Elettrostatica - Daniele Gasparri

Elettrostatica
di Daniele Gasparri
Indice:
-
Legge di Coulomb
Sistema di cariche puntiformi
Distribuzioni continue di cariche
Il campo elettrico
Flusso del campo elettrico e legge di Gauss
Potenziale elettrico
Campo e potenziale per distribuzioni continue di cariche
Calcolo del campo elettrico
Campo elettrico per alcune distribuzioni tipiche di cariche
Energia immagazzinata nel campo elettrico
Energia di una particella in un campo elettrostatico
Equazioni dell’elettrostatica
La capacità
Campo elettrico nella materia (microscopicamente)
Il dipolo elettrico
Momento torcente di un dipolo
Molecole polari e non polari
Campo elettrico nella materia (macroscopicamente)
Equazioni dell’elettrostatica con i dielettrici
I 3 vettori elettrostatici
Corrente elettrica continua
Legge di Ohm
Legge di Ohm generalizzata
Correnti stazionarie e conservazione della carica
Altre leggi sperimentali ed elementi circuitali (cenni)
Modello semplice di conduzione elettrica nei metalli
Limiti di validità della legge di Ohm
Sommario
2
5
7
10
12
16
19
20
22
30
31
32
34
39
42
44
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50
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58
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68
69
Cariche elettriche e legge di Coulomb
Esperimenti condotti su diversi materiali, alcuni dei quali se strofinati a dei panni acquistano la
capacità di attirare altri oggetti, posero le basi per lo sviluppo della teoria elettrostatica, cioè dello
studio dei fenomeni elettrici costanti nel tempo (almeno su un certo intervallo). Analogamente agli
esperimenti di Galilei e Newton sul moto di oggetti in un campo gravitazionale, che sfociarono
nella teoria delle gravitazione universale, un percorso simile fu intrapreso per i fenomeni
elettrostatici, compresi i risultati ottenuti.
La materia, in base al comportamento che assumeva negli esperimenti, fu divisa in due grandi
famiglie:
- i Conduttori: sono materiali per lo più metallici che hanno la proprietà di perdere la capacità
di attrarre altri oggetti se vengono toccati e la acquistano semplicemente ponendo un metallo
carico nelle loro vicinanze. Se definiamo una nuova quantità, detta carica, che riassume in
qualche modo la capacità di un oggetto di attirarne altri, possiamo notare come nei
conduttori questa proprietà riesca a muoversi piuttosto liberamente: nei conduttori la carica è
libera.
- Gli Isolanti: sono oggetti non metallici molto comuni, come plastica e vetro; contrariamente
ai metalli, strofinando un tale oggetto contro un panno di lana, e quindi caricandolo, si
osserva che la carica resta concentrata sull’oggetto anche se lo si tocca con altri; negli
isolanti la carica (o meglio, l’eccesso di carica in questi casi) non è libera di muoversi.
Gli esperimenti che manifestano il comportamento di tali oggetti e la divisione in queste due grandi
famiglie, sono chiamati esperimenti di elettrizzazione, perché quello che succede a livello
macroscopico è che gli oggetti acquistano delle proprietà che prima non avevano, spiegabili a
livello microscopico come trasferimento di portatori di carica (elettroni) da una parte all’altra.
Siccome la materia a livello microscopico è composta fondamentalmente da elettroni e protoni, la
cui carica è bilanciata (almeno in prima approssimazione, in realtà ciò non è vero: tutti i fenomeni
di attrito sono infatti dovuti all’azione di cariche non del tutto compensate) dallo stesso numero di
protoni ed elettroni, la carica netta che si può sentire ad una distanza molto maggiore della distanza
media tra le particelle è praticamente zero. Quando elettrizziamo un oggetto come una bacchetta di
vetro o plastica, strofinandola ad un panno di lana, quello che facciamo è togliere o trasferire
elettroni alla bacchetta attraverso l’azione di strofinio. A questo punto la carica totale non è più
bilanciata e gli effetti si fanno sentire: la bacchetta attira sia isolanti (pezzettini di carta) sia
conduttori, anche se il processo che avviene è molto diverso. Nei conduttori, nei quali la carica si
muove liberamente (in realtà sono solo gli elettroni e non i protoni a muoversi), avvicinando una
bacchetta caricata positivamente avremo una migrazione di elettroni (carichi negativamente) nella
zona più vicina alla bacchetta; siccome la carica positiva attrae quella negativa, il risultato netto
(macroscopico) è l’attrazione dei due oggetti. Negli isolanti non abbiamo questa migrazione ed essi
vengono attirati perché l’influenza della carica positiva della vicina bacchetta, deforma gli atomi del
reticolo; in particolare attrae gli elettroni e respinge i protoni, con il risultato netto dell’attrazione
(vedremo meglio in seguito).
La carica quindi è una proprietà della materia, identificabile a livello microscopico con le proprietà
di protoni ed elettroni; un suo eccesso produce a livello macroscopico una forza attrattiva o
repulsiva tra due o più oggetti, la quale è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Siamo arrivati alla legge di Coulomb: Supponiamo di prendere due cariche puntiformi (ad esempio
due elettroni o due protoni) e di studiare la forza esercitata tra di loro. Lo stesso Coulomb, dopo
q1 q 2
molti esperimenti riuscì a dare l’andamento della forza: F21 = k 2 r ; la forza esercitata tra due
r12
cariche puntiformi (in particolare la forza che la carica 2 esercita sulla carica 1 ) è un vettore, la cui
2
direzione è data dal vettore unitario (versore) r che congiunge la prima carica con la seconda.
Trattandosi di una relazione vettoriale, dobbiamo stare attenti;
q1 q 2
- il modulo della forza è dato da F = k
, mentre
2
r
-
la direzione è data dal versore r ed è quindi congiungente le due cariche
Il verso è dato dal segno delle cariche, prendendo per convenzione il segno + per le cariche
positive (protoni) e il segno – per quelle negative (elettroni).
Ad esempio, due cariche uguali ma una positiva ( + ) e una negativa ( - ) produrranno una forza
attrattiva (segno negativo e verso dalla carica 1 alla 2 ), mentre se di segno concorde, produrranno
una forza repulsiva (di segno positivo e verso dalla carica 1 uscente in direzione opposta alla carica
2 ), (in modo del tutto simile alla gravitazione; le forze attrattive sono considerate negative, quelle
repulsive positive). La formula contiene, oltre alla distanza, anche la carica, accennata fino ad ora
solo in modo qualitativo.
Possiamo definire meglio questa proprietà della materia secondo due diverse definizioni (totalmente
arbitrarie)
1) la carica è la quarta grandezza fondamentale della natura (oltre alla lunghezza, alla massa e
al tempo) e per la quale possiamo definire un’unità di misura arbitraria. Questo riguarda il
sistema internazionale di misura ( SI ) e possiamo definire l’unità di misura della carica il
− 19
Coulomb, tale che l’elettrone ha carica : qe = 1.602 ⋅ 10 C e quindi:
1C =
qe
1.602 ⋅ 10
− 19
= 6.242 ⋅ 1018 e − . Detto questo, possiamo ricavare le unità di misura per la
 Fr 2 
3 −2
costante k: [ k ] =  2  = ML Q ; da misurazioni effettuate, si è trovato:
q


9
2
k = 8.988 ⋅ 10 Nm / C 2 = 10 − 7 c 2 (dove C sta per Coulomb, e c per la velocità della luce;
vedremo che la relazione k = 10 − 7 c 2 non è un caso e porta ad importantissime conseguenze).
Questa costante può essere scritta anche in un altro modo, collegandola a proprietà fisiche
1
della materia: k =
, dove ε 0 è detta costante dielettrica del vuoto:
4π ε 0
[
]
ε 0 = 8.854 ⋅ 10 − 12 C 2 / Nm 2 ; la legge di Coulomb, nel sistema internazionale (SI), che
ricordiamo, rappresenta l’andamento della forza per due cariche puntiformi, è data da:
qq
1 q1 q 2
F21 = k 1 22 r =
r (per la terza legge di Newton ricorda che vale: F = − F )
21
12
4π ε 0 r12 2
r12
2) Nel sistema cgs (centimetro, grammo, secondo) si considera la carica come una grandezza
derivata; si pone la costante k = 1 e dalla misura della forza esercitata si ricava il valore
q1 q 2
r ⇒ q = F 1 / 2 r = ues o Franklin (ues sta per unità elettrostatica).
della carica: F21 = −
2
r12
Questi due metodi di procedere sono entrambi esatti, anche se profondamente diversi; nelle pagine
che seguono ci riferiremo sempre al sistema internazionale ( SI ) con solamente qualche cenno al
sistema cgs.
Andiamo ora ad esaminare quanto è forte questa forza; sappiamo infatti calcolarla, abbiamo definito
anche l’unità di misura, il Coulomb, ma non siamo in grado di dire se la forza è forte o no (non
abbiamo metodi di paragone, allora creiamoli!): prendiamo 2 particelle atomiche, come un protone
ed un elettrone e paragoniamo l’attrazione elettrostatica a quella gravitazionale (che coinvolge ogni
me m p
q q
corpo dotato di massa): Fe = k e 2 p , FG = G 2
e quindi:
r
r
[
]
3
Fe ke 2 r 2 k e 2
=
=
≈ 2.26 ⋅ 10 39 !!! La forza elettrostatica tra due particelle atomiche è 10 39
2
FG
G me m p
r
volte maggiore di quella gravitazionale!! A livello macroscopico, (nella vita di tutti i giorni) la
materia è neutra e quindi la forza di gravità prevale su quella elettrostatica; in ambienti astrofisici,
caratterizzati da plasmi, la materia non è più neutra e gli effetti elettrostatici diventano molto
importanti (ad esempio emissione di Bremstrahlung); inoltre, la forza elettrostatica può essere sia
attrattiva che repulsiva e questo permette di poter schermare una certa carica circondandola da
cariche di segno opposto (sfera di Debye).
Nonostante questa differenza d’intensità, le due forze sono molto simili; entrambe sono forze
1
centrali e vanno come 2 ; entrambe dipendono da particolari proprietà della materia (massa per la
r
gravitazione e carica per l’elettrostatica), ma le differenze sono comunque evidenti e degne di nota:
- la forza di gravità è sempre attrattiva; contrariamente alla forza elettrostatica il cui verso è
dato dal segno delle cariche, in natura non esistono masse “negative” e quindi il verso della
forza non può cambiare.
- Sappiamo che la massa inerziale è uguale (in valore) alla massa gravitazionale, mentre nulla
di tutto questo succede per le cariche elettriche. Nel caso della gravitazione, il moto di un
satellite attorno ad un pianeta non dipende dalla sua massa, mentre analizzando un semplice
modello atomico (atomo di Bohr) non troviamo lo stesso andamento per le cariche
elettriche. Per un satellite in orbita attorno alla Terra, applicando la legge di gravitazione
universale e la seconda legge di Newton (consideriamo solo i moduli dei vettori), si ha:
2
.
m M m v
GM
e la sua velocità non dipende dalla sua
F = m v = G sat2 = sat sat ⇒ v sat =
r
r
r
massa; per un atomo di Bohr in cui l’elettrone orbita attorno ad un protone, si ha invece:
.
qq
mv 2
e2
F = mv = k 1 22 =
⇒ v=
; la velocità orbitale dipende dalla massa
r
4π ε 0 me r
r
⇒
4
Sistemi di cariche puntiformi
Il caso di più cariche puntiformi disposte nello spazio è la normale evoluzione del nostro processo
di conoscenza dei fenomeni elettrostatici; quando ho più di due cariche, la legge di Coulomb
continua naturalmente a valere e per essa vale il principio di sovrapposizione: la forza che sente una
carica dovuta alla presenza di altre è la somma vettoriale delle forze prodotte dalle singole cariche e
si calcola considerando una particella alla volta, trascurando le altre. E’ estremamente importante
ricordare che la forza è una grandezza vettoriale e come tale deve essere considerata nella somma.
Geometricamente quindi, la forza risultante è abbastanza semplice da calcolare; per un sistema di
tre cariche equidistanti si ha:
Il metodo quantitativo per trovare l’intensità risultante è quello di scomporre in componenti le
singole forze e lavorare su di loro (le quali si possono semplicemente sommare!).
Esiste un altro approccio per descrivere un sistema di cariche puntiformi (in quiete); nonostante
attraverso la legge di Coulomb e il principio di sovrapposizione si riesca a dare una descrizione
completa del sistema, il metodo non è molto pratico perché bisogna lavorare con grandezze
vettoriali; l’approccio energetico invece, tramite la descrizione del lavoro eseguito da un agente
esterno, è molto più semplice perché abbiamo a che fare con quantità scalari.
Analogamente per quanto accade per un sistema gravitazionale, un sistema di cariche è
contraddistinto da una certa energia elettrostatica (analogo dell’energia potenziale gravitazionale).
Qualitativamente la presenza di questa energia si spiega con il fatto che un sistema di cariche, per
1
essere costruito richiede energia; la forza Coulombiana, che va come 2 , si annulla solo all’infinito
r
e quindi per mettere insieme un sistema di cariche devo fare lavoro (o subire lavoro) sul sistema; il
fatto importante da capire è che la presenza di una configurazione stabile di cariche richiede
continuamente energia, in modo da bilanciare perfettamente le forze coulombiane in gioco ed
evitare al sistema di collassate e/o disperdersi.
Per trovare questa energia, consideriamo proprio il lavoro (cioè la forza moltiplicata per lo
spostamento che il corpo compie in direzione parallela alla forza applicata) compiuto per costruire
un sistema di n cariche; questo lavoro (che altri non è che energia) si ritroverà nel sistema di cariche
composto, in quanto l’energia si conserva (a meno di processi dissipativi che non consideriamo).
Per esempio, consideriamo un sistema di 10 cariche tutte dello stesso segno; per costruire e tenere
unito un tale sistema, devo compiere del lavoro, cioè spendere energia; infatti tali cariche si
respingono e non c’è verso di farle avvicinare da sole. Potrei allora costruire una specie di cintura
regolabile, con attaccate le mie cariche e per avvicinarle le une alle altre devo stringere la cintura,
cioè compiere lavoro. L’energia che ho speso per costruire tale sistema non sparisce, ma si
trasferisce nel sistema stesso sottoforma di energia potenziale, o in questo caso elettrostatica; infatti
se taglio la cintura che tiene unite le cariche, la loro energia elettrostatica si libera e le fa allontanare
5
velocemente le une dalle altre (essa si trasforma in energia cinetica, forse la forma di energia più
“concreta” da capire).
Con cariche di segni diversi poste a distanze diverse, il discorso non cambia; per costruire il sistema
devo sempre compiere lavoro.
Considero una carica isolata q1, posta all’origine del mio sistema di riferimento cartesiano;
considero ora una carica q2 posta a grande distanza da q1 e la porto ad una distanza r dalla prima
carica; siccome devo vincere la forza coulombiana (attrattiva o repulsiva) devo compiere lavoro:
W =
r12
∫ F ⋅ dr = ∫ k
∞
q1 q 2
(− d r )
r122
(dr ha segno negativo perché è contrario alla direzione assunta positiva per il vettore r12 ; posso
chiaramente invertire il sistema di riferimento e cambiare segno a dr; l’importante è ricordare e
capire che r12 e dr hanno segni discordi, qualunque riferimento si prenda); integrando, troviamo:
r
12
qq
 1
W = kq1 q 2   = k 1 2 . Il lavoro (uno scalare) dipende dal segno del vettore F espresso
r12
 r ∞
mediante il segno delle cariche. Consideriamo ora una terza particella ( q3 ), e la portiamo
dall’infinito ad una distanza r13 ; siccome il mio sistema conta già due cariche, devo considerare il
lavoro dovuto alla presenza di entrambe, che posso considerare in due distinti contributi ( W13 ,W23 )
completamente indipendenti l’uno dall’altro e trovare il lavoro finale:
qq
q q
W3 = W13 + W23 = k 1 3 + k 2 3 . Posso ora definire l’energia potenziale del mio sistema: essa è il
r13
r23
lavoro totale che l’agente esterno deve compiere per assemblare un tale sistema di particelle;
l’energia potenziale è definita a meno di una costante; in questo caso è utile considerare l’energia
q1 q 3
q q
qq
+ k 1 2 + k 2 3 ; per un sistema
potenziale nulla a distanza infinita e trovare: U = k
r13
r12
r23
N N
qi q j
1
composto da n particelle si ha: U = ∑ ∑ k
dove il fattore ½ è stato introdotto perché ogni
2 i = 1 j ≠ i rij
coppia con questa doppia sommatoria si conta due volte.
Quindi, possiamo concludere con alcune importanti considerazioni:
- se l’agente esterno compie lavoro positivo nel collocare le cariche, significa che il verso
della forza F è positivo e quindi essa è repulsiva; l’agente esterno spende energia per
raggruppare particelle che altrimenti si allontanerebbero le une dalle altre e l’energia
potenziale è positiva (il sistema non è legato, ma tende a disperdersi)
- se l’agente compie lavoro negativo, significa che la forza F è attrattiva e che per comporre il
sistema l’agente deve fare in modo di tenere separate le cariche che tendono ad unirsi e
l’energia potenziale risulta negativa (il sistema è legato e tende a restare unito).
6
Distribuzioni continue di cariche
Fino ad ora abbiamo visto solo casi in cui le cariche venivano considerate puntiformi; questa è
chiaramente un’astrazione e nella realtà non esistono cariche puntiformi. Sebbene particelle
elementari come gli elettroni possono effettivamente essere considerate con successo cariche
puntiformi perché moto più piccole delle dimensioni scala di ogni problema, non sempre questo è
possibile, soprattutto nell’analisi di sistemi macroscopici. Un disco di ferro carico non può essere
considerato puntiforme, così come una bacchetta carica o qualsiasi oggetto della vita di tutti i
giorni. La legge di Coulomb non si applica a questi oggetti e d’altra parte è ciò può essere
giustificato; consideriamo ad esempio un sottile disco uniformemente carico e poniamo una carica
esplorativa unitaria nelle zone ad esso adiacenti per misurare la forza che essa sente. Il suo
andamento e la sua intensità non sono più date dalla relazione di Coulomb; ad esempio la forza
lungo un bordo è minore di quella sull’asse del disco alla stessa distanza da esso; e al centro del
disco cosa sento? Ho carica elettrica in tutte le direzioni della sua superficie, quale sarà la forza
netta?
Per studiare il caso di tali corpi continui, possiamo semplicemente suddividerli in tante piccole celle
abbastanza piccole da poter essere trattate come sorgenti puntiformi, per le quali vale la legge di
Coulomb e poi sommare i contributi di tutte le n cellette per ottenere l’andamento globale della
forza, supposta come formata da n contributi coulombiani infinitesimi. Possiamo considerare che la
carica su questi corpi estesi sia sparpagliata in modo uniforme e che ci troviamo di fronte ad una
disposizione continua.
Il metodo da seguire è semplice; considero un corpo di carica globale q, e lo suddivido in celle
infinitesime di carica dq. Se l’elemento ha un volume infinitesimo dv e una densità di carica
costante ρ allora la carica del volumetto infinitesimo sarà data da: dq = ρ dV . Analogamente se
stiamo parlando di un disco, avremo, invece di un volume, una superficie infinitesima dA e una
densità di carica superficiale σ tale che: dq = σ dA ; se l’elemento si considera ad una sola
dimensione (ad esempio un filo lungo) allora si parlerà di lunghezza infinitesima dx e densità
lineare di carica λ tale che: dq = λ dx . Supponiamo di essere in quest’ultimo caso; un filo lungo e
rettilineo di carica q globale; esso viene scomposto in pezzettini infinitesimi di carica dq = λ dx ; se
la carica è distribuita uniformemente, allora la densità lineare sarà costante: λ = const e la carica
totale è data semplicemente da: q = λ ∫ dx = λ L ; analogamente lo stesso ragionamento si ha per
L
carica distribuita su una superficie e su un volume. L’elemento di carica dq possiamo trattarlo come
puntiforme, per il quale vale quindi la legge di coulomb e possiamo trovare la forza esercitata da
tale elemento su una carica puntiforme generica esplorativa q 0 (ricorda infatti che la relazione di
Coulomb da la forza esercitata da una carica su un’altra e quindi devo sempre avere almeno due
cariche, altrimenti non misuro alcuna forza; vedremo più avanti che per evitare la dipendenza da
un’altra carica e per far assumere un carattere del tutto generale alle proprietà elettrostatiche delle
cariche, introdurremo il concetto di campo elettrico). Il modulo della forza elementare sarà data da:
1 dq q 0
dF =
e la direzione e il verso sono dati da considerazioni sulle posizioni reciproche
4π ε 0 r 2
delle due cariche e dal loro segno e trovare il vettore forza infinitesima ( dF ). Integrando, cioè
sommando il contributo di tutte le singole dF su tutti gli elementi dq , trovo la forza totale
esercitata dal corpo su una carica puntiforme di prova q 0 : F = ∫ dF ; essendo un vettore, dobbiamo
 Fx =


lavorare sulle singole componenti:  Fy =

 Fz =
∫ dF
∫ dF
∫ dF
x
y
; purtroppo il procedimento, oltre ad essere lungo,
z
7
non sempre si può attuare, perché la risoluzione degli integrali non sempre è fattibile, perché
dipende in ultima analisi dalla forma della superficie (o volume o lunghezza) del corpo in esame,
che può essere qualunque. Con opportune configurazioni e considerazioni di simmetria possiamo
ottenere comunque dei risultati interessanti:
• filo sottile di lunghezza L:
Il filo ha lunghezza L e densità di carica lineare λ ; la carica di prova q 0 sulla quale dobbiamo
calcolare la forza è posta sull’asse y (normale alla bacchetta e nella sua posizione media).
Procediamo come abbiamo accennato in precedenza; dopo aver scelto il sistema di riferimento,
scomponiamo la bacchetta in piccoli tratti di lunghezza dz dotati di carica elementare dq, tali da
potersi considerare puntiformi e poter applicare per ognuno di essi la legge di Coulomb. La
densità di carica è supposta costante e quindi per un pezzettino elementare di bacchetta si ha:
1 q 0 dq
dq = λ dz , e la forza (il modulo) che la carica q 0 sente dovuta a dq è: dF =
; è chiaro
4π ε 0 r 2
che dobbiamo trovare anche la direzione e il verso del vettore dF ; nella figura sono mostrate le
due componenti dFz e dFy mentre non abbiamo alcuna componente x. Prima di procedere nel
nostro procedimento è bene analizzare la geometria del sistema per vedere se si possono fare
delle semplificazioni. Infatti a questo punto dovremmo scomporre il vettore dF nelle due
componenti e per ognuna di esse dobbiamo calcolare il modulo su tutta la bacchetta
(integrando). Se facciamo però il procedimento mentale di scomporre la bacchetta in tanti
pezzetti dq possiamo notare che esiste una simmetria rispetto all’asse y. Tutti i pezzetti dq che
si trovano su z positivi hanno la componente dFz orientata verso il basso, mentre tutti i pezzetti
a z negativi hanno componenti dFz orientati verso l’alto; siccome l’asse y si trova esattamente
nel punto medio della bacchetta, risulta evidente che ogni componente dFz si elimina con la
componente − dFz . L’unica componente della forza è solamente sull’asse y: dFy ; limitiamoci a
1 q 0 dq
cos θ . Da
calcolare quest’ultima: La componente è data da: dFy = dF cos θ =
4π ε 0 r 2
y
semplici considerazioni geometriche: r 2 = y 2 + z , cos θ =
e ricordando che dq = λ dz si ha:
r
1 q 0 λ dz
y
dFy =
; ora dobbiamo sommare su tutti i tratti dz :
2
2
4π ε 0 y + z
y2 + z2
8
Fy =
∫
+ L/2
1
dz
dFy =
q0 λ y ∫
2
2 3 / 2 ; questo integrale è facile da risolvere e il risultato è:
4π ε 0
− L/2 (y + z )
q0 q
1
; questa è la forza che la carica q 0 sente nel punto in cui si trova, e il
2
4π ε 0 y y + L2 / 4
suo andamento è molto diverso a quello della legge di Coulomb per cariche puntiformi!
Possiamo però scoprire con sorpresa che se ci allontaniamo dalla bacchetta, ad una distanza
1 q0 q
y > > L la formula si approssima a: Fy ≈
che è proprio la legge di Coulomb!
4π ε 0 y 2
Fy =
Per altri oggetti si procede allo stesso modo della barretta appena vista; la difficoltà di questo
metodo è quella di risolvere l’integrale; questo può essere fatto in pratica solo per oggetti la cui
forma sia descrivibile da relazioni matematiche semplici ed esatte, altrimenti non è possibile
risolvere esattamente l’integrale e ci si deve accontentare di metodi analitici e/o approssimati.
Vedremo il caso di altri oggetti particolari dopo aver introdotto la nozione di campo elettrico e la
legge di Gauss.
9
Campo elettrico
Abbiamo visto, attraverso la legge di Coulomb, come una carica riesca a far sentire la sua presenza
su di un altro oggetto carico qualsiasi; la forza esercitata dipende sia da chi la produce che da chi la
sente e la sua intensità varia a seconda di chi la sente. Ai fini pratici, è utile descrivere in qualche
modo la proprietà che una carica ha di modificare lo spazio e far sentire la sua presenza sugli
oggetti, a prescindere dall’oggetto che la sente; questa proprietà, che prescinde dagli oggetti su cui
agisce la forza di Coulomb, è chiamata campo elettrico. Il campo elettrico è una regione di spazio in
dF
ogni punto del quale è definito un vettore campo elettrico nel seguente modo: E =
; il campo
dq
elettrico è cioè la derivata della forza rispetto alla carica che la sente; esso, per una carica
1 q
r . Come possiamo vedere l’espressione è uguale
puntiforme è quindi definito come: E =
4π ε 0 r 2
alla forza di Coulomb, solamente che quest’ultima è definita per come agisce su un’altra carica,
mentre il campo elettrico è definito per una carica e ne descrive le sue proprietà.
Il campo elettrico è un vettore e per esso vale il principio di sovrapposizione: il campo generato da
qj
n cariche puntiformi è la somma algebrica dei singoli campi: E TOT = ∑ k 2 r j . Se la forza di
rij
j
Coulomb si calcola su una carica q che occupa una certa posizione, il campo elettrico si calcola per
un generico punto P la cui distanza dalla carica sia r . Esso è una proprietà dello spazio dovuta alla
presenza di cariche (puntiformi in questo caso) ed è caratterizzato dalle linee di forza, linee la cui
tangente in ogni punto ha la stessa direzione e verso del campo E .
Dato il legame tra campo e forza esercitata su una carica, dalla conoscenza del campo prodotto da
un corpo qualsiasi in ogni punto dello spazio, posso derivare facilmente la forza sentita da una
generica carica puntiforme: F = q ' E : indipendentemente da come è stato generato, conoscendo il
campo elettrico riesco a conoscere tutto di quella zona di spazio e quindi conosco tutto dello stato e
del comportamento di un generico sistema fisico.
Studiare i fenomeni elettrostatici significa infatti riuscire a definire completamente un sistema; esso
è completamente definito se in ogni punto possiamo conoscere il campo elettrico risultante e quindi
possiamo risalire alle forze in gioco tra le particelle.
Le linee di forza del campo elettrico esistono davvero e non sono sei semplici artifici fisicomatematici e si possono facilmente mettere in evidenza attraverso semplici esperienze:
10
Per descriverle completamente, sono richieste delle convenzioni, spiegate nella seguente figura:
-
Le linee di forza escono da cariche positive ed entrano nelle cariche negative
Le linee di forza non si incrociano mai
Il vettore campo elettrico è definito in ogni punto come la tangente alle linee di forza
La loro densità o meglio il numero di esse che attraversa una superficie a loro
perpendicolare è proporzionale all’intensità del campo elettrico generato.
Le linee di forza generate da una carica puntiforme isolata sono delle semirette che partono
dal suo centro e si propagano in direzione radiale e isotropa
Due cariche vicine, una positiva e una negativa, formano un dipolo elettrico e le linee di
forza sono rappresentate dalla figura b
Le figure c e d rappresentano casi più complessi di distribuzione continua di carica che
vedremo molto presto.
Le unità di misura del campo elettrico si derivano dalla relazione vettoriale: E =
[
dF
che da:
dq
]
 F
− 2 −1
SI : [ E ] =   = MLT Q = N / C
 q
 F  F 
- Cgs : [ E ] =   =  1 / 2  = Dyne / Franklin
 q   F r
La proprietà sottolineata in grassetto è molto importante e ci porta a definire una grandezza che ci
sarà molto utile soprattutto negli esercizi:
-
11
Il flusso del campo elettrico
Il numero delle linee di forza è proporzionale all’intensità del campo elettrico; se prendo delle
superfici fissate con la stessa orientazione rispetto al campo elettrico (perpendicolare ad esso)
questa condizione è verificata; ad un campo maggiore corrispondono più linee di forza che
attraversano la mia superficie. La misura di quante linee di forza entrano in una superficie
perpendicolare ad esse è quindi una misura che può fornirci informazioni dirette sull’intensità del
campo elettrico in quel punto.
Questa grandezza è nota con il nome di flusso e rappresenta in generale la quantità di materia che
ogni secondo fluisce attraverso una certa superficie arbitraria; l’orientazione della superficie è
fondamentale;
Se la superficie è parallela alle linee di forza non avrò flusso, mentre esso sarà massimo se essa è
perpendicolare alle linee di forza.
E’ facile vedere dalla figura che quando ho una superficie inclinata di un certo angolo, l’area che
realmente riesce ad intercettare le linee di forza è data dalla proiezione perpendicolare alle linee di
forza. Possiamo ora definire finalmente il flusso del campo elettrico in termini matematici,
considerando la quantità di materia che attraversa una generica superficie chiusa perpendicolare al
campo stesso: Φ E = ∫ E ⋅ nds , dove n è il versore che rappresenta la normale alla superficie, il cui
S
verso è sempre uscente da essa. La difficoltà del calcolo del flusso, se assumiamo il campo E
costante, è data dalla forma geometrica della superficie che considero; siccome la scelta della
superficie è totalmente arbitraria, dobbiamo fare in modo di trovarne di semplici, la cui area è facile
da calcolare.
Per capire meglio il concetto di flusso, vediamo alcuni esempi:
-
flusso del campo E dovuto ad una carica puntiforme attraverso una superficie chiusa che non
contiene la carica:
Il campo di una carica puntiforme positiva è il seguente:
12
Calcoliamo il flusso attraverso una superficie chiusa che non contiene la carica; scegliamo una
superficie semplice da descrivere e che porta a qualche semplificazione:
La superficie scelta è un tronco di cono, con due basi (a e b, colorate in azzurro) e la superficie
laterale (colorata in giallo). Per calcolare il flusso del campo elettrico attraverso questa superficie
chiusa, calcoliamolo per tutte le superfici aperte e poi facciamo semplicemente la somma algebrica.
- il flusso attraverso la faccia laterale è zero; infatti: Φ E = ∫ E ⋅ nds = ∫ E cos θ ds e cos θ = 0 ,
S
S
dove θ è l’angolo tra la normale alla superficie e il campo elettrico E (90° in questo caso)
il flusso attraverso la superficie a e b è diverso da zero, ma la somma è comunque zero; le
due superfici infatti crescono come r 2 mentre il campo elettrico decresce dello stesso
fattore r 2 (ricorda l’espressione del campo per una carica puntiforme) e quindi la somma
algebrica è zero. Matematicamente possiamo calcolare i flussi e vedere che essi sono uguali
e di segno opposto (il segno è dato dall’orientazione tra normale e il vettore campo elettrico
qπ ra2
qπ rb2
−
= 0
E): Φ a + Φ b = Ea − Eb =
4π ε 0 ra2 4π ε 0 rb2
Il flusso netto attraverso la superficie è zero; questo risultato non deve stupire, ma essere una
conferma; è chiaro guardando l’immagine che tante linee di forza entrano nella superficie quante ne
escono e quindi non c’è un flusso netto. Nonostante abbiamo preso una superficie non qualsiasi, il
risultato vale in generale (e a pensarci bene la cosa ha un senso!): il flusso attraverso qualsiasi
superficie chiusa che non contenga cariche (cioè sorgenti ( + ) o pozzi ( - ) di campo) è sempre
nullo. Non lo è se prendo una superficie non chiusa, come per le singole facce del tronco di cono
appena visto, ma quando la superficie è chiusa il flusso netto è sempre zero: tante linee di forza
entrano quante ne escono.
-
13
Se invece considero una superficie chiusa che contiene la mia carica, supposta in questo caso
puntiforme, le cose evidentemente cambiano: il flusso netto non può più essere nullo perché
all’interno della superficie ho una sorgente di campo elettrico.
Consideriamo quindi una carica puntiforme +q e una superficie chiusa qualsiasi che contorna la
carica ( S ) e vogliamo calcolare il flusso attraverso questa superficie:
Il flusso sarà dato da: Φ
E
=
∫ E ⋅ nds ; tuttavia abbiamo non pochi problemi nel risolvere questo
S
integrale; infatti:
- il campo elettrico non è costante lungo tutta la superficie e quindi dobbiamo trovare
un’espressione matematica che mi dice come esso varia con la distanza dal centro ( E (r ) )
- la superficie stessa non ha una forma regolare e, ammettendo (erroneamente) che il campo
fosse costante e si potesse portare fuori dall’integrale, esso sarebbe comunque irrisolvibile.
Dobbiamo trovare un trucco per poter calcolare il flusso attraverso superfici qualsiasi, altrimenti la
sua utilità è praticamente nulla ai fini della risoluzione dei problemi.
Con un po’ di astuzia, possiamo notare che il flusso netto sarebbe lo stesso se considero un’altra
superficie regolare, a mia scelta: in questo caso una superficie sferica interna ad S sarebbe ideale:
La superficie S’ è molto utile perché:
- essa ha simmetria sferica, e siccome il campo elettrico ha simmetria radiale, esso è costante
su ogni punto della circonferenza
14
-
Il campo è sempre perpendicolare alla superficie e quindi il prodotto scalare E ⋅ nds si riduce
ad un prodotto semplice Eds
L’integrale si risolve immediatamente e quindi il flusso attraverso tale superficie ( S’ ) è:
Φ E = ∫ E ⋅ nds = ∫ Eds = E ∫ ds = E 4π r 2 .
-
S'
S'
S'
Sappiamo che il flusso appena calcolato è uguale a quello della generica superficie S e quindi:
q
q
2
2
∫ ' E ⋅ nds = ∫S Eds = E ∫S ds = E 4π r = 4π ε 0 r 2 4π r = ε 0 ; abbiamo trovato un risultato
S
importantissimo: Il flusso del campo elettrico attraverso una qualsiasi superficie chiusa che
q
contiene una certa carica netta è dato da: Φ E = ∫ E ⋅ nds =
dove q è la carica netta contenuta
ε0
S'
nella superficie S’.
Questa è chiamata legge di Gauss ed è molto importante per trovare il (modulo del) campo elettrico
di oggetti che hanno una certa simmetria (se non c’è carica contenuta in S’ allora il flusso è zero) .
E’ chiaro infatti che la scelta della superficie sulla quale applicare la legge di Gauss è di
fondamentale importanza nella risoluzione dell’integrale e quindi nel calcolo del campo elettrico.
La legge ci permette di calcolare solamente il modulo del campo; indicazioni su direzione e verso
devono venire da considerazioni sulla geometria del sistema considerato.
La legge di Gauss è un risultato del tutto generale, più generale della stessa legge di Coulomb la
quale è valida soltanto per cariche puntiformi; in effetti applicando la legge di Gauss a tali cariche,
otteniamo proprio la legge di Coulomb: abbiamo appena visto che per una carica puntiforme il
flusso attraverso una superficie sferica è semplice da calcolare e ci da il campo alla distanza r dalla
q1
1 q1
2
⇒ E=
carica: Φ E = ∫ E ⋅ nds = E 4π r =
che è proprio il campo prodotto da una
ε0
4π ε 0 r 2
Sphere
carica puntiforme; siccome sappiamo che la forza (il modulo) è data da: F = q 2 E allora:
1 q1 q 2
F = q2 E =
che è proprio la legge di Coulomb!
4π ε 0 r 2
Considerando le relazioni tra la costante k e la costante dielettrica del vuoto ε 0 la legge di Gauss
può essere scritta considerando sia ε 0 che k:

 Φ

Φ

E
=
∫ E ⋅ nds =
S
E
=
∫
q
= 4π kq
ε0
E ⋅ nds = 0
rispettivamente per carica contenuta in S e non.
S
15
Potenziale elettrico:
Precedentemente, parlando di forza di Coulomb, abbiamo cominciato con due cariche puntiformi,
allargato il sistema a n cariche (principio di sovrapposizione) e da esso abbiamo calcolato anche
l’energia potenziale (elettrostatica) usando la definizione di lavoro. La forza elettrostatica è
conservativa e quindi abbiamo potuto definire un’energia potenziale.
dF
Il campo elettrico è molto simile alla forza elettrostatica (come già visto): E =
. Possiamo
dq
quindi affrontate lo stesso percorso intrapreso per la forza coulombiana con qualche variazione sui
significati fisici.
Considero una regione di spazio in cui è presente un campo elettrico causato da una carica
puntiforme e calcoliamoci il lavoro necessario per portare una carica unitaria di prova da un punto
generico ( a ) ad un altro punto generico ( b ), Il lavoro elementare che dobbiamo fare per spostare
di un tratto dl una carica sottoposta alla forza coulombiana F è dato da: dW = F ⋅ dl ma F = q E e
quindi: dW = q E ⋅ dl . Il lavoro dipende dalla carica immersa nel campo elettrico e da una quantità
fissa che dipende dalle proprietà dello spazio e non dal valore della carica che sposto di un tratto dl;
questa quantità, analogamente al campo che è una quantità generale ricavata dalla forza tra due
cariche, è una grandezza importante che descrive le proprietà dello spazio indipendentemente dalla
carica che uso per misurarle. A tale quantità, cambiata di segno, si da il nome di potenziale
elettrostatico (non è l’energia potenziale, ma il potenziale!): dϕ = − E ⋅ dl dove dl è un tratto
infinitesimo supposto lineare. Se ho un percorso generico tra posizioni 1 e 2 , il potenziale tra i due
2
punti è dato integrando: ϕ 2 − ϕ 1 = − ∫ E ⋅ dl ; il lavoro fatto sarà allora dato da: W = − q(ϕ 2 − ϕ 1 ) , da
1
W
: la differenza di potenziale tra due punti non è altro che il lavoro fatto per unità
q
di carica, cambiato di segno.
Si potrebbe obiettare che la risoluzione dell’integrale non è poi così immediata; infatti non abbiamo
fatto alcuna considerazione sul percorso eseguito dal punto 1 al punto 2; potrebbe essere una retta o
una curva strana e tortuosa la cui lunghezza complessiva sia ad esempio 10 volte maggiore del
percorso rettilineo. Come succede in dinamica per la forza gravitazionale, anche la forza
elettrostatica, in particolare il più generico campo elettrostatico, gode di un’importantissima
proprietà che abbiamo già accennato: essa è conservativa. Cosa significa che una forza o un campo
sono conservativi? Significa che il lavoro fatto per portare un qualsiasi corpo (carica nel nostro
caso) da un punto ad un altro dello spazio in cui si trova un campo (elettrico nel nostro caso) non
dipende dal percorso scelto, ma solamente dagli estremi. Questo significa che posso andare dal
punto 1 al punto 2 lungo una retta o lungo qualsiasi altra curva di diversa lunghezza complessiva,
ma avrò fatto sempre lo stesso lavoro!
Dimostriamo quanto detto, per il nostro caso del campo elettrico:
consideriamo una carica +q che produce un campo elettrico nello spazio circostante, e prendo una
carica di prova con la quale effettuare le mie misurazioni; tale carica la considero unitaria, così non
avrò nessuna dipendenza delle grandezze in gioco dall’oggetto che uso per fare le misurazioni; devo
spostare la mia carica da un punto generico ( a ) ad un altro ( b ) e voglio calcolare il lavoro
necessario attraverso due percorsi diversi, con gli stessi estremi:
1) Il primo percorso è il più semplice:
cui: ϕ 2 − ϕ 1 = −
16
Vado da a a b passando per il punto a’ attraverso un arco di circonferenza (di raggio r uguale
alla distanza tra la carica +q e il punto a e a’) e poi da a’ a b attraverso una retta parallela alle
linee di forza del campo. Calcoliamo quindi il lavoro complessivo (per unità di carica) da a a
b scomponendolo in questi due tratti. Vista l’uguaglianza tra lavoro e potenziale, possiamo
considerare direttamente un lavoro cambiato di segno (cioè il potenziale, che chiamiamo
lavoro in questo caso, anche se erroneamente, per dimostrare la conservatività):
b
b
 a'

W = − ∫ E ⋅ dl = −  ∫ E ⋅ dl + ∫ E ⋅ dl  , ma lungo il tratto di circonferenza, per ogni punto
a
a'
a

abbiamo E ⊥ dl ⇒ Waa ' = 0 ; il lavoro è dato solamente dal tratto rettilineo parallelo alle
b
q  1
q 1 1
q  1 1
=
linee di forza del campo: W = − ∫ E ⋅ dl =
 −
 =
 − 


4π ε 0  r  a ' 4π ε 0  rb ra '  4π ε 0  rb ra 
a'
b
2) scegliamo ora un percorso diverso: qualsiasi percorso si può scomporre in 2 componenti:
una parallela alle linee di campo e una perpendicolare; ad esempio un tale percorso:
I tratti di circonferenza sono tutti perpendicolari al campo elettrico e quindi il lavoro è nullo;
solamente i tratti paralleli alle linee di forza hanno contano, e per essi il lavoro non è nullo.; d’altra
parte è facile capire che la somma di n tratti lineari della figura, produce un percorso uguale al tratto
rettilineo a’b della precedente, e il lavoro è quindi lo stesso.
Abbiamo appena dimostrato che il lavoro che un agente esterno deve fare su una carica puntiforme
immersa in un campo elettrico non dipende dal percorso scelto ma solo dagli estremi: il campo
elettrico è conservativo e per esso possiamo definire una funzione chiamata potenziale che è il
lavoro compiuto da a a b cambiato di segno (praticamente quello che abbiamo considerato fino ad
ora, visto che abbiamo cambiato il segno al lavoro). Il potenziale è definito sempre a meno di una
costante; sarebbe infatti più appropriato parlare di differenza di potenziale (analogamente al
17
potenziale gravitazionale e all’energia potenziale i generale che è il potenziale generico moltiplicato
la carica o la massa a seconda dei casi elettrostatico o gravitazionale).
Il potenziale dovuto alla presenza di una carica puntiforme (che si calcola su come agisce su una
mia carica di prova unitaria) è dato semplicemente da:
2
2
q
dr
q
ϕ 2 − ϕ 1 = − ∫ E ⋅ dl = −
ϕ = k + const . Se tariamo la nostra costante
2 e in generale si ha:
∫
4π ε 0 1 r
r
1
come zero per il potenziale posto a distanza infinita, allora possiamo scrivere per una carica
q
puntiforme: ϕ = k con ϕ ∞ = 0 .
r
W
Dall’analisi dimensionale è facile ricavare le unità di misura del potenziale: siccome ϕ = −
q
allora:
W 
2 − 2 −1
- SI: ϕ =   = ML T Q = J / C = Volt (V )
 q
[
]
W 
Cgs: ϕ =   = erg / Franklik = Statvolt
 q
La relazione tra i due sistemi è: 1Statvolt = 300V .
Se consideriamo le espressioni del potenziale e del campo elettrico prodotto da una carica
q
q
puntiforme, vediamo che c’è un’importante relazione: E = k 2 e ϕ = k (con ϕ ∞ = 0 ); infatti è
r
r
∂ϕ
facile vedere che: E = −
; questa relazione è molto importante; supponiamo infatti di non
∂r
considerare un riferimento a simmetria sferica, ma un generale riferimento cartesiano ( x, y, z ); la
coordinata r si scomporrà nelle tre componenti x, y, z . Consideriamo solamente la componente X, e
scriviamo la differenza di potenziale per un incremento ∆ x :
− ∆ ϕ = − [ϕ ( x + ∆ x, y, z ) − ϕ ( x, y , z ) ] = W x∆ x (dalla definizione; la differenza di potenziale è il lavoro
∂ϕ
∆ x ; d’altra parte, il
cambiato di segno tra due punti), la quale può essere scritta come: W x∆ x = −
∂x
∂ϕ
∆ x e quindi:
lavoro tra x e x + ∆ x è dato da: W x∆ x = ∫ E ⋅ dl = E∆ x , e quindi si ha: E∆ x = −
∆x
∂x
∂ϕ
E= −
. Se ripetiamo lo stesso procedimento per le altre componenti ( y, z ) otteniamo la
∂x
relazione generale: E = − ∇ ϕ
Appare evidente anche in questo caso che conoscendo il potenziale, con tre semplici derivate sono
in grado di ricavare il campo elettrico. Siccome tutte le derivate si possono risolvere (al contrario
degli integrali), la conoscenza del potenziale è una via alternativa per il calcolo semplice ed esatto
del campo elettrico.
-
18
Distribuzioni continue di cariche
Il passo successivo, come è successo per la forza di Coulomb, è di estendere il discordo a
distribuzioni continue di cariche, che immaginiamo composte da tanti elementi infinitesimi di
carica, tali da poterli considerare puntiformi e applicare le nozioni appena viste per le cariche
puntiformi; in effetti il procedimento è lo stesso e i risultati ottenuti fino ad ora sono completamente
generalizzabili; l’unica difficoltà sorge quando è il momento di sommare tutti i contributi
infinitesimi attraverso l’operazione di integrazione. Proprio per la difficoltà di risolvere gli integrali,
il calcolo del campo e del potenziale non sempre è banale ( a volte impossibile!) e per questo
bisogna trovare vari “trucchi” sia matematici che fisico-geometrici per la risoluzione dei sistemi
continui.
I passi da seguire sono gli stessi visti in precedenza:
- considero il mio corpo esteso come composto da una distribuzione di carica continua
- suddivido il corpo in tanti pezzettini infinitesimi di carica elementare dq, tali da poterli considerare
sorgenti di cariche puntiformi
- a seconda della geometria del corpo, posso avere una, due o tre dimensioni e definire diverse
densità di carica:
1) densità di carica lineare ( λ ) quando un corpo può essere considerato ad una sola dimensione (ad
dq
esempio un filo rettilineo molto lungo e sottile); unità di misura C/m e per cui vale: λ =
dl
σ
2) densità superficiale di carica ( ) un corpo a due dimensioni, come ad esempio un disco molto
dq
sottile; unità di misura C / m 2 e per la quale si ha: σ =
ds
3) densità volumica di carica ( ρ ): un corpo qualsiasi a tre dimensioni; unità di misura C / m 3 e per
dq
la quale si ha: ρ =
dV
In generale, per un pezzetto di carica puntiforme, che assumiamo avere una densità di carica
1 dq
1 ρ dV
=
volumica ρ , il campo infinitesimo è dato da: dE =
; sommando tutti i
2
4π ε 0 r
4π ε 0 r 2
1
dq
1
ρ dV
=
contributi, il campo totale E è dato da: E =
quello che non conosciamo di
2
∫
∫
4π ε 0 V r
4π ε 0 V r 2
un corpo è la carica totale q che si ricava integrando (ad esempio per un corpo a tre dimensioni):
q = ∫ ρ dV ; questo è il problema dell’elettrostatica: la difficoltà a risolver questo integrale.
V
Le relazioni appena considerate inoltre, ci danno il modulo del campo elettrico, ma per dare questo
dato devono essere scomposte nelle tre componenti (x, y, z) e quindi l’integrale contiene in realtà 3
integrali sulle singole componenti!Infatti, il campo calcolato in un punto P di coordinate (x’, y’, z’)
dq
ρ ( x, y, z )dxdydz
r . Il calcolo del campo elettrico in un punto P
è dato da: E ( x' , y ' , z ' , ) = k ∫ 2 r = ∫
r2
V r
V
con questo metodo diretto non sembra molto vantaggioso, soprattutto per corpi in tre dimensioni.
Anche il calcolo del potenziale comporta tre integrazioni (se le dimensioni sono tre); infatti
procedendo allo stesso modo, scomponiamo il corpo in pezzi infinitesimi di carica dq i quali si
considerano cariche puntiformi, per le quali sappiamo calcolare il potenziale (quando non
specificato la parola potenziale significa differenza di potenziale calcolata prendendo ϕ ∞ = 0 ):
ρ ( x, y , z )dxdydz
dq
ρ dV
dϕ = k
= k
e integrando su tutto il corpo: ϕ = ∫
.
r
r
r
V
19
Calcolo del campo elettrico
Come abbiamo appena visto, la conoscenza del campo elettrico, che ci permette di descrivere
completamente un sistema elettrostatico, deve passare per forza attraverso integrali, siano essi tra
come nel caso del calcolo diretto o solamente uno se ricaviamo il potenziale.
Siccome la base dell’elettrostatica è proprio il calcolo del campo elettrico prodotto da vari corpi,
vale la pena soffermarsi sui metodi a disposizione per calcolarlo:
1) Metodo diretto: il metodo che abbiamo visto in precedenza parte dalla definizione del
campo elettrico come forza per unità di carica; siccome la relazione è vettoriale, dobbiamo
dq
ρ ( x, y , z )dxdydz
r
risolvere 3 integrali: E ( x' , y ' , z ' , ) = k ∫ 2 r = ∫
2
r
r
V
V
Il campo calcolato in un punto P( x1 , y1 , z1 ) di un generico corpo, il cui elemento (qualunque)
infinitesimo dq ha coordinate ( x 2 , y 2 , z 2 ) è dato da:

ρ ( x 2 , y 2 , z 2 )dx 2 dy 2 dz 2 ( x1 − x 2 )
 E x ( x1 , y1 , z1 ) = ∫
3/ 2

4π ε 0 ( x1 − x 2 ) 2 + ( y1 − y 2 ) 2 + ( z1 − z 2 ) 2

ρ ( x 2 , y 2 , z 2 )dx 2 dy 2 dz 2 ( y1 − y 2 )

 E y ( x1 , y1 , z1 ) = ∫
3/ 2
4π ε 0 ( x1 − x 2 ) 2 + ( y1 − y 2 ) 2 + ( z1 − z 2 ) 2


ρ ( x 2 , y 2 , z 2 )dx 2 dy 2 dz 2 ( z1 − z 2 )
 E z ( x1 , y1 , z1 ) = ∫
3/ 2

4π ε 0 ( x1 − x 2 ) 2 + ( y1 − y 2 ) 2 + ( z1 − z 2 ) 2
[
]
[
]
[
]
La risolubilità di questi tre integrali dipende criticamente dalla forma del corpo e dal sistema
di riferimento utilizzato e molto spesso non si può applicare (anche perché dove si può, c’è sempre
un procedimento alternativo molto più semplice!)
20
2) Potenziale elettrostatico: calcolando un solo integrale, dato dall’espressione del potenziale,
ρ ( x, y , z )dxdydz
ci ricaviamo il campo attraverso tre derivate; il potenziale è dato da: ϕ = ∫
r
V
dopodiché risaliamo al campo attraverso l’equazione precedentemente trovata: E = − ∇ ϕ .
Questo procedimento non semplifica molto l’integrale ma evita di calcolarne 3 e le
successive derivate parziali sulle coordinate sono molto più semplici da effettuare.
3) Legge di Gauss: scegliendo una superficie chiusa facile da calcolare e la cui forma possa
farci introdurre importanti considerazioni sulla simmetria del sistema (in modo da
semplificare il calcolo) e se ci limitiamo a dare direzione e verso del campo secondo altri
metodi (geometrici), possiamo facilmente calcolare il suo modulo usando la legge di Gauss,
la quale però prevede sempre un’integrazione, anche se questa volta su una superficie
arbitraria; sarà mia cura scegliere una superficie appropriata, semplice da calcolare. Per
cariche puntiformi, abbiamo visto che la legge di gauss ci dice che: Φ E = ∫ E ⋅ nds = 4π kq ; è
S
chiaro che essa vale anche per distribuzioni continue di cariche, a patto di scomporre
l’elemento in pezzetti infinitesimi dq = ρ dV (supponendo tre dimensioni) e integrando su
tutto il volume del corpo compreso nella superficie chiusa scelta (chiamata superficie
Gaussiana): Φ E = ∫ E ⋅ nds = 4π kq = 4π k ∫ ρ dV . E’ importante capire che q nel caso di
S
cariche puntiformi e q =
V
∫ ρ dV
V
rappresentano la carica totale contenuta nella superficie
gaussiana scelta e non la carica totale del corpo!
La forma appena vista è detta forma integrale della legge di Gauss; utilizzando il teorema
della divergenza, possiamo scrivere tale legge in forma puntuale, cioè valevole punto per
punto (relazione puntuale); il teorema della divergenza afferma che: ∫ E ⋅ nds = ∫ ∇ ⋅ EdV
S
V
cioè il flusso attraverso una superficie chiusa è uguale all’integrale sul volume contenuto
nella superficie chiusa della divergenza del campo elettrico. La legge di Gauss diventa
quindi: ∫ E ⋅ nds = ∫ ∇ ⋅ EdV = 4π k ∫ ρ dV e dalle proprietà degli integrali possiamo estrarre le
S
V
V
uguaglianze tra le funzioni integrande: ∇ ⋅ E = 4π kρ =
ρ
:
ε0
Siccome E = − ∇ ϕ allora sostituendo nella relazione puntuale appena trovata abbiamo una
nuova relazione puntuale: ∇ 2ϕ = − 4π kρ = Equazione di Poisson. Questa equazione ci dice
come una generica densità di carica ρ generi un potenziale e quindi un campo elettrico; nei
punti in cui tale densità è nulla, l’equazione si riduce alla forma di Laplace: ∇ 2ϕ = 0
21
Calcolo del campo elettrico per alcune distribuzioni di cariche:
Vediamo di analizzare alcuni esempi di corpi con densità di carica supposta continua, per i quali si
possono applicare i metodi del calcolo del campo elettrico appena esaminati.
1) Filo rettilineo indefinito; il caso è molto simile a quello già esaminato nel calcolo della forza
di Coulomb; il filo è sottile, tale da poter considerare una densità di carica lineare λ ; la sua
lunghezza questa volta non è definita (in realtà non serve; l’approssimazione che deve valere
è che la distanza alla quale calcolo il campo è molto minore della lunghezza del filo,
altrimenti ci si riduce al campo di una carica puntiforme, come visto in precedenza!) e al
posto della carica di prova, ora consideriamo un punto dello spazio P (o in alternativa una
carica unitaria posta nel punto P). Questo caso sembra semplice; ho una sola componente, la
geometrica non sembra proibitiva, possiamo calcolare direttamente il campo elettrico per il
punto P.
Il filo rettilineo non mi da alcuna componente lungo l’asse z, mentre il campo elettrico da
esso prodotto si sviluppa lungo il piano xy . considero un elemento dy di carica dq e il
campo infinitesimo che esso produce su un punto P arbitrario (ma fissato!); componendo
nelle due componenti x e y e ripetendo mentalmente il procedimento per ogni pezzettino dy,
supponendo che il punto P sia sulla retta perpendicolare al punto medio del filo, le
componenti dE y si annullano e ciò che resta è la sola componente dE x ⇒ E x .
Per il pezzetto infinitesimo dq = λ dy il campo nel punto P distante R si può considerare
1 dq
puntiforme; il suo modulo è: dE =
; considerando solo la componente x:
4π ε 0 R 2
1 λ dy
dE x = dE cos α =
cos α . Se integrassi ora questa equazione, non troverei alcun
4π ε 0 R 2
22
risultato; l’integrale è infatti sulla lunghezza del filo ( dy) ma non sappiamo quanto esso sia
lungo (per definizione: filo rettilineo indefinito) e non sappiamo neanche come variano le
altre grandezze con la distanza y (R ad esempio); dobbiamo trasformare la variabile
d’integrazione e sommare su qualche altra grandezza. L’unica grandezza che può farci
risolvere il problema è l’angolo infinitesimo dα . Se infatti supponiamo il filo indefinito,
allora l’angolo α varierà, dal punto P, tra -90° e +90°. Cerchiamo ora, attraverso relazioni
trigonometriche di cambiare quindi variabile d’integrazione e di rendere l’integrale facile da
risolvere:
r
- r = R cos α ⇒ R =
cos α
y
- tan α =
r
Rdα
dα r
=
- da y = r tan α differenziando trovo: dy cos α = Rdα ⇒ dy =
cos α
cos 2 α
1 λ dy
cos α si trova:
Sostituendo nella relazione dE x = dE cos α =
4π ε 0 R 2
dE x =
λ dy cos α
1 λ dα r cos 2 α cos α
1 λ
=
=
cos α dα ; questa equazione si può
2
2
2
4π ε 0
4π ε 0 r
4π ε 0 R
cos α r
integrare facilmente: E x =
E = Ex =
∫
dE x =
1 λ
4π ε 0 r
+π /2
∫ cosα dα
−π /2
=
λ
[ senα
4π ε 0 r
] +− ππ // 22
e quindi:
λ
.
2π ε 0 r
Calcoliamo ora il campo elettrico dello stesso oggetto utilizzando la legge di Gauss:
Consideriamo tutte le simmetrie possibili, cosa che abbiamo già fatto; ho solamente una
componente ( x ) del campo elettrico, ed esso è quindi perpendicolare al filo uscente da esso
(perché causato da cariche positive). Una superficie chiusa che ci consente di calcolare
facilmente il campo è quella per cui esso è costante su tutto il suo perimetro ( e quindi posso
portarlo fuori dall’integrale) le cui singole superfici siano perpendicolari e parallele al
campo (in modo da non dover considerare le componenti) e naturalmente la sua forma sia
facilmente descrivibile matematicamente oltre che a contenere almeno un po’ di carica del
filo (altrimenti il risultato non ha senso!). Esistono almeno due superfici che fanno al caso
nostro: un cubo (e in generale un parallelepipedo), e un cilindro.
Consideriamo proprio quest’ultimo; costruiamo un cilindro di altezza l attorno al filo di
lunghezza indefinita:
23
Per trovare il flusso totale attraverso la superficie chiusa S, scomponiamo il cilindro nella
faccia laterale e nelle due basi, calcolando il flusso per ognuna di esse e poi sommandolo:
λ dy
Φ E = ∫ E ⋅ nds = ∫ E ⋅ nds + ∫ E ⋅ nds + ∫ E ⋅ nds q ∫l
dove il segno del flusso è dato
=
=
S
A
B
L
ε0
ε0
dal verso del versore normale e dal verso del vettore campo elettrico (se essi sono concordi
allora il flusso è positivo, mentre esso è negativo se essi sono discordi, ne consegue che per
cariche positive, il flusso uscente è positivo e quello entrante è negativo).
Sulle facce laterali A e B, il versore n è perpendicolare al vettore campo elettrico e quindi il
prodotto scalare è nullo; il flusso invece è diverso da zero sulla faccia laterale L, e quindi:
λl
∫l λ dy
. Sviluppando gli integrali si ha: Φ E = E ∫ ds = E 2π rl =
da cui:
Φ E = ∫ E ⋅ nds =
ε0
L
ε0
L
λ
E=
.
2π ε 0 r
Calcoliamo ora il campo elettrico utilizzando il potenziale:
Scompongo il filo in tanti elementi di lunghezza dy, per i quali ho il potenziale di una carica
dq
λ dy
= k
puntiforme, dato da: dϕ = k
con ϕ ∞ = 0 ; è chiaro che siamo nello stesso caso
R
R
del calcolo diretto del campo; dobbiamo manipolare l’equazione affinché possiamo avere
una quantità integrabile; usando le stesse relazioni trigonometriche viste in precedenza, e
cioè:
dα r
- dy =
cos 2 α
r
- R=
cos α
24
Possiamo ricavare:
ϕ = kλ
∫
rdα cos α
= kλ
r
cos 2 α
+π /2
+π /2
 
dα
 π α  
∫− π / 2 cos α = kλ  ln tan 4 + 2   
−π
/2
π


= kλ  ln tan − ln tan 0 = kλ ln(∞ ) − ln(0)
2


Cioè + ∞ !!. Questo risultato chiaramente non si può accettare; la divergenza dell’integrale
porta ad un valore completamente errato e inaccettabile dal punto di vista fisico.
Qual è il problema? Il filo è per definizione indefinito e quindi il calcolo del potenziale,
integrando da -90° a +90°, ci dice che i tratti di filo lontani sono quelli che producono gran
parte del potenziale, ed essendo il filo indefinito, esso schizza all’infinito (è del tutto
analogo al paradosso di Olberts in cosmologia); per evitare la divergenza dell’integrale
dobbiamo trovare un altro punto di zero e non possiamo più porre ϕ ∞ = 0 . Tralasciamo ora
il problema di calcolare il campo elettrico a partire dal potenziale e concentriamoci su come
poter calcolare il potenziale di oggetti indefiniti. Il metodo migliore per procedere è di
calcolarlo in base alla sua definizione: esso è il lavoro cambiato di segno di un agente
esterno per portare una carica puntiforme unitaria dall’infinito al punto generico P:
P
ϕ = − ∫ E ⋅ dl ; conoscendo il campo elettrico possiamo vedere come riuscire a calcolare il
∞
P
λ
dr
λ
= −
[ ln r ] ∞P ; anche in questo caso l’integrale diverge,
potenziale: ϕ = −
∫
2π ε 0 ∞ r
2π ε 0
perché ho infiniti contributi dati dal mio filo indefinito. Se però consideriamo la differenza
di potenziale tra un certo punto r1 fissato (detto punto di rinormalizzazione) ed r ( punto
λ
[ ln r ] rr1 = − λ ln r + λ ln r1 ; l’integrale finalmente non
generico variabile): ϕ = −
2π ε 0
2π ε 0
2π ε 0
λ
λ
ln r1 = const si trova: ϕ = −
ln r + const . Il valore della
diverge più e ponendo
2π ε 0
2π ε 0
costante non inficia in alcun modo il risultato e soprattutto il calcolo del campo elettrico:
λ
r.
E = − ∇ ϕ e le costanti hanno derivata nulla e: E =
2π ε 0 r
2) superficie indefinita carica:
Immaginiamo la superficie colorata in azzurro come indefinitamente estesa e carica con densità
superficiale + σ . Per calcolare il campo elettrico prodotto da tale oggetto, usiamo la legge di Gauss;
una superficie che può esserci molto d’aiuto è un cilindro perpendicolare al piano carico (o in
25
alternativa anche un parallelepipedo o un cubo). Il campo elettrico è parallelo alla superficie laterale
L e quindi il flusso attraverso di questa sarà nullo: Φ E = ∫ E ⋅ nds = 0 , mentre non lo è il flusso
L
attraverso le due superfici di base A; il verso del campo e del versore normale è concorde e quindi
in entrambi i casi si avrà un flusso uguale e positivo: la legge di gauss ci dice quindi che:
q σA
σ
Φ E = ∫ E ⋅ nds =
=
= EA + EA = 2 EA ⇒ E =
; il campo elettrico prodotto da una
ε0 ε0
2ε 0
S
distribuzione superficiale indefinita di carica non dipende dalla distanza.
3) due superfici indefinite con carica opposta: condensatore a facce piane e parallele:
Le due armature, considerate come singoli piani indefiniti carichi, producono due campi elettrici di
uguale intensità indipendenti dalla distanza, che si sovrappongono. Quello che dobbiamo fare è
calcolare il campo elettrico totale. Dall’esperienza del piano indefinitamente carico e applicando il
principio di sovrapposizione, siamo già in grado di dire tutto sul campo elettrico: esso sarà nullo al
di fuori delle armature (somma algebrica; i vettori E1 ed E 2 hanno stesso modulo, stessa direzione
σ
ma versi opposti), mentre all’interno, il campo sarà dato da E1 + E 2 =
(il doppio del campo di
ε0
una superficie carica indefinita).
Questo semplice procedimento è stato applicato perché abbiamo visto precedentemente il campo
prodotto da una distribuzione piana indefinita di carica, ma il risultato di questo caso è chiaramente
indipendente dal precedente e si può ricavare con la legge di Gauss; vediamola brevemente:
- Per calcolare il campo immediatamente fuori dalle superfici, consideriamo il parallelepipedo
A, posto a cavallo delle due armature e applichiamo la legge di Gauss a questa superficie
gaussiana: avrò un flusso solamente sulle superfici laterali, la cui normale è parallela al
q
= 0
campo, ma la carica netta contenuta nella superficie è nulla: Φ E = ∫ E ⋅ nds =
ε0
S1
- Il flusso tra le armature si può calcolare prendendo una superficie gaussiana a cavallo di una
di esse (un cubo o un parallelepipedo); notiamo che in questo caso la carica netta contenuta
non è nulla, anche se ho flusso solamente attraverso le superfici laterali ( B ):
q σB
σ
Φ E = ∫ E ⋅ nds =
=
= EB ⇒ E =
esattamente il risultato che ci saremmo aspettati.
ε0 ε0
ε0
S2
4) Sfera uniformemente carica: considero una sfera con densità volumica di carica ρ e
calcoliamoci il campo elettrico prodotto, secondo tre distinti andamenti:
26
-
Campo elettrico all’esterno della sfera: (r2>R); considero come superficie gaussiana una
sfera e calcolo il flusso, sapendo che il campo elettrico sarà perpendicolare ad ogni punto
q
1 q
2
della circonferenza: Φ E = ∫ E ⋅ nds = ε = E 4π r2 ⇒ E = 4π ε
2 ; il campo elettrico ha
0
0 r2
Sphere
la stessa forma del campo prodotto da una carica puntiforme; una sfera uniformemente
carica può considerarsi come una particella di carica puntiforme (fuori dalla sua superficie)
- Campo elettrico interno alla sfera (r1<R): considero una superficie gaussiana sferica di
raggio arbitrario r1 purché sia minore del raggio della sfera ( R ), e calcolo il flusso:
q
ρ
ρ 4 3
ρr
2
2
Φ E = ∫ E ⋅ nds =
=
4π r1 dr = E 4π r1 ⇒ E 4π r12 =
π r1 da cui ricavo: E = 1 :
∫
ε0 ε0V
ε0 3
3ε 0
Sphere
il campo elettrico all’interno della superficie cresce con l’aumentare della distanza dal
centro (questo è dovuto al fatto che il campo decresce come 1 / r 2 mentre la carica aumenta
con il volume ( ∝ r 3 ).
- Campo elettrico sulla superficie della sfera (R): senza considerare una superficie gaussiana
(si può anche fare:prendo una superficie gaussiana di raggio R= al raggio della sfera, ma
non conviene, perché il risultato c’è già!) sappiamo che il campo interno è proporzionale a r
e quindi sulla superficie esso assumerà il valore massimo prima di cominciare a decrescere
Q
ρR
=
come 1 / r 2 : E =
2
3ε 0
4π ε 0 R
L’andamento complessivo del campo elettrico di una sfera è il seguente:
27
5) Guscio sferico di cariche: considero un sottile guscio sferico, di spessore infinitesimo dr,
con densità di carica superficiale uniforme:
E’ interessante in questo caso, studiare l’andamento del potenziale e poi risalire al campo
elettrico; distinguiamo due diverse situazioni:
a) r ≤ r0 (internamente al guscio); il potenziale è causato dalla presenza di una carica ad
una distanza r ( r0 in questo caso) dal punto considerato (considerando ϕ ∞ = 0 ), quindi:
rσ
rσ
1
σ dV
1 4π r02σ
ϕ =
=
= 0 e quindi: ϕ = 0 = const .
∫
4π ε 0 V r0
4π ε 0 r0
ε0
ε0
Di conseguenza il campo elettrico, è dato da:
- r < r0 : E = − ∇ ϕ = 0
σ
- r = r0 : E = − ∇ ϕ =
ε0
28
2
2
r σ
1 q 4π r0 σ
=
= 0
b) r > r0 cioè fuori dal guscio: ϕ =
e quindi il campo elettrico è
4π ε 0 r
4π ε 0 r
ε 0r
2
r σ
dϕ
q
=
= 0 2 che altri non è che il campo elettrico generato
dato da: E = − ∇ ϕ = −
2
dr 4π ε 0 r
ε 0r
da una carica puntiforme; in effetti anche un guscio sferico si comporta come una carica
puntiforme (per punti esterni alla sua superficie).
Riassumendo gli andamenti del potenziale e del campo elettrico abbiamo la seguente
situazione:
2

kq 4π kr0 σ
r
>
r
⇒
E
=
=

0
kq 4π kr0σ

r2
r2

r
>
r
⇒
ϕ
=
=


0
Potenziale : 
Campo :  r ≈ r0 ⇒ E = 4π kσ
r
r
 r ≤ r0 ⇒ ϕ = 4π kr0σ
r < r ⇒ E = 0
0


Nel caso del campo elettrico notiamo una discontinuità tra la regione interna in cui E=0 e la
superficie, in cui improvvisamente il campo raggiunge il valore E = 4π kσ . Questa
discontinuità è eliminata considerando che all’interno dello spessore infinitesimo dr del
guscio, il campo cresce all’incirca linearmente, partendo da 0 e arrivando fino al valore
calcolato ( E = 4π kσ ); graficamente la situazione è di questo tipo:
Nella zona intermedia allo spessore infinitesimo, si assume un valore del campo elettrico
pari alla media tra superficie interna ( 0 ) e superficie esterna ( E = 4π kσ ), cioè:
1
σ
E = ( Eint + E ext ) =
2
2ε 0
29
Energia immagazzinata nel campo elettrico
Il caso appena visto di guscio sferico ben si presenta ad introdurre e far capire il concetto di energia
immagazzinata nel campo elettrico. Abbiamo visto all’inizio come per costruire un sistema di
cariche puntiformi, aventi tutte lo stesso segno, l’agente esterno deve vincere la forza repulsiva tra
le cariche e compiere un certo lavoro che poi si ritrova come energia potenziale elettrostatica. Tale
energia viene liberata e convertita in energia cinetica se lasciamo libere le cariche: esse, a causa
della forza repulsiva, si allontaneranno le une alle altre con velocità maggiore quanto minore era la
loro distanza iniziale (ottenuta spendendo energia, o meglio facendo lavoro!).
Ora che abbiamo introdotto il campo elettrico, sappiamo che ogni carica modifica lo spazio
circostante e in tal modo fa sentire la sua presenza sulle altre.
Possiamo anche considerare il guscio sferico come una superficie sferica ricoperta da tante cariche
elementari dq aventi tutte lo stesso segno; tali cariche si respingono, ma il sistema rimane intatto
perché la struttura rigida del guscio riesce a bilanciare la forza repulsiva che tenderebbe a
distruggerlo. D’altra parte, per costruire un tale sistema, si deve spendere energia, perché tante
cariche dello stesso segno vicine non ci stanno senza che qualcuno ( o qualcosa) spenda energia
(compia cioè lavoro). Possiamo quindi pensare al campo elettrico che questo sistema genera, come
l’espressione dell’energia potenziale immagazzinata a seguito della costruzione dello stesso.
Maggiore energia spendo per costruire un sistema, maggiore energia potenziale mi ritrovo
immagazzinata nel campo elettrostatico e una modifica del sistema, ad esempio una riduzione del
raggio del guscio sferico carico, comporta una variazione di energia che si manifesta come
variazione del campo elettrostatico.
In pratica quanto detto non è altro che l’espressione del principio di conservazione dell’energia:
l’energia contenuta in un sistema di cariche proviene dal lavoro che un qualsiasi agente esterno ha
fatto per costruire tale sistema; l’energia spesa non è andata persa, ma fa parte del sistema di cariche
sottoforma di campo elettrico; d’altra parte, il campo elettrico non produce energia dal nulla, perché
per costruire un sistema che possa produrlo devo spendere energia! Questa energia potenziale resta
immagazzinata nel campo del sistema finché c’è una forza che bilancia la forza coulombiana di
repulsione tra le cariche; nel caso del guscio sferico è la stessa struttura del guscio che impedisce al
sistema di disgregarsi e liberare la sua energia potenziale; se il guscio fosse fatto da una membrana
elastica (ad esempio un palloncino) esso comincerà ad espandersi fino a quando la tensione del
palloncino non bilancerà perfettamente la repulsione tra le cariche.
Per vedere in modo più quantitativo quanto appena visto qualitativamente, calcoliamo la forza che
una carica dq sulla superficie del guscio sente a causa della presenza delle altre cariche elettriche
(presenza che si manifesta attraverso il campo elettrostatico); questa forza dovrà essere bilanciata (e
quindi uguale) dalla struttura rigida del guscio: d F = Edq (la forza totale sarà data dalla somma
delle singole forze, e cioè F =
∫ dF =
S
2π kσ 2 S ); le cariche all’interno del guscio si distribuiscono
su uno spessore infinitesimo ma non nel senso matematico, e quindi il campo elettrico, come già
1
σ
visto, ha un valore medio: E = ( E int + E ext ) =
e quindi la forza sentita da una carica dq sarà:
2
2ε 0
1
d F = E ext dq = 2π kσ σ ds diretta radicalmente verso l’esterno.
2
Calcoliamo ora il lavoro necessario per ridurre di dr il raggio del nostro guscio sferico di superficie
2
S = 4π r0 , passando da r0 a r0 − dr ; su ciascuna carica bisogna effettuare del lavoro e l’energia
spesa sarà uguale alla forza che ciascuna carica sente moltiplicato lo spostamento dr:
2
2
2
dW = F ⋅ dr = 2π kσ 2 Sdr = 2π kσ 2 4π r0 dr = 8π 2 kσ 2 r0 dr e quindi: dW = 8π 2 kσ 2 r0 dr .
Sapendo che:
- E = 4π kσ = campo sulla superficie del guscio
30
2
- dV = 4π r0 dr = volume di contrazione del guscio
- q = 4π r0 σ = carica totale in superficie
Sostituisco queste grandezze e trovo un’espressione per il lavoro compiuto dall’agente esterno per
contrarre di dr il raggio del guscio sferico:
E2 2
E 2 dV
.
dW =
r0 dr =
2k
8π k
Questo è il lavoro che dobbiamo fare per ridurre di dr il raggio del guscio; naturalmente, poiché
l’energia si conserva, questa energia spesa (il lavoro è energia!) non può scomparire, ma deve
ritrovarsi da qualche parte, cioè nel campo elettrico, sottoforma di energia potenziale: infatti, ora, in
una zona dove prima non c’era niente, c’è un campo elettrico, la cui intensità è proporzionale al
nuovo raggio del guscio sferico.
Possiamo definire una quantità chiamata densità di energia elettrostatica, che è l’energia potenziale
immagazzinata nello strato r0 − dr < r < r0 , come l’energia (netta, in più rispetto al vecchio raggio)
per unità di volume (siccome l’energia in più è il lavoro speso, allora consideriamo direttamente
dW
E2
quest’ultimo): ρ W =
che possiamo scrivere come:
=
dV 8π k
1
2
- SI : ρ W = ε 0 E
2
E2
- Cgs : ρ W =
8π
Quello appena visto per un guscio sferico, può essere tranquillamente generalizzato considerando
che le formule trovate per la densità di energia sono del tutto generali perché non contengono
alcuna informazione sulla particolare superficie sferica scelta, ne sull’andamento del campo
elettrostatico: in un campo elettrostatico, che occupa un volume V nello spazio, è immagazzinata
una quantità di energia potenziale W pari all’integrale della densità di energia elettrostatica sul
ε
1
E 2 dV = 0 ∫ E 2 dV . Ricordando che: E = − ∇ ϕ si ha:
volume V: W = ∫ ρ W dV =
∫
8π k V
2 V
V
2
W =
ε0
(∇ ϕ ) 2 dV
2 V∫
Energia di una particella in un campo elettrostatico
Analizziamo brevemente l’energia e le caratteristiche di una particella puntiforme (come un
elettrone) che si muove in una zona in cui è presente un certo campo elettrico; Se trascuriamo la
forza di gravità, l’energia totale della particella sarà:
1
ETot = mv 2 + eϕ cioè, come sempre, la somma della sua energia cinetica e potenziale. Spostando
2
la particella da un punto generico P1 a P2 la conservazione dell’energia ci consente di scrivere:
1 2
1
mv1 + eϕ 1 = mv 22 + eϕ 2 . Il lavoro fatto dal campo elettrico per portare la particella dal punto P1
2
2
a P2, sarà banalmente la differenza di energia cinetica (e quindi anche potenziale):
1
1
W = mv 22 − mv12 = e( ϕ 1 − ϕ 2 ) .
2
2
Semplificando l’equazione sul bilancio energetico, possiamo arrivare ad un’espressione che mette
in mostra come la presenza di un campo elettrico (che si manifesta in questo caso con il potenziale
ϕ ) sia in grado di accelerare particelle cariche; Considero in P2 un potenziale pari a zero e
suppongo che la particella parti in P1 con una velocità nulla; il bilancio energetico tra i due punti
31
1 2
mv 2 = eϕ 1 : la particella, a causa della differenza di potenziale tra i due punti, ha
2
acquistato un’energia cinetica. L’unità di misura di tale energia, riferita alle particelle, è
l’elettronvolt ( eV ) che corrisponde all’energia acquistata da una particella di carica elementare (un
− 19
elettrone: e = 1.602 ⋅ 10 C ) sottoposta alla differenza di potenziale di 1V. Con qualche piccolo
diventa quindi:
calcolo, troviamo che 1eV = 1.602 ⋅ 10 − 19 C.1V = 1.602 ⋅ 10 − 19 J
Equazioni dell’elettrostatica
Quanto visto fino ad adesso può essere già sufficiente per fare il punto della situazione e scrivere
tutte le equazioni necessarie per caratterizzare i campi elettrostatici in generale. Abbiamo già visto
all’inizio come il nostro scopo fosse quello di descrivere con relazioni matematiche (esatte) il
comportamento di questa particolare proprietà della materia, che si manifesta nello spazio. A
prescindere dalla natura del corpo che produce il campo e dal comportamento microscopico della
materia (che vedremo a breve), siamo in grado di dire tutto su come un certo campo elettrostatico si
propaga nello spazio (supposto fino ad adesso vuoto) (modulo, direzione, verso e dipendenza dalla
distanza del campo elettrico,) e le caratteristiche e proprietà di cui esso gode.
Per avere un’idea più quantitativa di quanto appena detto, riassumiamo le equazioni
dell’elettrostatica per i campi elettrostatici nel vuoto.
1) Dalla legge di Gauss siamo in grado sia di ricavarci il campo elettrostatico, sia di avere altre
informazioni su di esso; ricordando il già visto teorema della divergenza, possiamo scrivere:
q
Φ E = ∫ E ⋅ nds = ∫ ∇ ⋅ EdV =
= 4π k ∫ ρ dV , dalla quale ricaviamo la relazione puntuale
ε0
S
V
V
già vista: ∇ ⋅ E = 4π kρ e quindi: ∇ 2ϕ = 4π kρ e nei punti in cui ρ = 0 ∇ 2ϕ = 0 . Queste
relazioni ci dicono che le sorgenti del campo elettrico sono le cariche, espresse in questo
caso come una densità continua di carica; il campo elettrico, o meglio la sua divergenza, è
direttamente proporzionale alla densità di carica, e quando siamo in un punto in cui essa è
nulla, allora la divergenza è nulla e il campo è costante (o meglio, il campo elettrico non
dipende più dalla carica, ma può dipendere da altre grandezze, come la distanza, che però
non sono delle proprietà caratterizzanti!).
2) Sappiamo che il rotore di un gradiente è sempre uguale a zero (basta fare i calcoli, verrà
sempre zero, a prescindere dalla funzione su cui si fanno le operazioni); questa proprietà
matematica mi permette di definirne una ben più importante dei campi elettrostatici; facendo
infatti il rotore del generico vettore campo elettrico ( E ) e ricordando che esso è dovuto al
gradiente del potenziale cambiato di segno: E = − ∇ ϕ , ricaviamo che: ∇ x(∇ ϕ ) = ∇ x E = 0 .
Questa equazione afferma che ∇ x E = 0 il cui significato fisico è molto importante: Il
campo elettrostatico è conservativo ed esso ammette una funzione, detta potenziale; questo è
molto importante sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista dello studio dei campi
elettrostatici, in cui il potenziale può esserci molto utile. E’ comunque il significato più
fisico nascosto nella parola conservativo che è veramente importante; un oggetto che si
muove in un campo conservativo svolge un lavoro che dipende solamente dal punto di
partenza e di arrivo, indipendentemente dal percorso effettuato; inoltre, il lavoro fatto (o
subito) su un percorso chiuso è sempre uguale a zero (chiaro, perché i punti di partenza e di
arrivo coincidono). La conservatività del campo elettrostatico è probabilmente una delle
proprietà più importanti; se esso non fosse stato conservativo, il mondo sarebbe stato
completamente diverso (così come per la forza di gravità e quindi il campo gravitazionale).
Vedremo a breve un esempio di campo non conservativo: il campo magnetostatico ( e quindi
32
la forza magnetica). La corrispondente equazione integrale si ottiene considerando che
l’integrale del campo su un percorso chiuso è sempre zero: ∫ E ⋅ dl = 0 .
l
Riepilogando, le equazioni dell’elettrostatica nel vuoto sono (ricordando che le linee del campo
sono state prese, per convenzione, uscenti dalle cariche positive ed entranti in quelle negative):
q

ρ

E
⋅
n
ds
=
∇
⋅
E
dV
=
= 4π k ∫ ρ dV
∫
∫

∇ ⋅ E = 4π kρ =
ε

0
S
V
V
ε 0 puntuali
relazioni integrali, e 

 ∫ E ⋅ dl = 0
∇ xE = 0

 l
Andiamo ora ad analizzare le proprietà della carica elettrica, sia dal punto di vista
macroscopico, (elementi circuitali come condensatori e resistenze), sia dal punto di vista
microscopico (struttura della materia, molecole e atomi).
33
Capacità:
Questa nuova grandezza caratterizza tutti i sistemi elettrostatici, e rappresenta in qualche modo
la quantità di carica netta che un sistema può immagazzinare. Prima di parlare dei condensatori
e vedere il loro comportamento come elementi circuitali, vale la pena soffermarci sulla
definizione di isolanti e conduttori e vedere alcune importanti proprietà fisiche.
I conduttori, la maggior parte dei quali sono metalli, hanno un’alta mobilità delle cariche, che
possono essere facilmente trasferite (vedi ad esempio l’esperienza con un elettroscopio); le
cariche elettriche sono gli elettroni e per questo possiamo considerare conduttori tutti quei
materiali i cui elettroni (o meglio, parte di essi) hanno una certa mobilità. Gli isolanti al
contrario, sono contraddistinti da una certa rigidità delle loro cariche, che non vengono trasferite
ad altri materiali. In realtà le definizioni date non sono del tutto rigorose per i materiali che
troviamo in natura: il confine tra conduttori e isolanti non è così netto, ma si passa attraverso
varie sfumature: ogni elemento infatti ha una seppur minima mobilità delle sue cariche, ma
quello che conta ai fini della classificazione è il tempo scala nel quale le cariche vengono
trasferite. Un buon conduttore ad esempio presenta un tempo molto basso di trasferimento delle
cariche, mentre un ottimo isolante, richiede un tempo di trasferimento molto più lungo (milioni
di volte superiore a quello di un ottimo conduttore).
I conduttori perfetti sono caratterizzati da importanti proprietà, tutte frutto della definizione
qualitativa che abbiamo dato: le cariche sono libere di muoversi:
1) Le cariche elettriche si trovano tutte sulla superficie del conduttore: questo è un risultato
scontato se si considera un sistema di cariche elettriche in libero movimento, posizionate
all’interno di un volume V in posizioni casuali: siccome le cariche hanno tutte lo stesso
segno, tenderanno a respingersi le une con le altre, posizionandosi il più lontano possibile
tra di loro: questo in un volume ben definito e invalicabile significa posizionarsi sulla sua
superficie.
2) Le superfici dei conduttori sono equipotenziali: anche questo è un risultato scontato; se
lungo la superficie ci fosse una differenza di potenziale, le cariche si muoverebbero per
colmare tale differenza, con il risultato che dopo un certo tempo, la superficie avrà un
potenziale costante.
3) Il campo elettrico all’interno del conduttore è nullo: per provare questo basta considerare
che le cariche sono disposte tutte sulla superficie, dopodichè applichiamo la legge di gauss
considerando una superficie gaussiana totalmente interna al conduttore: siccome non ci sono
cariche nette, il campo è zero
4) Il campo esterno al conduttore e immediatamente vicino alla sua superficie è perpendicolare
alla superficie stessa e vale sempre: E ext = 4π kσ n . Questo risultato si dimostra applicando
sempre la legge di Gauss; vale la pena dimostrarlo:
34
Considero il cilindretto disegnato nella figura e applichiamo la legge di Gauss:
σ
Φ E = ∫ E ⋅ nds = E ext S = 4π kσ S ⇒ E ext = 4π kσ =
per il Sistema Internazionale e
ε0
S
E ext = 4π σ per il sistema cgs
Parliamo ora della capacità; questa grandezza è una caratteristica di particolari oggetti, detti
condensatori, costituiti da due piatti conduttori e carichi con carica uguale ed opposta, posti l’uno
vicino all’altro e isolati (per quanto possibile) dall’ambiente circostante. La particolarità di questi
oggetti è che riescono ad immagazzinare energia sottoforma di campo elettrostatico. Ciò che
succede è che se ad un condensatore collego una batteria esso acquista una certa carica che produce
a sua volta un campo elettrostatico che rimane anche dopo aver scollegato la batteria. Quello che
andiamo a fare adesso è analizzare quantitativamente questo comportamento, soprattutto capire
quanta energia può immagazzinare e da cosa dipende tale quantità. Ciò che si è osservato dagli
esperimenti è che la carica q conferita ad un condensatore è direttamente proporzionale alla
differenza di potenziale tra i due piatti (o armature): q ∝ ∆ V ; la costante di proporzionalità prende
q
il nome di capacità: q = C∆ V e quindi essa è definita come: C =
e secondo la nostra
∆V
q
nomenclatura: C = . L’analisi dimensionale della capacità ci da direttamente la sua unità di
ϕ
misura:
 Q  Q 
per il Sistema Internazionale si ha: [ C ] =   =  2  = F = Farad (il Farad è un’unità di misura
ϕ  LT
molto grande) e
 Q   Q   FL2 
per il cgs: [ C ] =   =   = 
 = [ L] = cm ; la capacità in questo caso ha le dimensioni di una
 ϕ   W   FL 
lunghezza (ma non ha nulla a che fare con una lunghezza!).
Per capire in fondo il comportamento di un condensatore e il significato fisico della capacità,
andiamo a vedere qualche esempio concreto:
1) capacità di una sfera conduttrice isolata.
q
Siccome abbiamo definito la capacità come C =
è chiaro che essa è una grandezza
ϕ
generale e non propria dei soli condensatori e quindi può essere calcolata per qualunque
oggetto che abbia un potenziale e una carica netta. Nel caso di una sfera il calcolo è
particolarmente semplice; sappiamo infatti dalle pagine precedenti che il potenziale di un
1 q
1 Sσ
=
conduttore sferico generico di carica q e raggio r0 è dato da: ϕ =
e
4π ε 0 r0 4π ε 0 r0
q 4π ε 0 r0 Sσ
=
= 4π ε 0 r0 (non dipende dalla carica!)
quindi la capacità è: C =
ϕ
Sσ
q 6.37 ⋅ 10 6
=
≈ 0.7 ⋅ 10 − 3 F
9
ϕ
9 ⋅ 10
2) condensatore a facce piane e parallele. E’ il tipo di condensatore più diffuso, costituito da
due sottili lamine rettangolari con carica uguale ed opposta. Lo schema è quello già visto in
precedenza per il calcolo del campo elettrico:
In generale la capacità della terra è di circa C =
35
Tra i due piatti (o armature) poste a piccola distanza, c’è un isolante (in genere vuoto o aria);
sappiamo già che tra le due facce esiste un campo elettrico uniforme, il cui modulo si calcola
q σB
σ
=
= EB ⇒ E =
= 4π kσ . D’altra parte il
con la legge di Gauss: Φ E = ∫ E ⋅ nds =
ε0 ε0
ε0
S2
potenziale (cioè la differenza di potenziale tra le due armature) è dato da: ϕ 12 =
∫ E ⋅ dl =
4π kσ d
, con d = distanza tra le armature. Combinando le equazioni del campo e del potenziale,
ϕ
possiamo scrivere: E = 4π kσ = 12 . A questo punto è molto semplice calcolare la capacità di
d
un tale condensatore:
4π Sε 0
q
σS
S
=
=
= ε0
- SI: C =
ϕ
4π kσ d
4π d
d
q
S
=
- Cgs: C =
.
ϕ
4π d
Come possiamo notare dalle relazioni trovate, la capacità dipende unicamente dalla
configurazione geometrica del condensatore, in particolare dalla superficie delle armature (S è
la superficie di un’armatura, che è uguale alla superficie dell’altra) e alla loro distanza d .
L’energia immagazzinata da un tale dispositivo si calcola utilizzando la relazione vista nelle
E 2V E 2 Sd d E 2 Sd 2 E 2 d 2 C 1
1 q2 1 q2
pagine precedenti: W =
=
=
=
= Cϕ 12 =
=
8π k
8π k d
8π kd
2
2
2 C2 2 C
3) Condensatore sferico: esso è costituito da una sfera carica interna e un guscio sferico
esterno, posto a distanza ravvicinata alla sfera:
36
Il procedimento è lo stesso seguito per il condensatore a facce piane e parallele, ma in questo
caso semplificato dalla simmetria radiale del sistema per il quale è semplice calcolare la
differenza di potenziale ϕ 12 :
r1
 1 1
1
q
1 rr 
ϕ 12 = ϕ 1 − ϕ 2 = kq ∫ 2 dr = kq  −  e quindi: C =
=  1 2 
r
ϕ 12 k  r2 − r1 
 r1 r2 
r2
Condensatori come elementi circuitali
Usciamo dalla trattazione fisica dei condensatori e andiamo brevemente ad analizzare il loro
comportamento quando inseriti in circuiti; in particolare trattiamo le situazioni in cui essi sono
inseriti in serie o in parallelo.
1) condensatori in parallelo: si intende la seguente configurazione:
In questa situazione valgono 3 proprietà per il circuito:
Per andare dal punto 1 al punto 2 occorre scegliere un qualunque cammino, il quale
incontra sempre un condensatore;
Collegando una batteria tra i punti 1 e 2 è evidente che ognuno dei condensatori è
sottoposto alla stessa differenza di potenziale;
37
le cariche totali + q e − q si dividono equamente tra le due armature, quindi la capacità
q
q
q
q
= 1 + 2 + ... + n ; ricordando che
totale del circuito può essere scritta come: C =
ϕ 12 ϕ 12 ϕ 12
ϕn
q
q1
q
= C1 , 2 = C 2 , n = C n si ha: C = C1 + C 2 + ... + C n cioè la somma delle singole capacità.
ϕ 12
ϕ 12
ϕn
-
2) Condensatori in serie; la configurazione è la seguente:
Anche in questo caso il circuito gode di 3 proprietà:
- Per andare dal punto 1 al punto 2 si devono incontrare tutti i condensatori in successione
- Collegata la batteria agli estremi del circuito, la sua differenza di potenziale è uguale alla
somma delle differenze di potenziale dei singoli elementi circuitali
- Su ogni condensatore c’è la stessa carica q
Quindi, considerando le proprietà appena elencate, siamo in grado di risolvere il circuito; in
q
q
q
q
+
+
=
particolare il potenziale totale sarà: ϕ 123 = ϕ 1 + ϕ 2 + ϕ 3 =
e quindi:
C1 C 2 C 3 C
1
1
1
1
=
+
+
.
C C1 C 2 C 3
38
Campo elettrico nella materia (microscopicamente)
Analizzando il comportamento di cariche microscopiche ma non più puntiformi come le
molecole, andremo a scoprire come varia l’andamento del campo elettrico con la distanza. Per
grandi distanze infatti, la forma della molecola non è importante ai fini del calcolo e il campo
elettrico è nullo (una molecola è generalmente neutra); se analizziamo il suo comportamento ad
una distanza confrontabile con quelle degli atomi all’interno di essa, ci accorgiamo che in quella
regione di spazio il campo elettrico non è più nullo perché la disposizione delle cariche non può
più essere considerata uniforme. A distanze intermedie, l’andamento del campo elettrico può
essere assimilato a quello che si avrebbe con due cariche di segno opposto poste ad una distanza
l le une dalle altre, cioè un dipolo, a prescindere dalla complessità della molecola in esame.
Vedremo che il fattore discriminante per la trattazione del campo elettrico in funzione della
distanza è dato dai momenti di multiplo, cioè da fattori che dipendono in modo diverso dalla
distanza che ci danno informazioni sulla complessità della distribuzione che abbiamo davanti,
distribuzione di carica che deve essere descritta con maggiore precisione mano a mano che ci
avviciniamo ad essa.
Per esprimere e vedere quantitativamente quello che abbiamo appena descritto, consideriamo
una molecola con una certa distribuzione delle sue cariche e un punto P, posto a distanza r dal
suo centro, come nella seguente figura:
Il nostro obiettivo è calcolare il campo elettrico nel punto P causato dalla distribuzione di
cariche considerata. Per fare questo possiamo considerare il potenziale, più semplice da
1 n qi
calcolare, che per una distribuzione di cariche considerata discreta sarà dato da: ϕ =
∑
4π ε 0 i = 1 Ri
, cioè la somma dei potenziali degli n elementi discreti che compongono la distribuzione.
Possiamo già vedere un’importante cosa, segno che stiamo andando sulla giusta strada: a
distanze molto grandi Ri ≈ r > > ri ≈ const e il potenziale diventa semplicemente quello di una
n
1
carica puntiforme Q data dalla somma delle n cariche q: ϕ =
∑ qi . Inoltre, nel caso di
4π ε 0 r i = 1
+
−
una molecola, per la quale vale ∑ q = ∑ q , a grandi distanze il campo elettrico è nullo. A
piccole distanze questo non è vero, perché le cariche non sono tutte concentrate in un punto.
Per trattare a fondo questo secondo caso, consideriamo la carica puntiforme come continua e
passiamo ad usare grandezze infinitesime. In questo caso il potenziale in un pnto P generico
39
1
dq
1
ρ ( x, y , z )dV '
=
. Questa è la
P
4π ε 0 ∫ Ri 4π ε 0 ∫
Ri
nostra espressione di partenza, che dovremmo modificare per mostrare come il potenziale, e
quindi il campo elettrico, dipendano dalla distanza alla quale si calcola.
Prima di tutto osserviamo la figura e applichiamo il teorema di Carnot:
1
1/ 2
ρ ( x, y, z ) dV ' (r '2 + r 2 − 2r ' r cos ϑ ) − 1 / 2 .
; sostituendo: ϕ P =
Ri = r '2 + r 2 − 2r ' r cos ϑ
∫
4π ε 0
prodotto da una carica infinitesima dq è: ϕ
[
=
]
Consideriamo ora il punto P tale che la distanza r ' < < r e quindi la quantità
r'
< < 1 . Se
r
r'
scriviamo la parte sotto radice in termini del rapporto
possiamo semplificare notevolmente
r
perché è possibile sviluppare in serie di Taylor:
− 1/ 2

1
r ' 2 2r '
r + r − 2r r cos ϑ
=  1 + 2 −
cos ϑ 
(ho diviso per r 2 e poi portato fuori
r
r
r

1
3
− 1/ 2
= 1 − δ + δ 2 + .... ) :
radice); sviluppando in serie ( (1 + δ )
2
8
2
 3  r ' 2 2r '
 
1  1  r ' 2 2r '
 1 −  2 −
cos ϑ  +  2 −
cos ϑ + ....  =
r
2 r
r
r
 8 r
 

(
'2
2
)
'
− 1/ 2
1  1 r '2 r '
3  4r ' 2
+ cos ϑ +  2 cos 2 ϑ
1 −
2
r
2r
r
8 r


 + .... =


Trascurando i termini di grado superiore:
 r'   1 3
1
r'
 1 + cos ϑ +    − + cos 2 ϑ
r
r
 r  2 2

2
 r' 
1
r'
 1 + cos ϑ +  
r
r
 r

2


 + .... =



 3 cos 2 ϑ − 1 

 + ....
2



Sostituendo questa espressione in quella del potenziale troviamo:
2

 r '   3 cos 2 ϑ − 1  
1
r'
' 1
  =
ϕP =
ρ ( x, y, z )dV  1 + cos ϑ +   
4π ε 0 ∫
r
r
r 
2

 

2
1 1
1
1
'
' '
' ' 2 3 cos ϑ − 1 
=
ρ
dV
+
ρ
dV
r
cos
ϑ
+
ρ
dV
r


4π ε 0  r ∫
2
r2 ∫
r3 ∫

∫ ρ dV = k
ρ dV r cos ϑ
Considero: ∫
'
0
' '
= k1
e definisco quindi:
3 cos ϑ − 1
= k2
2
k0
k
k
= termine di monopolo; 12 = termine di dipolo; 23 = termine di quadrupolo.
r
r
r
∫r
'2
2
40
Come possiamo vedere, il potenziale totale nel punto P dipende da questi termini, i quali
dipendono in misura diversa dalla distanza: ad esempio, ad una distanza r molto grande, i
termini di dipolo e, a maggior ragione di multipolo, sono trascurabili e quello che realmente
k
conta è solo 0 (monopolo) e la distribuzione di carica può essere assimilata quindi ad una
r
1
1
ρ dV =
Q.
singola carica puntiforme: ϕ P =
∫
4π ε 0 r
4π ε 0 r
I termini che ci siamo ricavati servono quindi a darci un’idea quantitativa sulla trattazione che
possiamo fare della nostra distribuzione di carica, che viene assimilata ad un monopolo per
grandi distanze, ad un dipolo per distanze intermedie, ad un quadrupolo per piccole distanze (si
può anche andare oltre il quadrupolo!); dal semplice studio dei momenti di multipolo possiamo
quindi risalire alla distribuzione di cariche della molecola (o almeno ad un’approssimazione
valida per il punto P considerato).
Nel caso del quadrupolo, il fatto che non ci sia momento di dipolo non è causato chiaramente
dalla distanza, ma dal fatto che le cariche positive e quelle negative si bilanciano, e il calcolo del
momento di dipolo (esso è un vettore per cui vale il principio di sovrapposizione) porta ad un
momento nullo.
41
Il dipolo elettrico
E’ sicuramente la configurazione di cariche più interessante (e più semplice!) da studiare,
nonché quella più frequente, soprattutto quando parliamo di molecole, per questo vale la pena
approfondire il discorso. Un dipolo elettrico è un qualsiasi sistema di due cariche di segno
opposto poste a distanza l l’una dall’altra. Come abbiamo già visto, le linee di forza del campo
elettrico escono dalla carica positiva per entrare in quella negativa:
Per un tale sistema di cariche calcoliamo di nuovo il potenziale, che sarà dato da:
1
r
ϕP =
ρ dV ' r ⋅ r ' =
⋅ ρ dV ' r ' . A questo punto definiamo momento di dipolo la
2 ∫
2 ∫
4π ε 0 r
4π ε 0 r
quantità vettoriale: P =
∫ r ρ dV
'
'
e il potenziale può essere scritto come:
r⋅ P
P cos ϑ
=
dove ϑ è l’angolo compreso tra il momento di dipolo e l’asse z . Il
2
4π ε 0 r
4π ε 0 r 2
potenziale di questo dipolo e quindi anche il campo elettrico, sono simmetrici rispetto all’asse z
(vedi le proprietà del prodotto scalare e in particolare la simmetria del coseno), come si può
vedere facilmente dalla seguente figura:
ϕ
P
=
Per vedere l’andamento del campo elettrico possiamo, per semplicità di calcolo, considerare un
punto p ' posto ad esempio sul piano xz e ricavarci il campo elettrico a partire dal potenziale:
42
P cos ϑ
che possiamo semplificare per il nostro calcolo.
4π ε 0 r 2
x
z
cos ϑ = 2
Consideriamo infatti: z = ( x 2 + z 2 )1 / 2 cos ϑ , sin ϑ = 2
e quindi
2 1/ 2 ,
(x + z )
( x + z 2 )1 / 2
Pz
= Pz ( x 2 + z 2 ) − 3 / 2 . Le componenti x e z del
il potenziale nel piano xz diventa: ϕ = 2
2 3/ 2
(x + z )
campo elettrico saranno date da:
∂ϕ
3Pzx
3Pxz
3P cos ϑ sin ϑ
 3
Ex = −
= −  −  Pz ( x 2 + z 2 ) − 5 / 2 2 x = 2
= 2
=
2 5/ 2
2 3/ 2
2
2
∂x
(x + z )
(x + z ) (x + z )
r3
 2
Il potenziale è dato da: ϕ =
Ez = −


∂ϕ
3
3z 2
1


= − P  z( x 2 + z 2 ) − 3 / 2 − z ( x 2 + z 2 ) − 5 / 2 2 z  = P 2
− 2
=
2 5/ 2
2 3/ 2 
∂z
2
(x + z ) 


 (x + z )
 3 cos 2 ϑ − 1 

= P
r3


Il risultato è che il campo elettrico è inversamente proporzionale al cubo della distanza, mentre
il potenziale al quadrato della distanza, un grado in più rispetto al monopolo, cioè ad una carica
(puntiforme) isolata.
Il caso più semplice di dipolo e di momento di dipolo è quello che abbiamo appena visto, con
due cariche uguali ma di segno contrario poste a distanza l l’una dall’altra; in questo caso il
momento di dipolo P è un vettore che ha come direzione la congiungente le due cariche e verso
dalla carica negativa a quella positiva. Il suo modulo è dato dalla risoluzione dell’integrale:
P=
∫ r ρ dV
'
'
che in questo caso è semplice P = lq . Una molecola può considerarsi un dipolo a
distanze intermedie; per distanze minori occorre aumentare la precisione e inserire elementi di
ordine superiore, come il quadrupolo, per descrivere la distribuzione delle sue cariche.
43
Momento torcente di un dipolo
Quando un dipolo viene posto in un campo elettrico esterno, esso ne sente in qualche modo la
presenza e si comporta in un modo che vale la pena studiare. Per questo scopo immaginiamo un
semplice dipolo elettrico immerso in un campo elettrico uniforme prodotto da un condensatore a
facce piane e parallele. Le cariche di cui è costituito il dipolo sentono la presenza del campo
generato dalle cariche poste sulle armature del condensatore ed esso si orienta in modo da
trovare una delle due situazioni di equilibrio possibili:
Nel primo caso si ha una situazione di equilibrio stabile, perché ogni piccola perturbazione data
al dipolo non ne cambierà la posizione; la forza (il modulo)che sente la carica positiva e quella
negativa dovuta alle armature del condensatore è: F− = − qE e F+ = + qE . Nel secondo caso
questo non si verifica; la condizione di equilibrio è instabile e una piccola perturbazione farà
ruotare il dipolo e farlo uscire da tale equilibrio, che non raggiungerà più spontaneamente.
Queste due situazioni sono chiaramente un caso particolare; in generale, un dipolo posto in un
tale campo elettrico, inclinato di un angolo ϑ rispetto al campo elettrico esterno E , sarà
sottoposto ad un momento torcente N = r × F uguale in ogni punto. Questo caso è del tutto
simile al momento torcente visto in dinamica, in particolare, non basta che la forza netta sia
nulla per non far ruotare il dipolo, ma è importante, per qualunque oggetto non puntiforme,
studiare come e dove agiscono le singole forze:
44
Calcoliamo, aiutandoci anche con la figura, il momento torcente di un dipolo costituito da due
cariche distanti l, poste con un angolo ϑ in un campo elettrico esterno uniforme. La formula
base per il calcolo è quella classica: N = r × F ; esplicitando si ha:
l
l
N = Eq sin ϑ + Eq sin ϑ = Eql sin ϑ = PE sin ϑ , cioè: N = r × F = P × E nel caso
2
2
elettrostatico. A questo punto possiamo calcolare facilmente l’energia (cioè il lavoro) necessaria
per ruotare il dipolo di un angolo ϑ 0 qualsiasi: W =
ϑ0
∫
0
N dϑ =
ϑ0
∫ PE sin ϑ dϑ
= PE (1 − cos ϑ 0 ) ; ad
0
esempio, per ruotare il dipolo di 180° serve un lavoro W = 2 PE .
E’ chiaro che il caso ancora più generale si ha per un dipolo immerso in un campo elettrico
qualsiasi e quindi non uniforme. Oltre al momento torcente, sempre presente, che è responsabile
della sua rotazione, abbiamo anche un moto di traslazione indotto dal campo non uniforme
dovuto al fatto che la somma delle forze agente sul dipolo non è nulla: ∑ Fi ≠ 0 . L’esempio
i
più semplice che possiamo immaginare è costituito dal campo esterno prodotto da una carica
1 q
r .Il dipolo in questo caso si allineerà lungo le
puntiforme, che sappiamo valere: E =
4π ε 0 r 2
linee di forza del campo prodotto dalla carica e allo stesso tempo sarà attratto da essa (se la
carica che produce il campo è positiva, esso si allineerà con la carica negativa più vicina;
condizione di equilibrio stabile). In questo caso, si può dimostrare che la forza (il modulo) che
sente il dipolo è data da: Fs = P ⋅ ∇ E s .
45
Molecole polari e molecole non polari
Il momento di dipolo non è una proprietà di sole due cariche uguali; il caso di dipolo analizzato
fino ad ora è chiaramente ideale. Lo studio delle molecole ci aiuta a capire meglio il concetto di
momento di dipolo e la sua importanza.
Dallo studio della chimica sappiamo che esistono in natura almeno due grandi famiglie di
molecole: quelle chiamate polari e quelle non polari. Le molecole polari, come dice la parola
stessa, presentano una polarità, pur essendo nel loro insieme neutre, causata dal fatto che la
concentrazione di cariche positive e negative non si trova nel centro comune della molecola.
Ogni volta che i centri di massa delle cariche negative non corrispondono a quelli delle cariche
positive, la molecola si dice polare ed essa possiede un momento di dipolo permanente. Un
esempio classico è la molecola d’acqua:
Osservate con attenzione la figura, soprattutto quella che riguarda il modello di Bohr, prestando
attenzione alla disposizione degli elettroni (in realtà si dovrebbe parlare di nuvola elettronica,
ma questo esempio rende meglio l’idea). E’ evidente che il centro delle cariche negative, tutte
spostate presso l’atomo di ossigeno, coincide proprio con il nucleo, mentre il centro delle
cariche positive non può trovarsi sul nucleo di ossigeno; per quanto quest’ultimo valga 8 volte
la carica dell’idrogeno, la disposizione non simmetrica dei nuclei sposta il centro di simmetria
delle cariche positive, sia pur in misura ridotta. Affinché ci fosse stata tale simmetria, sarebbero
stati necessari due atomi di idrogeno posti sullo stesso piano in maniera simmetrica rispetto
all’asse verticale passante per il centro del nucleo di ossigeno. Nel caso dell’acqua quindi, la
molecola presenta una parte più positiva e una parte più negativa; nonostante la forma non
proprio ideale, essa ha un comportamento uguale a quello di un (debole) dipolo, compreso un
(piccolo) momento di dipolo permanente. Molecole più simmetriche invece, come l’anidride
carbonica ( CO2 ) sono non polari:
46
In questo caso la disposizione lineare e simmetrica rende la molecola non polare (ma non conta
solo la simmetrica; ricorda che anche la differenza di elettronegatività – in questo caso bassa svolge un ruolo fondamentale nella polarità o meno di certe molecole; infatti a rigore di logica,
solo molecole con gli stessi atomi e per di più simmetriche sono puramente non polari!).
Quindi, pur non avendo le forme dei dipoli perfetti visti all’inizio, alcune molecole possiedono
un momento di dipolo permanente con tutte le conseguenze che presto andremo ad analizzare.
Le molecole non polari, pur non possedendo un momento di dipolo permanente, ne acquistano
uno quando vengono poste in un campo elettrico esterno; in questo caso parliamo di momento
di dipolo indotto, perché provocato dal campo elettrico che viene applicato. Come si può
spiegare tale comportamento? Qualitativamente possiamo immaginare una molecola, o meglio
un atomo per una maggiore semplicità, come quello di idrogeno, utilizzando un modello
approssimato ma che va comunque bene per i nostri scopi. Immaginiamo un atomo costituito da
una carica positiva puntiforme al suo centro (il protone) e da una nuvola elettronica che si
estende uniforme e continua all’interno di una sfera di raggio r (ed è questa l’approssimazione
maggiore: la nuvola elettronica non è uniforme all’interno della sfera di raggio r!).
L’osservazione di questo sistema, mediata nel tempo, ci dice che esso è totalmente simmetrico;
l’osservazione mediata su un tempo scala molto maggiore dell’orbita dell’elettrone infatti, ce lo
fa vedere come presente uniformemente su tutta l’orbita (circolare) e in questo modo la sua
carica bilancia perfettamente quella del protone all’interno, o in altre parole, i baricentri delle
due cariche coincidono (baricentro inteso non come centro di massa ma centro di carica!) e
quindi non ho alcun momento di dipolo.
47
Immergendo tale atomo in un campo elettrico esterno, qualcosa accade: la carica negativa, la
nuvola elettronica, viene attratta dalla carica positiva responsabile del campo esterno, mentre il
nucleo positivo sente la presenza della carica negativa esterna. Il risultato netto è che si ha un
(leggero) spostamento del baricentro delle due cariche, che non coinciderà più, dando origine ad
un momento di dipolo indotto dal campo elettrico esterno. Con le conoscenze che abbiamo,
siamo in grado di calcolare l’ordine di grandezza dello spostamento del baricentro delle cariche
elettriche positive e negative. Per fare questo dobbiamo introdurre qualche altra
approssimazione:
- la nuvola elettronica ha densità di carica costante (questa l’abbiamo già vista) entro una
sfera di raggio r ;
- essa, sotto l’influenza del campo elettrico esterno non si deforma
I baricentri delle due cariche si sposteranno fino ad una distanza per la quale si ha equilibrio tra
la forza esercitata dal campo esterno e la forza di richiamo tra i baricentri stessi:
+ −
1 e eeff
−
, dove eeff è la carica
2
4π ε 0 d
negativa effettiva. La carica negativa è distribuita su una nuvola di raggio r e non è quindi
puntiforme come quella positiva. Nel calcolo della forza di richiamo dobbiamo considerare
solamente la carica negativa presente all’interno della sfera di raggio d, mentre quella esterna non
conta. La situazione è identica a quella già vista del calcolo del campo per una sfera carica. In
questo caso dobbiamo calcolare la forza che la carica positiva sente all’interno della nuvola
elettronica; come abbiamo già dimostrato, ai fini del campo (e quindi della forza!) conta solamente
−
la carica interna, che in questo caso abbiamo chiamato eeff (efficace). Tale carica si calcola
La forza di richiamo tra i due baricentri, sarà data da: FR =
facilmente:
FR =
−
eeff
= ρ eff V =
e− 4 3
d3
π d = e− 3
4 3 3
r e quindi, la forza di richiamo diventa:
πr
3
1 e2
d . Possiamo semplificare notevolmente questa relazione osservando che
4π ε 0 r 3
1 e2
= const e quindi la relazione è del tipo: F = − kx cioè la legge di Hooke vista per le molle.
4π ε 0 r 3
Questa forza di richiamo, come già detto, è bilanciata dalla forza che agisce sulle cariche atomiche
1 e2
4π ε 0 r 3
d
=
eE
di modulo eE , e quindi:
da
cui
ricaviamo:
d
=
E . A titolo di esempio, se
4π ε 0 r 3
e
considero la nuvola elettronica di raggio r ≈ 10 − 10 m (raggio di Bohr) e il campo esterno
48
− 15
E = 3 ⋅ 10 6 V / m , allora ricavo d ≈ 2 ⋅ 10 m = 2 fermi . A questo punto posso calcolare il modulo
3
del momento di dipolo indotto: Pind = ed = 4π ε 0 r E .
In realtà, in generale, il dipolo indotto è proporzionale al campo elettrico esterno e ad una costante (
α ) chiamata costante di polarizzabilità atomica; a titolo di esempio vediamo il suo valore per
qualche atomo e molecola:
α = 0.66 ⋅ 10 − 24 cm 3 ( H )
α = 1.2 ⋅ 10 − 24 cm 3 ( Li )
α = 27 ⋅ 10 − 24 cm 3 ( Na )
α = 2.6 ⋅ 10 − 30 cm 3 (CH 4 )
Per quest’ultima si ha: α C + 4α
H
≠ α
CH 4
; α quindi ci da informazioni sulla struttura molecolare.
49
Campo elettrico nella materia (macroscopicamente)
Fino ad ora abbiamo visto il comportamento di atomi e molecole immerse in un campo elettrico
esterno; ora è giunto il momento di vedere come si comportano gli oggetti macroscopici: il classico
esempio è quello di inserire un isolante (o dielettrico) all’interno del campo elettrico prodotto da un
condensatore e vedere, (come nel caso dell’atomo di idrogeno) come si comporta e cosa succede,
senza dimenticare i discorsi fatti nelle pagine precedenti a proposito di atomi e molecole.
Consideriamo quindi il nostro solito condensatore a facce piane e parallele, caricato e poi staccato
dalla batteria; se tra le armature c’è il vuoto, allora sappiamo già tutto; il campo elettrico è costante
S
e la capacità, essendo poste a distanza d , è data da: C 0 = ε 0 mentre la carica sulle facce del
d
condensatore è data da: Q = C 0V0 ddp . Ora poniamo tra le armature il nostro dielettrico e studiamo
cosa succede ad esso e al campo del condensatore ( e quindi al potenziale e alla sua capacità). Prima
di fare discorsi quantitativi, è bene riflettere qualitativamente su quale potrebbe essere il
comportamento di tale sistema:
Consideriamo la figura sopra; nel condensatore c’è un dielettrico qualsiasi, la cui natura non è
importante. Sappiamo che il campo elettrico all’interno di un condensatore in cui è presente il vuoto
σ
è costante e vale E =
. Cosa succede quando inseriamo il dielettrico? Abbiamo visto nel
ε0
precedente paragrafo come a qualsiasi molecola introdotta in un campo elettrico esterno venga
indotto un momento di dipolo; anche in questo caso succede la stessa cosa: se il dielettrico è
costituito da molecole polari, che possiedono cioè un momento di dipolo permanente, il campo
elettrico del condensatore tenderà a far orientare tutti i dipoli permanenti; se le molecole sono non
polari, allora il campo elettrico indurrà dei dipoli orientati secondo le sue linee di forza. Il risultato
è la presenta di una carica superficiale netta indotta, detta anche carica di polarizzazione:
50
E’ bene precisare ancora una volta che un dielettrico, cioè un isolante, ha un comportamento molto
diverso da quello di un conduttore, come si vede dalla figura e come abbiamo visto nel caso
molecolare precedente. In questo caso l’inserimento di un conduttore avrebbe prodotto una
migrazione di cariche verso la superficie e l’instaurazione di un campo elettrico uguale e contrario a
quello del condensatore; nel caso degli isolanti questa migrazione non c’è perché le cariche non
sono libere di muoversi; quello che succede è l’induzione (nel caso di molecole non polari) e
l’orientazione di tanti piccoli dipoli a livello molecolare o atomico. Tali dipoli, come abbiamo già
visto, sono causati da spostamenti infinitesimali (dell’ordine del fermi)dei baricentri delle cariche
positive e negative. La loro orientazione produce una densità di carica superficiale e quindi un
campo elettrico, il cui verso è opposto a quello prodotto dalla carica sulle facce del condensatore,
detto campo di polarizzazione. Il valore di tale campo, per molte sostanze e determinati intervalli
del campo esterno, cresce proporzionalmente a quest’ultimo e il motivo è presto spiegato.
La condizione rappresentata in figura è infatti un caso ideale; in realtà un allineamento così preciso
dei dipoli è impossibile perché l’agitazione termica delle molecole si oppone a tale ordinamento.
Aumentando l’intensità del campo del condensatore, aumento l’intensità del momento torcente che
agisce sui dipoli, con il risultato che un numero maggiore si allineerà, in modo proporzionale
all’aumento del campo elettrico.
Il campo elettrico risultante all’interno del dielettrico sarà dato dalla somma vettoriale del campo
applicato ( E 0 ) e di quello di polarizzazione ( E ' ), e dato che la direzione è la stessa, mentre il verso
'
cambia, possiamo scrivere, ricorrendo ai moduli: E = E 0 − E : introducendo un dielettrico in un
campo elettrico si inducono delle cariche su di esso che producono un campo che si oppone a quello
esterno. Abbiamo anche detto come il campo di polarizzazione cresca linearmente con quello
'
'
esterno, cioè: E ∝ E 0 , ma siccome E = E 0 − E allora E ∝ E 0 . La costante di proporzionalità che
lega il campo risultante a quello di polarizzazione è chiamata ε r ed è detta costante dielettrica
1
E 0 con ε r
relativa, caratteristica di ogni sostanza; il campo elettrico risultante sarà quindi: E =
εr
adimensionale e maggiore di 1 indipendente da forma e dimensioni del dielettrico ma solo dalla sua
composizione chimica. Il valore della costante dielettrica relativa è ottenuto dal rapporto con la
costante dielettrica del vuoto (e per questo è un numero puro; vedremo meglio in seguito).
Se ad un dielettrico continuiamo ad aumentare in campo esterno, ad un certo punto il campo di
polarizzazione (e quindi quello risultante) non crescerà più linearmente perché tutti (o quasi) i dipoli
saranno allineati; si arriva così ad un valore di saturazione, oltre il quale si manifesta il fenomeno
della scarica elettrica: il campo applicato è troppo forte per tenere insieme gli atomi o le molecole,
le quali si ionizzano: gli elettroni a questo punto sono liberi di muoversi e la loro migrazione
avviene piuttosto bruscamente, dando vita al fenomeno macroscopico della scarica. L’intensità del
51
campo applicato per la quale si ha la scarica è detta rigidità elettrica ed è anche essa propria di ogni
sostanza.
1
E 0 e siccome il campo elettrico E 0
Come abbiamo visto, il campo risultante è dato da E =
εr
1
(esterno, nel vuoto) è proporzionale a
, ne consegue che per ogni dielettrico, il campo presente al
ε0
1
suo interno sarà proporzionale a
.
ε rε 0
Tutto quello che abbiamo visto fino ad ora in maniera semi-qualitativa, lo vediamo meglio dal
punto di vista più quantitativo, utilizzando le grandezze viste nei precedenti paragrafi e
introducendone di nuove, facendo attenzione a descrivere quello che accade nel dielettrico.
Consideriamo quindi di nuovo la figura:
All’interno del condensatore c’è un materiale dielettrico costituito da molecole polari, che
possiedono un momento di dipolo permanente (il discorso non cambia per molecole non polari con
dipoli indotti) e il campo elettrico provoca l’allineamento dei dipoli (trascuriamo l’agitazione
termica). Sperimentalmente si trova che la capacità di un condensatore ( C ) aumenta di un fattore
ε r e siccome la capacità e la carica sono legati e quest’ultima deve conservarsi: Q = CV = const ,
allora ne consegue che il potenziale deve diminuire di uno stesso fattore ε r ; siccome potenziale e
campo sono legati: V = − ∫ E ⋅ dl , anche il campo risultante deve diminuire di uno stesso fattore:
abbiamo ottenuto quello detto in precedenza. Analizziamo ora cosa accade all’interno del dielettrico
e come nasce il fattore ε r . Il campo induce tanti piccoli dipoli che si orientano secondo le linee di
forza, producendo come risultato netto una densità di carica superficiale detta carica di
polarizzazione. Consideriamo un cilindretto di area di base unitaria e altezza l ; Ogni atomo (o
molecola) corrisponde ad un dipolo e ad esso è associato un momento di dipolo: p = ql . Se
abbiamo N atomi per unità di volume, il momento di dipolo indotto per unità di volume sarà:
P = Nql dove q = modulo della carica del dipolo (la parte positiva o negativa) ed l è l’altezza del
cilindretto uguale all’altezza del dielettrico. A grandi distanze, il risultato netto che si ha da questo
momento di dipolo è uguale al valore che si avrebbe se si avesse un unico grande dipolo con cariche
superficiali + q pol e − q pol separate da una distanza l , cioè ptot = q pol l . La densità superficiale di
carica, indotta dal campo applicato, sarà data dalla carica totale di polarizzazione divisa per la
superficie del dielettrico sulla quale si trova la carica (cioè l’area (A) di una faccia del
condensatore). La carica di polarizzazione sarà data semplicemente dalla somma delle singole
cariche di ogni dipolo ( q ) e cioè: q pol = NqlA dove N= numero di molecole/atomi per unità di
52
volume, l = altezza del dielettrico, A= area superficiale, q= carica di un dipolo. La densità di carica
q pol
superficiale sarà quindi: σ pol =
= Nql . Questa è la densità di carica di polarizzazione presente
A
su una superficie del dielettrico immersa in un campo elettrico, risultato dell’allineamento dei
singoli dipoli molecolari/atomici e del loro contributo; il risultato macroscopico di tale
comportamento a livello microscopico è la presenza di una densità di carica superficiale.
Ricordando la relazione del momento di dipolo per unità di volume, troviamo che: σ
pol
entrambi uniformi. La presenza di una densità di carica superficiale di polarizzazione ( σ
risultato dell’esistenza di una densità di carica cosiddetta libera ( σ lib ) sulle armature del
condensatore; σ pol esiste perché esiste σ lib .
= P,
pol
) è il
Vediamo ora come varia il campo, il potenziale e la capacità, arrivando a definire anche il
coefficiente ε r .
Consideriamo la seguente figura e calcoliamoci, con la legge di Gauss, il campo elettrico attraverso
la superficie gaussiana in esame:
Applicando la legge di gauss, ottengo un’espressione di questo tipo (non la dimostriamo, vogliamo
solo far capire il ragionamento da seguire e da dove viene fuori e da cosa dipende ε r ):
Φ
E
=
∫
S
E ⋅ ndS =
∫σ
lib
dS
ε 0 (1 + χ / ε 0 )
= ε 0 (1 + χ / ε 0 ) EA = σ
lib
A e il campo (il modulo) è:
σ lib
1
; questa espressione è composta da due termini; il primo è quello classico visto
ε 0 (1 + χ / ε 0 )
nel caso del campo di un condensatore nel vuoto, mentre il secondo è proprio delle sostanze
dielettriche (aria compresa) e ci dice in qualche modo di quanto varia il campo elettrico con il
dielettrico al posto del vuoto (in particolare, di quanto si riduce il campo elettrico all’interno di
esso).
E=
Ora è facile calcolare il potenziale, che sarà dato da: ϕ = V = E b , dove b = distanza tra le armature
del condensatore (come visto in precedenza!) e quindi: V =
σ lib b
; la capacità sarà data da:
ε 0 (1 + χ / ε 0 )
Q σ lib Sε 0 (1 + χ / ε 0 ) 
χ  S
 ε 0 , cioè dal prodotto della capacità nel vuoto per un
=
=  1 +
V
σ lib b
ε 0  d

termine che tenga conto della presenza del dielettrico. Come possiamo notare, la capacità aumenta.
C=
53
χ
=
ε0
costante dielettrica relativa del materiale; il termine relativa deriva dal fatto che essa è calcolata
relativamente al valore della costante dielettrica del vuoto. ε è un numero puro e quindi χ ha le
S
stesse dimensioni di ε 0 . La capacità quindi diventa: C = ε r ε 0 e così in tutte le altre grandezze
d
possiamo introdurre la costante dielettrica relativa che è propria di ogni materiale.
Prima di andare a vedere le equazione dell’elettrostatica nella materia, è interessante analizzare un
caso particolare, in cui il momento di dipolo per unità di volume all’interno del dielettrico non è
costante e quindi non è costante la densità di carica superficiale di polarizzazione, in quanto:
σ pol = P = Nql ≠ const . Il fatto che σ pol non sia costante nel tempo implica che all’interno del
In generale χ dipende dal mezzo ed è chiamata suscettività elettrica e si definisce ε r = 1 +
dielettrico ho un moto di cariche (i dielettrici sono degli isolanti ma non esiste in natura un isolante
perfetto). Analizziamo brevemente questo moto di cariche; consideriamo una certa regione di
spazio all’interno del dielettrico dalla quale escono più particelle di quelle che entrano; la quantità
di carica che attraversa la superficie dS (cioè il flusso delle cariche di polarizzazione) è dato da:
dq pol = P ⋅ ndS con σ pol = P ⋅ n . Siccome la carica si conserva, alla carica che esce corrisponde una
diminuzione di cariche all’interno del dielettrico, data da: ∆ Q = − ∫ P ⋅ ndS =
S
∆Q=
∫ρ
V
pol
∫ρ
V
pol
dV in quanto
dV . Ora, applicando il teorema della divergenza ottengo due integrali sul volume, dai
quali posso estrarre le funzioni integrande e ricavare una relazione puntuale importante:
∫ P ⋅ ndS = ∫ ∇ ⋅ PdV = − ∫ ρ pol dV e quindi: ρ = − ∇ ⋅ P . La densità (volumica) di carica di
S
V
V
pol
polarizzazione è prodotta dalla variazione del momento di dipolo per unità di volume all’interno del
dielettrico e quindi dalla variazione della densità superficiale di carica di polarizzazione. Se tali
grandezze sono costanti, non ho densità volumica e il dielettrico si comporta come se non avesse
carica netta all’interno di esso (e questo si può giustificare pensando al modello dei dipoli allineati).
Nei casi visti fino ad ora abbiamo considerato il sistema condensatore (cioè campo inducente) +
dielettrico (campo indotto) e guardato solamente all’effetto globale che il dielettrico genera sul
campo elettrico prodotto dal condensatore. E’ utile, per avere le idee più chiare, analizzare, seppur
brevemente, come è fatto e quale è il valore del campo elettrico prodotto dal dielettrico polarizzato,
indipendentemente dall’intensità del campo che provoca la polarizzazione. Consideriamo quindi un
dielettrico polarizzato e analizziamo il campo prodotto solamente da esso. Abbiamo già visto che il
dielettrico assume il comportamento di due superfici di carica uguale e contraria, il cui valore
dipende dalla natura del dielettrico e dall’intensità del campo esterno, che per ora non consideriamo.
La disposizione di tali superfici di carica avviene per qualunque forma del dielettrico, sia esso un
parallelepipedo o una sfera ed esso si comporta esattemente come se al suo posto ci fossero delle
superfici conduttrici cariche. Anche il campo elettrico quindi, avrà lo stesso andamento. Nel caso di
un dielettrico posto tra le armature di un condensatore, la densità di carica superficiale che si viene a
formare, fa si che il dielettrico stesso abbia un comportamento uguale a quello di un condensatore:
la densità di carica produce all’interno di esso un campo elettrico costante (se la distanza tra i piatti
è piccola e trascurando gli effetti di bordo), il cui modulo è: E = 4π kσ pol ; allo stesso modo, il
campo elettrico prodotto solamente dal dielettrico, all’esterno di esso in un punto non troppo
distante, è nullo (basta applicare la legge di Gauss come fatto nel caso del condensatore); per
distanze maggiori e dielettrici non indefiniti, il campo assume la forma tipica di un dipolo.
Siccome la direzione è la stessa del campo prodotto dal condensatore nel vuoto, ma il verso è
contrario, possiamo affermare che il campo risultante prodotto da un condensatore con un
54
dielettrico (polarizzato) all’interno è minore di quello che si avrebbe nel vuoto di un fattore ε
che tiene conto del campo di polarizzazione prodotto da ogni dielettrico (che, entro certi limiti,
non dipende dall’intensità del campo polarizzante).
Il caso di un dielettrico sferico è leggermente diverso ma non troppo. Anche in questo caso
possiamo immaginare la sfera polarizzata possedere due densità di cariche superficiali di
polarizzazione: + σ pol e − σ pol poste su due sfere leggermente spostate l’una rispetto all’altra. Il
campo elettrico all’interno è uniforme, mentre all’esterno esso è il tipico campo di un dipolo
elettrico
55
Equazioni dell’elettrostatica con i dielettrici:
Dopo aver visto alcuni casi concreti, completiamo il nostro discorso allargandolo al caso più
generale possibile: descrizione del campo elettrico all’interno di un dielettrico, come risultato della
presenza di cariche libere (ioni all’interno del materiale, condensatori che producono il campo
polarizzante e così via) e cariche legate proprie del dielettrico, identificandole sempre con le solite
densità di carica ρ lib e ρ pol .
ρ
Nel vuoto abbiamo visto che la densità di carica genera il campo elettrico: ∇ ⋅ E = 4π kρ =
.I
ε0
materiali dielettrici sono i solito isolanti, ma anche negli isolanti si possono trovate (anzi, si
trovano) delle cariche libere o addirittura estranee (basti pensare agli ioni disciolti in acqua) oltre
alle cariche di polarizzazione indotte dalla presenza di un campo esterno. Nel calcolo del campo
prodotto da materiale polarizzato, dobbiamo tenere conto quindi di tutte le cariche elettriche, siano
esse “ospiti” nel dielettrico che quelle generatrici del campo polarizzante; l’equazione quindi

ρ lib + ρ pol ρ lib − ∇ ⋅ P
P  ρ lib
=
=
diventa: ∇ ⋅ E =
che si può scrivere come: ∇ ⋅  E +
.

ε
ε0
ε0
ε0
0 

Dall’esame dei campi elettrici a livello microscopico, eravamo arrivati alla conclusione che il
momento di dipolo è proporzionale al campo elettrico esterno applicato, e cioè: p = α E .
Considerando il dielettrico costituito dagli stessi atomi (o atomi/molecole con lo stesso
comportamento), anche il momento di dipolo per unità di volume sarà proporzionale al campo
elettrico applicato: P = α E = χ E (con α = χ ) e quindi l’equazione si può semplificare:

 
χ E  ρ lib
χ   ρ lib
  =
∇ ⋅ E+
=
∇ ⋅  E  1 +

 ∇ ⋅ ε ε 0 E = ρ lib

 ε0
ε
ε
ε0
0
0





A questo punto, per semplificare la relazione e inglobare le costanti ε ed ε 0 , possiamo definire una
(
)
nuova grandezza, detta vettore di induzione elettrica D = ε ε 0 E ; in questo caso la relazione diventa:
∇ ⋅ D = ρ lib . Questo risultato è valido tuttavia per casi particolari, quando il materiale polarizzato
considerato è omogeneo ed isotropo e ε non varia con il campo polarizzatore esterno.
Quello che a noi preme di capire è:
- la densità di carica totale ( ρ lib + ρ pol ) mi caratterizza il campo elettrico;
- il vettore induzione elettrica è caratterizzato dalla sola densità di carica libera e quindi, in
dielettrici classici (in cui generalmente trascuriamo le pochissime cariche libere presenti) il
suo valore resta costante all’interno di esso perché dipende solamente dalle cariche libere,
cioè dalle cariche che producono il campo polarizzante.
- La densità di carica di polarizzazione ( ρ pol ) mi fornisce il vettore momento di dipolo per
unità di volume o in altre parole, il vettore densità di polarizzazione. Il vettore densità di
polarizzazione P è definito solamente all’interno dei dielettrici polarizzati
56
Relazione tra i vettori E , D , P .
Il vettore induzione elettrica dipende solamente dalla densità di carica libera ed è quindi
indipendente dal materiale di cui è costituito il dielettrico e la relazione generale che lo lega agli
altri due vettori è la seguente: D = ε 0 E + P , indipendente dal tipo di materiale (e valida anche nel
vuoto). Per il vettore densità di polarizzazione e il campo elettrico (risultante, cioè quello prodotto
nel vuoto e quello di polarizzazione) si ha: P = ε 0 (ε − 1) E . Per sostanze omogenee ed isotrope il
vettore densità di polarizzazione è costante e quindi possiamo semplificare l’espressione del vettore
induzione elettrica: D = ε r ε 0 E , che nel vuoto vale D = ε 0 E perché il vettore polarizzazione del
vuoto non esiste (o in alternativa la costante dielettrica relativa è uno) (si vede inoltre che il valore
di D non dipende dalle cariche legate del dielettrico ed esso resta costante sia nel vuoto che
all’interno di esso, dove il termine ε r E ci restituisce esattamente il valore del campo elettrico nel
vuoto). Una breve analisi dimensionale ci svela le unità di misura di queste due nuove grandezze
nel sistema internazionale: [ D ] = [ P ] = C / m 2 , mentre [ E ] = N / C ; nel sistema cgs i tre vettori
hanno tutti la stessa unità di misura ( ues / cm 2 ).
In realtà l’esistenza di queste relazioni incrociate tra i tre vettori, ci dice che non tutti sono
essenziali al fine dello studio del comportamento di un dielettrico polarizzato; in particolare,
secondo alcuni, è proprio il vettore induzione elettrica ad essere superfluo. Il suo uso è comunque
giustificato da una maggiore comodità e semplicità nel capire il comportamento elettrostatico della
materia.
Passaggio da un dielettrico ad un altro:
Analizziamo (brevemente) cosa succede alle grandezze elettrostatiche quando devono attraversare
due dielettrici diversi. Considero quindi due dielettrici con proprietà diverse e cerco di spiegare
come si comporta il campo elettrico ponendomi sulla superficie di confine. Considero ora un
cilindro di altezza infinitesima h con basi ds ognuna su un dielettrico:
Calcoliamo ora il flusso del vettore di induzione attraverso le due superfici di base. E’ chiaro che
esso sarà nullo perché il dielettrico è nel complesso neutro: Φ D = D1 ⋅ ndS + D2 ⋅ ndS = 0 
Dn1 = Dn 2 ; ricordando le relazioni tra D ed E valide per materiali isotropi ed omogenei, possiamo
E1n ε 2
=
. Analizziamo ora come varia il campo elettrico
E2n ε 1
attraversando la superficie di confine tra i due dielettrici. Esso proviene dall’esterno con una certa
scrivere anche: ε 1 E1n = ε 2 E 2 n e quindi:
57
inclinazione, entra dalla superficie 2 ed esce dalla superficie 1. Siccome l’inclinazione di tale campo
è casuale, possiamo scomporlo in due componenti, una normale alle superfici di base e una
tangenziale. Consideriamo ora la superficie di confine e calcoliamoci la circuitazione del campo
elettrico sulla linea chiusa come in figura:
In modo simile al caso precedente, procediamo: il campo elettrico lungo una linea chiusa è sempre
conservativo, cioè la sua circuitazione è sempre nulla; in particolare possiamo scrivere una
relazione per le componenti tangenziali, che saranno uguali: E1t = E 2t . Come in precedenza,
tenendo conto delle relazioni tra i due vettori E e D : D1 = ε 0 ε 1 E1 e D2 = ε 0 ε 2 E 2 , possiamo
Dt1 ε 1
Dt1 Dt 2
=
=

. Quello che le formule viste ci dicono è che attraversando la
ε1
ε2
Dt 2 ε 2
superficie di confine tra due dielettrici, la componente tangenziale del campo elettrico resta la
stessa, mentre quella normale subisce una discontinuità (cioè un cambiamento improvviso); al
contrario, per il vettore induzione elettrica, la sua componente normale non cambia, mentre la
componente tangenziale subisce una discontinuità. Tenendo presente questi risultati e considerando
la seguente figura:
scrivere:
che rappresenta un caso generale in cui il campo elettrico deve attraversare le superfici di due
dielettrici, possiamo vedere qualitativamente il suo andamento, molto simile alla legge di rifrazione
per le onde elettromagnetiche (in realtà è la stessa legge in quanto la luce è composta da campi
elettrici e magnetici!). Dalla figura è facile vedere che:
E
E
tan θ 1 E1t E 2t ε 1
tan θ 1 = 1t e tan θ 2 = 2t ; dal rapporto si ottiene:
=
=
. Questa è la legge di
tan θ 2 E1n E 2 n ε 2
E1n
E2n
rifrazione per le lenti. Si vede che per angoli (rispetto alla normale) nulli (cioè nessuna componente
tangenziale), il campo non subisce discontinuità (rifrazione), come accade nel caso di un
condensatore a facce piane e parallele.
58
Corrente elettrica continua
Consideriamo un conduttore (una lastra) e immergiamolo in un campo elettrico:
le cariche elettriche (parte dei suoi elettroni) sono libere di muoversi e sotto l’azione del campo si
distribuiranno sulla superficie superiore, fino a stabilire un campo elettrico uguale e contrario a
quello esterno: il campo elettrico netto all’interno del conduttore in questo caso si annullerà e così si
annulla anche il flusso di cariche, giungendo alla situazione elettrostatica. Immaginiamo ora di
avere una macchina in grado di pompare via le cariche elettriche che si accumulano sulla superficie
superiore del condensatore e re-immetterle su quella inferiore; in questo modo il flusso di cariche
non si fermerà mai perché l’equilibrio tra i due campi elettrici non si raggiungerà e si instaurerà un
flusso netto e costante nel tempo (se è costante il campo esterno e il modo in cui gli elettroni
vengono pompati dalla superficie superiore a quella inferiore) di cariche elettriche.
Il moto delle cariche genera quella che si chiama corrente elettrica; questo è un tipo di moto viscoso
e molto lento (come vedremo), ma estremamente ordinato. Nel caso degli isolanti questo
movimento migratorio non c’è in quanto le cariche elettriche sono legate al reticolo
molecolare/atomico e non sono libere di muoversi come nei conduttori (principalmente metalli), o
meglio, la loro mobilità avviene su tempi scala molto lunghi.
Parlando in termini più fisici, possiamo definire corrente elettrica qualsiasi movimento di cariche
(ordinato) che avviene in un conduttore o nel vuoto: anche un protone che si muove nel vuoto
produce una corrente elettrica. E’ però importante notare che il movimento delle cariche, sia esso
nel vuoto o in un conduttore, è causato dall’esistenza di un campo elettrico che produce una
differenza di potenziale, ed è reso possibile dalla mobilità della carica stessa. Definiamo quindi la
dq
corrente elettrica il rapporto: i =
, cioè la quantità di carica elettrica che passa attraverso una
dt
certa sezione del conduttore nell’unità di tempo (il flusso è netto!). Nonostante sia uno scalare, essa
ha un verso che per convenzione coincide con il moto delle cariche positive (anche se in realtà sono
le cariche negative, cioè gli elettroni, a muoversi). Una grandezza vettoriale legata alla corrente
elettrica è il vettore densità di corrente ( J ) tale che la corrente elettrica è data dalla seguente
relazione: i =
∫ J ⋅ ndS . (
S
J è corrente per unità di area); la sua direzione e verso coincidono con il
moto delle cariche positive.
La solita analisi dimensionale ci da informazioni sulle unità di misura di queste nuove grandezze:
[ i] =  Q  = QT − 1 = C / s = A
T
SI:
[ J ] = QL− 2T − 1
[
[
]
]
59
Cgs:
[
]
 Q
1/ 2 − 1/ 2 − 1
−1
 T  = M L T LT = Frank / s = ues / s
 
[ J ] = M 1 / 2 L− 1 / 2T − 2 = Frank / s ⋅ cm 2
[i] =
[
]
Il passo successivo è capire come queste quantità macroscopiche siano legate a quantità
microscopiche come il numero di cariche e la loro velocità. Intanto, possiamo subito legare la carica
elettrica (Coulomb) al numero di elettroni (che poi sono le particelle che realmente si muovono):
1C
1C
ne =
=
= 6.2 ⋅ 1018 ; andiamo ora a vedere come collegare i e J a quantità come
− 19
e 1.602 ⋅ 10 C
N = numero di cariche elementari per unità di volume e < v > = velocità media delle cariche.
Considero un volume ∆ V all’interno di un conduttore attraverso il quale scorrono delle cariche:
All’interno di questo volume ∆ V di lato v ⋅ n∆ t = v∆ t cos θ , le cariche hanno tutte la stessa velocità
v e tutte attraversano la faccia laterale ∆ S in un tempo ∆ t . Il volume ∆ V è quindi dato da:
∆ V = v ⋅ n∆ t∆ S e il numero delle cariche racchiuse in esso sarà dato semplicemente da: ∆ n = N∆ V
e la carica totale: ∆ q = e∆ n  ∆ q = eN∆ V = eN v ⋅ n∆ t∆ S e la conseguente intensità di corrente
dq ∆ q
≈
= eN∆ S v ⋅ n ; siccome si ha anche: i = J ⋅ ndS = J ⋅ n∆ S , si ricava: J = eN v .
dt ∆ t
Abbiamo trovato quello che cercavamo, una relazione tra quantità macroscopiche ( i, J ) e quantità
sarà: i =
microscopiche ( N , v ), ma non conosciamo la velocità alla quale si muovono gli elettroni, per questo
dobbiamo cercare di ricavarla. In realtà le cariche all’interno del conduttore si muovono con
velocità diverse (è un moto viscoso); siccome non è pensabile considerare le velocità delle singole
∑ ni vi , con ni = frazione di
particelle, consideriamo un suo valore medio, così definito: < v > = i
N
N
60
cariche, per unità di volume, con velocità vi . Nel caso più generale in cui ho cariche positive e
negative in movimento, devo considerare la carica netta, che è quella che produce la corrente
elettrica; la densità di carica netta sarà quindi: J = N + q + < v + > − N − q − < v − > . Anche questa
relazione è un’approssimazione; in particolare abbiamo considerato solamente cariche positive e
negative uguali, ma in realtà posso avere ioni positivi di diversa carica o ioni negativi al posto degli
elettroni come portatori di cariche negative, ma per i nostri scopi (calcolo della velocità media)
questa approssimazione è più che accettabile. In generale, siccome si tratta di moto viscoso (e
quindi un moto uniforme sotto la presenza di una forza, quella elettrica, prodotta dal campo
elettrico), particelle più massicce avranno velocità minori, mentre quelle meno massicce (leggi
elettroni) avranno le velocità maggiori.
Per il calcolo delle velocità tipiche, consideriamo un esempio: prendiamo un conduttore di sezione
S = 1mm 2 = 1 ⋅ 10 − 6 m 2 attraverso il quale scorre una corrente i = 0.1A . Calcoliamoci ora la densità
di carica e quindi la velocità media degli elettroni, che consideriamo gli unici portatori di carica (nel
caso di buoni conduttori metallici questo è vero). Il modulo della densità di corrente si calcola
i
10 − 1 A
subito: J =
=
= 10 5 A / m 2 . Per calcolare la velocità media degli elettroni mi servono
−6
2
S 10 m
altre informazioni: il conduttore è di rame e al moto partecipano solamente gli elettroni liberi che
assumiamo essere 1 per ogni atomo del conduttore; conoscendo la densità del rame:
ρ Cu = 8.9 g / cm 3 = 8.9 ⋅ 10 3 Kg / m 3 e la massa di un atomo di rame: M Cu ≈ 1.06 ⋅ 10 − 25 Kg possiamo
calcolare facilmente il numero di atomi per unità di volume che sarà uguale al numero degli
ρ Cu
= 8.4 ⋅ 10 28 atomi / m 3 . La
elettroni che partecipano al moto per metro cubo: N e ≈ N Cu =
M Cu
velocità media di deriva si ricava dalla J = N + q + < v + > − N − q − < v − > considerando solo le
J
≈ 7.5 ⋅ 10 − 6 m / s , una velocità estremamente bassa!Per compiere un
−
Nee
x
≈ 37 h (!!), una velocità estremamente piccola,
metro, gli elettroni impiegano < t > =
< v>
cariche negative: < v > =
soprattutto se confrontata con la velocità di agitazione termica:
1
3
me < vt2 > = kT 
2
2
1/ 2
 3kT 
 ≈ 1.2 ⋅ 10 5 m / s (!!) ben 11 ordini di grandezza maggiore! La differenza
< vt > = 
m
 e 
fondamentale comunque non sta nella velocità, ma nel diverso ordine in cui avvengono i due moti.
La velocità termica, pur essendo migliaia di miliardi di volte maggiore, è un moto completamente
casuale, la cui risultante netta è sempre nulla, mentre il moto dovuto al campo elettrico, la corrente
elettrica, nonostante sia lentissimo, è molto ordinato e la somma delle 3 componenti spaziali di tutte
le particelle non è più nulla, con il risultato netto che si ha un reale flusso di particelle, sia pur
lentissimo confrontato con la velocità di agitazione termica.
61
Legge di Ohm:
Cominciamo un’analisi (breve) delle correnti elettriche a livello macroscopico, di come esse
scorrono e di quali sono le regole e le leggi a cui sono soggette a livello macroscopico. La prima
legge che incontriamo è di natura prettamente empirica e come tale la presentiamo.
Osservando il comportamento di conduttori attraversati da corrente elettrica, ci si accorse che
l’intensità della corrente che scorre nel circuito è legata alla differenza di potenziale; in altre parole,
ci si accorse empiricamente che aumentando la differenza di potenziale (la causa della corrente
elettrica) aumentava anche l’intensità di corrente risultante (l’effetto). La legge di Ohm afferma che
se tra due punti A e B di un conduttore è applicata una differenza di potenziale, allora l’intensità di
ϕ
V − V1
corrente elettrica nel conduttore è data da: i = 21 = 2
dove R è una costante di
R
R
proporzionalità chiamata resistenza; il suo valore dipende dal tipo di materiale e rappresenta la
resistenza che quel materiale oppone al passaggio di corrente: essa ci da informazioni quindi sulla
sua natura, in particolare sulla mobilità delle sue cariche. Le unità di misura sono:
ϕ 
SI: [ R ] =   = Ω = Ohm
 i
ϕ 
−1
Cgs: [ R ] =   = L T = s / cm
 i
Sempre empiricamente si è trovato che la resistenza è legata alla geometria e composizione del
l
l
conduttore: R = ρ
dove l = lunghezza, S = sezione e ρ = resistività. Il rapporto
dipende
S
S
unicamente dalla geometria del conduttore, come nel caso della capacità di un condensatore, mentre
ρ dalla sua composizione chimica; le unità di misura della resistività sono:
 RS 
SI: [ ρ ] = 
 = Ωm
 l 
 RS 
Cgs: [ ρ ] = 
 = [T ] = s
 l 
Possiamo anche definire una diversa grandezza, detta conducibilità elettrica o conduttanza
1
specifica: σ =
.
ρ
La resistività ρ vale di solito ρ ≈ 10 − 8 per i metalli e ρ ≈ 1011 − 1015 per gli isolanti. In effetti si
può dimostrare che esiste un collegamento tra ρ e la viscosità di un certo fluido, come già intuito, e
come si può ben vedere analizzando il suo valore nei metalli e negli isolanti. Essa dipende anche
dalla temperatura, con una dipendenza di questo tipo: ρ = ρ 0 [1 + α ( T − T0 ) ] con ρ 0 = resistività alla
temperatura standard di 293°K e α ≈ 10 − 2 − 10 − 3 . Come possiamo vedere, a basse temperature, la
resistività diminuisce; a temperature molto basse il suo valore è molto minore di 1 e la conseguente
resistenza tende a zero: questo è il caso della superconduttività.
[
]
62
Legge di Ohm generalizzata:
Andiamo ad analizzare brevemente, con le conoscenze in nostro possesso, come ricavare la legge di
Ohm in modo più generale e soprattutto come legare l’effetto, cioè la corrente elettrica, alla vera
causa, che non è il potenziale elettrico, ma il campo elettrico; cerchiamo cioè di legare direttamente
J ed E . Consideriamo un conduttore come in figura:
Quello che già sappiamo è:
1) di = J ⋅ ndS
dl
2) R = ρ
dS
dV
= −∇ V
3) E = −
dl
dV
4) di =
R
E’ proprio quest’ultima relazione, la legge di Ohm empirica, che consente di ricavarci le relazioni
dV EdldS dS
dS
=
=
E ma si ha: di = J ⋅ ndS e quindi: J ⋅ ndS =
E
tra J ed E ; infatti si ha: di =
R
ρ dl
ρ
ρ
. Analizzando queste relazioni, in particolare quelle che ci forniscono di , appare evidente che esiste
una proporzionalità tra le componenti normali di J e di E : E n = ρ J n ; in realtà questa relazione è
valida nel caso più generale, e cioè esiste una proporzionalità tra J ed E (verificabile
1
sperimentalmente): J = σ E dove σ =
è in realtà un tensore. Questa legge è di natura
ρ
sperimentale perché è stata ricavata dalla legge di Ohm empirica e in effetti non può essere ricavata
dalle leggi fondamentali dell’elettromagnetismo a meno di non ricorrere ad un modello di
conduzione elettrica nella materia. La sua validità è comunque accertata da numerosi esperimenti ed
ora siamo in grado di capire chi è il responsabile della corrente elettrica; infatti, senza andare nei
particolari, una semplice analisi delle relazioni viste, ci può dare molte informazioni a riguardo.
Abbiamo visto che tra J e le grandezze microscopiche, esiste la relazione: J = eN v ma allo stesso
tempo il vettore densità di corrente è proporzionale al campo elettrico, il quale a sua volta è
proporzionale alla forza: J ∝ E ∝ F ; allora si ha: J ∝ v ∝ E ∝ F e quindi v ∝ F , che è il tipico
caso di un moto viscoso; abbiamo quindi la prova che le cariche si muovono di moto viscoso
all’interno del conduttore.
dq
dV
> 0 quando
< 0 , cioè la carica positiva si muove nella direzione in cui il
(occhio ai segni;
dt
dl
potenziale diminuisce).
63
Correnti stazionarie e conservazione della carica:
Il vettore densità di corrente è definito in ogni punto dello spazio in cui avviene il moto delle
cariche, in analogia con il campo elettrico; in un certo senso anche J produce un campo, le cui
linee di forza sono tangenti in ogni punto al vettore stesso e ci indica come varia la densità dei
portatori di carica in ogni punto dello spazio al variare del tempo. Una situazione molto facile da
studiare è quando il vettore J è costante nel tempo; in questi casi è facile capire come il suo flusso
su una superficie chiusa sia sempre nullo (tanta densità di corrente entra da una parte quanta ne
esce dall’altra): Φ J = ∫ J ⋅ ndS = 0 . Procedendo allo stesso modo del caso del campo elettrico,
S
applichiamo il teorema della divergenza e ricaviamoci la relazione puntuale (ma con un risultato
diverso!): Φ J = ∫ J ⋅ ndS = ∫ ∇ ⋅ J dV = 0 e quindi: ∇ ⋅ J = 0 . Questo è valido nel caso stazionario,
S
V
∂J
= 0 ) e se il campo elettrico è conservativo, cioè se non ha
∂t
vortici: ∇ × E = 0 ; il campo in questo caso di dice solenoidale. In questo caso particolarmente
semplice è evidente che la relazione del vettore densità di corrente ci da anche la conservazione
della carica elettrica; ricordando infatti che J = eN v si vede che tanta carica entra in una certa
superficie chiusa, tanta ne esce: essa si conserva (anche il fatto che il campo elettrico è conservativo
è condizione necessaria).
Nel caso più generale di correnti non stazionarie, possiamo ricavarci ugualmente la legge di
conservazione della carica elettrica; in questo caso il vettore J dipende da t ( J = J ( t ) ) , ma allo
stesso tempo è legato direttamente alla carica elettrica; questo significa che la differenza di flusso
entrante ed uscente da una superficie chiusa, nell’unità di tempo, corrisponde ad una variazione
temporale della carica elettrica q che si trova all’interno della superficie S; in altre parole:
∂q
Φ J = ∫ J ⋅ ndS = −
; (relazione integrale); applicando il teorema della divergenza ed estraendo le
∂t
S
cioè quando J è costante nel tempo (
funzioni integrande, ricavo le relazioni puntuali (o differenziali): ∫ ∇ ⋅ J dV = −
V
∂
ρ dV =
∂ t V∫
∫
V
∂ρ
dV
∂t
∂ρ
con S = superficie chiusa e volume arbitrario; ricaviamo quindi: ∇ ⋅ J =
= legge di
∂t
conservazione della carica elettrica: nessuna carica elettrica può allontanarsi da un certo punto
dello spazio senza che in quel punto non vi sia una diminuzione di carica.
64
Altre leggi sperimentali:
Analizziamo brevemente altre leggi e proprietà di natura sperimentale sulle correnti continue,
particolarmente utili nel caso dei circuiti elettrici.
I generatori elettrici e la forza elettromotrice:
in un circuito, sono degli oggetti che producono e mantengono costante (nel caso di correnti
stazionarie e condizioni ideali) la corrente all’interno di un circuito, generando la cosiddetta forza
elettromotrice (fem). Abbiamo infatti visto che applicando un campo elettrico tra gli estremi di un
conduttore si instaura una differenza di potenziale e un conseguente moto di cariche che cercano di
annullare tale ddp. In effetti se non ci fosse un macchinario che pompi le cariche e le re immetta
dall’altra parte, il campo elettrico e quindi il flusso di cariche si esaurirebbe in pochissimi istanti,
quando le cariche raggiungono l’equilibrio. I generatori elettrici hanno il compito di prendere le
cariche (negative) accumulate in un capo del circuito ed immetterle nell’altro capo dove sentono il
campo elettrico e riprendono a scorrere, cioè quello di mantenere una differenza di potenziale ai
capi del circuito. Più specificatamente si dice che i generatori elettrici producono delle forze
elettromotrici ( fem ); comuni generatori di fem sono le batterie che tutti noi utilizziamo nella vita
quotidiana.
L’unità di misura della fem è la stessa del potenziale e cioè il Volt ed essa è più propriamente un
dL
lavoro per unità di carica: f =
(infatti anche il potenziale è definito in questo modo!). Per
dq
generare corrente continua si utilizzano generatori e accumulatori; un generatore ideale è quello che
riesce a fornire ai suoi capi una fem indipendente dalla corrente erogata e costante nel tempo, senza
avere dissipazione di energia all’interno di esso (cioè con resistenza interna nulla); il suo simbolo
circuitale è
. In realtà non esiste in natura un generatore ideale e parte della corrente
elettrica viene dissipata all’interno del generatore stesso; in questo caso è più realistico considerare
65
il generatore reale come costituito da un generatore ideale al quale è accoppiata una resistenza:
Il lavoro che compie il generatore è quindi, come si vede anche dalla figura, quello di raccogliere le
cariche positive (consideriamo per convenzione le cariche positive come portatori,ma il discorso
non cambia) dal morsetto negativo ( V− ) a quello positivo ( V+ ) compiendo lavoro; in altre parole
esso preleva le cariche positive da un livello di potenziale basso per portarle ad un potenziale più
alto; le cariche positive a questo punto cominceranno a scorrere di nuovo nel circuito, verso il punto
a potenziale più basso
La forza elettromotrice si misura con uno strumento chiamato voltmetro elettrostatico.
Legge di Joule:
La legge di Joule afferma che il passaggio di corrente attraverso qualsiasi elemento circuitale
produce dissipazione di energia sottoforma di calore. La causa di tale perdita di energia è da
ricercarsi nel moto viscoso dei portatori di carica all’interno del circuito, incontrando quindi una
certa resistenza al loro moto; è facile intuire che maggiore sarà la loro velocità, maggiore sarà la
resistenza del materiale al loro moto, maggiore sarà quindi l’energia dissipata per effetto Joule (che
altro non è l’attrito dei casi macroscopici). In altre parole, siccome abbiamo visto che la velocità
dipende dalla differenza di potenziale applicata, maggiore è il potenziale, maggiore sarà la
dissipazione per calore: dW = Vdq = Vidt . La conseguente potenza dissipata è semplicemente
dW
= Vi = Ri 2 la cui unità di misura è il Watt
l’energia dissipata nell’unità di tempo e quindi: P =
dt
 [ J / s] = W .
Leggi di Kirchhoff:
Tali leggi sono particolarmente utili nell’analisi di circuiti:
Legge dei nodi (prima legge); essa afferma che la somma algebrica di tutte le correnti che fluiscono
in un nodo è sempre nulla: ∑ i j = 0 ; questa non è altro che l’espressione del principio di
j
conservazione della carica. Si definisce nodo un punto in cui convergono almeno due rami del
circuito:
Il segno scelto per la corrente è arbitrario; l’importante è che si considerino discordi correnti
entranti ed uscenti.
66
Legge alle maglie (seconda legge): in ogni maglia di un circuito la somma algebrica delle fem è
uguale alla somma dei prodotti dell’intensità di corrente per la resistenza; in altre parole:
∑ femk = ∑ R j i j , cioè la somma algebrica delle differenze di potenziale deve essere nulla.
k
j
Questa è la conseguenza diretta del campo elettrico conservativo ( ∇ × E = 0 ) (e della conservazione
dell’energia). Si definisce maglia un qualsiasi ramo di circuito chiuso e anche in questo caso il
verso scelto per la corrente è arbitrario.
Modello semplice di conduzione elettrica nei metalli:
Analizziamo brevemente come sia possibile, a livello microscopico, la conduzione, cioè il
passaggio di carica elettrica nei metalli. Dalle analisi ai raggi X sappiamo che essi hanno una
struttura microcristallina e definiamo il reticolo cristallino come l’insieme delle posizioni di
equilibrio degli atomi in un cristallo. Nei conduttori ho circa un elettrone libero per ogni atomo
(questo è vero soprattutto per il rame) ed essi si muovono negli interstizi tra gli ioni positivi in
modo caotico e disordinato (agitazione termica) e in modo ordinato lungo le linee di forza del
campo elettrico, con un moto piuttosto lento. Per ogni elettrone possiamo quindi fare un’analisi
qualitativa del suo moto all’interno del reticolo cristallino: come abbiamo già visto il campo
elettrico produce una ddp che accelera le cariche: l’elettrone, sotto l’effetto del campo elettrico,
viene accelerato, ma subito subisce un urto con le particelle del reticolo perdendo energia e
trasferendola alle altre particelle. Successivamente però esso viene di nuovo accelerato dal campo
ma subisce un nuovo urto e perde ancora parte della sua energia, poi ancora un’accelerazione e
ancora un urto, con il risultato netto che il suo moto, osservato su un tempo lungo e a bassa
“risoluzione”, appare uniforme. Analizzando il tutto più quantitativamente, abbiamo:
67
1)
∑ (v )
T i
i
= 0 , cioè la somma delle componenti delle velocità termiche è nulla
2) i = J S = − N e e < v e > S (il verso della corrente è opposto a quello della carica positiva, ecco
perché il segno meno)
3) tra due urti, il moto causato dal campo elettrico è accelerato: < ve > = a < t > , dove < t > è il
tempo medio tra due urti consecutivi.
F
eE
=
Applichiamo ora la seconda legge di Newton, considerando solo i moduli dei vettori: a =
m e me
 < ve > = a < t > =
2
eE
< t > . Ricaviamo il vettore densità di corrente: J = − N e e < t > E ma
me
me
sappiamo anche che: J = σ E e quindi possiamo ora ricavarci σ cioè la conducibilità elettrica.
Questo è il risultato che volevamo ottenere: legare grandezze microscopiche e macroscopiche
utilizzando un semplice modello di conduzione:
Nee2 < t >
σ = −
. Come avevamo già detto in precedenza, σ dipende dal materiale ed ora ne
me
abbiamo la prova quantitativa.
Limiti di validità della legge di Ohm:
La legge di Ohm, che ricordiamo afferma la proporzionalità tra il potenziale e la corrente che scorre
in un circuito, non è sempre valida; vediamo alcune situazioni:
1) Campo elettrico esterno relativamente intenso, nell’ordine di 10 4 V / cm e libero cammino
medio tra due urti consecutivi relativamente grande (dell’ordine di 10 − 6 cm ). In questo caso,
la combinazione di un campo forte e di un grande cammino medio, fa si che l’energia
acquisita dagli elettroni tra due urti diventi confrontabile con quella termica, con il risultato
netto che il tempo medio tra due urti diventa funzione del campo elettrico esterno (
< t > = f E ) e la conducibilità non è più una costante: questa è una tipica situazione di un
gas ionizzato a bassa pressione.
2) Campo elettrico esterno molto forte, maggiore di 10 4 V / cm . In questo caso l’energia
acquisita dagli elettroni tra due urti successivi è maggiore dell’energia di ionizzazione degli
atomi urtati: gli elettroni, urtando gli altri atomi, li ionizzano, producendo altri portatori di
carica. Il processo prosegue a cascata, producendo moltissimi nuovi portatori e la legge di
Ohm non è più valida (essa prevede un numero di portatori di carica costante): il caso tipico
è la scarica a scintilla in un gas.
3) Campo elettrico esterno applicato per un tempo molto breve, confrontabile con il tempo
medio tra due urti.
Esistono molti altri casi in cui la legge di Ohm non è valida, o meglio in cui si ha conduzione non
Ohmica.
()
68
Sommario di elettrostatica:
Siamo giunti alla fine della trattazione dell’elettrostatica, ed è utile fare un breve riepilogo sulle
equazioni che ci servono per descrivere la totalità di situazioni incontrate nel corso delle precedenti
pagine.
-
∇ ⋅ E = 4π kρ ; questa relazione è sempre valida e deriva dalla legge di Gauss
-
∇ × E = 0 . Questa relazione è valida solo in elettrostatica: essa ci dice che il campo elettrico
è conservativo e deriva dal teorema della circuitazione
Da: ∇ ⋅ E = 4π kρ ricavo: ∇ 2ϕ = − 4π kρ = equazione di Poisson; se la densità di carica è
-
-
nulla: ∇ 2ϕ = 0 (equazione di Laplace)
dq
i=
= intensità di corrente e: i = ∫ J ⋅ ndS con J = densità di corrente (vettore)
S
dt
l
V − V1 ϕ 2 − ϕ 1
i= 2
=
= legge di Ohm, dove R = ρ = resistenza, e ρ = ρ 0 [1 + α ( T − T0 ) ] =
S
R
R
resistività
La velocità media degli elettroni sottoposti ad un campo elettrico E all’interno di un
−5
conduttore è dell’ordine di: < v e > ≈ 10 m / s , mentre quella casuale dovuta all’agitazione
5
termica è: < vT > ≈ 10 m / s .
-
-
-
1
J = σ E = legge di Ohm generalizzata, con σ = ρ
Gli elettroni in un conduttore si muovono di moto viscoso; questo moto provoca
trasferimento di energia dagli elettroni alle particelle che essi urtano durante il loro
cammino, determinando dissipazione di energia sottoforma di calore (effetto Joule)
∂ρ
Legge di conservazione della carica: ∇ ⋅ J = −
: nessuna carica elettrica può allontanarsi
∂t
da un certo punto dello spazio senza che in quel punto vi sia una diminuzione di carica.
dL
fem =
dq
Leggi di Kirchhoff: 1: ∑ i j = 0 e 2: ∑ femk = ∑ R j i j .
j
k
j
69