisce sul soggetto. La mente di chi
interpreta, nel circolo ermeneutico è già formata, ha già in sé le
linee guida che permettono di arrivare alla comprensione del reale
significato della norma. Queste ultime considerazioni non devono
far pensare che l’interprete e il giurista intendono asservire
l’interpretazione a proprie utilità. «L’aspirazione privata del legislatore, del giudice, della dottrina o dei privati non deve essere lusingata dal potere interpretativo: la libertà di interpretazione non
può essere sostituita dal potere dell’interpretazione»159.
All’ermeneutica come tecnica interpretativa principale si contrappone la teoria sistemico-funzionale160 di Luhmann, che ritiene
la ricerca ermeneutica come inappropriata per lo studio di un tessuto sociale dominato dalla contingenza e dalla complessità. Utilizza, infatti, per giungere all’interpretazione del testo normativo,
l’argomentazione. Gli argomenti sono tratti dall’osservazione dei
sistemi sociali, dove si assiste ad un fluire di informazioni attraverso un’apertura informativa e una chiusura operativa.
158
H.G. GADAMER, Verità e metodo, Milano, 2000.
L.AVITABILE (a cura di),
L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, in Argumenta iuris, Napoli, 2012.
160
N. LUHMANN, Sistemi sociali, Bologna, 2001.
159
68
a.a. 2012-2013
L’analisi delle informazioni porta alla loro sistemazione attraverso il codice binario (diritto/non diritto), consentendo così la
semplificazione della complessità. Alcuni autori hanno ritenuto
che Luhmann nel tentativo di semplificare la realtà sia arrivato al
punto di renderla ancora più complessa attraverso la previsione di
una struttura di sotto-sistemi estremamente elaborata. Luhmann
fonda il sistema sulla sua stessa funzione, andando così a spostare
l’attenzione dall’uomo all’azione. Nei sistemi vengono superate
le interazioni discorsive e comunicative, poiché viene posta in
primo piano l’esigenza di efficienza del sistema stesso.
In questo quadro, nell’affrontare la teoria sistemica di Luhman,
Habermas critica il concetto e l’idea di verità, che non può essere
analizzata solo considerando l’insieme dei processi funzionali del
sistema, ma deve essere considerata alla luce delle condizioni che
consentono una comunicazione libera. Il punto centrale della teoria di Habermas è infatti, l’agire comunicativo, l’interazione tra i
soggetti stessi, che periferici nella teoria luhmaniana, vengono riconfermati come unità fondante dell’intera comunità e del suo agire.
Tutto ciò che è nel sistema sociale è comunicazione, che si realizza attraverso lo scambio continuo di informazioni, anche tra i
sistemi stessi.
Così come strutturata, l’argomentazione si scontra, all’interno
dei sistemi, con il surplus di informazioni, con la ridondanza che
non deve essere intesa come plus di senso, ma come varietà.
Quest’ultima consente al sistema di continuare ad operare e ad attuare una comunicazione inter-sistemica.
Da sola, però, l’argomentazione non basta ad interpretare il testo, così come l’ermeneutica da sola non può dare giuridicità, i
due concetti devono essere necessariamente integrati.
«L’interpretazione del diritto è un’arte perché crea un significato
(…) crea un senso empatico del testo da destinare a perfetti sconosciuti»161. Legislatore ed interprete hanno il compito di creare ed
interpretare le norme avendo sempre presente il principio
dell’uguaglianza nella differenza. L’interpretazione diviene ermeneutica quando riesce a garantire la certezza del diritto, è essen161
L. AVITABILE (a cura di), Perché la filosofia del diritto oggi,cit., pp. 53-54.
69
a.a. 2012-2013
zialmente un volgersi all’altro, un comprendere attraverso un continuo rinvio di senso della parola. Si deve considerare, quindi, che
«il diritto è strutturato come il linguaggio»162, è incentrato sul vinculum parola-diritto, ovvero logos-nomos, che consente la creazione di una struttura comunicativa complessa, non riducibile o
riconducibile a pura scienza e metodo. L’impossibilità di rendere
oggettiva tale ricerca è comprensibile se non si omette di considerare la centralità dell’uomo all’interno dell’interpretazione163.
6. Schleiermacher e Ricoeur: due ermeneutiche a confronto
(MARILISA ONORATI)
«Il fine dell’ermeneutica è la comprensione nel senso supremo», secondo questa affermazione il compito ermeneutico consiste prioritariamente nel tentativo continuo di comprendere i pensieri secondo una connessione di tipo meditativo della qualità delle relazioni interpersonali, ma non adeguativo.
Per Schleiermacher la parola è oggetto ermeneutico. Non assurge mai ad una semplice ricostruzione, ma attivando la comprensione si dirige verso la lingua e verso i pensieri e la lingua è
un continuo «rinvio di senso».
L’ermeneutica va intesa come arte della comprensione e avvio
all’interpretazione, poiché interpretare vuol dire comprendere ed
appartiene come un quid specifico a teologi e giuristi. Ogni interpretazione, per essere imparziale e disinteressata, non può cedere
alla personalizzazione del suo autore. La prospettiva fenomenologica è orientata nel tentativo di superamento tra soggettointerprete e oggetto-interpretato.
162
B. ROMANO, Il diritto strutturato come il discorso, Roma, 1994, p. 27.
La centralità dell’uomo nel diritto ha influito anche sullo sviluppo nella giurisprudenza delle possibili applicazioni informatiche. Negli anni ’60 alcuni studiosi analizzarono la possibilità di utilizzare un elaboratore elettronico per poter
emettere sentenze. Tale idea fu però subito posta in dubbio da autori come Putnam, i quali ritennero che le macchine pur simulando e riproducendo processi
intellettuali umani, non possiedono quel grado di soggettività necessario per
poter giudicare e poter emettere una libera valutazione.
163
70
a.a. 2012-2013
Cos’è l’interpretazione e cosa vuol dire interpretare?
L’interpretazione è una lettura e interpretare non è altro che comprendere. La comprensione è interpretazione. «L’interpretazione
si fonda nella comprensione, non è questa a derivare da quella».
La comprensione accompagna l’uomo nel suo rapporto con
l’altro «l’interpretazione è il processo umano più significativo per
apprendere discorsivamente».
Due sono le letture che possono essere date all’interpretazione:
1) interpretazione tecnica delle norme
2) interpretazione ermeneutica
L’interpretazione tecnica è fatta alla luce della Costituzione e
delle leggi fondamentali di un determinato Paese, mentre
l’interpretazione ermeneutica è la più importante poiché consiste
nella
comprensione
e
nella
comunicazione
(ermeneuo=comprendere).
Quando l’interprete comprende la terzietà del diritto, dunque la
certezza, si ha l’interpretazione ermeneutica. Se l’ermeneutica è
attività di comprensione, per comprendere è necessario entrare in
empatia, dunque interpretare.
L’attività empatica è l’attività costitutiva della relazione, ma
comprendere non vuol dire acconsentire. L’impegno del legislatore è entrare in empatia con tutti quanti. Schleiermacher in un volume sull’interpretazione definisce l’ermeneutica «l’arte di intendere giustamente il discorso fatto da un altro».
Per Ricoeur l’ermeneutica ha il compito di pacificare il conflitto tra metodi interpretativi diversi.
Ricoeur si oppone al programma interpretativo di Schleiermacher nella misura in cui tale autore assume una concezione della
comprensione come trasposizione dell’individuo che si esprime
attraverso il testo.
Per Ricoeur il senso del testo deve restare autonomo rispetto
all’intenzione soggettiva del suo autore. Il problema essenziale
dell’interpretazione non è ritrovare dietro al testo un’intenzione
perduta, ma dispiegare il senso del testo davanti a se stesso.
Compito dell’ermeneutica è discernere la «cosa» del testo e
non la psicologia del suo autore.
71
a.a. 2012-2013
Il lavoro interpretativo permette il passaggio dalla struttura al
mondo del testo. L’ermeneutica ricoeuriana è una ricerca che si
indirizza al mondo. Ricoeur parla di una fenomenologia ermeneutica. Tenta anche di compiere «l’innesto dell’ermeneutica sulla filosofia» e contrappone due immagini: la «via corta»
dell’ontologia della comprensione di Heidegger e la «via lunga»
dell’interpretazione, cioè un itinerario più tortuoso della filosofia
ermeneutica che passa attraverso le scienze umane, nei diversi livelli (semantico, riflessivo ed esistenziale) per giungere
all’ontologia della comprensione.
Per Ricoeur c’è complementarietà tra spiegare e comprendere.
Spiegare di più aiuta a comprendere meglio. La spiegazione e la
comprensione si articolano nel processo interpretativo dei testi.
Sul piano epistemologico non ci sono due metodi, uno esplicativo
e l’altro comprensivo. Spiegazione e comprensione sono per Ricoeur due stadi diversi di un unico arco ermeneutico.
7. L’ermeneutica, chiave di lettura necessaria
l’attualizzazione del diritto (MARTINA CRESCE)
per
Dalle riflessioni fatte sino a qui, il diritto costituisce essenzialmente un concetto astratto, riferendosi però ad oggetti noti di tutela, proprio per questo si ha bisogno dell’ermeneutica per poter
concretizzare e attualizzare quel contenuto astratto della norma alla quotidianità, alla fattualità. Con il termine ermeneutica si vuole
far riferimento all’arte della comprensione, e come afferma
Schleiermacher «l’ermeneutica è l’arte di intendere giustamente
un discorso di un altro sottolineando l’intenzione di chi ascolta e
l’impegno del parlante»164 andando così a qualificare il giurista
come‘artista della ragione’ e far pervenire ogni uomo a una conoscenza più matura e a un sapere più adeguato mediante la conduzione di un dialogo165.
L’ermeneutica può essere intesa come una proiezione universale, in quanto il giurista in qualità di artista non è impegnato a ren164
165
A. PLACHY, La teoria dell’interpretazione, Milano,1974, p. 41.
F.D.E. SCHLEIERMACHER, Dialettica, Torino, 2004, p. 83.
72
a.a. 2012-2013
dersi utilmente servile di fronte ai poteri dominanti, ma il suo
compito preciso è quello di guardare alla terzietà, e quindi alla legalità andando a porre in secondo piano l’utile, in questo modo la
comprensione del discorso non risulta un semplice dato di fatto
ma sottolinea la reale ricerca del ‘senso’, in quanto è proprio il
‘senso’ ad essere l’oggetto dell’attività interpretativa e non di certo il ‘significato’ che viene direttamente palesato già dalla parola
stessa.
Elemento essenziale dell’interpretazione è il linguaggio, che
secondo Ricoeur, può essere inteso in relazione a due varianti il
linguaggio chiuso o segnico vale a dire che il senso dell’enunciato
si esaurisce nella sua significazione che costituisce il problema
semantico di referenza tra il detto e ciò che questo significa, per
colui che parla e per colui che ascolta, e il linguaggio aperto o
simbolico che si riferisce proprio alla questione ermeneutica e
quindi alla metaforicità del dire ed alla dimensione narrativa della
relazione linguistica166.
Quindi nell’ermeneutica si fa riferimento al linguaggio ‘vivo’
in quanto apre alla relazionalità del discorso cosa che non si verifica, invece, nel linguaggio‘morto’in quanto meramente informativo; da ciò possiamo quindi desumere che oggetto essenziale
dell’attività interpretativa è il linguaggio aperto, vivo, che viene
esplicato mediante la pronuncia di parole le quali possono presentare ambiguità di significato in quanto non assurgono mai ad una
chiara ricostruzione ma presentano diverse sfaccettature, proprio
per questo con la comprensione si cerca di trovare il giusto «rinvio
di senso167» che il parlante ha voluto attribuirgli andando così a
delineare quel senso contenutistico che si è inteso dare, proprio
per tal ragione il giurista assume la qualifica di artista.
L’ambiguità della parola la porta a non essere pura, netta ma sottoposta sempre ad interpretazione che la sporca con l’impurità peculiare dell’individualità concreta168, il‘rinvio di senso’ insieme
alla ‘differenza di senso’costituiscono il capitale della parola che
si va facendo linguaggio-discorso all’interno del tessuto sociale
166
D. M. CANANZI, Interpretazione Alterità Giustizia, cit., p. 22.
B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., pp. 154-155.
168
L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, 2012, p. 250.
167
73
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composto da relazioni interpersonali di riconoscimento169. Nella
struttura dell’ermeneutica, inoltre, abbiamo due momenti fondamentali, uno visibile rappresentato dal linguaggio e un altro invisibile rappresentato dal senso del discorso che diventa qualcosa di
intellegibile170 nell’istante in cui debba essere interpretato, ecco
perché l’ermeneutica si definisce un’arte perché non si pone come
una semplice ricostruzione attraverso la conoscenza della lingua
ma essa appartiene alla classe di teologi e giuristi i quali sono dotati di un quid specifico, tanto che Schleiermacher precisa quanto
l’essenzialità dell’interpretazione logica nei giuristi sia essenziale
ma «al di là del contenuto effettivo del discorso171» quindi non si
descrive un’azione del parlante che implichi di per sé l’esecuzione
dell’azione stessa ma si cerca di individuare,capire il senso che si
è inteso dare, è proprio questo lo scopo del processo interpretativo
andare a sgrezzare la materia informe per attribuirle una forma,
che risulti idonea alla realtà. I
l compito dell’ermeneutica quindi, consiste principalmente nel
tentativo continuo di comprendere i pensieri secondo una connessione di tipo meditativo e compositivo172, non di certo adeguativo,
facendogli acquistare una forma. Nell’ermeneutica ciò che acquista più importanza è la formatività che caratterizza ogni opera in
quanto costituisce la relazione tra la forma e il suo progressivo
formarsi i quali rappresentano i momenti in cui l’interprete è
chiamato a svolgere la sua attività che ha natura veritativa, in
quanto dall’interprete noi ci aspettiamo la comprensione
dell’interpretato e non la semplice spiegazione, anche se ciò non
significa che l’interpretazione come spiegazione non possa trovare
un’allocazione tra i saperi, l’uomo necessita di spiegazioni,vive
dando motivazioni: ogni volta che il giurista sollecita il testo a
‘parlargli’ non si ferma mai alla lettera dell’enunciato normativo,
richiama immediatamente l’intenzione del legislatore o del giudice e in questo semplice rinvio risiede l’importanza della volontà,
della motivazione e della scelta, in una parola l’interprete entra in
169
Ibidem.
F.D.E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, Torino, 2012, p. 187.
171
Ivi, p. 197.
172
Ivi, p. 501.
170
74
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empatia con l’autore della legge, della decisione173. Con
l’interpretazione, quindi, si vuole mettere insieme forma e contenuto facendo così del giurista un’artista, rendendo apprezzabile
anche esteticamente anche la sua opera, mediante l’ermeneutica,
infatti, abbiamo un quid primoriamente intangibile in quanto c’è
la volontà di dare un senso a ciò che si fà, attendendo dall’altro,
dal terzo comprensione. Ogni opera normativa per essere utilizzata e quindi applicata deve essere studiata nella sua ricerca del senso in base al quale bisogna trovare non un efficacia formalistica
ma una ragione fenomenologica, proprio per questo motivo
l’interpretazione trova nell’argomentazione un momento essenziale perché in essa avviene il concretizzarsi del senso che rappresenta l’intersoggettività del linguaggio-discorso nella narratività della
sua struttura e nella veridicità della qualità che la informa 174. Il fine dell’ermeneutica, inoltre, è la comprensione del senso supremo175 andando a racchiudere nel concetto di arte non solo un mero
sacrificio ma una scelta che riconduce alla finalità della legge rendendola così applicabile alla realtà.
All’interprete quindi non si chiede mai di giustificare, ma di
motivare, comprendere. Solo con l’interpretazione come ermeneutica, quindi non fine a se stessa ma terza, si possono mettere in luce le iniquità e se è vero che l’interpretazione non modifica proceduralmente una legge (in quanto si deve sottolineare che interpretare non significa modificare ma cogliere il senso), si deve però
convenire che essa contribuisce a rendere manifesto ciò che in
quella legge non viene riconosciuto come giusto mostrando
l’impossibilità che un’interpretazione possa corrispondere unicamente ad una logica formale, visto che le possibilità
dell’interpretazione sono infinite in quanto si fondano
sull’inesauribilità dell’uomo. ‘L’artista’ del diritto non crea nulla,
ma porta ad esistenza l’essere, che costituisce l’a priori
dell’interpretazione. Tale attività si mostra necessariamente storica, perché prende in esame la norma che è instituita, che vige nel
tempo proprio per tal ragione per comprendere in modo adeguato
173
E. STEIN, Il problema dell’empatia, Roma, 1986.
D. M. CANANZI, Interpretazione Alterità Giustizia, cit., p.23.
175
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p.199.
174
75
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il diritto abbiamo bisogno del tempo, perché dobbiamo guardare
indietro per poter andare avanti.
L’attività dell’ermeneutica la si può definire, infine, come
un’attività empatica in quanto l’interprete deve avere la capacità
di comprendere i pensieri altrui, è un volgersi continuo alle persone, è un capire costante dell’altrui posizione.
8. Platone e l’ermeneutica tra verità e menzogna (ANTONIO DI
NARDO)
Proseguendo nella discussione sull’ermeneutica, ne deriva che
la radice etimologica del termine ermeneutica rinvia alla parola
greca hermenéia, il cui significato è affine a quello del latino sermo e indicava originariamente l’efficacia dell’espressione linguistica; successivamente questo termine è passato ad indicare l’arte
e la tecnica interpretativa. «Il suono della parola hermenéia evoca
anche, però, il dio greco Hermes, il quale portava agli uomini annunci e profezie; in effetti il verbo hermenéuein significava in origine portare messaggi ed annunci. Platone, pur ritenendo che in
realtà di questi dèi non sappiamo nulla»176, osserva che Hermes, il
dio inventore del linguaggio e del discorso, può essere chiamato
interprete e messaggero, ma anche ladro, truffatore e bugiardo177.
«La parole, dice infatti Platone per bocca di Socrate, hanno il potere di rivelare, ma anche di nascondere; il discorso può dire tutto,
ma può anche distorcere le cose, facendole apparire in un modo o
in un altro. In ogni caso, per Platone, l’ermeneutica non appartiene
alla conoscenza razionale e al sapere filosofico, perché essa conosce ciò che è stato detto, ma non può controllarne la veridicità»178.
Pertanto afferma Platone che l’interpretazione si limita a trasmettere i messaggi, senza appurarne il contenuto di verità. Questo im176
«Ma questi dèi sono proprio quelli di cui Platone credeva di dimostrare l'esistenza? Abbiamo ragione di dubitarne. Nel Cratilo fa dire a Socrate che non
sappiamo niente di questi dèi, neppure i loro veri nomi»: E. DODDS, I greci e
l’irrazionale, Milano, 2009, p. 272
177
PLATONE, Cratilio, 407e; 408d.
178
PLATONE, Epinomide, 975c; Simposio, 202e; Ione, 534e; Politico, 260e
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plica una sua svalutazione e una sua collocazione su un gradino
decisamente inferiore, in prossimità delle téchnai, delle arti mimetiche e della retorica (dove non si fa questione di verità). «Platone,
inoltre spiega che quando noi ascoltiamo, intendiamo ciò che noi
indirettamente vogliamo intendere, e non esattamente ciò che colui che sta parlando vuole farci intendere, e proprio in relazione a
ciò che intendiamo noi, decidiamo inconsciamente se ciò corrisponde a verità o bugia. La stessa persona che sta dialogando con
noi, secondo Platone, durante il dialogo si contraddice; contraddicendosi, implica il fatto che non sa con precisione cosa vuole intendere, pertanto contraddicendosi implicitamente non sta dicendo
propriamente niente, niente che abbia senso». Questo approccio
epistemologico è esposto come segue nel Sofista: «opinare e dire i
non enti; questo è, credo, il falso che si genera nel pensiero e
quindi anche nei discorsi»179. Un punto di vista analogo a quello
di Platone si trova in Spinoza: «da qui nasce la maggior parte delle controversie, cioè dal fatto che gli uomini non esprimono correttamente il loro pensiero, o dal fatto che essi interpretano male il
pensiero altrui. Giacché nel momento in cui si contraddicono
maggiormente, in realtà pensano o le medesime cose o cose diverse; sicché ciò che in altri credono essere errore e assurdità, in realtà non lo è»180.
Anche Spinoza, come Platone, rileva difficoltà nell’interpretare
correttamente il discorso fatto. «Il pensiero di Platone, tuttavia si
contrappone a quello di Cicerone, il quale sostiene che
l’argomentare (lo giustificare) rende flessibile la parola, pertanto
quando si spiega bisogna sapere di cosa si sta parlando, e non avere incertezze sulla propria discussione come sostiene Platone. Per
tali motivi la teoria del non dire niente non è accolta nella logica
di Cicerone. Anche il non dire niente, però secondo Platone equivale a dire il vero, di fatti afferma: «non si può dire altro che il vero, perché dire il falso è non dire niente. Come potrei quindi intendere quello che dice chi non dice niente? Come posso comprendere chi si ostinasse ad affermare che, per lui, ad esempio, esistono «cerchi quadrati»? Non posso intendere che cosa costui
179
180
PLATONE, Sofista, 260c.
B. SPINOZA, Ethica, 1677
77
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intenda, a meno di non interpretare l'espressione «esistono cerchi
quadrati» in modo da renderla semanticamente vera (per esempio
assegnando al termine «quadrato» un significato diverso dal solito, «ben fatti»)». Questo criterio platonico, ci porta a dedurre che
è impossibile comprendere la tesi di un altro senza condividerla.
Infatti l'altro potrebbe sempre lamentare che se non condivido la
sua tesi è perché non l'ho compresa: altrimenti avrei compreso anche tutte le ragioni che, secondo lui, la rendono vera. Quindi, finché, l’interprete pensa che il discorso dell'altro sia falso, non può
propriamente intendere che cosa significhi il fatto che per l'altro
esso sia vero; non comprendendo le ragioni che rendono il discorso veritiero, non potrà condividerlo. Come si vede, la mancata
condivisione importa una mancata (o, almeno, parziale) comprensione. In effetti anche Gadamer sottolinea questo punto, mettendo
in luce il fatto che «la comprensione del lettore è sempre guidata
da trascendenti aspettative di senso che nascono dal rapporto con
la verità del contenuto del testo»181.
Schleiermacher sembrerebbe contraddire la visione
dell’ermeneutica secondo Platone, in quanto come già detto precedentemente, secondo Platone quando ascoltiamo non comprendiamo con precisione ciò che l’interlocutore vuole intendere, di
seguito avremo una nostra «personale» interpretazione. Schleiermacher, invece a differenza di Platone afferma che siamo tenuti a
comprendere e quindi intendere con perfezione cìò che
l’interlocutore sta riferendo, in quanto l’elemento rilevante
dell’ermeneutica è proprio quello d’intendere giustamente il discorso fatto da un altro, e non creare dubbi o pregiudizi (es. cosa
voleva dire?, è un’ipocrita, ecc.).
Quindi, Schleiermacher cerca di capire e di comprendere
l’intenzione e l’impegno dell’altro, in quanto comunque deve impegnarsi per farsi capire. L’uomo che si ribella, ad esempio esprime un no, ma allo stesso tempo un sì affinchè non si verifichi.
Schleiermacher quindi, vuole farci intendere che il fine
dell’ermeneutica è la comprensione del senso supremo, il quale
comporta la comprensione dei contenuti, i quali sono necessari;
altrimenti senza di essi si creerebbe il caos (es. nel caso
181
H. G. GADAMER, Verità e metodo, Milano, 1960, p. 56.
78
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dell’interpretazione giuridica, l’interprete deve interpretare e la
legge deve essere compresa da tutti); fondamento essenziale,
quindi per una valida argomentazione giuridica, altrimenti la legge
non potrà essere ben applicata al caso concreto. Dalle osservazioni
di Platone riguardo l’interpretazione ci rendiamo conto che la
scrittura necessita di una propria interpretazione al fine di far affiorare la sua verità, è in questo quadro che Szlezàk, giustamente,
riconduce la celebre critica platonica della scrittura esposta nel
Fedro, alla necessità di «portare soccorso»182 allo scritto mediante
una discussione orale sul suo possibile valore di verità. Se lo scritto non risponde alle nostre domande bisogna che qualcuno lo faccia per lui, gli porti soccorso. Ma questo soccorso non può avere
altro scopo che quello di mettere in luce la prospettiva a partire
dalla quale un determinato discorso può essere vero e, solo perciò,
avere senso, ossia essere intelligibile.
La visione dell’«ermeneutica platoniana» è appoggiata e sostenuta da Goedel e Tarski. Goedel ha dimostrato, che, in sostanza,
una teoria assiomatizzata può bensì «parlare anche di sé», ma non
può mai dimostrare la propria interna coerenza (o incontradditorietà)183. Ciò significa che non si può mai escludere a priori che
una determinata «teoria» generi conseguenze incoerenti, capaci,
pertanto, di metterne in crisi i fondamenti (assiomatici). Tarski, a
sua volta, ha dimostrato, che, in sostanza, le condizioni alle quali
un «discorso» è vero sono altrettanto poco esprimibili da questo
discorso stesso quanto poco esso può dimostrare la sua interna coerenza184. Un discorso non può essere propriamente intelligibile se
non è sia vero sia coerente. Ebbene, i teoremi di Goedel e di Tarski sembrano confermare che questa intelligibilità possa provenire
solo dall'esterno, ossia da un atto di intellezione o di intelligenza,
relativa al contenuto del testo, ossia relativa a ciò che con esso si
intende dire. Tale atto di intelligenza può scaturire, evidentemente, soltanto da un'illuminazione dell'interprete, fondata sulla sua
182
T. SZLEZÀK, Come leggere Platone. Un nuovo canone per affrontare gli
scritti platonici, Milano, 1991, p. 85
183
M. L. DALLA CHIARA, G. TORALDO DI FRANCIA, Introduzione alla filosofia
sella scienza, Roma-Bari, 1999, p. 56
184
Ivi, p. 57.
79
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esperienza della verità. Goedel e Tarski, pertanto come Platone
sostengono che la ricerca della verità sta nell’abilità
dell’interprete, la cui abilità è sviluppata tramite la sua esperienza
della verità. L’«ermeneutica platoniana» in conclusione, ci fa capire che le situazioni, i fatti, e gli eventi della realtà che
l’ermeneutica ci trasmette tramite il logos, non hanno alcun fondamento di verità; sta alle nostre coscienze (fortificate dalle varie
esperienze) stabilire se l’ermeneutica di tali fatti corrisponde a verità o menzogna.
80
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9. Schleiermacher e l’ermeneutica contemporanea (DIANA
FILOSA)
Nella direzione delle riflessioni su Schleiermacher si può partire dall’aforisma «ogni bambino arriva al significato della parola
solo attraverso l’ermeneutica», infatti è proprio da qui (1805) che
si può partire per arrivare a comprendere perché Schleiermacher
definisce l’ermeneutica quale ars interpretandi ovvero l’arte di
comprendere il discorso altrui. Il pregio di Schleiermacher consiste nell’aver riconcepito l’ermeneutica come scienza del comprendere e soprattutto di aver ravvisato il carattere di generalità
alle argomentazioni interpretative e di universalità della prassi di
tale ars, così da poter essere conformata non solo ai casi in cui vi
è incapacità di cogliere il senso, ma a tutti i settori e ad ogni creazione linguistica.
L’elemento rivoluzionario che ha permesso il passaggio ed il
superamento d’intendere l’ermeneutica non più solo come metodologia filologica o strumento di esegesi di un testo, piuttosto ermeneutica intesa come ars generale, non basandosi più su fondamenti filologici e tecnici ma filosofici e linguistici. Il linguaggio
essendo uno strumento che rappresenta un aspetto originale di ogni soggetto, non assume soltanto una funzione esclusivamente di
conoscenza ma diventa un elemento generalizzante che permette il
processo comunicativo tra gli individui e consente di arrivare ad
una di ragione condivisa.
Quest’ultima però potrà essere ottenuta soltanto se vengono
rispettate e valorizzate tutte le espressioni linguistiche caratterizzate da una propria individualità e particolarità.
Bisogna sottolineare che le espressioni linguistiche nascondono
un duplice carattere perché da un lato sono espressione di un qualcosa di personale o individuale, ma dall’altro sono fornite di un
carattere di universalità. L’ermeneutica quindi non è più vincolata
solo ed esclusivamente all’esercizio della subtilitas explicandi ossia quell’attitudine a render chiaro un testo non comprensibile ma
piuttosto acquista un ruolo ancor più sublime legandosi questa
volta alla subtilitas intelligendi cioè a quell’attitudine a compren-
81
a.a. 2012-2013
dere il testo nella sua interezza. Per comprendere effettivamente
un testo bisognerà immedesimarsi con l’interiorità dell’autore
stesso quindi occorrerà comprendere tutto ciò che ha presieduto
alla sua creazione, sarà pertanto necessario, calarsi ed immedesimarsi con l’autore in modo da rivivere interiormente tutto ciò che
precede alla creazione di qualsivoglia testo. Prima di risalire a ciò
che precede la creazione di un testo bisogna però porre
l’attenzione ad una distinzione fondamentale ossia bisogna scindere l’interpretazione tecnica o psicologica dall’interpretazione
grammaticale ritenuta negativa perché fissa dei limiti definendo
esclusivamente la dimensione oggettiva del testo. Al contrario invece l’interpretazione tecnica è intesa come sistema positivo perché questa è arte, creazione, ed è fondamentale perché è capace di
fornire il significato di un testo. Proprio qui emerge chiaramente
l’identificazione dell’interprete in un artista, il quale non si limita
solamente a comprendere il testo ma tende quale suo compito
fondamentale ad accrescere il testo stesso identificandosi con
l’autore, infatti afferma che Schleiermacher: «massima perfezione
dell’interprete sarebbe quella di comprendere un autore meglio di
quanto egli stesso possa render conto di se stesso»185. Schleiermacher supera il concetto di ermeneutica dei suoi predecessori
perché sostiene che per poter considerare l’ermeneutica quale ars
interpretandi ovvero comprensione del discorso altrui bisogna
partire dal fraintendimento: «la prassi meno rigorosa dell’arte
dell’interpretazione parte dall’idea che il comprendere accade
naturalmente e formula il fine in maniera negativa con le parole: si
deve evitare il fraintendimento. La prassi più rigorosa muove
dall’idea che il fraintendimento accade naturalmente e che la
comprensione deve essere voluta e cercata espressamente in ogni
suo punto»186.
Con questa nota affermazione Schleiermacher ci fa intendere
appieno che l’arte del comprendere ha come obbiettivo quello di
superare il fraintendimento risalendo all’origine del discorso ma
senza mai giungere ad una verità assoluta, poiché la totalità di
185
G. MORETTO, cit. presente in Etica ed ermeneutica , Napoli, 1985, p. 346.
M. MARRASSI , Esposizione in forma di compendio 1819, op. cit. Ermneutica, Milano, 2000, p. 325.
186
82
a.a. 2012-2013
senso non potrà mai essere raggiunta. Sarà allora una sorta di circolo infinito detto appunto circolo ermeneutico, difatti se pensiamo ad un lettore che a distanza di tempo rilegge uno stesso testo si
accorge che esso non sarà più lo stesso perché colui che interpreterà il testo sarà storicamente cambiato, è un’altra persona con un
bagaglio culturale arricchito per cui l’interpretazione sarà diversa
e certamente più ampia. Da quanto evidenziato emerge che il circolo ermeneutico si conclude in un trasferimento empatico che
permette di fuggire e di superare il formalismo, cioè
quell’attaccamento alla sola forma esteriore di qualsiasi testo, e
consente di arrivare al significato più profondo di un di un testo
giuridico o di qualsiasi altro testo.
Il fondatore dell’ermeneutica contemporanea è Gadamer, questi supera la visione dell’ermeneutica di Schleiermacher, perché se
secondo la tesi di quest’ultimo per comprendere un testo nel suo
significato più autentico bisognava risalire al passato, per Gadamer invece questo procedimento non è possibile realizzarlo perché
non esiste l’oggettività storica e soprattutto perché la comprensione di un testo è condizionata dalla pre-comprensione, cioè
l’assunzione a priori di un punto di vista soggettivo
nell’interpretazione di un’opera, che a sua volta cambia o potrebbe cambiare in base alle impressioni che un testo trasmette
all’interprete.
Quindi nell’interpretazione c’è sempre un pregiudizio, cioè afferma Gadamer: « di per sé pregiudizio significa solo un giudizio
che viene pronunciato prima di un esame completo e definitivo di
tutti gli elementi obbiettivamente rilevanti»187. Questo pregiudizio
si forma nell’uomo ed è per questo che il passato non può mai essere vissuto oggettivamente. Ogni parere di un interprete è influenzato dalle sue esperienze di vita, le quali sono condizioni importanti per il procedimento cognitivo, specifica inoltre che: «
l’interprete non può proporsi di prescindere da sé stesso e dalla
concreta situazione ermeneutica nella quale si muove»188. Chi si
pone dinanzi ad un opera entra nel circolo ermeneutico, nel quale
si attua una «fusione di orizzonti» cioè da un lato «l’orizzonte»
187
H. G. GADAMER, Verità e metodo, Milano, 2000, p. 561.
Ivi, p. 699.
188
83
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del soggetto che si appresta a comprendere il testo che è caratterizzato da una pre-comprensione del presente, e dall’altro quella
del testo nel quale sono racchiuse tutte le pre-comprensioni che
hanno presieduto all’elaborazione dello stesso. L’ermeneutica
quindi ha come scopo ultimo quello di arricchire il testo perché
vengono presi in considerazione fatti che l’autore ha rilasciato,
quindi si può concludere affermando che l’ermeneutica è una sorta
di dialogo tra il testo e l’interprete di questo. L’ermeneutica diviene grazie all’influenza di Schleiermacher e di Gadamer una corrente filosofica con interessi più generali, la quale trova nel diritto
un importante campo d’applicazione. «Ci si aspetta dall’interprete
la comprensione dell’interpretato e non la semplice spiegazione»189. Solo con l’interpretazione come ermeneutica si riesce a
mettere in claris le ingiustizie presenti in un testo difatti si deve
riconoscere che l’interpretazione riesce a mettere in evidenza
quello che nel testo normativo non è riconosciuto chiaramente
come giusto.
Il problema fondamentale dell’interpretazione giuridica spetta
sempre ad un interprete qualificato ed in questo caso spetta allo
iuris peritus è: «quello di adeguare l’astratta forma normativa alle
esigenze della vita associata, rispettando i precetti contenuti nella
fattispecie astratta, ma nello stesso tempo dando ad essi un significato che li renda idonei a disciplinare in maniera soddisfacente i
rapporti intersoggettivi»190.
Il diritto non deve essere inteso come un sistema chiuso che
non tiene presente le problematiche della società perché la ragion
d’essere del diritto è quella di regolare i rapporti tra gli individui
nella società e le relative problematiche. Una norma nella sua astrattezza trova sempre degli ostacoli con le esigenze della società,
per cui una corretta interpretazione di questa non può che essere
effettuata in rapporto con la comunità. Bisogna quindi superare
l’impostazione normativistica nel suo aspetto formale perché questo punto di vista induce ad interpretare una norma tenendo conto solo dell’ambito del sistema normativo. Tale considerazione
189
L. AVITABILE, L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di
Lhumann, in Argumenta iuris, Napoli, 2012, p. 20
190
A. CATELANI, Il diritto come struttura e come forma,Torino, p. 195.
84
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produce una conseguenza negativa perché nell’interpretazione
della norma non si tiene conto dell’aspetto primario ossia: le esigenze della società piuttosto solo della struttura della norma e ciò
porta al cosiddetto formalismo giuridico.
10. L'argomentazione: dal modello non tecnico nell'Apologia
di Socrate alla teoria sistemico-funzionale di Niklas Luhmann (
DANIELA IANNETTA)
Quando si parla di «argomentazione», si fa riferimento ad un
ragionamento, che consente di giungere a delle conclusioni, partendo da enunciati che costituiscono premesse. L'argomentazione,
che deve essere integrata con l'ermeneutica, è l'attività per eccellenza191. Si è occupato dell'argomentazione giuridica Niklas Luhmann; ma il primo modello di argomentazione, si ha di certo con
Socrate nell'Apologia192, rappresentazione processuale riportata da
Platone, nella quale, come avviene anche oggi, il giudice ha il
complesso compito di valutare in base all'argomentazione delle
parti, ognuna delle quali espone la propria versione dei fatti.
Dall'analisi di questo testo, emerge senza dubbio una argomentazione «non tecnica». Socrate, chiamato a difendersi dall'accusa di
empietà, manifesta ampiamente, con una sottile e complessa ironia, la sua assoluta contrarietà allo stile dei Sofisti, maestri che si
fanno pagare per i propri insegnamenti. Secondo questi ultimi, avvalendosi delle tecniche retoriche, del potere persuasivo della parola, si può raggiungere l’obiettivo desiderato. Ma a Socrate, questa argomentazione così tecnica e strumentale, finalizzata a prevalere sull'interlocutore, non piace. La sua è invece, una argomentazione volta alla ricerca della verità, che risiede nel profondo di
ognuno di noi, e deve soltanto essere portata alla luce. È soltanto
questo ciò che conta, non il tecnicismo. Non si può certo dire invece che, nella visione luhmanniana di argomentazione, la tecnica
non sia presente, e che la priorità sia la ricerca della verità. Per
Luhmann, l'argomentazione giuridica consiste nel raccomandare,
191
192
Lezione di Teoria dell’interpretazione del 5 marzo 2013.
PLATONE, Apologia di Socrate, Brescia, 2002.
85
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ovvero selezionare, argomenti adeguati per procedimenti adeguati,
strumentali al funzionamento del sistema193.
Dunque ciò che conta è che il sistema funzioni, non che emerga
la verità! Non rileva nemmeno la qualità dell'argomento. È necessaria l'argomentazione giuridica per non far incagliare il procedimento, ed essa deve costituire il diritto vigente e inserirsi in maniera coerente nel sistema giuridico (le leggi non devono contraddirsi tra di loro). Gli argomenti emergono da operazioni sistemicofunzionali, ed esprimono l'autoreferenza e autolegittimazione del
sistema giuridico. Questo sistema, nel momento in cui utilizza argomenti, si chiude operativamente (ad esempio il collegio giudicante si chiude in camera di consiglio), quando poi l'argomentazione deve essere comunicata (es. pronuncia della sentenza), il sistema si apre informativamente194. L'argomentazione giuridica,
così come elaborata da Luhmann, deve essere intesa come razionalizzazione a posteriori del testo, attraverso la quale farlo funzionare elidendo le incoerenze, servendosi dell'argomento, che funge
da intermediario tra le premesse e le conclusioni195. Socrate e Luhmann parlano in maniera differente anche della figura del giudice. Il primo, parlando di questa autorità, sostiene che il giudice
non siede per amministrare secondo favore la giustizia, ma per
giudicare secondo giustizia. Egli ha giurato infatti non di favorire
a suo capriccio il tale o il tal altro, ma di giudicare secondo le leggi196. Socrate anticipa con la sua visione il principio costituzionale
della terzietà del giudice, che evita abusi nella gestione della giustizia.
La neutralità è elemento essenziale del giusto processo, garantito nell’ordinamento italiano dall'articolo 111 della Costituzione.
Questo principio tutela l’equilibrio, la serenità e il distacco nel
giudizio del giudice rispetto alle parti e all'oggetto della controversia. È straordinario osservare e rendersi conto di quanto, un'opera tanto antica e lontana nel tempo, possa invece risultare così
193
Cfr. N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit.
Lezione di Teoria dell’interpretazione del 26 marzo 2013.
195
L. AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010,
p. 137.
196
PLATONE, Apologia di Socrate, cit., p. 49.
194
86
a.a. 2012-2013
attuale, riprendendo questioni e problematiche ancora presenti nel
nostro ordinamento. Ma la terzietà, non assume certo altrettanta
rilevanza anche in Luhmann. Le relazioni tra gli uomini sono irrilevanti, tutto ciò è indifferente al funzionamento dei sistemi, che
esige il fondamentalismo funzionale.
Il terzo è semplicemente funzionale, non imparziale e disinteressato.
In Luhmann la terzietà, più che del giudice, è sistemica, e nega
l’essere sopra le parti. Del resto, per Luhmann l’uomo non esiste,
esiste solo il sistema umano e la sua funzionalità biologica. Socrate dunque, mette in evidenza soprattutto la terzietà e imparzialità
di questa figura e del ruolo che assume. Per Luhmann, invece, il
giudice è un «osservatore di secondo grado», un mero tecnico delle norme, il cui compito è osservare i testi ed interpretarli, procedendo per argomenti adeguati. Dunque, in questo modo, non vi è
un rapporto diretto tra il giudice e la realtà, perché questa è stata
già osservata dall'osservatore di primo grado197. Si può quindi
concludere che, tra il primo modello di argomentazione nell'Apologia e l'ultimo modello luhmanniano, la differenza è sostanziale.
Se per Socrate, fondamentale è la ricerca della verità, per Luhmann invece, ricercando il senso delle cose, si rischia di permanere nel procedimento e perdere tempo. È soltanto con la selezione di dati reali che si perviene alla formazione del diritto.
11. Il circolo ermeneutico, contesti e definizioni (VALENTINA
MARRAFFA)
L’ermeneutica giuridica, nella sua valenza, si caratterizza per
avere come premessa del suo ragionamento due presupposti fondamentali: la precomprensione critica e la circolarità ermeneutica198. Quest’ultima rappresenta, in tutti i settori della cultura e in
campo giuridico, il riconoscimento di non poter ridurre il fenomeno dell’interpretazione solo ad un soggetto. Per circolo ermeneutico si intende la regola interpretativa per la quale il risultato di
197
198
Cfr. B. ROMANO, Terzietà del diritto e società complessa, Roma, 1998.
E. BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1955.
87
a.a. 2012-2013
un’interpretazione va sempre confrontato all’interpretazione del
tutto e viceversa: cioè, oltre ad essere una successione di atti, ha
carattere circolare dovendo spesso tornare indietro e riconfigurare
i propri presupposti199.
Gadamer che, con Verità e metodo, intende mettere in luce le
strutture del comprendere chiarendo i modi di essere in cui si concretizza il fenomeno interpretativo, affronta il tema della comprensione elaborando la sua teoria dell’interpretazione ermeneutica: nella prima sezione intitolata Preparazione storica prospetta
una ricostruzione storica e critica dell’ermeneutica romantica e
storicistica accusando la corrente di idee che va da Schleiermacher
a Dilthey di essere rimasta schiava del modello metodologico delle scienze naturali200. Tale convinzione ha portato la coscienza
storica a concepire la comprensione storiografica come un problema di «metodo» e l’oggetto storiografico come qualcosa da
«accertarsi»201. Gadamer si riallaccia, così, all’individuazione del
cosiddetto «circolo ermeneutico» individuato da Heidegger, il
quale, in Essere e Tempo, sostiene che l’interpretazione è
l’articolazione e lo sviluppo interno di una precomprensione originaria, attraverso cui «la comprensione, comprendendo si appropria di ciò che ha compreso»202 .
«L’originalità di Heidegger, secondo Gadamer, starebbe non
tanto nell’individuazione di tale circolo, ma nella messa in luce
della sua portata ontologica e della sua funzione conoscitiva»203.
In questa ottica, la comprensione si muove da sempre in una situazione circolare nella quale ciò che si deve comprendere è già,
in qualche modo, compreso: in questo contesto nessuno può rapportarsi all’esistente vergine da presupposti e da pregiudizi. In sostanza, in ragione di tale circolo, nulla è dato come immediato, ma
tutto si trova inserito in un apparato di preconcetti, presupposizioni indispensabili di ogni avventura conoscitiva204. Heidegger, in
199
Ibidem.
H. G. GADAMER, Verità e metodo, Milano, 1995, pp. 260 e ss.
201
Ivi, p. 12.
202
M. HEIDEGGER, Essere e tempo, Torino, 1969, p. 244.
203
H. G. GADAMER, Verità e metodo, cit, p. 278.
204
M. HEIDEGGER, Essere e tempo, cit., p. 249.
200
88
a.a. 2012-2013
Essere e Tempo, sostiene che: «il circolo non deve essere degradato a circolo vitiosus e neppure ritenuto un inconveniente ineliminabile. In esso si nasconde una possibilità positiva del conoscere
più originario, possibilità che è afferrata in modo genuino solo se
l’interpretazione ha compreso che il suo compito primario, durevole e ultimo, è quello di non lasciarsi mai imporre predisponibilità, preveggenza e precognizione dal caso o dalle opinioni comuni,
ma di farle emergere dalle cose stesse, garantendosi così la scientificità del proprio tema»205. Allo stesso modo, per Gadamer, il
problema non è uscire dal circolo, impresa tra l’altro impossibile,
ma quello di starci dentro in modo adeguato, acquistando coscienza dei nostri pregiudizi rapportandoli ai testi. Infatti, sostiene Gadamer, chi interpreta un testo abbozza preliminarmente un significato del tutto sulla base dei propri preconcetti e delle proprie aspettative di senso; e ancora: «chi vuol comprendere un testo deve
essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Perciò una coscienza ermeneuticamente educata deve essere preliminarmente sensibile all’alterità del testo»206. L’ermeneutica, può essere considerata come uno strumento non riconducibile allo spazio di rilettura
filologica del testo normativo, ma aperto alla rivelazione del dato
giuridico nella realtà ove esso è manifesto, ossia nella relazione
sociale207. I pregiudizi, per Gadamer, non sono ciò che ci allontana dai testi, ma piuttosto ciò che ci avvicina ad essi, rappresentando l’unica via di accesso agli stessi208. Ritiene che se non si assume consapevolezza delle proprie precomprensioni, è difficile per
il giurista introdurre e riconoscere una presa di distanza rispetto ai
propri convincimenti soggettivi. Tuttavia, nella dimensione del diritto, la precomprensione non è in grado da sola di esaurire il procedimento interpretativo, ma agisce nell’ambito del cosiddetto
«contesto di scoperta»209. L’interpretazione si fonda essenzialmente nella comprensione: non è questa dunque a derivare dalla
205
Ivi, p. 250.
H. G. GADAMER, Verità e metodo, cit, p. 316.
207
G. BARTOLI, Hermeneutica iuris. Per una lettura “giuridica” del testo normativo, in i-lex, p.3.
208
H. G. GADAMER, Verità e metodo, cit., p. 316.
209
N. LUHMANN, Sistema giuridico e dogmatica giuridica, Bologna, 1978.
206
89
a.a. 2012-2013
prima210. La stessa esistenza può essere vista come un costante
processo interpretativo211: la comprensione accompagna l’uomo
nel suo rapporto con l’altro e Dilthey osserva che la stessa interpretazione si rivela come il processo umano più significativo per
apprendere discorsivamente dall’altro l’esperienza di una estraneità212. Fuori dall’attività interpretativa residua quel che appartiene
all’ordine del non-umano213.
L’idea che l’interprete non sia un osservatore esterno, ma si
collochi all’interno della situazione in cui deve svolgere il suo
ruolo e ne accetti i presupposti contestuali, è generalmente condivisa. Il centro filosofico dell’ermeneutica non si trova
nell’interpretazione, ma nel comprendere. Poiché ogni attività ha
un significato solo all’interno di una totalità di senso,
l’interpretazione, come attività, lo acquista perché avviene
all’interno di una preliminare comprensione, che è il vero luogo
del «senso»: questa, quindi, precede e condiziona l’interpretazione
che a sua volta la sviluppa, la corregge e la libera dai fraintendimenti214. L’ermeneutica giuridica, a differenza di quella filosofica
e storica, rappresenta un metodo per garantire il mezzo e non per
raggiungere un fine; non si preoccupa di fornire una verità alla
scienza giuridica. La circolarità e la precomprensione, sussistendo
nel giudizio ermeneutico, garantiscono non che il giudizio ermeneutico diventi un giudizio giusto, ma che non sia un giudizio politico, arbitrario215: è piuttosto l’interpretazione come ermeneutica
210
M. HEIDEGGER, Essere e tempo, cit. p. 189.
R. PALMER, Cosa significa ermeneutica?, Nardò, 2008, p. 167.
212
W. DILTHEY, Progetto di continuazione per la costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito. Abbozzi di una critica della ragione storica, in ID.
, Scritti filosofici (1905-1911), Torino, 2004, p. 327.
213
B. ROMANO, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit.,
p.15.
214
F. VIOLA, G. ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Bari, 1999, p. 447.
215
G. ZACCARIA, Ermeneutica e giurisprudenza. Saggio sulla metodologia di
Josif Esser, Padova, 1986.
211
90
a.a. 2012-2013
che riesce a mettere in luce le iniquità contribuendo a sottolineare
ciò che in quella legge non viene riconosciuto come giusto216.
12. Le differenze tra ermeneutica e argomentazione (LAURA
MAURA)
L’argomentazione può essere definita come un ragionamento
che permette di arrivare a delle conclusioni, partendo da enunciati.
Collegati all’argomentazione troviamo i concetti di ermeneutica e
di interpretazione 217.
L’ermeneutica, termine che – come si è più volte precisato –
deriva dal greco antico, vuol dire traduzione, chiarimento, interpretazione, spiegazione. Nasce in ambito religioso per dare una
corretta spiegazione dei testi sacri e successivamente assume un
significato più ampio perché si occupa di interpretare in generale
tutto ciò che è poco comprensibile218.
Il significato della parola ermeneutica rivela che «la sua funzione non è semplicemente quella di spiegare ma bensì di proclamare». Questa funzione non rinvia ad un linguaggio che non sia
anche discorso. Tale caratteristica strutturale del diritto, rilevata
da Romano, verifica l’ipotesi secondo cui l’esistenza stessa della
giuridicità
non
è
scindibile
dall’atto
istitutivo
219
dell’interpretazione .
Interpretare non vuol dire ripetere o spiegare scientificamente
un testo, ma comprenderlo220. Le disposizioni, anche quelle più
chiare, avranno una pluralità di interpretazioni perché diversi sono
gli elementi che condizionano la comprensione del testo (ad es.
l’ambiente storico e culturale)221.
Il testo giuridico si trova, per l'interprete, nella condizione della
partitura musicale, che, per riguadagnare il suo significato, fissato
216
L. AVITABILE, L’ermeneutica di Schleiermacher e l’argomentazione di Luhmann in Argumenta iuris., Napoli, 2012, p. 20.
217
ID., Conversazioni sul diritto, 2010-2011, p. 3.
218
Ivi,p. 19.
219
G. BARTOLI, Hermeneutica Iuris, I-lex, Agosto 2010, n. 9, p. 92.
220
L. AVITABILE, Conversazioni sul diritto, 2010-2011, p. 43.
221
Ivi, p. 45.
91
a.a. 2012-2013
nei segni, deve proporsi alla lettura creativa dell'interprete. L'interprete, cioè, non è un «trascrittore», bensì colui che abilita il testo normativo all'attuazione giuridica222.
Il
termine
interpretazione
del
diritto
comprende
l’interpretazione tecnica della norma e l’interpretazione ermeneutica. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’interpretazione non è
ne unica, ne definitiva; a seguito della pluralità di interpretazioni
nasce il conflitto. L’interpretazione non ha solo bisogno di criteri
per interpretare la norma ma anche di argomentazioni. Gli elementi costitutivi dell’argomentazione sono la ridondanza e la varietà, che riproducono insieme una sorta di binarietà codicistica
dell’attività interpretativa. Il primo serve al sistema per alimentare
la complessità, il secondo invece è una sorta di surplus, ma è necessario al sistema per continuare le proprie operazioni223.
L’interpretazione ermeneutica, è la parte più importante del
processo interpretativo. Scheleiermacher scrive sull’ermeneutica:
«l’ermeneutica è, in generale, l’arte di intendere giustamente un
discorso di un altro», sottolinea l’intenzione di chi ascolta e
l’impegno del parlante, suscitando una serie di riflessioni che investono il diritto e la sua genesi più profonda, sino a poter qualificare il giurista ‘artista della ragione’, dove l’arte marca l’impegno
a dialogare, in cui «ogni uomo perviene a una conoscenza più matura e a un sapere più adeguato solo mediante la conduzione del
dialogo»224. La parola per Scheleiermacher è oggetto ermeneutico,
perché attiva la comprensione, si dirige «verso la lingua e i pensieri»: la lingua è considerata rinvio di senso, che coglie l’essere
artista dell’interprete. Nella struttura dell’ermeneutica vi è un
momento visibile, rappresentato dal testo, e un momento invisibile, ovvero il senso del discorso. Le scienze ermeneutiche studiano
tutto ciò che l’uomo produce parole, testi, etc., e che quindi rimandano all’autore stesso225. Si occupano quindi di capire che co-
222
G. BARTOLI, Hermeneutica Iuris, cit., p. 94.
L. AVITABILE, Argumenta iuris, cit., p. 25.
224
Ivi,p. 2.
225
Ivi, p. 5.
223
92
a.a. 2012-2013
sa succede alla parola quando questa viene trasmessa e comunicata226.
Di fatto però,l’interpretazione non sarà mai definitiva. Il testo
che viene letto a distanza di tempo verrà interpretato in modo diverso rispetto al passato: a questo proposito si parla di precomprensione della realtà.
Per Gadamer – come si è già discusso – è impossibile ritornare
oggettivamente al passato quando il presente genera necessariamente una pre-comprensione che rende la visione del passato
qualcosa di diverso dal passato stesso. Si configura così un circolo
ermeneutico: la comprensione di un testo storico è condizionata da
una pre-comprensione. La comprensione di un momento storico è
il frutto di questa incessante stratificazione circolare di nozioni, le
quali si formano costantemente su se stesse, partendo dalle nozioni precedenti. La comprensione del passato è dunque un fatto storico determinato dalla pre-comprensione del presente, la quale è il
frutto a sua volta di un processo che la determina storicamente.
Questa pre-comprensione consiste in un pre-giudizio che si forma
storicamente nella mente degli uomini, per cui il passato non è
mai rivissuto oggettivamente, ma è pur sempre una visione presente, un «guardare il passato con gli occhi del presente».
13. Relazione tra interpretazione e diritto positivo (MICHELA
VANORE)
La realtà normativa spesso appare complesso e molto articolato. Questo avviene perché le norme e il sistema giuridico non sono
un mondo né chiuso né perfetto, come una monade leibniziana,
ma rappresentano enunciati che il legislatore emana per risolvere
una fattispecie complessa. Il mezzo più efficace per applicare le
norme è l’interpretazione. Solo per fare un esempio della filosofia
del diritto a statuto analitico, in Law’s Empire, Dworkin delinea
una concezione del diritto quale pratica sociale di natura interpretativa. Tale intendimento si contrappone alle teorie semantiche del
diritto, ossia alle teorie che abbracciano la tesi del diritto come da226
Ivi, p. 17.
93
a.a. 2012-2013
to di fatto. Quest’ultima sostiene che il diritto comprende ciò che
le istituzioni giuridiche hanno deciso in precedenza, che l’unico
disaccordo rilevante in materia di diritto è solo empirico. I filosofi
del diritto, i quali condividono la tesi del diritto come dato di fatto, sono definiti da Dworkin come «prigionieri di un autentico assillo semantico»227.
Sulla
base
di
ciò
Dworkin
elabora
un’analisi
dell’interpretazione, facendo una distinzione tra interpretazione
conversazionale, scientifica e creativa. L’interpretazione della
conversazione si propone di spiegare i suoni emessi da una persona con l’attribuirvi un significato alla luce dei probabili motivi,
scopi e intenzioni dell’interlocutore228. L’interpretazione scientifica potrebbe raffigurare lo scienziato come intento a capire ciò che
i dati cercano di dirgli. In una prospettiva ermeneutica diffusa,
l’interpretazione creativa, costituirebbe solo un caso speciale
d’interpretazione conversazionale, dal momento che mirerebbe a
decifrare le intenzioni dell’autore di un romanzo o di chi si prefiggesse di conservare una tradizione sociale; mentre per Dworkin,
l’interpretazione creativa dovrebbe essere concepita come
un’interpretazione costruttiva perché essa si rivolge alle intenzioni
che sono intenzioni dell’interprete, non dell’autore229. Dworkin si
pone in un’aspra critica nei confronti del positivismo giuridico ritenendo che traspaia una chiara ispirazione individualistica. La
sua critica si indirizza alla versione contemporanea di tale corrente
di pensiero come prospettata da Herbert Hart.
Hart traccia un quadro tipico della visione giuspositivistica distinguendo tra un “punto di vista esterno” e un “punto di vista interno”. Dal punto di vista interno le norme sono concepite come
vincolanti e produttive d’obblighi per coloro che le usano230. I destinatari delle sentenze e delle decisioni degli altri operatori giuridici e funzionari pubblici, giocano un ruolo del tutto passivo in tale contesto. Questo è il punto di vista esterno, giacchè in tale con227
G. GIOVANNINI, Ronald Dworkin. Una teoria liberale del diritto, Pisa, 2010,
p. 82.
228
Ibidem.
229
Ibidem.
230
M. MANZIN, Retorica e deontologia forense, Milano, 2010, p. 41.
94
a.a. 2012-2013
testo le norme non sono considerate tanto per la loro forza vincolante o per la loro capacità giustificativa di deliberazioni, quanto
per il fatto che esse hanno certi effetti (positivi o negativi) sugli
interessi e la vita dei cittadini secondo calcoli di tipo probabilistico231. In realtà l’interpretazione attribuisce il significato che la
norma ha nel suo contenuto, è l’adeguamento della fattispecie reale alla situazione normativa. Poiché l’interpretazione è essenzialmente un processo conoscitivo essa non può essere dissociata
dall’attività ermeneutica. La funzione dell’ermeneutica è quella di
comprendere il testo e codificare comportamenti da tutelare. Ciò a
cui si deve tendere per una corretta operazione ermeneutica non è
solo il dato oggettivo e la salvaguardia dell’armonico sviluppo del
sistema, ma il concreto senso dell’equità, intesa come bilanciamento dei valori e la tutela dei diritti fondamentali. La comprensione dei testi giuridici è un processo che mira a giungere ad una
forma di conoscenza: senza tale processo conoscitivo non v’è diritto. Dal presupposto che «chi opera con i testi giuridici, parte
dalla loro comprensibilità e quindi anche dal fatto che essi possano essere caratterizzati come comprensibili»232, discende in critica
alla teoria della scienza, intesa come indagine sulla empiria o sulla
sfera logico-matematica, la possibilità di analisi rigorosa del comprendere.
Se il diritto si fonda nel processo che ne consente la conoscenza, ciò non avviene secondo la logica matematica né simulando i
procedimenti delle scienze naturali233; occorre invece garantire il
rigore e la controllabilità dell’argomentazione dell’interprete: la
razionalità del metodo è l’idoneità a risolvere i problemi propri di
ciascuna disciplina, consentendo il dialogo234. L’ermeneutica del
diritto va letta come la spinta rivoluzionaria all’interpretazione sistematica. Il testo dell’interpretazione non è più la premessa né il
presupposto del giurista, ma diventa un ambito conoscibile della
possibilità attraverso il problema. È da criticare il dogma dello
«stare in se stesso» del diritto positivo, sul quale si fonda
231
Ibidem.
J. HRUSCHKA, La comprensione dei testi giuridici, Napoli, 1983, p. 4.
233
F. CARNELUTTI, Metodologia del diritto, Padova, 1939.
234
P. PERLINGIERI, Profili del diritto civile, Napoli, 1979, p. 65
232
95
a.a. 2012-2013
l’ermeneutica del positivismo giuridico: il senso delle proposizioni non potrebbe essere individuato con riferimento «a momenti extrapositivi» essendo immanente, inerente al testo235. L’oggetto
del testo è il contenuto del testo perché «dato» al destinatario, non
come soggetto passivo della consegna ma perché egli lo possa afferrare. Il contenuto non si forma nel momento della produzione
del testo da parte del legislatore, ma alla produzione si affianca la
ricezione del testo da parte del destinatario, l’interprete236. La positività scaturisce dal fatto che il diritto è «conoscibile per
l’osservatore»237. Pertanto il diritto è positivo «se, e solo se, esso è
interpretato, ed è positivo solo in quanto è interpretato»238.
L’interpretazione è comprensione e mai autoreferenzialità. Il primo interprete è il giurista e lo fa tenendo presente tutti gli elementi fondamentali del diritto, allora sarà artista della ragione parafrasando Kant. L’interpretazione diventa ermeneutica nella convinzione da parte dell’interprete della terzietà del diritto. L’interprete
è autentico quando non interpreta una norma per finalità che gli
sono proprie ma quando la certezza del diritto si identifica nella
sua terzietà. Il diritto da una parte necessita di un’attività tecnica,
dall’altra necessita di una formazione che non sia autoreferenziale.
L’argomentazione giuridica va integrata con l’ermeneutica e viceversa. L’ermeneutica da sola significherebbe vagheggiare di un
regno della giustizia senza trovare gli elementi nell’esperienza
giuridica. L’ermeneutica è un’attività di comprensione. La prima
attività di comprensione è il confronto con l’altro, vuol dire entrare in empatia con l’altro. L’ermeneutica come lettura se non è empatia, è un’attività inutile, sterile. Se l’ermeneutica è comprensione e la prima attività di comprensione si ha con un altro essere
umano, allora l’attività di istituire le leggi è comunque qualcosa
che abbraccia il nesso empatico. Èda superare quindi quella concezione meramente semantica o linguistica dell’interpretazione.
La parola è un segno che «al di là di se stesso, rimanda a qual-
235
J. HRUSCHKA, , La comprensione dei testi giuridici, cit., p. 19.
P. PERLINGIERI, Profili del diritto civile, cit., p. 66.
237
J. HRUSCHKA , La comprensione dei testi giuridici, cit., p. 22.
238
Ibidem.
236
96
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cos’altro che a sua volta possiede un carattere essenzialmente extralinguistico»239.
14. Il significato di interpretazione della legge tra cenni storici
e questioni filosofiche (YULIYA NINKO)
Per la storia della civiltà l’idea astratta di legge è tanto importante quanto l’invenzione della ruota e del controllo del fuoco. Per
questo, in tutte le tradizioni gli dei supremi sono legislatori/ordinatori del cosmo, danno agli uomini le leggi e si fanno garanti del loro rispetto. Così, nella storia i popoli assegnano un posto di straordinario rilievo ai legislatori umani, spesso re o sapienti, realmente vissuti o creati come simboli. Questo perché la legge
è il tratto caratteristico della società umana, come si desume dalla
definizione aristotelica dell’uomo come zòon politicòn240, ossia
«animale politico»,diverso dalle bestie o dalle divinità che possono vivere isolate.
Tale espressione di Aristotele è riferita alla comunità il cui tratto fondamentale è quello di essere retta da regole, da leggi241.
La parola legge deriva dal latino lex,che a sua volta viene dal
verbo lego:da cui prende il significato di «leggere».
Infatti, nell’antica Roma il magistrato leggeva pubblicamente
in modo solenne le parole della legge, che venivano pubblicate
scolpendole nella pietra. Nella concezione romana la lettura era
rivelazione, interpretazione, aggiornamento, adattamento al caso
specifico dello ius, cioè del diritto eterno, immutabile, espressione
di un ordine preesistente. Se una legge fosse stata scritta, ma non
venisse letta da qualcuno essa non esisterebbe nemmeno, però la
legge viene scritta per essere letta, conosciuta, comunicata ed osservata, e attribuisce al legislatore il compito di interpretarla e applicarla.
L’interpretazione è un momento fondamentale di ogni attività
giuridica. Interpreta il giurista quando va in cerca del significato
239
J. HRUSCHKA, , La comprensione dei testi giuridici, cit., p. 30.
ARISTOTELE, Politica, 1253.
241
A. CORNELI, Potere e libertà, Novara, 2007.
240
97
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delle norme, interpreta il giudice quando deve applicare una determinata disposizione normativa ad un dato comportamento, ed
interpreta perfino il legislatore quando regola i rapporti economici
e sociali secondo i suoi fini politici. L'attività interpretativa può
quindi avere diversi oggetti,differenti campi su cui si esercita. Si
parla, infatti d’interpretazione delle leggi, d'interpretazione dei
fatti, d'interpretazione dei fini politici, dei valori, delle ideologie, e
così via. Tuttavia nell'ambito della cultura giuridica dei nostri
tempi v'è un campo privilegiato e prevalente sugli altri ed è «l'interpretazione della legge». La nozione di legge giuridica è fortemente storicizzata. Ciò vuol dire che noi non andiamo in cerca di
un concetto valido per tutti i tempi e per tutti i luoghi,ma solo di
ciò che viene considerato come «legge giuridica» nel nostro tempo e nel nostro stato.
Il problema dell’interpretazione della legge sta nel scoprire della dialettica radicata profondamente in ogni legge, ossia la maniera in cui viene letta. In dottrina, l’interpretazione giuridica ha superato una serie di discussioni attingenti alla propria funzione.
Mentre i giuristi britannici seguono le orme di Thomas Hobbes,
noto come il «grande e ineguagliato costruttore della prima teoria
dello Stato moderno», secondo il quale una legge può avere un solo significato valido, quello che è stato espresso nella sua lettera e
ai giudici è fatto divieto di scostarsi dalla lettera della legge e di
andare in cerca dell’intenzione del legislatore risalendo agli atti
dei dibattiti parlamentari; in Italia Norberto Bobbio avvia «il passaggio dall’interpretazione della lettera all’interpretazione dello
spirito che rappresenta l’estensione delle indagini sull’uso delle
parole in questione a contesti di proposizioni sempre più numerose e sempre meno affini al contesto iniziale»242. Quando si prende
in esame una legge in rapporto con il fatto, per conoscere e valutare le conseguenze pratiche, può accadere che dall’apparente certezza della legge sorge l’incertezza sull’esito finale del giudizio.
Di conseguenza, in base alla stessa legge, si può rovesciare la sentenza precedente e modificare gli effetti, si può dare ragione ad
una parte e torto all’altra243.
242
243
Cit. da V. FROSINI,La lettera e lo spirito della legge, pp.5-6.
Cfr. V. FROSINI, La lettera e lo spirito della legge, Milano, 1994.
98
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Se interpretare vuol dire cercare e attribuire un significato, bisogna rendersi conto della natura e delle caratteristiche dell'oggetto da interpretare. Il legislatore quando definisce come una norma
deve essere interpretata,crea con ciò una nuova norma (interpretazione autentica). Quando l'interprete è un giurista, il risultato è
l'interpretazione dottrinale o scientifica. Quando l'interprete è un
giudice, il risultato è l’interpretazione giudiziale in cui il giudice
non crea diritto, ma applica il diritto preesistente. L'interpretazione della legge, nel suo aspetto giudiziale, è parte integrante e costitutiva del nuovo diritto, poi che un'opera legislativa non è una
proclamazione di nuovi principi (come spesso sono state le «carte
dei diritti»), ma una ristrutturazione giuridica dei rapporti sociali.
Non si può fare opera di interprete all’interno del diritto senza aver assunto il presupposto di che cosa sia il diritto. Non a caso
l’interpretazione giuridica è fondata su un «circolo ermeneutico»,
cioè su un rapporto mobile e continuo che si stabilisce fra il soggetto e l’oggetto dell’interprete, fra l’interprete e il testo di legge e
il fatto, fra la specifica e puntuale dell’interprete e la sua coscienza giuridica globale secondo la quale egli pensa ed agisce, cioè
vive la sua esperienza di vita come giurista.
L’attività interpretativa è una regola-guida alla giustizia
dell’azione della legge, uno strumento necessario per conoscere i
valori politici e quelli sociali propri del mondo umano. Di fronte
ad una società spietata, questi valori rappresentano una difesa
dell’individuo e il legislatore, con la funzione dell’interprete,non
deve solamente investigare il testo, ma deve dare la garanzia alle
esigenze irrinunciabili della vita sociale.
99
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100
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SEZIONE III: HOMO JURIDICUS, GRUNDNORM
101
E OSSERVATORE
a.a. 2012-2013
1. Kelsen e Luhmann: una riflessione critica sulla Grundnorm
(ARMANDO ARDUINI)
Come non si è mancato di sottolineare, la situazione attuale è
dominata dalla contingenza che qualifica la formazione di una
complessità che esige una semplificazione244 e che espletando la
propria funzione crea a sua volta altra complessità, in un circolo
che si autoalimenta rendendo più complessa la conoscenza formata mediante una distinzione capace di definire una parte; la conoscenza è preparata da una distinzione formativa di una definizione, così che per Luhmann ogni definizione ed ogni conoscenza
sono contingenti; per cui ogni contenuto della conoscenza è detto
contingente non è ritenuto né vero né falso e un rapporto tra conoscenza e verità finalizzato alla ricerca di quest’ultima è un male
poiché condurrebbe ad un «sovraccarico di informazioni» rendendo impossibile la conoscenza245. Il centro del sistema diritto non è
l’uomo e le sue azioni bensì la funzione specifica, si ha così un
passaggio dall’io della parola al ‘me della funzione’246, nell’io
della parola vi è la condizione dell’essere sospesi nel rischio della
scelta libera che assume una direzione di senso e diviene la ragione dell’imputabilità giuridica e quindi di ogni momento della quotidianità del diritto247, poiché la mia parola è per l’altro, quindi è
esternazione e più esternazioni creano dei sistemi, ciascun sistema
si conserva nella sua autoreferenzialità e il codice di funzionamento del sistema diritto, codice binario diritto-non diritto, non deve
riguardare la qualità delle scelte perché solo così le operazioni
proprie del sistema possono essere svolte senza limiti e ostacoli
244
B. ROMANO, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit., p.
13.
245
Ibid.
246
Ibid.
247
Ivi, p. 22.
102
a.a. 2012-2013
pertanto il sistema di diritto deve essere giuridico e non deve dire
cosa sia giusto limitandosi a funzionare come sistema della legalità, che non misurato dalla giustizia garantisce la vita e il suo funzionamento. Secondo la teoria dell’interpretazione giuridica di
Luhmann si può affermare che il codice binario diritto non-diritto
è un binomio di facile applicazione, altrimenti non sarebbe possibile istituirlo, e il sistema può chiudersi affermando che tutto ciò
che non è diritto è non-diritto e viceversa, le strutture logiche dello schematismo sono considerate re-entry cioè doppio re-ingresso
della forma nella forma, queste possono considerarsi unicamente
sul versante interno della forma, l’altro versante è un-marked cioè
solo della semi-demarcazione. Come prototipo, il che vale nella
distinzione tra sistema e ambiente, che si può celebrare solo nel
sistema e non nell’ambiente. Per la funzione della codificazione la
re-entry da un solo versante non è sufficiente perché questo significherebbe che il limite della forma non oltrepassa il fatto che non
è possibile esista del non-diritto nel diritto, ogni superamento dei
limiti si perderebbe nello spazio infinito dell’alterità senza mai regredire. Solo se la possibilità della re-entry rimane su entrambi i
versanti della forma, dall’autoreferenza si può sviluppare
un’asimmetria che poi nel sistema può essere di nuovo riasimmetrizzata attraverso dei condizionamenti.
Poiché l’asimmetria della forma sistemica e la simmetria della
forma di codice coincidono nel sistema, l’asimmetria della forma
sistemica assicura la chiusura del sistema anche quando le sue operazioni si orientano all’ambiente, mentre la simmetria del codice assicura il costante incrocio del limite che marca il codice stesso. Il sistema nel momento in cui constata il non-diritto non può
abbandonare il diritto, deve aggirare il non-diritto in modo legale,
che non solo il valore diritto, ma anche il valore non-diritto deve
poter essere compreso sia come realizzatore del codice globale
nell’ambito codificato, sia come valore contrario al valore contrario.
Queste riflessioni presuppongono una relazione tra autoreferenza e distinzione, una è data solo con l’altra e viceversa, solo i
sistemi autoreferenziali possono distinguere e osservare, perché la
distinzione o il designato devono distinguersi con il loro aiuto, vi-
103
a.a. 2012-2013
ceversa l’autoreferenza presuppone evidentemente la distinzione
tra autoreferenza ed eteroreferenza. Questa è una condizione elementare, pertanto l’unità globale nel mondo o l’unità della distinzione sulla quale si basa un’osservazione, è basata su un paradosso, per questo il diritto si può fondare spiegando un paradosso, introducendo distinzioni che abbiano capacità di identificazione così
ad esempio la norma di giustizia consiste nel trattamento uguale di
casi uguali e trattamento diseguale di casi diseguali. L’unità di un
sistema binario si può descrivere solo nella forma del paradosso, il
paradosso non può essere osservato nel sistema perché sarebbe
necessaria l’amplificazione del codice, vale a dire decidere se la
distinzione diritto/non diritto sia a sua volta fatta per il diritto o il
non-diritto, grazie al codice binario esiste un valore positivo
chiamato diritto e un valore negativo chiamato non-diritto. Il valore positivo quindi, si applica quando un fatto corrisponde alle
norme del sistema, mentre il valore negativo si applica quando un
fatto infrange le norme del sistema. Il fatto è costruito dal sistema
e poiché il sistema non riconosce nessuna istanza esterna che possa prescrivergli cos’è un fatto, anche la giurisdizione praticata
mediante riconoscimento di valori diritto e non-diritto è una questione interna al sistema248. All’esito delle analisi e delle tesi di
Luhmann si evidenzia un reciproco alimentarsi del nichilismo e
del
fondamentalismo
funzionale.
Un’altra
teoria
dell’interpretazione è quella della dottrina pura del diritto con la
Grundnorm, è una teoria solo del diritto positivo e non di un particolare ordinamento giuridico249, essa cerca di dire che cosa è e
com’è il diritto in sé, spogliandolo da tutto ciò che non è diritto.
Nella dottrina pura vi è la Grundorm, la norma fondamentale, la
quale è una norma presupposta, si presuppone sia valida e pertanto
è valido l’ordinamento giuridico che si fonda su di essa. Possiamo
immaginare la Grundnorm come il vertice di una piramide rovesciata, in essa trova la sua base il significato normativo di tutti i
fatti che costituiscono l’ordinamento giuridico positivo e solo così
il materiale empirico determinato giuridicamente può essere inteso
come diritto cioè come sistema di norme giuridiche. Il positivismo
248
249
N. LUHMANN, Il diritto della società, Torino, 2012, p. 155 ss.
AA.VV., Filosofia del diritto, Milano, 2013, p. 118.
104
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giuridico esclude ogni passaggio dall’essere al dover essere giacché dall’unica realtà immaginabile, il diritto positivo, passeremmo
dall’essere alla soluzione del caso. L’essere consiste in un dover
essere e lo vincola ad una relazione formale di imputazione. Per
Kelsen il positivismo giuridico è non-cognitivistico: il diritto è
positivamente dover-essere ma nella pratica viene creato in maniera discontinua tramite atti volitivi solo formalmente collegati e
solo in questo modo hanno una validità giuridica.
Nell’interpretazione rifiuta l’esistenza di una teoria corretta nel
momento in cui si deve applicare la legge, a causa del suo noncognitivismo, se esistesse una soluzione corretta significherebbe
concepire l’attività giuridica come cognitiva e l’applicazione della
legge consisterà nel creare una nuova norma piuttosto che conoscere quella precedente250.
2. Elementi essenziali di critica alla teoria kelseniana
(MARILENA ANGELONE)
Il concetto di Grundnorm è stato -come è noto- introdotto da
Hans Kelsen, nell’opera Teoria generale dello stato, e rappresenta
la piena espressione del cosiddetto normativismo kelseniano, ovvero di un ordinamento giuridico puro basato su una struttura a piramide. Tale ordinamento prende il nome di «dottrina pura del diritto» e rappresenta una teoria generale del diritto positivo tesa esclusivamente alla conoscenza del suo oggetto, inquanto cerca di
rispondere alla domanda che cosa e com’è il diritto non però alla
domanda come esso deve essere o deve essere costituito251.
Kelsen intende costruire una dottrina pura del diritto che sia
epurata da qualsiasi contaminazione, mettendo tra parentesi il
mondo reale della polis e dunque degli uomini esistenti e rinviando ai piani della morale e della sociologia la ricerca del senso di
tale dottrina, si ritiene così di poter perseguire una visione scientifica del diritto, una compiuta scienza-teoria generale del diritto
250
251
AA.VV., Conoscenza e normatività, Milano, 1995, p. 130 ss.
B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, p.48.
105
a.a. 2012-2013
che abbia i tratti formativi della dottrina pura del diritto in grado
di analizzare il funzionamento delle operazioni del sistema giuridico. L’interesse orientante di Kelsen consiste nel cogliere i meccanismi logico-formali di funzionamento delle norme giuridiche al
di la di ogni analisi e di ogni valutazione dei contenuti istituiti con
essa, si concretizza così il modello di Husserl, proprio di una conoscenza pura, riferito all’io puro di una coscienza pura dove con
la riduzione fenomenologica scompare l’io in carne ed ossa252.
Una teoria della conoscenza pura ed una dottrina pura del diritto
presuppongono degli individui puri dei ghiacciai di esseri indivisibili delle essenze senza luogo e senza data dove i tribunali sono
luoghi frequentati da entità eidetiche impersonali e disincarnate
non da uomini reali. Kelsen costruisce una visione pura tecnostrumentale del diritto radicata nel garantire il successo funzionale
delle relazioni interumane dove il diritto e lo stato vengono a configurarsi come delle entità tecniche necessarie al funzionamento di
qualsiasi modello di società, in particolare il diritto è ridotto ad un
mero complesso di norme che riguarda la finzione di un io puro
ovvero di una società disincarnata non abitata da persone ma popolata da entità prodotte dalla riduzione fenomenologica. Gli
strumenti di una teoria tecno-formale presentata come scienzateoria generale del diritto rendono possibile la giurisdificazione di
qualsiasi organizzazione sociale, trattata dalle norme, operative
come forme fissate e però capaci di assumere qualunque contenuto253. Nell’ambito di un tale fondamentalismo formale risulta rimosso qualsiasi interrogativo sulla distinzione tra il legale ed il
giusto accrescendo lo spegnersi delle differenze tra il giusto e
l’ingiusto, tra il bene ed il male, tra la verità e la menzogna, ora
intesi nell’ordine funzionale di una costruzione logica e non
nell’ordine della verità esistenziale, disvelata dalla qualità della
relazione tra gli uomini254. Si afferma così il concetto che le norme non sono istituite ed interpretate da altre norme ma bensì da
uomini, nell’intento di sostenere la qualità dialogica delle loro relazioni a scanso di ogni qualsivoglia indistinzione tra violenza e
252
Ivi, p.88.
Ivi, p.90.
254
Ivi, p.94.
253
106
a.a. 2012-2013
rispetto o discriminazione. Nell’istituire le norme gli uomini non
muovono da una presunta autosignificazione dei fatti, ma dal ricercare ed inscrivere un senso nei fatti, dunque muovono
dall’interrogarsi sull’incidere dei fatti nella qualità delle relazioni
intersoggettive, pertanto la legge deve valere per se stessa e fondarsi su se stessa e non ha dunque altra risorsa che non sia la propria forma, essa è dunque superata verso un più alto principio radicato nella cosiddetta norma fondamentale. Il concetto di norma
fondamentale viene a delinearsi come un fondamento ipotetico la
cui validità conferisce di riflesso validità anche all’ordinamento
giuridico radicato su di essa; le norme difatti sono considerate nella loro concatenazione e nei loro rapporti reciproci individuando
come criterio di validità il loro essere prodotte in conformità a una
norma di rango superiore255. La sua efficacia può essere sintetizzata come un’opera di trasformazione categoriale, unità
dell’ordinamento e individuazione delle norme che appartengono
all’ordinamento stesso, discretizzando così il rapporto tra diritto e
morale e quindi tra ordinamenti statici (la morale) e ordinamenti
dinamici (il diritto). Kelsen ritiene che l’esistenza di una morale
puramente soggettiva, insita nella Grundnorm come il particolare
nell’universo, ovvero evidente in virtù del suo contenuto, impedisce l’oggettività del diritto, sostenendo che la scienza del diritto
alla pari di ogni altra scienza dei valori consiste nella conoscenza
dei valori, ma non può produrre questi valori; può comprendere le
norme ma non può crearle256. Kelsen definisce la Grundnorm come condizione logico-trascendentale dell’ordinamento e della sua
interpretazione, ovvero come un insieme di norme giuridiche obiettivamente valide, quale presupposto necessario per comprendere positivisticamente il materiale giuridico e non essendo prodotta nel corso del procedimento del diritto non trova validità come norma giuridica positiva ma rappresenta una posizione imprescindibile di quest’ultima; difatti lo stesso Kelsen ritiene tale
norma condizionata dall’esistenza di un ordinamento coercitivo,
255
O. CHESSA, La validità delle costituzioni scritte. La teoria della norma fondamentale da Kelsen a Hart, Palermo, 2010, p. 57.
256
F. DI DONATO, Il diritto come norma, Napoli, p. 14.
107
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nelle grandi linee che abbia la capacità materiale di imporsi sulle
volizioni contrarie257.
Poiché la norma fondamentale è sempre condizionata
all’effettività di un ordinamento dato, cioè poiché si riferisce soltanto ad una costituzione effettivamente statuita, la sua formulazione deve necessariamente essere la seguente: «ci si deve comportare secondo la costituzione effettivamente statuita ed efficace», questa, secondo Kelsen, è la proposizione normativa che la
descrive, l’enunciato che ne articola il contenuto necessario258.
Nel suo sviluppo piramidale è possibile definire l’interpretazione
secondo una logica discendente giustificata dal fatto che ogni
norma superiore autorizzando o legittimando determinate norme
di grado inferiore non le può determinare totalmente, la Grundnorm è presupposta o ipotizzata per lo più inconsapevolmente,
da chi asserisce che talune norme giuridiche sono valide, ovvero
tale atto appartiene alla scienza giuridica e a chiunque interpreti e
descriva come giuridico un dato ordinamento effettivo. Questo
tipo di interpretazione però non è sempre chiara, poiché una legge
può essere ambigua , per questo motivo Kelsen afferma che se da
una certa legge si arriva a diverse interpretazioni a livello logico,
queste sono tutte valide , inquanto l’interpretazione viene ridotta
da atto teorico-conoscitivo ad atto decisionale di volontà. Con la
sua teoria della Grundnorm la dottrina pura del diritto non fa altro
che rendere consapevole quello che tutti i giuristi compiono per lo
più inconsapevolmente, presupporre inconsapevolmente la norma
fondamentale può significare che i giudici applicano la costituzione assumendo irriflessivamente di doverlo fare, anche se poi non
s’interrogano a fondo sul perché siano destinatari di quest’obbligo
(o sull’esistenza effettiva di quest’obbligo).
Nello sviluppo delle proprie teorie Kelsen, si rende conto che
la sua teoria della purezza del diritto comporta una problematicità
incentrata sulla distinzione tra la validità e l’efficacia del diritto e
cioè tra elemento formale e quello storico sociale, la critica maggiore rivolta a Kelsen concerne difatti l’inscindibilità della norma
257
O. CHESSA, La validità delle costituzioni scritte. La teoria della norma fondamentale da Kelsen a Hart, Palermo, 2010, p. 58.
258
Ivi, p. 59.
108
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e della sua obbligatorietà ovvero se una norma è valida allora è
anche obbligatoria. Le vicissitudini personali seguite all’ascesa
del nazismo, la fuga in Svizzera prima e negli Stati Uniti poi, portano alla rielaborazione della teoria pura del diritto in chiave imperativista e anche la Grundnorm, prima kantianamente presupposta, è ora posta da un precedente atto di volontà.
Nella General Theory of Law and State, del 1945, Kelsen abbandona l'idea della norma come giudizio logico, distinguendo tra
norma (che è ora comando) e proposizione sulla norma, ovvero
sua descrizione da parte della scienza giuridica, è quest'ultima
proposizione che, come atto conoscitivo, ha la forma del giudizio
logico.
3. La norma fondamentale: atto o fatto (FERDINANDO
MAIORANO)
Un testo costituzionale è fonte di norme giuridiche vincolanti.
Una norma giuridica è valida e vincolante se è conforme ad
un’altra259 orma giuridica che ne determini il modo di produzione,
quindi si può ribadire questo schema anche per le norme costituzionali e ritenere che mutuino la propria validità da una norma o
da un insieme di norme precostituzionali.
L’obbedienza alla costituzione come norma fondamentale è
dovuta,secondo Kelsen, perché una Grundnorm lo prescrive. La
norma fondamentale appare come un contenitore vuoto, priva di
un contenuto specifico e in grado di generare la forma di ogni sistema di norme ovvero di stato, totalitario, democratico o monarchico che sia260.
Elemento fondamentale della Grundnorm è l’apparente terzietà; questa si ha effettivamente nel momento in cui esce dalla disponibilità del legislatore esigendo rispetto ed impone i principi ed
i caratteri su cui deve basarsi l’ordinamento, infatti, per il princi-
259
O. CHESSA, Diritto e questioni, Palermo, 2010, p.56.
B. ROMANO, Diritti dell’uomo e diritti fondamentali vie alternative: Buber e
Sartre, Torino, 2009, p.176.
260
109
a.a. 2012-2013
pio della logica interna, le norme devono essere coerenti con la
norma fondamentale.
L’elemento della terzietà è inscindibile dall’interpretazione, la
quale da parte del legislatore è fondamentale perché attiene alla
terzietà, elemento imprescindibile del diritto. Il legislatore, infatti,
istituisce le leggi per custodire i rapporti dei destinatari delle norme tenendo presente il carattere dell’universalità e
dell’incondizionatezza del diritto, rispettando doverosamente il
concetto di terzietà applicandolo con il principio di uguaglianza
nella differenza. Per le procedure formali della Grundnorm ciò
non è previsto, infatti, essa funzionerebbe come un motore immobile, capace di conferire validità ed efficacia ad ogni movimento
normativo; la norma fondamentale è considerata come la genesi di
qualsiasi processo normativo, sempre nell’indifferenza verso il rispetto o la violazione dei diritti dell’uomo. Il processo interpretativo è tale quando il soggetto che interpreta entra in empatia con
l’autore della legge; processo questo che non dice nulla se è solo
lessicale, esclusivamente della parola, infatti, la giusta interpretazione effettua un rinvio alla intenzionalità per la comprensione del
legislatore261, pertanto «la relazione dialogica non può essere prodotta e consumata secondo un programma perché il senso che viene discusso non è programmabile»262 Il processo interpretativo in
generale è una attività di importanza fondamentale nel diritto in
quanto essa consiste nel trarre il senso esatto ed il contenuto della
regola di diritto applicabile ad una situazione determinata, ed anche perché «le controversie relative all’interpretazione non sarebbero così vive se esse non traducessero una lotta per il dominio
del sistema giuridico,ciò che fa del processo interpretativo una variante della lotta per il diritto»263.
Da qui si evince che il carattere ermeneutico è fondamentale
perché solo mediante questo vengono messe in luce le ‘impurità
della legge’ cioè viene messo in mostra ciò che non appare giusto
261
B. ROMANO,Male ed ingiusto Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Torino,
2010, p.14.
262
B. ROMANO, Dono del senso e commercio dell’utile, Torino, 2011, p. 105.
263
J.COMBACAU, S.SUR, Droit international public, Paris, Montchrestien,1994,
p.166.
110
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e congruo per la comunità. Logicamente l’interpretazione è possibile perché c’è una Grundnorm che fornisce i rilievi tecnici sui
quali basarsi.
Altra osservazione in merito è che la Grundnorm non sempre è
improntata per perseguire il giusto, infatti l’unico modo per contraddirla è quello di andare al di là della stessa norma scindendo il
giusto dall’ingiusto, solo nel momento in cui la norma fondamentale si pone in una dialettica continua con la dimensione del giusto, analizzandone i caratteri, allora questa non sarà più un atto,
ma attraverso questo processo dell’atto si attribuisce un senso al
fatto264.
«La norma fondamentale si palesa nel nulla della sua autonegazione è radicata nella Fattualità, ma subito la tradisce nel fissare
una norma, che è detta fondamentale perché dura nella sua configurazione contro–fattuale e solo così costruisce l’incidere efficace
di una sistema di norme che ha una sua durata oltre la momentaneità dei fatti emergenti. La norma fondamentale è generata dai
fatti vincenti, ma pretende di disciplinarli, dunque di fissarli, non
adeguatamente con flessibilità al loro mutare di senso».
Da una attenta analisi degli scritti di Bruno Romano, in merito
alla Grundnorm, si delinea una domanda, cioè se la norma fondamentale sia il prodotto di un atto o di un fatto. In primis, il fatto è
ciò che accade nella realtà inteso come un evento generico, mentre
l’atto è la realizzazione di una condotta dell’uomo, ascrivibile a
quest’ultimo perché compiuto con piena coscienza e volontà; si
configura, nell’uomo in quel momento ciò che si sta per realizzare
nella realtà.
È per questo motivo che l’ atto può essere giusto-ingiusto, bene-male, vero-falso, perché realizzato in modo libero e con attribuzione di significato.265
Alla luce di quanto è stato sopra descritto si può evincere che il
diritto è una atto e non un fatto, tale perché deriva da ciò che
l’uomo ha voluto realizzare responsabilmente. Di riflesso anche la
Grundnorm è un atto perché proviene sempre dall’azione
264
B. ROMANO, Diritti dell’uomo e diritti fondamentali vie alternative: Buber e
Sartre, Torino, 2009, p.177.
265
Ivi, p. 178.
111
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dell’uomo, con la differenza che può porsi come fatto nel momento in cui tradisce le aspettative dei destinatari non tenendone più
conto. Alla realizzazione di ciò si assisterebbe all’assorbimento
del fatto nell’atto.
4. La dottrina pura del diritto, descrizione e limiti (SIMONA
SCAPPATICCI)
«La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo.
Del diritto positivo semplicemente, non di un particolare ordinamento giuridico. È teoria generale del diritto, non interpretazione
di norme giuridiche particolari, statali o internazionali. Tale teoria
vuole conoscere esclusivamente e unicamente il suo oggetto e cerca di rispondere alla domanda: che cosa e come è il diritto, non
però alla domanda: come esso deve essere o deve essere costituito.
Rappresenta la scienza del diritto, non già politica del diritto»266.
Tale dottrina è depurata da ogni ideologia politica e da ogni elemento scientifico naturalistico, una dottrina giuridica, cosciente
del suo carattere particolare dovuto all’autonomia del suo oggetto.
Una peculiarità di tale teoria è la sua coerenza interna e per essa
non vi è alcun tipo di rapporto tra diritto e società. Vi è
l’identificazione del diritto con le norme, intese come strutture
qualificative dei comportamenti267 e fonda l’autonomia del giuridico su un sistema normativo che spiega se stesso in quanto regola
la sua propria creazione.
Kelsen, autore di tale dottrina, pone come base di ogni ordinamento le norme sulla produzione del diritto oggettivo e crea il
concetto di Grundorm, norma che pone a fondamento del rispetto
dell’ordinamento stesso. La norma fondamentale si caratterizza
dall’essere un atto di volontà ipotetico in quanto autoreferenziale e
presupposta a tutte le altre norme che in essa trovano collante e
ragione di unità del sistema. Ogni norma è giustificata dalla conformità alla norma ad essa superiore gerarchicamente, sino ad una
norma cardine. Dal punto di vista della singola norma, si concepi266
267
H.KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino,1967, p. 48.
ID., La dottrina pura del diritto, Torino,1966, p. 52.
112
a.a. 2012-2013
sce il precetto giuridico come obbligo imposto ad un soggetto di
diritto.
Il diritto è considerato come un insieme di norme, un ordinamento normativo. La fonte delle qualità giuridiche e della giuridicità di un fatto è solo la norma, secondo il principio di normatività. La norma deve avere una forma determinata. Questa forma, secondo Kelsen, è quella di una proposizione ipotetica, che a differenza della legge naturale o scientifica, esprime un dover essere.
Per cui, mentre la legge naturale dice: se c’è A allora è necessario
che ci sia B, la legge giuridica dice: se c’è A allora deve esserci B.
La struttura che Kelsen dà alla norma è di tipo coercitivo in quanto in caso d’inosservanza del dato obbligatorio prevede una sanzione. Sanzione che sembra gravare con maggiore rilievo
sull’applicatore stesso del diritto. Herbert Hart, rifiutava l'idea di
Kelsen che le sanzioni fossero essenziali per la legge e che un fenomeno sociale normativo, come il diritto, potesse essere basato
su fatti sociali non normativi. Secondo Kelsen, la norma non può
considerarsi un comando in quanto le mancano i requisiti di soggettività e volontà. La norma non è solo il contenuto, ma il fondamento del diritto stesso. Dire che un comportamento è obbligatorio, significa che c’è una norma che lo vieta ed i principi normativi, esistono solo dopo la creazione delle norme; se gli attributi
giuridici di un oggetto dipendono da una norma, vuol dire che
senza e prima della norma l’oggetto era privo di quegli attributi
(principio di storicità). Per Kelsen il diritto ha natura duale essendo costituito da due elementi, uno sensibile, ossia un fatto sensibilmente percepibile in quanto si svolge nel tempo e nello spazio,
e l’altro intelligibile, il quale qualifica il fatto naturale conferendogli giuridicità. La norma per Kelsen è valida perché presupposta
come valida, in quanto è necessario assumere la validità di una
norma non derivandola da una norma ulteriore. La validità di tale
norma è quindi il presupposto, che solo rende possibile la formulazione di giudizi di validità. Il concetto è stato confutato da alcuni studiosi, come ad esempio Alf Ross, noto esponente del realismo giuridico, che sostiene che la figura di una Grundnorm non è
necessaria in quanto, potendola riferire solo agli ordinamenti positivi (cioè con norme in piena vigenza), è sufficiente circoscrivere
113
a.a. 2012-2013
il riconoscimento di giuridicità ai soli ordinamenti effettivi. Altre
critiche alla teoria normativistica sono giunte da Giuseppe Capograssi, il quale ha accusato la dottrina kelseniana di essere una
teoria astratta ovvero lontana dalla realtà e amorale, cioè capace di
portare ad aberranti conseguenze sul piano morale. Secondo Capograssi infatti, la dottrina kelseniana, non è ideologicamente neutrale, ma nasconde una precisa ideologia: l’esaltazione della forza
che trova la sua massima formulazione nella teoria della norma
fondamentale. L’obbligo di fare o non fare qualcosa soltanto perché ciò è comandato da una norma che prescrive anche una sanzione in caso di trasgressione, indipendentemente dal contenuto
della prescrizione, comporta che il fondamento ultimo della validità della norma risiede nella volontà della forza. La validità si
fonda sul principio della forza, ossia su un principio di diritto naturale268.
Sembra volersi sostituire la norma fondamentale di Kelsen con
un grande computer centrale, nella misura in cui in un sistema del
tutto informatizzato, l’interazione comunicativa dei soggetti può
essere ridotta a snodi rudimentali che si limitano a ricevere input
in vista di output prescelti; la struttura reticolare si ritrova così alla
base della modalità con cui le più recenti e avvertite rappresentazioni sistemiche dell’ordinamento, rinnovano la sua configurazione come strumento della volontà sovrana269. Ecco quindi il motivo per il quale si parla della sostituzione della norma fondamentale con un grande computer centrale.
La teoria del diritto di Kelsen è il tentativo più significativo e
conseguente di dimostrare che fra l’universo delle opinioni morali,
da un lato, e il potere fisico, dall’altro, c’è un tertium quid, cioè il
diritto positivo270.
268
G. CAPOGRASSI, Impressioni su Kelsen tradotto, Milano,1952, p. 322.
U. PAGALLO Introduzione d’informatica giuridica, Padova,2003, p. 25.
270
B. CELANO, La teoria del diritto di Hans Kelsen, Bologna,1999, p. 385.
269
114
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5. La Grundnorm e la rule of recognition (GELSOMINA VIOLO)
Hans Kelsen si è proposto di liberare il diritto da tutte le sovrastrutture che si sono mescolate ad esso nel corso dei secoli (giusnaturalismo, concezione sociologica del diritto). Del suo impegno per l’autonomia del diritto è testimonianza la sua opera fondamentale: La dottrina pura del diritto. La dottrina pura del diritto
è una teoria del diritto positivo, non di un particolare ordinamento
giuridico. È teoria generale del diritto, non interpretazione di norme giuridiche particolari, statali o internazionali271. Questa teoria,
alla base della scuola positivista che si oppone al giusnaturalismo,
mira a spiegare in modo obiettivo qualsiasi sistema giuridico in
funzione dell’ordinamento delle diverse norme e fonti del diritto,
assicurando cosi una spiegazione razionale e funzionale al principio di gerarchia delle norme. Il principio fondamentale di questa
teoria poggia sull’idea di conformità. Kelsen individua il criterio
della validità della norma nel suo essere prodotta in conformità a
una norma di rango superiore, in una gerarchia verticale piramidale che si muove a ritroso fino a una norma fondamentale che dovrebbe chiudere l'ordinamento.
La validità di ogni norma (a partire da quelle che Kelsen chiama norme individuali, che sono gli atti amministrativi e giurisdizionali) deriva da una norma superiore. Così, per esempio, la sentenza di un tribunale è valida, ossia ha esistenza come norma, perché esiste un’altra norma che attribuisce validità alle sentenze dei
tribunali; e questa seconda norma a sua volta è valida, perché posta in essere da organi ai quali la possibilità di emanare norme valide è attribuita da un’altra norma ancora, superiore ad essa. Quindi, la norma inferiore valida non può essere contraria alla norma
immediatamente superiore. Se fosse contraria, un contenzioso
giungerebbe all’annullamento o alla correzione della norma inferiore contraria e invalida. Questo processo a gradini, per il quale
ogni norma trova il proprio fondamento di validità in una norma
superiore, non può essere infinito: al suo culmine deve esserci una
271
A. NEGRI, Novecento filosofico e scientifico, Marzorati, Milano, 1991, vol.
IV, p. 112.
115
a.a. 2012-2013
norma fondamentale che sia il fondamento di validità di tutto il
sistema di norme che costituisce un ordinamento giuridico.
All’apice della piramide Kelsen teorizza una norma ipotetica
fondamentale, cosiddetta Grundnorm (grund designa il fondamento). Questa norma, di natura logico-trascendentale (infatti Kelsen
è fortemente influenzato dal neokantismo), è considerata una supposizione necessaria ad assicurare la coerenza dell’ordinamento
giuridico. Non si tratta di una norma reale, come la costituzione:
quest’ultima dovrebbe poggiare sulla Grundnorm ipotetica posta
all’apice della piramide. Secondo Kelsen la Grundnorm è presupposta in quanto estremo fondamento di validità. Se fosse stata posta da un’autorità, come poste sono le altre norme, si dovrebbe necessariamente basare su una norma di valore superiore, generando, così, un procedimento a ritroso continuo che potrebbe essere
interrotto solo definendo la Grundnorm presupposta. Quindi non è
una norma giuridica positiva in quanto non posta nel corso del
procedimento del diritto, ma presupposta come condizione del
procedimento giuridico positivo. Essa è valida perché presupposta
valida.
Nella teoria kelseniana la norma fondamentale non è voluta ma
ipotizzata secondo un procedimento intellettuale, tale definizione
delinea il concetto di giuridicità logica della costituzione: la
Grundnorm in senso logico è produttrice di diritto e convalidante
la costituzione giuridico-positiva generata da un atto di volontà.
Le norme che fanno capo ad una norma fondamentale sono state
prodotte in conformità alla norma fondamentale. Non sono da essa
dedotte logicamente, ma devono essere poste da un particolare atto di volontà. Dal ragionamento di Kelsen si evidenzia un altro
aspetto della Grundnorm, la sua ipoteticità. È necessario formulare l’ipotesi di una norma fondamentale solo di fronte all’effettiva
esistenza di una costituzione e di un ordinamento coercitivo convalidato dalla costituzione stessa272. Il carattere ipotetico di questa
norma ha indotto i detrattori di Kelsen, soprattutto Carl Schmitt, a
sostenere che l’autore non ha saputo staccarsi dai postulati del di-
272
O. CHESSA, La validità delle costituzioni scritte. La teoria della norma fondamentale da Kelsen a Hart, Palermo, 2010.
116
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ritto naturale secondo i quali la legittimità del diritto deriva dalla
divinità o dalla Natura stessa.
«Un'altra critica importante al concetto giuridico normativo di
Kelsen è quella fatta da Alexander Hold-Ferneck, il quale tende a
mostrare che il positivismo giuridico di Kelsen è un giusnaturalismo formalizzato, senza sostanza e senza contenuto»273. Infine
Giuseppe Capograssi ha accusato la dottrina kelseniana – come
discusso – di essere una teoria astratta e amorale. Secondo Capograssi, infatti, dietro la neutralità e l’oggettività della teoria kelseniana si nasconde in realtà un’esaltazione della forza che trova la
sua massima formulazione nella teoria della norma fondamentale.
L’obbligo di fare o non fare qualcosa soltanto perché è comandato
da una norma comporta che il fondamento ultimo della validità
della norma risieda nella volontà della forza. La validità si fonda
sul principio della forza, ossia su un principio di diritto naturale274.
Per rispondere a queste critiche, Kelsen ha proceduto a importanti rimaneggiamenti della sua teoria in modo che si distinguono
generalmente due periodi nella sua opera: prima dell’esilio americano e dopo quest’ultimo. Infatti, l’esperienza dei due conflitti
mondiali, la fuga in Svizzera prima e negli Stati Uniti poi, a causa
del nazismo, lo costrinsero a rivedere le sue posizioni estreme. Ricredendosi sulla validità della Grundnorm, egli ammise che una
norma non posta dal legislatore ma presupposta dagli operatori
giuridici dovesse per forza considerarsi meramente fittizia. Nei
suoi ultimi anni, il filosofo del diritto arriva a concepire tutte le
norme come imperativi che funzionano non secondo le modalità
statiche della deduzione ma secondo modalità dinamiche della delegazione; esse sono prodotte per un atto di volontà (del legislatore o del giudice).
La questione della validità delle norme è stata affronta anche
da H. Hart. Egli sostiene che la figura di una Grundnorm non è
necessaria in quanto può essere riferita solo agli ordinamenti positivi (cioè con norme in piena vigenza). Secondo Hart è sufficiente
273
A. HOLD-FERNECK, Der Staat als Uebermensch. Zugleich eine Auseinandersetzung mit der Rechtlehre Kelsens, Jena, 1926, p. 53.
274
G. CAPOGRASSI, Impressioni su Kelsen tradotto, Milano, Giuffre, 1952.
117
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una rule of recognition che stabilisce dei criteri per
l’individuazione delle norme valide dell’ordinamento275. Tali criteri sarebbero riconducibili ad una regola sociale convenzionale
non scritta che esiste in forma di pratica complessa ed utilizzata
come questione di fatto per l’ individuazione del diritto da parte
di tribunali e funzionari. Il lavoro svolto da Hart si evince dai
quattro capitoli dell’opera The concept of the law nel quale controbatte sia le tesi imperativistiche del diritto inteso come un insieme di comandi e di ordini imposti da un sovrano, ai quali la
popolazione acquiescente ha l’abitudine di obbedire; sia le tesi
normativistiche del diritto sostenute da Kelsen che esprimono in
forma coattiva le norme giuridiche e quindi in grado di imporre
solo obblighi e divieti. Nella teoria hartiana non tutto il diritto è
riconducibile ad ordini: alcune regole riguardano l’attribuzione di
poteri relativi al diritto di decidere, giudicare, trasferire titoli. Il
diritto secondo Hart è dato dall’unione di due tipi di norme: gli
ordini (norme primarie) come non uccidere, che indicano i comportamenti da tenere; e i poteri (norme secondarie) come il tribunale locale competente in materia di omicidi, tali norme forniscono ai soggetti privati o pubblici dei mezzi per realizzare i loro obiettivi. Gli imperativisti come Kelsen errano nel porre
l’attenzione solo alle norme primarie. Una particolare norma secondaria è proprio la norma di riconoscimento che indica i criteri
per individuare come valide le norme primarie.
Secondo Hart un giudizio di validità si può esprimere solo sulla
base dell’accettazione della norma di riconoscimento. Hart afferma che l’ordinamento giuridico si fonda su due condizioni minime
necessarie e sufficienti: l’obbedienza, e l’accettazione ed esecuzione. L’obbedienza è dovuta alle norme primarie da parte dei
privati. Per quanto riguarda gli operatori pubblici è richiesta
l’accettazione ed esecuzione delle norme secondarie. Secondo
Hart solo ai giuristi e ai teorici del diritto è richiesto un atteggiamento esterno moderato con compiti descrittivi.
275
H.L.A. HART, Il concetto di diritto, Einaudi, Torino 1991, p. 291.
118
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6. La teoria dell’osservazione di Luhmann, a priori di un diritto
funzionale, a posteriori della Grundnorm (CARLA BUONAMANO)
Politica, economia, antropologia filosofica, diritto: queste le
discipline che danno un apporto significativo alla vita sociologica
e giuridica di Luhmann276. Di ispirazione parsonsiana277, propone
una teoria generale della società moderna partendo dalla dottrina
del funzionalismo e criticandone la concezione della conservazione, dell’integrazione e dell’adattamento del sistema in termini non
rigorosamente funzionali ma piuttosto casuali: alla stessa esigenza
nell’ambito di un sistema possono esserci diverse soluzioni per cui
il rapporto tra la presenza di una determinata esigenza ed il suo
soddisfacimento non è un rapporto casuale. È questa una critica in
termini di «equivalenze funzionali»278.
Rispetto alla prevalente sociologia contemporanea che pone
l’individuo al centro del problema sociologico, Luhmann riporta
l’attenzione e focalizza la sua teoria attorno al sistema sociale.
Mentre la prima osserva il diritto dal di fuori, il giurista lo osserva
dal di dentro. Luhmann segue solo i vincoli del suo sistema che
può, ad esempio, richiedere ricerche empiriche. Anche il giurista,
a sua volta, obbedisce solo alle connessioni del suo sistema, ma
questo sistema è il diritto stesso.
Anche se «allievo» di Parsons ne trascende la descrizione sistemica per giungere all’affermazione pragmatica dell’idea di funzionalismo sistemico applicato coerentemente alla costellazione
dei sistemi sociali e in particolare al sistema di funzioni giuridico279.
Ed è proprio in quest’ottica che avvia le sue argomentazioni
sulla complessità della società – sinonimo di confusione o di disorganizzazione, se non intervenisse la semplificazione attuata attraverso la riduzione sistemico-funzionale. I sistemi emergono
276
Tra le sue opere ricordiamo: Struttura della società e semantica, Sistemi
sociali fondamentali. Fondamenti di una teoria generale; La differenziazione
del diritto. http://it.wikipedia.org/wiki/Niklas_Luhmann
277
http://it.wikipedia.org/wiki/Talcott_Parsons
278
Si veda http://www.simone.it/catalogo/v213_4.pdf
279
L. AVITABILE, Le forme del funzionalismo giuridico in Interpretazioni del
funzionalismo giuridico, Napoli 2010.
119
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dalla complessità (e di essa si nutrono pur semplificandola) mediante un’osservazione reciproca che provoca la differenziazione
funzionale. La cornice dalla quale parte Luhmann è la teoria sistemico-funzionale: tutto è un sistema, la stessa costellazione dei
sistemi sociali rappresenta un sistema. Così come noi organizziamo la nostra vita – perché è disordinata e la semplifichiamo riducendo il molteplice al semplice – anche Luhmann parte da un presupposto disordinato che deve essere ordinato (organizzato) e lo fa
in modo funzionale. Questa complessità è figlia di un’evoluzione
storico-sociale che con il tempo ha reso la stessa più complessa
delle sue precedenti implicando la formazione di sistemi differenziati al suo interno (es: nelle società di oggi il diritto, la morale, la
religione costituiscono sistemi autonomi nell’ambito della stessa
società mentre nelle società arcaiche era pressoché impossibile distinguere tra i suoi diversi aspetti).
Il diritto, nell’ottica di riduzione della complessità sociale, ha il
compito di imporre delle limitazioni alle innumerevoli scelte possibili da parte degli individui proprio per ridurre quella complessità sociale.
Viviamo quindi in una società complessa, con una pluralità di
sistemi, di elementi, che si combinano tra loro. Per attuare la relazione tra gli elementi è necessaria una selezione ossia una riduzione della complessità del sistema. Questo è possibile attraverso
la differenziazione dei sistemi in sotto-sistemi, a partire dalla distinzione tra sistema e ambiente: «un sistema è differenziato
quando forma in esso sottosistemi, cioè forma al suo interno una
nuova distinzione tra sistema e ambiente»280.
Il sistema giuridico consiste nella effettiva selezione e realizzazione delle possibilità offerte dall’ambiente che ha come scopo la
riduzione della complessità, fondamentale per la sopravvivenza
dell’uomo.
Ogni sistema, inoltre, necessita dell’emersione al suo interno
oltre che di una funzione anche di un codice binario che ha due
versanti: diritto o non diritto. Tale codice assegna ad uno dei due
poli denominato diritto le aspettative normative sottraendole, attraverso l’operatività funzionale della terzietà giuridica (legislato280
L.AVITABILE, Diritto e osservatore, cit., p.262.
120
a.a. 2012-2013
re), alla sfera di appartenenza delle aspettative cognitive ascritte al
polo non diritto.
In tale situazione, peculiare è il concetto di osservazione: è, infatti, l’osservatore, inserito nel mondo, che opera differenziazioni.
L’osservazione è un’adeguarsi all’ambiente circostante, è
un’operazione. Si serve della distinzione per poter individuare un
oggetto da un altro. È definita come un modo specifico di operazione, che viene generata ogni volta che un sistema, sulla base di
una distinzione, può ottenere e trasformare informazioni. Quindi
ogni osservazione e ogni descrizione deve poggiare su una distinzione. Per poter designare (evidenziare, tematizzare) deve poter in
primis distinguere. Essa nel distinguere qualcosa dal tutto designa
oggetti. Se invece distingue qualcosa da determinati controconcetti (e non altri) designa concetti. La differenziazione comporta che all’interno di una società vi sia la formazione di alcuni
fondamentali sottosistemi: l’economia, la famiglia, la scienza, la
politica, ecc.
Ognuno ha un particolare strumento di comunicazione: ad esempio quello dell’economia è il denaro, della famiglia è l’amore,
della scienza è la verità.
L’osservazione, inoltre, viene compiuta da un osservatore che
il sistema distingue in osservatore di primo grado e osservatore di
secondo grado. È osservatore di secondo grado chi osserva quello
di primo grado che a sua volta ha già osservato procedendo a distinguere, designare ed asimmetrizzare. È invece osservatore di
primo grado chi effettua una distinzione di due versanti scegliendone uno e non l’altro. L’osservatore di secondo grado, osserva
anche la questione della successione nel tempo delle operazioni da
osservare, creando una gerarchia dovuta al prima che orienta il
dopo/poi, ma non il futuro. Però, secondo Luhmann, se
nell’osservazione di secondo grado ciò che viene osservato dipende da chi lo osserva, tutto diventa contingente (qui ed ora)281.
L’osservatore di secondo grado non dispone soggettivisticamente
di ciò che osserva perché dipende da chi viene osservato, ossia è il
materiale osservato dal primo osservatore e non qualcosa di già
dato. Questo significa che nell’osservazione di secondo grado non
281
L.AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit., p.140.
121
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c’è rapporto tra l’osservato e la realtà osservata, bensì tra
l’osservatore (di secondo grado) e l’osservatore di un altro osservatore (quello di primo grado).
L’osservazione consente di designare ed identificare degli oggetti, distinguendoli l’uno dall’altro, e di discernere all’interno di
un sistema i processi che gli appartengono attribuendo loro una
finalità.
La distinzione iniziale è fondamentale affinché si possa avere
osservazione ma al tempo stesso costituisce un limite, una «macchia cieca»282, in quanto è l’unica a non poter essere osservata. Ad
essa non può essere applicata alcuna distinzione perché è autopoietica. La macchia cieca viene considerata da alcuni come «l’a
priori di ogni operazione di osservazione»283, un inizio autoposto,
una condizione che non si lascia osservare nemmeno
dall’osservatore di secondo grado che può solo valutare quali distinzioni ha operato l’osservatore di primo grado, ma nessuna operazione di distinzione può distinguersi ed osservarsi. Per farlo sarebbe necessaria un’ulteriore osservazione che comunque opera
ciecamente e quindi non potrà distinguersi ed osservasi. Si potrebbe così procedere all’infinito. L’osservatore nell’osservare
parte sempre da un «da dove» ossia dall’inizio dell’operazione e
nel momento in cui inizia e si rapporta con chi incontra dovrà effettuare una distinzione ossia designare i due versanti: quello interno (che è rappresentato da ciò che viene distinto) e quello esterno (che è la parte restante) per poi procedere ad asimmetrizzare.
Riportando tutto questo nel sistema diritto potremmo considerarlo come il giudice, osservatore di secondo grado, che osserva il
legislatore, osservatore di primo grado perché osserva per primo i
materiali da trattare e da ascrivere ad uno dei due poli del codice
diritto o non diritto.
Non meno importante è l’auto-osservazione ovvero
quell’operazione che osserva qualcosa a cui anch’essa appartiene
e peculiarmente deve essere compatibile con la riproduzione degli
elementi. In particolare l’auto-osservazione partecipa direttamente
282
283
Ivi, p.141.
Ibid.
122
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alla riproduzione autopoietica284 e, così facendo, incide sullo sviluppo di ulteriori operazioni rappresentando un momento di dinamismo, anche se, ponendosi all’interno del sistema non può osservarlo interamente ossia influire sulla riproduzione delle altre operazioni che prescindono da essa. Le auto-osservazioni servono ad
un sistema per informare se stesso e trarne così nuove conoscenze
restando però legate alla singola operazione dell’osservare285.
7. Il giurista nella teoria sistemico funzionale (NANDO
SCHIAVI)
Luhmann precisa che le persone, non gli esseri umani, hanno
un carattere, attraverso il quale è possibile regolare quali motivi
possono essere loro ascritti in modo più o meno plausibile. La
macchina storica del sistema può cambiare i motivi che vengono
ascritti alle persone286.
I sistemi sociali si pongono alla base dell’ordinamento, al fine
di giustificarne l’esistenza. Ogni sistema trova la sua giustificazione in una o più funzioni.
Attraverso l’osservazione, emergono i confini individuati dalla
funzione propria di un sistema e si assiste così al passaggio
dall’uomo come soggetto a uomo come osservatore287.
L’osservazione consente di identificare gli oggetti e discernere
all’interno di un sistema i processi che gli appartengono, inoltre è
possibile identificare le relazioni causali tra interno ed esterno e
attribuirne una finalità. L’osservazione è sempre bidirezionale e
mai univoca288.
Il giurista si pone alla stregua di un osservatore rispetto ai sistemi sociali. Dall’interno si individuano i meccanismi che produ284
Sistema che ridefinisce continuamente se stesso.
Ivi, p.143.
286
J. HABERMAS, Il pensiero post-metafisico, Bari, 2006, p. 77.
287
A. ZACCAGNINI, Antropologia giuridica e antropologia funzionale, in I-lex,
Scienze giuridiche. Scienze cognitive e intelligenza artificiale, Riv. quadrimestrale on line, 2010, p.348.
288
N. LUHMANN, La funzione del mercato del diritto, economia e giustizia, Torino, 1999, p. 23.
285
123
a.a. 2012-2013
cono le relazioni con l’esterno, mentre se il sistema è osservato da
fuori, ciò che diviene oggetto di attenzione è il rapporto con
l’ambiente289.
Luhmann distingue tra osservatore di primo grado e osservatore di secondo grado. Il legislatore è un osservatore di primo grado,
il quale attraverso la sua attività designa l’argomento e procede
all’elaborazione della testualità legislativo-normativa. Il giudice è
l’osservatore di secondo grado, il quale non dispone di ciò che osserva, poiché il suo osservare coincide con l’osservare del legislatore. È dunque assente un rapporto diretto tra l’osservatore di secondo grado e la realtà osservata da quest’ultimo.
Luhmann evidenzia come nei sistemi di civil law è presente un
interprete che applica una regola già osservata dal legislatore (osservatore di primo grado) infatti, in tali ordinamenti, ispirati ai
modelli francesi dell’ottocento, la fonte principale è la legge, conseguentemente a ciò il legislatore appare come cardine del diritto
e ai giudici viene deferita l’esclusiva funzione di applicare la legge; nei sistemi di common law, che hanno matrice anglosassone, i
giudici prima di applicare una regola devono procedere ad una distinzione tra caso precedente e caso presente, questo perché il
suddetto modello non si fonda su di un sistema codicistico, bensì
sul carattere vincolante del precedente giudiziale, mutatis mutandis dovrebbero essere i giudici a svolgere, di norma, la funzione di
osservatore di primo grado ma così non è perché in una cultura
dell’accertamento attenta, come quella che si sviluppa nei sistemi
di common law la soluzione del caso viene demandata ad un livello di osservazione di secondo grado in cui occorre guardare come
hanno deciso gli osservatori osservati.
Il giudice non può fare a meno del legislatore per compiere la
sua osservazione, così come il legislatore non potrebbe operare
senza il giudice, del quale Luhmann tiene in considerazione solo
le funzionalità rispetto al sistema stesso. La decisione del giudice
è la sintesi meccanica tra la fattispecie astratta e concreta. Il legi-
289
A. ZACCAGNINI, Antropologia giuridica e antropologia funzionale, in I-lex,
Scienze giuridiche. Scienze cognitive e intelligenza artificiale, Riv. quadrimestrale on line, cit., p. 345.
124
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slatore crea fattispecie astratte sulle quali opera il giudice per risolvere i casi concreti.
L’osservatore è terzo, poiché Luhmann nella teorizzazione dei
sistemi opta per il codice binario che consente una scelta solo tra
due opzioni «diritto-non diritto», che il giudice è deputato ad attivare, sebbene sia non detentore di alcuna verità. Il magistrato interpreta asetticamente, spogliandosi delle proprie idee e convinzioni per decidere in modo impersonale ed indipendente. Questa
impostazione Luhmanniana comporta la preclusione di ricerche
più approfondite sul senso di giustizia, relegando tutto nell’ angusto spazio del sistema binario diritto-non diritto, si assiste così alla
trasposizione dei modelli della biologia e della scienza nella sociologia e nello studio del diritto, ciò ha comportato il venir meno
della definizione del giudice come terzo ed imparziale che viene
sostituita dall’«operatore delle tecno-norme» che viene addestrato
per servire il fondamentalismo funzionale. Nel quadro della teoria
sistemica qui prospettata mancano profili che consentano di analizzare la condotta dell’ uomo e di studiare le intenzioni individuali. Sul punto, autorevole dottrina290 afferma che si assiste al passaggio dall’Io della parola al Me delle funzioni, spegnendosi così
gli interrogativi sul bene e sul male , sul giusto e sul non giusto.
Riassumendo, Luhmann, nella sua teoria sui sistemi si pone
come un osservatore esterno degli stessi, strutturati come autopoietici e come meccanismi volti alla mera sopravvivenza.
Studiare il sistema diritto è molto importante anche per gli altri
sistemi, compreso l’uomo, perché sono proprio i sistemi a porsi
come base e giustificazione dell’esistenza del sistema diritto.
L’uomo è un sistema biologico, base e destinatario delle norme,
con funzione di sopravvivere nella società complessa, ma scevro
della capacità di autodeterminarsi.
La funzione che Luhmann attribuisce al diritto è strettamente
legata alle norme. È proprio tramite quest’ultime che il diritto trasforma le aspettative da cognitive in normative, in modo sia da
mettersi al riparo da attacchi di altri sistemi, sia di tutelarli.
290
B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo “perfetto”, Torino, 2006.
125
a.a. 2012-2013
8. In direzione della teoria dell’argomentazione giuridica
(SERENA LONARDO)
Rispetto alla prevalente sociologia contemporanea che pone
l’individuo al centro del problema sociologico, Luhmann riporta
l’attenzione e focalizza la sua teoria attorno al sistema sociale.
Nella teoria dell’argomentazione giuridica, esposta da Luhmann,
sono trattati l’uso e la funzione dell’argomento giuridico, cioè,
l’elemento a cui risalire alla ratio della norma. Luhmann discute di
argomenti atti a garantire il funzionamento del sistema, ognuno
dei quali rappresenta un simbolo idoneo ed esprime la validità del
diritto vigente strutturalmente connesso con la questione della
temporalità. Nel caso del sistema diritto l’argomento è simbolo
della sua validità. La stessa norma, che può essere considerata il
prodotto finale di una serie di argomenti, ha una struttura simbolica aperta al futuro, dimensione temporale in cui ci si aspetta che
venga rispettata, poiché quando il legislatore la emana prevede i
comportamenti futuri degli individui, cercando di assorbire nel
presente l’incertezza e di creare stabilità: «le norme sono quindi
strutture che stabilizzano aspettative di comportamento»291.
Nella trattazione della teoria dell’argomentazione giuridica, intesa nel senso di raccomandazione di argomenti adeguati per i
procedimenti, a Luhmann non interessa la qualità dell’argomento
posto a fondamento quanto l’utilizzazione di una tesi (argomento)
che sia orientata in modo adeguato per un determinato procedimento, in grado di giungere ad una soluzione finale, positiva o negativa non importa, ma funzionale al sistema, e di fornire elementi
attraverso cui giungere ad una decisione con riguardo a ciò che è
conforme o meno al diritto. In tal modo viene preso in considerazione solo ciò che avalla il funzionamento del sistema giuridico,
facendo cadere quanto è contrario al diritto. Gli argomenti sono
prodotti delle operazioni sistemico-funzionali e simboleggiano, la
validità del sistema diritto, «il diritto non può essere né vero né
falso, può soltanto essere valido», a prescindere da ogni riferimen291
A. MACERATINI, Procedura come norma, Riflessioni filosofico- giuridiche
su N. Luhmann, Torino,2001, p.114.
126
a.a. 2012-2013
to qualitativo di selezione, orientato verso i soggetti del sistema
diritto. Non sono rilevanti i contenuti, la qualità delle proposizioni
giuridiche, è essenziale la connessione autoproduttiva di operazioni. La validità è rinvenibile nello sistema giuridico a cui non si
richiede altro che di svolgere efficacemente la funzione di regola
sociale292. La validità del diritto in Luhmann diventa l’unità del
sistema stesso, attraverso le sue operazioni svolge una funzione
operativa che permette di passare da un’operazione all’altra, rendendo possibili i riferimenti ricorsivi che alimentano il sistema.
Nel momento in cui il sistema giuridico produce al suo interno argomenti, si rivengono diversi tipi di collegamenti, di referenze,
instaurate dal sistema stesso con l’esterno ed al suo interno: in
primo luogo, dall’ambiente esterno si assumono materiali e si assimilano
informazioni,
input,
(apertura
informativa/eteroreferenza); in secondo luogo, le informazioni vengono analizzate ed elaborate dal codice binario, riducendo in tal modo la
complessità e rendendo il sistema in grado di operare assegnando
il materiale al valore positivo o negativo del codice (chiusura operativa/autoreferenza; infine le informazioni vengono reimmesse
nell’ambiente sotto forma di decisioni, ovvero output. Si crea una
specificità che genera una parcellizzazione del sistema giuridico e
allo stesso tempo una complessità293,dovuta al «fatto che non tutti
gli elementi di tale unità possono essere contemporaneamente in
relazione tra loro»294. Per attualizzare le relazioni tra gli elementi,
è necessaria una selezione, una riduzione della complessità del sistema.
Secondo Luhmann questo è possibile quando «una struttura di
relazioni tra elementi viene costruita in un minor numero di relazioni in un particolare sistema»295.
Essa avvia la differenziazione dei sistemi in sotto-sistemi a partire dalla distinzione sistema/ambiente e non elemento/relazione
292
Ivi,pp.140-142.
L. AVITABILE, Forme del terzo nel diritto, Giappichelli, Torino, 1998, pp.
96-101.
294
C. BARALDI G. CORSI E. ESPOSITO, Luhmann in glossario, i concetti fondamentali della teoria dei sistemi sociali, Milano, 1990,p.67.
295
Ibid.
293
127
a.a. 2012-2013
come la complessità. In Luhmann il principio è il funzionamento
della funzione e la nascita dei sistemi è data per differenziazione
funzionale.
Secondo Luhmann la complessità raggiungibile da un sistema
dipende dalla «forma» della sua differenziazione. Sebbene esista
una relazione tra complessità del sistema sociale e quella del sistema giuridico, quest’ultimo se ne differenzia nonostante assolva
una funzione per l’intero corpo sociale, ne rappresenta solo un sotto-sistema pur rimanendo in relazione al primo al fine di attuare
una adeguata selezione delle possibilità ambientali e complessità
del sistema giuridico, tale da mantenerlo in vita stimolata da fattori esogeni (dalla complessità ambientale) senza elementi endogeni. Quindi «un sistema è differenziato quando forma in esso sottosistemi, cioè forma al suo interno una nuova distinzione tra sistema e ambiente»296.
Per Luhmann non si applica, nella tecnica argomentativa sistemico-funzionale, il sillogismo (premessa maggiore, premessa
minore e conclusioni), ma tutto viene condensato dall’interprete
negli exempla a partire dai quali la norma appare come il prodotto
finale di una serie di argomenti, un’adequatio priva del momento
interpretativo-qualitativo che comporterebbe tempo e costi sociali.
Secondo Luhmann la struttura normativa deve essere conforme alla ‘differenziazione funzionale’ della società, in modo tale
da non bloccare la chiusura operativa e l’autonomia dei sottosistemi, rendendo possibile che essi restino legati alla società.
L’argomento e l’argomentazione non si sviluppano de toto ad ipsum, ma de parte ad partem che non è il metodo della gerarchia
ma della eterarchia dei sistemi, in modo tale che l’argomento sia
succinto, immediato e soprattutto immediatamente comunicabile.
Si può affermare che l’argomentazione è la combinazione di tre
operazioni
fondamentali:
operazione/osservazione,
autoosservazione/etero-osservazione,controverso/incontroverso.
Attraverso l’auto-osservazione il sistema diritto reagisce alle
differenti opinioni passate, prevede e anticipa quelle future, ricorrendo al codice diritto- non diritto, come quando si realizza la fattispecie del furto che, anticipando concettualmente quella astratta
296
L. AVITBILE, Diritto e osservatore, Milano,1998, p. 262.
128
a.a. 2012-2013
informa il destinatario, avviando oltre l’auto-osservazione anche
l’etero-osservazione di fronte alla quale il sistema deve interpretare le norme e la realtà circostante. A tal proposito, Romano afferma che «il sistema diritto “disprivilegia” l’omicidio ed il furto,
quando entrano in contraddizione con il perdurare efficace della
funzione del diritto verso gli altri sistemi»297, non perché essi costituiscono una lesione, ma in quanto «minaccia del mantenimento
autoreferenziale della vita sistemica». In Luhmann non esiste una
forma monolitica dell’argomentazione, essa è sempre a due versanti, controverso-incontroverso di cui il secondo deve prevalere
per far funzionare il sistema ed evitare che ci siano questioni che
possano metterlo in discussione.
L’argomentazione giuridica è considerata un aggiustamento
della realtà giuridica, disponendo di un apparato normativo, il giurista deve aggiustare per il caso concreto senza porsi domande sui
principi o sulla differenza tra giusto/non giusto. Luhmann considera l’argomentazione giuridica elemento essenziale del sistema
giuridico e il diritto un sistema finalizzato ad una determinata funzione 298.
In ogni ordinamento c’è una norma fondamentale «definibile
come un atto», momento mistificato dell’atto, quando la norma
fondamentale diventa astratta, forma che si impone su tutto, facendo così rispettare le procedure della norma fondamentale. Atto
mistificato in fatto (viene imposto il fatto del più forte).
Secondo Luhmann la norma fondamentale è un reticolato, da
atto astratto diventa di qualcuno imponendosi con la forza e diventando funzionale299. L’argomentazione giuridica è stata elaborata da Luhmann e deve essere intesa come« razionalizzazione a
posteriori del testo» attraverso la quale farlo funzionare elidendo
le incoerenze, servendosi dell’argomento che funge da intermediario tra le premesse e le conclusioni. Il testo non deve funzionare
esclusivamente sotto un punto di vista sintattico-grammaticale, di
quale se ne occupa la procedura normativa ma deve inserirsi coe-
297
B.ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, p. 212.
Lezione di Teoria dell’interpretazione del 26 marzo 2013.
299
Lezione di Teoria dell’interpretazione del 15 aprile 2013.
298
129
a.a. 2012-2013
rentemente all’interno di tutta la testualità dell’ordinamento giuridico, ossia il diritto vigente.
Nell’ambito dell’argomentazione giuridica la testualità riveste
un ruolo rilevante perché senza non potrebbe esserci argomentazione.
9. Il ruolo del giudice quale osservatore all’interno della logica funzionale (EMANUELA TEDESCHI)
Luhmann, di fronte alla crescente complessità e variabilità della società moderna, nel tentativo di spiegarne e semplificarne il
funzionamento, ha elaborato la teoria sistemico-funzionale,
all’interno della quale la società stessa è ridotta ad una serie di sistemi tra loro omogenei: la società rappresenta dunque una concatenazione di sistemi sociali.
In questa dimensione, i sistemi, funzionanti secondo criteri orientati a mantenere l’equilibrio dei vari elementi che li compongono, si inseriscono in un contesto complesso e multidimensionale
(il sistema sociale complessivo), all’interno del quale ogni sistema
risulta in grado di incidere sul resto a seconda della sua misura,
concorrendo così al funzionamento del sistema globale; ogni singolo sistema, che caratterizza e arricchisce la costellazione dei sistemi sociali, è dotato di una sua peculiare funzione capace di distinguerlo: ogni sistema funziona perché funzionano le altre funzioni. La premessa comune è l’osservazione: «i sistemi emergono
dalla complessità (e di essa si nutrono, pur semplificandola) mediante un’osservazione reciproca che provoca la differenziazione
funzionale»300: in virtù di questa differenziazione funzionale,
all’interno del sistema società, emergono fondamentali sottosistemi (l’economia, il diritto, la famiglia, la politica…), dotati di
specifiche competenze rispetto al sistema da cui si sono differenziati, con un conseguente aumento della complessità interna che
controbilancia la crescente complessità del loro ambiente esterno;
dunque i sistemi che garantiscono la sopravvivenza sono i sistemi
300
L. AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010,
p.125.
130
a.a. 2012-2013
sociali funzionalmente differenziati, le cui operazioni interne sono
indifferenti agli stimoli provenienti dall’ambiente sociale che li
circonda; la comunicazione tra sistemi avviene attraverso la reciproca produzione e il conseguente flusso di programmi condizionali da un sistema all’altro. Luhmann si serve del concetto di autopoiesi, per indicare le capacità del sistema di auto-crearsi, di organizzare se stesso in rapporto ad esigenze che sorgono al suo interno, producendo da solo gli elementi di cui è costituito (cd. autoproduzione, auto-osservazione).
In questa visione anche il diritto è considerato come un sistema, in grado di distinguersi per la sua particolare funzione immunitaria, rivolta a curare le patologie e a risolvere le controversie
del corpo sociale; il sistema normativo si configura, così, funzionale al corretto funzionamento degli altri sistemi e quindi capace
di «far funzionare, immunizzandola, la costellazione degli altri sistemi sociali (i mercati, la politica, la religione, l’economia,
ecc.)»301.
Nella selezione della complessità attraverso la logica sistemico-funzionale, il sistema diritto, come ogni altro sistema, è dotato
di un codice binario, diritto-non diritto, che seleziona tutti i materiali e le informazioni provenienti dagli altri sistemi, ascrivendoli
ad uno dei due versanti nel pieno rispetto della logica binaria.
I sistemi sono eterarchici, ponendosi tutti sullo stesso piano,
ma ciascuno al suo interno necessita di una struttura gerarchica.
Al centro del sistema normativo abbiamo la legislazione e la giurisdizione: i parlamenti e i tribunali costituiscono l’egoità del sistema302; in questo ambito possiamo distinguere due tipologie di
osservatori che il sistema distingue in «osservatore di primo grado» (il legislatore) e «osservatore di secondo grado» (il giudice)303:entrambi, quali espressioni della terzietà giuridica, operano
secondo una logica meramente funzionale304.
301
Ivi, p.123.
Cfr. L. AVITABILE, corso di Teoria dell’interpretazione, aa. 2012/2013, appunti della lezione del 27 marzo 2013.
303
ID., Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit., p.141, «L’osservazione
consente di identificare degli oggetti e di discernere all’interno di un sistema i
processi che gli appartengono, identificare relazioni causali tra interno ed esterno e attribuire una finalità»;cfr. ID., Forme del terzo nel diritto, Torino, 1998,
302
131
a.a. 2012-2013
Nel sistema concepito da Luhmann il concetto di terzo del diritto è sottoposto ad un radicale processo di trasformazione, determinato dalla diffusione nella società contemporanea del sistema
del cd. fondamentalismo funzionale, che comporta quale conseguenza immediata l’asservimento del diritto ad una funzione: la
funzione è quella della contingenza in cui la giustizia giuridica si
dissolve nella legalità e il terzo quale mero osservatore si limita a
consacrare la funzione del più forte, «legalizzando» le operazioni
vincenti «nel fluire dei rapporti tra i diversi sistemi sociali»305.
Con la trasformazione del diritto nella società complessa, nella riflessione del sociologo tedesco, il giudizio è posto in essere da un
terzo-giudice che nella sua veste di mero osservatore «è solo un
elemento escluso-incluso»306, una figura di terzietà «dove
l’esclusione e l’inclusione costituiscono un metodo funzionale
all’efficacia dell’intero sistema e non una garanzia giuridica»307,
un terzo semplice spettatore dei rapporti tra i vari sistemi sociali,
funzionale alla contingenza, non imparziale e disinteressato ma
antigiuridico308. In questa dimensione il diritto perde la sua struttura triale che vede l’incidenza essenziale del terzo-altro, individuato appunto nel giudice e finisce per modellarsi, nella visione di
Luhmann, secondo una struttura duale che è propria di ogni operazione biologica o informatica: ciò che emerge, è quindi, una terp.116: «nell’ambito della teoria sistemica, ogni giudice è secondo non solo rispetto al legislatore, ma anche rispetto allo stesso sistema, non decide in prima
persona, ma secondo la direttiva del sistema e i materiali passati dal legislatore».
304
Ivi, p.122: «La tesi che ambienta la concezione è “la funzione della funzione
è la funzione”, riferita a tutti i sistemi sociali, che, come quelli biologici, sono
ritenuti sistemi di funzione, ovvero, centrati su una specifica, diversificata funzione».
305
Ivi, in nota p.34.
306
ID., Forme del terzo nel diritto, cit., p.109, « e questo per la semplice ragione
che dovendo argomentare di programmi condizionali e codici si deve comunque sostenere la ragione secondo la quale il codice binario del sistema esclude
il terzo come elemento operativo del codice, ma allo stesso tempo è costretto ad
includerlo in quanto elemento di programmazione, che attiva uno dei poli del
codice stesso».
307
ID., Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit., p.126.
308
Ivi, p. 38 ss.
132
a.a. 2012-2013
zietà giuridica ridotta a terzietà «fittizia» che pende dalla parte di
chi riesce ad imporsi in modo esclusivo attraverso la realtà della
legge del più forte.
Nella società complessa così individuata, il terzo-giudice «decide esclusivamente perché si trova davanti ad un paradosso non
superabile» che Luhmann così descrive «c’è una decisione quando
si dà qualcosa di principalmente non decidibile. Altrimenti la decisione sarebbe già decisa e dovrebbe soltanto essere conosciuta»309. La decisione sistemica, integralmente ambientata nella
temporalità del presente, perde i caratteri tipici della sentenza
classicamente considerata310 e viene ricondotta a semplice operazione del sistema, all’interno del quale tutta l’attività giurisdizionale, quindi «sarebbe un’attività paradossale che argomenta
l’indecidibile e che non si manifesta fin quando vi è il successo
operazionale, diventando evidente solo in caso di conflitto perché
manifestata dal dovere di decidere»311.
Nel giudizio funzionale, così come concepito da Luhmann,
dunque la controversia è intesa come una contraddizione, «una disfunzione nella rete dei sistemi»312, che emerge ed è decisa nella
contingenza; non c’è alcuna necessità di un contraddittorio, in
quanto non sono i soggetti che si confrontano e controvertono,
non è il terzo-giudice a formulare la sentenza, ma «è il sistema a
presentare la contraddizione»313e il giudice, non più super partes,
«rinuncia al suo ruolo giuridico e lascia che sia il sistema a decidere attraverso il ripristino del successo operazionale»314: la giustizia, dunque, viene svincolata dal necessario riferimento alla libertà di un soggetto, in grado di scegliere le proprie condotte in
modo indipendente, e viene ricondotta ad un mero automatismo,
legato al concetto di differenziazione funzionale, cui Luhmann riconduce ogni azione.
309
Ivi, p.127.
Ibidem: «la decisione sistemica è priva di un’argomentazione essenziale che
conduca alla motivazione della sentenza, al contrario si avvale di argomenti
funzionali».
311
Ibidem.
312
L. AVITABILE, Forme del terzo nel diritto, cit., p.118 ss.
313
Ibidem.
314
ID., Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit., p.127.
310
133
a.a. 2012-2013
Seguendo questa direzione, il giudice, e più in generale l’uomo,
è relegato a mero transito delle operazioni sistemiche: siamo di
fronte all’uomo come entità biologica, mai imputabile, lontano
dall’uomo inteso quale «il chi della scelta»315, titolare di diritti universali ed incondizionati; in questo quadro, l’uomo perde la sua
centralità quale soggetto di diritto ed è sostituito dall’uomo come
mera entità macchinale, funzionante all’interno dell’organismo
sociale. Nella riflessione di Luhmann emergono concetti di giustizia e di terzietà anomali, del tutto lontani ed estranei a quelli finora conosciuti nel corso dei nostri studi che lasciano aperti degli interrogativi: è difficile, a mio modesto parere, considerare il diritto
solo come un sistema, all’interno del quale le leggi sono ridotte a
semplice manifestazione contingente della funzione del sistema
stesso; vi è una degradazione del ruolo proprio del giudice, non
accettabile, se si considerano quelle che sono le singole pretese
che animano quotidianamente le aule dei tribunali nella società
contemporanea. Tuttavia, la complessità della società ci impone
una riflessione più approfondita: infatti se rivolgiamo l’attenzione
verso la moderna società globalizzata, in continua evoluzione,
confrontandosi continuamente con emergenti realtà complesse e in
cui il denaro ha una forza pervasiva molto forte in ogni settore
della nostra vita, risulta forse più facile comprendere la soluzione
di Luhmann; per la forza immediata ed invasiva del denaro, il linguaggio numerico finisce per prevalere sul linguaggio umano, e,
come evidenzia lo stesso sociologo tedesco, tutto può diventare
facilmente «operazionabile». In un contesto sociale così delineato,
dunque, è dovere del giurista, oggi più che mai, rimanere fedele al
suo ruolo e, nella sua qualità di giudice, riportare in primo piano
la tutela dei diritti dei cittadini, recuperando così la dimensione
soggettiva del diritto, al fine di garantire una piena ed effettiva tutela giurisdizionale.
315
Cfr. L. AVITABILE, corso di Teoria dell’interpretazione, aa. 2012/2013, appunti di lezione 15 aprile 2013.
134
a.a. 2012-2013
10. Incondizionatezza interpretativa conveniente al diritto
(LUCA CAPRARA)
L’interpretazione – come non si è mancato di rilevare – è una
lettura, una comprensione, un chiarimento. In base al soggetto che
le compie è possibile ottenere diversi tipi di interpretazione: autentica, privata, dottrinale e giudiziale. Il giudice, nell’esercizio
della funzione giurisdizionale, interpreta la norma da applicare al
caso con efficacia “inter partes”, limitata esclusivamente alle parti
del processo. L’avvocato ad esempio fa un’interpretazione privata,
di parte, che è strumentale agli interessi del suo assistito e che potrebbe soggiacere ad interpretazioni che potrebbero complicare la
situazione del suo cliente. Il giurista invece ha il dovere di interpretare con oggettività un testo, nella ricerca costante del giusto,
con terzietà imparziale ed incondizionata, restando estraneo a interessi di parte e valutando le cose con obiettività. Il legislatore,
nell’interpretare le norme vigenti per crearne dell’altre, fotografa
la realtà, una realtà fatta di norme e non di finalità che sono proprie; è terzo e «distante» dal testo che cerca di comprendere. Luhmann definisce il legislatore un osservatore di primo grado che,
attraverso l’osservazione designa l’argomento per procedere
all’elaborazione della testualità legislativa-normativa e lo seleziona in quanto conforme all’intera costellazione dei sistemi sociali,
disposti secondo un ordine funzionale per poi procedere alla formazione del testo. Quella invece posta in essere dal giudice, più in
generale dall’interprete, è sempre un’osservazione di secondo
grado dal momento che ciascuno di essi è chiamato ad osservare
testi pre-costituiti, ovvero testi il cui argomento è in un enunciato
normativo già formato (nel caso del legislatore la codificazione
storicizzata, nel caso del giudice le norme del legislatore)316.
L’interpretazione istituzionale deve essere una interpretazione
«giusta» e non irrazionale, che tiene conto delle diverse esigenze,
«dell’uguaglianza nella differenza» delle persone; e non invece
come troppo spesso accade, soprattutto in questo momento di crisi
316
L. AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010, p.
100.
135
a.a. 2012-2013
storica, dove l’imparzialità del legislatore è profondamente condizionata e servile alla politica del potere dominante. Nella seconda metà dell’ 800 il problema degli abusi legislativi era già stato
rilevato con grande acume da Benjamin Constant, che ne attribuiva buona parte della responsabilità alle teorie di Rousseau: questi
aveva elaborato una idea di legge frutto della partecipazione ininterrotta dei cittadini alla volontà generale, al quale è necessario
sacrificare totalmente l’indipendenza individuale. Per Rousseau
l’interesse particolare, le volontà particolari, rappresentano entità
pericolose poiché si oppongono alla volontà generale, che non è
semplicemente la somma delle volontà di tutti o della maggioranza, ma ne diviene una sintesi tenuta insieme dalla componente essenziale della moralità, che esprime la legge317. Il sovrano moderno invece, concepisce il diritto come funzione fondativa della dimensione politica: diviene strumento di espressione e di controllo
del potere, e si basa sempre più sulla legge, che a sua volta si configura come l’espressione della sovranità318. La modernità si compie dunque attraverso il primato della legge generale e astratta,
che garantisce eguaglianza, poiché tutti i soggetti sono trattati in
modo eguale319. In una critica al contrattualismo, questa si è rivolta prevalentemente alla concezione liberale dell’individuo come
soggetto incondizionatamente autonomo, capace di distanziarsi
riflessivamente dai propri fini e di fare astrazione dalla propria
concezione del bene per assumere un atteggiamento imparziale
nella scelta dei principi politici320. L’interpretazione della legge
non sarebbe utile laddove non comportasse un corrispettivo né al
giudice né al legislatore. È sempre necessario che l’interpretazione
sia funzionale a qualcosa, che accerti un significato della norma
più ampio di quello risultante dalla semplice interpretazione letterale, altrimenti l’interpretazione puramente letterale è soltanto
una esegesi estesa e l’attività dell’interprete sarebbe inutile. Il
funzionalismo nella ricerca giuridica prescrive di prendere in con317
P. GIORDANO, Note per un lessico giuridico, Napoli, 2008, p. 56.
P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma, 2007, p. 57.
319
F. NEUMANN, Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, 1973, p.
245 e ss.
320
M. BIANCHIN, Ragioni e interpretazioni, Roma, 2006, p. 145.
318
136
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siderazione non le norme o le declamazioni, ma le funzioni profonde degli istituti giuridici, ovvero i bisogni sociali che essi soddisfano321 o che dovrebbero soddisfare. Solo guardando da lontano il giurista può fare una proiezione universale della norma e
non particolare o servile agli interessi di pochi, perchè ognuno di
noi si aspetta e ha il diritto di trovare una propria posizione nel
giuridico. L’attività dell’interprete risiede nel tentativo di capire
cosa intendeva il legislatore, cosa intendeva perseguire e quali erano le sue originarie intenzioni, cercare di risalire alle premesse
argomentative adottate dal legislatore o più esattamente alla ratio
che lo stesso ha impiegato per seguire una tesi piuttosto che un'altra322. La sua attività non è completamente libera né arbitraria, ma
deve essere svolta secondo precise regole giuridiche: così come
esistono norme sulla produzione delle leggi, esistono anche norme
sulla interpretazione delle norme. Il senso comunemente impiegato del brocardo latino in claris non fit interpretatio pare bene conciliarsi con quella via interpretativa del diritto definito «chiuso» e
che vede in una utopica lingua perfetta la chiarezza che lo rende
intelligibile senza bisogno di alcuna operazione ulteriore. In tal
senso viene spesso chiamato in causa come mirabile esempio di
applicazione del brocardo il Code civil francese del 1804 che sancisce l’obbligo per il giudice di giudicare secondo il testo codicistico «chiaro» e «completo», lo obbliga a considerare il sistema
giuridico come completo, senza lacune, senza antinomie, e come
chiaro, senza ambiguità che diano luogo a interpretazioni diverse.
A ben vedere sono proprio questi i presupposti del linguaggio
«chiuso» che regge il diritto «chiuso»323.
In tal caso, il codice è inteso come un insieme di norme da
prendere ed applicare al caso concreto e non come insieme di disposizioni da cui trarre le norme. L’attività interpretativa del giurista si esprime nell’ attribuire un certo significato ad un testo
normativo, ad una disposizione che non è mai chiara. Per Kelsen,
321
R. GUASTINI, Interpretare e argomentare, Milano, 2011, p. 400.
L. AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010, p.
101
323
M. D. CANANZI, Interpretazione Alterità Giustizia. Saggio sul pensiero di
Paul Ricoeur, cit., p. 138.
322
137
a.a. 2012-2013
nell’attività di interpretazione, il rapporto tra grado normativo superiore e grado normativo inferiore, così come quello tra Costituzione e legge ordinaria, non è mai frutto di una determinazione
completa ma lascia sempre un margine di potere discrezionale che
deve essere riempito con un atto di «volontà» e non di conoscenza
da parte dell’interprete. L’interpretazione consiste nello svolgere
un’attività, quella che attribuisce ad un testo giuridico un significato che ne costituisce il prodotto, poiché presupposto e funzione
dell’attività interpretativa è la pluralità e la novità delle interpretazioni, dei risultati; non è dunque un’azione meccanica, ma è
l’espressione di un procedimento complesso. Bisogna guardare alla terzietà del diritto mettendo da parte l’utile, il tornaconto, ed
«aprire» la norma nella ricerca di una verità che deve essere di tutti.
12. La funzione contingente dell’homo juridicus (GIOVANNI
VITALETTI)
Come già elaborato nelle pagine precedenti, negli anni ’60 Luhmann riprese e rielaborò la teoria parsonsiana, detta strutturalfunzionalista, poiché Parsons si proponeva di individuare la struttura di fondo della società e di comprenderla mostrando le funzioni assolte dalle sue parti324. Il sistema era inteso come un insieme
interrelato di parti che è capace di autoregolazione in cui ogni parte svolge una funzione necessaria alla riproduzione dell’intero sistema, sviluppando una nuova teoria sistemica. Egli assunse come
punto di partenza la complessità del mondo e identificava la funzione fondamentale dei sistemi nella riduzione di tale complessità325. La teoria dei sistemi di Luhmann apre prospettive completamente diverse, l’analisi della teoria stessa descrive la funzione
del diritto come una struttura di aspettative generalizzata in modo
congruente326 dove vengono descritti i modi attraverso i quali nella comunicazione sociale si pratica e si afferma la selettività pro324
ROBERTSON, Elementi di sociologia, Zanichelli, Bologna 1992.
N. LUHMANN, Soziologie als theorie sozialer systeme,vol. I, pp. 113-117.
326
P. L. Di VIGGIANO, Forme dell’evoluzione del diritto, Lecce, 2011, p. 35.
325
138
a.a. 2012-2013
pria della struttura giuridica. Tale prospettiva permette all’analisi
sistemica di descrivere le forme della differenziazione del diritto
nella evoluzione generale della società e di osservare il diritto
senza dover utilizzare le finzioni proprie della scienza giuridica.
Alla base della nascita dei sistemi sociali, secondo Luhmann, vi è
una duplice contingenza327. Con questo concetto egli fa riferimento alla situazione sperimentata da almeno due attori che si confrontano con l’interdipendenza328 dove la contingenza rappresenta
il punto di partenza di un sistema sociale ove si possono distinguere tre aspetti: l’informazione, che è il messaggio; l’atto di trasmissione del messaggio e l’interpretazione del messaggio da parte di
un attore329.
Dato che gli attori cercano costantemente di collegare la propria comunicazione con quella degli altri attori, ciò porta alla creazione di sistemi sociali formati da comunicazioni continue e
dunque in questo senso l’ordine nasce dal rumore330, per questo
postula una comunicazione ordinata con essi. Le interazioni e i sistemi sociali formati da interazioni non possono avere carattere
stabile e duraturo, in quanto la complementarietà degli interessi
può realizzarsi solo in misura limitata e la costrizione basata su un
potere superiore genera sempre un contro-potere. Tra attori che
agiscono liberamente solo il consenso su valori e norme condivisi
può fornire le basi per un ordine sociale più stabile e duraturo. I
valori comuni fungono da criteri per valutare le attività sociali e
costituiscono altresì i fondamenti di legittimazione di norme più
concrete in grado di guidare l’interazione sociale. Valori e norme
danno al sistema una struttura specifica e ne definiscono i confini
rispetto nell’ambiente. Ciò significa che esiste un consenso di
fondo sul tipo di azioni che possono essere attese in una situazione
in cui gli attori attribuiscono la loro interazione ad un sistema sociale. Ad esempio il sistema sociale rappresentato da un’economia
nazionale sussiste solo finché gli attori economici rispettano determinate regole relative alla competizione sul mercato, alla pro327
N. LUHMANN R. DE GIORGI, Teoria della società, ,Milano, pp. 340-400.
LUHMANN, Sistemi sociali, cit., pp. 148-190.
329
Ivi, pp. 66-67 e 191-241.
330
Ivi, p. 172.
328
139
a.a. 2012-2013
prietà privata, al contratto e allo scambio. Esistono diversi tipi di
sistema sociale secondo Luhmann: in primo luogo i sistemi di interazione, che richiedono agli attori la disponibilità reciproca; in
secondo luogo i sistemi di organizzazione, basati
sull’appartenenza; in terzo luogo i sistemi funzionali come
l’economia, la scienza, la politica e il diritto, che presuppongono
attori le cui azioni sono interdipendenti con riguardo alla soluzione di un problema funzionale specifico, come la gestione di risorse scarse, il progresso della conoscenza, la formazione di decisioni
collettivamente vincolanti o l’interpretazione e l’applicazione della legge; in quarto luogo, infine, la società, il sistema più ampio di
tutti, che dispone di una quantità massima di risorse sociali per la
propria autoproduzione e riproduzione. Egli adotta una prospettiva
evoluzionistica, postula un passaggio dalla differenziazione segmentaria delle società primitive formate da unità eguali – famiglie
e clan – alla differenziazione gerarchica dei ceti nelle società tradizionali e infine alla differenziazione funzionale delle società
moderne. Queste ultime sono formate da sottoinsiemi specializzati
come l’economia, la politica, il diritto e la scienza, che sono preposti all’assolvimento di funzioni specifiche operando in modo
autopoietico. Per Luhmann la duplice contingenza è una fonte potenziale di caos. Egli ritiene che la funzione del diritto consiste
non nel ritenere che la normativa giuridica costituisce orientamento stabile e sicuro per l’azione, ma nel fatto che essa è una normativa contingente, la quale può essere continuamente diversa. Anche se può sembrare paradossale, il diritto produce solo insicurezza e la funzione d’ordine che si realizza attraverso il diritto è data
proprio dalla stabilizzazione di questa insicurezza. A tal proposito,
nei primi anni ’80, Luhmann ha una svolta teorica considerando i
sistemi sociali come sistemi autoreferenziali e autopoietici, che
riproducono i propri elementi a partire da se stessi331, a tal fine essi debbono stabilire un codice binario che consenta loro di tracciare una distinzione (lecito e non lecito).
331
Ivi, pp. 57-67 e 593-646.
140
a.a. 2012-2013
Essendo per Luhmann il diritto un sistema che ha la funzione
di stabilizzazione sociale e di rendere armonici i vari segmenti
mutevoli della società attraverso la generalizzazione congruente
delle aspettative normative di comportamento, esso svolge la sua
funzione secondo criteri binari (lecito o non lecito, legale o illegale), dove la congruenza garantisce la funzionalità del diritto sul piano sociale, temporale, materiale. La generalizzazione immunizza
il diritto dai rischi di continua problematizzazione332
11. Il ruolo del Parlamento, quale osservatore di primo grado,
nel sistema diritto (CARMELINA CAPPELLI)
Osservando la realtà, Luhmann prende atto della complessità
che la caratterizza ed avverte allo stesso tempo la necessità di operare un tentativo di semplificazione, elaborando così la teoria sistemico-funzionale. Partendo dalla distinzione sistema/ambiente,
giunge alla scomposizione del sistema in una pluralità di sottosistemi333, i quali sono tutti: posti in maniera eterarchica tra di loro
(in cui cioè manca un organo centrale, un vertice); aventi i caratteri dell’autopoiesi e dell’autoreferenzialità; e ciascuno titolare di
una propria funzione. Tra i vari sistemi Luhmann individua il diritto, anche questo autopoietico – nella misura in cui ha la capacità di auto-crearsi, di organizzarsi in funzione ad esigenze che sorgono al suo interno e per questo confinato in se stesso nonostante
abbia, tramite la comunicazione, interferenze con l’esterno – ; autoreferenziale e con funzione immunitaria. Come ogni sistema anche il sistema diritto, per sopravvivere ha bisogno si sviluppare
dei meccanismi che abbiano come finalità quella di «organizzare
la complessità» e risolverla, non a caso, all’interno di ogni uno di
essi è garantita la presenza di un codice binario dotato di due sistemi selettivi, diritto-non diritto, l’uno speculare rispetto all’altro
a cui il legislatore – in qualità di osservatore di primo grado che
si pone rispetto ai problemi giuridici in un’ attesa normativa – a332
P. L. DI VIGGIANO, Forme dell’evoluzione del diritto, cit., p. 36.
M.V. VECCHIO, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010,
p.133.
333
141
a.a. 2012-2013
scrive, dopo aver recepite, le informazioni e le comunicazioni che
provengono dall’esterno. Le relazioni inter-sistemiche si hanno
grazie al flusso operazionale, il quale crea dinamicità, e che si
configura come un flusso dotato di un versante in-put e di un versante out-put, in questo modo in ogni uno di essi si verificherà un
momento di apertura verso l’esterno, detto momento informativo,
e un momento di chiusura per le organizzazioni interne , detto
momento operativo.
Tra le varie operazioni sistemiche, è opportuno che si ponga
l’accento sull’osservazione. Per Luhmann osservare non significa
altro che adeguarsi all’ambiente circostante, indicativo di
un’azione che è connotata da dinamicità. L’attività osservativa,
però implica che ci sia un oggetto da osservare, osservando si distingue e secondo Luhmann distinguendo ho la possibilità di semplificare il molteplice ossia la complessità, facendolo in chiave
funzionale. La stessa osservazione permette l’individuazione e la
nascita di un nuovo stato sistemico. All’interno del sistema diritto,
Luhmann individua un doppio grado di osservazione334. Esiste un
osservatore di primo grado – il legislatore – ed un osservatore di
secondo grado – il giudice. Entrambi assolvono ad una funzione
additiva della terzietà che in essi si storicizza, in reciproca posizione di eterarchia, ogni uno ha autonomia e competenze proprie e
nessuno può invadere il campo altrui Il parlamento riveste, quindi
nella visione luhmanniana, il ruolo di osservatore di primo grado,
che attraverso l’osservazione individua e seleziona gli argomenti
che provengono da altri sistemi (ambiente) da usare a fondamento
del procedimento di formazione della testualità giuridiconormativo. In questa procedura di formazione l’aspettativa sociale
– avente puramente carattere cognitivo – muta in aspettativa normativa ed il legislatore funge da mero transito, assumendo la
veste di «camera di commutazione» in cui l’argomento selezionato assume forma e l’enunciato normativo si incardina nel testo.
L’analisi che il legislatore compie nei riguardi delle istanze cognitive porta a far sì che la possibilità astratta, rappresentata
dall’ansia di giustizia, si trasformi in una realtà giuridica data da
una testualità materialmente percepibile e comunicabile. La stabi334
Ivi, p. 139.
142
a.a. 2012-2013
lità precaria e controfattuale che esige l’aspettativa viene equilibrata attraverso la forma scritta. La norma quindi – quale prodotto
finale di una serie di argomenti – si caratterizza per una struttura
prettamente simbolica indirizzata verso il futuro, dimensione temporale in cui ci si aspetti che venga rispettata, poiché il legislatore
nel momento dell’emanazione prevede i comportamenti futuri degli individui, cercando e assorbire nel presente l’incertezza del futuro che in esso appare come rischio. La norma, quindi, quale
struttura che stabilizza un’aspettativa di comportamento generalizzata335, non può promette una condotta conforme al suo dettato
anche se tutela colui che questa conformità si aspetta, in quanto la
possibilità di delusione non può essere del tutto eliminata
dall’attività trasformativa del legislatore. Nell’osservare il materiale veicolato dal flusso operazionale che proviene all’ambiente,
il legislatore pur commutando in normative quelle che tra le aspettative cognitive ritiene siamo maggiormente meritevoli di tutela,
non può assicurarne la conformità dei comportamenti futuri poiché l’individuo – destinatario elettivo della norma – conserva
l’arbitro di scelta nel decidere se rispettare o meno la stessa, ma
anche perché la norma essendo contaminata da riferimenti alla
realtà nel presente può diventare inadeguata per il futuro a causa
di una cambiamento delle relazioni causato alla dinamicità stessa
della società. Non a caso, pensare che la stabilità delle aspettative
possa dipendere da segni linguistici significa avere una percezione
ridotta del diritto. È indubbio che la norma, frutto dell’opera di
conversione del legislatore, crei certezza su un determinato comportamento, limitando numericamente le possibilità di violazione,
ma questa non è garantita in assoluto, poiché la libertà di scelta
riconosciuta in capo all’individuo rende attuale il rischio di una
delusione insita nella violazione della stessa, che darà poi luogo
all’attivazione di una procedura volta alla reintegrazione del danno ma che non potrà del tutto eliminare il rischio futuro della delusione stessa. Il diritto diventa quindi, un vincolo temporale che
stabilisce in quali aspettative ci sia un fondamento sociale e in
quali no, con la garanzia che quandanche fossero deluse, la loro
335
A. MACERATINI, Procedura come norma, Riflessioni filosofico-giuridiche su
Niklas Luhmann, Torino, 2001, p. 114.
143
a.a. 2012-2013
validità verrà difesa giuridicamente. La possibilità di delusione,
può però anche avere per lo stesso legislatore, un risvolto positivo
poiché rappresentativa di una istanza di modifica adattativa della
norma.
Ricordando che quando si presenta la necessità di una modifica
giuridica, il legislatore deve evitare non solo la produzione di effetti retroattivi ma anche una tutela in misura maggiore del destinatario che risulta colpito dalle decisioni assunte in sede di modifica. La sicurezza dell’aspettativa contenuta nella norma si dice
che «fa attendere alle delusioni della vita quotidiana con maggiore
tranquillità»336. Occorre sottolinvare come il legislatore,
nell’esplicare la sua attività, ponga la norma non solo come limitativa di condotte ma la stessa può assumere anche la funzione di
abilitare il destinatario ad una condotta che senza di essa non sarebbe assolutamente realizzabile. Nella concezione di Luhmann, il
testo giuridico una volta che è stato predisposto e stabilizzato dal
legislatore, offre la possibilità che la procedura con cui è stato
creato ,gli interessi considerati dal suo autore, e l’autore stesso,
possano essere dimenticati poiché una volta cristallizzato, non è
più in possesso di che lo ha redatto ma è rispetto a questo terzo e
la sua forma può dar luogo ad una continua ri-osservazione del diritto con l’aiuto di nuove distinzioni. Il testo così predisposto dal
legislatore viene osservato dal giudice. In ragione di ciò
l’argomento utilizzato dal legislatore per formare la legge è osservato per la seconda volta, ma l’enunciato normativo non è più suscettibile di formazione poiché è divenuto terzo, e può essere solo
interpretato senza poter subire variazioni formali. Soltanto quando
l’intero sistema viene osservato da un osservatore di secondo grado si produce la vera chiusura del sistema stesso. È opportuno
puntualizzare come nella visione dello studioso la norma prima e
la decisione poi, possono essere solo valide337. Non possono essere né vere né false ma semplicemente valide e la loro validità dipende dalla loro conformità a procedimenti giuridicamente vinco-
336
N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 116.
N. LUHMANN, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Milano,
1995, p. 145.
337
144
a.a. 2012-2013
lanti. Le norme hanno una validità «fino al successivo»338 si sperimentano solo come qualcosa di contingente, esse sono vissute e
gestite come proiezioni temprali. Il legislatore – in qualità di osservatore – è libero di determinare nel momento, scelto per questo, quale diritto sia valido e quale no, dove la «non validità» non
ha valore proprio, ma serve solo di riflesso per chiarire la portata
della validità come simbolo di stabilità del sistema. Della contingenza, che caratterizza la funzione del legislatore, è responsabile il
sistema politico. Infatti, sempre di più oggi il diritto posto dal legislatore tenta di divenire un mezzo per realizzare fini politici, le
stesse norme giuridiche si convertono in un sedimento politico, e
cedendo alla pressione della stessa, il legislatore si addentra in
maniera sempre più decisa in ambiti prima liberi dal diritto. Si
precisa poi, che mentre in ordinamento democratico il parlamento
ha una responsabilità perché può commutare l’aspettativa cognitiva solo se questa tende al giusto, nella visione di Luhmann il legislatore non ha nessuna responsabilità, poiché nel disciplinare le
aspettative non dà rilevanza alla qualità delle stesse. Sebbene nella
sua visione originaria, Luhmann vede il sistema diritto pienamente
autonomo, durante il periodo di maturità le suo pensiero non può
negare che lo stesso abbia un «accoppiamento strutturale» con il
sistema politico. Oggi sempre di più la funzione del legislatore è
corrotta dall’intromissione politica, tanto che la stessa attività di
stabilizzazione non può essere operata se non da un legislatore che
sia politicamente autorizzato e la stessa promulgazione della legge
può essere registrata come esito politico.
Si sottolinea come sebbene al mondo del diritto non appartenga
il consenso, si può oggettivamente costatare che senza nessuna
forma di consenso la norma non può essere imposta, per questo
motivo è necessario mutuare una porzione di consenso dalla politica che permetta di dotare di forza coercitiva il dettato legislativo.
Quindi si ha che il potere – mutuato dalla politica – si trasforma
in coercizione e il consenso in obbedienza alla norna mediante la
sanzione. Le istanze che provengono dalla politica richiedono di
essere recepite e rielaborate339, provocando cosi un enorme impat338
N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 526.
145
a.a. 2012-2013
to sulla funzione originaria del legislatore, e le norme giuridiche
in cui esse vengono incardinate diventano sedimento di una politica passata generando così l’impossibilità di realizzare le aspettative poste dalla politica presente.
Diventa evidente, in questa visione, la necessita di un continuo
cambiamento, il quale riduce notevolmente la validità temporale
delle norme.
13. La sentenza ingiusta e il diritto artificiale (VALERIA
MARROCCO)
«Una persona ha la responsabilità morale di disobbedire a delle
leggi ingiuste». Cosi si esprimeva Martin Luther King340 in una
delle sue lettere durante la prigionia a Birminghan, parole che
senza dubbio scuotono l’animo umano, e che lasciano non pochi
spunti di riflessione. Bisognerebbe interrogarsi innanzi tutto su
cosa debba intendersi per «legge ingiusta». Una legge, una sentenza, o un qualsiasi atto normativo è definito ingiusto quando viola norme che predispongono il proprio processo formativo, la loro genesi, o nel contenuto che esse dispongono, coincidente con
un codice che una maggioranza impone su una minoranza, senza
che la maggioranza ne sia vincolata. Questa è una diversità legalizzata.341Secondo Agostino342 una legge ingiusta non è una legge.
Dovrebbe ritenersi giusta quando tende a rispettare l’apriori, ricercando il giusto e la dimensione della terzietà343. Tuttavia è innegabile che la percezione del giusto non sia determinabile e catalogabile, in quanto essa è direttamente influenzabile dalle caratteristiche che assumono i vari ordinamenti giuridici. Da sempre nelle
varie epoche storiche si sono succedute applicazioni di leggi ingiuste, emblematiche senza dubbio furono le condanne emesse
340
M. L. King, Lettera dal carcere di Birmingham, Alabama 16 aprile 1963.
Ibidem, «L'ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque».
342
AGOSTINO, il libero arbitrio, casale Monferrato 1983
343
L. AVITABILE, Lezione di teoria dell’interpretazione informatico giuridica,
Cassino 27 marzo 2013.
341
146
a.a. 2012-2013
dalla santa inquisizione. Ma non occorre andare così a ritroso nel
tempo giacche simili violazioni continuano a palesarsi tuttora. Sia
la dimensione del giusto che dell’ ingiusto sono ascrivibili
all’uomo, in quanto male ed ingiusto sono ad esso imputabili, e
derivano dunque da una scelta responsabile perché consapevole.
Bene, male, giusto, ed ingiusto sono concetti che appartengono
all’ uomo e mai possono e devono essere rapportati al sistema biologico. In tal senso non è da sostenersi la teoria della cibernetica e
giuri metrica secondo cui non si avrebbe alcuna differenza ontologico-qualitativa tra il cervello umano ed elettronico, e quindi
l’unica linea di discrimine sarebbe da rintracciarsi nel supporto fisico, dove promanano intelligenza umana ed artificiale. Iniziatore
di questa scuola di pensiero, che vede attraverso l’utilizzazione
dei metodi, e delle scienze esatte, l’applicazione dell’informatica
al diritto fu N.Wiener. Considerato il padre della cibernetica egli
fu il primo ad ipotizzare un possibile collegamento tra cibernetica
e diritto. Successivamente i suoi studi furono ripresi ed ampliati
da Alan Turing ideatore del test di Turing344, per determinare se
una macchina sia in grado di pernsare, sviluppare un ragionamento logico. Nel medesimo contesto G.Schubert effettuò uno studio
sull’analisi comportamentistica dei giudici della Corte suprema
statunitense, come possibile modello scientifico di previsione delle decisioni giudiziarie345. Secondo le supposizioni di G.Shubert
344
V. FROSINI, Informatica diritto e società, Milano 1988: “Il test di Turing,
definito anche “gioco dell’imitazione”, a tre partecipanti: un uomo A, una donna B, e una terza persona C. Quest’ultimo tenuto separato dagli altri due deve
stabilire in base a delle domande quale sia l’uomo e quale la donna. Al tempo
stesso A deve tentare di ingannare C e B deve aiutarlo. Affinchè C non possa
essere aiutato da alcun indizio, le risposte che egli riceverà saranno dattiloscritte o similarmente trasmesse. Il test si basa sul presupposto che una macchina si
sostituisca ad A. Se la percentuale di volte in cui C indovina chi sia l’uomo e
chi la donna simile prima e dopo la sostituzione di A con la macchina, allora la
macchina dovrà essere considerata intelligente dal momento che, in tal situazione, sarebbe stata indistinguibile da un essere umano. Finora nessuno ha mai
superato il test”.
345
In particolare G.Schubert affermava che: “mediante l’analisi quantitativa
delle decisioni adottate dalla Corte, e la conseguente riduzione delle stesse in
termini statistici di frequenza, sottoponendo tali indicatori al calcolo delle pro-
147
a.a. 2012-2013
sarebbe stato possibile ottenere delle sentenze da un giudice elettronico, sul banale presupposto che una macchina, considerata
senziente ed intelligente, possedesse lo stesso grado di scernimento dell’essere umano. Sulla scia di tali supposizioni furono condotti numerosi esperimenti, emblematico fu quello condotto nella
prima metà degli anni 60, presso l’accademia delle scienze
dell’Urss346. Successivamente, dopo l’iniziale ondata di euforia, la
teoria del diritto artificiale e della giuri metrica furono aspramente
criticate e fortemente messe in dubbio da numerosi autori, di cui
J.R. Searle, il quale sosteneva che le macchine e i computers fossero in grado solamente di simulare e riprodurre soltanto i processi intellettuali, rappresentando dei simulacri, essendo, secondo
quanto sosteneva V. Knapp, dotati solo di mera capacità di sintassi e non di capacità semantico-dialettiche. Muovendo dalla concezione buberiana soltanto l’essere umano è capace di prendere le
distanze da se stesso, soltanto l’essere umano può diventare colpevole, rischiando se stesso e la propria colpa, soltanto l’uomo è
capace, differenziandosi dai meri sistemi biologici, di relazionarsi
con se stesso e con l’altro nella dimensione dialogica, recuperando
quella condizione che lo eleva da tutti gli altri esseri viventi, nella
continua ricerca di senso. Non bisogna tuttavia rischiare di cadere
in semplificazioni eccessive, in quanto non è l’intelletto umano
che lo eleva dal dato biologico. Le qualificazioni della coscienza,
non possono essere riconducibili sic et simpliciter ad operazioni
che riguardano la conoscenza, che si risolvono in esecuzioni di
operazioni dettate da impulsi elettrici provenienti da un cervello.
Se cedessimo a questa banalizzazione, risulterebbero vane tutte le
critiche mosse alle teorie del diritto artificiale, e alla giuri metrica.
Se si accettasse tale impostazione dunque, non vi sarebbe, a livelbabilità, era possibile ricavarne una tabella contenente le previsioni delle future
decisioni.
346
“In particolare si trattava di accertare se un lavoratore(Seleznev), assunto per
un mese in sostituzione di altro lavoratore temporaneamente assente per giustificato motivo, il quale si era dimesso per inadempimento delle leggi sul lavoro
ad opera dell’autorità datoriale, lo avesse fatto o meno nel rispetto dei termini e
delle condizioni di legge. L’elaboratore accertò che il licenziamento sarebbe
dovuto avvenire il 16 marzo 1962 e non il 15 marzo 1962 come nella realtà avvenne”.
148
a.a. 2012-2013
lo teorico alcuna difficoltà a sostituire il giudice terzo ed imparziale, con una macchina, risultando anzi sicuramente più efficiente, essendo privato di quella peculiarità umana che è il pathos. Invero questa ricostruzione potrebbe essere accettata se si negasse
quella condizione fondamentale che vede nell’uomo, solo e soltanto in esso, quel particolare processo di formazione della volontà, costituito dal formarsi di una coscienza volitiva libera, costitutiva e cristallizzatrice di un’intenzione, a cui fa seguito
un’esecuzione. Tra queste fasi vi è l’apposizione di un’intervallo,
generato per le riflessioni, e per interrogarsi sulle questioni di senso. Tutto ciò è assente negli animali, e nelle macchine artificiali,
essendo la risultante delle loro azioni. A sostegno di tale tesi può
essere utile l’esempio fornito da Kant347, il quale osserva come
l’atto estremo del suicidio sia assente negli animali. Nell’Io
dell’uomo, al contrario, essendo presente questo intervallo, vi è la
qualità dell’intenzione, voluta e scelta, che diviene la genesi della
sua esclusiva imputabilità, ed è per questa ragione, che l’Io non
può essere ridotto a mera attività conoscitiva, e le questioni di
senso non sono riducibili ad operazioni del conoscere. Soltanto
l’uomo, in definitiva, in quanto emancipazione dal dato biologico,
costantemente impegnato nell’interrogarsi sulle questioni di senso,
è dotato di capacità di scernimento, che si ricollegano alla manifestazione di volontà, capaci di delinearne il cammino nella ricerca
del giusto, orientandolo verso la scelta del bene o del male, del
giusto e dell’ ingiusto.
14. Essenziali elementi storici della funzione del legislatore
come interprete (EMANUELE DI STEFANO)
La figura del legislatore, che in Luhmann rappresenta
l’osservatore di primo grado, nel corso del tempo non è sempre
stata rappresentata da un unico organo, infatti un esempio evidente può essere quello della storia italiana nel passaggio dallo Statuto Albertino all’attuale Costituzione dove il ruolo del legislatore
dapprima era assegnato alle figure del Re e delle due Camere (Se347
I. KANT, La religione entro i limiti della sola ragione, cit., p.28.
149
a.a. 2012-2013
nato del Regno e Camera dei Deputati) e successivamente con
l’entrata in vigore della Costituzione del 1948 alle due Camere:(Senato della Repubblica e Camera dei Deputati). In merito al
tema, filosofi come J.J.Rousseau e Montesquie dibattono sull’ argomento con teorie contrastanti, pur essendo il primo, allievo della scuola di pensiero di quest’ultimo, egli però se ne discosta in
quanto propone una visione diversa riguardo la sovranità348; per
entrambi essa è indelegabile dal potere sovrano, raffigurando il
ruolo del Legislatore nella volontà sovrana del popolo e ripudiando qualsiasi norma proveniente da una fonte diversa
dall’assemblea rappresentativa. Rousseau se ne discosta riguardo
ai mezzi, che non possono consistere nella separazione dei poteri,
ma nel controllo costante del popolo sovrano sull’esercizio dei poteri; Costui istituisce le norme, non crea il diritto, ovvero non crea
l’affermazione o la negazione tra il giusto (rispetto) e l’ingiusto
(esclusione come violenza) e, pertanto, non è il creatore assoluto
dei contenuti normativi che differenziano il giusto dall’ingiusto349.
Nell’ordinamento attuale per quanto riguarda il rapporto ordinamento interno/diritto comunitario350, il ruolo fondamentale è svolto dai giudici interni degli stati membri all’Unione che hanno il
compito di interpretare regolamenti e direttive e verificare la compatibilità tra questi ed il diritto interno. Nel momento in cui esista
contrasto tra legge interna e legge comunitaria, una sentenza
dell’84 della Corte di Cassazione, ha stabilito che qualsiasi giudice interno possa disporre la disapplicazione della norma interna
contrastante. In merito alla figura dell’interprete, egli deve innanzitutto obbedire e attenersi alle leggi in quanto non detiene il diritto, inoltre se si limitasse a prendere atto delle procedure non sarebbe più interprete, ma semplice esecutore delle leggi perché
l’interpretazione richiede uno spirito più alto dell’esecuzione e
non di ridurre tutto ad una tecnica; egli elabora quindi un significato che non è dato nell’immediata lettura dell’enunciato, ma che
si raggiunge creando un senso empatico dal testo da destinare a
348
G. REBUFFA, Costituzioni e Costituzionalismi, Torino, 1990, pag. 76 ss.
L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 45.
350
G, ALPA, L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, Napoli,
2001, p..177 ss.
349
150
a.a. 2012-2013
perfetti sconosciuti in maniera che, qualora l’interpretazione testuale conduca ad un risultato non conforme all’intentio legislatoris è autorizzato a correggere in via ermeneutica la disposizione,
in modo da ricondurla all’interno dei binari tracciati dal potere politico. Si desume così che la radice dell’interpretazione è la comprensione, ma non tutti possono o sono liberi di farla, esistendo
ancora oggi ordinamenti giuridici in cui questa possibilità è limitata, negando così un’espressione di libertà. Non esiste un metodo
di interpretazione, esistono però tecniche a cui il legislatore deve
attenersi per poter scrivere le tesi rispettando alcuni elementi di
sintassi, ma nel ‘500 alcuni teoristi dell’interpretazione parlavano
di un metodo «giusto» dell’interpretazione. Se è vero che, interpretare significa ermeneutica e quindi comprendere il discorso
dell’altro, è anche vero che il legislatore deve leggere la società e
cercare di comprendere dove può collegarsi per avere di fronte a
se la priori della società.
Il giurista quindi nasce come studioso del diritto , ma con il
tempo definisce il proprio ruolo anche come intermediario sociale,
cioè interprete della volontà del potere sovrano, selezionando le
aspettative della gente che ritiene rilevanti e trasformandole da aspettativa cognitiva ad aspettativa normativa prendendo però in
considerazione solo quelle che hanno come fondamento obiettivi
universali ed incondizionati. Solo interpretando si mettono in luce
le iniquità in quanto interpretare una legge non significa modificarla ma permettere di individuare quella parte di essa che è iniqua, ma non tutti vedono allo stesso modo il ruolo dell’interprete,
in Luhmann infatti l’interpretazione non è qualificata, per lui è
come un’osservazione dove l’interprete non si avvale di ragioni
terze poiché obsolete, egli è “a servizio di” , si trova ad interpretare un testo che non è suo, ma di altri e svolge un ruolo di terzietà351 tenendo conto delle finalità a cui è destinato quel testo.
351
I. TRUJILLO, Imparzialità, Torino, 2003, p.. 279
151
a.a. 2012-2013
15. La terzietà della giustizia ed il diritto positivizzato
(ELISABETTA MERCADANTE)
La giustizia, come sottolinea Kojève, è una virtù sociale perché
rivolta ad una pluralità di persone ed ha la peculiarità di essere
soggettiva, perché appartiene all’uomo: solo l’uomo ha la possibilità ed il dovere di essere giusto.
Giustizia significa imputabilità, ma anche esercizio della pretesa alla tutela dei propri diritti. La critica che muove Jankélévitch è
in direzione di una giustizia che si rivela la giustizia della carta
bollata, del catasto, della polizia, che non può essere la giustizia
dell’uomo. In questo senso il principio di uguaglianza serve a dimostrare che la giustizia ha bisogno di una vera e propria uguaglianza per esprimere il proprio valore. Per Kojève e per Jankélévitch, la giustizia reale è una giustizia sintetica, una giustizia che
si fonda sul principio di equità, e scopre che le persone non sono
né uguali né ineguali, ma qualitativamente diverse. In tale contesto si inserisce il concetto di terzietà, che fonda il principio di uguaglianza e di equità, e li formalizza in un’amministrazione terza
rispetto alle parti.
Le differenze tra Jankélévitch e Kojève sono molteplici. In Kojève la giustizia è descritta attraverso i rapporti tra uomini posti
sullo stesso piano. Mentre Kojève analizza l’essenza fenomenologica del diritto e si intrattiene sui comportamenti umani, Jankélévitch analizza teoreticamente ciò che non si rivela ancora in una
prospettiva fenomenologico-comportamentista avvicinandosi alla
teoresi attraverso l’acumen-accuminis, la somma vetta, l’amore.
Egli descive la giustizia riferendola in modo continuativo
all’amore, e i suoi elementi di confronto sono la carità, il rispetto,
la tolleranza, l’altruismo estremo verso la prossimità, mentre per
Kojève, gli elementi di comparazione sono la morale, la religione,
la natura e l’economia. Kojève, inoltre, si sofferma sulla definizione di disinteresse ed imparzialità.
A questo stadio della riflessione, Sartre può essere definito il
mediatore tra le due precedenti tesi. Nella sua Critica della ragione dialettica Sartre scrive che la ragione dialettica supera l’ambito
della metodologia, perché ha come compito quello di dare un significato alle dimensioni del soggetto e dell’oggetto che sono in
152
a.a. 2012-2013
dialogo tra loro. In Sartre tutta la dialettica è attività che totalizza352.
In Esso la terzietà non si origina dal gruppo, ma possiede una
sua primitiva emersione seriale. Il terzo rappresenta un semplice
legame per le successive formazioni strutturali della terzietà, è il
mediatore che osserva da un’altra visuale ciò che accade allo stesso tempo a due soggetti.
Dopo aver analizzato i punti di vista di diversi filosofi messi a
confronto, possiamo dedurre che, la giustizia è una virtù sia individuale che sociale, individuale in quanto designa una certa disposizione dell’uomo giusto, sociale in quanto ha riguardo ai diritti
degli altri e suppone, necessariamente, la pluralità di persone. Anche Aristotele dice che la giustizia è virtù; giusto ed ingiusto suppongono il plurale delle monadi. Inoltre, essa non è solo soggettiva ed oggettiva, ma anche etica e speculativa, un modo di essere
dell’intelligenza353.
In questo panorama, la giustizia, intesa come posizione terza ed
imparziale, si pone in contrasto con il diritto positivizzato, in
quanto ciò che è legalmente corretto non necessariamente è giusto, equo ed imparziale. L’interpretazione giuridica filosofica, infatti, ha lo scopo di dimostrare, senza pretese di assolutezza, che il
diritto positivizzato cristallizza interessi ed esigenze di una determinata realtà storico-sociale, e che, molto spesso, in nome di esso
vengono legalizzate pratiche che prescindono del tutto dalla giustizia intesa come, equità, imparzialità, uguaglianza, libertà, solidarietà etc..
Infatti, la giustizia dei ruoli, che Jankèlèvitch denomina giustizia delle carte o giustizia di polizia, non può rappresentare, né costituire la terzietà imparziale e disinteressata, ossia neutrale.
La giustizia è il principio stesso del logos, essa è mediazione
tra gli istinti prevaricatori, e rinuncia a sfruttare l’occasione del
momento354.
352
J.P. SARTRE, Critica della ragione dialettica, vol. 1, Caruso, Milano, 1960,
p. 148.
353
Préliminaires à l’esthétique, pp. 217, 228, 231.
354
Oeuvres complètes, t. III: lettre de Mgr l’arcivescovo di Cambrai a Mgr vescovo di Meaux sulla carità.
153
a.a. 2012-2013
Il diritto positivamente statuito si differenzia dalla validità convenzionale di usi e costumi per il fatto di non poggiare su forme di
vita abitudinarie e tradizionali, bensì sulla fattualità che è artificialmente prodotta dalla minaccia di sanzioni giuridicamente definite ed azionabili in tribunale. Per contro la legittimità delle leggi
si commisura sulla riscattabilità discorsiva della loro pretesa normativa di validità, e quindi, dipende dal fatto che esse siano giustificabili da un punto di vista pragmatico, etico e morale. Positività
del diritto significa un complesso di norme statuite che creano uno
strato artificiale della realtà sociale, tale complesso di norme esiste solo in vista di essere revocato, essendo modificabile o abrogabile in tutti i suoi elementi. In realtà il diritto trae la sua forza
vincolante dall’alleanza che la positività giuridica stringe con la
pretesa di legittimità.
Una giurisprudenza orientata ai principi deve giudicare, in un
dato conflitto, quale pretesa o quale azione sia giusta, non bilanciare tra loro beni e porre in relazione valori. A nessun livello del
processo decisionale, il potere politico, può legittimarsi sulla base
del diritto che esso stesso produce355.
16. Il ruolo dell'interprete tra l'arte interpretativa e la funzione
argomentativa nel diritto (STEFANIA SCHETTINO)
La comprensione dei testi giuridici muove da un processo che
mira a raggiungere una forma di conoscenza: senza tale processo
conoscitivo, detto interpretazione, non v'è diritto356. In tale prospettiva, il testo normativo è dato al destinatario non come soggetto passivo di tale consegna ma perché egli lo possa afferrare: il
contenuto non si forma nel momento della produzione del testo da
parte del legislatore poiché, una volta prodotto, il testo deve essere
recepito da parte del destinatario, l'interprete. Evidente è il legame
tra il testo e l'interprete nel quale gioca un ruolo fondamentale l'interpretazione, intesa come «l'incontro tra una oggettività da inter355
356
I. MAUS, op. cit., p. 208.
Cfr. E. BETTI, Teoria generale dell'interpretazione, Milano, 1955.
154
a.a. 2012-2013
pretare e una soggettività interpretante»357. Ma che cosa si intende
per interpretazione? Interpretare è «capire il discorso anzitutto e
altrettanto bene, e poi meglio di quanto non lo capisse l'autore
stesso»358. Da tale definizione si evince la complessità dell'interpretazione come attività dialogica che non può ridursi a una struttura funzionale e meccanica: non è solo una mera argomentazione
giuridica, non corrisponde alle regole della logica tecnicista ma è
comprensione e comunicazione che presuppone un rapporto con
l'altro. Infatti l'interpretazione è ascrivibile al concetto di ermeneutica (da ερμηνεύω, comprendere, comunicare) intesa come
«l'arte di intendere giustamente un discorso fatto da un altro»359,
in tal senso l'attività interpretativa non è funzionale a se stessa né
autoreferenziale, in quanto sarebbe riduttivo ricondurla alle regoli
formali dell'argomentazione ma diventa un'arte perché crea un significato e concepisce una libertà di interpretazioni (che si aggiungono all'interpretazione autentica data dal legislatore). L'interpretazione è dunque un'arte, non riconducibile né ad una scienza né ad una tecnica che «non si esaurisce nel funzionamento delle
operazioni di un sistema fisico-biologico, ma creativamente pone
la questione del senso e negli itinerari di ricerca, in prospettive
non confinabili nelle sperimentazioni scientifiche»360. Infatti l'operato dell'interprete non è un'imitazione del metodo scientifico
ma una continua attività di comprensione della parola perché l’a
priori del diritto è costituito «non dalla legalità, ma dalla continua
ricerca del giusto come simbolo della possibilità della persona nella libera formazione della sua identità esistenziale»361. È evidente
dunque che l'interpretazione diventa ermeneutica (e non solo argomentazione) in quanto rappresenta uno sforzo di comprensione
che va al di là del testo normativo, ricercando la verità e garantendo la certezza e la terzietà del diritto. Da tale prospettiva ben si
357
F. MODUGNO, Interpretazione per valori e interpretazione costituzionale in
G. AZZARITI Interpretazione costituzionale, Torino, 2007, p. 52.
358
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, Milano 2000, p. 329.
359
Id., Dialettica, Torino, 2004, p. 82.
360
B. ROMANO, Il male e l'ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Torino, 2009, p. 19.
361
L. AVITABILE, Argumenta iuris. L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, in www.docente.unicas.it, p. 13.
155
a.a. 2012-2013
individua il ruolo dell'interprete, il quale non è un tecnico del diritto che lavora solo per il funzionamento del sistema e non si sofferma al dato letterale, ma ricerca l'intenzione del legislatore entrando in empatia con lo stesso. Il rapporto tra testo e soggetto interpretante è teso, dunque, verso la verità e, nello specifico, verso
una costante ricerca del giusto/non giusto, e questo fa' dell'interprete un'artista della ragione giuridica verso una costante creazione di senso. Il momento interpretativo, dunque, non è storico e
statico, legato alla contingenza dell'elaborazione normativa del testo, ma attivo e dinamico perché la parola non è un qualcosa di
preconfezionato e sfugge a ogni logica di dominio. Per questo
«l'homo juridicus non può dominare la libertà della parola»362,
perché la parola (da λόγος) diventa discorso, nel senso che non è
una mera esecuzione di qualcosa già dato, ma si trasforma perché
ogni lettura testuale è intrinsecamente interpretazione diretta alla
costruzione di un'identità. Perciò l'interpretazione non può essere
qualcosa di predeterminato, ma è un'attività che implica una dinamica relazionale e razionale che permette all'uomo di emanciparsi dalle regole già trovate e da un sedimentazione già data perché il diritto non è un formato, cioè dato una volta per tutte e perciò immutevole e insensibile al cambiamento ma è in formazione,
perché in costante evoluzione con la realtà nella quale opera.
L'interprete diventa un comunicatore del testo giuridico che esercita tale funzione come artista della ragione alla luce di criteri legati al sistema giuridico. In questa prospettiva l'interprete è indipendente dagli schematismi, libero dal puro tecnicismo delle strutture del sistema ma non dall'applicazione della norma: egli è vincolato non dalla lettera della legge ma dal suo spirito, dal suo significato nella globalità dell'ordinamento, nella realtà storica sulla
quale deve incidere363: in questo infatti egli non opera un rinvio
di senso del dato letterale ma va a interpretare e comprendere lo
spirito della legge, sfuggendo allo schematismo e al funzionalismo
362
ID., I "doveri" del giurista, le "critiche" della filosofia del diritto, dagli atti
della giornata di Studi di Filosofia del Diritto. 15 giugno 2011, Università di
Cassino, p. 52.
363
P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006,
citando V. FROSINI, La lettera e lo spirito della legge, Milano 1998.
156
a.a. 2012-2013
del sistema e ricercando il giusto, scavando nelle leggi per dare
alle leggi una ragione giuridica. L’interprete è l’artefice primo
della dinamica e della concreta esperienza giuridica, in quanto trasforma una disposizione – priva di qualsiasi significato, ma potenzialmente suscettibile di contenerne una enorme pluralità perché
in “attesa” di essere interpretata da un singolo operatore giuridico
– in norma, cioè, in sostanza, in significato: in altri termini
l’interpretazione non è un’attività meramente ricognitiva di significato, ma è un vera “arte creativa” che «restituisce al giurista la
sua qualità di artista non ‘formato dalle teorie dell’arte’, autore libero della propria interpretazione condizionata solo dalla ricaduta
sulla relazione interpersonale non impegnato a rendersi utilmente
servile di fronte a poteri dominanti»364.
17. La comunicazione in Luhmann (PASQUALINA POLIZZI)
Secondo la teoria dei sistemi sociali365, elaborata da Luhmann,
la realtà sociale non è costituita da individui, bensì da un insieme
di operazioni, dotate di dinamiche specifiche, non riducibili a qualità psichiche o biologiche, che danno luogo a entità a sé stanti (i
sistemi sociali, per l’appunto). Nella teoria luhmanniana il sistema
sociale è un sistema chiuso autopoietico e autoreferenziale, nel
senso che è in grado di costituirsi, ricostituirsi e autogestirsi. Dunque, diversamente dai sistemi biologici, che fondano la loro organizzazione sulla vita, i sistemi sociali fondano la loro organizzazione
autopoietica
sulla
comunicazione:
usano
la comunicazione come loro peculiare modo di autoriproduzione.366 In Luhmann è centrale il rapporto tra sistema e ambiente: è
364
L. AVITABILE, Argumenta iuris. L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, cit., p. 5.
365
La teoria dei sistemi sociali è un settore della teoria generale dei sistemi, essa si pone l’obiettivo di ridurre la complessità del mondo, al fine di poter controllare ed interpretare l’evolversi dei fenomeni socio-politici. La complessità
va ridotta mediante congetture schematiche capaci di cristallizzare il variare del
contingente.
366
N. LUHMANN R. DE GIORGI, Teoria della società, Angeli, Milano, 1992,
cap.1.
157
a.a. 2012-2013
ambiente tutto ciò che non fa parte del sistema. Quest’ultimo, per
poter sopravvivere, deve sviluppare complessità sue al fine di ridurre quelle dell’ambiente. Luhmann parte dalla premessa che i
sistemi sociali sono sistemi di comunicazione; la comunicazione è
la funzione per eccellenza del sistema: tutto ciò che è nel sistema
è reso possibile, solo ed esclusivamente, da una perenne comunicazione. Dunque, gli elementi primari di un qualsiasi sistema sociale non sono gli uomini, ma gli effetti della comunicazione, ovvero comunicazioni che producono altra comunicazione367. A differenza della concezione classica368, che concepiva la comunicazione esclusivamente come discorso, espressione e, quindi, come
azione, Luhmann, invece, elabora un concetto di comunicazione
che include anche colui che comprende, o meglio, che parte proprio da colui che comprende, accetta o rifiuta il contenuto della
comunicazione. Colui che comprende deve poter distinguere
l’intenzione e il contenuto della comunicazione: la comunicazione
inizia, dunque, da colui che comprende e non da colui che agisce.
Nella teoria dei sistemi sociali, la comunicazione è definita come
una sintesi di tre selezioni369: atto comunicativo da parte di ego;
osservazione (definita da Luhmann comprensione) dell’azione di
ego da parte di alter; informazione , intesa come un contenuto di
senso che si realizza dall’ incontro delle prospettive di ego e alter.
Dunque la comunicazione non si esaurisce nell’atto comunicativo.
Essa non è un tipo di azione, perché contiene sempre un senso più
ricco della sola trasmissione del messaggio; il compimento della
comunicazione, invece, implica necessariamente la comprensione,
che non è attività di colui che comunica. Il processo comunicativo viene sottoposto ad una sorta di inversione dell’ordine sequenziale del messaggio: è chi riceve che detiene la chiave di interpretazione e deve esercitare un controllo valutativo sulle intenzioni e
sui contenuti che hanno guidato l’emittente nella fase di codifica
dell’informazione. Affinché il processo comunicativo si realizzi, è
367
N. LUHMANN, L’autopoiesi dei sistemi sociali, Modi di attribuzione. Filosofia e teoria dei sistemi, Napoli, 1989.
368
V. FERRARI, Lineamenti di sociologia del diritto, I, Azione giuridica e sistema normativo, Roma/Bari, 1997.
369
N. LUHMANN, Sistemi sociali, cit.
158
a.a. 2012-2013
necessario, innanzitutto, che l’atto comunicativo di ego venga osservato da alter (la comunicazione richiede sempre che il messaggio raggiunga il destinatario). Ovviamente l’evoluzione dei
mezzi di diffusione, e in particolar modo di Internet, ne ha facilitato la realizzazione, consentendo di separare, sia sul piano spaziale
che temporale, l’atto esecutivo dalla comprensione370 In secondo
luogo, è poi necessario che l’atto comunicativo di ego venga osservato da alter come tale (per l’appunto, come atto comunicativo), piuttosto che come un segno non comunicativo. Il fatto di assegnargli un determinato significato dipende dalla conoscenza di
un complesso di segni dotati di specifici significati371.
18. Per conludere: interpretazione giuridica e Grundnorm, da
vincolo sostanziale a norma derogabile su base volontaristica
(ALESSANDRA D’ORAZIO)
La concezione kelseniana dell’interpretazione giuridica come «il
procedimento spirituale che accompagna il processo di produzione
del diritto nel nuovo sviluppo da un grado superiore ad uno inferiore regolato da quello superiore»372 si sviluppa a partire da una
costruzione a gradi dell’ordinamento giuridico, in cui ogni norma
trova la sua validità nella norma superiore, - e perciò deve esprimere una sua coerenza interna con essa - in un procedimento a
ritroso che conduce alla norma fondamentale373. Per tale vincolo
di coerenza la Grundnorm oltre a costituire il fondamento di validità dell’ordinamento giuridico rappresenta, altresì, la fondamentale direttiva interpretativa di una scienza giuridica pura, ossia si
afferma quale vincolo sostanziale nell’attività interpretativa per il
legislatore e per il giudice. Il pensiero kelseniano sull’ interpretazione giuridica, conchiuso nel VI capitolo della prima edizione
370
371
N. LUHMANN, R. DE GIORGI, Teoria della società, cit., p. 82 ss.
Ivi, p. 68 ss.
372
H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000, p. 115.
F. COTTONE, La teoria dell’interpretazione di Hans Kelsen. Un’ ipotesi di
ricostruzione, reperibile in www.giuri.unige.it, p. 92.
373
159
a.a. 2012-2013
della La dottrina pura del diritto del 1934, si discosta da quello
della dottrina tradizionale e postula una pluralità di possibili interpretazioni del dettato normativo all’interno di uno schema definito
dalla fonte superiore – Teoria della cornice. Secondo la dottrina
tradizionale invece il compito dell’interprete è quello di dedurre
l’unica interpretazione giusta (richting), come se essa scaturisca
dall’attività intellettiva del comprendere e dello spiegare, configurandosi così come atto della ragione e non come atto di volontà.
L’accettazione di tale tesi esautorerebbe la figura del giudice o del
legislatore, meri esecutori di una norma sovraordinata, facilmente
sostituibili, ove così fosse, dai moderni sistemi esperti. Kelsen diversamente riconosce una intrinseca indeterminatezza della norma
superiore ritenendo che esistano parecchi significati possibili attribuibili alla norma, purché coerenti con la norma sovraordinata.
Rispetto alla teoria tradizionale la teoria kelseniana presenta il
vantaggio di riconoscere la possibilità di più interpretazioni, e
quindi di asserire che è il contro-versum
il cuore
374
dell’interpretare ; tuttavia la teoria kelseniana sbocca in una deriva formalistica, visto che prescinde «dalla continua ricerca di
senso, dove, al limite, il dato normativo può costituire un quid ma
non un prius»375. In effetti nella costruzione teorica kelseniana che
poggia sulla Grundorm, norma autolegittimantesi ed autoreferenziale, e che si presenta come una sorta di divinità giustificatrice
dell’ordinamento giuridico vi sarebbe una sorta di deriva formalistica, disinteressata alla ricerca del giusto. Il procedimento interpretativo, definito negli scritti di Kelsen come “spirituale”376 o anche “intellettivo”,377 perché l’organo delegato (il legislatore o il
giudice) è chiamato a completare la norma attraverso
un’interpretazione discrezionale, sia pure limitatamente agli aspetti della norma stessa carenti di tassatività e vincolatività ermeneutica, potrebbe rappresentare in realtà una potenzialità verso il senso (e quindi il superamento della deriva formalistica); visto che la
scelta dell’interprete sarebbe effettuata (di fatto anche per Kelsen)
374
C. PALUMBO, Riflessioni giuridiche e politiche nel rapporto tra nomos e logos. Itinerario sul male, reperibile su i-lex.it, 2010, p. 254.
375
Ibidem.
376
H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 115.
377
H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit., p. 381.
160
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sulla base di un giudizio non giuridico, ossia sulla base di un giudizio che attinge a valori morali, etici, o ad altre branche della conoscenza e che pertanto assume i connotati di un giudizio di valore. A tal proposito si può osservare che la ricerca del giusto, “dimenticata” da Kelsen, accusato per questo di fondamentalismo
formalista,378 potrebbe essere recuperata nella prospettiva “spirituale” sopra riportata. È evidente, infatti, che la ricerca del “senso”, del “giusto”, è attività connaturata all’interpretazione, poiché
il processo di interpretazione altro non è che il faro che illumina il
diritto379 e, pertanto la ricerca del giusto è sempre necessaria, onde
evitare di elevare a diritto un qualsiasi contenuto, sia pure nel rispetto “formale” del dettato normativo380. Alla luce
dell’evoluzione del pensiero kelseniano e della riedizione nel
1960 di La dottrina pura del diritto, è possibile dare nuova lettura
alla teoria dell’interpretazione, espressa nell’ultimo capitolo
dell’opera citata; capitolo rimasto sostanzialmente invariato (per il
resto) rispetto all’edizione del 1930. Kelsen, oltre ad introdurre la
distinzione tra interpretazione autentica ed interpretazione scientifica381, ammette esplicitamente la possibilità di interpretazioni
fuori cornice, ossia di interpretazioni in violazione della norma
delegante382. La Grundorm giunge così a presentarsi quale norma
derogabile su base volontaristica poiché il legislatore e il giudice,
nell’attività di interpretazione autentica atta a dare esecuzione alla
norma sovraordinata, possono prospettare interpretazioni al di
fuori del perimetro contenutistico e procedurale delineato dalla
378
A. FIORILLO, Il diritto tra forma e formalismo attraverso la lettura del normativismo giuridico in Hans Kelsen, reperibile su www.docente.unicas.it, p.
188.
379
C. PALUMBO, cit., p. 258.
380
J. BINDER, Principi di filosofia del diritto, a cura di Luisa Avitabile, Torino,
2012, p. 371.
381
F. VIOLA, H. Kelsen e l’interpretazione delle norme, reperibile in
www.unipa.it, p. 78 ss.
382
“ Si noti però che con l’interpretazione autentica (cioè l’interpretazione di
una norma da parte dell’organo giuridico che deve applicarla), si può realizzare non soltanto una delle possibilità rilevate dalla interpretazione teorica
delle norme da applicare , ma si può anche produrre una norma totalmente
fuori dallo schema costituito dalla norma da applicare” H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit., p. 388.
161
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norma delegante. In tal modo diviene ipotizzabile disattendere la
norma sovraordinata e allo stesso modo, in un procedimento a ritroso, la norma fondamentale; norma presupposta, fondamento
della Costituzione e di tutto l’ordinamento, che stabilisce (in sostanza) che la Costituzione deve essere rispettata. Il rispetto della
ratio della norma superiore ovvero la deroga della stessa diviene
così una scelta rimessa alla coscienza dell’interprete. Il rapporto
validità – coerenza, sostegno di tutta la costruzione teorica kelseniana degli inizi, cede dinanzi alla riconosciuta (dallo stesso autore) base volontaristica nell'applicazione della norma e degli ordinamenti giuridici. In definitiva si può affermare che il diritto non
può configurarsi come una «norma trascendente alla quale il diritto umano potrebbe essere commisurato per venir giudicato come
giusto o come ingiusto, bensì è questo stesso diritto umano che gli
uomini in generale e i giuristi in particolare sanno e riconoscono
come diritto, quello che in quanto appartenente alla realtà storica,
in quanto parte della realtà, può essere oggetto di indagine filosofica»383. «Il diritto è intriso dall’essere della persona, da un io
concreto, segnato dai concetti di libertà e di volontà che diventano
gli assi portanti della speculazione filosofica nella consapevolezza
che “la volontà dell’uomo è assolutamente libera”, vale a dire, non
assoggettata “alla cieca necessità naturale»384.
19. La funzione immunitaria e il giuridico. L’inferno della contingenza: società e diritto (ANGELICA CALCE)
A proposito della riduzione dell’uomo a sistema è utile ricordare
che all’indomani delle stragi naziste, l’amara riflessione condotta
da Jaspers rifletet sull’Olocausto che colpisce un popolo ed uno
Stato che «avevano fatto agli ebrei ciò che non avrebbe mai dovuto accadere, e che dopo la catastrofe non se ne rendeva conto e
non ne traeva le conseguenze»385.Un capovolgimento dei valori,
383
J. BINDER, Principi di filosofia del diritto, cit., p. 337.
Ivi, p. XII.
385
K. JASPERS, Volontà e destin ,Genova, 1993, p. 205; per un cft. L.
AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, 2012, pp.7 e ss.
384
162
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perfetto nichilismo giuridico ed emotivo funzionale a spegnere
quella che invece dovrebbe essere – secondo Jaspers – la dimensione tragica dell’uomo: l’opposizione, la resistenza ad una legalità che si limita a registrare le contingenze della fattualità. Al centro della costruzione Jasperiana definita Umgreifendes c’è infatti
l’uomo come essere che vive nel mondo e che realizza il momento
essenziale della sua esistenza nella relazione comunicativa con
l’altro. L’Umgreifendes è al tempo stesso esistenza e immanenza;
è una totalità omnicomprensiva impegnata nella ricerca della giustizia e della verità in ciascuna delle sue dimensioni. Nella storia
delle istituzione, la riflessione di Jaspers muove le mosse
dall’esperienza del totalitarismo tedesco con l’intento di evidenziare e condannare le conseguenze di un potere impostosi grazie
all’assolutizzazione della dimensione immanente, al dominio della
contingenza, alla purificazione del diritto dalla componente umana e alla sua costrizione negli schemi del puro legalismo. Il tentativo di parcellizzare ad assolutizzare i diversi livelli
dell’Umgreifendes, di relegarlo in funzionalismi biologici o in
ruoli predefiniti, si riflette anche sul diritto «limitandolo tra due
possibili alternative: assolutizzazione dell’oggettivismo giuridico
(formalismo) o mera astrazione priva di consistenza (giustizia
come concetto idealistico-trascendentale)»386. L’unico ordine giuridico, espressione della complessità dell’Umgreifendesè è, invece, quello che erompe da una delle situazioni-limite definita da Jaspers «lotta d’amore»387. L’uomo «combatte il puro arbitrio della
fattualità e la sua lotta «ha l’essenza dell’amore, nel senso di apertura e di accoglienza dell’alterità in una dimensione di differenza
e non di in-differenza»388, consapevole dell’imperfezione della legalità. Nella lotta d’amore emerge l’essenza della regola giuridica,
il suo essere continuamente aperta all’incontro e alla comunicazione con l’altro in una dimensione di terzietà data dallo stesso
Umgreifendes «che non può essere considerato di parte, ma appartiene alla communitas nel suo continuo perfezionamento»389. Per386
L. AVITABILE, op. cit., p.6.
K. JASPERS, Filosofia II. Chiarificazione dell’esistenza, Milano, 1978, p.
718.
388
L. AVITABILE, ult. op. cit., p. 18.
389
ID., op. cit., p. 19.
387
163
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ché dunque questa distanza tra la società jasperiana impegnata in
una lotta d’amore ed un popolo che, ai tempi dei totalitarismi, assisteva inerme all’umiliazione dell’umanità ed oggi sembra non
reagire alla continua banalizzazione della violenza, alla globalizzazione delle disparità, restando prigioniero di un ipertrofico legalismo? Secondo Legendre responsabile dell’attuale deriva del diritto e dell’essere in società è quella che lui definisce la ‘terza
mondializzazione’. Con l’ impero dei mercati e della tecnica, anche la comunità diviene «mero assemblaggio di atomi individuali»390 asserviti e al servizio di una nuova ragione, quella commerciale, e abbagliati dal mito del progresso. Il sistema di legalità a
sua volta, ingloba nuovi simboli tratti da altri sistemi e serve alla
messa in scena delle strategie commerciali, nel segno non più della terzietà ma dell’efficienza. A difesa o a giustificazione di ciò
l’Occidente propone miti nuovi e più pervasivi, modelli necessari
per legalizzare ciò che altrimenti non troverebbe giustificazione in
un diritto dimensione della sola giustizia: la società aperta, il pensiero razionale, l’autogoverno dell’individuo, l’ottimismo pratico,
il progresso perpetuo. Nella moderna società si globalizza
l’economia, ma non la sfera dei diritti, che restano condizionati ad
una arbitraria ed elitaria distribuzione tra le diverse aree geografiche e tra i diversi ruoli sociali. Anche nella prospettiva di Luhmann il sistema sociale si svuota della sua humanitas.
L’ambiente si organizza in sistemi autonomi sia funzionalmente
(autopoiesi) che strutturalmente (auto-organizzazione) per perseverare nello svolgimento efficiente delle proprie funzioni. Il diritto
stesso è solo uno dei sottosistemi funzionali nei quali il sistema
sociale si differenzia; è ciò che Luhmann definisce il sistema immunitario della società perché impegnato nella registrazione dei
conflitti interni al sistema e nella formulazione di soluzioni gene390
Si tratta dell’opera di P. LEGENDRE, De la société comme texte. Linéaments
d’une Antropologie Dogmatique, Paris, 2001 tradotta in italiano a cura di P.
HARTIER con il titolo Della società come testo. Lineamenti di un’antropologia
dogmatica, Torino, 2005, p. 222.
164
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ralizzabili e ripetibili. Se, da un lato, ciascun sistema deve conquistare una propria autoreferenzialità, dall’altro, condizione di esistenza del medesimo è il collegamento strutturale con altri sottosistemi quali la politica, l’ economia e la scienza, collegamento realizzato attraverso processi di reciproco condizionamento e di
scambio di dati e di risorse. Secondo Luhmann per realizzare
l’apparente unione del sistema politico e giuridico gli stati moderni si sono serviti di diversi schemi: lo “Stato di Diritto”, le costituzioni, il principio di eguaglianza. Il concetto di “Stato di diritto”
ha celebrato la prima tappa nella riduzione ad unità dei due sistemi: «il diritto è, visto dal sistema politico, uno strumento che rende possibile la realizzazione di fini politici,[..] ed è, accanto al denaro dell’economia, la più importante condizione della possibilità
di fare politica cioè: decidere politicamente quale diritto debba esser valido (o parallelamente come vuole consumare il denaro disponibile politicamente)»391. La presenza di sistemi percepiti come separati è la condizione fondamentale per lo svolgimento delle
loro operazioni e per l’aumento della complessità al loro interno.
E’ evidente infatti che lo sviluppo del diritto sia condizionato da
una situazione di pace politica, e che il sistema politico si serva di
altri codici (diritto/non diritto, legale/illegale) per legittimare spazi, possibilità e limiti delle sue decisioni. Il sistema politico deve
educare e veicolare l’opinione pubblica per poter produrre decisioni che siano percepite come collettivamente vincolanti e risolvere il suo problema principale: eliminare i problemi, le istanzeirritazioni provenienti dalla società. Secondo Luhmann anche lo
schermo costituzionale realizzerebbe un’ipotesi di accoppiamento
strutturale tra i due sistemi perché in esso sono fissate le regole e
i limiti della reciproca influenzabilità, della formazione del diritto
e del funzionamento della politica. Il sottile equilibrio così realizzato «è sopraelevato e mediatizzato da un’interpretazione della
Costituzione che opera con i ‘valori fondamentali’ oppure (negli
USA) con le istituzioni morali e che mantiene aperta per sé una
modificazione casistica della ponderazione valoriale»392. Diritti
391
L’ opera di riferimento è N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1993, nell’edizione italiana a cura di L.
AVITABILE, Il diritto della società, Torino, 2012, pp. 393-396.
392
Ivi, p. 450.
165
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fondamentali come la libertà o l’uguaglianza sono quindi riconosciuti, costituzionalizzati e dichiarati mondialmente ma, allo stesso tempo, permane la consapevolezza della loro modificabilità e
della loro precarietà, perché confinati nella sfera delle concessioni
e previsioni del diritto positivo. Anche il principio di eguaglianza
sarebbe giuridicamente – e politicamente – «uno schema di osservazione che suggerisce solo lo sviluppo di norme e di preferenze ma non determina la preferenza per l’uguaglianza»393, né criteri
per valutare il diverso trattamento degli esseri umani (nel sistema
politico) o tra i vari casi (nel sistema giuridico). La trasformazione
dell’eguaglianza da forma in norma, ha fatto sì che essa divenisse
la regola per protrarre eccezioni quando la disuguaglianza dei casi
lo impone. D’altronde è lo stesso sistema sociale(quello delle moderne società stratificate) a presupporre e giustificare uno statuto
sociale differenziato e dunque un trattamento diseguale. A tal scopo la società adopera un proprio codice, l’unico attraverso cui
possono operare le differenziazioni per funzioni di ciascun sistema sociale: inclusione/esclusione. L’integrazione negativa fornisce un raffinato strumento di controllo sociale e, se dipendente dal
medium del denaro, impedisce agli interessati di poter incidere
sulle ragioni stesse della loro emarginazione; l’inclusione,
l’integrazione positiva non necessita invece di integrazione e
quindi permette di agire con maggiori libertà nella ricerca di vantaggi personali, carrierismi e situazioni corruttibili. In una società
così dinamica si modificano le aspettative verso il diritto perché,
eliminato ogni riferimento alla religiosità o all’ordine naturale, la
società appare come causa e artefice del proprio destino, ed esige
prevenzione ed aiuto per elaborare e conservare i vantaggi conquistati dai singoli. Le aspettative di legittimità si riducono al rispetto
delle procedure, purché si riesca a raggiungere il risultato cui mira
la norma e lo si raggiunga nel presente.
393
Ivi, p. 97.
166
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SEZIONE IV: IN CLARIS NON FIT INTERPRETATIO E LE AMBIGUITÀ
DELL’INTERPRETAZIONE
169
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1. L’interpretazione del diritto è un’arte perché crea un significato (ESTER LUPOLI)
Gustav Radbruch scrive: «solo il contenuto della legge stessa
decide … è la forza misteriosa dell’operare umano quella che dà
alle sue creazioni un significato più profondo di quanto non lo
supponga lo stesso artefice»394. Il che significa: la volontà del legislatore non è la volontà dell’autore, né un pensiero realmente
pensato in un determinato momento è piuttosto un contenuto ,
una volontà in continua evoluzione che risponde a nuove necessità, a nuove condizioni e a nuove questioni giuridiche; la risposta è
data dal susseguirsi delle varie interpretazioni.
Differente è quanto sostiene il brocardo latino in claris non fit
interpretatio tradotto: «nelle questioni chiare non si fa luogo a interpretazione» che viene considerato semplicemente, una questione relativa alla chiarezza della lettera della legge, da considerarsi
non esaustiva del diritto in quanto è solo un elemento del diritto,
non può essere chiara perché in realtà è necessario sempre
un’istruzione dell’interpretazione che non sia meramente interpretatio letterale ma interpretazione estensiva creativa, diretta non alla persecuzione o alla produzione di un danno dell’alterità, ma al
contrario a perseguire un’ermeneutica la cui finalità ultima è la
«ricerca del giusto» nella testualità giuridica.
La ricerca del giusto si realizza nelle forme di un diritto positivo vigente e ne costituisce la ragione di orientamento
nell’interpretazione delle proposizioni normative , basandosi sulla
struttura dialogica intesa come genesi regolativa della relazione
giusta. Nel dialogo, l’io e il tu si incontrano scambiandosi a vicenda la parola nel rispetto reciproco ,si aprono all’altro,
all’alterità considerato e rispettato nella connessione che unisce il
passato, il presente ed il futuro, attraverso il consenso ed il dissenso, cercando l’uguaglianza nella differenza.
L’io ha bisogno di aprirsi all’alterità ha bisogno di confrontarsi
di relazionare altrimenti si ritroverebbe nella dimensione del nar394
AA. VV., Sergio Cotta (1920-2007), Scritti in memoria (a cura di Bruno
Romano), Milano, 2010, in part. p. 35.
170
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cisista, un io senza un tu, lasciato a se stesso senza confronto.
Senza l’altro la parola si spegne, solo con le relazioni dialogiche si
apre l’interpretazione e con l’opera dell’interprete si attiva la possibilità del giudizio. Interpretare e giudicare sono atti dello spirito,
l’io appartenente al mondo umano (differenziandolo dal nonumano), esiste ed attiva l’interpretazione quando dialoga con il tu
che rappresenta l’altro. Come il dialogo, anche il diritto non può
essere scritto nella totalità dei suoi contenuti, ma entra nella coesistenza attraverso l’istituzione di norme giuridiche. Il diritto inteso
come «jus positum» non può escludere la struttura del linguaggio,come nel dialogo, il linguaggio dei parlanti non si fissa nella
realtà definita di un senso enunciato, ma impegna le donne e gli
uomini in un’opera inesauribile : l’interpretazione del senso come
creazione del senso. Le relazioni interpersonali sono incentrate
sull’ortonomia delle regole che disciplinano lo svolgimento del
dialogo genesi regolativa della giuridicità.
L’ortonomia, genesi e regola delle relazioni dialogiche e delle
relazioni giuridiche disciplinata dal principio di uguaglianza garantisce all’io e al tu il diritto a prendere la parola nel concretizzarsi del principio dialogico formativo del bene comune. Comporta la differenza tra l’umano e il non umano , gli uomini non vivono attraverso l’esplicazione di un codice biologico ma si affidano
a loro stessi sono i creatori di forme che si concretizzano nella storia della comunità umana, ma attenzione, perché la creazione di
forme della coesistenza può cadere nel formalismo quando non
viene motivata la scelta dei contenuti, bisogna motivare perchè i
dialoganti scelgono alcuni contenuti e non altri. Il formalismo giuridico infatti cancella l’atto della selezione dei contenuti normativi, sostituendolo con un fatto che ha successo. Il giurista attraverso l’interpretazione cerca e crea un senso illuminando in tal modo
il significato esposto nelle proposizioni normative. L’interprete
riprende una creazione di senso e la destina agli altri dialoganti
che a loro volta elaborano il senso ricevuto iscrivendovi una nuova, originale interpretazione.
171
a.a. 2012-2013
2. Chiarezza del testo come posterius e non come prius della
interpretazione negli ordinamenti complessi (FRANCESCO
ALTAMURA)
Il brocardo latino in claris non fit interpretatio, secondo il quale
nelle questioni chiare non si dà luogo ad interpretazione, ha costituito il principale parametro applicativo della legge all’albore degli Stati moderni395. L'impostazione ‘casistica’ della norma, che in
tali ordinamenti era costruita come unità logica isolata empiricamente, costituiva nella prassi «il confine dell'interpretazione»396.
Ciascuna disposizione imperativa, individuando ed enucleando
una fattispecie particolare e concreta, comprimeva l’attività
dell’interprete alla mera valutazione letterale del suo contenuto,
rendendo di fatto superflua qualunque ulteriore indagine circa la
sua ratio.
A ciò deve aggiungersi il dato che « nel tentativo di separare
rigidamente i poteri dello Stato, al giudice si intese vietare qualsiasi interprètation, riconoscendogli soltanto l’applicazione meccanica del testo espresso della legge» 397 sì da vincolare lo stesso
giudice al «texte prècis de la loi»398.
In un contesto, come quello sopra descritto, appare evidente
che l’analisi letterale della norma sia da sé sufficiente a dirimere
ogni dubbio circa il suo ambito di applicazione e la chiarezza
dunque qualificabile quale a priori dell’interpretazione.
L’interprete, chiamato ad applicare la norma che «sovente era accompagnata da una interpretazione autentica da parte del legislatore»399, conosce da principio quale fattispecie essa è posta a regolare; non deve operare attività valutative circa la sua coerenza con
il sistema poiché un sistema, armonico e ordinato, manca. Ed allora solo rispetto ad una legge, che disciplini una e una sola fattispecie, priva dei caratteri della generalità ed astrattezza è possibile
395
G. TARELLO, L’interpretazione della legge, Torino, 1980, p. 33 ss.
G. GORLA, I precedenti storici, cit. p. 33 ss.; con le adesioni di R. QUADRI,
Dell'applicazione della legge, p. 237 ss.
397
Ivi, p. 121 ss.
398
C. MONTESQUIEU, Oeuvres complètes, I, Paris, 1950, p. 217.
399
G. GORLA, I precedenti storici, cit. p. 125.
396
172
a.a. 2012-2013
definire la chiarezza come qualcosa che stia a monte, rispetto alla
interpretazione.
Autorevole dottrina italiana400 ha cercato di rivalutare
l’applicabilità dell’in claris non fit interpretatio nell’attuale contesto normativo, basando i propri studi sul disposto dell'art. 12 delle
disp. prel. c.c. là dove (1° comma) enuncia: « Nell'applicare la
legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse ». Il testo che abbia un senso « naturale » e che esprima un
giudizio sensato « non dovrebbe dar luogo a ragionamenti di alcun
genere di carattere logico circa la sua coerenza, ne dovrebbe dar
luogo a ricerche estrinseche di carattere ontologico, teleologico o
sistematico»401.
A fondamento di tali affermazioni vi è la possibilità che si
possa sempre qualificare una fattispecie concreta in un determinato casus legis. In tal caso l’interprete «si dovrebbe fermare alla
lettera ed alla grammatica della proposizione legislativa» là dove,
pur se formulata con parole improprie, «non faccia sorgere dubbi
circa il discorso del suo autore»402. Secondo tale impostazione,
«deve ridursi qualunque indagine sul profilo logico, assiologico e
teleologico della proposizione al rango di valore sussidiario »403
rispetto al momento letterale-grammaticale. Tuttavia, al cospetto
di ordinamenti contemporanei, in cui ciascuna disposizione veste
di generalità ed astrattezza, in cui essa è misero granello di una
clessidra di norme, la chiarezza non può qualificarsi come antecedente logico dell’interpretazione. L’analisi della singola disposizione non può prescindere da una sua valutazione in prospettiva
del macrocosmo normativo che essa contribuisce a formare. Il
momento letterale-grammaticale è ‘tassello’ d’una valutazione che
si svolge per gradi e di una indagine che da solo non può esaurire.
Esso deve obbligatoriamente essere integrato dagli altri ‘tasselli’
che costituiscono l’iter interpretativo.
400
R. QUADRI, Dell'applicazione della legge, Roma, 1974, p. 240.
Ivi, p. 241 ss.
402
Ivi, p. 244 ss.
403
Ivi, p. 253 ss.
401
173
a.a. 2012-2013
Altra parte della dottrina404 considera infatti «una velleità ritenere che la conoscenza giuridica si possa esaurire in operazioni
meccaniche di incasellamento automatico del fatto concreto in una
ben determinata fattispecie astratta». Sì ché l'interprete non può
limitarsi a prendere atto della formula legislativa, ma deve vagliarne il contenuto: la chiarezza non è un prius (il presupposto)
ma un posterius (il risultato) dell'interpretazione405.
A fronte della complessità e della unitarietà dell’ordinamento
contemporaneo, ciascun interprete è lungi dal sottrarsi
dall’indagine del testo, del suo dislocamento nel sistema, dalla volontà del suo autore. La chiarezza della norma in sistemi complessi non può essere qualificabile quale prodromo bensì traguardo di
un percorso che attraversi l’intero ‘sistema’ e i suoi principi, con
valutazioni che ben possano allontanarsi dal testo e dal mero dato
letterale.
3. L’interpretazione vita del diritto (VALERIA NORCIA)
«La vita delle norme è nella loro interpretazione»406. È con
queste parole che Bruno Romano si riferisce al nucleo centrale
dell’attività del giurista: l’interpretazione. Interpretare significa
leggere e, come ricorda Pareyson, «leggere significa eseguire»407.
La norma di diritto viene incontrata dagli uomini come leggibile e
la sua lettura è esecuzione del diritto; solo nella personale esecuzione del precetto normativo è possibile che viva nella sua realtà il
diritto. Chi legge la norma, la esegue e vive nel diritto. È necessario che si proceda alla lettura della norma, cioè alla sua esecuzione
ed interpretazione perché il diritto venga alla luce. Leggere non
vuol dire subire passivamente l’effetto dell’opera, ma impadronir-
404
B. TROISI, Interpretazione della legge e dialettica, Milano, 1982, p. 324.
E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Roma, 1971,
cit. p. 253 s.
406
B . ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, Torino, 2006, p. 104.
407
L. PAREYSON, Estetica. Teoria della formatività, cit., p. 221.
405
174
a.a. 2012-2013
si della stessa rendendola presente e viva; di conseguenza, eseguire la norma significa rendere attuale il diritto.
L’uomo, a differenza delle macchine che eseguono, senza lettura, un fare mai creativo, imposto dal funzionamento dei programmi esecutivi, non fa mai ciò che la norma dice di fare. Per
quanto concerne gli essere viventi non umani, anche essi eseguono le leggi della natura, ma solo perché non possono sottrarsi alle
stesse; infatti, il mondo naturale ha delle leggi necessarie, ma non
può essere incontrato come leggibile dai viventi non umani. La
norma di diritto, invece, si presenta come «l’opera d’arte che si dà
a riconoscere come tale solo a chi la fa vivere della sua vita, e cioè
l’esegue: la sua riconoscibilità è la sua stessa eseguibilità»408.
Alle leggi della natura non corrisponde un’esecuzione soggettiva, esse sono incontrate dagli uomini nella sperimentazione.
L’esecuzione, invece, rappresenta il momento essenziale alla realtà del diritto come dell’arte. Il diritto vive dell’esecuzione della
norma; esso, come ogni opera umana, come l’opera d’arte, esige
di essere eseguito. Infatti, come «l’opera d’arte è congenitamente
incompiuta e questa sua incompiutezza suscita infinite interpretazioni»409, così le norme giuridiche sono strutturalmente incompiute, perché nel dire il loro contenuto non possono mai enunciare
l’inesauribilità del diritto. L’opera d’arte è tale solo in quanto è un
«sapere parziale» e, lo stesso sapere giuridico, che istituisce le
procedure dei diversi gradi di giudizio, lo si qualifica come un sapere mai totale-numerico, ma parziale, perché attraversato
dall’inconscio. L’esecuzione è un’attività interpretativa mai anticipabile, unica e l’interprete non la riproporrà mai allo stesso modo, poiché i tratti essenziali dell’inconscio porterebbero ad una
nuova forma interpretativa. Senza di essa le norme sarebbero come un morto spartito musicale, un insieme di note scritte in successione, privo della vita. Nell’interpretare un testo, le parole, che
dicono sempre oltre ciò che dicono, ricevono la luce dal silenzio,
momento esclusivo dell’uomo e preparatorio del linguaggio, esso
consente alle parole di avere un senso. L’uomo è il solo soggetto
408
409
Ivi, p. 223.
Ivi, p. 235.
175
a.a. 2012-2013
parlante in un linguaggio che è relazione discorsiva, che avviene
tra molti e da cui si originano i molteplici itinerari creativi.
La parola raggiunge l’altro, libero di darle un suo senso, proprio in virtù di ciò che le leggi del linguaggio richiedono, poiché,
in base alle stesse, la parola non è riducibile ad un numero, essa è
evocante, rinviante, non può che essere lasciata all’interpretazione
dell’altro.
Non si può digitalizzare la comunicazione, perché la pretesa di
voler ridurre la relazione discorsiva ad un’attività numerica è una
pretesa ad avere delle parole che abbiano un solo senso. Alcuni
costituzionalisti italiani410 si pongono come sostenitori
dell’interpretazione letterale, ovvero strutturalmente numerica (il
numero dice solo ciò che dice, è univoco411), dove l’interprete non
è sospeso nel rischio della condizione rinviante della parola che
chiede sempre l’arte del giurista. In realtà, il linguaggio giuridico
non è riconducibile al linguaggio numerico-digitale
dell’intelligenza artificiale e, quando emergono reali problemi di
interpretazione, l’arte del giurista è insostituibile. L’opera
dell’interpretazione, fondamentale nel passaggio dalla norma astratta al giudizio relativo ad una relazione concreta, è sempre opera personale e conferisce vita a ciò che interpreta. Il diritto non
consiste nella fissità morta degli enunciati normativi, esso, per venire alla luce, necessita del momento dell’interpretazione personale, proprio come «l’esistenza dell’opera musicale non è quella inerte e muta dello spartito, ma quella viva e sonora
dell’esecuzione, la quale per il suo carattere necessariamente personale e quindi interpretativo, è sempre nuova e diversa, cioè molteplice»412.
Questa molteplicità rende l’esattezza dell’interpretazione,
dell’esecuzione, che realizza, tramite l’atto individuale e personalissimo, l’inesauribilità stessa del diritto, nella concretezza contro410
M. AINIS, La legge oscura. Come e perché non funziona, Bari, 2002. Sostiene che si potrebbe migliorare l’efficienza del diritto attraverso una scrittura
chiara delle norme, tale da non esigere più un’interpretazione, tale da chiedere
solo un’interpretazione letterale.
411
M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Milano,
1996, p. 209.
412
L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano, 2005, pp. 68-69.
176
a.a. 2012-2013
fattuale dell’operare giuridico, intersoggettivo e, perciò, sempre
plurale. Di sicuro, accogliere il principio ermeneutico della pluriinterpretabilità dei testi non significa affatto dare il via ad una lettura libera ed illimitata di essi, in cui la volontà o l’abilità degli interpreti li possa piegare ai propri fini. Significa, invece, rammentare i limiti innegabili dell’oggettività dell’interpretazione; infatti,
il percorso interpretativo, orientato all’attuazione del testo, non
può prescindere dal contesto in cui opera. Non è possibile eliminare del tutto la polisemia del linguaggio, ma tale caratteristica può
essere ridotta e ciò non significa sostenere la tesi che esista una
sola interpretazione corretta, da privilegiare a tutte le altre. Non si
può predicare in astratto la correttezza di un’interpretazione, ma si
può sostenere che una determinata interpretazione sia corretta tenendo in considerazione il contesto linguistico ed istituzionale di
enunciazione ed il contesto di applicazione di una fattispecie particolare. Un’idea meramente soggettivistica dell’interpretazione è
preclusa dalla presenza dell’autorità istituzionale che attenua il
pluralismo interpretativo e governa il conflitto delle interpretazioni. L’opera dell’interprete, oltre che soggettiva, si rivela obiettiva,
perché fedele al dato della norma che esige esecuzione.
Il giudice, come ogni altro uomo, ha una sua personalità, situazione invalicabile, in quanto nessuno riesce ad essere senza la sua
storia; egli, nel formulare la sentenza, deve cercare di conciliare la
fedeltà alle norme, necessaria perché conferisce certezza al diritto,
e l’originalità creativa del suo giudizio, che è la capacità di ascoltare il singolo caso. L’interpretazione, che muove dalle norme astratte, ma dice ciò che non è detto dalle norme, è un lavoro inesauribile e consiste in un «salto che si impone come necessario tra
il sapere le norme e il decidere»413; il giurista, infatti, colma il
vuoto tra la generalità-astrattezza delle norme e la singolaritàconcretezza del caso da trattare.
413
J. DERRIDA-É. ROUDINESCO, Quale domani?, Torino, 2004, p. 81.
177
a.a. 2012-2013
4. Perché l’interpretazione del diritto è un’arte e come si pone rispetto alla chiarezza? (MARIA TERESA ARAMINO)
«L’uomo è l’unico
essere in tutto il
creato visibile che
non solo è capace
di sapere, ma sa
anche sapere e per
questo si interessa
alla verità reale di
ciò che gli appare»414.
La società si serve del diritto per indurre i consociati ad assumere comportamenti differenti rispetto a quelli che potrebbero essere adottati in assenza di esso415. Non è mai mancata
l’applicazione del profilo dell’arte ai vari ambiti del vivere umano, e questo è riscontrabile anche sul piano giuridico416.
Celso417, uno tra i molti giuristi che si è espresso in questo senso, ha definito il diritto come ars boni et aequi, avviando una serie
ininterrotta di contributi importanti che hanno manifestato il disagio, in ogni tempo, per la riduzione del fenomeno giuridico entro
il dato normativo. In questo senso, si è intesa l’arte come sfuggente dinanzi all’esattezza della scienza, e fondata sulla genialità
414
GIOVANNI PAOLO II, Fides e ratio. Lettera enciclica circa i rapporti tra fede
e ragione, Milano, 2001, p. 40.
415
O. D. JONES e T. H. GOLDSMITH, Diritto e biologia comportamentale, i-lex
Rivista di scienze Giuridiche, Scienze Cognitive ed Intelligenza Artificiale, volume II, Roma, 2006, fascicolo 4, p. 27.
416
M. ASCOLI, La interpretazione delle leggi, Milano, 1991, p. 21 ss.; si discute, inoltre, sul fatto che neanche attraverso l’interpretazione di natura creativa si
riesca a stabilire un rapporto tra norme e fatti, questo a causa del processo di
astrazione che nutre il diritto.
417
O. D. JONES e T. H. GOLDSMITH, Diritto e biologia comportamentale, cit.,
fascicolo 5-6, p. 164.
178
a.a. 2012-2013
dell’uomo, sulla sua creatività; pertanto, si è proceduto ad una assimilazione del giurista all’artista e del diritto all’arte.
Dire che l’opera «si fa da sé ma che la fa l’artista418» significa
chiarire come l’autore con la libertà del proprio arbitrio forma
l’opera, che nel diritto si traspone come ricerca del giusto; questo,
trova corresponsione nel «giurista artista della ragione419» e
dell’opera giuridica, che infatti tratta le norme non nell’arbitrarietà
del loro valere in base al proprio volere ma nella ricerca della iustitia. Quindi, prendendo atto del fatto che «l’opera è una domanda in attesa di risposta420», allora si può dire che il diritto appartiene ad un circolo ermeneutico che si proietta verso il futuro,
in questo senso la forma non è formata ma formante. Il diritto ha
una «struttura aperta», si compone di parole che sono soggette ad
un’intrinseca ambiguità metaforica, pertanto, il testo normativo,
una volta completato a seguito della promulgazione, trova il proprio senso soltanto nella dinamica delle successive interpretazioni
che ne perfezionano il valore attraverso la ricerca della giustizia
nei casi specifici421. Se la forma artistica (e qui s’intende quella
giuridica, quindi, la norma) non è una forma formata in un momento contingente e valida solo in questo momento, la temporalità
non sarà circoscritta; in particolare, la formatività dell’opera rende
la forma del diritto una forma formante nell’orizzonte ermeneutico. L’opera giuridica, quale opera d’arte, non può evitare di provenire da un passato che determina la necessità del presente sempre aperta all’interpretazione futura422.
Il «diritto artificiale»423 si costruisce proprio nell’essere un fenomeno fatto con «arte» per perseguire il desiderio di giustizia.
Parlare di estetica delle forme giuridiche, nell’ottica
dell’artificialità non artificiosa del diritto, significa, come scrive
Cananzi, chiarire che l’uomo in quanto soggetto di diritto porta ad
418
Ivi, p. 195.
P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, Torino, 2001, p. 129.
420
D. M. CANANZI, Interpretazione Alterità Giustizia, cit., p. 24.
421
Ivi, p. 197: «il testo diviene opera solo nell’interazione tra testo e ricettore»,
quindi è questo il momento in cui si apre al lettore.
422
Ivi, p. 198: «l’essere è un essere per il futuro».
423
Ibidem.
419
179
a.a. 2012-2013
essere aperti alla libertà dell’arbitrio (artificiale) senza incorrere
nell’arbitrarietà della contingenza (artificioso)424.
In particolare, viene criticato425 il formalismo perché porta a
ridurre le forme (le norme) alla empirica esteriorità della cosa, limitandosi a sussumere il fatto nella fattispecie; punto di svolta,
viene a configurarsi l’educazione del giurista al ragionamento e
all’argomentazione, all’equilibrio tra il caso concreto e la prudenza nella scelta della disposizione normativa per farne una regola
che conduca alla giustizia. La consapevolezza della discrezionalità
del giudice non è il giusto modo per risolvere il problema, ma è il
punto di partenza per distinguere tra decisione discrezionale e razionalmente giustificabile e decisione arbitraria.
Il problema circa la natura dell’interpretazione è frutto di inevitabili crisi della coscienza giuridica, quest’ultima si configura
come la fonte da cui sorgono nell’uomo tutte le forme di normatività, ed è da essa che si origina quella particolare forma di normatività che è il diritto positivo. La legge426 viene scritta per essere
letta; viene letta per essere capita, cioè interpretata; viene interpretata per essere applicata; in questo modo la parola diventa un fatto, il fatto giuridico; per cui si potrebbe ritenere che soltanto
quando essa è osservata acquista consistenza. L’intera storia del
diritto si accompagna alla storia dell’interpretazione giuridica, è
un connubio che non può essere sciolto, anche se tanti sono stati i
tentativi da parte dei Legislatori di vietare commenti ed interpre424
J. BINDER, Principi di filosofia del diritto, Torino, 2012, p. 165: «Per Socrate (…) non chi può fare ciò che vuole è libero (libero arbitrio), bensì chi determina il proprio agire secondo principi morali, nello stesso senso quindi in cui
Goethe dice: “La legge solamente può darci la libertà”».
425
A. PUNZI, Dialogica del diritto, Torino, 2009, p.248 ss.: «il formalismo è la
scimmia dell’esperienza (…) la tecnica dell’interpretazione non costituisce un
ricettario volto a discoprire una norma giuridica già posta; costituisce in sostanza una tecnica che attiene alla stessa posizione della norma; mira in sostanza a
conciliare la continuità alla quale è condizionata la posizione di norme in via
interpretativa con la necessaria creatività dell’interpretazione».
426
La forma normativa della legge è da considerarsi nell’ambito del più ampio
processo giuridico che comprende regolamenti, sentenze giudiziarie, atti amministrativi. V. FROSINI, La lettera e lo spirito della legge, Milano, 1998, p. 47
ss., in queste pagine si precisa come la legge abbia perso «il suo valore privilegiato».
180
a.a. 2012-2013
tazioni. L’ordine di rispettare una legge nella sua espressione letterale è in effetti esso stesso un criterio interpretativo, in senso restrittivo, della legge. Ad esso vengono sempre ad opporsi quei casi singoli, concreti, imprevisti, che richiedono invece una interpretazione in senso estensivo della legge per la sua applicazione427.
Spesso, in passato, è affiorato «il mito giuridico
dell’interpretazione negativa: cioè l’illusione, che si possa fare a
meno del lavoro dell’interprete, secondo il detto che in claris non
fit interpretatio, al quale corrisponde l’altro a chiaro testo non fare glossa oscura428». Frosini ritiene che questa sia una massima
ingannevole, la stessa attribuzione ad un testo della «chiarezza» è
in realtà un criterio interpretativo su cui si costruisce la conseguenza della legge; invece, la vera chiarezza è sempre quella che
risulta dall’interpretazione, e mai quella che la precede.
L’interpretazione giuridica è sempre fondata su un circolo ermeneutico, cioè su un rapporto mobile e continuo fra il soggetto e
l’oggetto da interpretare, fra l’interprete, il testo della legge e il
fatto, nonché con la coscienza giuridica dell’interprete stesso.
Come si afferma, la lettera della legge consiste nelle parole del
Legislatore, lo spirito della legge si ritrova invece nelle parole
dell’interprete; la tensione si crea quando c’è contrasto fra esse a
causa della poca chiarezza della lettera della legge. Il richiamo alla legge come presupposto di legittimità sta alla radice
dell’atteggiamento del giurista, è la coscienza giuridica di appartenenza ad un ordinamento quella in cui alberga il vero spirito della legge, ed è più vasta di quella del singolo che la condivide429.
427
Come è detto anche in AA. VV., Giustizia e procedure, 3, Milano, 2002, p.
195: «Anche per questa via si riproduce progressivamente e in maniera inconsapevole il circuito conflitto/rimedio alla ricerca di un sempre più precario equilibrio».
428
V. FROSINI, La lettera e lo spirito della legge, cit., p. 61.
429
In A. CATANIA, Manuale di teoria generale del diritto, Bari, 2010, p. 189
ss., è chiarito come soltanto attraverso un’integrazione della norma si capisca il
vero senso di essa, e questo è possibile dando rilievo al momento ermeneutico,
guardando all’effettività non solo giudiziaria o dei funzionari ma generale, ovvero al comportamento di tutti i consociati; in questo modo il diritto compie la
sua funzione storica di mediazione dell’integrazione sociale, percorre il tessuto
sociale e non si arresta in operazioni puramente logiche che partendo dalla sola
legge conducono in modo deduttivo alla soluzione del problema.
181
a.a. 2012-2013
Punzi sottolinea come «il diritto non è solo un prodotto di volontà
autoritative, ma esperienza che si mette in forma430».
L’interpretazione giuridica è stata chiamata operazione demiurgica, perché l’interprete, al pari del Dio di Platone, non crea la materia, ma la riceve dal Legislatore attraverso la lettera dei testi legislativi; l’interprete si serve dell’interpretazione per adeguare la
norma alla struttura dell’evento. Così, la metafora della legge si
converte in realtà. Una legge è una metafora verbale se viene considerata in sé stessa e riferita alla struttura di un comportamento
sociale di cui essa consente la conoscenza e la comunicazione.
Il diritto non è soltanto quanto è detto nelle norme, frutto degli
organi di fonazione; le parole degli uomini sollecitano l’opera
dell’interpretazione che possiede le proprietà dell’opera d’arte, e
qualsiasi norma deve sollecitare l’operare critico dell’interprete.
Quindi, «l’interpretazione del diritto è un’arte perché crea un significato431» in quanto l’opera dell’interpretare elabora un senso
che non è dato dall’immediata lettura dell’enunciato432, e connota
il testo di una forza empatica che gli consente di essere destinato a
chiunque. L’uomo di oggi, «l’uomo internettiano433», non vuole
interpretazioni, colloca tutto nella sfera dell’omologato e
dell’omologante, della immediatezza del messaggio e quindi
dell’evidenza, senza dare spazio alla creatività ermeneutica. Di
contro, la parola si scopre carica di «energia», non dominabile, per
cui l’uomo non può vietare che essa venga interpretata liberamente in ambito dialogico, in una dimensione di pluralità che attual430
A. PUNZI, Dialogica del diritto, cit., p. 246.
AA. VV., Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 53.
432
A. CATANIA, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 173, conferma
l’importanza del «momento attivo, inventivo (nel senso ermeneutico
dell’inventio, che “scopre” creativamente), la imprescindibilità del momento
individualizzato, del caso specifico che fa da stimolo all’indagine, la costante
integrazione della legge nella totalità del contesto sistematico del diritto positivo vigente, non solo sotto il profilo formale, ma in relazione al complesso di
principi e valori che “liberamente” e “creativamente” è possibile evincere».
Anche in G. CAPOGRASSI, Il problema, Milano, 1962, p. 116 ss., si legge che
qualora si dovesse considerare ogni comando nella sua singolarità, non esisterebbe l’interpretazione; invece, essa esiste ed opera affiancando la razionalità in
rapporto ai quesiti che la realtà concreta pone.
433
AA. VV., Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 56.
431
182
a.a. 2012-2013
mente è planetaria; dunque, l’uomo è alla ricerca continua di un
senso.
Si può sottolineare, a questo punto, l’insegnamento di Capograssi434, che vede la normatività come un escamotage a cui ogni
ordinamento
ricorre
nell’illusione
di
poter
vincere
l’imprevedibilità degli accadimenti della vita; questo conduce alla
chiusura del cerchio del discorso: si è aperto discettando circa la
necessità o meno di interpretare in rapporto alla chiarezza di quanto viene proposto all’uomo in ogni momento della vita quotidiana,
e si conclude riflettendo sulla impossibilità di incasellare tutto in
una fitta rete di norme, la quale nonostante venga decifrata con
«interpretazione ad arte» da parte dei giuristi, comunque mostra
una irriducibilità intrinseca. Quindi, il mondo giuridico deve mediare continuamente, ermeneuticamente, tra i testi strutturati secondo la logica giuridica e gli eventi, i fatti sociali nel processo di
continuo del divenire della realtà435.
Lo sforzo «oggettivizzante» che la legge compie, in realtà, è
vano perché porta l’uomo a perdersi436; necessaria è l’opera
dell’interprete che sia da guida per chiarire il dato normativo, ma
non in modo artificioso in quanto egli comunque deve attenersi ai
principi posti; questa resta un’operazione complessa a causa della
potenza della parola e della facilità di diffusione di essa, anche e
soprattutto col mezzo informatico. Fondamentale è l’indagine sul
senso, e lo stimolo a compierla, in particolare nella realtà spersonalizzante che caratterizza il nostro tempo.
4. Il legislatore è un artista della ragione? (DAVIDE LOFFREDI)
È necessario sviluppare alcune riflessioni preliminari sul concetto di opera d’arte. L’opera d’arte può essere paragonata ad una
434
G. MARINO, Analisi azione diritto uomo comune, Formia, 2006, p. 41.
A. CATANIA, Manuale di teoria generale del diritto, cit. p. 172.
436
Sembra appropriato richiamare E. FROMM, Fuga dalla libertà, Milano,
2003, ove bene è posto in evidenza come l’uomo moderno sia stato notevolmente reso fragile davanti alla libertà che ha raggiunto, soprattutto a seguito di
eventi quali il fascismo, e sentendosi inerme talvolta fugge verso nuove forme
di pseudo-totalitarismo, tra cui il conformismo della società di massa.
435
183
a.a. 2012-2013
metafora in quanto mette in evidenza tutta la psiche dell’artista
ossia il proprio stato d’animo, i suoi pensieri le sue opinioni, e li
mette a nudo agli occhi di tutti. «L’opera d’arte può avere un effetto paragonabile a quello della metafora: integrare livelli di senso accavallati, frenati e contenuti insieme. L’opera d’arte costituisce l’occasione per scoprire quegli aspetti del linguaggio, che la
sua pratica usuale, la sua funzione strumentalizzata di comunicazione ordinariamente dissimulano. L’arte mette a nudo proprietà
del linguaggio che, altrimenti, resterebbero invisibili e inesplorate»437. È doveroso riprendere due incipit del pensiero filosofico:
Metafisica di Aristotele e Verità e metodo di Gadamer. Entrambe
queste opere mettono in evidenza una riflessione sull’arte che diviene quell’ars nella differenziazione dell’esperienza empirica (in
Aristotele) e dalla scienza (in Gadamer)438. In questa direzione
speculativa si assume, più specificatamente, la sollecitazione aristotelica per la quale l’arte conduce alla conoscenza della causa439
e la convinzione gadameriana del nesso tra esperienza dell’arte e
raggiungimento della verità nell’ottica, già messa in questione,
della non omogeneità delle parole (simboli) e dei segni (numeri).
La via poetica che nel linguaggio segna il distanziarsi da qualsiasi
«funzionalismo» comunicativo si rapporta al diritto come differenziazione ontologica (prima ancora che ontica) da ogni funzionalismo regolamentare. Ecco che le parole del «detto» si fanno silenzio del «dire»440 proprio nel momento in cui la «sostanza» del
diritto si manifesta in «forma». Il problema del diritto che, come
in Romano441, è avvertito nella coalescenza di nomos e logos, si
esprime in quell’enigma del linguaggio incapace di dire l’essere se
non nel suo Mondo. La metaforicità delle norme giuridiche è racchiusa tutta in questo enigma, le norme diventano tali solo con
l’espressione linguistica che le manifesta in proposizioni. La messa in linguaggio, permette tante interpretazioni. Il concetto di
437
B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, p. 78 ss.
Cfr. ARISTOTELE, Metafisica, libro A, 980-982 a; H.G. GADAMER, Verità e
metodo, pp. 19-23.
439
ARISTOTELE, Metafisica, libro A, 981 a 25.
440
Cfr. M. HEIDEGGER, In cammino verso il linguaggio, p. 157.
441
Cfr. ID., La legge del testo, pp. 11-48.
438
184
a.a. 2012-2013
«linguaggio dell’arte» inizia a comprendersi meglio con le parole
di Gadamer: «ogni incontro con il linguaggio dell’arte è un incontro con un evento non conchiuso ed è esso stesso parte di questo
evento»442.
Nel lessico ricoeuriano è possibile esplicitare questa tesi sostenendo che il linguaggio dell’arte è configurante un mondo destinato ad essere rifigurato dall’ascoltatore-lettore-spettatore; la non
conclusività linguistica delle norme, in tal modo, nasce con la
stessa messa in proposizione linguistica della norma la quale
chiama l’opera rifigurante dell’interprete perché non c’è interpretazione che non sia interpretazione di un testo. Queste parole metto in evidenza che il linguaggio dell’arte costituisce parte
dell’evento artistico nel quale deve essere necessariamente inglobato l’incontro del mondo espresso dall’artista (configurazione)
con il mondo che apporta lo spettatore-interprete (rifigurazione).
Riportato al diritto, questo significa che ogni incontro con le norme giuridiche è un incontro con un evento non conchiuso ed è esso stesso parte integrante di questo evento. L’interprete del dettato
normativo è chiamato ad operare quella rifigurazione del mondo
della norma in precedenza configurato dal legislatore; ogni interpretazione sarà così personale. A questo punto possiamo affermare che l’opera del giurista sembra richiamare quella dell’artista;
entrambi lavorano nella invenzione creativa dell’opera, ed entrambi seguono specifiche regole, quelle del giurista sono il registro della memoria e della creazione. Di come questi due registri
si combinano assieme nell’opera interpretativa del giurista bisognerà ora cercare di trattare partendo da quella dimensione cosale
che è la forma, nella quale una norma si manifesta, ossia la sua
formatività. L’opera d’arte appare come la maturazione d’un processo organico di cui essa stessa è il germe, la legge individuale di
organizzazione e l’interna finalità:essa esiste soltanto quando è
stata fatta nell’unico modo in cui poteva essere fatta. L’opera trae
il proprio valore dall’esser adeguazione non ad altro, ma a sé stessa, sì che il processo della sua formazione consiste nel compiere
in forma formata la forma formante; il che significa, appunto, procedere nell’unico modo in cui si può e si deve procedere e conclu442
H.G. GADAMER, Verità e metodo, p. 223.
185
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dere il processo nell’unico punto in cui esso trova il proprio naturale compimento. Ma appunto qui sta la difficoltà; che se le cose
stanno in questo modo, se cioè veramente l’opera si fa da sé, non
si dovrà concludere che non l’uomo ma l’opera è la protagonista
dell’arte, e che l’attività dell’artista è soltanto una forma di obbedienza? Non si dovrà dire che l’artista non inventa, ma scopre la
forma, e che la sua attività, per quanto attenta e operosa, non fa
che assistere al prodursi dell’opera, seguendone ed accompagnandone lo sviluppo, favorendone e promuovendone la crescita, secondandone e aiutandone i movimenti? Ma anche chi, messosi per
questa via, ha affermato che la poesia nasce, cresce e matura come
una pianta, sì che al poeta non rimane che «affidarsi alla legge secondo cui fioriscono le rose e il giglio». In quanto personale,
l’operare umano, forma ed esprime, cioè tende a concludersi in
forme ed esprimere la persona che opera.
E come questi caratteri si trovano in ogni operare umano, così
si trovano anche nella conoscenza: la conoscenza, riguardata come
espressione della persona e come diretta a forme, è precisamente,
come si diceva, interpretazione. L’interpretazione, infatti, non è
tale se non ha per oggetto una forma e per soggetto una persona,
nel senso che sia il soggetto che l’oggetto dell’interpretazione devono essere esistenze singolarissime, in sé concluse, dotate di vita
propria, indipendenti, irripetibili e inconfondibili. Se così non fosse, non ci sarebbe altra forma di conoscenza che una conoscenza
in cui tutti devono immediatamente convenire e che è direttamente
comunicabile. Infatti in questo caso il soggetto di conoscenza sarebbe impersonale, universale, trascendentale, e l’oggetto sarebbe
fissato nella sua oggettività data e costituita: la conoscenza non
rifletterebbe l’inconfondibile carattere della persone che la consegue, e la sua captazione sarebbe immediata. È arrivato ora il momento di rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio
dell’argomentazione ossia perchè il legislatore è un artista della
ragione. Il legislatore si trova a riempire di contenuto quelle che
sono le forme date dalla procedura, nel far questo dovrà effettuare
una selezionare delle norme e lo fa seguendo un principio antropologico ( l’uomo come degno di esercitare i propi diritti nella società), e deve chiedersi se queste funzionano nel modo dovuto con
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le leggi che emana. A conclusione di quanto detto possiamo affermare allora che il legislatore effettua una auto osservazione della società e si creano così dei sistemi «auto funzionali» ed emerge
ad esempio: il sistema economia, il sistema diritto e il sistema religione. In riferimento a quella che è la funzione del diritto nella
società complessa possiamo dire che questi funge da medicina per
il sistema sociale e lo fa anticipando astrattamente quelli che saranno i conflitti, in quanto non ci sarebbero più «torto» e «ragione» se non ci fosse una norma già astrattamente prevista.
5. L’opera instancabile del giurista alla ricerca della chiarezza del testo nel superamento dell’ambiguità della regola della
«precomprensione» (STEFANIA DE FABRITIIS)
L’interpretazione dei testi giuridici è un processo conoscitivo
che mira ad ottenere una forma di conoscenza senza la quale il fenomeno giuridico non esisterebbe. La già famosa teoria pura del
diritto, che fa capo a Kelsen, giunge a conclusioni negative, quando riduce il diritto ad un mero complesso di norme senza considerare il fatto che esso rappresenta la regola del rapporto umano –
proportio hominis ad hominem – presupponendolo non come fatto
bruto, sul quale un capriccioso legislatore opera senz’altro limite
che quello della propria legittimazione formale, ma nell’essere del
rapporto stesso onde procede poi il dover essere della norma443.
Il diritto, in effetti, non viene dal nulla e non va verso il nulla;
non è uno dei tanti modi in cui il non senso del fato si manifesta,
come accade negli imponderabili e, quindi, ingovernabili vortici
di una pallina di roulette444. Esso si rigenera attraverso
l’interpretazione che non risponde a logiche matematiche o a procedimenti delle scienze naturali445 bensì pone l’uomo in una situa443
S. SATTA, Il mistero del processo, Milano, 1994, pp. 123-124.
AA.VV., Diritto e giurisprudenza, Milano, 2006, p. 509.
445
Nel pensiero matematico-scientifico» viene cancellata la «realtà volitiva
dell’io» e residua la dimensione oggettiva del ‘me’, che diviene un elemento
calcolato nella tecnica del conto mercantile, orientata a spegnere l’arte del racconto: F.EBNER, La parola e la realtà spirituali. Frammenti pneumatologici,
444
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zione rinviante per cui la questione metodologica diviene questione ermeneutica; svelando così nell’atto di libertà proprio del giurista l’«opera dell’arte»446: il legame tra testo ed interprete, cui non
è consentito scavalcare o ignorare la lettera della legge ma la cui
comprensione avviene in base alle competenze proprie
dell’operatore giuridico; per questa ragione l’artista del diritto non
sarà mai profano, in quanto riscopre grazie al testo fatto legge, la
sua vocazione come chiamata ad un dovere universale di giustizia
e di custodia dell’alterità in condizioni di uguaglianza nella consapevole differenza dell’identità dell’io e del tu; impegnandolo
,come afferma Legendre, a «communiquer à la manière humaine»447.
L’interpretazione, infatti, è sempre comunicazione intersoggettiva di una legge che non è soltanto ricca del significato proprio
delle parole ma che si rivela quale quid empatico ovvero connessione fondamentale con l’altro e con il mondo reale.
L’interpretato, ossia il prodotto dell’interpretazione, è esso stesso
comunicazione che, nella concezione di Luhmann serve al riconoscimento dell’autorità del diritto a prescindere dall’autore448. Una
volta cristallizzato un testo non è più in possesso di chi lo redige
ed elabora ed è quindi terzo.
Nel momento in cui viene rispettata la sacralità della terzietà
giuridica riconosciamo il giurista artista della ragione449; che ‘ragionevolmente’ ricompone tutti gli elementi che gli permetteranno
di individuare quel senso che va oltre la testualità della parola, la
quale porta con sé una sorta di «primordialità ermeneutica» che la
rende ambigua, mai a prioristicamente chiara, mai precompresa.
Precomprendere potrebbe voler dire per il giurista pregiudicare il
testo. La sua chiarezza non potrà mai essere raggiunta da una prima lettura della disposizione ma necessiterà dell’impegno
cit., p. 270; già B. ROMANO, Ricerca pura e ricerca applicata nella formazione del giurista, Torino, 2008, p. 20.
446
B. ROMANO, Il giurista è uno ‘zoologo metropolitano’? A partire da una tesi
di Derrida, Torino, 2007, p. 178.
447
P. LEGENDRE, De la société comme texte, Paris, 2001, p.16.
448
AA.VV., Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010, pp. 121122.
449
P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, Torino, 2000.
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dell’interprete che diviene «artista» nel momento in cui consapevolmente rifiuta la formula dell’ in claris non fit interpretatio.
Non si può mai presuppore un testo, chiuso nella sua presunta autoreferenzialità, non aperto a chi lo incontra e lo interpreta, questo
vorrebbe dire far prevalere il testo della legge svuotando il modello della ricerca pura. Tutti i parlanti infatti, comunicano secondo
la legge del testo ovvero secondo la struttura triale della comunicazione tra soggetti del dialogo450.
Non si può altresì isolare la norma escludendola dalla completezza ed unitarietà dell’ordinamento dal quale essa scaturisce « la
struttura e i contenuti delle norme non costituiscono un territorio
che possa guadagnare una sua autonomia rispetto alle vicende della quotidianità umana451, soprattutto oggi che ««la rivoluzione del
web ha portato alla conoscenza, in tempo reale, che in altre parti
del mondo uomini e donne non hanno la possibilità di esercitare la
loro pretesa giuridica, ma possono far circolare la parola che proprio in questo rivela la sua ‘energia’. Non è dominabile. L’uomo
pur esprimendola non può vietare che venga interpretata nella libertà dialogica, in una dimensione di pluralità che ormai è planetaria»!452
Il giurista ha quindi il dovere di interpretare sempre il contenuto normativo453 nel costante confronto tra norma e fatto, dimostrando un’ instancabile attenzione al dato concreto, all’io persona
come individuo e come comunità; guardando con profondità alla
sostanza esistenziale della civiltà umana e cogliendo nella mutevole e complessa realtà di oggi l’essenza della giuridicità che diviene identità giuridica attraverso una responsabile e critica ricerca della chiarezza, che non si sostanzia solamente in un posterius
bensì in una continua e impegnata consapevolezza che il diritto è
un fenomeno «vivo» e continuamente in fieri .
450
B. ROMANO, ult. op. cit., p.51.
Ibidem, p. 78.
452
AA.VV., Perché la filosofia del diritto oggi?, cit., p. 51.
453
Il giurista svolge il suo impegno rischiando la dimensione creativa dell’arte
che appartiene esclusivamente agli uomini. B.ROMANO, Ricerca pura e ricerca
applicata nella formazione del giurista. Diritto e bio-economia, Torino, 2008,
p. 73.
451
189
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6. È vero che: in claris non fit interpretatio? (GIULIANA
DONATIELLO)
In claris non fit interpretatio, questo broccardo, può essere tradotto con l’espressione, «nelle questioni chiare non si fa luogo a
interpretazione». Ma cosa s’intende per interpretazione? Da un
punto di vista giuridico l’interpretazione è quell’operazione o insieme di operazioni che permettono di comprendere il vero significato di una norma giuridica e, quindi, la sua effettiva estensione
regolamentare. Quindi la legge positiva non è mai, da sola, sufficiente ad applicarsi alla realtà quotidiana, richiedendo un costante
intervento integrativo dell’interprete. L’interpretazione è, dunque,
una necessità ed è sempre presente nell’attività giuridica, in quanto è connaturata alla semplice attività applicativa della legge454.
Del resto, il significato etimologico del termine interpretare, significa scoprire e spiegare quanto c’è di oscuro in uno scritto; da interprete, che indica chi spiega il senso delle parole455.
L’interpretazione è dunque, l’attività volta a chiarire e stabilire il
significato delle disposizioni, ossia degli enunciati nei quali si articola il testo di un atto normativo, in vista della loro applicazione
ai casi concreti. Infatti, chiunque voglia applicare la legge ha bisogno d’interpretarla per meglio adattarla al caso concreto.
L’interpretazione è, tuttavia, necessariamente ed inevitabilmente
un po’ creativa. In effetti, in essa intervengono, oltre agli elementi
testuali, anche elementi extra-testuali, che inducono a non limitarsi al semplice e pur chiaro significato delle parole della legge, ma
a guardare oltre, fino a recuperare quel fatto, quel materiale giuridico, coperto dal silenzio della legge, ma che può essere utile nella
creazione della norma concreta da applicare al caso singolo.456 Infatti, solo se viene interpretata, la norma può essere applicata al
singolo caso. Quello dell’interpretazione, è un momento essenziale nell’applicazione della legge, senza il quale la norma non può
454
T. G. TASSO, Oltre il diritto. Alla ricerca della giuridicità del fatto, Trento,
2012, pp. 254-255.
455
F. P. FIRRAO, Filosofia, Firenze, 2008, p. 98.
456
Ivi, p. 256.
190
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essere applicata. Anche la norma più chiaramente formulata, esige, dunque, di essere interpretata.
Da qui iniziano le considerazioni intorno al claris non fit interpretatio, che viene considerato semplicemente una questione relativa alla chiarezza della lettera della legge. Ma la legge non può
essere chiara, perché in realtà è necessaria sempre
un’interpretazione che non sia mera interpretatio letterale, ma interpretazione estensiva, creativa, diretta a perseguire
un’ermeneutica, la cui finalità ultima è la ricerca del giusto nella
testualità giuridica457. L’interpretazione della testualità giuridica è
ciò che distingue l’uomo da una macchina.
L’uomo, infatti, non è un ente che funziona come una macchina, come un computer. Un computer, non è in grado di interpretare ciò che l’uomo ha scritto «per lui», se non prendendo alla lettera ogni sua istruzione. Quindi, per un computer è sempre vero che
in claris non fit interpretatio, ma ciò non lo è per l’uomo, per l’io
pensante, che è l’unico tra gli esseri viventi che dà un senso a ciò
che appare e, proprio per questo, cerca di guardare oltre la testualità, per coglierne il senso più profondo. L’uomo, pertanto, se interagisce con un computer ha la responsabilità di esprimere le sue
istruzioni, in maniera così chiara, così precisa, così completa da
renderle direttamente applicabili, senza che occorra
l’interpretazione, mentre ciò non è pensabile se egli interagisce
con altri uomini, in quanto, l’interprete di fronte ad un enunciato
normativo, non rinuncia alla sua interpretazione, che potrà essere
diversa a seconda del soggetto che la compie. Quindi, il brocardo
in claris non fit interpretatio, se da un lato è solo indicativo della
necessità di non andare al di là della stessa norma, quando essa
appare chiara nella sua enunciazione, dall’ altro non nega l’ esigenza dell’ interpretazione, che è connaturata alla semplice attività
applicativa della legge. Quindi, si può concludere che, se anche la
norma più chiaramente formulata esige, comunque, di essere interpretata, non è vero che in claris non fit interpretatio, se non nei
limiti in cui essa costituisce un invito a non cercare un senso oc457
L. AVITABILE, Argumenta iuris. L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, cit., pp. 24-25.
191
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culto là dove la disposizione affiora chiaramente dalla lettura della
norma. Infatti, non è possibile pensare che, se una norma è chiara,
non sia necessaria un’ulteriore interpretazione, perché la chiarezza
è un risultato dell’interpretazione, non una sua premessa.
In questa stessa prospettiva anche Pareyson afferma che la pluralità dell’interpretazione, lungi dall’essere un difetto o uno svantaggio, è il segno più sicuro della ricchezza del pensiero umano,
tant’è vero che nulla è più assurdo che voler concepire
l’interpretazione come unica e definitiva458.
7. Critica dell’«in claris non fit interpretatio» (RAFFAELE
FRAIOLI)
Nell'ordinamento italiano l’art. 12 delle Disposizioni preliminari al Codice civile del 1942, codifica il principio interpretativo «in claris non fit interpretatio» recitando: «Nell'applicare la
legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle sue parole secondo la connessione di esse e della intenzione del legislatore». In altre parole il testo
che abbia un senso «naturale», che esprima un giudizio sensato
«non dovrebbe dar luogo a ricerche estrinseche di carattere ontologico» (intenzione del legislatore), quindi all’interpretazione logico-sistematica459.
Tale visione interpretativa non è però accoglibile se si allude
alla genesi antropologica capace di segnalare la differenziazione
peculiare del fenomeno diritto, nel suo emergere solo negli uomini, unici soggetto della relazione comunicativa460. Infatti, l’uomo
si configura come essere interpretante, che abita in un mondo interpretato e da interpretare ed in tale contesto acquista un ruolo
importante la figura del giurista che deve erigersi a iurisperitus
ovvero un interprete specifico. L’interpretazione non è altro che
458
L. PAREYSON, Verità e interpretazione, cit., pp. 56-57.
P. PERLINGIERI, Diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006, p.
566 ss.
460
B. ROMANO, Ricerca pura e ricerca applicata nella formazione del giurista,
Torino, 2008, p. 49.
459
192
a.a. 2012-2013
una lettura che tenta un chiarimento, chiunque quindi,
nell’accezione così intesa, diviene interprete che legge la realtà
circostante. Pertanto si può affermare che la chiarezza non è la
premessa, un prius dell’interpretazione, cioè non deve essere limitata al primo impatto della «precomprensione», cioè al profilarsi
della prima lettura e quindi una sommaria interpretazione, ma
semmai la conseguenza, un posterius che deve essere letto in connessione con gli altri in quanto la chiarezza è il risultato
dell’interpretazione461. Si può così affermare che in claris o non,
fit interpretatio. Non esiste alcuna possibilità di applicare una
norma senza interpretare il testo che la pone. Ogni atto di comprensione del testo è, infatti, interpretazione. Facendo cenno alle
scuole nel post-moderno l’interpretazione nel diritto viene bipartita: da un lato si manifesta l’interpretazione tecnica che a partire
dalla norma fondamentale si declina e muta il proprio significato
in relazione al dinamismo dell’ordinamento di appartenenza, pertanto per una norma non c’è mai una sola interpretazione ma la
celebrazione delle interpretazioni, una pluralità di interpretazioni
(interpretazione di parte, interpretazione del giudice, interpretazione degli avvocati, etc..) ed un conflitto di interpretazioni tecniche ovvero fatte da un tecnico avvezzo all’utilizzo di espedienti
tecnici; dall’altro lato interviene l’interpretazione ermeneutica
(dal greco ermeneuo, cioè interpreto, comprendo) che non può essere autoreferenziale ma deve aprirsi all’altro, aprirsi alle relazioni
che si formano tra gli uomini, lungo l’inesauribile catenarsi degli
anelli costitutivi dalle domande e dalle risposte, è sempre messa in
gioco la parola nella sua costituzione plurale, ovvero nell’essere
enunciata da un singolo per essere destinata ad altri singoli462.
L’ermeneutica è comunicazione, quando si oscura questa dimensione plurale e polisensa della parola cadono le dimensioni
dell’ascolto e dell’accoglienza, nel giurista si spegne l’arte
dell’ermeneutica, residua la parola morta delle norme, che è detta
tale perché perde la vita continuamente alimentata dal destinare la
461
M. CAPPELLETTI, Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza nel tempo
presente, in Rivista trim., 1982, p. 171 s.
462
B. ROMANO, Ricerca pura e ricerca applicata nella formazione del giurista,
cit., p. 49.
193
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parola all’ascolto e all’interpretazione che appartengono agli altri
soggetti463. La pluralità di interpretazione è libertà, dall’attività interpretativa discende la volontà di comprendere meglio il testo
normativo così da renderlo ragionevolmente comunicato e privo
di qualsiasi autoreferenzialità.
Il giurista diviene così artista della ragione perché ricompone
gli elementi essenziali (ragionevoli) della ragione e non si limita
alla mera tecnica. Non bisogna limitare poi l’interpretazione alla
testualità, all’enunciato normativo in una concatenazione logicocausale che attiene ad elementi oggettivi che, riferiti alla norma
fondamentale, rischiano una finalizzazione oracolare della Grundnorm464. L’attività ermeneutica dell’interprete si caratterizza,
pertanto, da un lato, nel costante confronto tra norma e fatto,
quindi attenzione al fenomeno, al dato concreto da cogliere nella
mutevole e complessa realtà e, dall’altro lato, nel continuo riferimento ai valori di rilevanza costituzionale. La questione della
comprensione della legge nel giuridico prende in considerazione il
concetto di aletheia, di alterità, del giudizio e della percezione
dell’altro, certamente non vi appartiene lo statuto di tipo elencativo465, infatti nonostante l’interprete abbia dei criteri da seguire
«deve obbedire alle leggi dei diversi tipi di produzione sussumibili
sotto il concetto di opera d’arte: altrimenti essa non coglie i diversi caratteri e interessi»466.
L’interpretazione può essere considerata anche un’attività storico-relativa, cioè l’interprete nel momento in cui deve risolvere
un caso concreto, quindi deve comprendere ed interpretare una
norma, terrà conto del sistema attuale e della fonti dei valori. È
compito, quindi, dell’interprete individuare in quale senso la parola debba essere intesa. In conclusione si può affermare che «capire» la norma non può essere il risultato dell’esegesi puramente letterale, ma l’individuazione della sua logica e della sua giustifica463
Ivi, p. 49 ss.
L. AVITABILE, Argumenta iuris. L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, cit.
465
P. RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, Milano, 1995.
466
L. AVITABILE, Argumenta iuris. L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, cit.
464
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zione assiologica; e questo è impossibile senza porre la norma in
relazione al resto dell’ordinamento e dei principi che lo sorreggono allo scopo di incidere nella qualità delle relazioni intersoggettive467. Necessita perciò ricorrere ad una interpretazione criticocostruttiva468. La comprensione del senso del testo deve essere
adeguata all’insieme che l’autore denomina contesto sociale sistematico-funzionale e affinché ciò avvenga, è necessario preservarne la funzione costitutiva – l’argomento –, in modo tale che la
comprensione non sia disfunzionale rispetto al sistema e quindi
all’interpretazione, in altre parole, deve evitare il fallimento.
«L’uso del diritto deve misurarsi nella genesi dialogica non
deve cedere alla fattualità, alla contingenza dei fatti vincenti, i fatti più forti, indifferenti alla verità intesa come qualità delle relazioni intersoggettive»469.
La comprensione del senso del testo deve essere adeguata
all’insieme che l’autore denomina contesto sociale sistemicofunzionale e, affinché ciò avvenga, è necessario preservarne la
funzione costitutiva – l’argomento –, in modo tale che la comprensione non sia disfunzionale rispetto al sistema e quindi
all’interpretazione, in altre parole, deve evitare il fallimento,
l’insuccesso
operazionale470.
L’argomento
usato
nell’interpretazione deve proporre una decisione conforme al sistema-diritto: ne consegue che l’argomento e interpretazione sono
relazionati alla decisione e acquistano omogeneità in funzione del
sistema
al
quale
appartengono;
l’argomentazione
e
l’interpretazione così qualificate sono meccanismi che a priori eliminano la polisemia e la plurivocità, quindi, le discussioni sul
testo in base ai principi classici del diritto allo scopo di prevenire
lo stato confusionale e garantire uniformità471.
467
B. ROMANO, Ricerca pura e ricerca applicata nella formazione del giurista,
cit., p. 52.
468
P. PERLINGIERI, Diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 599 ss.
469
B. ROMANO, Ricerca pura e ricerca applicata nella formazione del giurista,
cit., p. 53.
470
N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., p. 342.
471
B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 48 ss.
195
a.a. 2012-2013
Un’interpretazione non è corretta perché è nuova, ma deve essere rigorosamente corretta, scientificamente valida ed esprimente
valori per essere accettata come nuova interpretazione.
L’interpretazione deve essere: attività vincolata ai valori
dell’ordinamento, attività controllata perché deve avere una motivazione idonea, attività responsabile poiché l’interprete è responsabile qualora l’uso di metodi scorretti impedisse l’attuazione dei
principi costituzionali. Quindi l’attività del giudice non è arbitraria
ma motivata e vincolata472.
8. Il giurista tra artista della ragione e mero tecnico (VELIA
ZAMBARDI)
Pierre Legendre, parafrasando la definizione kantiana del «giurista come artista della ragione»473, cerca di introdurre considerazioni su quella che è la struttura da cui dipende il fenomeno del
normativo come questione indefinita della causalità474, considerando che se si dimentica la dipendenza strutturale dell’umanità
come specie che esercita la legge della parola, vale a dire sottomessa all’esigenza di pensare i propri fondamenti per esistere, non
si può comprendere né lo statuto della causalità con la quale è
confrontato il diritto e il suo nocciolo duro, né di conseguenza il
lavoro mediatore del giurista475. Per Legendre, il diritto «est un
savoir sur la fiction, puisqu’il traduit la structure en norme… est
un savoir sur l’échange, par conséquent d’emblée savoir sur la parole»476. In questa prospettiva, viene in rilievo che la perennità
dell’esperienza giuridica, considerata nel suo evolversi temporale
e geografico, altro non è che fenomeno della parola .
Nell’esperienza giuridica, quindi, ha un ruolo centrale la parola, il
472
P. PERLINGIERI, Diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 577 ss.
KANT, Critica del giudizio, 1970.
474
P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, Torino, 2000, p. 129.
475
Ibidem.
476
P. LEGENDRE, Sur la question dogmatique en Occident, Parigi, 1999, p. 43,
trad.: « Il diritto è un sapere sulla finzione, perché traduce la struttura in norma... È un sapere sullo scambio, per conseguenza d'immediato sapere sulla parola».
473
196
a.a. 2012-2013
verbo, che per l’Autore è fondamentale nelle regole giuridiche. Il
diritto non ha nulla di naturale e di oggettivo, ma si plasma sul
soggettivo, sul sociale, distinto e separato dell’economico, la cui
funzione è quella di conservare la «specie parlante» come tale,
dando quindi rilievo alla dimensione coalescente di logos e nomos. La parola (delle leggi e dell’interpretazione) sembra precedere i fatti, in quanto tende a governarli, a fissare le regole del gioco,
generali ed astratte, che come sostiene Irti477 , sono «le condizioni
per le quali ciascuno può contare su un dato contegno altrui o attendere un certo uso del potere coercitivo».
Negli studi di Legendre, emerge che compito del giurista è
quello di connettere tra di loro tre elementi fondamentali, dai quali
si origina l’umano: biologico, sociale, soggettivo. Proprio attraverso questa connessione pone in rilievo la funzione
dell’interpretazione, la quale deve istituire, armonizzare, ma non
attraverso
uno
status
sistematizzato,
ma
attraverso
un’argomentazione. Quest’ultima non deve essere intesa come
quella forma di ragionamento basata sulla combinazione e confutazione di argomenti: si rileva già in Socrate, dove si ha il primo
momento di manifestazione fenomenologica del senso della ragione giuridica478. Platone, nell’Apologia di Socrate, descrive una
rappresentazione processuale nella quale Socrate difende se stesso
attraverso l’arte della maieutica. Quest’ultima, descritta come «arte del tirare fuori, del partorire», è considerata come mera tecnica
d’interpretazione la quale utilizza «la premessa maggiore, la premessa minore, e la conclusione» per tirare fuori dal testo quello
che ha già di per sè479, configurando, in questa ipotesi,
l’interprete come mero tecnico, che si attiene alla sola lettera del
testo. Quella del «tecnico delle norme» non è l’interpretazione fatta dal «giurista artista della ragione», in quanto, a differenza di
quest’ultimo, non cerca il senso, ma lavora solo per il funzionamento del sistema480. La parola, però, non è netta e radicale, ma
477
N. IRTI , L’età della decodificazione, Milano, 1999, p. 22.
L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p.39.
479
Appunti della lezione di Teoria dell’interpretazione, 04/03/2013.
480
L. AVITABILE, Conversazioni sul diritto, Lezioni 2010-2011, Cassino, 2011,
p.44.
478
197
a.a. 2012-2013
comunica «più di quel che dice», rinvia nel senso
dell’interpretazione, nel tra-dire che rappresenta il luogo dello
spazio sospeso (tra) e il dire481, ponendo in rilievo maggiormente
l’intervallo di senso tra il testo scritto e l’interprete, emettendo così forme nuove. Per Legendre l’interprete deve subire la suggestione della parola, evocante e aperta, ponendosi in modo «sensibile», empatico nei confronti del testo stesso. Si tratta di
un’interpretazione ermeneutica, che deve essere aperta, terza, che
deve comunicare un quid pluris rispetto al testo stesso, entrando in
sintonia, in empatia con tutte le parti, istituendo un dialogo. Colui
che svolge attività interpretativa incontra un testo, ma non si limita né a ripeterlo, né a spiegarlo scientificamente, lo illumina nella
direzione dell’arte, che schiude la dimensione del futuro, inteso
non semplicemente come quel che viene dopo, ma come una creazione di senso482. L’interpretazione non è un mero spiegare, ma
appartiene al comprendere, che è un dire altrimenti, custodendo
sia la fedeltà verso la genesi del testo interpretato, sia l’originalità
richiesta
nel
dover
incontrare
il
destinatario
dell’interpretazione483. L’attività interpretativa, che va svolta in
maniera non caotica, fa emergere l’esigenza di individuare la «ragion d’essere» delle disposizioni; solo un percorso logicamente
orientato può consentire di giustificare una certa interpretazione,
rispetto a un’altra e, poiché l’interpretazione è essenzialmente un
processo conoscitivo, essa non si può dissociare dallo svolgimento
di una sua logicità nell’attività ermeneutica.
L’ermeneutica, però, è intesa in diversi modi: si può pensare
che la medesima consenta di pervenire all’esatta percezione del
significato di un testo di legge, attraverso un attento esame del
percorso storico, che ha portato all’elaborazione del medesimo. La
piena comprensione della disciplina esaminata si sviluppa, attraverso un ritorno al passato, che consente di impadronirsi del «senso storico» delle disposizioni. Tale impostazione presuppone un
percorso logico, pur esistendo un’altra spiegazione del fenomeno
481
ID., Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 37.
ID., Conversazioni sul diritto, Lezioni 2010-2011, Cassino, 2011, p. 43.
483
B. ROMANO, Arte e tecnica nel diritto. Riflessioni con Giuseppe Benedetti in
“Rivista internazionale di filosofia del diritto”, 2009, p. 2.
482
198
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più penetrante. Si nega la possibilità di rivivere appieno la situazione storica, che ha portato all’elaborazione di una certa legge,
perché il contesto attuale influenza necessariamente il significato,
che si attribuisce alla legge; esiste una «pre-comprensione» del testo di legge, collegato alle conoscenze che l’individuo ha già prima di attuare l’attività interpretativa, che condizionano
l’interpretazione e non consentono un’esatta ricostruzione del contesto storico, che ha portato all’elaborazione di determinate disposizioni. Questo è, essenzialmente, ciò che s’intende con
l’espressione «circolo ermeneutico», in consonanza con la filosofia di Heidegger e Gadamer. Ancora Schleiermacher, teorico
dell’ermeneutica, sostiene che « l’interpretazione deve quindi obbedire alle leggi dei diversi tipi di produzione sussumibili sotto il
concetto di opera d’arte: altrimenti essa non coglie i diversi caratteri e interessi484.»
Il tecnico della ragione, invece, interpreta attenendosi solamente al testo normativo, o come meglio direbbe Luhmann, lavora solo per il funzionamento dei sistemi. È doveroso aprire una parentesi sulla visione che questo filosofo ha dell’interpretazione, vista
come argomentazione. Ben sappiamo che l’argomentazione può
essere considerata un ragionamento che permette di arrivare a
conclusioni partendo da enunciati che costituiscono premesse. In
Luhmann l’argomento giuridico è simbolo della validità del diritto
ma, allo stesso tempo, non consente di modificare il testo giuridico, servendo solo il funzionamento del sistema. In questo senso si
può discutere di un’argomentazione funzionale che stabilizza e assorbe le incertezze, esercitando una funzione immunitaria e di
controllo. Si tratta di una forma a due versanti che utilizza gli argomenti non in qualità di buoni o cattivi ma come funzionali/non
funzionali al sistema diritto, deputato a svolgere una funzione
immunitaria, cioè ad ergersi a protezione degli altri sistemi nel caso questi vengano attaccati.
La «vera» interpretazione, quindi, deve essere basata
sull’empatia, che è cosa diversa dalla «simpatia» come alcuni sostengono. L’ empatia è nel diritto stesso, in quanto il diritto è
un’istituzione destinata al dialogo con i destinatari, tenendo sem484
F. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, Milano, 1996, p. 497.
199
a.a. 2012-2013
pre presente che l’a priori nel diritto è l’universalità e
l’incondizionatezza.
Stein, ad esempio, vede l’empatia come la prima forma (=atto
sociale) che conduce alla formazione del diritto, laddove la giuridicità non è costituita da un insieme di norme destinate ad essere
formalisticamente configurate come asse portante della comunità485, ma è costituita da norme che rinviano ad altro attraverso
l’interpretazione stessa.
Si giunge a ritenere che tra argomentazione ed ermeneutica
sussista un rapporto di coesistenza nella stessa opera interpretativa486.
Ogni itinerario seguito nella storia dell’interpretazione deve
essere integrato, in quanto da una parte il diritto necessita di
un’attività tecnica, ma dall’altra necessita di un’attività che non
sia autoreferenziale. Vengono prese in considerazione sia
l’ermeneutica che l’argomentazione, essendo necessarie entrambe
per porre in essere l’interpretazione, senza comunque escludere la
manifestazione formale della norma, non potendo il diritto inteso
come diritto posto, positivo, escludere né la struttura del linguaggio né di conseguenza quella dell’interpretazione , che a sua volta
implica la dinamica relazionale e razionale487.
9. L’interpretazione funzionale come garanzia della terzietà.
Il legislatore e il sistema economico (NICE TARANTINO)
Ogni epoca storica è portatrice di novità e progresso e quindi
di cambiamenti, sia dal punto di vista giuridico che etico. In tale
metamorfosi il soggetto è influenzato anch’esso dalla legge del
mercato e dell’utilità, dimenticando l’importanza della parola e
della sua gratuita diffusione. Dovere del giurista è quello di mantenere la sua posizione di soggetto terzo e imparziale in virtù del
485
L. AVITABILE, Interpretazione del formalismo giuridico in E .Stein, Torino,
2012, p. 226.
486
Appunti della lezione di Teoria dell’interpretazione del 05/03/2013.
487
L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto , Torino, 2012, p. 254.
200
a.a. 2012-2013
fatto che il diritto è costitutivamente terzo e l’interprete è solo un
tramite. Ma nella società attuale le relazioni interpersonali sono
tutte basate sullo scambio. Bisogna capire se lo scambio è utile o
gratuito, funzionale o disfunzionale. Oggi l’economia è diventata
il centro vitale delle relazioni e il diritto, in quanto permeato dalla
realtà economica, che rappresenta il pilastro portante della società,
tenta allora di adeguarsi e diventa un accordo di adeguamento
funzionale all’economia. La questione è discussa anche da Freud;
egli non si occupa delle relazioni personali in quanto il diritto e la
giustizia sarebbero solo apparati del funzionamento dell’economia
libidica; non pone mai l’attenzione sul dialogo e sulla parola perché nell’economia libidica le parole non hanno rilievo488. In tale
ottica l’uomo è portato a liberarsi del pensiero, a banalizzarlo, fino
ad arrivare all’estremo nichilismo giuridico. Ma il giurista invece,
attraverso l’attività interpretativa, è portato a riflettere sulle parole
e sul loro senso ed è inoltre portatore di un sapere che tramanda
gratuitamente e senza interessi. L’interpretazione della legge è
dunque un atto gratuito, cioè non funzionale, solo quando non implica un corrispettivo; se fosse basata sul denaro si andrebbe a finire nel vortice del commercio dell’utile e ciò rimuoverebbe la
gratuità del dialogo. Il diritto non serve un utile misurato
dall’utile, ma ha la sua genesi nella struttura relazionale, reciproca
e gratuita, del senso.489 Se l’interpretazione non porta a nulla, se
non all’applicazione della terzietà, allora si è formato un atto gratuito. Ciò che regola il mondo giuridico infatti non è la legge dei
mercati, basati sull’utile e sullo scambio, ma la legge dei destinatari delle norme, ovvero quei soggetti che si relazionano con gli
altri gratuitamente. Bruno Romano afferma «Le leggi dei mercati
sono istituite per il funzionamento dell’utile. Nella prospettiva
dell’utile le relazioni interpersonali sono tra un debitore e un creditore. L’utile mercantile non è un dono, non è legato alla gioia
della gratuità che sorprende, entusiasma e riattiva l’io. È costruito
e programmato dai padroni del mercato»490. Dato che oggi è
l’economia che muove il mondo e data la pervasità del denaro, in488
S.FREUD, Il disagio della civiltà, Torino, 1971.
B.ROMANO, Dono del senso e commercio dell’utile, Torino, 2011, p. 18.
490
Ivi, p. 37.
489
201
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teso quale medium simbolicamente generalizzato perché appartenente a tutti i tipi di sistemi, si evince che la dimensione economica è essenziale allo stato di diritto, perché merce di scambio e di
transito, però non è la ragione della misura giuridica, è la ragione
giuridica che è ragione della misura utilitaristica. Nel momento in
cui diventa ragione della misura giuridica, il legislatore smette di
essere terzo ed imparziale e consegna se stesso a nuove funzioni
legislative – le leggi dei mercati – dove tutto si declina su un versante totalmente funzionale al mercato e dove tutto è considerato
funzionale allo scambio. Lo scambio è alla base anche della comunità giuridica. Nella formazione del diritto alla base vi è lo
scambio, inteso come un relazionarsi nel gratuito. Tipico
dell’economia è invece un do ut des continuo; uno scambio ricondotto alla matrice dell’utile. Il diritto però non è una merce di
scambio basata sul denaro, non è un affare, ma è un atto gratuito
con funzione donativa. Il denaro è parte rilevante dell’economia e
dello stato; ma poiché lo stato di diritto è basato sul relazionarsi
gratuitamente, si evince che l’economia non può essere la genesi
del diritto. Il diritto non può essere oggetto di pagamento poichè
ciò significherebbe perdere la sua originaria terzietà e imparzialità. Il giurista ha il dovere incondizionato di custodire le relazioni
giuridiche tra gli uomini nelle condizioni di una uguaglianza non
monetizzabile e deve rifiutare con vigore l’assoggettamento ad
una funzione vincente, generatrice di rapporti di sproporzione e di
diseguaglianza491.
Ma attualmente l’uomo è in grado di darsi solo quelle regole
che si muovono sul profitto e sulla legge del più forte. La società è
retta esclusivamente dalla globalizzazione, dall’utilità e dal mercato; l’uomo smette di pensare e pensa solo all’utilità. In tale ottica si pone l’impegno del filosofo del diritto e del giurista. Non si
può pensare, data l’attuale concezione del mondo, che il mondo
del diritto e quello dell’economia siano due universi paralleli mai
destinati ad incontrarsi. Punto d’incontro c’è, ed è quello dello
scambio, che se da un lato è utile, dall’altro è gratuito. Sta
all’interprete, giurista ed artista della ragione, essere capace di non
far confluire e così confondere le due concezioni. In un certo sen491
L.AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 49.
202
a.a. 2012-2013
so il mondo economico, in quanto privo di qualsiasi interpretazione di senso, può essere accostato al mondo internettiano. Il mondo
del web non vuole interpretazioni. I nuovi e numerosi social
network (facebook, twitter, skape, ecc) sono fonti di trasmissione
della parola in modo immediato; non hanno bisogno di creatività
ermeneutica per diffondere la parola, ma piuttosto di velocità ed
immediatezza.
Quindi, se da un lato hanno dato spazio alla parola, dall’altro si
rinuncia ad interpretare. La questione di senso diviene così senza
senso.
10. Relazione tra ermeneutica e argomentazione. Ermeneutica
e argomentazione: autori a confronto (MARCO SORVILLO)
Il termine ermeneutica deriva dal greco ermeneutiké ed è traducibile «come arte dell’interpretazione», da hermenuo, «interpreto», «esprimo», «traduco». Questo termine ha comunanza di radice con il nome del dio Hermes, figlio di Zeus, che è il messaggero
delle parole di comando di suo padre, Zeus. Nella Grecia classica
il termine hermenèuein indicava principalmente coloro, poeti e sacerdoti, che si facevano portavoce dei messaggi degli dei492. Il
termine ermeneutica è usato per indicare la tecnica per bene interpretare testi o documenti teologici, giuridici o filologici, infatti, il
termine ermeneutica è sinonimo d’interpretazione, ossia l’atto ed
il modo di scoprire e spiegare quanto c’è di oscuro in uno scritto;
da «interprete», che indica chi spiega il senso delle parole493.
L’argomentazione, invece, è un ragionamento che consiste
nell’inferire da enunciati che fanno da premessa ad un enunciato
che costituisce una conclusione. Un esempio di argomentazione ci
viene offerto dall’Apologia di Socrate, che è il paradigma di quello che l’uomo può scegliere attraverso un’argomentazione sufficiente. Socrate, infatti, difende se stesso attraverso
l’argomentazione, smantellando, ragionando, le accuse che vengono sollevate contro di lui. L’Apologia di Socrate è il primo
492
493
F.P. FIRRAO, Filosofia, Firenze, 2008, p. 466.
Ivi, p, 98.
203
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momento giudiziario nella storia della civiltà: c’è un uomo, infatti,
che subisce un processo, regolato da leggi, interpretate da magistrati e che viene giudicato secondo leggi umane. Socrate sceglie
di accettare le leggi umane, argomentando la sua decisione.494
«Il Socrate dei dialoghi giovanili di Platone rinuncia alla certezza assoluta, a favore di una ricerca morale della verità che ha
bisogno del convincimento delle persone con cui si discute. All'inizio dell'Apologia, Socrate dichiara di saper e voler parlare soltanto a modo suo. Socrate, dicendosi un oratore modesto, sta tentando di trascinare il pubblico sul suo terreno abituale. Ma nel
contesto giudiziario, occorre convincere i giurati e non cercare la
verità a partire da quello che si crede: questo, anzi, è il capo d'accusa da cui Socrate dovrebbe scagionarsi». L’argomentazione è,
quindi, una tecnica che qualunque giurista è in grado di applicare.
L’arte di argomentare, infatti, è intesa da Cicerone come l’arte del
dire. Invece, parlando di ermeneutica per chiarezza di esposizione
è d’obbligo iniziare dalla definizione data da Schleiermacher, e
cioè: «l’ermeneutica è, in generale, l’arte di intendere giustamente
il discorso di un altro»495; sottolineando l’intenzione di chi ascolta
e l’impegno del parlante, suscitando una serie di riflessioni che
investono il diritto e la sua genesi più profonda sino a poter qualificare il giurista «artista della ragione»496. Il concetto di arte restituisce al giurista la sua qualità di artista, come autore libero della
propria interpretazione, senza assoggettarsi al potere delle forze
dominanti, presenti nella società. Per Schleiermacher «il fine
dell’ermeneutica è quindi la comprensione del senso supremo»497.
L’uomo, infatti, necessita di spiegazioni, vive dando motivazioni: ogni volta che il giurista sollecita il testo «a parlargli» non
si ferma mai alla lettera dell’enunciato normativo, ma richiama
immediatamente l’intenzione del legislatore o del giudice e in
questo semplice rinvio risiede l’importanza della volontà, della
motivazione e della scelta. Quindi, non si può archiviare l’evento
dell’interpretazione come formulazione manualistica, semplice494
PLATONE, Apologia di Socrate, Milano, 1985, p. XV e ss.
A. PLACHY, La teoria dell’interpretazione, Milano, 1974, p. 41.
496
P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, Torino, 2000.
497
F.D.E.SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, Milano, 2000 p. 199.
495
204
a.a. 2012-2013
mente come argomentazione. Solo con l’interpretazione come ermeneutica si possono mettere in luce le iniquità e se è vero che
l’interpretazione non modifica proceduralmente una legge498, si
nota che essa contribuisce a rendere manifesto ciò che in quella
legge non viene riconosciuto come giusto. Tuttavia, paradossalmente, in Luhmann la finalità dell’interpretazione è quella di porre limiti alla libertà di interpretazione attraverso la legalità.
Lo
stile
dell’argomentazione
invade
le
pretese
dell’ermeneutica, perché in Luhmann l’ermeneutica come capacità
di comprendere non trova spazio, ma tutto è ridotto ad un argomentare. Per Luhmann solo l’argomentazione va oltre, in quanto
valuta, a differenza dell’interpretazione, gli argomenti in considerazione della loro forza di convincimento nel processo di comunicazione499. Ma allora cos’è l’interpretazione? In cosa può differenziarsi dall’argomentazione, cosa significa ermeneutica per la
teoria sistemico-funzionale? L’interpretazione in Socrate è la maieutica: l’arte di estrarre qualcosa che in Schleiermacher si trasforma in arte di condurre un dialogo, in arte della ragione, esercitando la quale il giurista è chiamato a compiere il dovere di interpretare la legge, senza essere la bocca della verità, sottoposto alla
sola condizione di ricerca del senso della parola. Per Luhmann,
invece, essa è una forma a due versanti che permette all’interprete
di selezionare i materiali in direzione di uno dei due poli diritto/non diritto.
Partono da qui le considerazioni intorno al claris non fit interpretatio, che viene considerato come una questione relativa alla
chiarezza della lettera della legge, ma la legge non può essere
chiara, perché è sempre necessaria un’interpretazione, che non sia
mera interpretazione letterale, ma interpretazione estensiva, creativa, diretta a perseguire un’ermeneutica, la cui finalità ultima è la
ricerca del giusto nella testualità giuridica. Concludendo questa
analisi, si può dedurre che il concetto di ermeneutica funzionale è
messo in discussione, in quanto l’interpretazione al servizio del
fondamentalismo funzionale assume su di sé la qualificazione più
effimera dell’argomentare giuridico; in essa il diritto non è più
498
499
N. LUHMANN,, Das Recht der Gesellschaft, p. 338.
Ivi, p. 344.
205
a.a. 2012-2013
considerato come fenomeno, ma come il fatto del più forte, la legge del più forte500.
11. Il principio in claris non fit interpretatio e la giurisprudenza italiana (MANUELA VALENTE)
In claris non fit interpretatio:«nella chiarezza non si danno interpretazioni»501. Questo brocardo più volte ricordato trae origine
dalla visione romano-classica dell’interpretatio (secondo la quale
nel caso in cui vi fosse una fattispecie astratta già prevista dal legislatore,il giudice non deve creare diritto ma solo applicare quanto previsto dalla legge,quindi tale canone impone il divieto di precisare il contenuto di una norma ricorrendo ad argomenti extratestuali o a criteri ermeneutici,quindi ulteriori interpretazioni). Secondo l’art.12 delle disposizioni preliminari del codice civile:
«nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso
che quello fatto palese dal significato proprio delle parole,secondo
la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore»,quindi
nel caso in cui non ci sia una precisa disposizione a disciplinare
una controversia si può fare riferimento a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, nel caso in cui ci fosse ancora
dubbio si ricorre ai principi generali dell’ordinamento giuridico
dello Stato, ma questo stesso articolo non stabilisce se debba prevalere il significato stesso delle parole adottate dal legislatore o la
sua «intenzione» laddove i risultati appaiono contrastanti.
Rimanendo nell’ambito del diritto civile, sembra che questo
principio vada rifiutato quando lo si intende nel senso che un testo
chiaro non ha bisogno di interpretazione, invece accettato se si intende che se il testo appare chiaro e non ci sono elementi che lo
mettono in dubbio, allora l’interprete debba limitarsi ad
500
L. AVITABILE, Argumenta Iuris l’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, cit., p. 24 e ss.
501
Secondo Perlingieri questa affermazione è falsa in quanto la chiarezza non è
un prius ma un posterius, cioè un risultato dell’interpretazione. P. PERLINGIERI,
Manuale di diritto civile, Napoli, 2007, pp. 94-98.
206
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un’interpretazione letterale502. Inoltre questa disposizione non necessariamente impone di interpretare la legge da un punto di vista
letterale, in quanto il ricorso all’intenzione del legislatore è ammesso solo quando il significato letterale stesso non sia già univoco da rifiutare una diversa interpretazione, e lo stesso articolo tiene distinti, significato delle parole e intenzione del legislatore ma
parla anche di significato proprio delle parole quasi che queste
abbiano un loro vero significato503; le correnti più attente riconoscono che«l’intenzione del legislatore» è la ricerca non della volontà del legislatore ma della ratio legis.
L’interpretazione non è soltanto ricerca del significato proprio
delle parole, ma va riferita ad un contesto che è la realtà esterna;ed
è quindi l’ermeneutica,«arte dell’interpretazione», che rivela la
connessione fondamentale tra realtà ed interpretazione. Sotto il
profilo
della
filosofia
vi
sono
altre
visioni
dell’interpretazione:secondo Platone interpretare significa cogliere
la realtà del mondo esteriore; per Aristotele invece l’hermenèia è
il linguaggio che interpreta i pensieri esprimendoli all’esterno e
usa questa parola per intitolare nell’Organon uno dei trattati dedicati all’interpretazione (Perì hermeneias), lo stesso significato
viene mantenuto da San Tommaso che al termine interpretazione
affianca quello di esegesi, intesa come ricerca del significato nascosto di un testo.
Con Schleiermacher l’interpretazione si deve applicare a qualsiasi testo dalla cui retta comprensione ci separi una qualsiasi difficoltà:«capire il discorso anzitutto bene e poi meglio di quanto
non lo capisce l’autore stesso»504;il problema di Schleiermacher è
quello di capire fino a che punto l’interpretazione si debba attenere al senso che l’autore ha dato alla propria scrittura o se essa si
possa sentire autorizzata ad andare oltre quello che lo stesso autore voleva significare. Tornando al principio in claris non fit interpretatio,questo è ribadito anche dalla Corte di Cassazione che si è
espressa in varie circostanze, affermando che la ricerca della effet502
V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, pp. 465-466.
A. BELVEDERE, L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo,
Napoli, 2001.
504
F. SCHLEIERMACHER, Ermeneutica, cit., p. 87.
503
207
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tiva mens legis debba avvenire solo nel caso in cui la norma da interpretare sia ritenuta non chiara o equivocabile505.
Scrive F.Balcone nel ‘600 nel De dignitate et argumentis
scientiarum:«è di tale importanza nella legge la condizione di esser certa che altrimenti non potrebbe nemmen esser giusta….ottima è quella legge che nulla lascia all’arbitrio dei giudici:al che la certezza provvede»; con questa frase Balcone attribuisce al legislatore il compito fondamentale di dettare norme chiare
e precise. Il bisogno di evitare disuguaglianze, ambiguità, si ha
soprattutto per quelle norme che hanno il compito di irrorare una
pena, problematica relativa soprattutto per quanto riguarda l’art.99
c.p. sulla recidiva, appunto per questo la Costituzione italiana ha
affermato il principio di riserva assoluta di legge in materia di diritto penale sostanziale nell’art.25 Cost.
12. Interpretatio legis- Interpretatio iuris (MICHELA FERRUCCI)
Il fondamentalismo formale, che si definisce come tale
allorquando un atto giuridico non viene assunto, al fine di
determinarne l’eventuale sua antigiuridicità, nella sua esistenza
naturale bensì in ragione della qualificazione che la norma gli
conferisce attribuendoli il suo particolare significato giuridico,
fulcro del pensiero kelseniano, vede l'uomo, naturale destinatario
del sistema normativo, decisamente emarginato in ossequio e a
tutto vantaggio di una sterile forma legalizzata. Tutto si origina, si
evolve e si esaurisce, in quella che lo stesso Kelsen definisce
'Norma fondamentale' concepita quale atto di volontà ipotetico
presupposto a tutte le altre norme e che trova la sua collocazione
all'apice di un sistema gerarchico immaginato a forma piramidale.
L'interpretazione, per effetto della struttura delineata, non può,
quindi, che operare se non utilizzando uno schema 'discendente' a
partire proprio dalla cornice ideale imposta dalla norma
superiore506. Ne risulta così frustrata la stessa figura
505
Sentenza della Corte di Cassazione, n.836 del 3 Maggio 1967 e sentenza n.
2533 del 3 Dicembre 1970.
506
H. KELSEN, Dottrina pura del diritto, Torino, 1954.
208
a.a. 2012-2013
dell'interprete/giurista condannato, nella concretezza della sua
funzione, ad una mera, sterile interpretatio legis e cioè alla pura e
semplice cognizione507 letterale del testo che non ammette
indagine alcuna sul senso ultimo del diritto, completamente
assorbita, così come essa è, nella verifica della sola sua
giustificazione all'interno del testo stesso.
Afferma Kelsen «il fatto che una sentenza sia fondata sulla
legge non significa altro che ci si attiene allo schema delineato
dalla legge115». Si assiste cosi, a quello che viene definito come
'nichilismo giuridico’508 a ragione del fatto che, l'interpretazione
ridotta a mera verifica della legalità116 retta da una forma che è
507
Bruno Romano sottolinea la differenza esistente fra la ‘conoscenza
scientifica delle norme’ ed il ‘comprendere la giustizia’ sottesa alle stesse. Il
conoscere bio-macchinale è proprio dei sistemi biologici governati da semplici
inclinazioni del tipo approvazione-esecuzione che fatalmente determinano la
progressiva emarginalizzazione dell'Io nei soggetti che si relazionano
giuridicamente. Diversamente il comprendere è l'attività propria dell'intelletto
mediante la quale gli uomini concepiscono le connessioni di senso dalle quali
scaturiscono le connessioni motivazionali che esprimono le intenzioni della
soggettività e quindi l'imputabilità dell'uomo così some si manifesta al giudice
quale terzo soggetto del rapporto. L'Io non può, quindi, esaurirsi nella mera
conoscenza ma si attiva nel comprendere. Nel rendere cioè visibile l'invisibile
aprendosi ad una questione di senso. Sistemi biologici e giustizia vita animus
anima, Torino 2009, p. 75 e ss.
115
H. KELSEN, Dottrina pura del diritto, cit. p. 96.
508
Il sistema costituzionale di uno stato, alla luce delle premesse sistematiche
elaborate da Kelsen, si caratterizza dall'essere una realtà di norme ferme e
statiche. A tale proposito Bruno Romano, evidenzia come, il fenomeno del
'nichilismo giuridico', che si innerva su tale premessa,
consista
sostanzialmente 'nel trattare le norme mediante altre norme non pensando il
diritto come ragione e senso di ogni norma.' e quindi nell'usare ' la tecnica delle
norme senza impegnarsi nell'arte del diritto'. In tale contesto sistematico viene
meno 'l'Io nella sua unità esistenziale, nella soggettività creativa' trasmutandolo
in una entità frammentata.. Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo
perfetto, Torino 2006, p. 89 ss., B. ROMANO , Diritto postumanesimo
nichilismo una introduzione, Torino 2004 , p. 39 e ss.
116
L'interprete, così come immaginato e voluto da Kelsen, si annichilisce in
operazioni quasi meccaniche. Sulla tragicità di una tale deriva emblematici
sono gli studi svolti nell'ambito della informatica giuridica. Negli anni ’80,
infatti, i sostenitori dell’ I.A. ritenevano possibile che qualsiasi procedimento
intellettuale del giurista potesse essere tradotto in operazioni logiche suscettibili
di informatizzazione. Allo scopo vennero elaborati una serie di algoritmi logici
209
a.a. 2012-2013
principio di se stessa, mai si interroga sul senso del suo essere e,
quindi, non incontra «l'io della parola», ma solo «il me
funzionale»
che perfettamente rappresenta l’abbandono dell’uomo ad un
destino che, deciso in senso funzionale, prescinde radicalmente
dalla sua dimensione esistenziale. L’uomo di Kelsen, privato del
suo Io e della sua egoità, viene, quindi, ridotto a mero oggetto
delle norme, cioè ad ‘un me’ che, così prodotto dalla riduzione
fenomenologia, si caratterizza per essere solo lo spettatore passivo
della realtà e il raccoglitore dei dati del mondo. Un ‘me’ asservito
a un sistema di legalità falsamente mistificato come ‘Diritto’ ma
che null’altro è se non il frutto della legge del più forte che, spento
l’Io e la sua connaturata ansia di giustizia, ’funziona’ in un
sistema dominato «dal fatto più la potenza del più forte»509. Una
delle conseguenze di un approccio siffatto è la grave deminutio
che subisce il ruolo stesso del giurista-interprete ridotto ad essere
un mero 'funzionario tecnico' che emette un giudizio giuridico
«che non appartiene al terzo-altro e non riguarda la soggettività
degli uomini ec-sistenti nella trialità del logos propria del
linguaggio discorso» ma si avvia «a divenire esso stesso soggetto
di una scena dello spettacolo del nessuno che rende tutti esecutori
impotenti ed anonimi del potere»510. Superando i postulati della
teoria kelseniana, l'io e la parola non possono essere
oggettivizzati. La parola manifesta l'io, che non può essere fissato
in un senso già formato in quanto l'io si avvia in un senso in
formazione che si realizza nel comprendere e dunque nell'attività
ermeneutica ed interpretativa. Ne consegue che il diritto non può
esaurirsi in una mera ricerca formale della legalità, nel dato
positivo di una norma, ma, a contrariis, nell'impegno nella
ricerca della ratio iuris della stessa mediante l'idea della
formatività della giustizia «nell'opera d'arte dell'ermeneutica»511.
capaci di rappresentare la conoscenza giuridica con modalità tali da poter
essere elaborata da un calcolatore che, nelle aspettative, avrebbe dovuto, a
domanda, fornire la risposta al pari di qualsiasi esperto (avvocato, giudice).
509
ID., Scienza giurista: il nichilismo ’perfetto’, Torino 2006, p. 188.
510
ID., Male ed ingiusto riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Torino 2009, p.
19.
511
Ivi, p. 19
210
a.a. 2012-2013
Dunque, il diritto inteso come jus positivum non può escludere la
struttura del linguaggio e di conseguenza dell'interpretazione che a
sua volta implica la dinamica relazionale e razionale. La struttura
discorsiva e testuale diventa cosi 'controversia di senso' perché
ogni lettura è intrinsecamente interpretazione diretta alla
costruzione di una identità «ogni chiarimento presenta la sua
plurivocità direzionale che impegna l'argomentazione giuridica
nel muovere dall'uomo in quanto soggetto e dunque
dall'istituzione della parola la parola giusta»512. L'interpretazione
intesa come interpretatio iuris postula ogni possibile utilizzazione
e applicazione di tecniche di analisi normativa allo scopo di
meglio cogliere il senso universale del diritto dato proprio dalla
ricerca dell'effettività della giustizia nelle relazioni. Per
intraprendere tale strada occorre riconoscere l'uomo e la sua
alterità. La giustizia è «dunque quell'ordine in cui l'uomo può
sussistere come persona»513. Nella condivisione di tale principio,
l'interpretatio iuris vede il giurista quale artista della ragione che
pone la questione di senso e ne rischia gli itinerari della ricerca,
attraverso una interpretazione ermeneutica intesa come un dono di
senso (atto giuridico che ha ad oggetto una forma immateriale del
senso giuridico), attraverso una lettura empatica volta alla gratuità
del donarsi. In Scheleiermacher l'interpretazione ermeneutica è
intesa come «arte di intendere il discorso altrui»514.
Arte dunque della comprensione e avvio dell'interpretazione
intesa come « il rovescio della grammatica»515. Infatti solo
interpretazione come comprensione ermeneutica può palesare le
iniquità della legge. L'ermeneutica si compone ontologicamente di
due momenti: uno visibile determinato dal linguaggio e uno
intellegibile determinato dal senso.
512
L. AVITABILE, Perchè la filosofia del diritto oggi, Napoli 2011, p. 42.
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Introduzione a Platone, Brescia 1994, p. 43 ss.
514
M. HEIDEGGER, In cammino verso il linguaggio, cit., pp. 89-90.
515
F. D .E. SCHELEIERMACHER, Ermeneutica, cit, p.197.
513
211
a.a. 2012-2013
13. Grundnorm come fondamento del sistema normativo, la
concezione di Hans Kelsen sull’interpretazione della norma
(ANTONIO POSABELLA)
L’ermeneutica si traduce come l’interpretazione dei testi scritti,
interpretazione che si deve basare nella previa conoscenza dei dati
storici e filosofici della realtà che si vuole comprendere.
Kelsen sviluppa l’idea della costruzione a gradi
dell’ordinamento giuridico, nella quale i concetti di applicazione
del diritto preesistente e di creazione di diritto nuovo si trovano in
stretta correlazione, definisce l’interpretazione come «(il) procedimento spirituale che accompagna il processo di produzione del
diritto nel nuovo sviluppo da un grado superiore ad uno inferiore
regolato da quello superiore»516.
Questo rapporto Kelsen lo paragona al rapporto tra legge e sentenza che viene considerato analogo a quello esistente tra costituzione e legge, trattandosi in entrambi i casi di un rapporto di determinazione o di vincolo, in cui la norma superiore disciplina,
tanto nella forma (procedimento) quanto nella sostanza (contenuto), l’atto attraverso il quale dovrà essere prodotta la norma di
grado inferiore517
Quindi, Kelsen ritiene che ogni norma deve essere interpretata
per la sua applicazione nella cornice giuridica offerta dal legislatore; dunque, la norma superiore agisce in maniera parziale determinando il contenuto della norma inferiore; questo perché dipende
da circostanze impreviste che non possono essere prevenute nella
maggioranza dei casi ed è per questo che nella maggioranza dei
casi l'organo creatore della norma superiore lascia che la norma
inferiore continui il processo che determina il diritto.
La non determinazione di un atto giuridico è conseguenza involontaria del testo che regola quell'atto. Quindi si trovano parole
o frasi del testo con equivoci. Equivocità che può avere varie interpretazioni e queste sono marcate nel soggettivismo e nel relativismo.
516
517
H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit., p. 92.
Ivi, p. 98.
212
a.a. 2012-2013
Quando non esiste determinazione volontaria di un atto giuridico stiamo parlando di un atto aperto a varie possibilità di interpretazione. Tra i vari significati che può avere il testo giuridico,
bisogna analizzare se dargli il senso che ebbe la volontà dell'autore o sceglierne uno dei due che si trovano in contraddizione.
L'interpretazione sarà la determinazione del senso della norma
da applicare; determinazione data dai vari modi di riempire la
cornice giuridica attraverso un ragionamento che potrà dare luogo
a pensare se è giusta o ingiusta, ma comunque l'interpretazione
deve essere sempre valida e conforme alla norma superiore, inoltre la sua interpretazione avverrà attraverso un organo legalmente
costituito che sceglierà l'applicazione più appropriata.
Kelsen afferma che la determinazione non è mai completa, in
quanto la norma superiore non potrà mai vincolare sotto tutti gli
aspetti l’atto che le darà esecuzione. Quindi, la norma superiore
delimiterà solo uno schema, una cornice, al cui interno l’organo
delegato (il legislatore, o il giudice) potrà, o dovrà esercitare una
discrezionalità completando, attraverso l’attività interpretativa, il
lavoro di definizione normativa rimasto, o lasciato incompiuto
dall’autorità gerarchicamente sovraordinata518.
Per Kelsen, infatti, la parziale indeterminatezza del grado inferiore può talvolta essere intenzionale, talaltra inintenzionale.
L’indeterminatezza (del grado inferiore) è intenzionale quando
l’organo che pone in essere la norma superiore lascia volontariamente, a quello che dovrà darle esecuzione, il compito di proseguire l’opera di individualizzazione e determinazione progressiva
del precetto in essa contenuto. Un caso paradigmatico di indeterminatezza volontaria della norma inferiore (sentenza) è dato
dall’astrattezza della legge, imposta dalla necessità di esonerare il
legislatore da una interminabile attività di classificazione esempli-
518
In Kelsen «a livello pre-legislativo l’interpretazione si presenta come applicazione del diritto costituzionale e creazione del diritto legislativo da parte del
legislatore» mentre «a livello post-legislativo l’interpretazione si presenta come
applicazione del diritto legale e creazione del diritto da parte del giudice,
dell’autorità amministrativa, del privato». G. GAVAZZI, L’interpretazione giuridica di Hans Kelsen, cit., pp. 223-224.
213
a.a. 2012-2013
ficativa delle innumerevoli configurazioni che ogni fattispecie potrà assumere in concreto.
Oltre a presentare varie possibilità e sceglierne una, per riempire il quadro giuridico di un atto si deve avere una tecnica per
completarlo correttamente e utilizzare la ragione per comprendere
qual è la più giusta delle interpretazioni; pertanto per l’organo
giudicatore può essere la più corretta come per il difensore può essere la più contraria. L'ultima decisione spetta ad un superiore che
dichiara se la decisione presa nei processi anteriori fu la più corretta.
Kelsen muove un duro attacco nei confronti del formalismo interpretativo tradizionale, colpevole, a suo avviso, di considerare
(sulla base di un’illusione contraddittoria) l’interpretazione della
legge come un’attività intellettiva di mera chiarificazione e comprensione di quell’unico significato esatto desumibile dalla norma
superiore519. Un’illusione, quella formalista, nascente dalla ingenua negazione dell’indeterminatezza del linguaggio giuridico e
dalla sottovalutazione dell’esigenza
Detto ciò, distinguiamo la libertà del legislatore da quella del
giudice e vediamo che la libertà del legislatore è più ampia, il
compito
del
giudice è limitato alla realizzazione
dell’interpretazione nel quadro giuridico che il legislatore ha stabilito attraverso la norma generale; il legislatore non applica la
norma e tantomeno la sua applicazione è obbligatoria per il giudice, a sua volta, la norma inferiore starà alla base della norma superiore nel quadro fissato per quest’ultima, che deve realizzare l'interpretazione ed in quanto alle norme giuridiche quello che ci impone è che l’interpretazione ha un ruolo speciale che è quello di
riempire le lagune del diritto davanti all'impossibilità di applicare
il diritto vigente in un caso concreto.
Kelsen ritiene che non esista tale laguna; quella che instaura la
definisce «lite». Una parte reclama i diritti che crede che gli appartengano e che vengono messi in discussione d'altra parte, l'or519
L’illusione contraddittoria è data, per Kelsen, dal fatto che presupposto della
possibilità di un’interpretazione è proprio la presenza, almeno talvolta, di una
pluralità di significati possibili all’interno della cornice. H. KELSEN, La dottrina
pura del diritto, cit., pp. 97-99.
214
a.a. 2012-2013
gano competente deve solo determinare se il diritto vigente impone o no un’obbligazione. Se è positiva il querelato l'accetta e se è
negativa, la respinge. In questo ultimo caso, in applicazione alla
regola generale che quello che giuridicamente non viene proibito è
giuridicamente permesso.
Se esistesse qualche laguna non sarà riempita tramite l'interpretazione ma si procederà ad eliminare la norma ed a sostituirla
con un'altra nuova, giudicata migliore dall’incaricato
all’applicazione del diritto.
Non può esistere una laguna tecnica perché quando una norma
è sprovvista di senso logico-applicativo, l’interpretazione non può
risolvere la laguna perché non si può estrarre quello che non è implicitamente contenuto nella stessa norma.
14. L'interpretazione funzionale come limite all'arbitrio?
(VALERIA ROMANO)
L'articolo 12 disp. preliminari al Codice Civile
dell’ordinamento italiano recita così: «Nell'applicare la legge non
si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole,secondo la connessione di esse e
dalle intenzioni del legislatore». Tale articolo deve essere necessariamente preso in considerazione da colui al quale è affidato il
compito delicato e complesso di conferire significato alle norme
formulate dal legislatore, di fatti ogni qual volta il giudice deve
applicare una norma di legge al caso concreto deve rimanere ancorato ai parametri dettati dalla disposizione dell'art. 12 Disp. preliminari al c.c.
«Interpretare» significa affrontare criticamente un testo giuridico,cercando di coglierne il senso più vero,il valore più profondo
e l'«ermeneutica» è l'arte o la scienza dell'interpretare. Bruno Romano sostiene che: «L'interpretazione è un'arte,fuori dall'attività
interpretativa residua quel che appartiene al non umano»520, da
questo pensiero si evince che il compito difficile di interpretare
520
B. ROMANO, Male ed ingiusto: riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit., p.
15.
215
a.a. 2012-2013
una norma non poteva che essere affidato ad un uomo, perchè
l'uomo a differenza dell'animale è sempre un essere interpretante,
dotato di capacità di ragionamento che gli permette di conferire
senso ad un insieme di mere operazioni linguistico-funzionali; da
sottolineare, però, che non si tratta di un uomo comune, ma di un
magistrato, di un giurista per molti aspetti assimilabile ad un artista che possiede delle cognizioni tecniche precise.
Luhmann ritiene che l'interpretazione sia un'ermeneutica funzionale che va a restringere la libertà e ciò non può esistere, essa
viene concepita non come comprensione così come nel pensiero di
Bruno Romano,ma come «osservazione» in quanto è un insieme
di argomenti e si è sempre alla ricerca della funzionalità del sistema giuridico e la varietà per Luhmann è l'elemento preponderante
di questo sistema funzionale.
«Il desiderio di giustizia è contenuto nell'intenzione di pretendere il diritto mediante lo svolgimento dialogico del processo giuridico,che secondo le procedure istituite, si conclude con un giudizio imparziale, terzo»521 ed è da questo pensiero di Bruno Romano
che si può facilmente carpire che l'arte dell'interpretazione è un'arte complessa e la sua complessità sta proprio nel fatto che l'uomo
interprete, l'uomo magistrato, l'uomo giurista, l'uomo artista deve
stare molto attento nel non sfociare in un arbitrio interpretativo;
l'arbitrio può essere definito come l'abuso illegale di libertà di
giudicare. Il giudice deve interpretare «la norma giuridica istituita
dal legislatore, essa altro non è che un complesso di parole a cui
deve attribuire un significato che non è evidente,indiscutibile ma
dipende dal significato delle parole usate nel linguaggio comune,
dall'uso particolare che ne fa il legislatore e dai cambiamenti nella
realtà di fatto in cui la regola si deve applicare».
«Il legislatore istituisce le norme, ma non crea il diritto,ovvero
non crea l’affermazione o la negazione della differenza tra il giusto (rispetto) e l’ingiusto (esclusione come violenza) e, pertanto,
non è il creatore assoluto dei contenuti normativi che differenziano il giusto dall’ingiusto»522. La correttezza dell'interpretazione
può essere usata dimostrando soltanto di addurre ragioni a suo fa521
522
ID., Sistemi biologici. Vita animus anima,Torino, 2009, p. 57.
L. AVITABILE, Perché la filosofia del diritto oggi, cit., p. 45.
216
a.a. 2012-2013
vore ed eliminando quelle contrarie, essa è costituita quindi dalla
scelta tra diverse alternative di interpretazione sulla base di argomenti.
«Nelle relazioni umane il desiderio di terzietà giuridica è la volontà di ricerca della giustizia e il desiderio della trialità dialogica
è la volontà della ricerca della verità»523, possiamo concludere con
questo pensiero di Bruno Romano per affermare che l'uomo, essere interpretante, è alla costante ricerca della verità e può trovarla
solo interpretando le norme giuridiche sì con discrezionalità ma
rimanendo ancorato ai dettami previsti dall’ordinamento per non
rischiare di confluire in un arbitrio non positivamente produttivo,
per questo sono stati previsti criteri oggettivi e la ratio legis deve
essere sempre applicabile e applicata al caso concreto.
15. Il ruolo dell’interprete nell’ordinamento giuridico italiano
(DAVIDE BOTTONI)
La parola interpretazione porta con sé molteplici connotazioni e prende forma da un processo interpretativo caratterizzato
da diversi momenti. Il primo tra questi è il testo, considerato come
punto di partenza cui si ascrive il significato,la norma, o sulla base
cui si costruisce il principio che trae con sé il valore retrostante; il
secondo momento è la domanda che il caso concreto rivolge
all’interprete-giudice (il problema); il terzo momento è la scelta
della normativa, alla luce di un principio-valore, ritenuta necessaria e sufficiente alla risposta e alla soluzione del caso; il quarto ed
ultimo momento è la verifica di tale normativa con riferimento al
testo. Il circolo ermeneutico è così completo.
Altresì la figura del legislatore, viene rivelata in diversi modi;
alcuni si riferiscono all’identità istituzionale dell’organo, altri invece, in modo diametralmente opposto, all’identità della fonte.
Resta importante definire chi sia esso o meglio con chi è identificabile. Di certo non con una persona fisica. In ogni caso, assistia524
523
B. ROMANO, Male ed ingiusto: riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit., p.
65.
524
F. MODUGNO .Scritti sull’interpretazione costituzionale, Napoli, 2008 p. 36.
217
a.a. 2012-2013
mo a un fenomeno in cui si preferisce parlare di dissociazione tra
legislatore-autore e legislatore-interprete525.
La dottrina rileva spesso come il legislatore, sotto le vesti
dell’interprete di se stesso,intervenga quando ci sono in gioco interessi forti. L’interpretazione autentica è diventata una prassi legislativa e dunque in questo senso è lecito parlare di patologia
dell’istituto.
Il ruolo del legislatore lo si ritrova nella separazione dei poteri,
uno dei principi fondamentali dello stato di diritto, vi sono infatti,
tre funzioni pubbliche: la legislazione,l’amministrazione e la giurisdizione alle quali corrispondono tre poteri esercitati da altrettanti organi ben distinti; la funzione legislativa è propria del Parlamento,quella amministrativa è attribuita al Governo e quella giurisdizionale ai giudici.
L’interpretazione pone dei problemi anche riguardo alla ripartizione dei poteri tra legislatore e giudici. L’uno dovrebbe agire
sul piano delle fonti normative (con efficacia erga omnes),l’altro
su quella dei giudizi nel caso concreto (con efficacia inter partes).
Tuttavia, si verifica una sorta di sostituzione del primo al secondo,
poiché il legislatore è animato dal desiderio di stabilire l’esito del
processo. La separazione dei poteri, dunque, né esce alterata.
Kelsen lega la sua teoria dell’interpretazione al principio di delegazione del potere. L’interprete si trova di fronte a una norma
frutto della delegazione di un potere; ci sono più interpretazioni
della norma, tutte legittime (altre no). Ogni norma è suscettibile di
un ventaglio d’interpretazione e ne esclude altre. L’opera del giudice è individuale. Il giurista, che fa dogmatica giuridica, quando
espone le norme nel contenuto deve elencare le possibili interpretazioni; il giudice invece, sceglie l’interpretazione che ritiene più
adatta ed è libero di scegliere, quindi produce diritto come il legislatore: è un atto arbitrario all’interno di un ventaglio più selezionato di quello del legislatore.
È opportuno sottolineare che quando parliamo di interpretazione non può passare inosservato uno degli organi costituzionali più
importanti come la Corte Costituzionale che riveste un ruolo pre525
A. PUNGIOTTO. La legge interpretativa e i suoi giudici:strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano 2003 p. 11.
218
a.a. 2012-2013
ponderante nell’interpretazione costituzionale. Infatti, da essa, sono venuti i maggiori contributi all’intendimento del ruolo pervasivo dei diritti fondamentali e che la sua giurisprudenza rappresenta
quello che è il diritto costituzionale vigente ed effettivo526. Poiché
la Costituzione nulla dice riguardo l’interpretazione,la dottrina richiama l’art. 73 dello Statuto del Regno d’Italia,contenuto nel capo «dell’ordine giudiziario».
L’articolo così recita: «L’interpretazione delle leggi, in modo
per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo».
Se l’art.73 fosse letto come limitativo di un potere, quello giudiziario, di porre in essere le interpretazioni autentiche, ciò non vorrebbe dire che il legislatore avrebbe invece facoltà di esercitarlo.
A voler rintracciare il fondamento logico e costituzionale
dell’esegesi legislativa si potrebbe affermare ciò che la sapienza
dell’antica Roma già aveva decretato: «eius est legem interpretavi
cuius est condere». Quindi la potestas interpretandi è incluso nella potestas legiferandi.
Spetterebbe al legislatore fare e interpretare le leggi in modo
generale e al giudiziario interpretarle in modo particolare. Il legislatore e l’interprete sono vincolati al principio che: «la legge non
dispone che per l’avvenire»527. Il primo dovrebbe dichiarare la
propria volontà di derogarvi;il secondo è soggetto all’art. 2 c.c. in
quanto direttiva ermeneutica. Il legislatore può agire come tale o
come interprete:si comporta come legislatore se pone una norma
retroattiva ma come interprete se pone una norma interpretativa
(non retroattiva,poiché l’interprete deve sottostare all’art. 11
c.c.)528.
Il pensiero che il diritto venga identificato in un concetto interpretativo si ritrova nel pensiero di Dworkin. Una pratica interpretativa sociale e giuridica, non intenzionalmente teorica ma pratica
(normativa e giustificativa), di natura non esplicativa ma argomentativa, propriamente giurisprudenziale: una interpretazione
creativa (argomentativamente riferita ad obiettivi e non cause).
526
F. MODUGNO. Scritti sull’interpretazione costituzionale, Napoli 2008, p. 37.
A. PUNGIOTTO, La legge interpretativa e i suoi giudici: strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano 2003, p. 88.
528
P. PERLINGIERI, Manuale di diritto privato, Milano, 2003, p. 35.
527
219
a.a. 2012-2013
L’interpretazione giuridica è – vuole Dworkin – anche costruttiva,
così che anche il ragionamento giuridico non può non essere che
un esercizio di interpretazione costruttiva.
Dworkin sostiene che giudici, giuristi e teorici del diritto fanno
tutti la stessa cosa, sia pure a diversi livelli di astrazione: interpretare, ossia giustificare quell’attribuzione di significato che rende il
diritto migliore,più giusto moralmente, politicamente e giuridicamente. Il compito dell’interprete è quello di leggere (rectius, interpretare) una determinata opera d’arte, un testo (testi giuridici,
nel nostro caso), nella loro luce migliore. L’interprete del diritto, e
il giudice in particolare, si trovano a dover interpretare, allo stesso
modo dell’interprete di un’opera d’arte, dati creati dall’uomo, leggi, sentenze e così via.529
L’interprete, a mio avviso, dovrebbe costruire il significato
della disposizione da applicare e per poterlo fare, deve individuare
la ratio, il principio e quale fosse l’intenzione originale del legislatore. Quest’ultimo in definitiva,esaurisce il suo compito nello
scrivere regole generali ed astratte, spetterebbe quindi ai soggetti
dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto ricostruire ogni
singolo caso concreto ed elaborare la regola giuridica che ad esso
va applicata.
16. L’argomentazione giuridica può archiviare la ricerca del
giusto? Quando la certezza del diritto si identifica con la terzietà del giudice (ANNA BUTTARAZZI)
Da sempre l’uomo è considerato l’a priori dell’attività interpretativa, in continuo conflitto tra il giusto e l’ingiusto. La ricerca del
giusto si presenta come primo eminente interesse della ragione
umana. «La giustizia ha la peculiarità di essere soggettiva perché
appartiene all’uomo: solo l’uomo ha la possibilità ed il dovere di
essere ‘giusto’; giustizia significa imputabilità, ma anche esercizio
della pretesa alla tutela dei propri diritti».530 L’argomentazione è
529
G.GRITTI. Interpretazione giuridica,ermeneutica, narratività, diritto naturale, Rivista quadrimestrale I-lex on-line, giugno 2013, n. 18.
530
L. AVITABILE, Il terzo-giudice. Tra gratuità e funzione, Torino 1997, p. 7.
220
a.a. 2012-2013
una funzione tipica ed irrinunciabile del giurista, infatti viene visto come colui che è costretto ad interpretare. La sua attività consiste nel giustificare il diritto, è un ragionamento che ha la funzione di creare e guidare le decisioni partendo da premesse.
Discutendo di argomentazione, il sociologo Luhmann spoglia
il termine «giuridico» da ogni riferimento di carattere etico e morale, sottolineando la sola funzionalità degli argomenti che consentono di raggiungere un fine. Egli infatti afferma che « la decisione e la motivazione giuridica, come pure l’accettazione di queste decisioni e motivazioni, possono essere comprese adeguatamente solo con la rinuncia ai concetti tradizionali di razionalità,
verità, correttezza e giustizia e grazie agli strumenti di una teoria
dei sistemi funzional-strutturale».531
L’attività giurisdizionale è legata alla motivazione, come recita
lo stesso art. 111 della Costituzione. In ambito giuridico il giudice
è obbligato ad argomentare una sentenza, essendo vincolato a canoni legali da cui non può allontanarsi, impedendogli così di poter
formulare considerazioni personali che si discostano da quella
che viene considerata la logica giuridica. Quest’ultima rappresenta
un presupposto a cui il giudice, soggetto considerato terzo ed imparziale, non può sottrarsi poiché la sentenza, oltre ad essere considerata un atto processuale, rappresenta anche un atto collettivo e
quindi deve essere scritta in modo tale da permettere al destinatario di capire quale logica ha voluto seguire il magistrato per la risoluzione di un caso. Le regole a cui deve attenersi l’interprete attribuiscono delle responsabilità, una di queste è la trasmissione di
una interpretazione giusta. La certezza del diritto risiede nella sua
garanzia di terzietà e la ragione del legislatore non può che essere
una ragione terza e quindi non funzionale. L’interprete deve essere consapevole che ciò che va ad interpretare, il testo, deve essere
terzo. Deve avere la capacità di restare estraneo agli interessi di
parte per riuscire a valutare le cose con equità; deve presentarsi
come un soggetto super partes.
Non pochi problemi però incontra il giudice che è costretto a
verificare il contenuto della norma alla luce di una complessità di
ordinamenti giuridici. Egli compie una ars interpretandi, deve
531
R. ALEXY, Teoria dell’argomentazione giuridica, Milano, p. 172.
221
a.a. 2012-2013
riuscire ad attuare una interpretazione in cui la forma del diritto ed
il particolare lessico utilizzato, siano connessi al sapere. Egli lavora con la parola del diritto e questa parola va interpretata seguendo
il principio dialogico. Il senso ed il fine del discorso giuridico è la
ricerca del giusto.
Per Luhmann l’argomentazione va oltre caricando di validità i
ragionamenti e va oltre nella sua forza di convincimento nel processo di comunicazione. Definisce l’argomentazione come una
forma a due versanti, sedimentata nel codice e da esso prende il
procedimento binario diritto-non diritto. Solo nel caso in cui anche l’argomentare è ridotto ad una forma a due versanti, questo
permette all’interprete di ascrivergli elementi che arrivano al polo
diritto-non diritto, senza possibilità di attraversare processi empatici.
In tutte le forme di discorso giuridico si effettuano delle giustificazioni. Le decisioni prese dal giudice e le sue affermazioni aspirano alla pretesa della correttezza. Per riuscire ad essere certo,
determinato e portatore di conclusioni, il procedimento argomentativo deve poter assicurare una sola ed unica risposta. «Così come caratterizzata, al pari dell’unica risposta corretta, la certezza è
considerata un’idea regolativa: essa costituisce un parametro di
riferimento, un fine a cui tendere che è solo approssimabile dai
procedimenti reali»532.
C’è quindi un’esigenza, da parte del giudice, di emettere una
sentenza giusta, che abbia un impatto positivo ed un riscontro
all’interno del sistema, in modo da riuscire a dare una garanzia di
continuità al sistema stesso.
17.Incondizionatezza interpretativa conveniente al diritto
(LUCA CAPRARA)
L’interpretazione è una lettura, una comprensione, un chiarimento. In base al soggetto che le compie è possibile ottenere di-
532
S. BERTEA, Certezza del diritto e argomentazione giuridica, Soveria, 2002,
p. 239.
222
a.a. 2012-2013
versi tipi di interpretazione: autentica, privata, dottrinale e giudiziale.
Il giudice, nell’esercizio della funzione giurisdizionale, interpreta la norma da applicare al caso con efficacia «inter partes »,
limitata esclusivamente alle parti del processo. L’avvocato ad esempio fa un’interpretazione privata, di parte, che è strumentale
agli interessi del suo assistito e che potrebbe soggiacere ad interpretazioni che potrebbero complicare la situazione del suo cliente.
Il giurista invece ha il dovere di interpretare con oggettività un testo, nella ricerca costante del giusto, con terzietà imparziale ed incondizionata, restando estraneo a interessi di parte e valutando le
cose con obiettività.
Il legislatore, nell’interpretare le norme vigenti per crearne
dell’altre, fotografa la realtà, una realtà fatta di norme e non di finalità che sono proprie; è terzo e «distante» dal testo che cerca di
comprendere. Luhmann definisce il legislatore un osservatore di
primo grado che, attraverso l’osservazione designa l’argomento
per procedere all’elaborazione della testualità legislativanormativa e lo seleziona in quanto conforme all’intera costellazione dei sistemi sociali, disposti secondo un ordine funzionale
per poi procedere alla formazione del testo. Quella invece posta in
essere dal giudice, più in generale dall’interprete, è sempre
un’osservazione di secondo grado dal momento che ciascuno di
essi è chiamato ad osservare testi pre-costituiti, ovvero testi il cui
argomento è in un enunciato normativo già formato ( nel caso del
legislatore la codificazione storicizzata, nel caso del giudice le
norme del legislatore)533.
L’interpretazione istituzionale deve essere una interpretazione
«giusta» e non irrazionale, che tiene conto delle diverse esigenze,
«dell’uguaglianza nella differenza» delle persone; e non invece
come troppo spesso accade, soprattutto in questo momento di crisi
storica, dove l’imparzialità del legislatore è profondamente condizionata e servile alla politica del potere dominante.
Nella seconda metà dell’ 800 il problema degli abusi legislativi
era già stato rilevato con grande acume da Benjamin Constant, che
533
L. AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010, p.
100
223
a.a. 2012-2013
ne attribuiva buona parte della responsabilità alle teorie di Rousseau: questi aveva elaborato una idea di legge frutto della partecipazione ininterrotta dei cittadini alla volontà generale, al quale è
necessario sacrificare totalmente l’indipendenza individuale. Per
Rousseau l’interesse particolare, le volontà particolari, rappresentano entità pericolose poiché si oppongono alla volontà generale,
che non è semplicemente la somma delle volontà di tutti o della
maggioranza, ma ne diviene una sintesi tenuta insieme dalla componente essenziale della moralità, che esprime la legge534. Il sovrano moderno invece, concepisce il diritto come funzione fondativa della dimensione politica: diviene strumento di espressione e
di controllo del potere, e si basa sempre più sulla legge, che a sua
volta si configura come l’espressione della sovranità535. La modernità si compie dunque attraverso il primato della legge generale
e astratta, che garantisce eguaglianza, poiché tutti i soggetti sono
trattati in modo eguale536.
In una critica al contrattualismo, questa si è rivolta prevalentemente alla concezione liberale dell’individuo come soggetto incondizionatamente autonomo, capace di distanziarsi riflessivamente dai propri fini e di fare astrazione dalla propria concezione
del bene per assumere un atteggiamento imparziale nella scelta dei
principi politici537.
L’interpretazione della legge non sarebbe utile nè funzionale,
laddove non comportasse un corrispettivo né al giudice né al legislatore. È sempre necessario che l’interpretazione sia funzionale a
qualcosa, che accerti un significato della norma più ampio di quello risultante dalla semplice interpretazione letterale, altrimenti
l’interpretazione puramente letterale è soltanto una esegesi estesa
e l’attività dell’interprete sarebbe inutile.
Il funzionalismo nella ricerca giuridica prescrive di prendere in
considerazione non le norme o le declamazioni, ma le funzioni
534
P. GIORDANO, Note per un lessico giuridico, Napoli, 2008, p. 56
P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma, 2007, p. 57
536
F. NEUMANN, Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, 1973, p.
245 e ss.
537
M. BIANCHIN, Ragioni e interpretazioni, Roma, 2006, p. 145.
535
224
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profonde degli istituti giuridici, ovvero i bisogni sociali che essi
soddisfano538 o che dovrebbero soddisfare.
Solo guardando da lontano il giurista può fare una proiezione
universale della norma e non particolare o servile agli interessi di
pochi, perchè ognuno di noi si aspetta e ha il diritto di trovare una
propria posizione nel giuridico.
L’attività dell’interprete risiede nel tentativo di capire cosa intendeva il legislatore, cosa intendeva perseguire e quali erano le
sue originarie intenzioni, cercare di risalire alle premesse argomentative adottate dal legislatore o più esattamente alla ratio che
lo stesso ha impiegato per seguire una tesi piuttosto che un'altra539. La sua attività non è completamente libera né arbitraria, ma
deve essere svolta secondo precise regole giuridiche: così come
esistono norme sulla produzione delle leggi, esistono anche norme
sulla interpretazione delle norme (art. 12 delle preleggi).
Il senso comunemente impiegato del brocardo latino in claris
non fit interpretatio pare bene conciliarsi con quella via interpretativa del diritto definito «chiuso» e che vede in una utopica lingua
perfetta la chiarezza che lo rende intelligibile senza bisogno di alcuna operazione ulteriore. In tal senso viene spesso chiamato in
causa come mirabile esempio di applicazione del brocardo il Code
civil francese del 1804 che sancisce l’obbligo per il giudice di
giudicare secondo il testo codicistico «chiaro» e «completo», lo
obbliga a considerare il sistema giuridico come completo, senza
lacune, senza antinomie, e come chiaro, senza ambiguità che diano luogo a interpretazioni diverse.
A ben vedere sono proprio questi i presupposti del linguaggio
«chiuso» che regge il diritto «chiuso»540. In tal caso, il codice è
inteso come un insieme di norme da prendere ed applicare al caso
concreto e non come insieme di disposizioni da cui trarre le norme. L’attività interpretativa del giurista si esprime nell’ attribuire
un certo significato ad un testo normativo, ad una disposizione che
538
R. GUASTINI, Interpretare e argomentare, Milano, 2011, p. 400.
L. AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, Napoli, 2010, p.
101.
540
D.CANANZI, Interpretazione Alterità Giustizia”Saggio sul pensiero di Paul
Ricoeur”, cit., p. 138.
539
225
a.a. 2012-2013
non è mai chiara. Per Kelsen, nell’attività di interpretazione, il
rapporto tra grado normativo superiore e grado normativo inferiore, così come quello tra Costituzione e legge ordinaria, non è mai
frutto di una determinazione completa ma lascia sempre un margine di potere discrezionale che deve essere riempito con un atto
di «volontà» e non di conoscenza da parte dell’interprete.
L’interpretazione consiste nello svolgere un’attività, quella che attribuisce ad un testo giuridico un significato che ne costituisce il
prodotto, poiché presupposto e funzione dell’attività interpretativa
è la pluralità e la novità delle interpretazioni, dei risultati; non è
dunque un’azione meccanica, ma è l’espressione di un procedimento complesso. Bisogna guardare alla terzietà del diritto mettendo da parte l’utile, il tornaconto, ed «aprire» la norma nella ricerca di una verità che deve essere di tutti.
18. Il giudizio giuridico: la stabilizzazione delle aspettative.
Cenni sull’argomentazione giuridica e sui caratteri
dell’intenzionalità dell’uomo. Aspettative cognitive e normative (ELISABETTA CIAMBERLANO)
La teoria dell'argomentazione giuridica è una famiglia di dottrine contemporanee sul ragionamento giuridico che si è sviluppata a partire dalla seconda metà degli anni '70, sia in ambiente anglosassone, sia in quello continentale1. Per teoria dell'argomentazione giuridica si è soliti intendere l'insieme di tutti gli approcci
che hanno analizzato le forme del ragionamento giuridico e hanno
indagato le conseguenze teorico-giuridiche del riconoscimento
dell'esistenza e della pervasività dei processi argomentativi nel diritto2. Il teorico dell'argomentazione non è solo colui che analizza
la struttura e i contenuti ma è, soprattutto, colui che elabora una
concezione generale del diritto partendo dall'analisi del ragionamento pratico.
Lo studio della realtà e di tutti i comportamenti posti in essere
da un soggetto, vanno studiati, anche, sotto il profilo delle aspettative che lo stesso soggetto vuole avere in relazione ai propri comportamenti3. Un soggetto compie un'azione perché ha un'intenzio-
226
a.a. 2012-2013
ne ben precisa nel compierla ed in base a ciò, Ludwig Wittgenstein afferma: «Soltanto tu puoi sapere se avevi quell'intenzione e
qui sapere vuol dire che l'espressione dell'incertezza è priva di
senso»4.
L’intenzionalità non indica che il pensare è sempre un pensare
qualcosa, ma indica anche che il pensare è qualcosa che accade
entro la percezione consapevole che l'io ha di sé. L'intenzione è
propria di un uomo collocato entro un mondo-ambiente e può essere definita come una propensione della coscienza verso questo o
quell'oggetto nello spazio-mondo presupponendo la certezza di sé.
Ogni uomo nel suo relazionarsi a ciò che gli si offre si muove entro qualcosa che è già precostituito. In tutte le azioni compiute vi è
un ego ed un alter che si aspettano reciprocamente qualcosa. Ora
l'uno agisce nei confronti dell'altro in base a quel che ritiene che
l'altro si aspetti da lui ma non è nemmeno detto che ciò che l'ego
fa per l'alter sia davvero ciò che l'alter desidera. Si può affermare
che la relazione sociale, in quanto «aspettativa di aspettative», è
costitutivamente asimmetrica. Questa asimmetria può generare
equivoci, fraintendimenti, delusioni. Tali divergenze ed opacità
non interrompono, però, il flusso della comunicazione ma, al contrario, sviluppano in essa istanze di stabilizzazione. Il linguaggio
serve per comunicare. Nel suo fluire la comunicazione è sempre
una comunicazione determinata. Il comunicare è «un passaggio di
informazioni». Questa rete rende possibili e, a suo modo definisce, le reciproche aspettative tra gli uomini. Nei diversi modi di
relazionarsi, dell’attendersi qualcosa da qualcuno, Luhmann distingue, tra le aspettative cognitive e le aspettative normative ed
afferma: «Come cognitive vengono avvertite e trattate le aspettative che, in caso di delusione, vengono convertite e adattate alla
realtà. Per le aspettative normative è vero il contrario, cioè che le
si lascia cadere se qualcuno agisce in modo difforme»541. Egli
continua scrivendo: «…l’aspettative viene mantenuta e la discrepanza fra aspettativa e realtà viene imputata a chi ha agito in modo difforme. Le aspettative cognitive sono quindi caratterizzate da
una disponibilità all’apprendimento; le aspettative normative, per
contro, sono caratterizzate dalla decisione di non apprendere dalle
541
Ibidem.
227
a.a. 2012-2013
delusioni»542. L’aspettativa cognitiva spinge gli uomini ad adattarsi al fallimento o a mutare, partendo dalla delusione, le proprie aspettative. L’aspettativa cognitiva allarga il fronte delle proprie
possibilità, spinge l’uomo a cambiare percorso. Così, mentre questo tipo di aspettativa dispone gli uomini all’apprendimento,
l’aspettativa normativa è invece caratterizzata dal fatto che «resiste», si mantiene ferma anche a fronte delle delusioni. Riguardo
ciò Luhmann scrive: «La normatività è la forma di un'aspettativa
di comportamento attraverso la quale si indica che l'aspettativa
deve essere tenuta ferma anche in caso di delusione. Le norme
vengono intese qui, allora, come aspettative stabilizzate in maniera contro-fattuale che resistono alla delusione e che, in quanto tali,
non sono ordinate in modo né naturale, né sistematico, né logico»543.
Il diritto, centrato sulle aspettative normative svolge la sua
funzione specifica, ovvero quella di rendere possibili sicurezze di
aspettative. Altra cosa molto importante affermata da Luhmann è:
«...ciascuno deve poter essere sicuro delle proprie aspettative anche di fronte a delusione e deve poter collegare le aspettative degli
altri con le proprie»544.
La mancata realizzazione delle aspettative mette in pericolo la
continuità nell’attendere. La delusione conduce all’incertezza.
L’aspettativa se non può essere cambiata o sostituita da nuove
fonti di sicurezza, deve essere necessariamente riprodotta al suo
livello funzionale generalizzato, mediante processi simbolici per
la rappresentazione di aspettative e per il trattamento
dell’avvenimento deludente. L’aspettativa se non può essere cambiata o sostituita da nuove fonti di sicurezza, deve essere necessariamente riprodotta al suo livello funzionale generalizzato, mediante processi simbolici per la rappresentazione di aspettative e
per il trattamento dell’avvenimento deludente.
L’assorbimento delle delusioni non può essere lasciato al singolo ma, bensì, al sistema sociale. Infatti è appunto tutto il sistema
542
Ibidem.
544
S. BERTEA, Certezza del diritto e argomentazione giuridica, Catanzaro, 2002,
p. 76; Ivi, p .77.
228
a.a. 2012-2013
sociale che deve canalizzare l’assorbimento delle delusioni delle
aspettative creando, in particolar modo, aspettative normative. Il
diritto è in questo senso la principale struttura di assorbimento
normativo delle delusioni545. Il diritto, centrato sulle aspettative
normative svolge la sua funzione specifica, ovvero quella di rendere possibili sicurezze di aspettative. Una cosa molto importante
per la stabilizzazione delle aspettative è rappresentata dal linguaggio e dall'uso che l'uomo ne fa. In relazione a tale considerazione
si distinguono aspettative «del» comunicare a aspettative «nel»
comunicare, ritenendo le prime come aspettative proprie dei soggetti-parlanti e le seconde come quelle situate nel comunicare. Le
aspettative «del comunicare» sono centrate nei «chi» della comunicazione, quelle, invece, «nel comunicare» sono dette aspettative
sistematiche546.
Per Luhmann, il diritto consiste in «aspettative normative di
comportamento coerentemente generalizzate»11. Il fondamento del
diritto è costituito, per Luhmann, da una determinata organizzazione di aspettative reciproche12; secondo questa concezione, il
diritto consiste in una comunicazione in rapporto ad aspettative13.
Perché si possa parlare di diritto, queste aspettative devono, sempre per Luhmann, essere «generalizzate» in tre dimensioni: temporale, sociale ed oggettuale14. Per quanto concerne l’essere temporale delle aspettative il significato è, che esse, si conservino oltre un determinato tempo in maniera stabile. Le aspettative devono essere istituzionalizzate, cioè, devono essere sostenute dal consenso atteso di terzi e devono essere ridotte nella loro complessità
contenutistica15. Nel concetto di aspettativa quale fatto sociale risiede il nocciolo sociologico del concetto luhmanniano di diritto,
infatti egli afferma: «I ruoli sono fasci di aspettative la cui estensione viene limitata dal fatto che, pur potendo essere attuati da un
solo uomo, non sono collegati stabilmente ad un determinato uomo, ma possono essere assunti da diversi soggetti, eventualmente
545
ID., Potere e complessità sociale, Bologna, 2010, p. 175; L. BOVONE, Sociologia micro, sociologie macro, Milano, 1988, p. 53.
546
B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, pp. 244 e ss.
229
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intercambiabili tra loro»547. La generalizzazione delle aspettative
del sistema, quindi, incrementa la sua capacità di adattamento in
quanto implica confini più univoci tra esterno e interno del sistema. Insomma, la generalizzazione luhmanniana non compie un
«trascendimento» delle situazioni particolari, bensì, una loro «indifferenziazione», cioè un loro livellamento che le rende tutte disponibili in ugual modo per il sistema.
La società, dinanzi a questi due modi di considerare le aspettative degli uomini, può giungere ad un compromesso tra le esigenze dell'adattamento alla realtà e tra la costanza delle aspettative,
istituzionalizzando reazioni di comportamento cognitive o normative a seconda che, gli interessi di un dato uomo siano di adattamento o di urgenza di sicurezza.
Il campo per la formazione del diritto è abbastanza complesso
perchè l'uomo in sé è un essere complesso e, di conseguenza, tutto
ciò che lo riguarda non può essere facilmente spiegato. Luhmann,
come tanti altri studiosi di diritto, ha cercato di spiegare e porre al
meglio le basi riguardanti il modo di agire dell’uomo dinanzi a
tutte quelle situazioni che lo riguardano quotidianamente.
19. La disobbedienza civile in relazione alle leggi considerate
ingiuste (LIVIA DI LUNA)
La disobbedienza civile non violenta, intesa come lotta politica
non armata che comporta la violazione di una legge considerata
ingiusta,cioè contraria alla coscienza e al rispetto della dignità di
tutti i cittadini, è stato più volte,nel corso della storia, strumento
importantissimo per l’affermazione dei diritti fondamentali. La disobbedienza va distinta da altri comportamenti cui è solitamente
assimilata, come nel caso dell’obiettore di Coscienza o di chi, trasgredendo una legge, intende testarne la legittimità o costituzionalità richiamandosi a un diritto superiore. La disobbedienza si distingue da questi fenomeni individuali in quanto azione di gruppo
di persone, anche indiretta, come ad esempio se si violano le regole del traffico non perché di per sé ritenute ingiuste ma come gesto
547
Ivi, p. 105.
230
a.a. 2012-2013
di protesta contro l’orientamento governativo, per segnalare una
decisione ritenuta ingiusta. In particolar modo Hanna Arendt si
preoccupa di evidenziare il primo elemento distintivo della disobbedienza: «È che non siamo dinanzi a un atto individuale dettato
da coscienza, quanto alla decisione comune da parte di una minoranza organizzata, e non «comunanza di interessi», di opporsi alla
politica governativa»548. La disobbedienza civile può essere considerata un esercizio del diritto di resistenza, cioè il diritto di resistere al potere illegittimo, che discende anche dal contrattualismo
e dalla politica di John Locke fondata sui diritti irrinunciabili
dell’individuo, secondo il quale se i governanti calpestano i diritti
naturali vengono meno i fondamenti del patto e si configura il diritto del popolo ad opporre resistenza al sovrano. La disobbedienza civile è contestualizzata all’interno di un clima di rifiuto di obbedienza alle istituzioni che segnala uno sfaldarsi delle autorità e
un conseguente indebolimento della loro legittimità, riconducibili
alla difficoltà di svolgere le proprie funzioni. «Atti di disobbedienza civili intervengono quando un certo numero di cittadini ha
acquisito la convinzione che i normali meccanismi di cambiamento non funzionano più e che le loro richieste non sarebbero ascoltate o non avrebbero alcun effetto, o quando essi credono che sia
possibile far mutare rotta a un governo impegnato in qualche azione la cui legittimità e la cui costituzionalità siano fortemente
messi in discussione»549. Come spesso è accaduto in passato, la
nostra epoca, caratterizzata dal capitalismo e dalla globalizzazione, è un esempio perfetto di società le cui leggi non sono formulate secondo coscienza, nel rispetto di tutti i cittadini, ma a vantaggio solo dei più potenti e dei più ricchi, così che il quesito che oggi ci poniamo è se sia giusto ubbidire a delle leggi che ledono la
coscienza dell’individuo sottostando ad uno Stato che non tiene
conto della volontà dei suoi cittadini. «Nei rapporti e nelle relazioni sociali, accumulate sotto il comando del capitale, prodotte
per la valorizzazione della misura capitalistica della produttività
del vivente sociale, ridotto a oggetto, ovvero oggettivato come capitale, si producono altresì le resistenze della soggettività del lavo548
549
H. ARENDT, La disobbedienza civile, cit., pp. 36-37.
Ivi, p 57.
231
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ro vivente, che in virtù della sua potenza può rifiutare la subordinazione e/o configgere apertamente contro il dominio e il rapporto
di potere capitalistico»550. In tale prospettiva è quindi giusto affermare che come esseri umani abbiamo il diritto-dovere di rifiutarci di ubbidire a leggi che non rispettano i principi di giustizia,
equità e libertà. Di disobbedienza civile si sono occupati in maniera più o meno approfondita ed empirica molti altri personaggi della nostra epoca e di quella precedente, come per esempio Mahatma Gandhi, secondo cui la disobbedienza si sostanziava nella resistenza non violenta, che consisteva nel violare le leggi che erano
considerate ingiuste e pagarne le conseguenze, anche in termini di
detenzione. Analogo è il pensiero di una persona che praticò la disobbedienza civile negli anni ’60 contro la leva militare obbligatoria in Italia, cioè Don Lorenzo Milani, che riteneva fosse più difficile disobbedire che obbedire, soprattutto se si accettano consapevolmente le conseguenze delle proprie azioni, secondo un coraggio, una coerenza e una convinzione nelle proprie idee che supera
anche la paura del carcere o di pene peggiori. Ispirati da questi esempi, la nostra società dovrebbe avvalersi di questo strumento di
resistenza al sistema dominante, non per dare voce ad esigenze
personali ma, nella piena consapevolezza, per l’affermazione di
diritti universali. Per determinare un cambiamento bisognerà creare una consapevolezza diffusa, gettare le basi culturali di un nuovo
movimento, mosso da ideali giusti, uscire fuori dagli schemi imposti dal sistema dominante e cominciare a pensare e ad agire seguendo nuove idee e valori; ma soprattutto creare una nuova visione, poiché non si possono contestare le leggi vigenti senza proporne di nuove. Immanuel Kant affermava: «Agisci in modo che
la tua volontà possa istituire una legislazione universale»551, ricordando così all’uomo che non basta limitarsi alla propria sfera individuale per compiere azioni morali, ma che ciò che si fa deve
essere la pietra di un «regno della moralità», cioè un esempio che
poi diventi legge per tutti gli altri.
550
N. MATTUCCI E G. VAGNARELLI, Medicazione, sorveglianza e biopolitica,
cit., p 39.
551
I. KANT, Critica della ragion pratica, cit.
232
a.a. 2012-2013
Ogni volta che si discorre di interpretazione del diritto non si
può non fare riferimento alla terzietà. La terzietà è un fenomeno
specifico attraversato il più delle volte da numerose contraddizioni
che si avvertono soprattutto quando il soggetto terzo è chiamato
ad incarnare l’ideale di giustizia, oggetto alla base del pensiero filosofico di grandi autori, come Cicerone, il quale, nelle sue riflessioni, interrogandosi sulla ricerca del giusto, afferma che
l’interpretazione è un ulteriore tassello che serve per esercitare la
giustizia, vista dal medesimo come una virtù volontaria, che
l’uomo deve esercitare mediante la sua voluntas, nella ricerca del
giusto. I modelli di terzietà possono essere molteplici: in Luhmann, per esempio, viene teorizzata una figura di soggetto terzo
che allo stesso tempo è incluso ed escluso dal concetto di terzietà,
in quanto situato all’interno di programmi condizionali nonché
all’interno del cd. codice binario dei sistemi; in Habermas viene
teorizzato un modello di terzietà imparziale, ma non disinteressato; etc… In particolare, quest’ultimo pone l’attenzione su un preciso interesse che la terzietà è chiamata a tutelare, ossia la ragione
di stato o l’utilità sociale, entrambi appartenenti alla cultura critica
di Kojève, il quale, invece, si fa teorizzatore di una terzietà tanto
disinteressata, quanto imparziale. In tal senso, la terzietà diviene
una vera e propria lotta per il riconoscimento, come il desiderio di
ogni essere umano di dare e ricevere amore, che rappresenta
l’origine dell’idea della giustizia,552 che è fonte produttiva di diritto. Il medesimo altresì mette in luce che «i contendenti non sono
ancora soggetti di diritto, fino a quando non si da un arbitro, cioè
un terzo che intervenga col solo scopo di far trionfare la giustizia»553, fine che solo tale soggetto è in grado di assicurare. Ciò però, può avere riscontro pratico solo quando tale visione del concetto di terzietà viene riscontrata all’interno di relazioni dialogiche,
che, nel mondo dell’essere, intercorrono tra l’Io e il Tu. Kojéve,
nel quadro delle sue riflessioni, contraddistingue i rapporti giuridici da quei rapporti che erroneamente vengono considerati come
tali, ma che in realtà non lo sono, non avendo i caratteri della terzietà e dell’immanenza, a differenza del diritto (rapporti morali,
552
553
A. KOJÉVE, Linee di una fenomenologia del diritto, Milano, 1989, p. 225 ss.
Ivi p. 244-245
233
a.a. 2012-2013
religiosi, economici etc.) e rileva come, a differenza del moralista
e del religioso, il giurista, affinché nel sistema diritto sia terzo ed
imparziale, non è chiamato ad agire in una dimensione di individualismo, esasperato dall’egocentrismo, ma non è neppure chiamato ad agire in una dimensione di totale condiscendenza e magnanimità. «L’imparzialità e il disinteresse del giurista…riguarda
le parti: non deve essere né amico né nemico di una di esse»554.
Questo dovere di imparzialità del giurista, come anche il suo
disinteresse, che deve essere dimostrato nei confronti dell’oggetto
in causa, rappresentano qualifiche specifiche, che caratterizzano lo
status di soggetto terzo e non vanno in alcun modo riferite
all’intervento della terzietà. La terzietà implica l’equidistanza di
colui che giudica dagli interessi in gioco. In virtù del principio di
ragionevolezza «l’equità scopre che le persone non sono né uguali
né ineguali, ma qualitativamente diverse»555, solo in tal senso il
giurista diviene artista dell’interpretazione giuridica, per usare
un’espressione forgiata da Kant; l’arte marca l’impegno al dialogo, logos, che permette alla parola di circolare e di giungere ad un
sapere adeguato, comprensivo dell’alterità, affinché il dialogo
venga condotto in direzione della cosa pubblica. Dunque, in tale
prospettiva, il logos diviene uno strumento che permette all’uomo
di affrancarsi dalla sua premessa biologica, bios, dando un senso
alle sue controversie (che sono sempre controversie di senso), viste come un rapporto di scambio non ricondotto alla matrice
dell’utile, come nell’economia, in cui c’è sempre un do ut des, ma
come un relazionarsi nel gratuito. Il diritto è universale ed incondizionato perché è nell’ottica del gratuito. Tuttavia il giurista, il
più delle volte, non risulta essere libero da condizionamenti biologici, anche se comunque resta libero di prendere (o non prendere)
una posizione di fronte a questi. Ogni decisione che prende deve
essere, però, ad ogni modo sorretta da un senso. Va da sé che il
giurista deve distanziarsi dalla corruzione della contingenza, perché solo così risulterà imparziale e terzo, capace di agire secondo
un ideale di giustizia. Attraverso la contingenza, l’uomo diventa
soggetto impersonale, schiavo di operazioni funzionali che lo usa554
555
L. AVITABILE, Il terzo-giudice tra gratuità e funzione, Torino, p. 10 ss.
Ibidem.
234
a.a. 2012-2013
no e lo consumano, così come una macchina usa e consuma le
proprie energie. In questo caso l’Io diviene il Me, ossia diviene un
semplice componente funzionale della macchina «legale» del nulla. Ciò vuol dire che «il me delle funzioni viene assolutizzato dal
sistema mercato, che usa il sistema diritto come suo apparato
strumentale, tendendo a trasformare il processo giuridico in un accadimento mercantile»556. Il giurista terzo crea il senso di ciò che
è, restando distanziato dal fluire delle funzioni. Così facendo, egli
riesce ad attribuire contenuto giusto alle norme. Il giurista deve
utilizzare le norme con una consapevolezza senza confini. La terzietà del giurista ha come suo presupposto l’imparzialità dello
stesso: un giudice non può essere terzo se non è altresì imparziale.
Paradossalmente, però, egli può essere imparziale senza essere
terzo. Nel processo svolto nel contraddittorio tra le parti, il giudice
è sempre terzo. «Terzo» significa equidistante dal primo e dal secondo, quindi «diverso». Spostando il concetto sul piano ordinamentale capiamo, dunque, che il giudice è terzo quando è altro rispetto alle parti. Dunque solo la complessiva celebrazione del
processo giuridico permette al giudice di assumere una decisione,
intesa come giudizio giuridico, comprensivo della certezza del diritto e connotato dalle sue caratteristiche di imparzialità. Solo in
questo modo viene soddisfatta quella che è la finalità del diritto: la
terzietà.
20. L’importanza dell’interpretazione delle norme (LORENA
MAINI)
L’interpretazione giuridica è un’operazione tecnica che esplica
e chiarisce il volere del legislatore in una determinata norma giuridica. L’interpretazione è necessaria per applicare le previsioni
generali delle leggi ai singoli casi concreti. In altre parole il metodo dell’interpretazione non è altro che una serie di passaggi logici,
la sequenza di operazioni argomentative attraverso la quale il giurista affronta e risolve il problema di attribuire un significato ad
un dato testo normativo. Se è vero che l’interpretazione è
556
B.ROMANO, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit.
235
a.a. 2012-2013
un’arte,557 allora essa non può che consistere nella comprensione
del senso558 della realtà esistenziale, nei presupposti in cui si esplica tale realtà, nella condivisione originaria della qualità del relazionarsi559 dell’uno con l’altro. L’interpretazione è un atto necessario, un’attività svolta dai giudici, giuristi e legislatore; Al riguardo, Emilio Betti, giurista e fondatore di una scuola
dell’interpretazione in Italia, afferma che due sono le fonti del diritto: l’una, la legislazione, l’altra l’interpretazione e
l’integrazione ad opera della giurisprudenza.560 L’opera
dell’interprete non si limita alla evocazione dello spirito del legislatore, ma essa conferisce alla lettera morta della legge, che è
quella dettata dal legislatore, rimasta statica ed inerte nel tempo,
racchiusa e conchiusa nella sua letteralità come in una bara, il
proprio spirito vivificatore.561 Per dirla con una frase sintetica ma
indicativa, la legge viene scritta per essere letta, viene letta per essere interpretata, viene interpretata per essere applicata.562 Il compito dell’interpretazione deve essere quello di rendere reale, vicino
e intelligibile ciò che è estraneo, lontano e oscuro nel significato.563
Il brocardo latino in claris non fit interpretatio, con il quale si
afferma l’inutilità di un’attività interpretativa in relazione a norme
o atti di autonomia privata chiari ed inequivocabili, è stato da
sempre contestato e ormai superato, dal momento che anche
un’espressione letterale non dubbia può creare incertezze se applicata a determinate fattispecie concrete. È inammissibile
l’affermazione secondo cui la norma chiara non necessita di
un’attribuzione di senso, laddove la chiarezza è un risultato
dell’interpretazione e non una sua premessa.
557
B. ROMANO, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit., p.
14.
558
J. HRUSCHKA, La comprensione dei testi giuridici, Napoli, 1983, p. 28 ss.
559
B. ROMANO, Diritti dell’uomo e diritti fondamentali. Vie alternative: Buber
e Sartre, Torino, 2009.
560
V. FROSINI, Esperienze giuridiche del ‘900, Milano, 2000, p. 5.
561
Ibidem.
562
Ivi, p. 6.
563
R. E. PALMER, Cosa significa ermeneutica?, Milano, 2000, p. 174.
236
a.a. 2012-2013
Il procedimento di interpretazione giuridica non è uno ed unico, non è un metodo unitario di analisi, ma è articolato in diverse
specificazioni e perciò non può ridursi alla semplice e semplicistica operazione analitica e ricompositiva del linguaggio di un testo
di legge.564 Vi sono tre forme principali di metodica interpretativa
diverse fra loro. La prima è quella messa in opera dallo stesso legislatore, quando egli emana una legge interpretativa di una sua
legge precedente. La nuova legge, interpretando le disposizioni
della legge cui si applica, attua quella integrazione ermeneutica
che conferisce un significato alla legge interpretata. La seconda
forma di interpretazione è quella attuata dal giudice che si differenzia dalla prima, perché non dispone in generale, ma con riferimento preciso e limitato alla fattispecie. Il giudice, perciò, si distingue dal legislatore in quanto egli ne è l’interprete; la lettera
della legge è la parola del legislatore, lo spirito della legge è la parola dell’interprete, che quella parola adatta al caso concreto. La
terza forma, da distinguersi dalle precedenti, è quella che viene
messa in opera dal funzionario amministrativo, il quale manovra
su un margine di discrezionalità, conferitagli nell’interesse pubblico.
Il termine interpretazione viene utilizzato sia per indicare
l’attività svolta dall’interprete, sia il risultato di questa attività565.
Nella prima accezione l’interpretazione è sinonimo di interpretare
e si riferisce al fenomeno che consiste nell’attribuzione di significato ad un testo giuridico, la cui comprensione non sia chiara ed
immediata.
Particolare rilievo assume la concezione più ampia di interpretazione, in tale accezione il giudice, o più in generale l’interprete,
è chiamato ad un’attività integrativa e latu senso creativa per colmare le lacune normative e per risolvere le antinomie, creando le
basi per il riconoscimento di un vero e proprio diritto giurisprudenziale.
Considerando il carattere polisemico della parola,
l’interpretazione risulta essere, dunque, un’operazione fondamen564
V. FROSINI, Esperienze giuridiche del ‘900, cit., p. 7.
G. TARELLO, L’interpretazione della legge, cit. Tale distinzione è stata tracciata per primo da A. ROSS, Diritto e giustizia, Torino, 1965, p. 111.
565
237
a.a. 2012-2013
tale mediante la quale è esperibile la giusta attribuzione di senso
in base al contesto considerato; possiamo allora dire che
l’interpretazione è espressione della polisemicità delle parole.
21. Progressismo bettiano e conformismo di Luhmann (GIULIA
DI ZAZZO)
L’ermeneutica trova nel diritto un importante campo di applicazione, avendo come obiettivo anche quello di spiegare il passato
relazionandolo e manifestandolo al presente. Nel caso del diritto
tale processo è suddivisibile in due fasi principali: interpretazione
del fondamento della giuridicità del caso; ricostruzione del rapporto tra soggetto (persona fisica) e oggetto (norma) dell’attività
giuridica interpretata. In linee generali, il concetto
d’interpretazione funge da pilastro portante nella teoria ermeneutica e consiste nel porsi più volte di fronte a casi concreti, vari e
diversi nel tempo566, ma mai identici. Tra i molteplici autori ed esponenti della corrente filosofica, si andranno ad analizzare alcune
questioni di Emilio Betti, per proseguire con quelle di Niklas Luhmann. È, il pensiero di Betti, una filosofia che nonostante risalga
alla metà del secolo scorso, oggi resta esigente, aperta e comunicativa. L’ermeneutica sostanzialmente è possibile suddividerla in
due fasi; debole e nichilista. Betti ha però aggiunto un terzo insieme, definito «veritativo» basandosi su un concetto da egli stesso enunciato: «la nostra comprensione di ogni oggetto e di ogni
realtà storica, spirituale, umana è condizionata dal nostro modo di
situarci nell’essere, ovvero di rapportarci a quella realtà ma allo
stesso tempo siamo fortemente condizionati da canoni di vita e
principi innati da educazione e modi di vivere»567. Infatti il giudice deve avvalersi della propria sensibilità morale, essere quindi in
grado di discernere le nozioni indispensabili alla giusta decisione
senza farsi condizionare. In maniera più esatta definisce «mercé
566
567
A. NASI, Spazio e tempo nella scienza di Emilio Betti, Teramo, 1996.
I. KORZENIOWSKI, L’ermeneutica di Emilio Betti, Roma, 2010.
238
a.a. 2012-2013
un’opera assidua di autoeducazione al senso di responsabilità e di
abnegazione»568.
Per Betti l’interprete deve sempre e comunque basarsi in maniera oggettiva al testo, alla norma già di per sé «inesauribile nella
sua primaria formulazione», ma che allo stesso tempo tende a infondersi nella vita sociale. Altra importante considerazione, è lo
scontro che Betti stesso intraprende nei confronti d’illustri del
pensiero ermeneutico, in particolare sulla questione della «necessità di interpretare»; ovvero nel momento in cui colui chiamato a
«intendere» o «interpretare» si avvia a tale ruolo, basandosi sulla
conoscenza del soggetto, è già tendenzialmente esposto a un pregiudizio anticipato569. Afferma che la verità oggettiva può essere
enunciata, nei limiti di una prospettiva di volta in volta intrapresa,
da qualsiasi punto di osservazione. Tale analisi viene a meno nel
solo e unico caso in cui un’oggettività fosse considerata unica e
inequivocabile. Secondo tale affermazione, sarebbe giustificato
chiedersi come può un’interpretazione non essere unica; per dare
una risposta chiara e sufficiente basta rivalersi sul pensiero del
giurista italiano circa la storicità del soggetto: ieri, oggi e domani
hanno differenti forme di applicazioni (normative) sempre in base
al contesto sociale dove lo stesso interprete è chiamato a svolgere
il suo ruolo. In questo caso il giurista aggiunge una sua espressione «artistica» (così definita da Betti) nell’applicazione della legge, a differenza del pensiero di Luhmann. Tale modalità di applicazione del diritto, eliminando ogni riflessione di colui che è
chiamato ad interpretare, si attiene prettamente alla teoria sistemista. Luhmann, infatti, predilige l’uso di schemi e su di essi pianifica ogni argomentazione. In analisi: le relazioni tra il giudice e il
legislatore sono fortemente determinate dai programmi che passano da un sistema all’altro570; il processo avviene in due fasi,
dove anzitutto ci si approccia ad individuare il caso specifico e
trarne poi la giusta, quanto più esatta, argomentazione. Per far sì
che tale atto venga eseguito, il legislatore (definito «osservatore di
568
E. BETTI, Jurisprudenz und Rechtsgeschichte, I, Milano, 1962, p. 567.
ID., L’ermeneutica storica nella prospettiva, Napoli 1964, p. 66-73.
570
L. AVITABILE, Presentazione a N. LUHMANN, Il diritto della società, Torino,
2012, p. XXIX.
569
239
a.a. 2012-2013
primo grado») attraverso l’osservazione propone l’argomento per
poi procedere alla elaborazione della testualità legislativo - normativa e lo seleziona poiché conforme571 ai sistemi sociali. Tappa
successiva è quella del giudice, che si trova così in funzione di osservatore di secondo grado: si limita cioè a «giustificare» gli argomenti del suo corredo tecnico. Ne consegue che, mentre secondo la filosofia di altri esponenti il giudice ha una «coscienza morale», per Luhmann il giurista «si limita» in maniera assolutamente
tecnica quanto professionale, ad esporre il giusto argomento precedentemente redatto dal legislatore. È quindi possibile definire
l’interpretazione di Luhmann un rigetto dell’ermeneutica al fine di
preservare ciò che sono gli argomenti anteponendoli ad ogni possibile variante mens auctoris. Tale procedura è derivante da un sistema che tende ad «auto controllarsi»; il ridurre il più possibile il
caso portandolo alle origini regolamentari cui sarà basato, mira a
ridurre quanto più possibile errori di tipo giuridico-variabili (eventi esterni o situazioni particolari atte a modificare il giudizio) e soprattutto limitare la responsabilità del giurista chiamato ad applicare la sua funzione. In questo processo, come prima specificato
di auto-controllo, Luhmann esonera gli organi competenti da ogni
responsabilità e parallelamente pone equità tra i casi, ossia non esiste un caso di ingiustizia che vede un reato punito in maniera più
o meno severa rispetto ad un altro stesso caso. Si evita così
l’insuccesso operazionale, poiché argomento ed interpretazione
acquistano omogeneità ed «unisemia» . Per quanto possa tale teoria avvalersi di una base sistemistica e quindi apparentemente infallibile, comporta inevitabilmente al non adattamento della singola situazione in cui il diritto è chiamato ad essere interposto. Ne
consegue una inefficace adattabilità al contesto sociale, limitandosi, appunto, alle norme basiliari cui la norma originaria si attiene.
Poiché secondo lo stesso Luhmann il procedimento deve essere di
natura tecnica e non «morale», o meglio «l’interpretazione è semplicemente la preparazione di un’argomentazione dopo aver osservato i materiali che emergono»572, resta a mio parere difficile
571
L’argomento è conforme nel senso che è finalizzato alla procedura di formazione del testo, cioè, ne persegue lo stesso scopo.
572
N. LUHMANN, Das Recht der Gesellschaft, cit., p.342.
240
a.a. 2012-2013
poter associare tale filosofia ermeneutica-giuridica al contesto sociale, a differenza del pensiero bettiano il quale trova, come sopra
evidenziato, applicazioni costantemente aggiornate al contesto cui
una legge viene sottoposta. Sebbene siano numerosi e di non minore importanza gli esponenti filosofici che hanno trattato
l’ermeneutica, non a caso abbiamo analizzato questi due pensieri,
che definisco estremi tra loro ed infatti vanno a trattare due modi
diversi di applicazioni.
Secondo Gaspare Mura lo stesso Betti ha il vantaggio di avere
una corrente filosofica-italiana arricchita di particolari ineccepibili
dal pensiero teorico germano i quali portano ad avere un pensiero
già di base aperto ad accogliere un’ermeneutica interpretativa573,
opposta a quella tedesca che definirei maggiormente «sistemistica», la quale non accetta variabili non controllabili ma di «natura
umana», meglio definita mens auctoris. Per questo motivo Betti ha
trovato discordanza in Gadamer e Heidegger, fino ad arrivare alla
sua totale contraddittorietà in Luhmann.
22. Il divieto di interpretatio e l’interpretazione autentica
(ROBERTA PACITTI)
Il divieto di interpretatio è uno strumento essenziale per
l’affermazione del diritto legislativo rispetto a quello consuetudinario e giurisprudenziale. Fu legato all’attuale accentuazione del
ruolo della legge e del legislatore. Questo divieto si è dimostrato
funzionale all’istituzione di un privilegio normativo, che presupponeva quello interpretativo e prevedeva l’obbligo di riferimento
al legislatore. L’interpretazione fornita dal legislatore cosiddetta
«interpretazione autentica» è l’unica possibile, sono elementi tipici di una cultura giuridica che tende a promuovere il momento
della normazione più di quello dell’applicazione. Il divieto di interpretatio e il riferimento al legislatore (rèfèrè lègislatif) sono istituti tipici dell’illuminismo giuridico e furono recepiti
dall’ordinamento francese nel periodo rivoluzionario; ed essi si
573
G. MURA, Introduzione all’ermeneutica veritativa, Roma, 2005, p. 14.
241
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basavano sulla concezione illuminista della giustizia e sulla separazione tra normazione e giurisdizione. L’interpretazione autentica
rappresenta in questa prospettiva un’attività normativa pertanto
spettante al solo legislatore574. L’idea del legislatore come unico
interprete «autentico» della legislazione affonda le sue origini
nell’età antica. Giustiniano attribuì al solo Imperatore il diritto di
legiferare e di interpretare le leggi così prodotte; lo scopo era
quello di impedire la cosiddetta interpretatio, ossia quelle attività
di commento dottrinale e giurisprudenziale che puntavano a completare le fonti normative generali e astratte in vista
dell’applicazione ai casi concreti. L’interpretatio costituisce
un’attività diversa dall’interpretazione; mentre l’interpretazione è
funzionale alla comprensione del significato da attribuire a un determinato testo, l’interpretatio comprende tutte quelle attività intellettuali volte all’elaborazione dell’ordinamento. Al divieto di
interpretatio nell’età giustinianea, corrisponde l’obbligo giuridico
di riferimento all’Imperatore attraverso una relatio, consultio o
suggestio per risolvere un eventuale dubbio sorto
nell’applicazione del diritto, si tratta del cosiddetto ‘riferimento al
legislatore’575. L’istituto del riferimento al legislatore, che in
Francia è denominato «rèfèrè lègislatif», è presente
nell’ordinamento francese dell’Ancien Regime576 all’art. 7
dell’ordinance civile pour la reformation de la justice, che prevedeva, che, nel caso in cui in giudizio fosse sorto un dubbio in merito all’interpretazione da attribuire al testo legislativo il giudice
avrebbe avuto l’obbligo di interrompere il giudizio e ricorrere al
sovrano per domandare quale fosse il significato corretto da applicare. La teoria illuminista puntava alla realizzazione di un sistema
giuridico, che consentiva l’applicazione della norma senza alcun
intervento interpretativo da parte del giudice, il quale si sarebbe
dovuto limitare ad individuare la legge che disciplinava la fattispecie ed applicarla in modo meccanico. L’attività di produzione
574
P. ALVAZZI DEL FRATE, Divieto di “interpretatio” e “rèfèrè lègislatif” nei
“cahiers dè dolèances” del 1789, p. 101.
575
ID., L’interpretazione autentica nel XVIII secolo, Torino, p. 44.
576
ID., Divieto di “interpretatio” e “rèfèrè lègislatif” nei “cahiers dè dolèances” del 1789, cit., p. 102 ss.
242
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normativa doveva essere propria solo del legislatore senza che gli
organi autorizzati all’applicazione del diritto potessero modificare
il contenuto o intervenire in caso di lacuna. L’assemblea costituente francese istituì il «rèfèrè lègislatif facultatif», istituto, che lasciava ai giudici la scelta circa la necessità di interpretare la legge;
oltre a prevedere il riferimento facoltativo istituì anche il rèfèrè
lègislatif obligatoire577. Entrambi gl’istituti ebbero vita breve, il
rèfèrè lègislatif facultatif fu abrogato con l’art. 4 del codice civile
francese, mentre quello obligatoire fu abrogato successivamente.
Con l’abrogazione di questo istituto il giudice non solo poteva interpretare le leggi ma doveva farlo obbligatoriamente in tutti i casi
in cui la norma giuridica non si desumeva immediatamente dal testo legislativo. Possiamo, quindi, dire che con il tramonto della
concezione dell’ interpretazione come attività di esclusiva competenza del legislatore riprende vigore il ruolo del giudice. Con la
locuzione «interpretazione autentica» si fa genericamente riferimento all’interpretazione intesa sia come attività che come prodotto, posta in essere da parte di quel soggetto che è stato autore
del documento legislativo.578 Da questa definizione discende la
deduzione che l’interpretazione non è autentica quando non proviene dallo stesso soggetto. L’interpretazione autentica, resa dal
legislatore attraverso una legge, rientra nella categoria
dell’interpretazione pubblica, nella quale rientrano tutte le forme
di interpretazioni provenienti da soggetti o organi pubblici
nell’esecuzione delle proprie funzioni. Essa vincola ogni interprete, infatti, gli sottrae la possibilità di far valere nei singoli casi un
significato della norma diverso da quello attribuito dal legislatore.
La particolarità di quest’interpretazione affonda le sue origine nella considerazione che l’autore di ciascun atto è anche il soggetto
che più sicuramente sa chiarire il significato, si presume che egli
sappia il significato del documento, come nel caso del testamento
che può essere interpretato autenticamente dal testatore che si assume di conoscerne il significato vero, poiché ne è l’autore. Il
concetto di interpretazione, di interpretare, manifesta che per interpretare è necessaria la libertà di interpretare, non tutti gli ordi577
578
ID., L’interpretazione autentica nel XVIII secolo, cit., p. 153 ss.
G. TARELLO, L’interpretazione della legge, cit., p. 243.
243
a.a. 2012-2013
namenti giuridici danno questa libertà. Ogni legislatore ha la sua
interpretazione che è l’interpretazione autentica, non a caso definita autentica. Questa interpretazione è autentica ma non limitante,
per noi autentica significa che appartiene a lui, l’autore del testo
ha dato la sua interpretazione ma non c’è il divieto di dare altre
interpretazioni di quello stesso testo. Ci sono ordinamenti in cui
c’è il limite di dare altre interpretazioni, perché lì interpretazione
autentica significa unica interpretazione. Non c’è nessun legislatore occidentale che ci può dire che questa è l’unica interpretazione,
verrebbe sconfessato dall’applicazione delle norme al processo.
L’interprete è autentico quando non interpreta quella norma per
finalità che gli sono proprie, quando quest’interpretazione diventa
garanzia della certezza del diritto, dove la certezza del diritto si
identifica con la sua terzietà. Risale, nel tempo, l’idea secondo cui
l’attribuzione di significato ad un atto giuridico, compiuta
dall’autore stesso, abbia un’autorità assoluta, un’efficacia erga
omnes; basti ricordare come lo Statuto Albertino del 1848 prevedeva che «l’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo» (art. 73). Tale
disposizione riproduceva la disposizione dell’art. 16 del codice
Albertino del 1838, che recitava: «al Sovrano spetta l’interpretare
la legge in modo per tutti obbligatorio», ma con una significativa
variante consistente nella sostituzione della parola “sovrano” con
le parole “potere legislativo” che marcavano il passaggio dal regime assolutistico al regime costituzionale. L’interpretazione autentica consentirebbe di ripristinare il significato originario del testo, eliminando dalla pratica giuridica tutte le ulteriori interpretazioni non più ammissibili a seguito dell’intervento dell’autore. Il
mutamento dell’organizzazione costituzionale ha reso questa definizione non più adatta, dal momento che, nel procedimento odierno, è impossibile individuare l’autore della norma come soggetto
persona fisica. Quindi, al fine di adattare il concetto di interpretazione autentica all’assetto istituzionale dello stato moderno, il
soggetto autore della norma è stato sostituito dall’organo incaricato di porre norme dello stesso tipo di quello che necessitano interpretazione. Questa definizione di interpretazione continuava a non
essere adatta, per questo la dottrina moderna basa il concetto di
244
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interpretazione autentica sull’identità di funzione normativa, dove
il titolare della potestà dell’interpretazione autentica è solo
l’organo che esercita la stessa funzione normativa dell’organo che
ha posto l’atto all’interno dell’ordinamento giuridico579. Nella cultura del diritto comune per interpretazione legislativa o autentica
si intendeva quella particolare forma di interpretazione dotata della funzione legislativa. Per molto tempo confusa è stata la questione se la facoltà di interpretare autenticamente la legge spettasse al legislatore o soltanto all’autore del testo da interpretare. Dal
XVI secolo si affermò, come scrisse Pietro Mortari, «l’idea della
legge interpretativa come atto emanato da un organo dotato del
potere legislativo senza alcun riferimento ad una competenza esclusiva da parte dell’autore del testo»580. Questa interpretazione
trasmessa attraverso una legge interpretativa denominata lex declaratoria aveva caratteri di obbligatorietà e generalità. Un contributo determinante alla dottrina dell’interpretazione autentica è stato dato anche dalla dottrina canonista, di particolare importanza
sono le considerazioni di Francisco Suarez il quale elaborò nel De
Legibus una teoria dell’interpretazione autentica, sostenendo che
l’interpretazione autentica non è di competenza esclusiva
dell’autore del testo legislativo ma spetta anche al suo successore
o all’autorità che deteneva la forza legislativa. Suarez ritiene che
l’interpretazione legislativa qualora non fosse compiuta
dall’autore della legge da interpretare non sia altro che una supposizione, dotata però dei caratteri di obbligatorietà e generalità e
per la provenienza dall’organo dotato di potere legislativo essa era
definita «autentica»581. Importanti sono anche le sue considerazioni circa l’efficacia della legge interpretativa, la quale, secondo
Suarez, non ha carattere di novità e quindi la sua efficacia è retroattiva in quanto ad essere applicata è sempre la legge interpretata.
Con l’entrata in vigore dell’attuale Costituzione (1948) furono
prospettati dei dubbi circa l’ammissibilità nel nostro ordinamento
579
A. PUGIOTTO, La legge interpretativa e i suoi giudici. Strategie argomentative e rimedi giurisprudenziali, Milano, 2003, p. 13 ss.
580
P. ALVAZZI DEL FRATE, L’interpretazione autentica nel XVIII secolo, cit., p.
47.
581
Ivi, p. 53 s.
245
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costituzionale delle leggi cosiddette di interpretazione autentica;
anzi, qualche autore, come Marzano, negò l’ammissibilità di tali
leggi582. A sostegno furono avanzati degl’argomenti come:
l’inesistenza di una norma attributiva della potestà di interpretare
leggi, l’interferenza nella sfera riservata al potere giudiziario ed
infine la violazione del principio di irretroattività della legge. La
vigente Costituzione non contiene nessuna disposizione che espressamente attribuisca al potere legislativo la facoltà di interpretare le leggi in modo per tutti obbligatorio, come, invece, afferma
l’art. 73 dello Statuto Albertino. La mancata ricomparsa di tale disposizione nella Costituzione starebbe a significare la contrarietà
del legislatore costituente all’interpretazione autentica583. Neppure
nelle disposizioni preliminari sulla legge in generale c’è traccia o
riferimento all’interpretazione autentica. Sulla questione
dell’ammissibilità della legge di interpretazione autentica è intervenuta anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 118 del
1957, la quale chiarì che la Costituzione non esclude la possibilità
di leggi interpretative e retroattive. Nella Costituzione manca la
limitazione di ordine generale a riguardo. Questa sentenza è stata
oggetto di diverse critiche dovute all’insufficienza e genericità
della motivazione e fonda il fondamento dell’ammissibilità
dell’interpretazione autentica in mancanza di una norma costituzionale che la vieti584. A sostegno dell’inammissibilità delle leggi
di interpretazione autentica è che queste invadono la sfera del potere giudiziario ledendo l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, violando il principio di separazione dei poteri. La Corte
Costituzionale, però, ha da subito ritenuto che l’emanazione di
leggi interpretative non incide sul principio di separazione dei poteri e non interferisce col potere giudiziario. L’ammissibilità
dell’istituto della interpretazione autentica nel vigente ordinamento costituzionale è oggi riconosciuta sia dalla dottrina, che dalla
giurisprudenza. La Corte Costituzionale ravvisa come presupposto
582
MARZANO, L’interpretazione della legge con particolare riguardo ai rapporti fra interpretazione autentica e giurisprudenziale, Milano, 1955, p. 169.
583
Ivi, p. 171.
584
G. CASTELLANO, Interpretazione autentica della politica del diritto, 1971, p.
599.
246
a.a. 2012-2013
del ricorso alla legge interpretativa nell’esistenza di gravi ed insuperabili oscurità; o quando l’intervento del legislatore è giustificato da obiettivi dubbi ermeneutici; o è diretto ad eliminare incertezze interpretative non presenti ma possibili. Legge di interpretazione autentica è, solo quella, che in riferimento a una precedente
disposizione ne impone una data interpretazione con efficacia retroattiva585. La retroattività delle leggi interpretative è conseguenza necessaria della loro natura dichiarativa o ricognitiva di un significato preesistente nella disposizione interpretata, per cui la
legge interpretativa, che si limiti ad interpretare una precedente
legge, non violerebbe il principio di irretroattività, in quanto non
dispone nulla di nuovo rispetto alla legge interpretata. La Corte
Costituzionale non si è mai pronunciata a riguardo, si è limitata ad
affermare che alle leggi di interpretazione autentica è connaturato
l’effetto retroattivo.
23. Coerenza e verità
(VALERIO D’OVIDIO)
nell’argomentazione
giuridica
Le scuole interpretative formatesi nel corso dei secoli, spesso
fanno riferimento all’arte dell’oratoria e della retorica586.
In questo scritto, si menzionano alcuni storici esponenti
dell’arte argomentativa, a partire già dall’antica società greca, i
quali
permettono
di
comprendere
l’importanza
dell’argomentazione nella scienza giuridica.
Protagora insegna a «rendere più forte l’argomento più debole»
il che non vuol dire che insegni l’ingiustizia e l’iniquità contro la
giustizia e la rettitudine, ma, semplicemente i modi con cui tecnicamente e metodologicamente è possibile sorreggere e portare a
vittoria l’argomento (qualunque sia il contenuto in oggetto) che
nella discussione può risultare più debole587.Al contrario, Socrate
585
R. GUASTINI, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Milano, 1993, p. 280.
L. AVITABILE, Argumenta iuris. L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, cit., p. 1.
587
G. REALE - D. ANTISERI- M. LEANG , Filosofia e pedagogia dalle origini ad
oggi, p. 65, Brescia 1985.
586
247
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ritiene di dover rispettare le leggi anche quando si ritengono ingiuste, ma nel contempo è doveroso adoperarsi per modificarle col
consenso degli altri e una giusta argomentazione mira a tale scopo588.
Infatti, l'esigenza di ricercare la verità è un tratto caratteristico
della filosofia greca, in particolare si ricordano alcuni filosofi che
hanno dato importanza al concetto di verità; ad esempio il pensiero di Socrate si fonda sul motto dell’oracolo delfico «conosci te
stesso» in quanto egli ritiene che la verità vada ricercata
nell’uomo.589
Aristotele, invece, fissa in maniera quasi scientifica i caratteri
della verità; egli, ad esempio, giudica erroneo il detto sofistico,
secondo cui «l'uomo è misura di tutte le cose», proprio perché
«priva la verità di coerenza logica e di qualunque criterio oggettivo»590. «La verità si ha per Aristotele quando l’intelletto giunge a
coincidere con l'oggetto da conoscere, facendolo passare dalla potenza all’atto»591.
Anche nell’antica Roma, l’arte dell’argomentare è un tratto caratterizzante delle opere di alcuni autori, tra cui Cicerone, con il
quale si giunge alla consapevolezza dell’arte del dire. Per Cicerone, se l’arte dell’argomentare è strettamente connessa all’arte del
dire, questa stessa «non ha modo di rifulgere se l’oratore non ha
studiato profondamente i problemi che dovrà trattare», anche dal
punto di vista tecnico592. Infatti, per arrivare ad un determinato risultato argomentativo, bisogna organizzare, tracciando linee guida, le questioni da discutere arrivando così tramite
l’argomentazione giuridica alla soluzione più adatta, essendo
l’argomentazione «simbolo della validità del diritto» come sostenuto da Luhmann593.
588
Ivi, pp. 73-74.
Ivi, p. 75.
590
L. BROCK STELPHEN , L’attualità di Aristotele, pp. 147, Roma 2000.
591
ARISTOTELE, Sull'anima, libro III, Dizionario delle opere filosofiche, Milano, 2000, pp. 92.
592
CICERONE, De oratore, I, 48.
593
N. LUHMANN (A CURA DI L. AVITABILE), Il diritto della società, cit., pp.
313-378.
589
248
a.a. 2012-2013
In Luhmann, l’argomentazione è vista come offerte ponderose
e convincenti per assumere decisioni. Infatti, anche nei casi individuali come al momento della loro scoperta, le decisioni devono
essere riferite a una rete ricorsiva di considerazioni che fungono
da ponderazioni ausiliarie. Il caso individuale deve essere collocato in un contesto di decisioni anteriori e posteriori attraverso le
formazioni di analogia, ma anche mediante distinzioni594.
In relazione al diritto, Luhmann afferma che la teoria giusnaturalistica, secondo cui ogni norma è riportabile a principi etici universali, non fa i conti con la complessità del mondo sociale che
deve essere ridotta. È il diritto positivo ad avere questo compito,
di imporre limitazioni all’infinità delle scelte possibili da parte
degli individui in società. Così la funzione del diritto positivo andrebbe intesa come una riduzione vincolante e sanzionata della
complessità sociale nella sfera delle aspettative interpersonali di
comportamento, poiché la validità del diritto non dipende da principi etici ma da decisioni le quali rendono positivo il diritto. Sembra esserci un nesso tra teoria giuridica e scienza delle decisioni
(che ha un ambito più vasto nel senso che la teoria sistemica mette
in luce una struttura complessa di problemi e di possibili soluzioni
di problemi e che la decisione va presa nell’ambito di tali possibili
soluzioni)595.
Dunque, si può definire l’argomentazione come un insieme di
argomenti selezionati, che permettono di arrivare a un risultato finale, attraverso dei procedimenti adeguati e coerenti fra loro, la
cui finalità consiste nella risoluzione di dispute per risolvere e superare differenze di opinioni. Infatti, gli operatori giuridici la utilizzano per giustificare una scelta compiuta, ricercando una soluzione coerente con il sistema giuridico.
Tuttavia, l’argomentazione essendo «arte dell’oratore», spesso
si presta a essere influenzata dalla soggettività dell’interprete, ovvero dalla finalità di giustificare interessi di parte.
Luhmann sostiene che quando si parla di interpretazione si
pensa al comportamento sociale di un lettore che si concentra sul
594
Ivi, p. 324.
Cfr. N. LUHMANN Illuminismo sociologico, Milano, 1983, e Sistemi sociali.
Fondamenti di una teoria generale, cit.
595
249
a.a. 2012-2013
testo, quando comincia ad interpretare quello che fa è preparare
un’argomentazione596.
Per comprendere la giusta modalità di interpretare le norme,
bisogna richiamare il pensiero di Schleiermacher, il quale ritiene
che bisogna prestare attenzione affinché all’interpretazione “soggettiva” non si sostituisca la personalità dell’interprete, anche se
essa è posta in essere da una personalità. L’aspirazione privata del
legislatore, del giudice, della dottrina o dei privati non deve essere
lusingata dal potere interpretativo: la libertà di interpretazione non
può essere sostituita dal potere dell’interpretazione. In questo senso si può affermare che la personalità non è elemento
dell’interpretazione, ma allo stesso tempo viene sfruttata
dall’interpretazione come è il caso dell’avvocato di parte, nella
consapevolezza che sarà condizionata ad una ricomposizione generale, secondo la decisione del terzo giudice. L’elemento della
personalità non deve essere fuorviante, essa da una parte avalla la
circostanza che senza la persona non può esistere l’interpretare;
dall’altra, ogni interpretazione – per essere imparziale e disinteressata – non può cedere alla personalizzazione del suo autore597.
Da quanto sopra esposto, si evince quanto sia importante per
poter realizzare un’argomentazione valida, anche il concetto di
coerenza. La coerenza deve essere considerata come criterio guida
nelle attività conoscitive e argomentative degli operatori giuridici,
una relazione che deve essere instaurata fra le norme
dell’ordinamento, o meglio ancora fra norme appartenenti ai singoli settori di cui l’ordinamento si compone (ad esempio il diritto
civile o il diritto penale), in modo che esse costituiscano un’unita
tendenzialmente sistematica.
Gli operatori giuridici, nelle loro attività, hanno a che fare non
con norme isolate ma piuttosto con insiemi di norme, magari emanate in tempi diversi e con diversa collocazione gerarchica598.
Ciò comporta che spesso le norme possono essere incoerenti, ma
596
N. LUHMANN, (A CURA DI L. AVITABILE), Il diritto della società, cit., p. 336.
L. AVITABILE, Argumenta iuris L’ermeneutica di Schleiermacher e
l’argomentazione di Luhmann, cit., pp. 5 e ss.
598
G. PINO, Coerenza e verità nell’argomentazione giuridica. Alcune riflessioni, in “Rivista Internazionale di filosofia del diritto”, 1988, pp. 84-126.
597
250
a.a. 2012-2013
in sede di argomentazione della propria tesi gli operatori hanno
l’onere di legare in maniera coerente i materiali normativi di cui si
servono.
In realtà, “in natura” non esistono ordinamenti giuridici privi di
“incoerenze” e di lacune normative per cui i concetti di coerenza e
di verità divengono dei “miti” che appartengono, comunque, ai
presupposti con cui opera il giurista, chiamato ad interpretare il
diritto e ad applicarlo ai casi concreti.
L’argomentazione del giudice deve conciliare le esigenze di
equità e di diritto, prendendo decisioni giuste e ragionevoli. «Il diritto si sviluppa attraverso l’equilibrio di una duplice esigenza:
l’una di ordine sistematico, l’elaborazione di un ordine giuridico
coerente; l’altra di ordine pragmatico, la ricerca di soluzioni accettabili da parte dell’ambiente sociale, in quanto conformi a ciò che
appare giusto e ragionevole»599.
Dunque il diritto non può sussistere senza argomentazione, ma
occorre che quest’ultima venga posta in essere tramite i criteri della coerenza e della verità, perché solo così è possibile raggiungere
la “giustizia” come espressione del giusto quale arte volontaria
dell’animo umano.
24. Il parlamento ed il tribunale
dell’interpretazione (TOMMASO FALCONE)
come
luoghi
Gli ordinamenti moderni hanno ormai accolto la ben nota tripartizione dei poteri dello Stato riconducibile a Montesquieu nell’
opera «L’esprit des loix», nella quale ritiene che affinché in uno
Stato siano garantite la libertà e la tranquillità dei singoli occorre
che i poteri di tale stato si controllino e limitino reciprocamente,
ed afferma che i poteri non variano da stato a stato ma sono sempre e solo tre: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere
giudiziario600. Soffermandosi sul potere legislativo il suo deposita-
599
Cfr. C. PERELMAN , Logica Giuridica. Nuova Retorica, Milano 1979.
G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, 1976, p. 287,
dove si osserva anche che là individuazione della tripartizione dei poteri pre600
251
a.a. 2012-2013
rio è il parlamento, la cui funzione è quella di procedere alla formazione delle leggi, pertanto occorre porsi la domanda su cosa sia
ciò che muove il parlamento ad emanare una legge. La risposta a
questo è data dall’art.1 Cost. che al primo comma afferma che «l’
Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro» e, al secondo comma che «la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Dal secondo comma di tale articolo deriva che la sovranità è esercitata dal popolo
non in via diretta ma attraverso un sistema rappresentativo, in modo che l’ organizzazione statale, nell’ esercizio dei suoi poteri,
dovrà essere strutturata in modo tale da esprimere nella propria attività gli orientamenti politici in essa prevalenti, il popolo così dovrà essere messo in condizione di scegliere gli orientamenti politici fondamentali che gli organi costituzionali dovranno seguire
nell’ espletamento delle proprie funzioni, cioè dovrà poter determinare i capisaldi dell’ indirizzo politico dello Stato601 che si manifesterà attraverso l’ emanazione di leggi. Da ciò deriva che le
leggi costituiscono osservazione della realtà sociale e del suo evolversi così che il legislatore si pone come un osservatore di essa, infatti come è stato osservato «Il diritto e le norme non nascono da un altro diritto e da altre norme; hanno inizio con gli uomini, con la loro ansia di non essere assoggettati al dominio naturalistico della forza più forte602». Orientati dalla tesi proposta da Romano, si delinea un questionare sul senso del diritto alimentato
dalla riflessione dei ‘classici’ del pensiero. Può rammentarsi con
Aristotele che, come ogni arte, il diritto trova la sua genesi in chi
lo fa – l'uomo – e non nelle cose fatte – le norme: come precisa
Romano603,«l’arte del giurista non si esaurisce nel servire una
forma vuota che è legge a se stessa: la legalità (Teoria generale
del diritto) senza la giustizia (Filosofia del diritto)604». Il legislatosenti in uno Stato costituisce una tesi estremamente importante nella storia delle
dottrine giuridiche.
601
R. BIN-G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino 2008, p 77.
602
B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, p. 20
603
G. BARTOLI, Hermeneutica iuris - Per una lettura 'giuridica' del testo normativo, in: http://www.i-lex.it/articles/volume5/issue9/bartoli.pdf
604
B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, cit., p.
35.
252
a.a. 2012-2013
re per assolvere alla sua funzione di osservatore della realtà sociale deve indossare i panni di un interprete cercando così di individuare le particolari esigenze dei cittadini, poi eliminare tutte quelle situazioni di squilibrio che vengono a crearsi tra di loro (creando così una situazione di uguaglianza), e infine andando a prevedere tutte quelle situazioni di possibile conflitto che possono venirsi a creare tra i consociati andando così a prevenirli, attività,
quest’ ultima, che si attaglia bene con la struttura della legge che
presenta i caratteri della generalità e dell’ astrattezza. Una volta
individuato tutto ciò, il legislatore elabora quello che ha osservato
in un atto formale: la legge. Per l’istituzione di una legge e quindi
per la formazione dell’ipotesi che vi si riferisce, vale il principio
‘la legge del testo è il testo della legge’, che presenta la connessione di logos (trialità) e nomos (terzietà) nel sorgere e
nell’incidere dell’ordine del simbolico, distinto dall’ordine del reale. Innanzitutto si deve tenere come originariamente essenziale
che il diritto c’è se c’è un rapporto tra due soggetti, poiché non esiste un diritto del singolo in una condizione di assoluto isolamento dagli altri; io non ho un diritto su me stesso, che non sia tale
perché ci sono gli altri. Un primo elemento del diritto si mostra
pertanto essere quello di un rapporto intersoggettivo; questo primo
elemento ne mostra subito un secondo: il darsi dell’esercizio possibile di una pretesa verso l’altro soggetto, che svela un altro elemento essenziale, quello della figura della terzietà del diritto, come dimensione costitutiva della giuridicità; la pretesa giuridica è
infatti tale perché è esercitata con il presentarla all’Altro-terzo605.
La legge si sostanzia, formalmente, in un documento scritto, attraverso parole, in modo che per essere applicate dovranno essere interpretate. I primi chiamati ad interpretare le leggi sono gli stessi
consociati in quanto destinatari delle stesse ,poiché dirette a regolare tra loro determinati rapporti: infatti l’art. 1372 c.c. prevede
che «il contratto ha forza di legge tra le parti». Tuttavia può verificarsi l’insorgersi di controversie tra i singoli nell’applicazione
della legge, sarà così necessario, in tali casi, per risolvere la controversia, rivolgersi ad un tecnico del diritto facente capo ad un
605
B. ROMANO, Il Testo e la Legge, in:
http://www.i-lex.it/articles/volume5/issue9/romano.pdf.
253
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altro potere dello Stato, quello giudiziario «che viene in rilievo
non come poter generico ma come potere di decidere le singole
controversie che in concreto vengono sottoposte al giudice»606 che
è un tecnico del diritto, ed i singoli che si rivolgeranno a lui per
far valere le loro ragioni devono attivare la macchina del processo
e per raggiungere il loro risultato si avvarranno di tecnici del diritto, gli avvocati, i quali d’innanzi al giudice esporranno le loro tesi,
mediante l’argomentazione della legge a seguito della sua interpretazione, cercando cosi farla prevalere rispetto a quella avversaria: il processo è informato al principio del contraddittorio e quindi al suo corollario dell’oralità al quale può attribuirsi il significato di comunicazione del pensiero mediante la pronuncia di parole
destinate ad essere udite e si caratterizza per il fatto che colui che
ascolta può intervenire nel dialogo ponendo domande ed ottenendo risposte a viva voce del dichiarante607. Lo stesso diritto, infatti,
ha bisogno di tecnici del diritto che in una sorta di vorticoso assemblaggio normativo permettono di far funzionare la forma giuridica orientata a parametri contingentemente scelti608. Di fronte a
tale confronto dialettico si pone il giudice in posizione di terzietà
ed imparzialità. Ciascuna parte presenta una sua ragione, così che
la controversia si mostra come la controversia tra due ragioni, pur
considerando che, trattandosi di una controversia giuridica, si avrà
il rinvio indispensabile ad una ragione terza, che esprimerà il suo
giudizio sulle due ragioni in esame e lo esprimerà secondo un ordine di considerazioni che non è quello della ragione dell’una o
dell’altra parte in conflitto, ma è il luogo terzo della ragione giuridica, la ragione del terzo imparziale e disinteressato609, per giungere ad una decisione, la sentenza, svolgendosi tutto ciò secondo
lo schema tesi-antitesi-sintesi. La sentenza emessa dal giudice, per
606
C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol.1, Torino 2009, p. 196.
P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano 2011, p. 243, dove distingue dall’oralità la scrittura, intesa quale forma di comunicazione del pensiero
mediante segni visibili, alfabetico ideografici. Lo scritto può essere letto e, in
tal modo può essere espresso oralmente. Ma si tratta di una oralità fittizia in
quanto colui che ascolta non può prendere parte al dialogo.
608
L. AVITABILE, Cammini di filosofia del diritto, Torino, 2012, p. 118.
609 B. ROMANO, Il Testo e la Legge, in: http://www.ilex.it/articles/volume5/issue9/romano.pdf.
607
254
a.a. 2012-2013
essere valida deve essere motivata (come richiesto dall’art. 111
Cost. comma 7) e ciò è espressione di un esigenza delle « culture
giuridiche moderne, e in particolare nella nostra, dove quasi tutte
le decisioni eteronome di autorità istituzionali relative di attribuzione di significato a documenti normativi preesistenti (in particolare le leggi) sono obbligatoriamente motivate in senso tecnico610» affinché il corpo sociale possa effettuare un controllo di
quella decisione destinata « a fare stato a ogni effetto tra le parti»
(art. 2909 c.c.) sostituendosi, così, la nuova regola emessa dal
giudice a quella controversa e andando a costituire la nuova regola
del caso concreto. La motivazione deve presentare lo stesso carattere dialogico che ha avuto il dibattimento, nel senso che essa deve dar conto del conflitto sulle prove e di quello sulle ipotesi. Una
motivazione che prendesse in considerazione solo prove a favore e
non anche le prove contrarie (oppure soltanto le ipotesi e non le
contro ipotesi), certamente potrebbe costituire un ragionamento
coerente, ma perderebbe quella struttura dialogica che è legalmente imposta611. Il giudice nella sentenza ricostruisce il passato nella
forma del caso presente. Ciò che per la decisione del caso è necessario viene preso in considerazione. Nella limitazione del materiale informativo li aiuta il diritto vigente. Viene presupposto come
dato, quindi anche come prodotto del passato612; quindi formalmente i tribunali si comportano in modo che la loro decisione,
presa pur sempre nel sistema giuridico venga determinata soltanto
dal diritto vigente. La decisione è emessa come riconoscimento
del diritto o come applicazione del diritto. E il diritto possiede regole sufficienti per garantire che questo sia possibile in ogni caso613 L’attività del giudice di interpretazione ed adeguamento del
diritto scritto alla realtà e la trasformazione di questo in «diritto in
azione» fa assumere all’interprete un ruolo rilevante ai fini della
effettività nell’ordinamento dei precetti posti dalla legge: egli, non
essendo automatico strumento di sussunzione del fatto nella nor610
G. TARELLO, L’interpretazione della legge, in Trattato di Diritto civile e
commerciale, Milano, 1980, p. 70.
611
P. TONINI, ult. op. cit, p. 701.
612
N. LUHMANN, Il diritto della società, cit., p. 300.
613
Ivi, p. 302.
255
a.a. 2012-2013
ma, filtra tra il caso concreto ed il comando astratto assumendo un
ruolo quantomeno di integrazione e rifinitura del quadro normativo predisposto in linea generale dal legislatore. In questa ottica, il
precedente giudiziario è da tempo oggetto di analisi in merito agli
effetti di una giurisprudenza come fonte del diritto614, ritenendo
che competa al terzo legislatore occuparsi del «che si istituisca» e
affidare al terzo giudice l’esecuzione dell’ istituito , va in ogni caso sottolineato che non potrà mai esistere un ordine giuridico che
possa essere contraddistinto dal dogma della completezza. In questi margini l’attività del terzo giudice deve garantire il compimento del diritto, attraverso il giudizio giuridico. Alla luce di queste
considerazioni il giudice si rivela non come soggetto-macchina
ma come soggetto razionalmente vivo, sempre più elemento funzionale di terzietà. Emerge infatti, che il diritto non è interamente
appannaggio della legge e che il giudice, inquadrato nel suo essere
terzo ed imparziale, quale componente di un diritto triale e terzo al
pari del legislatore e della polizia, è soggetto in grado di superare
il conflitto tipico del processo. Quest’ultimo si caratterizza come
il luogo d’incontro tra le parti, dove le richieste di attore e convenuto sono presentate dinanzi all’interprete chiamato a dirimere la
controversia attraverso il processo di sussunzione dalla fattispecie
astratta a quella concreta. Il procedimento segue l’applicazione
delle norme processuali e rinvia alle disposizioni astratte e generali prodotte dal legislatore, ma esso non esaurisce il momento giurisprudenziale615. Ci si può chiedere perché il giudice abbia tale
potere: la risposta è da rinvenirsi nell’art. 101 Cost. 1 comma «La
giustizia è amministrata in nome del popolo » e nei codici di procedura che prevedono che la sentenza venga emessa in nome del
popolo; in quanto quest’ultimo è depositario della sovranità. In
conclusione si può dire che la legge nasce nei parlamenti e vive e
si evolve nei tribunali a seguito della sua concreta applicazione altrimenti, come affermava Calamandrei, « le leggi sarebbero solo
carta morta».
614
A. CAVALLARO, Terzietà del giudice e creatività della giurisprudenza: il valore del precedente, in: i-lex, 11, 2010, pp. 455-466 (www.i-lex.it).
615
Idem.
256
a.a. 2012-2013
25. L’interpretazione che ha come scopo la funzionalità del
diritto garantisce concretamente il principio di terzietà?
(ANTONELLA LENA)
L’interpretazione è quell’attività destinata agli altri come una
domanda che ha sempre l’aspettativa di una risposta, ispirata dalla
coalescenza tra νομος e λογος (legge e parola). E’ necessario però
evidenziare la connessione e il rapporto che intercorre tra interpretazione e terzietà; la questione che bisogna sollevare a riguardo, è
come l’interpretazione funzionale possa fungere da garanzia alla
terzietà del diritto. È bene iniziare dal concetto di interpretazione,
che in qualità di fenomeno, che cambia al mutare delle situazioni
reali-sociali, è il canale di collegamento tra legge e parola, la quale quest’ultima, deve permettere la comprensione della ratio insita
nella disposizione normativa a difesa della giuridicità, e di tutti
coloro che costituiscono la società. L’interpretazione, o anche detta attività ermeneutica, è la modalità creatrice di normativa giuridica, nel senso che: la vera creatività risiede e si manifesta nella
capacità di comprendere da parte del giurista, il significato del testo legislativo: «colui che riflette sulle parole al di là dell’ambito
tecnico», dice Kant616.Da queste parole si può evincere come il
ruolo del giurista infatti, non si sofferma solo sul linguaggio tecnico-giuridico, ma va oltre: spiegando la portata del messaggio
normativo, rivolgendo ai destinatari di quel precetto, i valori di
giustizia e legalità, ponendolo così su un livello superiore agli altri, lontano da un semplice ˝stare a vedere˝617; allo stesso tempo
però, è necessario che il giurista nel suo iter interpretativo, faccia
rispettare il principio di terzietà(principio fondamentale di qualunque stato di diritto),che nasce dalla dimensione giuridica del
logos. L’arte dell’interpretazione, non si esaurisce quindi in una
soluzione scientifica, ma cerca un senso, un messaggio diretto alla
collettività senza differenze; ed è proprio qui: tra interpretazione(come forma di produzione) e terzietà (come equità e imparzialità) che si può trovare la soluzione all’indagine qui proposta.
616
617
I. KANT, Critica della ragion pura, Torino 1967 , p.64
B. ROMANO, sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, cit., p. 71.
257
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Come afferma Jankèlèvitch618 «l’equità scopre che le persone non
sono ne uguali ne ineguali, ma qualitativamente diverse»; l’equità
allora, è la caratteristica che agisce nella persona dell’interprete, è
il quid pluris che rende la norma giuridica concreta, imparziale e
uguale per tutti, ma possedendo allo stesso tempo, la capacità di
riconoscere la singola diversità di ogni individuo in quanto essere
umano(˝uguali nella diversità˝). Quindi, argomentare significa dare forma e attualità alle regole giuridiche rispettando il valore
dell’imparzialità in relazione alla destinazione delle stesse. Il giurista, a sua volta in qualità di mediatore tra legislatore e ricevente,
ha il dovere di far rispettare ciò adottando una forma interpretativa
capace di eccepirne il sensu, e che sia funzionale alla realtà
all’interno della quale verrà inserita la norma, trattando i destinatari della stessa in modo paritario, garantendone di conseguenza il
rispetto del principio di eguaglianza. In conclusione, si può parlare
di un’interpretazione funzionale guidata dal giurista, in qualità di
artista della ragione (Kant) e della giustizia nel suo procedimento
di creatività ; giustizia che è possibile difendere solo tramite l’uso
di atti e comportamenti capaci di garantire nella fattispecie concreta, il principio di terzietà nel sistema del diritto «questa giustizia, resistente agli impeti egoisti e unilaterali della passione, è sinonimo di probità e di imparzialità» (Jankèlèvitch619); dove non si
discute sul fatto di emettere giudizi sul singolo, ma al contrario, si
emettono giudizi rivolti ad una pluralità indistinta di soggetti, valutando con animus tutti gli elementi del caso, in modo da non dare
spazio
al
favoreggiamento
o
ancor
peggio
all’indifferenza620.Una giustizia, impregnata di principi impegnativi, e portatrice di esigenze in grado di soddisfare interessi universali, presentandosi sotto forma di norme621,e, assicurando il
raggiungimento del fine622, attraverso la concretizzazione delle
stesse nell’esercizio dell’azione.
618
L. AVITABILE, Il terzo-giudice tra gratuità e funzione, cit., p. 28.
Ivi, p. 31.
620
B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia vita animus anima, cit., p. 74.
621
G.PERTICONE, lezioni di filosofia del diritto, Torino, 2012, p. 80.
622
Ivi, p. 88.
619
258
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26. Grundnorm,quale norma presupposta come estremo fondamento di validità; critiche a tale teoria
(MARCO
MAGNANTE)
Hans Kelsen, cosiddetto cofondatore della “teoria pura del diritto”, elabora il concetto di Grundnorm, quale norma fondamentale e suprema dell’ordinamento giuridico. Si tratta di una norma
che «non è posta mediante un atto giuridico positivo, bensì è presupposta (…) In questo presupposto si trova l’estremo fondamento della validità dell’ordinamento giuridico».623 La Grundnorm,
dunque, non può essere “posta” dai poteri costituiti con l’ordinario
procedimento legislativo, anzi è presupposta razionalmente, cioè
esiste nel pensiero e non già sul piano delle volizioni concrete o
degli atti umani percepibili coi sensi nel mondo reale. Essa, in altri
termini, è implicita in ogni sistema giuridico perché, se dovesse
essere posta da un’autorità, questa dovrebbe conformarsi ad altre
norme, senza individuarne la scaturigine, l’origine. Per arrestare
questo regressus ad infinitum, pertanto, bisogna necessariamente
ritenere che la norma fondamentale sia presupposta logicamente;
solo così, infatti, la Grundnorm può essere fonte di validità ed efficacia di tutti gli altri atti normativi dell’ordinamento giuridico.
Sotto questo profilo, Kelsen individua nella norma fondamentale,
una Costituzione in senso logico-giuridico, distinguendola dalla
Costituzione in senso giuridico-positivo, da intendersi come il testo normativo posto al vertice della gerarchia delle fonti, sovraordinato a tutti gli atti normativi dell’ordinamento. «La norma fondamentale non può essere il senso soggettivo di un atto di volontà
(…) può essere soltanto il contenuto di un atto intellettuale»: non
può essere, cioè, «una norma voluta», perché «può essere soltanto
una norma pensata».624 Ma la Grundnorm, è presupposta o deve
essere presupposta? E chi presuppone la Grundnorm? Kelsen non
chiarisce mai se la norma fondamentale debba essere presupposta
dai giudici oppure da chi, mediante i propri atti, crea ed applica
diritto; né tanto meno sostiene la necessità di pensare la Grun623
H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, cit., p. 217.
Ivi, p. 228.
624
259
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dnorm, che esiste logicamente anche quando non è pensata effettivamente: «Con la sua teoria della norma fondamentale, la dottrina pura del diritto non inaugura affatto un nuovo metodo della conoscenza giuridica. Non fa che rendere consapevole quello che
tutti i giuristi compiono per lo più inconsapevolmente»625. È questa la teoria della presupposizione inconsapevole, secondo la quale
i giudici, nell’applicare la costituzione, pensano in maniera irriflessiva di doverlo fare, senza interrogarsi a fondo sul perché di
siffatto obbligo e, soprattutto, sull'esistenza effettiva di
quest’ultimo. La Grundorm, pertanto, esiste nel pensiero di chi assume la validità obbiettiva di determinate norme, ma non costituisce in sé una ragione per obbedire alla costituzione; la norma fondamentale, in altre parole, non fonda il dovere di obbedire al dettato costituzionale, ma si limita a stabilire che se di fatto vi obbediamo, è perché presupponiamo il dovere di farlo: è l’effettività
della costituzione a fondare il dovere di presupporre che
all’origine di quest’efficacia ci sia una norma vincolante. Tuttavia,
è bene sottolineare che il dovere di presupporre una norma fondamentale varrà soltanto per coloro i quali già pensano alla costituzione come una fonte di norme obbiettivamente valide; nei confronti di chi non è allineato con questo orientamento, invece, non
può logicamente sortire alcun vincolo: la Grundnorm, sarà semplicemente inesistente. Analizzando il pensiero di altri autori in
merito all’esistenza o meno di una norma fondamentale presupposta dalla quale la costituzione possa trarre la propria validità, vorrei evidenziare il pensiero di Herbert L.A. Hart, il quale pensa che
«se una costituzione che stabilisce le varie fonti del diritto è una
realtà vivente, nel senso che i tribunali e i funzionari
dell’ordinamento individuano il diritto in accordo con i criteri che
essa stabilisce, allora la costituzione è accettata ed esiste realmente. Sembra una ripetizione inutile suggerire che vi sia un’ulteriore
norma secondo la quale la costituzione (…) deve essere obbedita»626.
Hart sembra suggerire che se la costituzione scritta opera come
norma di riconoscimento effettivamente praticata non c’è bisogno
625
626
Ivi, p. 231.
H.L.A. HART, Il concetto di diritto, Torino, 1991, p. 292.
260
a.a. 2012-2013
di interrogarsi sulla sua validità, pretendendo di ricavarla da una
norma fondamentale presupposta. Molto importante è la distinzione che fa tra norme primarie,che hanno carattere prescrittivo, e
norme secondarie,che accertano la validità delle norme primarie.
Al vertice delle norme secondarie c'è la norma definitiva di riconoscimento che è parallela alla Grundnorm di Kelsen,ma,al contrario di quest'ultima,non è dichiarata ma «usata» effettivamente
dagli operatori giuridici. Esiste,quindi,come un dato di fatto ed in
quanto il suo uso costituisce una prassi concorde. Perciò,ciò che è
essenziale a proposito,è che vi sia un accettazione ufficiale
,condivisa da tutti i funzionari della norma di riconoscimento.
Quindi, in conclusione, anche l'esistenza di un ordinamento giuridico nel suo complesso è un dato di fatto: esiste se le sue norme
primarie sono generalmente obbedite e le sue norme secondarie
sono effettivamente accettate ed usate.
«Il diritto non può esistere senza la forza e ciò non di meno
non è identico alla forza »627: questo passaggio consente un accenno alla distanza teorica e vicinanza pratica del pensiero di Kelsen rispetto a quello di Hobbes in ordine al rapporto forza/diritto.
Se nel primo la forza entra nella struttura formale del sistema giuridico come nudo fatto, nel secondo essa assume le vesti di valore
giuridico e contenuto positivo del sistema giuridico stesso. La distanza si attenua, però, ove si evidenzi che tanto in Kelsen quanto
in Hobbes il diritto finisce con l’essere definito un ordinamento
(od organizzazione) della forza.
27. Quando l’aspettativa cognitiva diventa aspettativa normativa (ERIKA PETRUCCI)
Nel linguaggio giuridico corrente, «giudizio» è termine polisenso, il cui significato trova quindi una molteplicità di declinazioni. Il «giudizio giuridico»628 si risolve in un’attività decisoria
operata dal giudice, che si espleta in due fasi: la prima vede il giudizio come procedimento logico, psicologico e conoscitivo; la se627
628
H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000, p. 102.
M. TARUFFO, Giudizio, in Enciclopedia giuridica, vol. XV, 1988, p. 1.
261
a.a. 2012-2013
conda si concretizza nella decisione intesa come risultato di tale
procedimento. Oggetto del giudizio giuridico è la parola della legge che viene interpretata, a sua volta, da chi opera nella legalità. Il
continuo ed incessante rinvio al significato della parola produce
un’“attesa” e le attese, nel lessico giuridico discusso, equivalgono
alle aspettative. Il primo a sostenere che l’aspettativa è propria
dell’uomo sin dalla nascita fu Cicerone, il quale sosteneva che è
nella natura dell’uomo questa aspettativa, che si risolve nell’ aspettativa di amore. Tale tipologia di aspettativa viene denominata
“aspettativa cognitiva”. Luhmann distingue tra aspettative cognitive, che si adattano alla realtà, e le aspettative normative che vengono mantenute ferme anche in caso di delusione. Molti modelli
della riflessione sociologica hanno costituito delle possibili ricostruzioni del rapporto tra aspettative e diritto in sé. In tale ottica si
può sostenere che le aspettative di comportamento orientate al diritto danno il riferimento della normatività del diritto. La normatività può essere considerata come la forma di un’aspettativa di
comportamento, attraverso cui si indica che l’aspettativa deve essere mantenuta anche in caso di delusione. In questo caso, è possibile mantenere le norme come aspettative stabilizzate in maniera
controfattuale, resistenti alle delusioni e, in quanto tali, inizialmente non ordinate in modo né naturale, né sistematico, né logico.
Stabilizzare le aspettative permette di spiegare l’agire conforme,
ma anche quello difforme, cioè l’agire che non si orienti ad esse;
la normatività, allora, diventa un carattere delle aspettative generalizzate in presenza del diritto. Luhmann ritiene che il diritto consista in «aspettative normative di comportamento coerentemente
generalizzate», individuando il fondamento dello stesso in una determinata organizzazione di reciprocità, bastata sulla comunicazione in rapporto ad aspettative il cui contenuto non muta anche
nel caso in cui vengano disattese e, infatti, perché possa parlarsi di
diritto, queste devono «stabilizzarsi»629. Per trattare del sistema
delle aspettative e dei suoi vari livelli riflessivi è necessario riferirlo alla complessità e alla contingenza del campo di esperienza,
soprattutto in relazione al suo aspetto concreto e alle astrazioni
629
K.SEELMANN, Filosofia del diritto, Napoli, 2006, pp. 78 e ss.
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a.a. 2012-2013
che lo regolano e lo integrano come «struttura»630. L’aspettativa
cognitiva, inserita nel sistema diritto, acquista rilevanza a tal punto da essere oggetto di valutazione normativa. Il legislatore non è
chiamato a delineare i valori, ma seleziona tra le varie aspettative
quelle che ritiene rilevanti e in tale momento da aspettative cognitive diventano «aspettative normative». Infatti, ogni fascia che
compone la società si aspetta qualcosa dal legislatore, ma
quest’ultimo, non potendo assolvere e soddisfare tutte le aspettative, deve fare una selezione631 al fine di istituire e mantenere la legalità. Diventa vantaggioso, se non indispensabile, in un mondo
complesso e contingente, costituito in base al senso, mettere in
rapporto tra loro le diverse fasi in cui si svolge il processo di selezione. «La forma delle norme giuridiche non è la forma delle leggi
dei sistemi biologici; non è una forma già data, ma è una forma in
formazione, istituita dal pensiero e dalla volontà degli uomini, che
nell’attività legislativa selezionano dei contenuti e li fissano nella
forma definita di un enunciato normativo»632. Per tale ragione
vengono prese in considerazione solo le aspettative che sono in
linea con la custodia dell’uguaglianza nella differenza e solo quelle che si armonizzano con il concetto di terzietà e del diritto incondizionato. Luhmann affronta il concetto di aspettativa prendendo le mosse dall’iter argomentativo seguito dal legislatore per
soddisfare le aspettative normative. La distinzione tra “aspettative
cognitive” ed “aspettative normative” consiste nello stabilizzare
alcune aspettative come normative, per Luhmann meritevoli di tutela attraverso un processo di selezione al quale rimane estranea la
morale, essendo una prerogativa esclusiva della dimensione giuridica, l’unica a poter effettuare simili trasformazioni che portano
ad un processo di c.d. giuridicizzazione633. La crescente complessità della società e la sempre più accentuata differenziazione ed
accrescimento delle prospettive puramente normative richiede che
vengano approntati meccanismi selettivi più idonei ed efficaci,
sottratti alla momentanea distribuzione di forze. Si producono si630
N. LUHMANN, Sociologia del diritto, cit.
D. TOSINI, Il diritto nella teoria dei sistemi sociali, cit.
632
B. ROMANO, Filosofia della forma e del diritto, cit.
633
L. AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit., p.147.
631
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stemi di interazione particolari, i procedimenti, che svolgono il
particolare compito di predisporre funzioni vincolanti capaci di
una propria prestazione selettiva interna. Il rapporto tra interprete
e legge è direzionato sempre alla ricerca del giusto. «In relazione
al rapporto che intercorre tra argomentazione giuridica e aspettativa del soggetto, bisogna porre l’attenzione all’opera del legislatore
al fine di soddisfare le aspettative normative trasformandole in
legge»634. Dall’interprete ci si aspetta anzitutto la comprensione
dell’interpretato e non una mera spiegazione, si mira a qualcosa di
più rispetto ad un indottrinamento tecnico-giuridico. In tale prospettiva la specificità del diritto moderno è data dal paradossale
riferimento reciproco di cognitività e normatività.
634
L.AVITABILE, Interpretazioni del funzionalismo giuridico, cit.,
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