Rassegna Mortalità e rischio suicidario nella schizofrenia Mortality and Suicidal Risk in Schizophrenia ALFREDO CARLO ALTAMURA, SERENA VISMARA, CLAUDIO MONTRESOR, MICHELA RUSSO, GIANLUIGI TACCHINI Cattedra di Psichiatria, Università di Milano, Dipartimento Scienze Biomediche, Ospedale L. Sacco, Milano RIASSUNTO. Il lavoro analizza sistematicamente i dati più recenti sulle cause di mortalità e le condotte suicidarie nei pazienti schizofrenici. La mortalità di questi ultimi è circa doppia rispetto a quella della popolazione normale, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 20 ed i 40 anni d’età, mentre nelle fasce d’età successive tende ad essere sovrapponibile a quella dei soggetti normali. Tale aumento non è attribuibile esclusivamente all’aumentato tasso di suicidio; a questo si deve, infatti, aggiungere l’aumento di mortalità per cause naturali, in particolare per malattie infettive, cardiovascolari e metaboliche, soprattutto il diabete. Indubbiamente, ha un ruolo determinante lo stile di vita dello schizofrenico, spesso forte fumatore, obeso malnutrito, senza una dimora fissa, talora dedito all’abuso di alcool o di altre sostanze nel tentativo di automedicarsi. Importanza minore paiono avere gli effetti dei farmaci antipsicotici. Si riteneva, in passato, che la mortalità per tumori nei pazienti schizofrenici fosse inferiore a quella dei controlli normali: in realtà ciò appare vero solo per le neoplasie polmonari, nonostante l’alto tasso di forti fumatori. È invece confermata l’associazione negativa tra schizofrenia e malattie autoimmuni, soprattutto artrite reumatoide ed allergopatie. La più importante causa non naturale di morte è ovviamente il suicidio, che presenta una frequenza circa 20 volte maggiore che nella popolazione normale: è più probabile nei primi giorni successivi alla dimissione e di solito viene attuato con modalità ad elevata probabilità di successo, come impiccaggione e defenestrazione. Le condotte suicidarie dei pazienti schizofrenici attualmente possono essere prevenute facendo ricorso agli antipsicotici atipici, efficaci oltre che sulla psicosi e sui sintomi sia positivi sia negativi, anche sulla depressione e sull’ostilità. PAROLE CHIAVE: schizofrenia, mortalità, suicidio, prevenzione. SUMMARY. This work systematically analyzes the most recent data on mortality causes and suicidal behaviour in schizophrenic patients. Among them, mortality is about twice that of normal population and affects mainly the age range between 20 and 40 years, whilst it is comparable to that of normal subjects in the older age ranges. This excess of mortality cannot be exclusively attributed to the increase in the suicide rate; in fact, the increase of deaths due to natural causes is to be considered, particularly infective, cardiovascular, and metabolic diseases, mainly diabetes. An undoubtedly prominent role is played by the life style of such patients, often heavy smokers, obese or malnourished, living in the streets, often abusing alcohol or other substances as a self-medication attempt. A minor role is played by the effects of antipsychotic drugs. In the past it was believed that cancer deaths in schizophrenic patients were less than those of normal controls; nowadays this is true only for pulmonary tumors, notwithstanding the high proportion of heavy smokers. On the contrary, the negative association between schizophrenia and autoimmune diseases, above all rheumatoid arthritis and allergies, appears to be confirmed. The most important non-natural cause of death obviously is suicide; it has an incidence about 20 times higher than in normal population and is most likely in the first days after hospital discharge, and it is usually performed with methods with a high success chance, such as hanging and self-defenestration. At present, suicidal behaviours of schizophrenic patients can be prevented by using atypical antipsychotic compounds, which are effective on the psychosis and its positive and negative symptoms, on depression, and on hostility. KEY WORDS: schizophrenia, mortality, suicide, prevention. E-mail: [email protected] Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 213 Altamura AC, et al INTRODUZIONE Dati di letteratura riportano come il tasso di mortalità nella popolazione di soggetti affetti da schizofrenia sia doppio rispetto a quello descritto nella popolazione generale (1, 2). In particolare, essi avrebbero una spettanza di vita in media almeno 10 anni inferiore rispetto a quella dei controlli sani di pari età (3). Tale aumento della mortalità sarebbe più evidente nell’intervallo d’età tra i 20 e i 40 anni, mentre tenderebbe a scomparire dopo i 60 anni (4) ed, inoltre, le donne avrebbero un rischio maggiore rispetto agli uomini (5). Mentre, in passato, si tendeva ad individuare nel suicidio il motivo principale di precoce mortalità negli schizofrenici, ritenendo che essi fossero in qualche modo protetti dallo sviluppo di patologie organiche rilevanti (6), studi più recenti hanno sottolineato, invece, l’importanza di malattie mediche associate tra le cause di morte prematura nella psicosi schizofrenica. In realtà, Osby et al. (7) ritengono che le cause naturali di morte rendano ragione della maggior parte delle morti in eccesso nei soggetti schizofrenici, rappresentando più della metà della mortalità femminile e quasi la metà di quella maschile. Nel presente articolo si prenderanno in considerazione le possibili cause naturali e non che sarebbero alla base del fenomeno dell’accresciuto rischio di morte prematura nei disturbi schizofrenici. In particolare, nella prima parte si prenderanno in considerazione le possibili cause naturali legate a patologie organiche, mentre, nella seconda si esamineranno il suicidio, le sue determinanti e le possibili variabili predittive. Sarà infine considerato il rischio iatrogenico dei farmaci antipsicotici e la necessità di utilizzare in modo sempre più cognito una valutazione del rapporto rischio/beneficio tra i principali criteri di scelta dell’antipsicotico. MORTALITÀ DA CAUSE NATURALI Patologie organiche Brown e Barraclough (8) hanno esaminato le circostanze di morte di un campione composto da 370 soggetti schizofrenici, con lo scopo di identificare i meccanismi che stanno alla base dell’aumento della mortalità. Di tutti i pazienti reclutati, il 73% è risultato essere deceduto per cause naturali, il 24% per cause non naturali, il 2% per cause sconosciute. I meccanismi proposti per spiegare l’aumento della mortalità naturale includono malattie mediche non riconosciute (3) o non adeguatamente trattate (9), stili di vita non salutari (10), abuso di sostanze (11, 12) e scar- sa compliance o rifiuto del trattamento delle patologie mediche (3). Esiste anche un piccolo ma significativo numero di decessi associati al trattamento con farmaci antipsicotici (13), cui si farà cenno in seguito. Alcuni problemi di carattere medico che si presentano con maggiore frequenza nella schizofrenia sono complicanze del disturbo psicotico stesso (polidipsia, catatonia), altri risultano da tentativi di automedicazione da parte dei pazienti (abuso di sostanze), altri sono legati allo stato socioeconomico degli stessi (malnutrizione, mancanza di fissa dimora (14), altri ancora sono provocati dal trattamento con antipsicotici (15). Le condizioni mediche che si osservano con un’incidenza maggiore nella popolazione schizofrenica e che possono spiegare in parte l’aumento della mortalità in questi pazienti sono le infezioni, le malattie a carico dei polmoni, dell’apparato gastroenterico, urogenitale, nervoso e cardiovascolare (4, 16). In particolare, si trovano in letteratura evidenze di una stretta associazione tra la schizofrenia, l’epilessia e le malattie infiammatorie intestinali (17). L’aumentata mortalità da cause cardiovascolari è probabilmente legata a diversi fattori di rischio modificabili, quali il fumo, la sedentarietà, una dieta non equilibrata, l’obesità, l’iperglicemia e la dislipidemia (18). La mortalità legata a neoplasie nei pazienti schizofrenici è ancora dibattuta: alcuni studi sottolineano che esiste un aumento rispetto alla popolazione generale (4), mentre altri sostengono il contrario (19). A tal proposito, uno studio condotto da Lichterman e collaboratori (20) ha evidenziato in un campione di pazienti affetti da schizofrenia un diminuito rischio per lo sviluppo di neoplasie polmonari rispetto ad un campione di controlli sani, nonostante nel primo gruppo la percentuale di fumatori fosse più elevata. Per ragioni non ancora chiarite, le neoplasie gastrointestinali, pancreatiche e mammarie sarebbero, invece, più comuni nei pazienti schizofrenici (3). La schizofrenia è stata legata ad un’aumentata prevalenza di diabete di tipo II, intolleranza glucidica e insulino-resistenza (21). Una storia familiare di diabete di tipo II è stata trovata nel 18-19% delle persone affette da schizofrenia (22); un altro fattore di rischio è rappresentato dall’aumento di peso corporeo causato dagli antipsicotici che potrebbero, inoltre, contribuire anche con un meccanismo diretto allo sviluppo dell’iperglicemia (23). Esistono, d’altra parte, alcune patologie che si evidenziano con minor frequenza nei pazienti schizofrenici che nella popolazione generale: tra di esse, le più studiate sono l’artrite reumatoide e le allergopatie (24). Nel corso degli anni si sono accumulati numerosi risultati che dimostrano una forte associazione negativa tra Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 214 Mortalità e rischio suicidario nella schizofrenia la schizofrenia e l’artrite reumatoide (25). Per giustificare questo fenomeno sono state prese in considerazione diverse spiegazioni, di ordine immunologico, biochimico e genetico (26). È stata proposta l’ipotesi che i pazienti schizofrenici abbiano una protezione non ben definita contro le malattie infiammatorie. Essi avrebbero, inoltre, una soglia di percezione del dolore più elevata rispetto agli individui normali (27, 100), tanto da spiegare in parte il fatto che alcune patologie organiche possano passare inosservate. Ad esempio, il 79% dei pazienti affetti da schizofrenia ricoverati per ulcera perforata ed il 63% di quelli con appendicite acuta non riferivano come sintomo di presentazione il dolore, mentre il 95% dei pazienti non schizofrenici lamenta dolore in tali condizioni (93). La portata e le conseguenze della comorbidità medica nei pazienti affetti da schizofrenia sono generalmente sottovalutate: i pazienti con patologie mediche associate sono solitamente esclusi dagli studi di ricerca, benché essi rappresentino probabilmente la maggioranza degli schizofrenici (3). È probabile che i pazienti schizofrenici non ricevano adeguate cure mediche per ragioni che possono essere attribuite da una parte all’organizzazione del sistema di cura e dall’altra ai pazienti stessi. L’incapacità di riferire chiaramente un problema medico o la mancanza di consapevolezza del problema stesso rende, infatti, arduo il compito del clinico. Anche quando i pazienti possono comunicare, inoltre, essi possono non descrivere accuratamente il problema (28). Per questo motivo spesso tali individui non vengono trattati per il loro problema fisico in fase precoce, quando ancora la patologia è di grado lieve, bensì in fase distato o di acutizzazione, quando si è ormai giunti ad un disturbo grave, rischioso o doloroso (29). Sarebbe necessario cercare di scoprire precocemente le eventuali patologie mediche attraverso interviste strutturate od esami fisici di routine (19). L’aumentata incidenza di malattie gastrointestinali, respiratorie e cardiovascolari nella popolazione schizofrenica, come accennato in precedenza, è probabilmente legata anche a stili di vita non salutari (scarso esercizio fisico, dieta sregolata con conseguente obesità, fumo di sigaretta) (30) e all’abuso di sostanze, soprattutto di alcool (10). A tal proposito è stato osservato che il 74% dei pazienti affetti da una patologia psichiatrica grave fuma e che l’85% dei soggetti che praticano qualche tipo di attività fisica ne traggono beneficio dal punto di vista terapeutico. L’abuso di sostanze, che si rende manifesto generalmente dopo i primi sintomi prodromici, subito prima del primo episodio psicotico, sembra essere associato ad una maggiore impulsività e sembra rappresentare un comportamento maladattivo in risposta alle prime manifestazioni della malattia psicotica (31). Qualsiasi tipo di abuso di sostanza complica ovviamente il trattamento dei pazienti schizofrenici: il fumo di sigaretta, per esempio, aumenta il metabolismo dei farmaci antipsicotici. Ciò può da un lato alleviare gli effetti collaterali, ma dall’altro rende necessario aumentare la dose del farmaco per ottenere l’effetto clinico desiderato (5). EFFETTI IATROGENI DEI FARMACI ANTIPSICOTICI I farmaci antipsicotici possono talvolta indurre sintomi iatrogeni anche gravi, producendo un impatto deleterio sul decorso della patologia. Gli effetti collaterali degli antipsicotici di prima generazione erano spesso mal tollerati dai pazienti, tanto che la compliance al trattamento era spesso insoddisfacente e condizionando le ricadute e la cronicizzazione (32). La seconda generazione di tali farmaci, invece, ha mostrato avere una maggiore efficacia nella terapia delle psicosi, sia per la più ampia efficacia sui sintomi negativi che per il minor sviluppo di effetti collaterali (33, 34), nonostante anch’essi siano stati recentemente associati allo sviluppo di diverse patologie, quali il diabete, l’aumento ponderale, l’iperlipidemia ed alcune patologie cardiovascolari (35). Diabete Per quanto riguarda l’associazione con il diabete mellito, non è ancora chiaro se vi sia o meno una differenza tra i composti tipici ed atipici: Lund et al. (2001), confrontando un gruppo di pazienti in terapia con clozapina con un gruppo in terapia con un antipsicotico tipico, non hanno riscontrato un aumento significativo dell’incidenza di diabete tra i due campioni. Sernyak et al. (15) hanno confrontato la prevalenza di diabete mellito in pazienti in terapia da almeno 4 mesi con antipsicotici tipici od atipici. Sono stati inclusi nello studio 38632 pazienti: il 41.4% di essi assumeva antipsicotici tipici, il 58.6% antipsicotici atipici, come evidenzia la Tabella 1. Una volta controllato il fattore confondente legato all’età dei soggetti, si è osservato che i pazienti in terapia con antipsicotici atipici avevano un rischio di sviluppare diabete che era aumentato del 9% rispetto ai pazienti in terapia con neurolettici. La prevalenza di diabete era significativamente aumentata per i pazienti che assumevano clozapina, olanzapina e quetiapina, mentre non lo era per coloro che assumevano risperidone. Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 215 Altamura AC, et al I pazienti a rischio per lo sviluppo di diabete che necessitino un trattamento con antipsicotici, dovrebbero dunque essere sottoposti a controlli più attenti rispetto alla popolazione generale, poiché tale patologia può portare ad un aumentata mortalità, dovuta sia a complicanze acute (chetoacidosi diabetica), che a lungo termine (malattie cardiovascolari) (18). Dati di letteratura ed esperienza clinica suggeriscono che, nel caso in cui si manifesti diabete o chetoacidosi diabetica indotta da antispicotici, la sospensione dei farmaci può portare ad una remissione completa del quadro clinico (42). Tabella 1. Percentuale di pazienti con schizofrenia in terapia con antipsicotici tipici ed atipici, con diagnosi di diabete mellito, in funzione dell’età Aumento ponderale Diversamente l’amisulpride a dosaggi variabili da 100 a 1200 mg die non ha mostrato nessuna alterazione dei parametri ematochimici, incluso il valore della glicemia, negli 11 studi comparativi finora condotti (36). Hagg et al. (37) hanno confrontato 63 pazienti trattati con clozapina con 67 che non assumevano tale farmaco. Il 22% dei pazienti del primo gruppo contro il 10% del secondo gruppo ha sviluppato diabete o intolleranza glucidica. Wirshing et al. (38) hanno descritto 6 casi di diabete ad insorgenza acuta dopo l’inizio del trattamento con olanzapina (2 casi) e con clozapina (4 casi). La maggior parte dei pazienti erano uomini afroamericani. Molti, ma non tutti, avevano manifestato un significativo aumento di peso legato all’assunzione dell’antipsicotico. Si trovano in letteratura altri case reports che legano l’olanzapina (90), ed anche la quetiapina (91) allo sviluppo del diabete. Per spiegare questo fenomeno sono state avanzate diverse ipotesi. L’antagonismo nei confronti dell’istamina e della serotonina potrebbe indurre aumento di peso e, successivamente, alterazioni nell’omeostasi del glucosio (38). La leptina potrebbe mediare l’eccessivo appetito dei pazienti in terapia con antipsicotici atipici (92). È stato inoltre ipotizzato che l’antagonismo sul recettore 1A della serotonina possa indurre la risposta delle beta cellule pancreatiche (38). Infine, studi recenti (39, 40, 41) hanno messo in evidenza diversi casi di ridotto controllo glicemico indotti da olanzapina e clozapina in assenza di aumento ponderale. L’aumento ponderale è stato descritto come effetto collaterale di entrambe le classi degli antipsicotici, tipici ed atipici (43). Tra gli atipici, la clozapina sembrerebbe mostrare il più alto rischio di incremento ponderale, seguito dall’olanzapina e dalla quetiapina, mentre l’amisulpride presenta un rischio assai ridotto con aumento ponderale medio di 0.4 kg e lo ziprasidone sarebbe esente da tale effetto collaterale (44). Fattori predittivi per il verificarsi di tale evento possono essere l’età, l’indice di massa corporea antecedente la terapia psicofarmacologica, la precedente assunzione di antipsicotici e la durata del trattamento (45), elementi che andrebbero sempre indagati al fine di comprendere appieno il reale ruolo giocato dagli antipsicotici nel produrre variazioni del peso corporeo. A tale scopo, sarebbe, inoltre, importante sapere se i pazienti presi in considerazione siano istituzionalizzati, poiché in questo caso è meno probabile che essi mostrino un marcato aumento ponderale (46). In generale, gli antipsicotici hanno diverse azioni su un’ampia gamma di sistemi neurotrasmettitoriali. Dati di letteratura suggerirebbero come alcuni di questi sistemi potrebbero avere un ruolo nella regolazione del peso corporeo (47), quali il blocco degli S2 e l’effetto antistaminico L’incremento ponderale si verifica generalmente nelle prime settimane di trattamento, soprattutto in soggetti che in precedenza non avevano mai assunto alcun antipsicotico (48). Tale fenomeno è in genere mal tollerato dai pazienti e rischia di ridurre la loro aderenza alla terapia farmacologica (45). Inoltre, un forte aumento di peso corporeo di per sé è un fattore di rischio maggiore per diverse patologie mediche, le quali a loro volta possono essere responsabili dell’aumentato tasso di mortalità presente nei pazienti schizofrenici rispetto alla popolazione generale (49). Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 216 Mortalità e rischio suicidario nella schizofrenia Cardiotossicità MORTALITÀ DA CAUSE NON NATURALI Gli effetti collaterali degli antipsicotici sono rappresentati a livello cardiaco da: prolungamento del tratto QT, torsioni di punta, morte improvvisa (50). Il rischio di produrre alterazioni elettrocardiografiche varia molto tra i diversi tipi di antipsicotici, essendo particolarmente elevato per la clozapina, moderato per il risperidone ed i farmaci di prima generazione, basso per la quetiapina (51). Il prolungamento del tratto QT è stato legato all’assunzione di virtualmente tutti i farmaci antipsicotici, nonostante la tioridazina e lo ziprasidone si siano rivelati i più dannosi da questo punto di vista (52, 95, 96). Tale anomalia elettrocardiografica non può da sola spiegare lo sviluppo delle torsioni di punta. Molti altri fattori di rischio, quali l’ipokaliemia, l’ipomagnesiemia, l’ipocalcemia devono infatti essere presenti per giustificarne la manifestazione (53-55). Dalla metanalisi di 11 studi comparativi (36), nei quali 341 pazienti trattati con amisulpride verso 91 pazienti trattati con risperidone e 80 con aloperidolo e sottoposti ad almeno un esame ECG durante la terapia, è emerso che l’incidenza di prolungamenti dell’onda QTc (formula di Bazett: > 450 ms negli uomini, > 470 ms nelle donne) non è stata significativamente diversa tra i gruppi amisulpride, risperidone e aloperidolo (rispettivamente 3,5% verso 3% verso 1%). Qualsiasi variazione pressoria nei pazienti trattati con amisulpride non ha avuto alcuna rilevanza clinica: un generale quest’ultimo composto presenterebbe un buon profilo di tollerabilità cardiaca. Drici et al. (56) hanno osservato che il 66% delle torsioni di punta indotte dai farmaci colpiscono le donne. Studi clinici e sperimentali mostrano come il sesso femminile sia associato ad un QT costitutivamente più lungo e ad una sua risposta ai farmaci maggiore rispetto al sesso maschile. Ciò è probabilmente legato all’azione degli steroidi sessuali, in quanto gli estrogeni, producendo una bradicardia facilitano l’allungamento del tratto QT e quindi l’insorgenza di aritmie, mentre gli androgeni accorciano il tratto QT, limitando così l’effetto degli antipsicotici (56). Lo ziprasidone, viene considerato l’antipsicotico atipico con i minori effetti collaterali, non inducendo aumento di peso né alterazioni nel metabolismo glucidico e producendo per contro una riduzione nei livelli sierici di colesterolo e trigliceridi (57): esso non può tuttavia essere indicato come farmaco di prima scelta a causa del suo potenziale effetto sulla ripolarizzazione ventricolare (53). Le condotte suicidarie rappresentano probabilmente una delle emergenze più comuni in ambito psichiatrico ed uno dei problemi clinici più complessi in psichiatria riguarda proprio la prevenzione e la predizione di tali comportamenti. Con i disturbi dell’umore e l’abuso alcoolico, la schizofrenia è la patologia psichiatrica che più frequentemente si associa al suidicio. È stato stimato che circa il 10% dei pazienti schizofrenici commetterà un suicidio, una percentuale comparabile a quella riscontrata nei pazienti con disturbi dell’umore e più di 20 volte maggiore rispetto alla popolazione generale (58-60). È stato riportato che circa il 40% dei pazienti con diagnosi di schizofrenia mette in atto almeno un tentativo di suicidio nel corso della propria esistenza (60). Il rischio suicidario risulta più elevato nei primi giorni successivi alla dimissione, questo aspetto sottolinea la necessità della prevenzione del suicidio durante questo periodo (61). Variabili associate al rischio suicidario Numerose variabili sono state associate ad un incremento del rischio suicidario in pazienti schizofrenici (58, 62, 63). Tra le variabili di tipo socio-demografico sono state indicate: il sesso maschile, l’età giovanile, la disoccupazione, contesti sociali ed ambientali scarsamenti supportivi. Tra quelle di tipo clinico, la presenza di una familiarità positiva per suicidio, la comorbidità con un disturbo da abuso di sostanze, la presenza di sintomi depressivi (58, 62-64). Sintomi psicotici gravi quali deliri (65) o dispercezioni uditive di tipo imperativo e tratti patologici di personalità, quali l’impulsività e l’eccessiva sospettosità (66), rappresentano ulteriori fattori di aumento del rischio totale. Un’interessante associazione è quella fra la durata della psicosi non trattata e la probabilità di commettere un suicidio (67). Anche variabili di tipo farmacologico come la presenza di sintomi extrapiramidali, in particolare l’acatisia, e il trattamento con antipsicotici tradizionali, cui si correla una maggiore frequenza di effetti indesiderati, sono stati indagati come possibili fattori di rischio per la messa in atto di comportamenti autolesivi (67, 68). Esistono, poi, condizioni morbose che possono associarsi alla schizofrenia, capaci di per sé di produrre un significativo aumento della pericolosità suicidaria, Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 217 Altamura AC, et al quali l’alcoolismo e la presenza di sintomi depressivi; infatti, è frequente osservazione clinica che il suicidio negli schizofrenici avvenga più frequentemente in fase di remissione dei sintomi floridi della malattia, allorché sopravviene la possibilità di un’elaborazione depressiva dell’accaduto. La presenza di sentimenti di disperazione e di perdita della speranza (69) e la percezione soggettiva di essere sottoposti a elevati livelli di stress (69) sono stati associati ad un incremento della probabilità di attuare gli agiti autolesivi (70). Sintomi depressivi sono risultati essere presenti nel corso delle due settimane precedenti la messa in atto del suicidio nel 90.9% dei pazienti schizofrenici. Recenti studi descrittivi ed epidemiologici hanno riportato una frequenza del 25% circa di sindromi depressive, considerando il decorso longitudinale della schizofrenia (67, 94), mentre sintomi depressivi interesserebbero più dell’81% di questi soggetti lifetime (72). Depressione nella schizofrenia L’insorgenga di sintomi depressivi in individui con schizofrenia è stata associata con un decorso sfavorevole, aumento dell’uso di farmaci, maggiore morbidità alla dimissione, incremento della frequenza di riammissione in ospedale e ricadute precoci (73-76). La presenza di sintomi depressivi è comune nelle diverse fasi della schizofrenia, comunque la diagnosi differenziale tra questa sintomatologia e alcune caratteristiche cliniche della schizofrenia (in particolare i sintomi negativi) o gli effetti del trattamento (principalmente l’acinesia) può essere complessa, come riconoscere una depressione in presenza di una psicosi florida (77). I sintomi affettivi possono però essere distinti dai sintomi negativi della schizofrenia valutando la presenza di insonnia, anoressia, sensi di colpa, bassa stima di sé, tono dell’umore, che sono più caratteristici di un disturbo dell’umore (78). Nonostante sia nota l’esistenza di uno stato depressivo che segue la risoluzione di un episodio psicotico acuto, solo recentemente la depressione post-psicotica è stata riconosciuta come un’entità distinta nei sistemi di classificazione psichiatrici, riconoscendo l’importanza di una diagnosi e un trattamento precoci (79). Uno studio delle variabili associate al rischio suicidario In uno studio condotto nel 2002 (67) è stato preso in considerazione un campione di 103 pazienti con diagnosi di schizofrenia cronica o disturbo schizoaffettivo in collaborazione con l’Ospedale Fatebenefratelli Cen- tro San Giovanni di Dio a Brescia dal 1992 al 1997, al fine di studiare l’associazione tra variabili farmacologiche e cliniche e il comportamento suicidario. Il campione è stato diviso in due gruppi a seconda della presenza o assenza di tentativi suicidari nel corso della vita. Per ogni paziente sono state considerate le seguenti variabili: genere, stato civile, l’età al 1° intervento, la diagnosi del DSM-III-R, l’età di esordio della schizofrenia, la durata della malattia, la durata della psicosi non trattata (DUP), la presenza/assenza di episodi depressivi maggiori (MDE) nel corso della vita, il trattamento effettuato al momento del tentativo di suicidio, l’anamnesi familiare positiva/negativa per disturbi psichiatrici e tentativi di suicidio. Per tentativi di suicidio si è inteso la volontà di morire associata ad un comportamento auto-distruttivo. In questa analisi la presenza/assenza di tentativi di suicidio rappresenta la variabile dipendente, mentre il genere, la presenza di MDE, la presenza di abuso di sostanze in comorbidità, il tipo di trattamento farmacologico (antipsicotici tipici/atipici) e la DUP (maggiore o minore di un anno), erano le variabili indipendenti. I risultati emersi dallo studio sono i seguenti: l’età al 1° intervento e l’età d’esordio della malattia erano significativamente più basse nel sesso maschile, le donne erano più frequentemente sposate o divorziate rispetto agli uomini, i quali presentavano più spesso una dipendenza o un abuso di alcol, mentre la maggior parte dei pazienti avevano in comorbidità una diagnosi di abuso o dipendenza da nicotina, senza differenze nei due sessi. Il numero di soggetti che hanno avuto un episodio depressivo maggiore nel corso della vita è significativamente superiore tra le donne. Il mezzo usato per il suicidio era nella maggior parte dei casi l’overdose da sostanze (81.8%) e le ragioni addotte erano più frequentemente la mancanza di speranza (86.4%) e/o l’umore depresso (81.8%) e/o la presenza di allucinazioni uditive (22.7%). Non sono state riscontrate differenze nei due gruppi per quanto riguarda l’età, l’età d’esordio, la durata della malattia. Differenze significative sono state, invece, evidenziate nella distribuzione dei sottotipi diagnostici nei due gruppi, in quanto la diagnosi di disturbo schizoaffettivo era più frequente nel gruppo di pazienti con una storia di tentato suicidio (22.7% vs 7.4%). È stata riscontrata una significativa associazione tra una durata della psicosi non trattata maggiore di 1 anno e il tentato suicidio. La presenza di un Episodio Depressivo Maggiore nel corso della vita si è dimostrata essere più frequente tra gli schizofrenici che hanno tentato il suicidio, (O.R. > 6), inoltre, nello stesso gruppo è più frequentemente presente una comorbidità con l’abuso di sostanze: nicotina Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 218 Mortalità e rischio suicidario nella schizofrenia nella totalità dei casi, in alcuni casi (5.4%) in combinazione con cannabinoidi. L’abuso di alcol o di più sostanze insieme rappresenterebbe un importante fattore di rischio per il tentativo di suicidio o per l’ideazione suicidaria nella schizofrenia (31, 97) (Tabella 2). Tabella 2. Caratteristiche demografiche e cliniche nei 2 gruppi Pz. che hanno tentato il suicidio (N = 22) Pz. che non hanno tentato il suicidio (N = 81) Età 40.1 (11.2) 38.0 (11.0) Genere 13 M, 9 F 55 M, 26 F Stato civile - Celibi/nubili - Coniugati - Divorziati 14 (63.6) 3 (13.7) 5 (22.7) 66 (81.5) 10 (12.3) 5 (6.2)@ 3 (13.7) 12 (54.5) 27 (33.3) 35 (43.2) 1 (4.5) – 1 (4.6) 10 (12.3) 1 (1.2) 2 (2.6) Diagnosi (N): - Schizofr. Indifferenziata - Schizofr. Paranoide - Schizofr. Disorganizzata - Schizofr. Catatonica - Schizofr. Residua - Disturbo Schizoaffettivo Caratteristiche del suicidio nella schizofrenia Uno studo recente ha evidenziato una differenza per quanto riguarda l’incidenza del suicidio nella schizofrenia nelle diverse fasce di età, in particolare questa risulta maggiore nella terza decade seguita dalla quarta e dalla quinta (80). L’ideazione suicidaria è stata riconosciuta nel 67,5% di tutti i suicidi, nel 43% dei casi il suicidio è stato programmato in precedenza e solo il 7,5% dei pazienti ha lasciato un messaggio scritto, mentre nel 2% circa dei casi il suicidio è avvenuto sotto l’influenza di allucinazioni uditive di carattere imperativo. Nel periodo precedente il suicidio sono stati osservati alcuni cambiamenti dal punto di vista clinico e comportamentale: esacerbazione della sintomatologia positiva (ad esempio allucinazioni e deliri), incremento degli agiti autolesivi ed un aumento dell’ideazione e della programmazione suicidaria (80) (Tabelle 3, 4, 5, 6). Tabella 3. Studio Funahashi Psychiatry et al., 2000 and Clinical Neurosciences 54, 173-179 5 (22.7) Età all’esordio 24.3 (9.4) 21.2 (6.3) Durata della malattia 17.8 (7.7) 19.2 (8.1) Età al 1° trattamento 24.4 (8.4) 22.5 (7.0) Durata della psicosi non trattata (DUP): - < 1 anno - ≥ 1 anno 12 6 50 5# Abuso/dipendenza da sostanze: - Alcol - Altro 8 (36.4) 20 (90.9) 29 (35.8) 54 (66.7)## Episodio depressivo maggiore (MDE) nel corso della vita 13 (59.1) 19 (23.4)* Storia familiare - Negativa - Positiva 10 (52.6) 9 (47.4) 52 (67.5) 25 (32.5) Trattamento: - Antipsicotici tipici - Antipsicotici atipici 18 (81.8) 4 (18.2) 45 (55.5) 36 (44.5)** Pubblicazione Campione 160 pz. schizofrenici Gruppo 1 Gruppo 2 Pz. suicidi: 80 Pz senza tentato suicidio in anamnesi: 80 Tabella 4. Caratteristiche del campione Età d’esordio Età del tentativo di suicidio Durata della malattia Gruppo 1 24.8 ± 7.8 36.2 ± 12.1 11.4± 10.2 Gruppo 2 23.0 ± 6.9 35.0± 12.5* 12.1 ± 10.8 *Per il gruppo 2 si considera l’età al momento dello studio, Funahashi et al., 2000. Tabella 5. Eventi di vita nell’anno che precede il suicidio N. Eventi di vita Disoccupazione, licenziamento, abbandono della scuola, bocciatura Grave malattia o lesione propria Grave malattia o lesione dei familiari Seri problemi con amici, conoscenti o parenti Morte di amici o parenti Rottura di relazioni Morte di genitori, figli, coniuge Problemi con la legge Altro Note: le percentuali sono mostrate in parentesi; @ chi-quadrato =5.616, df = 2, p < 0.065; # chi-quadrato = 6.228, df = 1, p < 0.02; ## chi quadrato = 3.9, df = 1, p < 0.5; *chi-quadrato = 10.258, df = 1, p < 0.002; **chi-quadrato = 3.979, df = 1, p < 0.5. Funahashi et al., 2000. Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 219 10 6 6 6 2 2 1 1 8 Altamura AC, et al Tabella 6. Variabili che presentano una significativa differenza nei 2 gruppi (eccetto la gravità della sintomatologia positiva e negativa), con p < 0.05 Ordine di nascita Decorso della malattia Allucinazioni uditive che ordinano il suicidio Ideazione suicidaria Quota ansiosa elevata Esiti di vita nell’ultimo anno Funahashi et al., 2000. Inoltre, è stato evidenziato che tra l’esordio della malattia e l’atto suicidario intercorrono mediamente 11,4 anni, ciò corrisponde alla fase cronica del disturbo. È stato, tra l’altro, osservato che i metodi più frequentemente utilizzati per attuare il suicidio sono gesti violenti ed ad alta probabilità di riuscita come l’impiccagione e la defenestrazione da piani alti (80). PREVENZIONE DELLE CONDOTTE SUICIDARIE Si sosteneva che gli antidepressivi peggiorassero il decorso della schizofrenia, soprattutto durante la fase attiva psicotica, presumibilmente attraverso la stimolazione del sistema catecolaminergico. La combinazione tra antidepressivi e neurolettici nel trattamento dei pazienti con schizofrenia e depressione non allevierebbe i sintomi depressivi ed esacerberebbe alcuni sintomi produttivi della schizofrenia (81). La maggioranza degli studi più recenti hanno invece dimostrato che una combinazione tra aloperidolo e amitriptilina (od altro antidepressivo) nel trattamento di pazienti con gli stessi disturbi risulta efficace nel ridurre marcatamente sia i sintomi psicotici che quelli depressivi (82). D’altra parte è ormai accettata la terapia aggiuntiva con antidepressivi nel trattamento dei pazienti schizofrenici che hanno abbiano un episodio depressivo dopo la remissione della psicosi: studi controllati e randomizzati, in doppio cieco, hanno mostrato, ad esempio l’efficacia dell’aggiunta di imipramina alla terapia con neurolettici nel trattamento della depressione post-psicotica (71). Si ritiene oggi che nella prevenzione delle condotte suicidarie sia importante il ruolo degli antipsicotici atipici, che hanno effetti terapeutici sulla depressione e sull’ostilità come sulla psicosi; la clozapina e la olanzapina si sono dimostrate efficaci nel ridurre la suicidalità in pazienti con schizofrenia (83). Gli antipsicotici atipici, determinando il miglioramento della sintomatologia positiva e negativa, la ri- duzione degli effetti collaterali piramidali, un’azione antidepressiva diretta, una migliore funzione cognitiva e una buona compliance, contribuiscono a ridurre il rischio suicidario (84). Quindi un’azione spiccata sulla sintomatologia negativa e sulla capacità di ottenere un buon reinserimento sociale possono contribuire alla riduzione del rischio suicidario. La scala SOFAS (Occupational Functioning Assessment Scale) valuta l’attività funzionale del paziente in maniera globale comprendendo la sfera psicologica, sociale, occupazionale, la funzione educazionale e l’impatto sull’attività funzionale dei sintomi psicologici e delle altre malattie organiche (American Psychiatric Association, 1995) (89). L’amisulpride ha mostrato in quest’ambito un’efficacia spiccata, portando il punteggio della scala SOFAS dopo 8 settimane di trattamento, da 40 a 54.3 mentre il risperidone da 39.6 a 52.3. Anche il miglioramento del punteggio della scala PANSS è stato netto, ma con un trend sul controllo dei sintomi negativi migliore per amisulpride (riduzione del punteggio per sintomi negativi della scala PANSS: 6.9 per amisulpride e 5.3 per risperidone (85). La potenziale riduzione del rischio suicidario in pazienti trattati con clozapina è stimata intorno all’85% e questo farmaco dovrebbe essere considerato nel trattamento degli schizofrenici sia resistenti che responsivi ai neurolettici che hanno persistenti idee o condotte suicidarie (46). Il trattamento con clozapina ha mostrato una riduzione della frequenza di tentativi suicidari comparabile con quella ottenuta con aloperidolo (87). Dallo studio di un campione di 88 pazienti schizofrenici e schizoaffettivi, quelli trattati con neurolettici atipici risultavano migliorati sul versante depressivo rispetto a quelli trattati con aloperidolo per un periodo di 12 mesi, anche l’ospedalizzazione risultava ridotta e complessivamente è stata raggiunta una migliore stabilizzazione dei pazienti (88). I punteggi medi della scala HAMD sono stati confrontati nei gruppi di pazienti in trattamento con risperidone, clozapina, olanzapina, aloperidolo all’inizio del trattamento, dopo 6 mesi e dopo 12 mesi. I risultati sono espressi nel grafico della Figura 1. CONCLUSIONI La mortalità nei pazienti schizofrenici appare circa doppia rispetto a quella della popolazione generale e Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 220 Mortalità e rischio suicidario nella schizofrenia Punteggi totali HAMD (valori medi) Figura 1. Punteggi della Scala HAMD a 6 e 12 mesi. (Altamura et al, 1999 modificata). riguarda soprattutto la fascia d’età compresa tra i 20 ed i 40 anni d’età, mentre nelle fasce d’età successive tende ad essere sovrapponibile a quella dei soggetti normali. Tale aumento della mortalità non pare attribuibile esclusivamente all’aumentato tasso di suicidio dei pazienti schizofrenici; a questo si deve infatti aggiungere l’aumento di mortalità per cause naturali, in particolare per malattie infettive, soprattutto polmonari, per malattie cardiovascolari e metaboliche, soprattutto il diabete, di fronte alle quali il paziente schizofrenico appare noncurante, tanto che non raramente la malattia è misconosciuta, e scarsamente in grado di seguire le terapie prescritte. Indubbiamente, in tutto ciò ha un ruolo determinante lo stile di vita dello schizofrenico, spesso forte fumatore, obeso oppure malnutrito, senza una dimora fissa, talora dedito all’abuso di alcool o, meno di frequente, di altre sostanze nel tentativo di automedicarsi. Una rilevanza quantitativamente minore paiono avere gli effetti dei farmaci antipsicotici, in particolare l’aumento ponderale, il diabete di tipo II e la loro cardiotossicità. Un cenno particolare merita la questione della mortalità per tumori nei pazienti schizofrenici, che in passato si riteneva inferiore a quella dei controlli normali; in realtà, se ciò appare vero per le neoplasie polmonari, nonostante l’alto tasso di forti fumatori tra i pazienti schizofrenici, globalmente l’incidenza di patologie tumorali appare maggiore che nella popolazione generale a causa della più elevata incidenza delle neoplasie gastroenteriche, pancreatiche e mammarie. Appare, invece, confermata l’associazione negativa tra schizofrenia e malattie autoimmuni, soprattutto l’artrite reumatoide e le allergopatie (24, 25). Per quanto riguarda le cause non naturali di morte, il più importante è ovviamente il suicidio, che presenta una frequenza circa 20 volte maggiore che nella popolazione normale, appare più probabile nei primi giorni successivi alla dimissione, nei pazienti in cui sia presente anche un abuso di alcool o una situazione depressiva, specialmente se in trattamento con neurolettici tradizionali, e quando la malattia è in fase di cronicità, in media circa 11 anni dopo l’esordio della psicosi. Di solito viene attuato con modalità ad elevata probabilità di successo, come l’impiccagione e la defenestrazione, solo raramente (circa il 2% del totale) sotto l’influenza di allucinazioni imperative. Le condotte suicidarie dei pazienti schizofrenici possono essere utilmente prevenute facendo ricorso agli antidepressivi triciclici per il trattamento della depressione post-psicotica, ma più recentemente è stata dimostrata, per tale scopo, l’utilità degli antipsicotici atipici, che possiedono un’efficacia terapeutica oltre che sulla psicosi e sui sintomi sia positivi sia negativi, anche sulla depressione e sull’ostilità, con la contemporanea riduzione degli effetti collaterali soprattutto extra-piramidali, una buona compliance ed una migliore funzionalità cognitiva. Una particolare efficacia viene attribuita dalla letteratura esistente alla clozapina, seguita dall’olanzapina. Tuttavia, va sottolineato che le molecole “atipiche”, tra cui la amisulpride, posseggono potenziali capacità antidepressive che possono avere un ruolo protettivo nei confronti dei propositi autolesivi secondari ad un vissuto depressivo anergico. È tipico dei neurolettici (tipici) scompensare in senso depressogeno il paziente nella fase di stabilizzazione (99), sia per gli effetti extrapiramidali, sia per proprietà intrinseche depressogeniche dei D2 antagonisti classici. Il principale elemento di protezione dal rischio suicidario dei pazienti è da ricercarsi nel reinserimento sociale e lavorativo che tali farmaci favoriscono. Va, infine, sottolineata la potenziale iatrogenicità di alcuni nuovi composti atipici, che possono provocare lo sviluppo di diabete mellito, un eccessivo aumento ponderale od alterazioni a livello cardiaco. Il rischio di produrre alterazioni elettrocardiografiche varia molto tra le diverse molecole, essendo particolarmente elevato per la clozapina e risperidone, moderato per il risperidone, basso per la quetiapina, l’amisulpride e l’olanzapina Rivista di psichiatria, 2002, 37, 5 221 Altamura AC, et al BIBLIOGRAFIA 1. Brown S: Excess mortality of schizophrenia. 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