idrogeno - Università degli Studi di Cagliari

IDROGENO
Caratteristiche fisiche dell’idrogeno
L’idrogeno, il cui nome significa “generatore di acqua”, rappresenta l’elemento più
abbondante dell’universo. Nel sole ad esempio è presente per circa il 90%, e con l’ossigeno
ed il silicio è uno degli elementi più diffusi della crosta terrestre, dove si trova allo stato
combinato, con carbonio, ossigeno ed altri elementi (acqua, idrocarburi, proteine, grassi
zuccheri ecc.); è uno dei principali costituenti del mondo vegetale e animale.
L’idrogeno è a temperatura ambiente un gas incolore, inodore e praticamente insolubile
in acqua; dopo l’elio è il gas più difficile a liquefarsi; è il combustibile col più alto potere
calorifico superiore.
L’idrogeno come combustibile
L’idrogeno è un gas industriale di primaria importanza. Fu per lungo tempo utilizzato
per il gonfiamento degli aerostati; fu poi sostituito dall’elio, leggermente più pesante ma non
infiammabile. Attualmente, l’impiego dell’idrogeno come combustibile avviene nei programmi
spaziali.
Oggetto delle più recenti ricerche è l’impiego dell’idrogeno nelle celle a combustibile.
L’obiettivo è quello di realizzare un sistema energetico basato sull’idrogeno, con la
costruzione di impianti per la produzione di energia che utilizzino l’idrogeno prodotto
dall’elettrolisi dell’acqua marina.
L’interesse dell’idrogeno come vettore energetico risale all’inizio degli anni 1970,
durante la prima crisi petrolifera. La visione di un sistema energetico basato sull’idrogeno
era però strettamente correlata, nella realtà, con la disponibilità di energia elettrica a basso
costo. Di conseguenza, i progetti di ricerca legati all’energia dall’idrogeno furono
progressivamente abbandonati.
Nel corso degli anni 1980, furono fatti passi in avanti nello studio delle tecnologie
relative alle risorse rinnovabili e all’efficienza energetica, tanto che la ricerca su sistemi
energetici altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili apparve sempre più
interessante.
Produzione dell’idrogeno
L’utilizzo dell’idrogeno come combustibile è compatibile con l’ambiente: non produce
alcun gas serra, in particolare CO2, ma soltanto calore e vapore acqueo. Tuttavia il suo
impiego incontra nella pratica numerosi problemi soprattutto riguardo gli alti costi di
produzione e di immagazzinamento.
Le principali tecnologie di produzione dell’idrogeno sono:
•
Elettrolisi dell’acqua
•
Steam reforming del gas metano
•
Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi
•
Gassificazione del carbone
•
Gassificazione e pirolisi delle biomasse
•
Altri metodi
L’elettrolisi dell’ acqua
Il processo dell’elettrolisi fu applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’ anno
1839. Questo processo richiede il passaggio di corrente elettrica attraverso l’acqua. La
corrente entra nella cella elettrolitica tramite un elettrodo caricato negativamente, il catodo,
attraversa l’acqua e va via attraverso
un elettrodo caricato positivamente,
elettrolisi di 1litro di acqua
l’anodo. L’idrogeno e l’ossigeno così
separati confluiscono rispettivamente
verso il catodo e verso l’anodo.
1,358 m³ H2
L’elettrolisi è il metodo più comune per
4,41 kWh di
6,299
la produzione di idrogeno anche se
energia chimica
1 litro
kWhel
incontra notevoli ostacoli per la
H2O
quantità limitata di idrogeno prodotta e
Energia
elettrica
per i costi, ancora troppo elevati,
0,679 m³ O2
dovuti all’impiego di energia elettrica.
Il costo per la produzione di idrogeno
27
dall’elettrolisi resta il più alto rispetto a qualsiasi altra tecnologia; è, tuttavia, il processo che
riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente.
Steam reforming del gas metano
Lo Steam reforming del gas metano (SMR) è un processo ben sviluppato ed altamente
commercializzato e attraverso il quale si produce il 48% dell’idrogeno mondiale. Lo SMR
implica la reazione tra metano e vapore in presenza di catalizzatori.
CH4 + H2O CO + 3 H2
CO + H2O CO2 + H2
CH4 + 2 H2O CO2 + 4 H2
Al posto del metano è possibile utilizzare anche altri idrocarburi.
Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi
L’idrogeno può essere ottenuto dall’ossidazione parziale non catalitica, ad una
temperatura che varia tra 1300-1500 °C, di idrocarburi pesanti; i costi sono sensibilmente
più elevati.
Gassificazione del carbone
In generale, il processo della gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non
catalitica, di una sostanza solida, liquida o gassosa con l’obiettivo finale di produrre un
combustibile gassoso, formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e idrocarburi
leggeri come il metano. La produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone è una
tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali, ma è competitiva con la tecnologia
SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato.
Gassificazione e pirolisi delle biomasse
Come la gassificazione, anche la pirolisi, o distillazione secca, è un processo che per
mezzo della decomposizione termica spezza le molecole complesse delle sostanze organiche
in elementi semplici. Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900-1000 °C, in assenza di
ossigeno con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido.
L’applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi
differenti gas, tra cui l’idrogeno.
La gassificazione delle biomasse prevede l’impiego sia di materiale derivato dai rifiuti
solidi urbani sia da materiali specifici appositamente coltivati per essere impiegati come
fonte d’energia. Un importante vantaggio ambientale dell’utilizzo delle biomasse come fonte
di idrogeno è il fatto che il biossido di carbonio emesso nella conversione delle biomasse,
non contribuisce ad aumentare la quantità totale di gas nell’atmosfera. Il biossido di
carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita (fotosintesi) e solo la stessa
quantità è restituita all’ambiente durante il processo della gassificazione. Purtroppo il
contenuto d’idrogeno è solo del 6-6.5% , rispetto al 25% del gas naturale. Per questa
ragione i costi sono ancora molto elevati e questo sistema non è competitivo.
Altri metodi
Si sta puntando molto su
sistemi che consentano la produzione di
idrogeno
tramite
l’impiego
diretto
dell’energia
solare,
in
sostituzione
dell’energia elettrica necessaria per
l’elettrolisi
dell’acqua.
Si
tratta
comunque
di
tecnologie
in
fase
sperimentale.
Uno di questi metodi usa il
processo
della
fotoconversione
ed
associa un sistema di assorbimento della
luce solare ed un catalizzatore per la
scissione dell’acqua. Questo processo
usa l’energia della luce senza passare
Schema della produzione di idrogeno da fonte solare per via termochimica
attraverso la produzione separata di
elettricità.
Celle a combustibile
Le celle a combustibile sono sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica
di un combustibile (in genere idrogeno) direttamente in energia elettrica, senza l’intervento
28
intermedio di un ciclo termico, ottenendo pertanto rendimenti di conversione più elevati
rispetto a quelli delle macchine termiche convenzionali.
La nascita delle celle a combustibile risale al 1839, anno in cui l’inglese William Grove
riportò i risultati di un esperimento nel corso del quale era riuscito a generare energia
elettrica in una cella contenente acido solforico, dove erano stati immersi due elettrodi,
costituiti da sottili fogli di platino, sui quali arrivavano rispettivamente idrogeno ed ossigeno.
Una cella a combustibile funziona in modo analogo ad una batteria, in quanto produce
energia elettrica attraverso un processo elettrochimico; tuttavia, a differenza di quest’ultima,
consuma sostanze provenienti dall’esterno ed è quindi in grado di funzionare
ininterrottamente finché al sistema viene fornito combustibile (idrogeno) ed ossidante
(ossigeno o aria).
Il processo che si svolge in una cella a
combustibile è inverso di quello dell’elettrolisi:
nel processo dell’elettrolisi l’acqua, con l’impiego
di energia elettrica, viene decomposta nei suoi
componenti gassosi idrogeno (H2) e ossigeno
(O2).
Una cella a combustibile inverte questo
processo e unisce i due componenti producendo
acqua. In questo processo viene liberata la
stessa quantità di energia elettrica che è stata
impiegata per la decomposizione, almeno
teoricamente, in quanto una parte di energia va
dispersa a causa di altri processi fisico-chimici.
La struttura di una cella a combustibile è molto
semplice: essa è composta di tre strati
sovrapposti. Il primo strato è l’anodo, il secondo
è l’elettrolita e, il terzo, il catodo. L’anodo e il
catodo servono da catalizzatori, mentre lo strato
intermedio consiste in una struttura di supporto che assorbe l’elettrolita. Esistono differenti
tipi di celle che si distinguono per la loro struttura e il loro funzionamento. Nei vari tipi di
celle a combustibile vengono usati differenti elettroliti; alcuni di questi sono liquidi, altri solidi
e altri ancora hanno struttura membranosa.
Quando l’idrogeno fluisce sul lato
SCHEMA DI FUNZIONAMENTO
anodico della cella, un catalizzatore
di una cella a combustibile
di platino facilita la scissione del gas
idrogeno in elettroni e protoni (ioni
idrogeno):
•
I
protoni
passano
attraverso la membrana (il
centro
della
cella),
si
combinano con l’ossigeno e
gli elettroni sul lato catodico,
producendo acqua.
•
Gli elettroni, che non
possono
attraversare
la
membrana,
passano
dall’anodo
al
catodo
attraverso
un
circuito
esterno, che contiene un
motore o una qualsiasi
utenza che consuma l’energia generata dalla cella.
Collegando i due elettrodi (catodo e anodo) con un conduttore elettrico, gli elettroni lo
attraversano e partendo dall’anodo raggiungono il catodo: quindi si genera una corrente
elettrica sfruttabile. Questo processo si svolge senza interruzione fino a che permane una
sufficiente quantità di idrogeno e di ossigeno.
29
Impiego
Logistica
Metodo di
produzione
Vettore
energetico
Fonte
primaria
Poiché una singola cella non consente di ottenere la potenza ed il voltaggio desiderato,
più celle sono disposte in serie a mezzo di piatti bipolari, a formare il cosiddetto “stack”.
Gli stack a loro volta sono assemblati in moduli, per ottenere generatori della potenza
richiesta.
L’impiego delle celle a combustibile
La possibilità che
hanno questi sistemi di
PRODUZIONE E IMPIEGO DELL’IDROGENO
utilizzare diversi combustibili
di partenza (vedi fig.), le
elevate
efficienze
di
Sole
Gas
Forza
Energia
conversione
e
le
ottime
Carbone Petrolio Geotermia Biomassa
naturale
idrica
nucleare
Vento
caratteristiche
ambientali
consentono un contenimento
dei consumi energetici ed al
Elettricità
Benzina
Gasolio
Metanolo
Etanolo
tempo
stesso
possono
contribuire
in
maniera
CxHy + H2O
significativa
al
H2O
Steam reforming
Elettrolisi
raggiungimento
degli
Gassificazione
impegni assunti con la
sottoscrizione del Protocollo
(forma gassosa)
(forma liquida)
Compressione, Trasporto, Stoccaggio,
Liquefazione, Trasporto, Stoccaggio,
di
Kyoto,
per
quanto
Distribuzione
Rifornimento
riguarda la riduzione delle
emissioni di gas serra.
Se fino al 1960 le
stazionario
mobile
portatile
celle a combustibile erano
una
pura
curiosità
scientifica, al giorno d’oggi esse trovano o troveranno a breve termine impiego in tre grandi
aree:
1.
Trazione per veicoli
2.
Alimentazione di reti elettriche ( per esempio per case, condomini, ospedali)
3.
Celle a combustibile miniaturizzate per impieghi portatili (telefoni cellulari, computer).
Trazione per veicoli
Alimentazione diretta con idrogeno. Ci sono due modi per far funzionare una
automobile con idrogeno: motore a combustione diretta di idrogeno oppure celle a
combustibile con motore elettrico.
Uno dei vantaggi dell’uso di celle a
combustibile per la trazione di veicoli è il
loro rendimento energetico. Per percorrere
100 km un’auto convenzionale consuma
circa 4 litri di benzina; un’auto a
combustione di idrogeno consuma circa 2 kg
di idrogeno mentre un’auto a celle a
combustibile consuma 1 kg di idrogeno.
Inoltre lo scarico è solo del vapore acqueo.
Il modo più semplice ed economico per
accumulare idrogeno a bordo di un veicolo è
motore a combustione
di utilizzarlo sotto forma di gas compresso a
pressione di 200-250 bar.
La tecnologia risulta tuttavia non proponibile per uso a bordo di auto tradizionali, a
causa del peso ed ingombro dei serbatoi attualmente utilizzati, che sono un limite
all'autonomia e capacità di carico del veicolo.
La 600 Electra della FIAT costituisce un esempio di auto che usa bombole di idrogeno
compresso; queste occupano notevole spazio nel veicolo, dimostrando la poca praticità di
questo sistema di accumulo se si utilizzano bombole di tipo tradizionale (a 200-250 bar).
Questa tecnologia di stoccaggio è invece utilizzata sulla maggior parte dei prototipi di
autobus finora realizzati. Nella foto è riportato uno degli autobus utilizzato a Torino nelle
ultime Olimpiadi della neve.
30
L'idrogeno può essere stoccato a
bordo del veicolo in forma liquida
ad una temperatura di -253 °C. Per
mantenere
queste
temperature
sono stati messi a punto serbatoi a
doppia parete, con un'intercapedine
ove viene fatto il vuoto. Questa
tecnologia è ormai consolidata in
Germania, dove la BMW la utilizza
da oltre 15 anni su auto ad
idrogeno alimentate con motori a
combustione interna.
Tra i veicoli a celle a combustibile di recente produzione che usano idrogeno liquido,
vanno senz'altro ricordate la NECAR 4 della DaimlerChrysler e la HydroGen 1 della Opel.
Utilizzano inoltre idrogeno liquido gli autobus realizzati da Ansaldo (3 serbatoi da 600 litri
della Messer Griesheim, situati sul tetto del bus) e dalla MAN (3 serbatoi da 200 litri della
Linde, posizionati sul pianale del veicolo).
A sfavore dell’idrogeno liquido giocano la maggiore complessità del sistema, non solo a
bordo del veicolo ma anche a terra, per la distribuzione ed il rifornimento, ed i maggiori costi
ad esso associati. Anche il costo energetico della liquefazione è considerevole,
corrispondendo a circa il 30% del contenuto energetico del combustibile, contro un valore
compreso tra il 4% ed il 7% per l’idrogeno compresso.
Alimentazione con combustibili
Per generare energia, l’unità costituita dalle celle a combustibile deve essere integrata
in un sistema completo che
comprende
una
sezione
di
trattamento del combustibile per
ottenere l’idrogeno, la sezione di
compressione
dell’aria,
un
sistema di condizionamento della
potenza elettrica, un sistema di
recupero del calore sviluppato ed
infine una sezione di regolazione
e controllo. L’energia prodotta
dalle celle farà muovere un
motore elettrico, il quale darà la
propulsione necessaria agli organi
di trasmissione del veicolo.
Autoveicoli a celle a combustibile
sono
dunque
vantaggiosi,
efficienti
e
consentono
di
superare le limitazioni intrinseche
dei veicoli elettrici come la
limitata autonomia e i lunghi
tempi di ricarica delle batterie
tradizionali.
L’unico
aspetto
negativo è che utilizzano fonti
non rinnovabili.
Alimentazione di reti elettriche
Le celle a combustibile
presentano proprietà tali da
renderne
molto
interessante
l’impiego
nel
campo
della
produzione di energia elettrica, in
31
quanto rispondono perfettamente agli obiettivi che si perseguono nel settore elettrico, e
cioè:
• miglioramento dell'efficienza di conversione delle fonti primarie;
• flessibilità nell’uso dei combustibili;
• riduzione delle emissioni di inquinanti nell’atmosfera
Il rendimento di questi impianti, contrariamente a quanto avviene nelle centrali elettriche
convenzionali, è poco sensibile alle variazioni del carico e indipendente dalla potenza
installata.
ìUna centrale a celle a combustibile, inoltre, ha una struttura modulare che può essere
realizzata in breve tempo, con la possibilità di accrescere la sua potenzialità in proporzione
all’aumento della domanda.
A questi vantaggi vanno aggiunti il basso livello di
inquinamento ambientale e la scarsa rumorosità. Va
notato che a regime stazionario la cella a combustibile
si presta alla cogenerazione, ossia, alla produzione
congiunta di elettricità e calore. La prima centrale
sperimentale a celle a combustibile, con l’intento di
dimostrare l’impatto ambientale nullo in un centro
abitato, è stata realizzata nel 1983 a New York.
Celle a combustibile miniaturizzate per impieghi
portatili
Per giocattoli, telefonini, computer portatili ed
altri prodotti di elettronica si fa uso al giorno d’oggi di
batterie
pesanti
e
costose.
L’alternativa
è
rappresentata
da
una
cella
a
combustibile
miniaturizzata, con una durata superiore a quella di una batteria Ni-Cd e senza bisogno di
ricarica, in quanto basta rimpiazzare in modo rapido il combustibile. Il pregio di una rapida
sostituzione del combustibile rende tali celle anche vantaggiose rispetto alle batterie
ricaricabili, che spesso vengono confrontate con questa nuova tecnologia. Esse infatti
abbisognano tempi di ricarica non brevi.
32
ENERGIA NUCLEARE
Più di ogni altra fonte, l'energia nucleare è oggetto di atteggiamenti fortemente emotivi, o è
vista:
• come fonte di grossi rischi per l’uomo e l’ambiente in generale,
• oppure come l'unica possibile salvezza dalla "fine del petrolio".
Non è nessuna delle due cose: è un sistema di produzione di energia elettrica che presenta i
suoi vantaggi e con alcuni aspetti da tenere in considerazione, così come tutti gli altri sistemi
che utilizzano combustibili fossili. L'energia nucleare oggi rappresenta il 7% circa del
fabbisogno energetico globale con il 17% di energia elettrica prodotta da tale fonte.
INTRODUZIONE
Ogni atomo è formato da un nucleo, comprendente protoni e neutroni, e da una nube di
elettroni che ruotano attorno a tale nucleo.
La massa del protone è di 1.67252· 10-27 kg e
quella del neutrone, leggermente maggiore, è di
1.67482· 10-27 kg. Gli elettroni invece sono molto più
leggeri e la loro massa è 1836 volte inferiore rispetto a
quella del protone. Nell’atomo il nucleo occupa un
volume piccolissimo: esso ha un raggio dell’ordine di
10-15 m, mentre l’atomo ha un raggio dell’ordine i 1010
m; l’atomo quindi è costituito in buona parte da
vuoto. I protoni possiedono una carica elettrica positiva
e gli elettroni una carica elettrica negativa; i neutroni
invece sono privi di carica.
•
Il numero di protoni è il numero atomico
Z dell’atomo e individua l’elemento; poiché gli
atomi sono neutri le cariche elettriche si devono bilanciare, il numero degli elettroni è uguale
a quello dei protoni. Allo stato di ione, invece, un elemento può avere un numero di elettroni
superiore a quello dei protoni e allora si ha uno ione negativo (anione); se invece si verifica il
contrario si ha uno ione positivo (catione).
•
Il numero di neutroni è N
•
e il numero totale di protoni e neutroni, A = Z +N, è chiamato numero di massa
dell’atomo.
Due o più nuclei aventi lo stesso numero atomico (Z), ma numero di massa (A) diverso e
che dunque differiscono soltanto nel numero di neutroni, vengono detti isotopi (dal greco:
“iso” = uguale e “topos” = luogo, cioè atomi che occupano lo stesso posto nella tavola
periodica). Gli isotopi hanno esattamente le stesse proprietà chimiche mentre differiscono
per le proprietà nucleari.
L’idrogeno
ha tre isotopi(vedi
il deuterio 1H2
fig.): l’idrogeno 1H1,
(anche designato con D) e il trizio 1H3
(anche designato con T). Il trizio, essendo
radioattivo, viene definito radioisotopo.
Il numero in basso a sinistra del simbolo
dell’elemento indica il numero atomico
(uguale in tutti in quanto si tratta di H); il
numero alla destra rappresenta invece il
numero di massa.
La maggior parte della famiglia nucleare (nuclidi) è costituita da elementi instabili (su circa
2800 noti, solo 264 sono stabili), soggetti a decadimenti (trasformazioni) in altre specie
nucleari, eventualmente a loro volta instabili fintantoché la trasformazione non giunge ad un
nucleo stabile, fermando dunque la catena di decadimenti.
Queste trasformazioni si verificano con rapidità differente a seconda del nucleo considerato
ed avvengono mediante l’emissione di particelle di materia e/o di radiazioni
elettromagnetiche (il nuclide è detto radioattivo). Il fenomeno della radioattività è stato
scoperto ai primi del Novecento dalla coppia M. e P. Curie e da A. H. Becquerel (il nome
“radioattività” proviene dall’elemento radioattivo “radio” scoperto dai Curie).
33
Elementi radioattivi sono contenuti nella crosta terrestre, nei mari e addirittura nel
nostro corpo: si tratta di elementi non stabili, che raggiungono uno stato stabile attraverso
una o più disintegrazioni (decadimenti).
Gli elementi radioattivi presenti in natura (radionuclidi) hanno generalmente periodi di
dimezzamento (t½) molto lunghi. Il
Il tempo di dimezzamento
cosiddetto
periodo
di
dimezzamento
rappresenta la durata durante la quale il 50 %
degli elementi presenti nel momento t0 si
disintegra. Spesso, i nuovi nuclei risultanti
dalla disintegrazione sono radioattivi a loro
volta: si
forma
così
una catena
di
disintegrazione.
Durante
la
disintegrazione
radioattiva, il numero di nuclei attivi
diminuisce progressivamente; di conseguenza,
col passare del tempo diminuisce anche
l’emissione di radiazioni.
Vi sono tre tipi di radioattività a
seconda della radiazione emessa durante la
trasformazione nucleare: alfa (α), beta meno (β−), beta più (β+).
• il decadimento α è caratterizzato dalla liberazione di particelle alfa ossia nuclei di elio
(2 protoni + 2 neutroni); ciò porta all’ottenimento di un nuovo elemento con numero
atomico inferiore di 2 unità e numero massa inferiore di 4 unità
• il decadimento β− è caratterizzato dall’emissione di un elettrone. Immaginiamo un
neutrone composto da un protone e un elettrone; nel momento in cui viene emesso
un elettrone il neutrone si trasforma in protone: il nuovo elemento avrà numero
atomico aumentato di una unità ma sempre lo stesso numero di massa;
• il decadimento β+ è caratterizzato dall'emissione di un elettrone positivo. Un protone
perde la carica positiva e si trasforma in un neutrone: il nuovo elemento avrà numero
atomico inferiore di una unità, ma stesso numero di massa;
Di norma, un effetto collaterale comune a tutte e tre queste disintegrazioni è l’emissione di
radiazioni γ, onde elettromagnetiche ad alta energia. E’ dunque possibile, partendo da una
specie nucleare instabile,
costruire una sequenza di
decadimenti tenendo conto di
tutte le combinazioni di
trasformazioni alfa e beta. Se
si arriva ad una specie stabile
la catena si ferma, altrimenti
procede tramite ulteriori
decadimenti alfa o beta. Le
radiazioni gamma, anche se
contribuiscono in modo sostanziale al bilancio della radiazione naturale, non vanno incluse
nella definizione di una catena di decadimenti perché non conducono a nuove specie
nucleari.
Se si considerano le sequenze di decadimenti degli isotopi delle tre famiglie U-238, U235 e Torio-232 (vedi tabelle), queste si concludono con l’ottenimento di tre isotopi stabili
del piombo (rispettivamente 82Pb206, 82Pb207 e 82Pb208).
Schermatura delle radiazioni radioattive
Le radiazioni radioattive possono attraversare la materia o penetrarvi ed essere
assorbite. Questi processi possono generare nuove radiazioni o calore, a seconda
dell'energia cinetica delle radiazioni e del tipo di raggi.
• La radiazione alfa ha un bassissimo potere penetrante e può essere schermata già
con un sottile foglio di carta. Tuttavia i materiali che emettono radiazioni alfa
costituiscono una minaccia potenziale per l'uomo, in quanto possono penetrare
all'interno del corpo umano attraverso l'ingestione di cibo od acqua, oppure
attraverso l'inalazione di gas e aerosol. In questo caso danneggiano i tessuti umani,
irraggiandoli direttamente dall'interno.
decadimento α
22
11Na
--> β + +
decadimento β−
10Ne
22
34
•
La radiazione beta ha un maggior potere penetrante e attraversa un sottile foglio di
carta; può però essere schermata con un foglio di alluminio di alcuni millimetri di
spessore.
• La radiazione di neutroni ha un elevato potere penetrante, ma può essere schermata
con un materiale contenente boro o con la paraffina.
• La radiazione gamma ha un elevato potere penetrante. Attraversa facilmente la carta
e la lastra di alluminio , ma può essere fortemente indebolita con alcuni centimetri di
piombo.
La fissione nucleare
Nel 1938 i chimici tedeschi Hahn e Strassmann scoprirono che bombardando il nucleo di
uranio 92U235 con dei neutroni lenti, cioè con basso contenuto energetico, questo si spaccava
in 2 nuclei di medie dimensioni, liberando altri neutroni (2
o 3) ed energia termica.
L’assorbimento di un neutrone, infatti, trasforma l’uranio
235
nell’isotopo 92U236
che, avendo un contenuto
92U
energetico molto elevato, è molto instabile per cui si
spacca sprigionando una grande quantità di calore.
Tale processo è chiamato fissione nucleare.
Occorre notare che le reazioni di fissione possibili
per questo nuclide sono moltissime con produzione di 2
oppure 3 neutroni (2,4 è il numero medio di neutroni )
prodotti e con diversi possibili prodotti (a loro volta
radioattivi) come nuclei di bario e cripto, selenio e cesio,
bromo e lantanio, rubidio e cesio o stronzio e xeno, ecc.
Per esempio:
235
235
+ n 36Kr94 + 56Ba139 + 3n
+ n 36Kr94 + 56Ba140 + 2n
92U
92U
Per la fissione di U-235 si deve quindi parlare di una distribuzione statistica dei prodotti.
Potremmo scrivere la reazione di fissione di U-235 nel modo seguente:
235
+ n X + Y + 2,4 n + energia
92U
I neutroni, non avendo carica elettrica, sono particolarmente idonei per la fissione perché
non vengono respinti dalle cariche positive del nucleo. Inoltre, per provocare la fissione il
neutrone deve essere lento perché, rimanendo più a lungo nelle vicinanze del nucleo,
aumenta la probabilità di essere catturato più facilmente.
Solitamente neutroni lenti producono solo urti elastici con i nuclei dell’92U238 ma anche
se un neutrone lento viene catturato dal nucleo di 92U238 la fissione è molto improbabile.
I neutroni con velocità medie o elevate vengono di solito catturati dal nucleo di 92U238
senza fissione. In questo caso l’isotopo radioattivo 92U239, che si forma dopo la cattura del
, diventa nettunio 93Np239 (tempo di dimezzamento
neutrone, emettendo una particella
23,5 minuti) e il nettunio, emettendo una particella
, si tramuta in plutonio 94Pu239
239
(tempo di dimezzamento 2,35 giorni). Il plutonio 94Pu , nuclide artificiale radioattivo, è
adatto alla fissione (nei reattori veloci) perché può essere scisso da neutroni veloci.
Quindi:
• 92U235 è un radionuclide fissile naturale
• 94Pu239 è un radionuclide fissile artificiale
• 92U238 è un radionuclide fertile naturale; viene denominato fertile perché in grado di
produrre un radionuclide fissile (94Pu239).
Reattori nucleari
L’energia liberata durante il processo di fissione deriva da una corrispondente perdita di
massa degli elementi partecipanti alla reazione (scompare circa 1g di massa per ogni kg di
nuclide fissionato).
Secondo la legge di Einstein la massa m e l’energia E sono infatti concetti equivalenti,
dove c è a velocità della luce nel vuoto.
legati dalla relazione: E = mc2
Nei reattori nucleari avviene proprio la trasformazione della massa in energia. Difatti,
spaccando un nucleo in due nuclei più leggeri, in questi due nuclei e nelle particelle liberate è
35
immagazzinata meno massa di quanta ne era immagazzinata originariamente nel nucleo di
partenza. Scompare circa 1g di massa per ogni kg di nuclide fissionato; si ha così un
guadagno netto di energia.
Il fatto che per ogni fissione si liberino dei neutroni energetici, rende teoricamente
possibile un fenomeno di “autosostentamento” della reazione, nel senso che tali neutroni
potrebbero a loro volta innescare altre fissioni di nuclei di uranio. Il risultato di questa
sequenza è una tipica reazione a catena; per innescare questo processo a catena si sfrutta il
fattore di moltiplicazione dei neutroni, il quale non è sempre pari al valore ideale (2.4) ma è
in
generale
inferiore.
Se la quantità di
materiale fissile è
sufficiente, si riesce
ad
ottenere
un
fattore efficace di
moltiplicazione
superiore ad uno,
innescando così una
reazione di fissione
a catena che porta
ad uno svolgimento
di una quantità enorme di energia in un breve intervallo di tempo. Questo fenomeno viene
sfruttato per scopi militari: in una bomba nucleare (o impropriamente, atomica) viene posta
una quantità di materiale fissile (massa critica) tale da avere una moltiplicazione di neutroni
elevata ed una reazione a catena rapidissima che produce, in tempi brevissimi, una quantità
enorme di energia. Se, invece, durante la fissione si abbassa il guadagno di neutroni
accentuando l'assorbimento e anche controllandolo, è possibile far avvenire la reazione in
maniera controllata. Questo ha portato allo sviluppo di reattori a fissione nucleare per la
produzione di energia.
Una centrale nucleare è una forma perfezionata di centrale termica. Nel reattore delle
centrali nucleari, attraverso la fissione controllata, viene liberata un'enorme quantità di
calore che producendo vapore aziona delle turbine collegate ad un generatore di corrente
elettrica.
Un reattore a fissione consiste schematicamente in:
• un "nocciolo", dove viene fatta avvenire la reazione di fissione controllata da appositi
assorbitori,
• uno scambiatore di calore che porta fuori dal nocciolo l'energia prodotta e che aziona
un dispositivo per rendere utilizzabile tale energia (per esempio turbine collegate a
generatori di elettricità);
• un sistema di raffreddamento.
I materiali utilizzati per la costruzione di un reattore a fissione nucleare devono
presentare dei requisiti un po' particolari rispetto ai materiali utilizzati nelle costruzioni
tecniche in generale. Si può affermare che le ricerche volte ad elevare il grado di sicurezza
nei reattori nucleari hanno portato allo sviluppo di materiali spesso di tipo completamente
nuovo. Infatti oltre alla alta robustezza tali materiali devono necessariamente possedere un
basso potere di assorbimento dei neutroni ed una elevata resistenza alle radiazioni, al calore
e alla corrosione.
Il nocciolo è composto da tre elementi fondamentali:
• Il combustibile nucleare
• le barre di controllo
• il moderatore
L’unico elemento naturale che presenta caratteristiche idonee per essere utilizzato
come combustibile nucleare nei processi di fissione è l’isotopo 235 dell’uranio. Esso
costituisce solo lo 0.7% del totale di questo elemento, la maggior parte essendo invece
l’isotopo 238 (che non è fissile). E’ dunque necessario predisporre tecniche di arricchimento
artificiale del minerale. Essendo i due elementi (235 e 238) specie isotopiche, non è possibile
separarle per via chimica. Si adottano quindi tecniche complesse di separazione per
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diffusione che utilizzano la piccola differenza di massa dei due isotopi; ciò che resta dopo
questo trattamento è detto Uranio depleto o impoverito.
Un altro elemento utilizzabile nella fissione è l’isotopo 239 del plutonio, prodotto
artificialmente per bombardamento neutronico di uranio-238; è separabile per via chimica
dall’uranio. La produzione di combustibile basato sul plutonio a partire dall’uranio è detta
“fertilizzazione”. Il nocciolo viene di solito assemblato con elementi come quelli mostrati
nelle figure.
In ognuno si trovano dei gruppi di 17 X 17 barre, in ognuna delle quali vengono infilate
delle pastiglie di Uranio preparate in forma di cilindro con diametri di circa 1-1,5 cm. Queste
vengono impilate in guaine rigide fatte di una lega di zirconio, lunghe circa 3 metri e mezzo,
e vengono montate negli elementi, lasciando qualche spazio vuoto per le barre di controllo.
Per fare un nocciolo completo servono circa 150 di questi elementi.
La fissione viene innescata bombardando dall’esterno con neutroni moderati (termici) il
combustibile fissile.
Affinché le reazioni di fissione si possano autosostenere occorre che i neutroni originati
colpiscano altri nuclei scindendoli e producendo così una reazione a catena. La quantità
minima occorrente per iniziare una reazione a catena spontanea viene chiamata “massa
critica”; per l’uranio-235 puro essa è di 50 kg.
Per ottenere una reazione a catena controllata, ossia costante e regolabile, si deve fare
in modo che solo una parte dei neutroni emessi produca una successiva fissione mentre gli
altri vengono assorbiti. Per una regolazione esatta si utilizzano le barre di controllo,
realizzate in materiali altamente assorbenti come leghe di boro, indio, argento e cadmio.
I neutroni generati, essendo veloci (quindi non utili per la fissione), devono venire
sufficientemente rallentati, cioè “moderati”. I materiali moderatori devono essere capaci di
ridurre la velocità dei neutroni senza catturarli.
Solitamente si usa come moderatore l’acqua in quanto può svolgere anche la funzione
di refrigerante; cioè, essa assorbe il calore prodotto dalla fissione e lo trasferisce all’esterno
del nocciolo. Esistono vari tipi di centrali nucleari:
• reattori ad acqua bollente
• reattori ad acqua pressurizzata,
• e reattori a metallo liquido
reattori ad acqua bollente: l’acqua è a diretto contatto con il nocciolo caldo e viene
vaporizzata; il vapore prodotto viene inviato direttamente alla turbina generatrice di
elettricità. Lo svantaggio principale di questo sistema è che l’acqua può diventare radioattiva
(secondo svariati processi) ed in caso di fuga la contaminazione ambientale è assicurata.
reattori ad acqua pressurizzata: in questo tipo di reattore vi sono due circuiti separati. Nel
circuito primario, a contatto diretto con il reattore, circola dell’acqua che viene mantenuta
allo stato liquido ad elevate temperature (300-330 °C), grazie all’impiego di elevate
pressioni (circa 155 bar). L’acqua di questo circuito assorbe il calore della fissione e lo cede,
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mediante opportuni scambiatori, al circuito secondario contenente acqua non pressurizzata
che,quindi, evapora ed aziona le turbine. Il vantaggio di questo disegno è che l’acqua a
contatto con la zona radioattiva resta sempre isolata dalla parte “ordinaria” della centrale.
Il vapore che
esce
dalla
turbina,
a
bassa
temperatura e
pressione,
entra in un
ultimo
scambiatore di
reattore ad acqua bollente
reattore ad acqua pressurizzata
calore, che fa
condensare
l'acqua raffreddandola con un terzo circuito. L'acqua di questo circuito, ovviamente, non
viene a contatto con niente di radioattivo, visto che l'acqua del primario, leggermente
radioattiva, non entra a contatto con l'acqua del secondario, ma scambia solo calore
attraverso pareti impermeabili Quindi a questo scopo si può usare acqua che viene da un
fiume o dal mare, a patto poi di reimmetterla nel fiume (o in mare) da cui la si è presa a
valori di temperatura accettabili.
Esistono ovviamente leggi che prescrivono limiti di temperatura e portata con cui deve
essere reimmessa l'acqua nei fiumi, per evitare danni all'ecosistema locale. Nel caso in cui
sia necessario raffreddare l'acqua dell'ultimo circuito questa viene raffreddata ad aria tramite
torri di raffreddamento. Queste strutture, spesso enormi (a volte si usano torri alte fino a
140 m..) hanno la forma caratteristica che è restata nell'immaginario collettivo come tipica
di una centrale nucleare (vedi fig.).
Interno di una centrale
centrale Svizzera
reattori a metallo liquido: il termovettore è costituito da sodio liquefatto (o da altri metalli
alcalini). Il vantaggio rispetto il modello ad acqua pressurizzata è che le temperature di
esercizio possono essere più elevate e l’efficienza complessiva aumentata per la migliore
conduttività termica del sodio. Questi reattori sono chiamati autofertilizzanti.
La caratteristica fondamentale di un reattore autofertilizzante è nel fatto che esso può
produrre, a partire da combustibili fertili, una quantità di materiale fissile superiore a quella
che consuma. Il sistema ad autofertilizzazione più diffuso in tutto il mondo usa uranio 238
come materiale fertile. L'assorbimento di un neutrone da parte di un nucleo di uranio 238 dà
luogo a un’emissione beta (β
β−) per cui il nucleo si trasforma nell'isotopo fissile plutonio 239.
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La fissione di un nucleo di plutonio 239, innescata da un neutrone, avviene con
emissione di una media di 2,8 neutroni, uno dei quali è necessario per indurre la fissione
nello stadio successivo della reazione a catena. Il reattore che sfrutta il sistema
autofertilizzante più avanzato è l' LMFBR (Liquid Metal Fast Breeder Reactor, Reattore
autofertilizzante rapido a metallo liquido), in cui la velocità dei neutroni destinati alla
produzione di plutonio viene mantenuta alta, per massimizzare l'efficienza del sistema. Va
quindi escluso qualunque materiale moderatore, come ad esempio l'acqua, che rallenterebbe
i neutroni. Come refrigerante viene usato un metallo liquido, generalmente sodio. Il tempo di
raddoppiamento, cioè il tempo in cui il reattore produce una quantità di combustibile doppia
rispetto a quella originaria, è di circa 10 anni.
Lo sviluppo del sistema LMFBR è iniziato negli Stati Uniti prima del 1950, con la
costruzione del primo reattore autofertilizzante sperimentale, EBR-1. Sono stati poi installati
reattori autofertilizzanti operativi in Gran Bretagna, Francia, Russia e altri paesi dell'ex
Unione Sovietica; procede inoltre il lavoro a scopo sperimentale in Giappone e in Germania.
Nei reattori autofertilizzanti le scorie sono molto pericolose per la presenza di plutonio.
Inoltre questi reattori presentano rischi molto più grandi degli altri a neutroni termici per il
fatto che dopo un certo periodo di funzionamento il combustibile deve essere trattato
opportunamente per estrarne il materiale fissile che si è formato. Questo comporta una serie
di operazioni periodiche ad alta pericolosità, come rimozione del combustibile, suo trasporto,
manipolazione in laboratori di estrazione, etc. che rendono i reattori autofertilizzanti ad
altissima pericolosità. Occorre anche non sottovalutare, per questo tipo di reattori, l'alta
pericolosità sociale dato che il plutonio, prodotto in grande quantità, può essere usato
direttamente per scopi militari.
La fusione nucleare
Anche la fusione di due nuclei atomici libera energia. A differenza della fissione
nucleare, però, la fusione è possibile solo con
nuclei leggeri, come ad esempio il deuterio e il
trizio.
La fusione nucleare costituisce la
fonte energetica del sole (quattro nuclei
d'idrogeno si fondono formando elio) e si
ripete da miliardi di anni all'interno delle stelle.
Le
difficoltà
tecniche
per
l'applicazione industriale sono enormi, anche
se il fenomeno di fusione è stato dimostrato
negli impianti di ricerca.
La
difficoltà
maggiore, nel riprodurre sulla terra la reazione
di fusione, viene dal fatto che per far avvenire
la reazione i due nuclei reagenti debbono
avvicinarsi
vincendo
la
repulsione
coulombiana. Ciò richiede una energia "di
attivazione" elevatissima; nelle stelle invece esistono le condizioni ideali per consentire la
fusione dei nuclei.
Per quanto riguarda gli usi bellici (bomba a idrogeno) le difficoltà sono state superate: per
fornire l’energia necessaria per innescare la reazione di fusione viene prima fatto esplodere
un ordigno nucleare a fissione.
La tecnica più studiata fino ad oggi è quella che impiega un forte campo magnetico per
confinare un plasma formato da nuclei di deuterio e trizio ad alta temperatura, in modo che
questo non venga in contatto col materiale con cui viene realizzato il reattore. Per innescare
la reazione la temperatura dovrebbe essere di circa 108 °C però a tutt'oggi non si è ancora
riusciti a stabilizzare il plasma con una temperatura così alta per tempi sufficientemente
lunghi per avere un autosostentamento costante della reazione.
L'elettricità ottenuta attraverso la fusione nucleare comporterà dei notevoli vantaggi in
termini di resa (100 GWh/kg contro 23 GWh/kg della fissione).
La produzione di energia da fusione nucleare potrebbe risultare più sicura di quella da
fissione per due ragioni:
• non si producono scorie radioattive, anche se durante il funzionamento della reazione
si ha una alta emissione di neutroni;
39
•
la reazione non procede a catena, come nella reazione di fissione, per cui la si può
arrestare quando si vuole senza alcun pericolo che essa sfugga al controllo.
Inoltre le materie prime (deuterio e trizio) sono disponibili in grandi quantità. Il deuterio si
può ricavare dall’acqua degli oceani ed il trizio può essere ottenuto dal litio, con opportuni
trattamenti. L'orizzonte di tempo per realizzare un reattore industriale sembra ancora molto
lungo; nel 1975 si prevedeva una applicazione commerciale per i primi anni del 2000!
Rischio nucleare
L’utilizzo dell’energia nucleare per produrre energia elettrica comporta dei vantaggi e
dei rischi.
Tra i primi possiamo citare:
• disponibilità della materia prima (soprattutto nel caso della fusione)
• elevata resa per unità di materiale utilizzato (la fusione di1kg di U235 produce circa
23 Gwh di energia; la fusione di 1 kg della miscela deuterio-trizio sviluppa circa 100
Gwh)
• nessuna emissione di gas a effetto serra
• nessuna emissione di gas responsabili delle piogge acide
• nessuna emissione di particolato
I rischi possono essere raggruppati in due grosse categorie:
• rischi termici
• e rischi delle scorie.
I rischi termici sono tutti quei problemi che possono sorgere per il superamento
eccessivo della potenza progettata del reattore. Una potenza troppo alta sottopone a
sollecitazioni eccessive i materiali di cui è costruito il reattore e può provocare perfino la
fuoriuscita di materiale ad alta radioattività (come nel famoso incidente di Chernobyl del
1986).
Le scorie sono costituite sia da nuclidi prodotti dalla fissione sia da materiali presenti
nel combustibile che per reazione con i neutroni nel nocciolo si sono trasformati in nuclidi
radioattivi. Di solito le scorie vengono separate in base alla loro radioattività, cioè in base
alla durata media del loro periodo di "raffreddamento", e poi vengono riposte in depositi a
"raffreddare".
Le varie tappe di approvvigionamento e smaltimento del combustibile formano un ciclo
chiuso: l'uranio radioattivo naturale è estratto dal suolo e alla fine le scorie radioattive
prodotte dall'utilizzazione dell'energia nucleare sono restituite al suolo protette da numerose
barriere.
Solitamente il materiale fissile viene sfruttato in un reattore per 3 o 4 anni. Durante
questo periodo di tempo la quantità di nuclei di uranio-235 diminuisce a causa delle reazioni
di fissioni producendo un impoverimento del combustibile. Contemporaneamente si formano
prodotti di fissione (una parte dei quali
radioattivi) e plutonio-239.
Lo smaltimento di tutti questi prodotti,
detti
comunemente
scorie
radioattive,
avviene in due modi:
•
trattamento delle scorie per il recupero
di uranio e plutonio
•
immagazzinamento definitivo delle scorie
come rifiuti.
Prima di essere immesse in un deposito
geologico in profondità, tutte le categorie di
scorie radioattive devono essere imballate (o
condizionate, in gergo tecnico). Gli elementi
di combustibile esauriti sono trattati in
impianti di ritrattamento: attraverso un
processo chimico, le sostanze riutilizzabili,
Ciclo del combustibile
come il plutonio e l'uranio, sono recuperate
dagli elementi di combustibile esauriti, per
poter poi essere riciclate in nuovi elementi. Le sostanze residue altamente radioattive
vengono vetrificate. Le scorie mediamente radioattive a lunga durata e quelle debolmente e
mediamente radioattive sono solidificate con il cemento. Per limitare al massimo l’eventuale
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contatto con l’acqua le scorie vengono poi rinchiuse ermeticamente in fusti d’acciaio e
seppellite, a profondità opportune, in formazioni geologiche particolarmente stabili.
L
a
F
i
n
l
deposito per scorie radioattive in Finlandia
a
La Finlandia è stata il primo Paese del mondo a decidere la costruzione di un deposito finale
per scorie radioattive. Anche in Finlandia i comuni hanno litigato a lungo sull'ubicazione
definitiva. A differenza del resto del mondo, però, non perché nessuno voleva i rifiuti, ma
perché all'inizio si erano candidati quattro comuni. Intanto si sta realizzando una nuova
centrale nucleare, dopo il via libera della commissione europea, nell’isola di Olkiluoto. In
questo sito si trovano altre due centrali (Olkiluoto 1 e Olkiluoto 2). . Si tratta di un reattore
ad acqua in pressione di nuovo tipo che viene costruito da un consorzio francese ed è il più
ambizioso progetto nella storia finlandese. Con una potenza prevista di 1600 Megawatt sarà
la centrale nucleare più potente al mondo. L’impianto dovrà entrare in funzione nel 2009.
La nuova centrale è destinata a soddisfare la richiesta supplementare di elettricità della
Finlandia e a sostituire i vecchi stabilimenti alimentati a combustibile fossile, La costruzione
del nuovo reattore nucleare Olkiluoto 3 potrebbe avere ripercussioni anche in altri pesi
europei. La supercentrale potrebbe fornire elettricità all’estero, ma soprattutto stimolare il
potenziamento e la ripresa dell’energia nucleare in altri paesi, nonché dare il via alla
costruzione di nuovi reattori.
Centrali nucleari nel mondo.
Nel mondo, ad agosto 2007, sono in funzione 439 centrali nucleari per un totale di 372.002
Mwelettrici;alla stessa data sono in costruzione altri 34 impianti per una potenza di 27.838
Mwh el, mentre è stata pianificata la costruzione di altri 81 reattori per altri 89.175 Mwhel.
A livello mondiale la produzione di energia elettrica col nucleare è superiore al 16%, ma
molti Paesi soddisfano tramite il nucleare gran parte del proprio fabbisogno interno:
• Francia: 78% fabbisogno energetico interno
• Paesi dell'Europa dell'Est: 40-50%
• USA: 19%
L'Europa soddisfa mediamente il 35% del proprio fabbisogno energetico interno
mediante l'uso di centrali nucleari, anche se nel dato medio pesa fortemente la politica
energetica francese. Il caso della Francia è unico al mondo, ben il 78% dei consumi
energetici francesi sono soddisfatti mediante reattori nucleari. Nelle figure sottostanti sono
riportati i siti dove si trovano le centrali nucleari; compaiono anche le centrali italiane che,
tuttavia non sono attive.
IL NUCLEARE IN ITALIA
L'Italia possedeva quattro centrali nucleari situate a:Corso, Garigliano, Latina, Trino
Vercellese. Dopo l’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986 ed in seguito al referendum
popolare dell’autunno 1987, il governo italiano imponeva:
•
una moratoria di cinque anni per la costruzione di nuovi impianti nucleari;
•
la sospensione della costruzione delle nuove centrali di Trino Vercellese 2 e della
centrale Alto Lazio (Montalto di Castro),
•
la chiusura della centrale di Latina
•
e la sospensione dell’esercizio delle centrali di Trino Vercellese 1 e Caorso, la cui
chiusura definitiva fu deliberata dal CIPE il 26 luglio 1990.
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