Lezione 22 - Taylor su politica del riconoscimento

Facoltà di Sociologia – unimib
a.a. 2008 - 2010
Corso di Laurea in Servizio Sociale
Esame di Filosofia Politica
LEZIONE 22
In queste pagine, un esempio di lettura e analisi di un testo filosofico. Il brano in esame è
tratto da C. Taylor, La politica del riconoscimento, in J. Habermas, C. Taylor,
Multiculturalismo, Feltrinelli, Milano, 1998.
“Di fatto questa politica [eguale riconoscimento] è venuta a significare due cose
abbastanza diverse, collegate, rispettivamente, con due grandi trasformazioni che ho
descritto. Col passaggio dall’onore alla dignità è nata una politica dell’universalismo
che sottolinea l’eguale dignità di tutti i cittadini e ha avuto per contenuto
l’egualizzazione dei diritti e dei titoli. Quello che si deve evitare a ogni costo è che
esistano cittadini di “prima classe” e di “seconda classe”. Nei particolari, naturalmente, i
provvedimenti affettivi giustificati da questo principio variano grandemente, e spesso
sono stati oggetto di controversie: per alcuni l’egualizzazione riguardava solo i diritti
civili ed elettorali, secondo altri si estendeva alla sfera socioeconomica. Per quest’ultimo
punto di vista, chi è sistematicamente svantaggiato dalla povertà non può utilizzare
appieno i propri diritti di cittadino e si trova quindi relegato in una condizione di “seconda
classe”; a ciò si deve rimediare con un’azione ugualizzatrice” (p.23).
1. Dalla politica dell’eguale riconoscimento si sono venute a creare due interpretazioni
distinte e dipendenti da alcuni fattori storici e culturali che hanno contribuito a formare
l’idea di eguale riconoscimento.
2. Dal passaggio dall’onore alla dignità si ha una politica universalistica (PU),
egualizzatrice, che tende ad eliminare differenze formali, ma anche sostanziali, fra i
cittadini, ispirandosi ad un principio universale di pari dignità.
3. Le politiche universalistiche giustificano le proprie azioni e interventi normativi sulla
base del principio universale a cui fanno riferimento (pari dignità di tutti i cittadini);
tuttavia le applicazioni di tale principio variano, perché vengono implementate in una
realtà che non è mai statica e spesso subisce interpretazioni, dovute a letture diverse,
anche contrastanti, della realtà sociale.
4. La politica universalistica ammette casi in cui le differenze fra i cittadini, annullate sul
piano dei diritti civili e politici, rimangono come un dato di fatto, in relazione alle
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condizioni socio-economiche in cui essi vivono. Pensiamo a cittadini che si trovano in
casi di svantaggio strutturale (ovvero svantaggi che dipendono dal sistema sociale ed
economico e che possono non essere imputati alle decisioni e alla condotta del
singolo); nonostante si applichino politiche universalistiche tese all’egualizzazzione
dei diritti politici e civili, questi individui non possono godere appieno di tali diritti. Chi
sostiene questa interpretazione, giustifica un intervento normativo specifico da parte
delle istituzioni affinché la condizione di svantaggio sistematica possa essere
annullata. U tale intervento normativo è di fatto in egualitario, perché tende a favorire
un gruppo di persone, i meno avvantaggiati.
5. Taylor nota il caso in cui una politica universalistica ammette, in determinate
circostanze e a determinate condizioni – interpretare lo svantaggio sociale come un
fattore strutturale e una privazione di qualche diritto – interventi normativi specifici nei
confronti di alcuni cittadini o gruppi di cittadini, che quindi giustificano un trattamento
da parte delle istituzioni “preferenziale”.
“La seconda trasformazione, la nascita della nozione moderna di identità, ha dato
invece origine ad una politica delle differenza. Naturalmente anche questa politica ha,
come quella dell’uguaglianza, una base universalistica, e ciò ha contribuito a
sovrapporle e confonderle l’una con l’altra. Ognuno dovrebbe essere riconosciuto per la
sua identità, che è unica; ma qui “riconoscimento” significa una cosa diversa. Ciò che si
afferma con la politica della pari dignità è voluto come universalmente uguale, come un
bagaglio universale di diritti e dignità; la politica della differenza ci chiede invece di
riconoscere l’identità irripetibile, distinta da quella di chiunque altro, di questo individuo
o di questo gruppo. L’idea di base è che proprio questa differenza è stata ignorata,
trascurata, assimilata a un’identità dominante o maggioritaria. E tale assimilazione è il
peccato capitale contro l’ideale di autenticità” (p. 24).
6. Il senso moderno in cui è intesa l’identità ha dato origine ad una seconda politica del
riconoscimento, la politica delle differenze (PD).
7. Come PU, anche PD prende le mosse da un assunto universalistico che riguarda la
dignità degli individui.
8. La nozione di identità, però, è interpretata in un altro modo rispetto a PU.
9. PD interpreta l’identità come identità irripetibile, unica, quindi diversa e distinta da
quella di chiunque altro.
10. PU, invece, interpreta l’idea di identità come una caratteristica universale che si
ripropone universalmente, sempre eguale in ciascuno.
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11. Nota Taylor che spesso, considerando soltanto la comune base universalistica e non
cogliendo la differenza nell’interpretazione della nozione di identità, le due politiche
sono state sovrapposte (PU=PD)
12. Una conseguenza di questa sovrapposizione è ignorare la possibilità di una politica
del riconoscimento, che non sia inevitabilmente universalistica e imporre, quindi, una
concezione di persona maggioritaria e dominante, che, in quanto tale, dà origine ad
una inevitabile situazione di mancato riconoscimento delle altre identità.
“Ora alla base di simili richieste c’è un principio di uguaglianza universale. La politica
della differenza è piena di denunce di discriminazioni, e di rifiuti di una cittadinanza di
seconda classe; e questa assicura al principio dell’uguaglianza universale un varco da
cui entrare nella politica della dignità. Ma una volta entrato, le sue richieste sono difficili
da assimilare entro tale politica; esso ci chiede, infatti, di concedere un riconoscimento e
uno status a qualcosa di non condiviso universalmente. Detto in altro modo: prendiamo
debitamente atto di qualcosa che esiste universalmente (tutti hanno un’identità) in quanto
riconosciamo qualcosa che per ognuno è soltanto suo” (p. 24).
13. Taylor parte da un fatto concreto: PD permette che vi siano diseguaglianze nei
trattamenti (perché riserva trattamenti preferenziali a gruppi culturali minoritari
affinchè possano affermarsi e non essere misconosciuti).
14. Ciò implica che entrino in PD richieste di eguaglianza contrarie a tali interventi.
15. Ma tali richieste non possono applicarsi perché PD intende riconoscere di fatto
qualcosa che non può essere, per sua stessa natura, condiviso (la differenza fra le
culture e il pluralismo culturale).
“L’esigenza universale spinge a una presa d’atto della specificità” (p.24).
16. Se PU parte da una base universalistica e per riconoscere l’identità personale come
un elemento universale; PD parte ugualmente da una base universalistica, ma
riconosce la specificità e la singolarità degli individui, nella loro autenticità. PU: U 
U(niversale) e PD: U  P(articolare).
“La politica della differenza si sviluppa organicamente dalla politica della dignità
universale grazie a uno di quegli spostamenti, noti da molto tempo, per cui una nuova
visione della condizione sociale dell’uomo dona un significato radicalmente nuovo a
un vecchio principio. Come l’idea che gli esseri umani siano condizionati dalla loro
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situazione socio-economica ha cambiato il modo di intendere la cittadinanza di seconda
classe, tanto che oggi questa categoria arriva a comprendere, per esempio, coloro che
sono intrappolati in una povertà ereditaria, così l’idea che gli esseri umani siano formati,
ed eventualmente deformati, da un interscambo ha introdotto nella nostra prospettiva una
nuova forma di status di seconda classe. La ridifinizione socioeconomica ha giustificato,
come nel caso di cui ci stiamo occupando, dei programmi sociali che molti contestavano;
a chi non condivideva a nuova definizione dell’uguaglianza di status, i vari programmi
distributivi e le occasioni in più offerte a certe popolazioni apparivano una forma di
favoritismo indebito. Oggi intorno alla politica della differenza nascono conflitti
analoghi. Là dove la politica della dignità universale lottava per forme di non
discriminazione del tutto “cieche” ai modi in cui i cittadini si distinguevano fra di loro, la
politica della differenza ridefinisce spesso la non discriminazione come un qualcosa
che ci impone di fare di queste distinzioni la base di un trattamento differenziato” (pp.
24-25).
17. Taylor affronta un discorso sulle forme e sulla metodologia delle analisi fatte nel
campo della filosofia politica e che sono strettamente connesse al tema
dell’interpretazione.
18. Un’interpretazione diversa, data successivamente, di uno stesso contesto (povertà) o
una specificazione migliore o secondo altri criteri di un concetto (libertà e pari dignità),
sono in grado di modificare il punto di vista dal quale elaborare una teoria, che è in
continuo mutamento. Tali mutamenti sono spesso concessi e altrettanto spesso
auspicabili. Così è accaduto quando si è iniato a considerare determinate condizioni
socio-economiche degli ostacoli nell’affermazione della propria dignità personale e dei
vincoli alla libertà sostanziale degli individui.
19. In questo caso, PU ha concesso interventi normativi mirati e quindi ineguali, per
raggiungere una sostanziale eguaglianza di diritti, di opportunità, di libertà.
20. Taylor, molto semplicemente nota che, questo succede anche in PD e si chiede,
implicitamente perché interventi normativi specifici siano criticati, avversati e non
possano invece essere sostenuti e giustificati nel quadro di PD.
21. PD sostiene forme di riconoscimento, in una accezione nuova rispetto a PU, che non
siano cieche di fronte alle differenze, ma che facciano della presa d’atto di tali
differenze la fonte e la giustificazione di politiche mirate.
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