I DISTURBI D`ANSIA - Istituto Comprensivo Montemarciano

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Dott. Alessandro Suardi
(Psicologo Psicoterapeuta cognitivo - comportamentale)
Studio: via XXV Aprile - 60021 – Camerano (AN)
Tel. 071-95786 - Cell. 347-6000580
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I DISTURBI EMOTIVI IN ETA’ EVOLUTIVA
I DISTURBI D’ANSIA
Una larga parte di noi ha avuto o potrà avere un disturbo d’ansia nel corso della propria
vita.
L’ansia di per sé, tuttavia, non è un fenomeno anormale. Si tratta di un'emozione di base,
che comporta uno stato di attivazione dell’organismo e che si attiva quando una
situazione viene percepita soggettivamente come pericolosa. Nella specie umana l’ansia si
traduce in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, nella ricerca di
spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga, nonché in una serie di fenomeni neurovegetativi
come l’aumento della frequenza del respiro, del battito cardiaco (tachicardia), della
sudorazione, le vertigini, ecc.. Tali fenomeni dipendono dal fatto che, ipotizzando di
trovarsi in una situazione di reale pericolo, l'organismo in ansia ha bisogno della massima
energia muscolare a disposizione, per poter scappare o attaccare in modo più efficace
possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza.
L’ansia, quindi, non è solo un limite o un disturbo, ma costituisce una importante risorsa,
perché è una condizione fisiologica, efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai
rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni (ad es., sotto esame).
Quando l'attivazione del sistema di ansia è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata
rispetto alle situazioni, però, siamo di fronte ad un disturbo d'ansia, che può complicare
notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le più comuni
situazioni.
I disturbi d'ansia conosciuti e chiaramente diagnosticabili sono i seguenti (cliccate per
approfondimenti):
Fobia specifica (aereo, spazi chiusi, ragni, cani, gatti, insetti, ecc.)
Disturbo di panico e agorafobia (paura di stare in situazioni da cui non vi sia una
rapida via di fuga)
Disturbo ossessivo-compulsivo
Fobia sociale
Disturbo da stress acuto o post-traumatico da stress
Disturbo d'ansia generalizzata
LE FOBIE
La fobia è una paura marcata e persistente con caratteristiche peculiari:
è sproporzionata rispetto al reale pericolo dell’oggetto o della situazione;
non può essere controllata con spiegazioni razionali, dimostrazioni e ragionamenti;
supera la capacità di controllo volontario che il soggetto è in grado di mettere in atto;
produce l’evitamento sistematico della situazione-stimolo temuta;
permane per un periodo prolungato di tempo senza risolversi o attenuarsi;
comporta un certo grado di disadattamento per l’interessato;
l’individuo riconosce che la paura è irragionevole e che non è dovuta ad effettiva
pericolosità dell’oggetto, attività o situazione temuta.
La fobia è dunque una paura estrema, irrazionale e sproporzionata per qualcosa che non
rappresenta una reale minaccia e con cui gli altri si confrontano senza particolari tormenti
psicologici. Chi ne soffre, infatti, è sopraffatto dal terrore all'idea di venire a contatto
magari con un animale innocuo come un ragno o una lucertola, o di fronte alla prospettiva
di compiere un'azione che lascia indifferenti la maggior parte delle persone (ad esempio, il
claustrofobico non riesce a prendere l'ascensore o la metropolitana). Le persone che
soffrono di fobie si rendono perfettamente conto dell'irrazionalità di certe reazioni
emotive, ma non possono controllarle.
L'ansia da fobia, o "fobica", si esprime con sintomi fisiologici come tachicardia, disturbi
gastrici e urinari, nausea, diarrea, senso di soffocamento, rossore, sudorazione eccessiva,
tremito e spossatezza. Si sta male e si desidera una cosa sola: fuggire!
Scappare, d'altra parte, è una strategia di emergenza. Latendenza ad evitare tutte le
situazioni o condizioni che possono essere associate alla paura, sebbene riduca sul
momento gli effetti della paura, in realtà costituisce una micidiale trappola:
ogni evitamento, infatti, conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara
l'evitamento successivo (in termini tecnici si dice che ogni evitamento rinforza
negativamente la paura). Tale spirale di progressivi evitamenti produce l'incremento, non
solo della sfiducia nelle proprie risorse, ma anche della reazione fobica della persona, al
punto da interferire significativamente con la normale routine dell'individuo, con il
funzionamento lavorativo o scolastico oppure con le attività o le relazioni sociali. Il disagio
diviene così sempre più limitante. Chi ha la fobia dell'aereo può trovarsi, ad esempio, a
rinunciare a molte trasferte, e la cosa diventa imbarazzante se è necessario spostarsi per
lavoro. Chi è terrorizzato dagli aghi e dalle siringhe può rinunciare a controlli medici
necessari o privarsi dell'esperienza di una gravidanza. Chi ha paura dei piccioni non
attraversa le piazze e non può godersi un caffè seduto ai tavolini di un bar all'aperto e così
via.Quando si parla di fobie ci si riferisce in genere alla fobia dei cani, dei gatti, dei ragni,
degli spazi chiusi, degli insetti, di volare, del sangue, delle iniezioni, ecc.
Più precisamente, esistono le fobie generalizzate(agorafobia e fobia sociale), fortemente
invalidanti, e le comuni fobie specifiche, generalmente ben gestite dai soggetti evitando
gli stimoli temuti, che si classificano così:
Tipo animali. Fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni
(ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia),
fobia dei topi, ecc..
Tipo ambiente naturale. Fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze
(acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell'acqua (idrofobia), ecc..
Tipo sangue-iniezioni-ferite. Fobia del sangue (emofobia), fobia degli aghi, fobia delle
siringhe, ecc.. In generale, se la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita
o dal ricevere un'iniezione o altre procedure mediche invasive.
Tipo situazionale. Nei casi in cui la paura è provocata da una situazione specifica, come
trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare (aviofobia), guidare, oppure luoghi
chiusi (claustrofobia o agorafobia).
Altro tipo. Nel caso in cui la paura è scatenata da altri stimoli come: il timore o
l'evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare o contrarre una malattia (vedi
anche disturbo ossessivo-compulsivo e ipocondria), ecc. Una forma particolare di fobia
riguarda il proprio corpo o una parte di esso, che la persona vede come orrende,
inguardabili, ripugnanti (dismorfofobia).
E' importante chiarire che il tipo di fobia da cui si è affetti non ha alcun significato
simbolico inconscio, come invece viene suggerito da alcuni psicoanalisti, e la paura
specifica è legata unicamente ad esperienze di apprendimento errato involontario (non
necessariamente ricordate dal soggetto), per cui l'organismo associa
involontariamente pericolositàad un oggetto o situazione oggettivamente non pericolosa.
Si tratta, in sostanza, di un processo di cosiddetto"condizionamento classico". Tale
condizionamento si mantiene inalterato nel tempo a causa dello spontaneo evitamento
sistematico che i soggetti fobici mettono in atto rispetto alla situazione temuta.
DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO
Gli attacchi di panico sono episodi di improvvisa ed intensa paura o di una rapida
escalation dell’ansia normalmente presente. Sono accompagnati da sintomi somatici e
cognitivi, quali palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di
soffocamento, dolore al petto, nausea, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di
calore.
Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come un’esperienza terribile, spesso
improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta. E’ ovvio che la paura di un nuovo
attacco diventa immediatamente forte e dominante.
Il singolo episodio, quindi, sfocia facilmente in un vero e proprio disturbo di panico, più
per "paura della paura" che altro. La persona si trova rapidamente invischiata in un
tremendo circolo vizioso che spesso si porta dietro la cosiddetta "agorafobia", ovvero
l’ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante
allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto, nel caso di un attacco di
panico inaspettato.
Diventa così pressoché impossibile uscire di casa da soli, viaggiare in treno, autobus o
guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e cosi via.
L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene diviene la modalità
prevalente ed il paziente diviene schiavo del suo disturbo, costringendo spesso tutti i
familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciarlo mai solo e ad accompagnarlo
ovunque, con l’inevitabile senso di frustrazione che deriva dal fatto di essere "grande e
grosso" ma dipendente dagli altri, che può condurre ad una depressione secondaria.
La caratteristica essenziale del Disturbo di Panico è la presenza di attacchi di
panico ricorrenti, inaspettati, seguiti da almeno 1 mese di preoccupazione persistente di
avere un altro attacco di panico.
La persona si preoccupa delle possibili implicazioni o conseguenze degli attacchi di
panico e cambia il proprio comportamento in conseguenza degli attacchi, principalmente
evitando le situazioni in cui teme che essi possano verificarsi.
Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè si manifesta "a ciel sereno", per
cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso, ricorre al pronto soccorso; poi pssono
diventare più prevedibili.
Per la diagnosi sono richiesti almeno due attacchi di panicoinaspettati, ma la maggior
parte degli individui ne hanno molti di più.
Gli individui con Disturbo di Panico mostrano caratteristiche preoccupazioni o
interpretazioni sulle implicazioni o le conseguenze degli attacchi di panico. La
preoccupazione per il prossimo attacco o per le sue implicazioni sono spesso associate con
lo sviluppo di condotte di evitamento che possono determinare una vera e
propriaAgorafobia, nel qual caso viene diagnosticato il Disturbo di Panico con
Agorafobia.
Di solito gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti. Alcuni eventi di
vita possono infatti fungere da fattori precipitanti, anche se non indicono necessariamente
un attacco di panico. Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti più comunemente troviamo
la separazione, la perdita o la malattia di una persona significativa, l’essere vittima di una
qualche forma di violenza, problemi finanziari e lavorativi.
I primi attacchi si verificano di solito in situazioni agorafobiche (come guidare da soli o
viaggiare su un autobus in città) e comunque spesso in qualche contesto stressante.
Gli eventi stressanti, le situazioni agorafobiche, il caldo e le condizioni climatiche umide,
le droghe psicoattive possono infatti far insorgere sensazioni corporee che possono essere
interpretate in maniera catastrofica, aumentando il rischio di sviluppare attacchi di panico
e disturbi di panico. L’attacco di panico ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente
l’apice (di solito entro 10 minuti o meno) e dura circa 20 minuti (ma a volte molto meno o
di più).
I sintomi che possono caratterizzare l’attacco di panicosono:
- Palpitazioni/tachicardia (battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in
gola)
- Paura di perdere il controllo o di impazzire (ad esempio, la paura di fare qualcosa di
imbarazzante in pubblico o la paura di scappare quando colpisce il panico o di perdere la
calma)
- Sensazioni di sbandamento, instabilità (capogiri e vertigini)
- Tremori fini o a grandi scosse
- Sudorazione
- Sensazione di soffocamento
- Dolore o fastidio al petto
- Sensazioni di derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale,
sensazioni di stordimento e distacco) e depersonalizzazione (alterata percezione di sé
caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal
corpo)
- Brividi
- Vampate di calore
- Parestesie (sensazioni di intorpidimento o formicolio)
- Nausea o disturbi addominali
- Sensazione di soffocamento
- Sensazione di asfissia (stretta o nodo alla gola)
La frequenza e la gravità degli attacchi di panico varia ampiamente nel corso del tempo e
delle circostanze. Ad esempio, alcuni individui presentano attacchi moderatamente
frequenti (per es., una volta a settimana), che si manifestano regolarmente per mesi. Altri
riferiscono brevi serie di attacchi più frequenti (per es., quotidianamente per una
settimana), intervallate da settimane o mesi senza attacchi o con attacchi meno frequenti
(per es., due ogni mese) per molti anni.
Vi sono anche i cosiddetti attacchi paucisintomatici, molto comuni negli individui
con Disturbo di Panico, che sono degli attacchi in cui si manifestano soltanto una parte
dei sintomi del panico, senza esplodere in un vero attacco. La maggior parte degli
individui con attacchi paucisintomatici, tuttavia, hanno avuto attacchi di panico completi
in qualche momento nel corso del disturbo.
Durante un attacco di panico, pensieri catastrofici automatici e incontrollati riempiono la
mente della persona, che ha quindi difficoltà a pensare chiaramente e teme che tali sintomi
siano veramente pericolosi. Alcuni temono che gli attacchi indichino la presenza di una
malattia non diagnosticata, pericolosa per la vita (per es., cardiopatia, epilessia).
Nonostante i ripetuti esami medici e la rassicurazione, possono rimanere impauriti e
convinti di essere fisicamente vulnerabili. Altri temono che gli attacchi di panico indichino
che stanno "impazzendo" o perdendo il controllo, o che sono emotivamente deboli e
instabili.Il termine Agorafobia deriva dalla parola greca Agorà che significa piazza; infatti,
i primi utilizzi della parola in psicologia e psichiatria si rivolgevano a persone che avevano
paura di recarsi in posti affollati. In realtà, i pazienti conAgorafobia temono le situazioni
in cui è difficile scappare o ricevere soccorso; di conseguenza, essi evitano tali luoghi al
fine di controllare l’ansia legata alla prefigurazione di una nuova crisi di panico. Infatti,
nella maggior parte dei casi, l’Agorafobia è un problema che emerge secondariamente
all’insorgenza di attacchi di panico o crisi d’ansia minori; si instaura quando il soggetto
comincia ad evitare sistematicamente tutti i luoghi, le situazioni ed i contesti nei quali ci
potrebbero essere ostacoli alla possibilità di essere aiutati. Tra le situazioni che più
frequentemente vengono evitate si riscontrano: uscire da soli o stare a casa da soli;
guidare o viaggiare in automobile; frequentare luoghi affollati come mercati o concerti;
prendere l’autobus o l’aeroplano; essere su un ponte o in ascensore. Quando questi
evitamenti iniziano a compromettere le attività quotidiane ed il funzionamento sociolavorativo della persona allora si parla di Agorafobia. Talvolta, il problema è più difficile
da individuare perché il soggetto non evita certe situazioni temute ma diviene incapace di
affrontarle senza l’assistenza di una persona di fiducia.
L’Agorafobia può essere diagnosticata all’interno delDisturbo di Panico con Agorafobia o
come Agorafobia senza anamnesi di Disturbo di Panico. In questo ultimo caso, le crisi che
il paziente evita sono caratterizzate da sintomi d’ansia tipo panico, ma senza tutte le
caratteristiche dell’Attacco di Panico vero e proprio.
L’Agorafobia è in sintesi caratterizzata da:
• Ansia legata al trovarsi in luoghi in cui sarebbe difficile allontanarsi, fuggire oppure
chiedere e ricevere soccorso, nel caso in cui si verificasse un Attacco di Panico o una crisi
d’ansia.
• Le situazioni temute vengono evitate o affrontate con molta difficoltà oppure tramite il
supporto di un accompagnatore.
• L’ansia e l’evitamento limitano il funzionamento socio-lavorativo del soggetto e non
derivano da altri tipi di paura o fobie (evitare gli ascensori per un Claustrofobico, evitare
le situazioni sociali per il Fobico Sociale, evitare stimoli che ricordino un evento traumatico
nel Disturbo Post-Traumatico da stress).
All’interno della Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, le tecniche di esposizione si
sono dimostrate utili nel ridurre i comportamenti che alimentano l’ansia agorafobica. Altri
autori suggeriscono metodi combinati con tecnche cognitivo-comprtamentali e
addestramento al rilassamento
DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
Caratteristiche essenziali del disturbo ossessivo compulsivo sono pensieri, immagini o
impulsi ricorrenti che creano allarme o paura e che costringono la persona a mettere in
atto comportamenti ripetitivi o azioni mentali.
Come il nome stesso lascia intendere, il disturbo ossessivo compulsivo è caratterizzato
da ossessioni e compulsioni. Almeno l'80% dei pazienti con DOC ha sia ossessioni che
compulsioni, meno del 20% ha solo ossessioni o solo compulsioni.
Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che si presentano più e più volte e sono al
di fuori del controllo di chi li sperimenta. Tali idee sono sentite come disturbanti e
intrusive, e, almeno quando le persone non sono assalite dall'ansia, sono giudicate come
infondate ed insensate. Le persone con disturbo ossessivo compulsivo possono
preoccuparsi eccessivamente dello sporco e dei germi. Possono essere terrorizzate dalla
paura di avere inavvertitamente fatto del male a qualcuno, di poter perdere il controllo di
sé e diventare aggressive in certe situazioni, di aver contratto malattie infettive o di essere
omosessuali, anche se di solito riconoscono che tutto ciò non è realistico.
Le ossessioni sono accompagnate da emozioni sgradevoli, come paura, disgusto, disagio,
dubbi, o dalla sensazione di non aver fatto le cose nel "modo giusto", e gli innumerevoli
sforzi per contrastarle non hanno successo, se non momentaneo.
Le compulsioni tipiche del disturbo ossessivo compulsivo vengono anche definite rituali
o cerimoniali e sono comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o
azioni mentali (contare, pregare, ripetere formule mentalmente) messi in atto per ridurre il
senso di disagio e l'ansia provocati dai pensieri e dagli impulsi tipici delle ossessioni.
Costituiscono, cioè, un tentativo di elusione del disagio, un mezzo per cercare di
conseguire un controllo sulla propria ansia. In generale tutte le compulsioni che includono
la pulizia, il lavaggio, il controllo, l'ordine, il conteggio, la ripetizione ed il collezionare si
trasformano in rigide regole di comportamento e sono spesso bizzarre e francamente
eccessive.
Il disturbo ossessivo compulsivo colpisce, indistintamente per età e sesso, dal 2 al 3%
della popolazione. Può infatti manifestarsi sia negli uomini sia nelle donne,
indifferentemente, e può esordire nell'infanzia, nell'adolescenza o nella prima età adulta
L'età tipica in cui compare più frequentemente è tra i 6 e i 15 anni nei maschi e tra i 20 e i
29 nelle donne. I primi sintomi si manifestano nella maggior parte dei casi prima dei 25
anni (il 15% ha esordio intorno ai 10 anni) e in bassissima percentuale dopo i 40 anni.
Se il disturbo ossessivo compulsivo non viene curato, generalmente tende a cronicizzare e
ad aggravarsi progressivamente. A differenza di altri disturbi psicologici, sostanzialmente
omogenei, nella pratica clinica si possono distinguere con relativa chiarezza sette tipologie
di disturbo ossessivo-compulsivo, talvolta presenti in concomitanza, ognuno delle quali
ha sintomi specifici.
- Disturbi da contaminazione - Si tratta di ossessioni e compulsioni connesse a
improbabili (o irrealistici) contagi o contaminazioni. Sostanze "contaminanti" diventano
spesso non solo lo sporco oggettivo, ma anche urine, feci, sangue e siringhe, carne cruda,
persone malate, genitali, sudore, e persino saponi, solventi e detersivi, contenenti sostanze
chimiche potenzialmente "dannose". Se la persona entra in contatto con uno degli agenti
"contaminanti", mette in atto una serie di sintomi (rituali) di lavaggio, pulizia,
sterilizzazione o disinfezione volti a neutralizzare l'azione dei germi e a tranquillizzarsi
rispetto alla possibilità di contagio o a liberarsi dalla sensazione di disgusto.
- Disturbi da controllo - Si tratta di ossessioni e compulsioni implicanti controlli protratti e
ripetuti senza necessità, volti a riparare o prevenire gravi disgrazie o incidenti. Le persone
che ne soffrono tendono a controllare e ricontrollare, sia per tranquillizzarsi riguardo al
dubbio ossessivo di aver fatto qualcosa di male e non ricordarlo, sia a scopo preventivo,
per essere sicuri di aver fatto il possibile per prevenire qualunque possibile catastrofe.
All’interno di questa categoria vi sono sintomi quali controllare di: aver chiuso le porte e le
finestre di casa, le portiere della macchina, il rubinetto del gas e dell'acqua, la saracinesca
del garage o l'armadietto dei medicinali; aver spento fornelli elettrici o altri
elettrodomestici, le luci in ogni stanza di casa o i fari della macchina; non aver perso cose
personali lasciandole cadere; non aver investito involontariamente qualcuno con la
macchina
- Ossessioni pure - Si tratta di pensieri o, più spesso, immagini relative a scene in cui la
persona attua comportamenti indesiderati e inaccettabili, privi di senso, pericolosi o
socialmente sconvenienti (aggredire qualcuno, avere rapporti omosessuali o pedofilici,
tradire il partner, bestemmiare, compiere azioni blasfeme, offendere persone care, ecc.).
Queste persone non hanno né rituali mentali né compulsioni, ma soltanto pensieri
ossessivi.
- Superstizione eccessiva - Si tratta di un pensiero superstizioso portato all'eccesso. Chi ne
soffre ritiene che il fatto di fare o non fare determinate cose, di pronunciare o non
pronunciare alcune parole, di vedere o non vedere certe cose (es. carri funebri, cimiteri,
manifesti mortuari), certi numeri o certi colori, di contare o non contare un numero preciso
di volte degli oggetti, di ripetere o non ripetere particolari azioni il "giusto" numero di
volte, sia determinante per l'esito degli eventi. Tale effetto può essere scongiurato soltanto
ripetendo l'atto (es. cancellando e riscrivendo la stessa parola, pensando a cose positive) o
facendo qualche altro rituale "anti-iella".
- Ordine e simmetria - Chi ne soffre non tollera assolutamente che gli oggetti siano posti in
modo anche minimamente disordinato o asimmetrico, perché ciò gli procura una
sgradevole sensazione di mancanza di armonia e di logicità. Libri, fogli, penne,
asciugamani, videocassette, cd, abiti nell'armadio, piatti, pentole, tazzine, devono risultare
perfettamente allineati, simmetrici e ordinati secondo una sequenza logica (es.
dimensione, colore, ecc.). Quando ciò non avviene queste persone passano ore del loro
tempo a riordinare ed allineare questi oggetti, fino a sentirsi completamente tranquilli e
soddisfatti.
- Accumulo/accaparramento - E' un tipo di ossessione piuttosto rara che caratterizza
coloro che tendono a conservare ed accumulare (e talvolta perfino a raccogliere per strada)
oggetti insignificanti e inservibili (riviste e giornali vecchi, pacchetti di sigarette vuoti,
bottiglie vuote, asciugamani di carta usati, confezioni di alimenti), per la enorme difficoltà
che hanno a gettarli.
- Compulsioni mentali - Non costituiscono una reale categoria a parte di disturbi ossessivi,
perché la natura delle ossessioni può essere una qualunque delle precedenti. Coloro che ne
soffrono, pur non presentando alcuna compulsione materiale, come nel caso delle
ossessioni pure, effettuano precisi cerimoniali mentali (contare, pregare, ripetersi frasi,
formule, pensieri positivi o numeri fortunati) per scongiurare la possibilità che si avveri il
contenuto del pensiero ossessivo e ridurre di conseguenza l'ansia.
Una forma particolare di ossessione è quella che riguarda la preoccupazione eccessiva e
irrazionale di avere una parte del proprio corpo difettosa o deforme (vedi dismorfofobia).
FOBIA SOCIALE
La fobia sociale è un disturbo alquanto diffuso tra la popolazione. Secondo alcuni studi, la
percentuale di persone che ne soffre va dal 3% al 13%. Sempre secondo questi studi
sembra che ne soffrano più le donne che gli uomini.
La caratteristica principale della fobia sociale è la paura di agire, di fronte agli altri, in
modo imbarazzante o umiliante e di ricevere giudizi negativi.
Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali,
per la paura di comportarsi in modo “sbagliato” e di venir mal giudicati.
Solitamente le situazioni più temute da chi soffre di fobia sociale sono quelle che
implicano la necessità di dover fare qualcosa davanti ad altre persone, come ad esempio
esporre una relazione o anche solo firmare, telefonare o mangiare; a volte può creare ansia
semplicemente entrare in una sala dove ci sono persone già sedute, oppure parlare con un
proprio amico.
Le persone che soffrono di fobia sociale temono di apparire ansiose e di mostrarne i
“segni”, cioè temono di diventare rosse in volto, di tremare, di balbettare, di sudare, di
avere batticuore, oppure di rimanere in silenzio senza riuscire a parlare con gli altri, senza
avere la battuta “pronta”.
Infine, accade spesso che chi ne soffre, quando non si trova in una situazione temuta,
riconosca come irragionevole la propria paura e tenda, conseguentemente, ad auto
accusarsi e rimproverarsi per non riuscire a fare cose che tutti fanno.
La fobia sociale, se non trattata, tende a rimanere stabile e cronica, e spesso può dare
luogo ad altri disturbi come ladepressione.
Tale disturbo sembra esordire normalmente in età adolescenziale o nella prima età adulta.
Solitamente si distinguono due tipi di Fobia Sociale:
semplice, quando la persona teme solo una o poche tipologie di situazioni (per esempio è
incapace di parlare in pubblico, ma non ha problemi in altre situazioni sociali come
partecipare ad una festa o parlare con uno sconosciuto);
generalizzata, quando invece la persona teme pressoché tutte le situazioni sociali. Nelle
forme più gravi e pervasive, si tende a preferire la diagnosi di Disturbo Evitante di
Personalità. La caratteristica principale della fobia sociale è data dalla paura di trovarsi in
situazioni sociali o di essere osservati mentre si sta facendo qualcosa, come ad esempio
parlare in pubblico o, più semplicemente, parlare con una persona, scrivere, mangiare o
telefonare.
Nelle situazioni sociali temute, gli individui con fobia sociale sono preoccupati di
apparire imbarazzati e, soprattutto, sono timorosi che gli altri li giudichino ansiosi, deboli,
"pazzi", o stupidi.
Possono, quindi, temere di parlare in pubblico per la preoccupazione di dimenticare
improvvisamente quello che devono dire o per la paura che gli altri notino il tremore delle
mani o della voce, oppure possono provare ansia estrema quando conversano con gli altri
per la paura di apparire poco chiari. I sintomi della fobia sociale possono condurre il
soggetto ad evitare di mangiare, bere o scrivere in pubblico, per timore di rimanere
imbarazzato dal fatto che gli altri possano vedere le sue mani tremare.
Ovviamente, queste persone cercano in tutti i modi evitare tali situazioni o, se vi sono
costrette, sopportano tali situazioni con un carico di disagio molto elevato. I sintomi della
fobia sociale (legati all'ansia) maggiormente percepiti sono: palpitazioni (79%), tremori
(75%), sudori (74%), tensione muscolare (64%), nausea (63%), secchezza delle fauci (61%),
vampate di calore (57%), arrossamenti (51%), mal di testa (46%).
Un'altra caratteristica tipica di questo disturbo è unamarcata ansia che precede le
situazioni temute e che prende il nome di ansia anticipatoria. Così, già prima di affrontare
una situazione sociale (per esempio andare ad una festa o andare ad una riunione di
lavoro), le persone cominciano a preoccuparsi per tale evento.
Come spesso accade nei disturbi fobici, le persone che provano tale disturbo riconoscono,
quando sono lontane dalle situazioni temute, che le loro paure solo assolutamente
irragionevoli, eccessive e sciocche, arrivando così a colpevolizzarsi ulteriormente per le
loro condotte evitanti.
DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
Secondo il DSM-IV-TR (APA, 2000), il Disturbo da Stress Post-traumatico si sviluppa in
seguito all'esposizione ad un evento stressante e traumatico che la persona ha vissuto
direttamente, o a cui ha assistito, e che ha implicato morte, o minacce di morte, o gravi
lesioni, o una minaccia all'integrità fisica propria o di altri. La risposta della persona
all'evento comporta paura intensa, senso di impotenza e/o orrore.
I sintomi del Disturbo Post-traumatico da Stressvengono raggruppati in tre categorie
principali:
1. il continuo rivivere l'evento traumatico: l’evento viene rivissuto persistentemente
dall’individuo attraverso immagini, pensieri, percezioni, incubi notturni;
2. l'evitamento persistente degli stimoli associati con l’evento o attenuazione della
reattività generale: la persona cerca di evitare di pensare al trauma o di essere esposta a
stimoli che possano riportarglielo alla mente. L’ottundimento della reattività generale si
manifesta nel diminuito interesse per gli altri, in un senso di distacco e di estraneità;
3. sintomi di uno stato di iperattivazione persistentecome difficoltà ad addormentarsi o a
mantenere il sonno, difficoltà a concentrarsi, l’ipervigilanza ed esagerate risposte di
allarme.
I sintomi del disturbo da stress post traumatico possono insorgere immediatamente dopo
il trauma o dopo mesi. Il quadro dei sintomi può essere inoltre acuto, se la durata dei
sintomi è minore di tre mesi, cronico se ha una durata maggiore, o ad esordio tardivo, se
sono trascorsi almeno 6 mesi tra l'evento e l'esordio dei sintomi.
Gli eventi traumatici vissuti direttamente possono includere tutte quelle situazioni in cui
la persona si è sentita in grave pericolo come i combattimenti militari, aggressione
personale violenta, rapimento, attacco terroristico, tortura, incarcerazione come
prigioniero di guerra o in un campo di concentramento, disastri naturali o provocati, gravi
incidenti automobilistici, stupri, ecc.. Gli eventi vissuti in qualità di testimoni includono
l'osservare situazioni in cui un’altra persona viene ferita gravemente o assistere alla morte
innaturale di un'altra persona dovuta ad assalto violento, incidente, guerra o disastro, o il
trovarsi di fronte inaspettatamente a un cadavere.
Anche il solo fatto di essere venuti a conoscenza che un membro della famiglia o un
amico stretto è stato aggredito, ha avuto un incidente o è morto (soprattutto se la morte è
improvvisa e inaspettata) può far insorgere il disturbo da stress post traumatico.
Il disturbo post traumatico può risultare particolarmente grave e prolungato quando
l'evento stressante è ideato dall'uomo (per es., tortura, rapimento). La probabilità di
sviluppare questo disturbo può aumentare proporzionalmente all'intensità e con la
prossimità fisica al fattore stressante.
Il trattamento richiede necessariamente un intervento psicoterapeutico cognitivocomportamentale, che faciliti l'elaborazione del trauma fino alla scomparsa dei sintomi
d'ansia. Per l'elaborazione del trauma si è rivelato inoltre particolarmente utile l'EMDR,
tecnica specifica di alta efficacia dimostrata, al punto che il nostro Istituto offre
unospecifico servizio in tal senso, offerto da terapeuti specificatamente
formati. Per trauma, in psicologia, si intende qualsiasi evento che una persona recepisce
come estremamente stressante. Può trattarsi di una minaccia all’integrità fisica, propria o
di altri, o all’identità psicologica. Questi eventi producono reazioni emotive e corporee
importanti, che non sempre il cervello riesce ad elaborare. Quando l’elaborazione non
avviene spontaneamente, le emozioni e le sensazioni corporee si bloccano, e costruiscono
reti neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico e il
benessere della persona.
L’impatto traumatico è soggettivo. A seconda delle caratteristiche di personalità,
dell’ambiente circostante, della struttura emotiva e cognitiva di ogni persona un evento
può essere più o meno traumatico. Eventi potenzialmente traumatici non includono solo
condizioni estreme e fuori del comune, ma, molto spesso possono riguardare
ancheesperienze di trascuratezza o mancanza di rispetto e accudimento, che influiscono
sul senso di valore dell’individuo, sulla sua sicurezza, sull’autostima e sul suo senso di
efficacia personale.
Anche senza aver subito traumi con la “T” maiuscola, tutti noi abbiamo subito traumi con
la “t” minuscola. Per alcuni può essere stato traumatico essere umiliati alle elementari da
un maestro troppo duro, per altri essere mollati, improvvisamente, dal proprio partner;
per molti può essere traumatica la perdita del lavoro, oppure un divorzio o la perdita di
una persona cara, ma anche un giudizio ricevuto. I sintomi che si possono presentare in
seguito ad un’esperienza traumatica non sono univoci. Essi variano a seconda della
gravità del trauma, ma, soprattutto, dipendono dalla risposta soggettiva di chi lo ha
subito.
La risposta all’esperienza traumatica è, prima di tutto, emotivo-corporea. Nel caso di un
trauma irrisolto si crea nel cervello una stasi neurobiologica, che impedisce l’elaborazione
delle emozioni e delle sensazioni corporee le quali, permanendo nel cervello oltre la
conclusione dell’esperienza, sono pronte a riattivarsi in situazioni simili a quella
traumatica. Anche se la persona si trova in condizioni di sicurezza può accadere, infatti,
che essa sperimenti le stesse emozioni e sensazioni sgradevoli che aveva provato nel
momento in cui è avvenuto il trauma. Per esempio, chi ha avuto un incidente d’auto può
continuare a sentirsi a disagio e teso in macchina, anche se consapevole che, da anni, guida
senza problemi.
Questa iperattivazione emotiva e corporea può portare allo sviluppo di sintomatologie
diverse.
Secondo la classificazione del DSM IV-TR, sono due i disturbi direttamente legati ad
esperienze traumatiche irrisolte. Questi sono: il Disturbo Acuto da Stress e il Disturbo
Post-Traumatico da Stress.
Trattasi di due disturbi d’ansia caratterizzati dai seguenti sintomi:
paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore;
rivivere costantemente l’evento traumatico con immagini, pensieri o percezioni
ricorrenti e intrusive, sogni, sensazione di rivivere l’esperienza (illusioni, allucinazioni,
flashback), disagio psicologico e reattività fisiologica intensa all’esposizione a fattori
scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto
dell’evento traumatico;
evitamento di pensieri, sensazioni, conversazioni, attività, luoghi o persone che
evocano ricordi del trauma, incapacità di ricordare qualche aspetto importante del
trauma;
riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative,
sentimenti di distacco o estraneità verso gli altri, affettività ridotta, sentimenti di
diminuzione delle prospettive future;
aumento dell’attivazione nervosa, con difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il
sonno, irritabilità o scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza, esagerate
risposte di allarme.
Se tale sintomatologia si risolve entro 4 settimane parliamo di Disturbo Acuto da Stress,
se invece perdura per oltre un mese si parla di Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Nella pratica clinica si riscontra, però, che un trauma può dare origine a varie patologie e
non solo alle due sopra citate.
Molti autori, oggi, indipendentemente dall’approccio teorico di appartenenza, sostengono
che piccoli e grandi traumi, vissuti soprattutto in età infantile, hanno un impatto
significativo sull’emergere dello stress psicologico e sullo sviluppo di vari disturbi
mentali. Anche aspetti caratteriali, come latimidezza o la tendenza al senso di colpa,
possono essere la conseguenza di traumi. In particolare, di traumi interpersonali, come
rifiuti, umiliazioni, colpevolizzazioni, tanto più gravi quanto più ripetuti.
Un trauma irrisolto, infatti, costituisce un carico disfunzionale nel cervello di una persona
che la rende più fragile rispetto all’impatto con altre possibili successive difficoltà della
vita e ne diminuisce la resilienza. Per questo diciamo che un trauma irrisolto tende a
"complessizzarsi", dando vita a modalità di relazione disfunzionali con se stessi, con gli
altri e con la realtà interna, che possono diventare la base di sintomatologie diverse.
DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATA
La persona con Disturbo d’Ansia Generalizzatasperimenta un costante stato d’ansia,
spesso concernente piccole cose e caratterizzato da attesa apprensiva con anticipazione
pessimistica di eventi negativi o catastrofici di ogni genere a natura. Oltre a questa
eccessiva e incontrollabile preoccupazione per qualsiasi circostanza, si riscontrano
anche sintomi somatici, quali sudorazione, vampate, batticuore, nausea, diarrea, bocca
secca, nodo alla gola, ecc.. Talvolta vengono lamentati disturbi muscolo-scheletrici, come
tensione (soprattutto alla nuca e al collo), tic, tremori, affaticabilità. La tensione
muscolare può inoltre esprimersi con manifestazioni algiche diffuse o cefalee. I soggetti
con questo disturbo sono spesso irritabili, irascibili, incapaci di rilassarsi e persino di
mantenere la concentrazione; sono descritti come persone spesso irrequiete, distratte e
impazienti. Frequentemente soffrono diinsonnia e rimuginano sull’eventualità di disgrazie
incombenti, per sé ed altri.
I bambini con Disturbo d’Ansia Generalizzato tendono a preoccuparsi troppo delle
proprie prestazioni e, nel corso del disturbo, il nucleo della preoccupazione può spostarsi
da un oggetto ad un altro.
Il disturbo – tendenzialmente cronico e di lunga durata - può facilmente essere
accompagnato da depressione e portare ad un abuso di alcol, caffeina, stimolanti ed altre
sostanze.
Per diagnosticare un Disturbo d’Ansia Generalizzato, la caratteristica essenziale del
quadro – la presenza di preoccupazioni eccessive inerenti la maggior parte delle comuni
attività del soggetto – deve occupare la maggior parte del tempo. La persona non è capace
di controllare tale attesa apprensiva. Per la diagnosi sono inoltre necessari almeno tre dei
seguenti sintomi:
• Irrequietezza o sentirsi “con i nervi a fior di pelle”
• Affaticabilità
• Irritabilità
• Difficoltà di concentrazione o vuoti di memoria
• Tensione muscolare
• Sonno irrequieto, insoddisfacente o difficoltà ad addormentarsi.
Le psicoterapie ad indirizzo cognitivo comportamentale (tra le più efficaci e caldamente
raccomandabili) affrontano l’ansia generalizzata in modi diversi. Si possono affrontare in
modo separato le varie situazioni in cui l’ansia si presenta tramite tecniche
comportamentali e di ristrutturazione cognitiva. Alcuni utilizzano tecniche di
rilassamento per interrompere il processo di auto alimentazione dell’ansia e abbassare lo
stato di tensione generale. Infine, si possono scegliere interventi mirati al potenziamento
delle capacità assertive.
Tra i trattamenti farmacologici più diffusi per questo disturbo si trovano sicuramente
quelli a base di ansiolitici. Lebenzodiazepine costituiscono, infatti, i farmaci di più largo
impiego; tuttavia, il buspirone è sicuramente un composto più recente e di pari efficacia.
Tra gli antidepressivi con buona azione ansiolitica vengono utilizzati anche la Sertralina e
la Paroxetina.
IPOCONDRIA
Descrizione del disturbo
Per definizione, un paziente è ipocondriaco se continua a male interpretare alcune
sensazioni corporee nonostante abbia ricevuto rassicurazioni mediche pertinenti, valide e
ben fondate e nonostante abbia le capacità intellettive per poter compiere le inferenze
opportune da tali informazioni.
Nell’ipocondria la preoccupazione può riguardare le funzioni corporee (per es. il battito
cardiaco, la respirazione); alterazioni fisiche di lieve entità (per es. piccole ferite o una
saltuaria allergia); oppure sensazioni fisiche indistinte o confuse (per es. "cuore affaticato",
"vene doloranti").
La persona attribuisce questi sintomi o segni alla malattia sospettata ed è molto
preoccupata per il loro significato e per la loro causa. Le preoccupazioni possono
riguardare numerosi apparati, in momenti diversi o simultaneamente.
In alternativa ci può essere preoccupazione per un organo specifico o per una singola
malattia (per es. la paura di avere una malattia cardiaca).
I soggetti con l'ipocondria possono allarmarsi se leggono o sentono parlare di una
malattia, se vengono a sapere che qualcuno si è ammalato, o a causa di osservazioni,
sensazioni, o eventi che riguardano il loro corpo.
La preoccupazione riguardante le malattie temute spesso diviene per il soggetto un
elemento centrale della immagine di sé, un argomento abituale di conversazione, e un
modo di rispondere agli stress della vita.
E’ osservazione comune, infatti, che i pazienti ipocondriaci abbiano un’immagine di sé
caratterizzata dalla assunzione di essere delle persone fragili, vulnerabili, deboli, facili alle
malattie. Tale credenza è piuttosto generale e globale, ma costituisce uno dei perni intorno
al quale si costruisce il senso della propria identità. Essa si forma nella prima infanzia
nell’ambito delle relazioni con le figure significative di riferimento: spesso la figura
d’attaccamento rispecchia tale immagine di debolezza in modo sistematico, ripetitivo, sia
con messaggi espliciti che con atteggiamenti iperprotettivi. Va anche considerato che di
solito le figure affettivamente significative nella vita adulta del paziente ipocondriaco
confermano questa immagine. L’immagine di debolezza che il paziente ipocondriaco
tende ad avere di se stesso ha diverse sfumature. E’ non solo debolezza sul piano fisico,
intesa come vulnerabilità alle malattie e come facile stancabilità, ma è anche debolezza sul
piano psicologico intesa come tendenza a provare emozioni esagerate, ad avere difficoltà
nel controllarle e dunque a poterne essere sopraffatti e impazzire.
Tre scopi sono abitualmente coinvolti nei problemi ipocondriaci:
•
•
•
lo scopo di non essere malati;
lo scopo di non essere persone deboli e, connesso a questo, anche di non essere
esageratamente ansiosi;
lo scopo di rispettare una regola di prudenza e perciò di essere all’altezza delle
proprie responsabilità.
Molto spesso, almeno in tutti i pazienti ipocondriaci con capacità critica, la preoccupazione
ipocondriaca è considerata dai soggetti stessi una reazione esagerata che proprio perché
tale compromette lo scopo di ‘non essere deboli’ poiché facilmente suggestionabili, troppo
emotivi, non pacati.
LA DEPRESSIONE
La depressione è un disturbo molto diffuso. Ne soffrono infatti circa 15 persone su 100. Le
statistiche ci dicono che in un gruppo di 6 persone almeno una persona soffrirà di depressione
nella sua vita.
Tutti quanti abbiamo l'esperienza di una giornata storta, in cui siamo giù
di corda, tristi, più irritabili del solito e "ci sentiamo un po' depressi".
Molto probabilmente non si tratta di un disturbo depressivo, ma di un calo
d'umore passeggero. La depressione clinica invece presenta molti altri
sintomi e si prolunga nel tempo. Per andare via richiede un trattamento
psicologico e/o farmacologico. Chi ne soffre ha un umore depresso per
tutta la giornata per più giorni di seguito e non riesce più a provare
interesse e piacere nelle attività che prima lo interessavano e lo facevano
stare bene. Si sente sempre giù e/o irritabile, si sente stanco, ha pensieri
negativi, e spesso sente la vita come dolorosa e senza senso ("dolore del vivere").
In generale, chi ha la depressione clinica può soffrire quotidianamente dei seguenti sintomi:
• umore depresso;
• perdita di piacere e di interesse per quasi tutte le attività;
• mancanza di energie, affaticamento, stanchezza;
• aumento o diminuzione significative dell'appetito e quindi del peso corporeo;
• disturbi del sonno (dorme di più o di meno o si sveglia spesso durante la notte);
• rallentamento o agitazione;
• difficoltà a concentrarsi;
• sensazione di essere inutile, negativo o continuamente colpevole;
• pensieri di morte o di suicidio.
Può essere che i sintomi si presentino improvvisamente in modo acuto in persone che
generalmente hanno una personalità "ottimista e allegra" o siano costanti nel tempo ma più leggeri,
con alcuni momenti o periodi di peggioramento. Naturalmente è raro che una persona depressa
abbia contemporaneamente tutti i sintomi riportati nell'elenco, ma se soffre quotidianamente dei
primi due sintomi nell'elenco e di almeno altri tre è molto probabile che abbia un disturbo
depressivo.
I parenti e gli amici della persona depressa, animati da buone intenzioni, possono cercare di
spronarla invitandola a sforzarsi di reagire, senza rendersi conto che questo aumenta il suo senso
di colpa e la sua autosvalutazione. L'atteggiamento più utile è aiutare la persona depressa ad
intraprendere un percorso di cura fatto di un'adeguata terapia farmacologica e una psicoterapia
cognitivo-comportamentale.
Il disturbo depressivo può colpire chiunque a qualunque età, ma è più frequente tra i 25 e i 44 anni
di età ed è due volte più comune nelle donne adolescenti e adulte, mentre le bambine e i bambini
sembrano soffrirne in egual misura.
Le cause della malattia sono molteplici e diverse da persona a persona (ereditarietà, ambiente
sociale, lutti familiari, problemi di lavoro, relazionali, etc.). Le ricerche hanno scoperto due cause
principali: il fattore biologico, per cui alcuni hanno una maggiore predisposizione genetica verso
questa malattia; e il fattore psicologico, per cui le nostre esperienze (particolarmente quelle
infantili) possono portare ad una maggiore vulnerabilità acquisita alla malattia. La vulnerabilità
biologica e quella psicologica interagiscono tra di loro e non necessariamente portano allo sviluppo
del disturbo. Una persona vulnerabile può non ammalarsi mai di depressione, se non capita
qualcosa in grado di scatenare il disturbo e se ha relazioni buone e supportive. Il fattore scatenante
è spesso qualche evento stressante o qualche tensione importante che turba la nostra vita. Ma
spesso è difficile capire cosa ha scatenato la nostra depressione, soprattutto se non è la prima volta
che ne soffriamo.
Il disturbo depressivo può portare a gravi compromissioni nella vita di chi ne soffre. Non si riesce
più a lavorare o a studiare, a iniziare e mantenere relazioni sociali e affettive, a provare piacere e
interesse nelle attività. 15 persone su 100 che soffrono di depressione clinica grave muoiono
per suicidio.
Il disturbo depressivo si associa spesso ad altri disturbi psicologici (disturbo di panico, disturbo
ossessivo-compulsivo, disturbo da uso di sostanze e alcol, anoressia nervosa, e bulimia, disturbi
di personalità, etc.). 25 persone su 100 che soffrono di un disturbo organico, come il diabete, la
cardiopatia, l’HIV, l’invalidità corporea fino ad arrivare ai casi di malattie terminali, si ammalano
anche di depressione. Purtroppo la depressione può portare ad un aggravamento ulteriore, dato
che quando si è depressi si ha difficoltà a collaborare nella cura, dal momento che ci si sente
affaticati, con difficoltà a concentrarsi, senso di impotenza, scarsa fiducia di migliorare, passività, e
così via. Inoltre, la depressione può complicare la cura anche per le conseguenze negative che può
avere sul sistema immunitario e sulla già compromessa qualità di vita di chi soffre. E' necessario
dunque curare non solo il disturbo organico ma anche quello depressivo.
Nella maggior parte dei casi la guarigione da un episodio depressivo è seguita da diverse ricadute.
Chi si ammala di depressione può facilmente soffrirne più volte nell’arco della vita. La depressione
è infatti un disturbo ricorrente e sono rari i casi di episodi singoli nell'arco della vita. Sebbene i
farmaci siano molto efficaci nel ridurre i sintomi acuti, non lo sono altrettanto nel risolvere la
vulnerabilità alla ricaduta e nella maggior parte dei casi la loro interruzione porta al riacutizzarsi
della sintomatologia e alla ricorrenza. La sola cura farmacologica inoltre può essere ostacolata
dalla non collaborazione alla cura e disaccordo con la prescrizione medica. La combinazione tra
un'adeguata farmacoterapia e la psicoterapia cognitivo-comportamentale aumenta
significativamente il tasso di successi, sia nella cura dei sintomi acuti che della ricorrenza.
Trattamento della Depressione
Il trattamento psicoterapeutico
La terapia cognitivo-comportamentale si è mostrata efficace per il trattamento della depressione
in moltissimi studi controllati.
Applicata alla depressione sin dagli anni '70, la terapia cognitivo-comportamentale assume che la
depressione è mantenuta da come la persona guarda al mondo, agli altri, a sé e al futuro e dal suo
comportamento passivo. La persona che soffre di depressione infatti ha continui pensieri negativi
ed è molto critica verso se stessa, accusandosi continuamente oltre ogni evidenza e notando
maggiormente gli eventi negativi. Guarda al mondo negativamente ed è molto pessimista per il
proprio futuro. Per capire come può stare chi soffre di depressione, immaginiamo di avere alle
costole qualcuno che ci sussurra continuamente nell'orecchio: "non vali nulla", "sei un fallimento",
"come può volerti bene?", "rimarrai solo", e così via. La maggior parte di noi ne rimarrebbe
schiacciata e tenderebbe a demotivarsi in qualsiasi cosa e a fare sempre di meno. Questa crescente
passività diminuisce l'energia, aumenta la stanchezza depressiva e può essere valutata come
ulteriore prova della propria negatività e del futuro nero.
La terapia cognitivo-comportamentale aiuta la persona a comprendere il funzionamento del suo
disturbo depressivo e a rompere i circoli viziosi che lo mantengono, aiutandola a modificare i modi
disfunzionali di pensare e di comportarsi, a riprendere gradatamente le attività cominciando da
quelle più semplici e piacevoli e a recuperare le proprie relazioni sociali. L'aiuta ad identificare le
difficoltà quotidiane, insegnandole, per esempio, modalità comunicative più efficaci e strategie di
gestione dei problemi più utili.
La terapia cognitivo-comportamentale ha un doppio obiettivo: ridurre i tempi della guarigione e
diminuire la possibilità di eventuali ricadute in futuro.
Alcuni recenti studi hanno dimostrato che la combinazione della terapia cognitivo-
comportamentale con un adeguato trattamento farmacologico, somministrato sotto stretto
controllo di un medico esperto, è tra le modalità più efficaci per curare la depressione.
Disturbi dell'alimentazione
I disturbi dell’alimentazione consistono in disfunzioni del comportamento alimentare e/o
in comportamenti finalizzati al controllo del peso corporeo, che danneggiano in modo
significativo la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a
nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta. Nella classificazione dei disturbi
alimentari rientrano: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e i disturbi da alimentazione
incontrollata.
Anoressia
L'anoressia nervosa è caratterizzata dal rifiuto di mangiare e di mantenere il peso
corporeo nella norma, arrivando al di sotto dell'85% rispetto a quanto previsto per età,
sesso e statura. Si ha un'intensa paura di diventare grassi anche se si è in realtà sottopeso,
spesso negando la propria magrezza e lamentandosi di essere troppo grassi. La forma e il
peso dDistrurbi dell'alimentazioneel corpo assumono un'influenza eccessiva sul proprio
livello di autostima, condizionando tutta l'esistenza e il comportamento della persona.
Nelle ragazze e nelle donne per parlare di anoressia ci deve essere l'assenza di almeno 3
cicli mestruali consecutivi, dovuta fisiologicamente al sottopeso. Negli ultimi anni i
disturbi del comportamento alimentare sono nettamente aumentati in particolare nel
mondo occidentale, dove l'ideale di magrezza e di linea perfetta è sempre più diffuso (in
zone del mondo dove c'è malnutrizione essere grasi è considerata una prova di salute e
benessere sociali). Colpisce ogni strato sociale, con una forte prevalenza nel sesso
femminile (circa 90%). Insorge generalmente nell'adolescenza, raramente in donne oltre i
40 anni. (in quest'ultimo caso, spesso è presente un evento della vita stressante, in
collegamento con l'esordio del disturbo.
Si possono distinguere due forme di questo disturbo: l'anoressia restrittiva, in cui la
perdita di peso è ottenuta attraverso una dieta ferrea, il digiuno e/o l'eccessiva attività
fisica e quella con bulimia, quando alle condotte di restrizione del'assunzione del cibo, si
aggiungono episodi di abbuffate (caratterizzate da un'abnorme ingestione di cibo in un
tempo ridotto e dalla sensazione di perdere il controllo durante l'episodio) alternate a
condotte di eliminazione (vomito autoindotto, uso eccessivo di lassativi o diuretici).
Uno dei vissuti più angoscianti delle persone anoressiche, è legato ad una errata
percezione del proprio corpo, vissuto come sgradevole e perennemente inadeguato.
Alcuni si sentono grassi in riferimento a tutto il loro corpo, altri pur ammettendo la
propria magrezza concentrano le loro critiche ad alcune parti del corpo (di frequente la
pancia, i glutei, le cosce). Il disturbo dell'immagine corporea non è imputabile ad un
disturbo della percezione, in quanto tendono a sovrastimare anche il peso e la forma di
altre persone, ma mai quanto i propri. Questa distorsione tende inoltre a diminuire man
mano che le persone riacquistano peso.
Il livello di autostima e di valutazione di sè è influenzato dalla capacità di controllare il
proprio peso e i fallimenti sono seguiti da autocritica e svalutazione. Essendo gli standard
attesi molto elevati e il metro di giudizio tendente al perfezionismo, diventa molto facile
che gli obiettivi non vengano raggiunti e si presentino tali condizioni negative.
In un primo momento lo stress e le fatiche della restrizione vengono sostituiti da un
maggior senso di energia e da un generale stato di benessere. Quando però questa fase
termina, il pensiero del cibo e del mangiare ritorna, insieme alla paura di perdere il
controllo e alla paura che se si mangia normalmente si sarà incapaci di smettere e si
ingrasserà. Con l'aumento della perdita di peso la concentrazione, la memoria e la capacità
di giudizio critico diminuiscono, mentre si accentuano sempre più le emozioni negative,
l'iperattività, l'irritabilità, l'asocialità e i disturbi del sonno. Nei casi in cui vi è una
evoluzione cronica, o comunque una perdita di peso superiore al 25%, e/o complicazioni
mediche è necessario il ricovero ospedaliero.
Bulimia
Laura, una bella ragazza di 21 anni, dice: “Da due anni quando mi guardo allo specchio o
quando faccio caso al mio corpo, mi sento sgradevole; è difficile da spiegare, ma è come se
mi facessi schifo, disgusto. Guardo le mie cosce o la mia pancia e mi sembra di vedere
tanta ciccia o cellulite. Solo quando riesco a mangiare poco, mi sembra di essere a posto e
non volgare, e quindi spesso mi metto a fare lunghi digiuni o diete ferree. Il problema è
che poi o perché sono soddisfatta di me e mi voglio premiare o perché mi sento depressa e
non ne posso più della dieta, mi concedo di interrompere la dieta. A quel punto in un
attimo mi risento uno schifo e mi ritrovo ad abbuffarmi di schifezze e ricomincio con
abbuffate e vomito. Più mangio e più mi viene voglia di provocarmi il vomito; però poi
più vomito e più mi sento uno schifo e ho voglia di mangiare. Mi sembra di non riuscire a
pensare ad altro che al cibo: o perché non mangio, o perché mangio, o perché devo
eliminare quello che ho mangiato”.Distrurbi dell'alimentazione
Quello descritto da Laura è un esempio dell’esperienza delle pazienti bulimiche e del
circolo vizioso che si viene a creare tra abbuffate e condotte tese a controllare il peso.
Come si riconosce il disturbo? Si fa diagnosi di Bulimia quando sono presenti i seguenti
comportamenti: abbuffate ricorrenti, ovvero consumo di grandi quantità di cibo
indipendentemente dalla percezione di fame e con la sensazione di perdita di controllo (ad
esempio: mangiare un pacco intero di merendine subito dopo un pranzo completo);
condotte di compenso, finalizzate a neutralizzare gli effetti delle abbuffate, come il vomito
autoindotto (che è il comportamento di compenso più frequentemente utilizzato),
l’assunzione impropria di lassativi e diuretici, o la pratica eccessiva di esercizio fisico. È,
inoltre, presente una continua ed estrema preoccupazione per il peso e le forme corporee.
Le abbuffate sono vissute in genere con estrema vergogna e disagio; spesso sono associate
a momenti di solitudine, di stress, di sensazione psicologica di vuoto o di noia, ed il cibo
viene rapidamente ingerito in maniera scomposta, incoerente ed eccessiva.
Quando siamo davanti a un caso di bulimia le abbuffate e le condotte compensatorie si
verificano almeno 2 volte a settimana per un periodo minimo di tre mesi.
Come illuminato dall’esempio di Laura la caratteristica principale della bulimia nervosa è
un circolo vizioso che tende ad autoperpetrarsi tra preoccupazione per il peso, dieta
ferrea, abbuffate e condotte di compenso. Paradossalmente la dieta ferrea aumenta la
probabilità e la frequenza delle abbuffate; queste aumentano la probabilità del vomito o di
altre condotte eliminatorie e così via. Tra l’altro l’esposizione ad una continua restrizione
calorica ed alla perdita di peso può provocare sintomi quali depressione, ansia, ossessività,
irritabilità, labilità dell'umore, sensazione di inadeguatezza, affaticamento,
preoccupazione per il cibo, scarsa concentrazione, isolamento sociale e forte spinta ad
abbuffarsi.
I soggetti bulimici generalmente hanno un peso normale, cosa che rende il disturbo più
difficile da identificare (rispetto per esempio all’anoressia, facilmente individuabile per la
significativa perdita di peso).
È un disturbo che usualmente insorge alla fine dell'adolescenza o all'inizio della
giovinezza ed è molto più frequente nel sesso femminile (9 a 1 nel rapporto con il sesso
maschile). L’esordio si ha generalmente in un età compresa tra i quindici e i venticinque
anni, con un picco nella fascia d’età che va dai 17 ai 19. Sono comunque descritte anche
forme precoci, in età infantile, e tardive.
Nei paesi occidentali la prevalenza è di circa un caso ogni cento giovani donne, anche se
forse i dati di prevalenza e incidenza tendono a sottostimare la dimensione effettiva del
fenomeno, dal momento che questa patologia tende a essere tenuta nascosta per vergogna
e che le persone affette possono mascherare il disturbo per anni.
Le complicanze mediche, spesso sottovalutate, sono conseguenti sia delle abbuffate sia
delle condotte di compenso. Il vomito ripetuto e l'abuso di lassativi o diuretici inducono
scompensi dell'equilibrio elettrolitico, soprattutto riducono i livelli ematici di potassio, con
serie ripercussioni a livello cardiaco, renale, cerebrale. Gastriti, esofagiti, emorroidi,
prolasso rettale sono tra le altre patologie secondarie al vomito frequente e all'abuso di
lassativi. Il vomito ripetuto, inoltre, può condurre ad una cospicua e permanente perdita
dello smalto dentale, specialmente dei denti incisivi; questi diventano scheggiati, intaccati,
e "tarlati"; aumenta inoltre la frequenza delle carie.
Quelle elencate sono solo alcune delle conseguenze della bulimia. Se non trattati in tempi e
con metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare una condizione permanente
e nei casi gravi portare alla morte, che solitamente avviene per suicidio o per arresto
cardiaco. Secondo l’American Psychiatric Association (APA), sono la prima causa di morte
per malattia mentale nei paesi occidentali.
Trattamento per Anoressia
Il trattamento psicoterapeutico
La terapia cognitivo comportamentale ha come obiettivi iniziali la normalizzazione del
peso e l'abbandono delle condotte di restrizione del'assunzione del cibo, delle abbuffate e
delle condotte di eliminazione. In seconda battuta occorre aumentare i livelli di autostima,
ampliare la definizione di sé al di là dell'apparenza fisica, ridurre il perfezionismo e il
pensiero tutto-nulla, migliorare i rapporti interpersonali e, nel caso di adolescenti, aiutare i
familiari a gestire il problema dei figli, mettendo anche in evidenza quali atteggiamenti
siano controproducenti e da evitare.
Trattamento per Bulimia
Trattamento psicoterapeutico
La terapia cognitivo-comportamentale è un trattamento di provata efficacia per la bulimia
nervosa. Obiettivo principale del trattamento è, innanzitutto, quello di normalizzare il
comportamento alimentare; i pazienti devono riacquistare accettabili attitudini nei
riguardi del cibo e modificare la convinzione che il peso costituisca l’unico o il principale
fattore in base al quale valutare il proprio valore personale. Il primo passo consistete in
interventi cognitivi tesi a interrompere il circolo vizioso restrizione-abbuffata-vomito,
attraverso procedure come colloqui informativi e motivazionali, concettualizzazione del
disturbo e condivisione con il paziente; vengono usate anche tecniche di automonitoraggio
come i diari alimentari o la registrazione delle emozioni e pensieri che accompagnano i
sintomi. L’obiettivo è riabituare il paziente a un’alimentazione corretta, regolarizzando la
frequenza dei pasti e utilizzando attività alternative alle abbuffate o alle condotte
eliminatorie. In una seconda fase il trattamento mira a rendere stabile il nuovo
comportamento alimentare e, soprattutto, a ridurre l’eccessiva preoccupazione per il peso
e le forme corporee. Vengono poi usate procedure cognitive per identificare e modificare
le idee disfunzionali alla base del disturbo e tecniche comportamentali; tra queste in
particolare si usano la procedura di esposizione e prevenzione della risposta, che consiste
nell’assunzione di cibo alla presenza di un operatore e in condizioni in cui le condotte di
compenso vengono bloccate. La terza fase prevede l’applicazione di procedure finalizzate
a mantenere i risultati raggiunti durante il trattamento: vengono usate strategie di
prevenzione delle ricadute e tecniche che mirano ad aumentare la capacità di fronteggiare
le situazioni critiche per il paziente.
Il trattamento psicoterapico è frequentemente associato a una terapia farmacologica. I
farmaci elettivi nel trattamento di tale disturbo sono gli antidepressivi appartenenti alla
categoria degli inibitori selettivi del ricaptazione della serotonina (SSRI).
Il trattamento farmacologico si è dimostrato efficace nella riduzione della frequenza delle
abbuffate, del vomito, delle ruminazioni sul cibo e sul peso; produce inoltre un
miglioramento dell’umore e aumenta la collaborazione alla psicoterapia. Il limite della
terapia farmacologica è nella stabilità degli esiti: se non accompagnata da psicoterapia,
sono frequenti le ricadute.
Nella gran parte dei casi la terapia della bulimia è ambulatoriale. Nei casi più gravi e
resistenti si può optare per trattamenti di tipo residenziale (ospedale, day hospital,
comunità terapeutica).
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