GLI ARCHI DI PORTA NUOVA IN M IL A N O MEMORIA d e l l a CONSULTA DEL MUSEO PATRIO d’ a r c h e o l o g i a MI LANO Progr. 6106 L za A SOCIETÀ COOPERATIVA d e l c a r m in e , 4 1 8 6 9. OSVALDO LISSO N I R. Ispettore onorario dei monumenti, degli scavi ed Oggetti di antichità e d ’arte. GLI ARCHI DI PORTA NUOVA IN M IL A N O DELLA CONSULTA DEL MUSEO PATRIO D’ A R C H E O L O G IA ip.della Società Cooperativa, ecc ALLA GIUNTA MUNICIPALE DI MILANO La Consulta del Museo patrio d’archeologia, interrogata nel 1867 dall’onorevole Giunta Municipale di Milano (1) intorno all’importanza storica dei vetusti archi di Porta Nuova, rispon­ deva con una sua breve relazione (2) che quegli archi e le vi­ cine torri costituiscono nel loro insieme uno dei 'più importanti monumenti della nostra città. E bastò allora questa p aro la, perchè la dimanda della loro demolizione o modificazione non fosse accolta. Poiché oggi, senza che appaiano mutate le circo­ stanze d’altra volta, si ridesta forse ancor più viva la questione nel pubblico e nel seno della rappresentanza cittadina, la Con­ sulta, che ha il dovere di vegliare alla conservazione dei mo­ numenti patrii, non può dispensarsi dal ripetere quanto ha già detto. E siccome le rinate esitanze accennano al bisogno di un giudizio più autorevole, essa crede debito suo di racco­ gliere in brevi pagine le principali ragioni della storia e del­ l’arte, che altravolta le hanno suggerito, e oggi la riconfermano nel suo voto. (1) Nota 2 Aprile 1867. N. 13126191 Div. III. (2) Nota 9 Maggio 1867. N. 40. — 4 — Tutti gli scrittori di storia patria attestano che due fu­ rono i patti fondamentali della Lega lombarda: una sacra fe­ derazione di ventitré città, a mutua e solidale loro difesa: l’iniziativa e la cooperazione della Lega nel riedificar Milano, distrutta dall’imperator Federico (1) . — Non più di venti giorni dopo il congresso di Pontida, il patto ivi sancito era confermato da un grande avvenimento. I Milanesi, peggio che esuli per cinque anni, a pochi passi dalle loro mura, erano il 27 aprile 1167 scossi dalle trombe delle milizie confederate che li chiamavano a raccolta, e li riconducevano, protetti dalle loro bandiere, nella deserta città. Era legge dei condottieri romani, doversi prima munire il campo , poi drizzar gli accampamenti. I sagaci ministri della Lega, seguendo questa tradizione, affrettarono prima d’ ogni altra cosa le opere di circonvallazione, e precinsero un’ area, ancora tutta ingombra di ruine, con un ampio fossato , cui faceva baluardo dalla sponda interna un terrapieno a scarpa (,terraggio) (2). Il lavoro, che fu lungo ma non interrotto, s’avviò al suo compimento nel 1171 , allorquando agli accessi della città provvisoriamente difesi da palizzate e da castelli di legno (palancatum), si sostituirono archi di pietra, coronati da para­ petti e fiancheggiati da torri (bertesche o baltresche). — Una lapide, custodita nel Museo patrio, ricorda l’ anno di questa fondazione, il nome dei consoli reggenti la città, quelli dei preposti alla fabbrica e dell’architetto. Milano deve alla Lega lombarda, oltre la vita, la coscienza della propria forza (3). I suoi cittadini, che languivano mise­ ramente nelle borgate suburbane, e non erano riusciti a stan­ care le vendette del nemico, mostrando ad esso e a tutti le P) Morena , pag. 1133. S igonio , lib. x iv . T r is t . Calchi, lib. xi. (2) Acta S. Gtaldinì pag. 594. T osti , La Lega Lombarda, iv, 331. Vig n a ti, Storia diplomatica della Lega Lombarda, (3) • • • • “ Gli stessi Tedeschi ebbero allora di che imparare dai Lom­ bardi n scrive il Muratori. Ani. ital. Diss. xxvr, pag. 348. — 5 — loro piaghe insanabili (1), non appena ebbero un fosso, e dei soldati a guardarlo, videro crescersi intorno uno stuolo d ’amici e di ammiratori. Mentre le milizie confederate tenean fronte alle scorrerie della retroguardia del nemico e snidavano gli impe­ riali da Lodi e dalla rocca di Trezzo, mentre Federico, sgomen­ tato ancor più dallo spettacolo dell’insolita nostra concordia,, che dalla peste entrata nel suo esercito, si ritirava per la via più sicura in Germania, Emanuele Comneno, imperatore di Costanti­ nopoli, faceva a Milano ed alla Lega generose offerte di denaro e d’aiuto; ed Enrico, re d’Inghilterra, voleva prender parte alla riedificazione della città, promettendo, dice il Baronio, tre mila marchi pel restauro delle sue validissime mura (2). Colla fama della Lega erasi dunque diffusa ben lungi quella del rinato Comune: il quale, a rassodar l’opera della sua novella libertà, rifiutò, se crediamo al Giulini, il malfido soccorso straniero, pago di quanto eragli dato, a più nette condizioni, dalle città sorelle. Ora se gli Italiani di ventitré cospicue città (3) concorsero a rialzare, communi auxilio, le mura di Milano, come afferma la cronaca di Crotone (4), e se, al dir del Fiamma (5) e del Mu­ ratori (6), in questa nobile impresa si fecero in particolar modo benemeriti col sussidio delle braccia i cittadini di Brescia e di Cremona, col denaro i Veneziani, il papa Alessandro III e il re di Napoli , ci sarà lecito concludere che i frammenti di un’opera decretata dalla Lega e compiuta da tante e si diverse (1) O quanlus clam or , qm ntus tim or , quantus Jletus in B urgis Noxedae et Vegentinil Nemo erat, qui aucleret in lectum intrare.... S ire R aul . (2) Promittens Mediolanensihus trìa millia marcharum ad murorum suorttm validissimam reparationem. C. Baronio , citato dal Giulini all’anno 1169. (3) Le città che, secondo il Morena, in simul unum corpus effectae sunt, erano, oltre Milano, Cremona, Lodi, Bergamo, Ferrara, Brescia, Mantova, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Venezia, Bologna, Rimini, Modena, Reggio, Parma, Piacenza, Bobbio, Tortona, Vercelli e Novara. (4) Citata dal Giulini. Memorie della città e campagna di M ilano , al­ l’anno 1171. (5) G alv . F lamma . Cap. 892. (6) Antichità italiane. Dissertazione x l v iii . — 6 — forze, sieno qualcosa più che un edificio cittadino, ed abbiano indole e pregio di monumento nazionale. Lasciando da parte la questione sul numero e sui carat­ teri delle porte e delle pusterle, a noi basta il poter ricordare che quella in discorso è l’unica superstite delle porte bifore, cui mettevano capo le più importanti vie della città. Quella di Porta Romana, che era la più grandiosa, venne demolita nell’anno 1792; l’altra di Porta Orientale nel 1819. Se poi si osserva che Milano nelle successive sue guerre riuscì a tenere in soggezione il nemico, ed a risparmiare ai suoi abitanti i disastri delle invasioni e degli assalti, dovremo convincerci essere un tal sistema di difesa, che per noi sarebbe di niuna efficacia, quanto di meglio si sapesse fare a quei tempi nell’arte delle fortificazioni. Lo stesso Francesco Sforza, nel 1450, rispettò le nostre mura; e appunto la Porta Nuova, destinata all’ ingresso del capitano vittorioso, lo vide impensierito ed esitante, come se ivi ancora dubitasse della propria fortuna. Quando infatti, dopo due anni di libertà tumultuosa, dopo un assedio di pa­ recchie settimane, e una morìa di molti giorni, la città nostra, perduta la fede in Dio e negli uomini, abbassò lo stendardo di sant’ Ambrogio , un ultimo lampo d’ audacia repubblicana brillò ancora sulla soglia di Porta Nuova (1). Quivi un Trivulzio, alla testa di una schiera di cittadini, affrontò il vincitore, ed essendo, dice il Corio, l’entrata impedita di molta materia, osò negargli il passo, se prima non avesse sottoscritto i patti della capitolazione. Le parole, che lo stesso Corio attribuisce allo Sforza, ci attestano che la resistenza fu valida, e che la infelice Repubblica Ambrosiana, sì poco bene vissuta, qui seppe almanco morire eroicamente (2). (1) R osmini. Dell'Istoria, di Milano, voò. II, pag. 451. — Bianchi G io v in i , Da Repubblica, Ambrosiana, pag. 162. (2) . . . il Conte se m ise a Gaspare (di Vimercate) et disse: se io hauessi saputo questo, io non sarei venuto fin q u i , anzi hauerei facto altro proponi­ mento. B. Corio , Storia di Milano, 1450. — 7 — La storia di questo monumento si lega fino ad oggi a quella della nostra libertà. Nel 1848 gli archi di Porta Nuova hanno degnamente fatto la loro parte nella rivoluzione delle cinque giornate. E ben lo ricordavano i comandanti austriaci, i quali fecero sempre ottima accoglienza al progetto cittadino di sgombrar l’area su cui sorgono, e con una logica stringente, ma tutt’ altro che benevola per noi, ne propugnarono (1851, 1853), la vagheggiata demolizione (1). Dobbiamo essere grati alla stampa cittadina e all’autorità della scienza, se il governo imperiale, respinse, in omaggio alla storia, un progetto nato da una fortuita, ma troppo mostruosa, alleanza (2). A chi dicesse, che nessun pregio ¡storico può cancellare il peccato originale dell’ arte, e fare parer bella un’opera di rozza e disadorna apparenza, si risponde che anche 1’ arte ha la sua istoria; e che è dal punto di vista di questa storia che si considerano monumenti pregevolissimi la porta etrusca di Volterra, le mura di Fiesole, la fronte del palazzo di Teodorico a Ravenna ecc. Per certo, in confronto alle gracili e leziose forme dell’ architettura odierna, un edificio militare, sorto in pieno medio evo, dovrà parere grossolano e pesante ; ma egli sarà quello che deve essere per chi tien conto dell’ epoca a cui appartiene , dello scopo pel quale fu eretto, e delle vi-(*) (1) 1851, 24 Novembre. La Luogotenenza di Lombardia eccita l’Ammi­ nistrazione civica a deliberare sull’acquisto del fondo Dugnani, sull’allar­ gamento del ponte, e sulla demolizione dei Portoni. A tti Municipali1853, 31 Maggio. Essendosi eletta una Commissione, perchè dicesse il suo parere intorno al valore storico dei Portoni, e alla convenienza di con­ servarli, l’I. E. Delegato provinciale non lasciò di far precedentemente sen­ tire ai membri di essa doversi per viste d'ordine pubblico e per necessità m ilitari spazzar via quell ’ ingombro. La Commissione, nondimeno, propose che venissero conservati. A tti Municipali. (2) 1856, 7 Ottobre Visto l'interesse mostrato dalle persone dotte pei suddetti archi, la I. R. Luogotenenza ne conferma la conservazione, purché si prov­ veda al riordinamento della via e del ponte ecc. A tti Municipali. — 8 — cende che ha attraversate. Noi non cercheremo il bello e l’ag­ gradevole ad un’ opera che dovrebbe aver guadagnato le no­ stre simpatie per rivelazioni di più alta importanza. In parti­ colare poi, quanto a codesto monumento, cui si vuole far colpa d’esser sorto in un secolo di ferro, osserveremo che la infe­ lice condizione dei tempi non aveva mai fatto dimenticare le indeclinabili leggi della difesa ; e che essendo 1’ arte della guerra, dai Romani fino all’ epoca delle compagnie di ventura e dell’invenzione della polvere, governata da regole e da ne­ cessità pressoché invariabili, dovettero le opere fortilizie del medio evo conservare l’indole severamente pratica delle co­ struzioni militari romane. Dire barbaro il nostro monumento è pertanto portare l’ accusa molto addietro e molto in alto; è censurare non pochi edificj de’ bei tempi dell’ impero, modelli ancora visibili di una struttura elementare molto si­ mile a quella che noi condanniamo. La Porta Romana di Segni, per esempio, è bifora, con doppio sperone quadrilatero e sporgente a guisa di torre mozza, come la nostra. Aperta a triplice ingresso è la Porta d’ Aosta, ed ha torri quadrate, poste sulla fronte esterna dell’ edifìcio, e più basse di essa; come vediamo tra noi. Non dissimile è la Porta d’ Augusto a Fano, che ha un grand’arco e due piccoli, ed è fiancheggiata da torri semicircolari. E similmente turrite sono la porta Appia, la Latina, e 1’ Ostiense di Roma (1). Ma non diremo nemmanco che il nostro monumento sia una servile imitazione dell’ architettura romana. Se in più di dieci secoli l’arte della guerra fece sì pochi progressi da im­ porre alle opere di difesa struttura e proporzioni quasi uni­ formi, questa necessità non impedì che gli edificj assumessero ne’ caratteri apparenti il gusto del loro secolo. Come gli ac­ cessi, gli archi esterni, e le torri di Porta Nuova ricordano i(*) (1) Vedi Canina . Architettura romana. Monumenti. Tav. IV B, V B, VII,. XI e XII. — 9 — citali monumenti romani, così i fregi, le cornici, 1’ alterno color delle fascie accennano al gusto dell'arte lombarda; e la porta di soccorso (ora compenetrata nell’ accesso alla torre posta a ponente) le altane, e le saracinesche sono accessorii che hanno il carattere dell’ epoca feudale. Ma v’ ha di più. Chi guarda il monumento dall’ interno della città, scorge che il suo autore, là dove si sentì svincolato dalle consuete discipline, lasciò sfogo al capriccio d’artista. Tracciando in piccolo spazio Tuno sopra l’altro il triplice modello dell’arco, a tutto centro, acuto e scemo , egli non solo volle raccogliere in un unico esemplare quanto era in uso al suo tempo , ma accennò ad un’ arte nuova e forse ancora ignota tra noi. Nell’ ardua e non ben chiara questione sull’origine dell’architettura ogivale, le vòlte di Porta Nuova devono essere citate a far testimo­ nianza che l’arco acuto ci era balenato agli occhi prima che i reduci dalla terza crociata (1187) ce lo importassero dagli arabi, come vorrebbero taluni; e che il suo concetto è ante­ riore al disegno del Palazzo della Ragione nel Broletto Nuovo, costrutto nel 1228, ed al restauro della cadente vòlta della Basilica di S. Ambrogio, eseguito in forma archiacuta verso l’anno 1197 (J). Nell’estradosso degli archi di Porta Nuova pro­ spicienti la città, il concetto della vòlta acuta è tradotto in un contorno vigorosamente segnato dal profilo superiore delle pietre cuneiformi che si rinserrano intorno all’ arco. Si direbbe che il costruttore, prima di offrirlo come un tipo di statica §olidità, abbia voluto farne conoscere la leggiadria e gl’intenti. Per queste ragioni, e per essere la Porta Nuova esem­ plare d’ una architettura che vorrebbe sottrarsi alle vecchie norme e cercare le ragioni del nuovo e dell’intentato, G. B. L. Seroux d’Agincourt, nella sua storia dell’arte, ne ritrae il(*) (1) Puricelli, (Monum. Basii. Amiros.) Questa sotto-vòlta venne rimossa dal recente restauro, che rintracciò e consolidò la vòlta a tutto centro dell’ originaria costruzione. — 10 — disegno e lo riproduce a far fede che mentre « la solidità faceva da sola il merito degli edificj... le mani inabili tenta­ vano abbellirli » (1). Sulle traccie del dotto scrittore andremo un passo innanzi, aggiungendo che in questi timidi tentativi la storia dell’ arte afferra l' anello che congiunge i più spiccati caratteri dell’architettura. I due sistemi di vòlta, che parvero nascere irre­ conciliabili tra lo ro , s’ accostano su questo monumento per fondersi e soccorrersi poco dopo in un altro edificio cittadino, il Palazzo della Ragione; e per aprire la strada a quello stile magnifico e fortunato, che coll’inesatto nome di gotico doveva creare, due secoli più tardi, il nostro Duomo. Tra demolitori e conservatori, sorge il solito partito che apre la scappatoja di una transazione. Tagliando, come si suol dire, per mezzo la differenza, cioè facendo grazia agli archi e negandola alle torri, si finirebbe per accontentar tutti. Ed ecco, in omaggio alla scienza, e senza far torto agli amici delle novità, mutata la brutale parola demolire in un’ altra più mite e più civile, modificare. Ma chi non vede che il mezzo termine non ci salva dalla necessità d’arrivare per grado ad un ultimo ed unico intento? Chi non indovina che la proposta mutilazione dell’ accessorio è l’ esordio che prepara l’inevitabile e completa ruina dell’ og­ getto principale? Demolire le torri è mutare la natura dell’edificio, serbandone quella parte che, priva de’ suoi necessari attibuti, non ha più significato, o ha un significato ben diffe­ rente. Sarebbe, se ci si permette un paragone, come ampu­ tare le braccia ad una statua per dar aria alla nicchia; il tronco, ancorché intatto, non avrebbe più nè atteggiamento, nè moto. Si conservano le ruine, quando il tempo non ci ha (1) D’A gincourt . Voi. I, p. 129. ir, Tav. XLV. — 11 — lasciato di meglio; ma non è lecito assottigliare i contorni di un monumento per ridurlo alla misura di un’ esigua ed intol­ lerante indulgenza. Qui ci vien fatta un’ obiezione. Quelle torri, dice taluno, furono costrutte posteriormente, quindi non hanno il merito che pur si vuole attribuire agli archi. — Se, per avventura, tale avviso s’ appoggia alle parole del Fiamma: nulla tur ris est fere circa portas, si consulti poche pagine addietro lo stesso cronista, dove è detto : Portee civitatis sunt sex, et Pasterice duodecimi (1): e si vedrà che rispetto al numero di diciotto 1’ avverbio fere ci autorizza ad asserire che almeno qualcuna delle porte fosse guardata da torri. A noi basta per ora il poter dire che ne sorgessero due, perchè le due sarebbero appunto quelle di cui .parliamo. Il modo uniforme di costruzione, 1’ egual natura del materiale, la esatta ricorrenza delle fascie di pietra, dove queste s’ incontrano tra le torri e gli archi, e più di tutto l’ unità del concetto e delle proporzioni non ci permettono punto di dubitare che le due parti dell’edificio sorgessero ad epoche disparate: molto più che, in un periodo di evoluzione artistica, anche un breve corso d’anni avrebbe dovuto essere contrassegnato da qualche tratto caratteristico del nuovo stile che si andava elaborando. Ma alla peggio, e posto che il dubbio divenisse argomento di controversia, non ci sembra che di­ struggere l’ oggetto, su cui cade la questione, sia il miglior modo di scioglierla. Si dovrebbe, in questa ipotesi, frugar più addentro nella storia per conoscere da chi, e quando, e per­ chè furono operate quelle aggiunte. E siccome, ancorché po­ steriori agli archi, sarebbero sempre opera singolare di un secolo assai lontano dal nostro, e dovrebbero ritenersi consi­ gliate dal bisogno di una straordinaria difesa, così avremmo ancora il dovere di rispettarle e per la loro vetustà e assai più pel merito d’ averci guidato alla scoperta di un episodio(i) (1) GalV. F lahma. Chron. Cap. XLVIII. — 12 - fin qui inesplorato della nostra storia: ciò che, per verità, non osiamo credere probabile. Altri invece sostengono, col Giulini, che quegli edifici qua­ drilateri non meritano il nome di torri, ma che ne sono appena le vestigia, perchè mozze ed incomplete. Ciò è vero, ma ha la sua ragione. Ai tempi feudali si presidiavano con altissime torri i castelli solitari e i palazzi nelle città. Ma queste avevano tutt’ altro uso e scopo; quindi forme e proporzioni affatto differenti (1). Le bertesche fortilizie, spor­ genti dalle porte, erano destinate a guarentire dagli assalti im­ provvisi gli accessi alle mura, come ce lo attestano i tronchi di torre che fiancheggiano gli archi romani di Segni e d’Aosta. La difesa delle porte affidavasi anche allora a soldati muniti d’arco e di lunghe aste, i quali, benché posti sopra uno spe­ rone elevato, potevano ancora combattere corpo a corpo col nemico. Le torri fastigiate erano vedette, e servivano a scagliar pietre e dardi contro il nemico lontano; le basse a tenere sgombri gli accessi, ed a colpire con armi da punta, ad offendere col getto di pesi e di liquidi, o a pescar cogli uncini (graffi) i più audaci all’ assalto. Altri infine credono che il forbito restauro costituisca per sè solo una prova di mancata autenticità, e quindi un titolo di condanna. Ma se anche l’accusa fosse vera, la pena sarebbe sempre peggiore della colpa. Chi possiede un dipinto e lo crede guasto dal restauratore, non lo getta perciò al fuoco ; ma cerca, e facilmente trova, chi glielo renda allo stato pri­ miero. Nel caso nostro p o i, 1’ opera del restauro, ristretta a pochi e semplici accessori, che possono essere o non essere, non sarebbe mai riuscita, anche volendolo, a mutare la forma (1) Erano esse torri , scrive R icordano Ma la spin a , alte quali cento e quali cento venti braccia: e tutti ì nobili avevano in quello tempo Torri. (An. 1154, Cap. 80). Ma, osserva il Mu r a t o r i , « sono queste indizio di chiara nobiltà... perchè i nobili solo godevano il privilegio e la possanza di edificarle. « Ant. ital. Diss. XXVI, pag. 364. — 13 — primitiva dell’edificio. Le incisioni inserite nelle antiche guide di Milano, il disegno intercalato nella prima edizione del Giulini, la tavola impressa nell’ opera del d’ Agincourt, ci fanno leggere, anche in mezzo agli ingombri delle case attigue, i contorni precisi delle due torri. Dalla parte che guarda a set­ tentrione, la mano del restauratore si limitò a dar luce ed aria alle pareti, ed a sostituire pietre nuove alle mancanti: l’unica apparenza moderna è la tinta di que’ tratti di muro sui quali, per togliere l’intonaco lasciatovi dal contatto delle attigue ca­ su p o le,'si dovette mordere sul vivo la pietra. Nuove invece sono le porte che attraversano le due torri; e ciò dimostra che la scienza non è sì inesorabile da negare all’ uso quello che le è richiesto per la sicurezza e la comodità del pubblico. Rifatto é in fine il laterizio che riveste la parte interna delle torri e la parete prospiciente la città; ma questa modificazione è giustificata dalla necessità di chiudere entro un perimetro regolare la parte antica e di servirle di contrafforte. Nell’arte del restauro tali spedienti sono riconosciuti di legittimo uso; e ne vediamo un esempio nell’ ardito contramuro a scarpa eretto a sostegno della cinta esteriore del Colosseo: opera moderna, tollerata non solo, ma riguardata e lodata come uno stupendo restauro. Il partito che ci si offre sotto l’aspetto di una transazione, ci costringe a ravvicinare col confronto i sacrifici che ci si dimandano per conservare, e i vantaggi che ci si promettono col demolire. E, invero, quale profitto possa il pubblico atten­ dersi dalla demolizione delle torri, è ciò che non s’ arriva a comprendere. I veicoli dovrebbero ancora percorrere il doppio binario, inalveato dai due archi centrali; e la corrente dei pe­ doni (della quale si esagera la portata) perderebbe in sicu­ rezza tutto quello che le si può accordare in ampiezza di su­ perficie. Se gli infelici, testé travolti da un cavallo in fuga presso il parapetto del ponte di Porta Nuova, avessero saputo o potuto riparare sotto le vòlte delle torri, avremmo a lamen­ 14 — tare un disastro di meno (1). Il che vorrà dire, per lo manco, che le torri non ci ebbero colpa. Se poi volgiamo uno sguardo al piano icnografico di quella località, è impossibile non riconoscere che tolto, diciam pure, quell’ ingombro da cui vengono separati due poco omogenei prospetti, 1’occhio non si chiamerebbe soddisfatto della libertà di spaziare in un campo di linee, ivi raggruppate dalla su­ prema delle leggi, che è la necessità, ma apparentemente ar­ bitrarie, bisbetiche, indocili ad ogni ragione della euritmia. La demolizione diviene, se non legittima, scusabile, guardata da un sol punto di vista: cioè, se ci facciamo a considerarla colle spalle appoggiate alle case che ne sopportano il vicinato. Nessuno pretenderà che i proprietari di esse sieno così teneri di cose antiche da chiamare un favore, quello che di sua na­ tura è un peso. Seguendo le varie fasi di una questione, tante volte desta e sopita, riesce facile il vedere di dove partirono sempre le prime faville che riaccesero nel pubblico la smania della demolizione. È codesto un fatto, non un'accusa: perocché nessuno vorrà far colpa ai privati se, giovandosi della arren­ devolezza e della indifferenza di molti, tentano di ottenere dal pubblico l’alleviamento di un patto, che hanno, per verità, as­ sunto a condizioni note e coi debiti compensi, ma che è pur sempre una servitù. Concludiamo che gli archi e le torri di Porta Nuova, come elementi di un solo edificio istorico e come esemplare illustrativo della storia dell'arte, hanno nome e merito di monumento; e che nel novero dei monumenti hanno il distinto pregio d’es­ (1) Vedi il rendiconto della seduta del Consiglio Comunale 29 nov. 1868, inserito nel supplemento del giornale La Lombardia N. 346. —In quell’ adu­ nanza venne proposta la demolizione dei Portoni in vista del doloroso fatto che un calesse uscendo precipitoso dagli archi di Porta Nuova rovesciò p a ­ recchie persone, ecc. — 15 — sere ormai divenuti una rarità. — Dall’epoca del Rinascimento fino ai giorni nostri, l’ arte, toccando i due estremi del clas­ sico e del barocco, fece sempre, e per tutta Italia, guerra spie­ tata alle reliquie del Medio Evo. E siccome a quelle rozze pietre era per solito associata qualche memoria di libertà, è ben naturale che i principi e i governi assoluti proteggessero l’arte nuova e rinnovatrice, che inconsapevolmente educava il popolo allo sprezzo ed all’obblio del passato. Contro le intol­ leranze di questa civiltà, troppo pronta a demolire, scrive molto a proposito il Muratori: « Col risorgere delle Lettere è anche « risorta una più lodevole architettura; ma sarebbe da desi« derare che neppure si sprezzassero le nobili memorie dei « secoli rozzi, che restano in piedi: manca ad esse, è vero, « la finezza greca o romana, ma non lasciano d’inspirare una « veneranda maestà e magnificenza (1). » Quale poi, nella scarsa serie dei monumenti patrii, sia l’im­ portanza che loro è dovuta, ancora ce lo dice l’istoria. — Dalla decadenza dell’Impero alla costituzione del Ducato, l’epoca scritta su queste pietre segna uno dei punti più culminanti della vita politica italiana. E questo è il suo più grande pregio, giacché un monumento non vale soltanto per quello che è, ma ancora ed assai più per quello che dice. Noi teniamo prezioso l’ in­ tercolonnio di Massimiano Erculeo, perchè siamo convinti che si chiamerebbe onorata di possederlo la stessa Roma, e benché più che altro ci ricordi la volubilità degli imperatori e l’effi­ mera grandezza d ’ una provincia. La Rasilica di S. Ambrogio è una stupenda primizia di architettura nazionale, sebbene ci attesti una pietà che vorrebbe essere splendida, e che riesce soltanto a mostrarsi severa. La torre d’Ansperto, la loggia degli Osii, il Palazzo della Ragione sono reliquie che noi non ces­ seremo di rispettare, benché scarse di storia, o alterate da turpi modificazioni, e sempre di esclusiva importanza municipale. (1) Antichità italiane. Diss. XXIV, pag. 2S7. — 16 — Ben più in alto ci solleva la vista del nostro Duomo. La magnifica sua mole ci narra la poderosa ambizione di un grande personaggio; tace delle minute moltitudini solo perchè tutta è occupata d’onorare in sè stessa lo splendido principe che, sognando la sua regia corona, precorse l’Italia di cinque secoli dopo. I modesti archi di Porta Nuova, a riscontro, sono la più eloquente rappresentazione del simbolico fascio. Molte e molte migliaia di cittadini, convenuti da terre lontane si rico­ nobbero fratelli intorno a quest’ edificio; e per rialzarlo, por­ tarono alla patria comune il loro voto, il loro obolo e, a rigor di parola, la loro pietra. — I monumenti, decretati da fastosi fondatori o sorti per servire a quel sentimento che Vico chiamò la boria delle Nazioni, sono lo sforzo di un uomo, di una ca­ sta o di un’epoca che ambiscono l’immortalità; quelli all’in­ contro che sopravvivono per fortuita indulgenza del tempo , più semplici e indubbiamente sinceri, traducono innanzi ai posteri la nuda e veridica coscienza dei contemporanei. I primi devono essere preziosi per 1’ arte che ama il grande e vuole il bello; gli altri sono il tesoro per la scienza della storia che più modestamente non cerca che il vero. Con queste considerazioni la Consulta crede d’aver rischia­ rato quel voto che solo pochi mesi fa, espresso colle più brevi parole, venne favorevolmente accolto dalla Rappresentanza cit­ tadina. L’onorevole Giunta municipale potrà apprendere da quello de’suoi Assessori che, in nome del Sindaco, presiede la Consulta, quali sieno e quanto legittimi gl’intenti di questo corpo scientifico che ha 1’incarico di vegliare alla custodia delle reliquie istoriche della nostra città. Nessuno meglio della Giunta infine è in grado di presentire la necessaria soluzione del riproposto que­ sito, dacché molti illustri cittadini, perorando altre volte la causa — 17 — di questo monumento, hanno consegnato il loro autorevolissimo voto agli archivi municipali (1). La Consulta s’affida che l’onorevole Rappresentanza citta­ dina vorrà confermare la parola, inevitabilmente sentenziosa, della scienza colla popolare autorità del suo convincimento. Spetta a lei sola il dimostrare che i monumenti, fidi testimoni della storia , libri su cui sa decifrare anche chi non sa leggere, non appartengono nè ad un’ epoca, nè ad una generazione, nè ad un gruppo d’ uomini. Rassicurata per ora la vita a questo prezioso avanzo, è poi da sperare che tra poco (1) 1822, 26nov. Relazione del conte Giorgio Giulini, nella quale si rac­ comanda la conservazione degli Archi, eec., — 1845, 20 febb. Memoria sullo stesso argomento di Felice Bellotti, sottoscritta da 67 cittadini. Tra questi si citano i nomi dei seguenti: Felice Bellotti, membro della R. Ac­ Carlo Amati, Prof, di Archit. della R. Accademia cademia di belle arti,redattore della Gioachino Crivelli, Archit. Membro memoria della R. Accademia C. Londonio, Presid. dell' Accademia Gaetano Besia, Archit. Membro della di belle arti R. Accademia Pompeo Litta Giacomo Tazzini, Architetto Gio. Gherardini Ambrogio Nava, Membro della R. Ac­ Giulio Aluisetti, Architetto cademia di belle arti Andrea Pizzala, Architetto Dott. Carlo Cattaneo Pompeo Marchesi Bartolomeo Catena, Prefetto della Cesare Correnti Bibl. Ambrosiana Alessandro Sanquirico Giovanni Torti Domenico Moglia, Prof, d’ ornamento Gaetano Melzi presso l'Accademia di belle arti Giambattista Bazzoni Giuseppe Sogni, Prof, dì disegno presso C. Zardetti, Dìrett. del Qab. Numism. l'Accademia di belle arti Giulio Carcano Benedetto Cacciatori,Prof, di Scultura Giuseppe Cossa presso l'Accademia di belle arti Gabrio Piola Gio. Servi, Membro della R. Accad. Giuseppe Sacelli di belle arti Giuseppe Burini Luigi Sabatelli, Prof, di pittura presso Emilio Broglio la R. Accademia Francesco Carlini, Membro effettivo Abbondio Sangiorgio, Membro della del R. Istituto e Dìrett. dell’ Os­ R. Accademia di belle arti servatorio Astronomico Francesco Durelli, Prof, di Prospet­ P. M. Rusconi, Seg. della R. Accad. tiva, Architetto di belle arti Francesco Hayez. 1856, 4 luglio. L’Accademia fisico-medico-statistica presenta allo stesso scopo un voto scritto dal dott. Giuseppe Sacchi. — A tti Municipali. — 18 — potrà esso difendersi e raccomandarsi da sè solo; impe­ rocché, se il progresso non è una parola vana, l’età ventura, senza dubbio più colta della nostra, troverà in sè, ne’ propri studii e nell’ ambiente della diffusa civiltà le ragioni di uno spontaneo ossequio verso queste reliquie che noi facciamo si gran fatica a tollerare. Milano, 25 gennaio 1869. La Consulta E nrico F ano, A ss. Mun. f. f. di P residente. Giuseppe Bertfni Bernardino Biondelli Giovanni BroccA Antonio Caimi Giulio Carcano Sac. Antonio Ceriani P. G. Maggi F rancesco R ossi Carlo Belgiojoso relatore.