SILVIO GAMBINO Diritti sociali e libertà economiche nelle costituzioni nazionali e nel diritto europeo SOMMARIO: 1. I diritti sociali fra costituzionalismo nazionale e costituzionalismo europeo. – 2. Diritti sociali e integrazione europea. – 3. Diritti sociali e mercato. 1. I diritti sociali fra costituzioni nazionali e costituzionalismo europeo Prima di affrontare, come faremo nel seguito della riflessione, alcune delle problematiche poste dal rapporto fra (positivizzazione e garanzia dei) diritti fondamentali nazionali e diritti riconosciuti e garantiti giurisdizionalmente a livello di diritto dell’Unione (con particolare riguardo all’ambito lavoristico), è opportuno osservare che l’analisi assumerà come necessario il previo inquadramento dell’indagine all’interno del più ampio quadro costituito dall’evoluzione della forma di Stato (liberale prima e sociale in seguito) per come affermatasi nel costituzionalismo (risalente e recente) dei Paesi membri dell’UE e nel quadro degli effetti del processo di integrazione europeo e dello stesso diritto primario dell’Unione. All’interno di tale tematica, la riflessione si limiterà a porre qualche interrogativo sulla natura, sulle garanzie e sull’effettività della protezione con riguardo peculiare alla tipologia dei diritti fondamentali sociali e, al loro interno, con riguardo più specifico, da una parte, al rapporto fra i diritti costituzionali di sciopero e di contrattazione collettiva e, dall’altro, le libertà di circolazione di beni, servizi e persone, a partire dal diritto di stabilimento sancito nei trattati dell’Unione. Ai fini di tale riflessione, si tratta, preliminarmente, di individuare natura, tipologia e intensità del relativo riconoscimento sia da parte del legislatore costituzionale che di quello ordinario, nonché forme ed effettività della protezione giurisdizionale 1 , e più in generale catalogo e garanzie di tali diritti nell’ambito delle costituzioni degli Stati membri dell’Unione 2 . Sia pure con formule differenziate e di diversa intensità ed estensione nel riconoscimento e nella protezione delle singole e specifiche situazioni giuridiche, si può affermare che, nel costituzionalismo europeo del secondo dopo-guerra, risulta positivizzato uno stretto rapporto fra concezione (‘progressiva’) della democrazia, forma di Stato e diritti fondamentali. Diversamente da quanto veniva sancito nell’originario costituzionalismo 1 Cfr. A. SPADARO, I diriti sociali di fronte alla crisi (Necessità di un “nuovo modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in Rivista AIC, 4/2011. 2 Cfr. AA.VV., La protection des droits sociaux fondamentaux dans les Etats membres de l’Union européenne, a cura di J. Iliopoulos Strangas, Ed. Ant. N. Sakkoulas, Bruylant, Nomos Verlagsgesellschaft, Athènes-Bruxelles-Baden-Baden 2000; B. VENEZIANI, Nel nome di Erasmo di Rotterdam. La faticosa marcia dei diritti sociali fondamentali nel’ordinamento comunitario, in Riv. giur. lav. e previd. sociale, 2000; S. SCIARRA, La costituzionalizzazione dell’Europa sociale. Diritti fondamentali e procedure di soft law, IWP (Università di Catania), 16/2003; S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea, Il Mulino, Bologna 2003; S. GIUBBONI, I diritti sociali fondamentali nell’ordinamento comunitario. Una rilettura alla luce della Carta di Nizza, in Il diritto dell’U.E., 2-3/2003; C. SALAZAR, I diritti sociali nella Carta dei diriti fondamentali dell’U.E.: un ‘viaggio al termine della notte’?, in AA.VV., I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, a cura di G. Ferrari, Giuffré, Milano 2001; G. ZAGREBELSKY, Diritti e Costituzione nell’U.E., Laterza, Roma-Bari 2003. 1 liberale, tale rapporto si fonda sull’ampliamento delle situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente protette e su una nuova visione del concetto di libertà, ora strettamente integrato con quello di eguaglianza: non più solo l’eguaglianza che proviene dalla tradizione classica, che vede come intollerabili le discriminazioni fondate sulle differenze di sesso, di religione e di razza, bensì un concetto di eguaglianza che ritiene inaccettabili le differenze che si fondano sul rapporto economico e sociale, ritenendo intollerabili le differenze fondate sulla capacità di reddito 3. In tale concezione, unitamente a quelli classici di libertà, i diritti sociali sono assunti come condizioni costitutive, indefettibili, del principio costituzionale di eguaglianza e al contempo del valore della persona e della dignità. Dei diritti sociali, inizialmente, la dottrina costituzionalistica parla come di norme dirette a destinatari speciali, in particolare di diritti condizionati o imperfetti, in quanto fondati su norme che presuppongono l’esercizio della discrezionalità legislativa. Una parte della dottrina, tuttavia, ha colto da tempo come tale discrezionalità non concerna tanto l’an e il quid, cioè il contenuto sostanziale del diritto, bensì solo il quando e il quomodo che, comunque, come osserva Mortati, non deve essere tale “da comprimere il contenuto minimo necessario a non rendere illusoria la soddisfazione dell’interesse protetto” 4. Sulla base di tale approccio, che inizialmente valorizzava il profilo programmatico delle disposizioni costituzionali in materia di diritti sociali e la natura – più che costituzionale – legale che li regola, a partire dalla fine degli anni ’60, la dottrina costituzionale propone letture e tipologie più articolate, tra cui rileva, in particolare, quella che distingue fra diritti sociali ‘condizionati’ (artt. 38; 34; 32; 38, III co.; 46 Cost.) e diritti sociali ‘incondizionati’ (artt. 36, I, II e III commi; 32, II co.; 37; 29; 30; 4 Cost.) – i primi presupponendo un intervento del legislatore sul quando, sul quomodo (e non certo sull’an, tranne che per i condizionamenti imposti dalle disponibilità di bilancio sulla spesa e sui servizi pubblici), gli altri, invece, presentando una struttura ed una natura tale per cui non occorrono ulteriori interventi per realizzarli, risultando non necessitati di disciplina legislativa di attuazione –. Nell’esperienza costituzionale dei Paesi europei, non sempre è dato cogliere una positivizzazione dei diritti sociali come situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente riconosciute e protette in modo comparabile alle cd libertà negative. I diritti civili e politici, in tal senso, vengono riconosciuti da tutte le costituzioni europee, venendo assunti come tali da parte della totalità degli Stati democratici moderni. Solo con l’evoluzione della forma statuale contemporanea, soprattutto nel costituzionalismo successivo alla seconda guerra mondiale, si affermano nuove tipologie di diritti fondamentali fondate sulla stretta integrazione fra la nozione di libertà e quella di eguaglianza, individuandosi in tal modo una nuova famiglia di diritti – quelli sociali – che si basano sulla natura o sugli effetti giuridici degli stessi comparabili nel fondo, quanto alla relativa portata, a quella delle tradizionali libertà civili. In tale ottica, i princìpi cui s’ispirano le costituzioni contemporanee – che sono anche principi di sviluppo democratico e di giustizia sociale – dilatano (in modo più o meno significativo) il catalogo liberale dei diritti di libertà, inserendovi una “libertà dal bisogno” 5; 3 Nell’ampia bibliografia cfr., almeno, A. CERRI, Uguaglianza (principio costituzionale di), in Enciclopledia Giuridica Treccani; AA.VV., Corte costituzionale e principio di eguaglianza, Cedam, Padova 2002; R. GRECO, Diritti sociali, logiche di mercato e ruolo della Corte costituzionale, in Questioni Giustizia, 2-3/1994; E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, in Scritti in onore di L. Mengoni. Le ragioni del diritto, Giuffré, Milano 1995; P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino 2002; C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, Giappichelli, Torino 2000. 4 Cfr. C. MORTATI, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro comportamenti omissivi del legislatore, in Foro italiano, 1970. 5 Cfr. N. BOBBIO, Sui diritti sociali, in AA.VV., Cinquant’anni di Repubblica italiana, a cura di G. Neppi Modona, Einaudi, Torino 1997; G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992, 124; M. DOGLIANI, Interpretazioni della Costituzione, Franco Angeli, Milano 1982, 316. 2 in tal modo, esse materializzano il diritto ad esigere dallo Stato delle prestazioni atte ad assicurare alla persona e al cittadino almeno un minimo di sicurezza 6 e di giustizia sociale, sì da creare quelle perequazioni materiali che sole possono rendere gli uomini “liberi ed eguali in dignità e diritti”, come afferma nel suo incipit la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Con l’assunzione al loro interno del principio dell’eguaglianza sostanziale, così, le costituzioni contemporanee arricchiscono il patrimonio liberale attraverso quei diritti sociali che, impegnando lo Stato nella ricerca di nuovi equilibri economici e sociali e nel raggiungimento di (sempre più) ampi orizzonti di giustizia, rappresentano le radici del suo dinamismo, offrendo alla democrazia del secondo dopoguerra le premesse della sua solidità, almeno fino alla crisi economica dell’ultimo decennio, i cui esiti politici e istituzionali, allo stato, risultano difficili da prefigurare. Proprio in questa saldatura dei diritti civili e politici con quelli sociali risiede uno degli aspetti più profondi del costituzionalismo del secondo dopoguerra, che inaugura, con quella moralizzazione del diritto destinata a trovare piena affermazione in occasione delle più tardive conquiste costituzionali della Spagna post-franchista (1978), del Portogallo post-salazariano (1976), della Grecia post-colonnelli (1974) una nuova stagione dei diritti umani, che inizia proprio a partire dalla loro collocazione su un fondamento più saldo rispetto a quello rappresentato dalla legge dello Stato 7. Così, se nell’ordinamento dello Stato liberale i diritti esistono attraverso la legge, nello Stato costituzionale essi esistono attraverso la Costituzione, che della legge rappresenta qualcosa di più e di diverso: essa, infatti, è la fonte prima della produzione giuridica e il centro di riferimento di una società che riconosce in essa lo specchio della propria cultura e nei suoi dettati il fondamento delle proprie speranze. I princìpi, i valori, i diritti che essa contempla e che la società condivide, in tale quadro, rappresentano un patrimonio da salvaguardare da quella mutevolezza di intenti e di interessi che di norma si riflettono nella legge. Da qui quel collocarsi delle costituzioni del secondo dopoguerra nella sfera più alta del diritto dove lo jus cessa di essere lex e dove i diritti cessano di essere una regola posta dal legislatore per diventare pretese soggettive assolute, che limitano i pubblici poteri al loro rispetto nel concreto esercizio dei relativi poteri. Il costituzionalismo contemporaneo realizza in tal modo una sostituzione della sovranità della Costituzione alla sovranità della legge, che trasforma i diritti fondamentali in diritti inviolabili. Se la Costituzione crea uno spazio dei diritti umani, la sua sovranità garantisce la certezza di questi diritti che diventano, dopo (e anche a causa di) Auschwitz, il fondamento universalistico della civile convivenza. Oltre a rappresentare le direttrici dell’agire dello Stato costituzionale e del diritto internazionale nonché il fondamento dell’organizzazione pluralistica della società, infatti, essi definiscono anche i contorni di un diritto più ampio che li assume quale ineludibile presupposto di convivenza pacifica tra gli Stati. Lo Statuto dell’O.N.U. (1945), la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950) confermano e dilatano l’azione dei singoli Stati costituzionali in materia di tutela della dignità umana e dei diritti fondamentali, contribuendo, così, a segnare i caratteri di questa nuova epoca solennemente celebrata da Bobbio come «l’età dei diritti» 8. Nella rinascita dei diritti 6 Cfr. N. BOBBIO, Sui diritti sociali ... cit., p. 122. Nell’ampia bibliografia cfr. almeno A. CASSESE, I diritti umani, oggi, Laterza, Roma-Bari 2005; M. PATRONO, I diritti dell’uomo nel Paese d’Europa. Conquiste e nuove minacce nel passaggio da un millennio all’altro, Cedam, Padova 2000; AA.VV., I costituzionalisti e l’Europa. Riflessioni sui mutamenti costituzionali nel processo d’integrazione europea, a cura di S. Panunzio, Giuffré, Milano 2002; AA.VV., I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, a cura di G.F. Ferrari, Giuffré, Milano 2001. 8 Cfr. N. BOBBIO, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1990. 7 3 umani del secondo dopoguerra, così, è possibile ritrovare le radici culturali e antropologiche di un’età che cerca di liberarsi per sempre dai fantasmi del passato totalitario. Se le costituzioni varate all’indomani del secondo dopoguerra rappresentano il punto d’arrivo di un’evoluzione costituzionale, esse rappresentano anche il punto di approdo di un’esperienza costituzionale matura che si accinge ad apprestare più adeguate tutele al modello di un ‘nuovo’ ordine giuridico-costituzionale. Collocandosi nella sfera più alta del diritto, così, le costituzioni dell’ultimo dopoguerra diventano, secondo la visione kelseniana, non solo “regole di procedura ma anche regole sostanziali” che riguardano “non già la formazione ma il contenuto delle leggi” 9. E proprio in questo essere della Costituzione direttrice e limite degli atti legislativi a prendere forma quella supremazia della medesima che, conferendo immediata vincolatività ai princìpi e alle norme fondamentali, costituisce senza dubbio l’aspetto più innovativo ed originale del costituzionalismo contemporaneo 10. Possiamo concludere questo primo accostamento al tema osservando come nella ricerca costituzionale e comparatistica sia dato cogliere l’assenza di un concetto europeo condiviso in materia di qualificazione e di protezione dei diritti sociali, differenziandosene le diverse previsioni costituzionali secondo soluzioni variegate quanto alla loro qualificazione giuridica e alla stessa portata giuridica di tali diritti. La questione centrale posta da tale prospettiva di osservazione riguarda lo statuto costituzionale ovvero semplicemente legislativo degli stessi. Quanto a tale ultima questione può affermarsi che, nella gran parte delle costituzioni degli Stati europei, i diritti sociali sono catalogati nell’ambito delle stesse disposizioni costituzionali destinate a riconoscere e proteggere i diritti fondamentali classici, mentre solo in pochi casi tali diritti sono esclusi dall’elenco dei diritti fondamentali o sono rubricati in modo diverso. In questi ultimi casi, l’assimilazione dei diritti sociali a quelli fondamentali classici non pare implicare effetti giuridici di rilievo. Quanto alla portata dei diritti sociali nell’ambito del costituzionalismo contemporaneo – più che riguardare le diverse modalità accolte negli ordinamenti costituzionali dei vari Paesi – essa riguarda in particolare le forme giuridiche della loro protezione. Come si è già accennato, benché secondo formule peculiari di positivizzazione normativa – esse hanno fatto registrare un’evoluzione del diritto positivo nonché della giurisprudenza nel senso del loro riconoscimento come diritti fondamentali, inalienabili e imprescrittibili, sia pure nel quadro di una loro affermazione graduale e rispettosa della discrezionalità del legislatore. Il catalogo costituzionale dei diritti sociali, a sua volta, risulta avere un’ampiezza e una sistematicità inusuali; la relativa tutela è quella propria dei diritti costituzionali e non già di quelli ‘legali’, benché si debba sottolineare come, a ben vedere, le forme giurisdizionali della relativa tutela non sono quelle apprestate ai diritti soggettivi (con la forza propria della tutela risarcitoria e di quella inibitoria nei confronti di atti lesivi degli stessi) ma quella degli interessi legittimi, dal momento che fra il loro concreto esercizio e la previsione legale opera un facere amministrativo, che coinvolge la pubblica amministrazione con la sua supremazia speciale 11. Un approccio – quest’ultimo – destinato a essere radicalmente riconsiderato alla 9 Cfr. H. KELSEN, La giustizia costituzionale, Giuffré, Milano 1981 (trad. it). In tema. cfr. anche AA.VV., Diritti fondamentali e giustizia costituzionale, a cura di S. Gambino, Giuffré, Milano 2012. 11 Autorevoli tesi dottrinarie (A. PACE, La garanzia dei diritti fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici ‘comuni’, in Scritti in onore di P. Barile. Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Cedam, Padova 1993), sotto tale profilo, sottolineano una certa ‘enfaticità’ dei diritti sociali, qualora analizzati nella prospettiva della loro concreta giustiziabilità. Il diritto e la giustizia amministrativa diventano, in tale contesto, lo scenario obbligato di verifica dell’effettività del diritto costituzionale e delle tutele sue proprie. Una lettura diversa attinge l’immediata esigibilità giuridica dei diritti sociali all’interpretazione del novellato art. 117, II co., lettera m, Cost., secondo la quale – dal momento che i livelli essenziali delle prestazioni, ivi sanciti, impongono al legislatore statale d’individuare le risorse economiche necessarie alla relativa attuazione amministrativa – non pare potersi ulteriormente accogliere il risalente orientamento del 10 4 luce dei princìpi comunitari ma soprattutto della sentenza n. 500/1999 della Corte di Cassazione in tema di risarcibilità degli interessi legittimi (da definirsi obiettivamente epocale in ragione dei sui riflessi nell’ambito dei rapporti fra soggetto e pubblica amministrazione) Tuttavia, solo quegli ordinamenti costituzionali nazionali nei quali sia possibile 12 riconoscere una concezione normativa della Costituzione – intendendo quest’ultima come norma giuridica superiore (higher law) rispetto alle leggi – appaiono contenere una disciplina costituzionale (per princìpi e con puntuali disposizioni di dettaglio) adeguata a farsi carico degli standard più elevati di protezione dei diritti sociali. Negli altri ordinamenti costituzionali contemporanei, al contrario, prevale un contrasto significativo quanto alla portata dei regimi giuridici di protezione dei diritti sociali, che pare attribuire una protezione affievolita a questi ultimi rispetto alla protezione accordata alle classiche libertà negative. Ma se dalla definizione teorico-costituzionale dello Stato sociale e più in particolare dall’inquadramento dei diritti sociali come diritti inviolabili della persona si passa a verificare il grado della loro effettività nell’ambito degli Stati che prevedono una protezione dei diritti sociali fondamentali non differenziata rispetto agli altri diritti fondamentali (di prima e di seconda generazione), non può non cogliersi uno stridente contrasto tra la loro previsione come diritti universali e assoluti e il relativo, spesso deprimente, grado di effettività. Ciò soprattutto nel contesto della grave crisi economica in corso da quasi un decennio nei Paesi 13 europei . L’argomento a giustificazione di una simile situazione è dato dal fatto che i diritti sociali (istruzione, salute, previdenza, ecc.) costano e lo Stato (in Italia come altrove) conosce 14 seri problemi di fiscalità . Tuttavia, se la questione del costo dei diritti sociali costituisce un punto di vista rilevante esso non è certo risolutivo nello studio sulla struttura di tali diritti e della relativa esigibilità. La lettura che ne dà il diritto, ma soprattutto la giurisprudenza costituzionale porta infatti a sottolineare come il costo dei diritti sociali non è tale da poter incidere sulla struttura di diritti costituzionalmente garantiti. Anzi, la più autorevole dottrina ha da tempo e bene sottolineato come il costo dei diritti costituisca un falso problema, dal momento che esso è un elemento intrinseco a tutti i diritti costituzionali, anche a quelli classici di libertà 15. Giudice delle leggi che parlava dei diritti sociali come di “diritti finanziariamente condizionati” (in quest’ultimo senso cfr. anche S. GAMBINO, Normazione regionale e locale e tutela dei diritti fondamentali (fra riforme costituzionali, sussidiarietà e diritti fondamentali), in AA.VV., Tecniche di normazione e tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali, a cura di A. Ruggeri - L. D’andrea - A. Saitta - G. Sorrenti, Giappichelli, Torino 2007. 12 Fra gli altri in tema cfr. almeno P. BARILE, La Costituzione come norma giuridica, Firenze, 1951; G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite … cit.; M. DOGLIANI, Interpretazioni … cit. 13 Sul tema, cfr., almeno, G. GRASSO, Il costituzionalismo della crisi. Uno studio sui limiti del potere e sulla sua legittimazione al tempo della globalizzazione, Editoriale Scientifica, Napoli 2012; A. RUGGERI, Crisi economica e crisi della Costituzione, Relazione alle V Giornate italo-ispano-brasiliane di diritto costituzionale su La Costituzione alla prova della crisi finanziaria mondiale (Lecce, 14-15 settembre 2012); C. PINELLI, I riflessi della crisi finanziaria sugli assetti delle istituzioni europee, Relazione, ibid.; G. GRASSO, Crisi dei mercati e sovranità dello Stato: qualche elemento di discussione, in Il diritto dell’economia, 1/2012; F. BALAGUER CALLEJÓN, El final de una época dorada. Una reflexión sobre la crisis económica y el declive del derecho constitucional nacional, in Estudios em Homenagem ao Professor J.J. Gomes Canotilho, Coimbra, 2012; I. CIOLLI, I diritti sociali al tempo della crisi economica, in www.costituzionalismo.it, 3/2012; D. TEGA, I diritti sociali nella dimensione multilivello tra tutele giuridiche e crisi economica, in www.gruppodipisa.it; M. BENVENUTI, Diritti sociali, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche Aggiornamento, Torino, 2012; S. GAMBINO, W. NOCITO, Governance europea dell’economia, crisi degli Stati e diritti fondamentali: notazioni costituzionali, in La cittadinanza europea, 2/2012, 5. 14 Sul punto, fra gli altri, cfr. anche L. TRUCCO, I diritti sociali nella dimensione multilivello fra tutele giuridiche e crisi economica, G. RAZZANO, Lo ‘statuto’ costituzionale dei diritti sociali, in Atti Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa” sul tema I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza, Trapani, 8-9 giugno 2012 (ora disponibili nel sito www.gruppodipisa.it). 15 Come osserva G. LOMBARDI, infatti, “… non sono le caratteristiche strutturali a separare i diritti di libertà dai diritti sociali ma sono le modalità di tutela a rendere diversi i meccanismi di garanzia … entrambi sono diritti 5 Il tema dei diritti sociali, soprattutto nel dibattito dottrinario italiano che precede la revisione del Tit. V Cost., si limita, così, soprattutto, alle funzioni svolte in tema di garanzia e di effettività degli stessi da parte del giudice ordinario e soprattutto da parte di quello costituzionale. Nella nuova stagione di dibattito dottrinario, l’analisi si incentra sulle problematiche costituzionali poste dall’attuazione del nuovo ordinamento regionale, con particolare riferimento ai contenuti delle novellate disposizioni di cui agli artt. 114, 116, 117 e 119 Cost. e di una loro interpretazione che assicuri il rispetto dei princìpi fondamentali della Costituzione (con particolare riferimento al principio di eguaglianza e a quello personalistasolidarista). Se ci limitiamo, a mo’ di mera esemplificazione, all’analisi della protezione di un diritto sociale concreto, ad esempio quello alla salute, garantito dall’art. 32 Cost., possiamo osservare come, rispetto alla previgente disciplina legislativa in materia sanitaria, la costituzionalizzazione dei ‘livelli essenziali delle prestazioni’ operata con la novellata disposizione di cui all’art. 117, II comma, lettera m, costituisca una rilevante evoluzione di fondo nella disciplina della materia. Per i suoi destinatari, infatti, nel nuovo quadro normativo si evidenziano nuove situazioni giuridiche protette con il rango proprio dei diritti soggettivi perfetti e non più soltanto nelle tradizionali forme di protezione accordate agli interessi legittimi. Se non leggiamo in modo errato l’evoluzione ordinamentale in materia sanitaria alla luce della novella costituzionale, in altri termini, non ci dovrebbe essere ulteriore spazio per una conferma di quell’orientamento del Giudice delle leggi che assumeva il diritto alla salute come “diritto finanziariamente condizionato”, come ad esempio la Corte costituzionale sanciva ancora nella sentenza n. 356/1992, quando affermava che “in considerazione della limitatezza delle risorse, non potrebbe consentirsi a un impiego di risorse illimitato avendo riguardo solo ai bisogni; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, ancorché tale giurisprudenza fosse stata già modificata nel fondo in una serie di importanti pronunce degli anni ’90 (sentenze n. 247/1992, n. 267/1998; n. 309/1999) e di recente nella sent. n. 509/2000, nella quale il Giudice delle leggi sottolinea che “il bilanciamento fra valori costituzionali e commisurazione degli obiettivi determinati dalle risorse esistenti non può intaccare il nucleo irrinunciabile del diritto alla salute protetto costituzionalmente come valore inviolabile della dignità umana” 16. Anche a partire da queste riflessioni è da chiedersi come il ‘nuovo’ quadro costituzionale previsto per le regioni e per le autonomie locali si rapporti a tali princìpi, dovendosi chiaramente assumere che l’architettura costituzionale della ‘Repubblica’ dopo le recenti riforme costituzionali 17 risulta significativamente innovata rispetto allo ordinamento previgente, nel quale l’ambito costituzionale delle competenze legislative regionali poco (o individuali (come entrambi possono essere, a seconda dei rapporti, diritti collettivi), e tanto agli uni quanto agli altri può riconoscersi una portata che non tocca solo i rapporti con l’ente pubblico ma si individua anche a livello di rapporti interprivati” (in Diritti di libertà e diritti sociali, in Pol. del dir., 1/1999). 16 A tale giurisprudenza la Corte era pervenuta con riferimento al sindacato di costituzionalità di specifiche questioni poste dalla disciplina accolta nel d.lgs n. 502 del 1992, ed in particolare dalla determinazione da parte di quest’ultimo dei nuovi standard prestazionali, in favore di uno di tipo ‘universalistico selettivo’, chiamato a conformarsi alle risorse disponibili, da una parte, e a ispirarsi ai nuovi criteri dei LEP, come imposti dalla necessità, dall’efficacia clinica e dall’appropriatezza d’uso degli interventi sanitari previsti ed erogati. Nella lettura che qui si vuole proporre, dunque, ci si chiede se la novellata disciplina costituzionale non sia da esaminare anche con riferimento alla giustiziabilità di eventuali comportamenti omissivi delle amministrazioni sanitarie in quanto “enti obbligati ad offrire i servizi nelle aree comprese nei livelli essenziali”, ponendo espressamente, in tal modo, la questione dell’impatto delle organizzazioni pubbliche sulla effettività dei diritti. E, prima ancora, ci si chiede se il rispetto dei ‘livelli essenziali’ non debba cogliersi come un vincolo organizzativo all’interno del quale soltanto può legittimamente esercitarsi l’autonomia funzionale delle organizzazioni sanitarie. Sul punto, cfr. anche E. JORIO, Diritto sanitario, Giuffré, Milano 2006. 17 Cfr. AA.VV., Regionalismo, federalismo, devolution. Competenze e diritti. Confronti europei (Spagna, Germania e Regno Unito), a cura di S. Gambino, Giuffré, Milano 2003. 6 nulla) incidevano sullo statuto della cittadinanza. Le considerazioni fin qui svolte, ancorché essenziali nel loro svolgimento, portano a osservare che, almeno fino alle recenti riforme costituzionali in materia territoriale, le istituzioni regionali e le autonomie locali non costituivano il terreno elettivo per un’indagine sulle tematiche relative alle modalità seguite (e da seguire) per rendere effettivi i diritti sociali, nella misura in cui alle regioni e alle minori autonomie locali non era assegnata la competenza in materia di diritti, che rimaneva attribuita alle istituzioni statali, venendo protetta dalla relativa giurisdizione. Il tema dei diritti sociali, nel dibattito dottrinario, pare doversi limitare, così, alle funzioni svolte dal giudice ordinario e soprattutto da quello costituzionale in tema di garanzia e di effettività degli stessi. L’intervento del Giudice costituzionale nella materia dei diritti sociali, come è noto, è stato richiesto prevalentemente con riferimento alla violazione del principio di eguaglianza e in presenza di comportamenti omissivi da parte del legislatore. Dopo una iniziale prudenza, l’orientamento del Giudice delle leggi si è affermato nel senso di riconoscere rango pienamente costituzionale ai diritti sociali, affermandosi, da parte dello stesso, una serie di criteri guida a cui la Consulta conforma la propria dottrina 18 . Pur accompagnandosi con il riconoscimento della necessaria gradualità delle scelte legislative, lo sforzo della Corte costituzionale, teso a dare effettività ai diritti sociali, porta a riconoscerli come ‘diritti perfetti’, assicurandone una protezione immediata, pur in quelle ipotesi in cui difettasse ancora un intervento regolativo e di protezione da parte del legislatore. Per il Giudice delle leggi, dunque, anche i diritti sociali, ed a fortiori quelli a prestazione positiva legislativamente condizionati, assurgono – al pari degli altri diritti fondamentali – al rango di diritti inviolabili e inderogabili della persona, in quanto espressione di valori o princìpi costituzionali supremi 19. In breve, nella giurisprudenza della Corte costituzionale si sottolinea come ai diritti sociali debba essere assicurata una protezione costituzionale pienamente comparabile a quella assicurata agli altri diritti fondamentali; in quanto tali, dunque, anche i diritti sociali sono irrinunciabili, inalienabili, indisponibili, intrasmissibili e inviolabili. Ciò non toglie, tuttavia, che l’immediata operatività di tali diritti, come diritti di pretesa di prestazioni pubbliche, possa e “debba essere accertata caso per caso, senza confondere ciò che è possibile in virtù della sola efficacia normativa della Costituzione con ciò che è storicamente possibile” 20, a seguito di leggi o regolamenti che abbiano assicurato una data disciplina della materia. Le conclusioni che si possono trarre da tale essenziale richiamo della evoluzione giurisprudenziale della Corte costituzionale nell’assicurare effettività ai diritti sociali portano anche ad osservare come le tecniche giurisdizionali utilizzate da parte dei giudici costituzionali sono tali da rendere in qualche modo mutevole e instabile il grado di effettività assicurato a tali diritti. Le tecniche di bilanciamento fra interessi egualmente meritevoli di tutela, infatti, portano il Giudice costituzionale a operare una comparazione continua fra diversi princìpi e valori costituzionali e ciò sulla base dell’assunto secondo cui il principio della ponderazione o del bilanciamento fra beni costituzionali rappresenta il parametro in base al quale devono essere determinati i limiti e il contenuto dei diritti 18 Essi vanno dal riconoscimento di un principio di gradualità delle riforme legislative relative ai diritti di prestazione (sentt. n. 173 del 1986 e n. 205 del 1995) a un principio di costituzionalità provvisoria di una data disciplina (sent. n. 826 del 1988), a un principio di attuazione parziale incostituzionale di un diritto sociale (sent. n. 215 del 1987), alla necessità di apprezzamento, infine, dei limiti finanziari posti dal bilancio e dalla necessaria considerazione della discrezionalità del legislatore circa la definizione del quantum delle prestazioni sociali che la Corte deve comunque valutare secondo un necessario parametro di ragionevolezza (sentt. 180 del 1982 e 455 del 1990 in tema di prestazioni sanitarie. Per una trattazione organica della materia cfr. C. COLAPIETRO, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale, Cedam, Padova 1996. 19 È il caso, ad es., della tutela della salute, del diritto alla casa, del diritto al lavoro. Cfr. F. MODUGNO, I ‘nuovi diritti’ nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino 1995. 20 Cfr. A. PACE, op. cit, p. 61 ss. 7 fondamentali e tramite il quale vengono risolti i conflitti che possono insorgere tra beni pariordinati costituzionalmente. Una prospettiva – quest’ultima – che (ha portato e tuttora) 21 porta a cogliere la Corte costituzionale come vero e proprio legislatore positivo , le cui incertezze e le cui ambiguità, tuttavia, preoccupano la più attenta dottrina costituzionale europea (e non solo), quando si pone l’interrogativo (già proposto da Giovenale) sul quis custodiet ipsos custodes. 2. Diritti sociali e integrazione europea Se dall’analisi del processo evolutivo registrato dal costituzionalismo italiano (– nel quale i diritti sociali sono colti come una condizione costitutiva, oltre che del principio formale 22 23 dell’eguaglianza , di quello dell’eguaglianza sostanziale –) e da quello dei Paesi europei, passiamo ad interrogarci su(lle possibili) convergenze e divergenze in materia di riconoscimento e di protezione dei diritti sociali ed economici a livello europeo, si può ragionevolmente porre l’interrogativo sulla stessa adeguatezza della nozione delle tradizioni costituzionali comuni a fondare il pieno riconoscimento dell’esistenza di diritti fondamentali all’interno della categoria giuridica dei princìpi generali del diritto dell’Unione (Stauder, 24 Internationale Handelsgesellschaft, Nold) . Alla luce delle esperienze costituzionali nazionali, pare doversi sottolineare come, nella materia dei diritti sociali, non esiste una tradizione costituzionale che possa dirsi ‘comune’ a tutti gli Stati membri dell’Unione. L’analisi comparatistica, infatti, riconosce modelli differenziati di positivizzazione dei diritti sociali sia attraverso previsioni specifiche di disposizioni all’interno delle carte costituzionali sia nell’ambito delle legislazioni nazionali. Tuttavia, le costituzioni europee non prevedono garanzie estese all’insieme dei diritti sociali, limitandosi al loro riconoscimento secondo standard differenziati, secondo la tradizione politica e culturale di ciascun paese. Sotto tale profilo, si potrebbe dunque affermare che non esiste una tradizione costituzionale comune in materia di diritti sociali che possa essere colta come ideal-tipica del costituzionalismo europeo del secondo dopo-guerra. 21 L’analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale conferma tale assunto (Sentt. C.C. nn. 11 del 1969; 2 del 1972; 243 del 1974; 243 del 1985; 192 del 1987; 31 del 1983; 219 del 1984; 114 del 1985; 165 del 1986; 210 e 433 del 1987; 532, 633, 1000, 1133 del 1988; 234, 447, 623, 829, 924, 1066 del 1988; 372 del 1989; 49 del 1991; 75 del 1992; 3 del 1991. In dottrina, cfr., almeno, S. BARTOLE, In tema di rapporti fra legislazione regionale e principio di eguaglianza, in Giurisprudenza costituzionale, 1967, 670; A. CERRI, L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Giuffré, Milano 1976, 67; F. SORRENTINO, Considerazioni su riserva di legge, principio di eguaglianza ed autonomia regionale nella giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., La Corte costituzionale fra norma giuridica e realtà sociale, a cura di M. Occhiocupo, Il Mulino, Bologna 1978; A. D’ATENA, Regioni, eguaglianza e coerenza dell'ordinamento, in Giurisprudenza costituzionale, 1978, I, 1255; S. BARTOLE, In tema di rapporti fra legislazione regionale e principio costituzionale di eguaglianza, in Giur. cost., 1967, 669; L. PALADIN, Un caso estremo di applicazione del principio di eguaglianza, in Giur. cost., 1965, 620, A. REPOSO, Eguaglianza costituzionale e persone giuridiche, in Riv. trim. di dir. pub., 1973, 360. 22 Cfr. A. CERRI, Uguaglianza (principio costituzionale di), in Enciclopledia Giuridica Treccani; AA.VV., Corte costituzionale e principio di eguaglianza, Cedam, Padova 2002; E. CHELI, Classificazione e protezione dei diritti economici e sociali nella Costituzione italiana, in Scritti in onore di L. Mengoni. Le ragioni del diritto, Giuffré, Milano 1995; P. CARETTI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino 2002; C. SALAZAR, Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, Giappichelli, Torino 2000. 23 Cfr. N. BOBBIO, Sui diritti sociali, in AA.VV., Cinquant’anni di Repubblica italiana, a cura di G. Neppi Modona, Einaudi, Torino 1992; M. DOGLIANI, Interpretazioni della Costituzione, Franco Angeli, Milano 1982, 316. 24 Cfr. G. DE VERGOTTINI, “Tradizioni costituzionali comuni e Costituzione europea”, in AA.VV., Identità europea e tutela dei diritti. Costituzione per l’Europa e interesse nazionale, Soveria Mannelli, Rubbettino 2005. 8 Gli assetti costituzionali dei Paesi europei, invero, evidenziano tale centrale questione anche con riguardo alle modalità seguite nell’allocazione territoriale delle competenze in materia di diritti civili e sociali. E ciò con particolare riguardo al riparto sul territorio delle competenze legislative e amministrative e ai relativi livelli essenziali delle prestazioni, secondo la formula utilizzata dal recente legislatore di revisione costituzionale italiano. Non può qui parlarsene in modo approfondito, anche se sarebbe necessario farlo nel quadro di un’analisi sulla esigibilità (e pertanto sulla stessa giustiziabilità) dei diritti sociali fondamentali alla luce delle tradizioni costituzionali e delle identità politico-costituzionali 25 nazionali (art. 4.2 TUE) . Tanto brevemente richiamato, si può ora riflettere sui diritti sociali alla luce della più recente evoluzione del processo di integrazione europeo e, in tale ambito, sulla loro positivizzazione all’interno della Carta dei diritti fondamentali, godendo della stessa forza giuridica dei trattati dell’Unione. Alcune osservazioni, innanzitutto, per segnalare la lentissima emersione di tali diritti nella evoluzione del diritto primario europeo, partendo dall’ambito delle politiche comunitarie e approdando ora alla loro positivizzazione in una Carta che, per come si è accennato, parrebbe proporsi come un vero e proprio Bill of right del 26 costituzionalismo comune europeo . Il processo di integrazione europea, come si ricorda, ha inizio nei primi anni ’50 con finalità prevalentemente economiche, di sostegno alla formazione e allo sviluppo di un mercato comune europeo. Nella filosofia (politico-)istituzionale che ne era alla base, i ‘costituenti europei’ non si prefiggevano di perseguire all’interno dell’Europa un tasso di socialità più elevato rispetto a quanto concretamente previsto nei primi trattati CEE, limitandosi a perseguire l’obiettivo della eliminazione di quelle “disparità di trattamento (che 27 fossero) suscettibili di ostacolare il buon funzionamento del mercato” . 28 Il silenzio dei trattati originari nella materia dei diritti sociali , come è noto, è stato inizialmente interrotto, a partire dai primi anni ’70, da una coraggiosa giurisprudenza del Giudice dell’Unione. Dalla metà degli anni ’90 in poi, (soprattutto) con i trattati di Amsterdam e di Nizza, il legislatore europeo si è fatto carico di positivizzare un simile indirizzo giurisprudenziale, approdando, sia pure nell’ambito della previsione di una ‘politica sociale europea’, alla ‘presa d’atto’ dell’esistenza di diritti sociali, sia pure per come disciplinati (e debolmente garantiti) nella Carta sociale europea (1961) e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (1989). In tale quadro, pertanto, ai primi costituenti europei pare doversi ascrivere una fiducia eccessiva sul ruolo autopropulsivo del mercato – si direbbe, per maggiore chiarezza, sulle sue (presunte) potenzialità nel conseguire politiche di equilibrio nel mercato – e sulla relativa capacità di creare condizioni sociali adeguate rispetto alle finalità della coesione e della integrazione sociale ed economica. 25 Sul punto cfr. anche il nostro Identità costituzionali nazionali e primauté eurounitaria, in Quad. cost., 3/2012. 26 Cfr. S. GAMBINO, Diritti fondamentali, costituzioni nazionali e trattati comunitari, nonché La protezione dei diritti fondamentali fra Trattato costituzionale europeo e costituzioni nazionali. Prefazione, in AA.VV., Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazionali e diritti fondamentali, a cura di S. Gambino, Giuffré, Milano 2006. 27 Cfr. F. CARINCI, A. PIZZOLATO, Costituzione europea e diritti sociali fondamentali, in Lavoro e Diritto, 2/2000, 286; M. LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, in Pol. del dir., 3/2000, 367; A. D’ALOIA, Diritti sociali e politiche di eguaglianza nel processo costituzionale europeo, in AA.VV., Il diritto costituzionale comune europeo, a cura di M. Scudiero, Jovene, Napoli 2002, 852, vol. 1, t. 3; M. RAMÓN ALARCÓN CARACUEL, La necessità di un capitolo sociale nella futura Costituzione europea, in Lavoro e Diritto, 4/2000. 28 Cfr. F. MANCINI, L’incidenza del diritto comunitario sul diritto del lavoro degli Stati membri, in RDE, 3/1989. 9 Colti sotto il profilo giuridico-costituzionale, i diritti sociali nell’ordinamento comunitario, prima, e in quello dell’Unione, attualmente, pertanto, con la loro natura e con il relativo statuto giuridico-costituzionale, appaiono, se non proprio in contrasto, (almeno) distanti dai contenuti e dalle protezioni loro accordati negli ordinamenti costituzionali contemporanei, e comunque senza un collegamento con principi fondamentali nell’ordinamento comunitario comparabile con il rapporto osservabile nell’ambito degli ordinamenti nazionali fra principi costituzionali e disposizioni costituzionali di protezione di singoli diritti. Con approccio discutibile, qualcuno ha perfino parlato di una loro ‘funzionalizzazione’ alle esigenze di competitività del mercato comune europeo e dello sviluppo economico. Pur senza pervenire alle formulazioni accolte nelle Carte costituzionali europee del secondo dopo-guerra, con il Trattato di Lisbona, così, si registra una positivizzazione dei diritti fondamentali classici, sia attraverso le previsioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, sia attraverso le garanzie dei diritti fondamentali previste dalla CEDU – che fanno parte del diritto dell’Unione come princìpi generali –, sia attraverso la garanzia dei diritti previsti e garantiti da singole disposizioni in materia accolte nei trattati. Rispetto alle preoccupazioni sollevate dalle corti costituzionali europee in tema di ‘controlimiti’, oltre alle previsioni dell’art. 4 TUE, quelle accolte nell’art. 53 della Carta, in tale quadro, si pongono, nell’ambito dei nuovi trattati, come il criterio-parametro per assicurare all’individuo l’individuazione del tipo di ordinamento e del (corrispondente) giudice capace di assicurargli la protezione più elevata dei diritti e delle libertà (rispetto a tutte le previsioni astrattamente disponibili). Tuttavia, sotto un profilo sostanziale, non pare dubbio che un vero e proprio confronto non possa farsi, nel merito delle singole disposizioni, fra le garanzie previste e garantite dalla Carta di Nizza/Strasburgo, da una parte, e quelle assicurate dalle carte costituzionali nazionali e dalle connesse protezioni di giurisdizione costituzionale, dall’altra. Lo potremo meglio osservare nell’analisi del rapporto fra diritti sociali e libertà economiche alla luce del costituzionalismo multilevel per come configurato alla luce della giurisprudenza del Giudice dell’Unione ma anche per come (fattualmente) ora risultante alla luce di taluni recenti 29 ‘silenzi’ delle corti costituzionali europee , come può dirsi, da ultimo, con riguardo alla discussa vicenda sollevata dal caso Melloni e alla mancata opposizione, da parte del Giudice delle leggi spagnolo, di controlimiti alla lettura operata dalla C.G.U.E. con riguardo all’insieme dei rapporti (nei fatti gerarchici) fra norme comunitarie (in tema di mandato di arresto e di diritto processuale penale) e disposizioni costituzionali (penali e processuali) dell’ordinamento iberico. L’indirizzo giurisprudenziale seguito se, da una parte, ha fatto sollevare più di un dubbio circa l’efficacia della protezione multilevel assicurata all’imputato secondo il criterio dello standard più elevato pro individuo garantito dall’art. 53 della Carta, ha comunque comportato un effetto sui nuovi indirizzi del legislatore italiano. Si può infatti ricordare come le reazioni prodotte nell’ordinamento italiano dalla vicenda oggetto del caso Melloni hanno prodotto un nuovo indirizzo legislativo nella riforma del processo penale in contumacia (legge n. 67/2014), sulla cui base il processo penale può essere ora celebrato in assenza dell’imputato alla condizione che quest’ultimo ne sia a conoscenza e comunque nel quadro di un rafforzamento delle misure a favore del diritto di difesa dell’imputato. Quanto all’apporto giurisprudenziale all’integrazione fra l’ordinamento interno e quello dell’Unione, il livello di protezione corrisponde a quello più elevato pro individuo garantito (“nel rispettivo ambito di applicazione”) dalle disposizioni dell’art. 53 della Carta (le quali, a loro volta, riprendono in modo pressoché testuale le previsioni dell’art. 53 della CEDU). Nell’ottica della tutela multilevel (sancita nell’art. 53 della Carta), pertanto, nulla appare 29 Cfr. anche il nostro Livello di protezione dei diritti … cit. 10 innovato circa il primato e l’inviolabilità-inderogabilità delle garanzie accordate dai principi e dalle disposizioni costituzionali ai diritti fondamentali previsti nella Carta costituzionale, qualora più favorevoli alla protezione del ricorrente. Nel sanzionare, come è stato già osservato, “il carattere sussidiario del livello di protezione assicurato (dalla stessa) rispetto al livello, eventualmente più elevato, garantito dal diritto nazionale o comunque da altro diritto applicabile negli Stati contraenti … (che apre) una breccia al principio del primato del diritto dell’Unione, poiché almeno il livello di protezione 30 più elevato assicurato dalle costituzioni nazionali dovrebbe essere sempre salvaguardato” , l’art. 53 della Carta – per come si vedrà nel seguito di questa riflessione (con riguardo al favor giurisprudenziale dell’Unione per la protezione delle libertà economiche sancite nei trattati rispetto alle protezioni accordate ai diritti economici e sindacali dei lavoratori nell’ambito delle costituzioni nazionali) – solleva importanti interrogativi sulla portata del primato del diritto dell’Unione e sulla centrale questione dei relativi confini e pertanto dei suoi limiti, in unum con le determinazioni in materia di standard di protezione ora positivizzate nella Carta dei diritti. È appunto la questione sollevata (in particolare, ma non solo) dalla sentenza Melloni, 26 febbraio 2013, CC-399/11 – in tema di rapporti fra ordinamento UE e ordinamenti nazionali in materia di mandato di arresto europeo – ma è anche la questione posta (fra l’altro) dalle note sentenze Viking e Laval in tema di rapporti fra libertà economiche europee e diritti sociali previsti nelle costituzioni nazionali. Quanto all’estensione dell’ambito materiale dei diritti sanciti nella Carta (e in altre specifiche disposizioni dei trattati dell’Unione), pur nella (esigenza più volte sottolineata nei trattati di) salvaguardia della immodificabilità delle competenze dell’Unione, inoltre, i ‘nuovi’ trattati statuiscono l’adesione dell’Unione alla CEDU, sancendo, al contempo, che i diritti fondamentali garantiti da questa Carta e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri fanno parte del diritto primario dell’Unione in quanto principi generali (che sono da rispettarsi e da promuoversi, nello spirito dell’art. 51, I co, della Carta). Unitamente al patrimonio costituzionale europeo ricostruito inizialmente in via pretoria, nel corso del primo ventennio di vita delle istituzioni comunitarie (a partire dalla nota triade di sentenze, la Stauder, la Internationale e la Nold), e in seguito anche attraverso atti normativi del Parlamento europeo, tali previsioni concorreranno a definire un acquis communautaire al cui consolidamento l’Unione assegna la finalità di garantire “uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri” (art. 67 del TFUE). In questo modo, l’Unione – nel confermare “il proprio attaccamento ai principi di libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché dello Stato di diritto” (come si afferma solennemente nel Preambolo) – esprime la determinazione a segnare “una nuova tappa” nel processo di integrazione europea intrapreso con l’istituzione delle Comunità europee, nel quadro del pieno rispetto da parte dell’Unione dell’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e della loro identità nazionale per come insita nella loro 31 struttura fondamentale, politica e costituzionale (art. 4.2 TUE) . Con i nuovi trattati, pertanto, 30 Cfr. N.L., UE. Le sentenze della Corte di giustizia nelle cause C-396/11, Radu e C-399/11, Melloni, in www.osservatoriosullefonti.it. 31 Sul punto cfr. AA.VV., La sentenza del Bundesverfassungsgericht sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione Europea, in www.astrid.eu; M. LUCIANI, Il Bundesverfassungsgericht e le prospettive dell’integrazione europea, in www.astrid.eu; G. GUARINO, La sentenza del Bundesverfassungsgericht del 30 giugno 2009. Sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione europea, in www.astrid-online.it; L.S. ROSSI, Integrazione europea al capolinea?, www.affariinternazionali.it; A. CANTARO, Democrazia e identità costituzionale nel Lissabon Urteil. L’integrazione protetta, in Teoria e diritto dello Stato, 2010; B. GUASTAFERRO, Il rispetto delle identità 11 si registra una maggiore e più intensa positivizzazione dei diritti fondamentali, ma non può certo affermarsi che i cataloghi di tali diritti corrispondano ai ben più evoluti cataloghi accolti nelle costituzioni nazionali. Rispetto a queste ultime, inoltre, nella Carta europea dei diritti difettano princìpi fondamentali che possano porsi come criterio ermeneutico da seguirsi (soprattutto da parte delle giurisdizioni costituzionali) nel bilanciamento fra le diverse protezioni previste in materia di diritti fondamentali europei, con la conseguenza – già bene argomentata in dottrina – che questi ultimi sono considerati tutti parimenti fondamentali, rimettendone il relativo, necessario, bilanciamento al giudice del singolo caso giudiziario, secondo un principio di proporzionalità che appare per questa ragione “invertebrato”, secondo 32 una efficace sottolineatura critica fattane in dottrina . In breve, anche nell’ottica delle nuove disposizioni in materia di diritti sociali accolte nei nuovi trattati, saremmo ancora troppo vicini alle deboli forme di protezione dei diritti sociali, secondo le previsioni dell’art. 151 del TFUE, secondo cui “l’Unione e gli stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivo la promozione della occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro la emarginazione”. Il quadro normativo europeo, in tal modo, resta ancorato ad un’evoluzione molto lenta del diritto dell’Unione verso politiche di sviluppo e di coesione compatibili con i diritti, della cui protezione occorrerà interrogarsi circa la prevalenza del diritto costituzionale interno o di quello primario dell’Unione nell’ipotesi di situazioni (astrattamente e/o concretamente) asimmetriche (se non anche antinomiche). Per quanto concerne il ruolo della giurisdizione europea e quello delle garanzie giurisdizionali (dell’efficacia) dei diritti sociali, la dottrina costituzionale e soprattutto quella gius-lavoristica da tempo sottolineano che almeno taluni diritti sociali in materia giuslavoristica conoscono una “infiltrazione” da parte del diritto della concorrenza e del mercato che ne altera significativamente la consistenza. I ‘nuovi’ trattati, in breve, mostrano che siamo ancora in presenza di forme deboli di protezione dei diritti sociali, comunque poco comparabili con le tradizioni e le previsioni costituzionali dei Paesi europei, rendendo pertanto opportuno che le corti costituzionali non assumano come superato quel risalente indirizzo giurisprudenziale di talune corti costituzionali – la dottrina dei controlimiti –, nonostante parte della dottrina lo ritenga superato in quanto ritenuto (presuntamente) superfluo e (pertanto) inutile alla luce delle più recenti evoluzioni ordinamentali dell’Unione. Il quadro, pertanto, restava e resta ancorato ad un’evoluzione istituzionale (e politica) dell’Unione molto lenta verso le politiche di sviluppo e di coesione compatibili con i diritti, per come potrà confermare il richiamo di una ormai pluriannotata giurisprudenza della Corte di Giustizia: Viking (causa C-438/05, 11 dicembre nazionali nel Trattato di Lisbona tra riserva di competenze statali e ‘controlimiti europeizzati’, in www.forumcostituzionale.it; M. RAVERAIRA, L’ordinamento dell’Unione europea, le identità costituzionali nazionali e i diritti fondamentali. Quale tutela dei diritti sociali dopo il Trattato di Lisbona ?, in Rivista del diritto della sicurezza sociale, 2/2011; M.-C. PONTHOREAU, Identité constitutionnelle et clause européenne d’identité nazionale. L’Europa à l’épreuve des identités constitutionnelles nationales, in D.P.C.E., IV/2004; S. GAMBINO, Identità costituzionali nazionali e primauté euro-unitaria, in Quad. Cost., 2/2013. 32 Cfr. G. AZZARITI, Le garanzie del lavoro tra costituzioni nazionali, Carta dei diritti e Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Scritti in onore di Alessandro Pace, Jovene, Napoli, 2012; ID., Uguaglianza e solidarietà nella Carta dei diritti di Nizza, in AA.VV., Contributi allo studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a cura di M. Siclari, Giappichelli, Torino 2003; ID., Il futuro dei diritti fondamentali nell’era della globalizzazione, in Pol. dir., 3/2003. 12 2007), Laval (causa C-341/05, del 18 dicembre 2007), Rüffert (causa C-346/06, 3 aprile), e Commissione c/ Lussemburgo (causa C-319/06, del 19 giugno 2008). In assenza di principi e di valori ordinanti i due sistemi ordinamentali nella materia dei principi e dei diritti fondamentali, la giurisprudenza intervenuta nell’ordinamento interno risulta indubbiamente debitrice dei bilanciamenti che il giudice dell’Unione è chiamato a svolgere fra le singole disposizioni di merito dei trattati, le disposizioni presenti nel Titolo X del TFUE (Politica sociale, artt. 151-164) e i livelli di protezione dei diritti e delle libertà per come accolti nelle costituzioni nazionali. Gli esiti non potranno sempre risultare soddisfacenti rispetto alle prospettive di osservazione dei due ordinamenti e delle previsioni negli stessi statuite, con la conseguenza che, per molto tempo ancora, il diritto costituzionale comune europeo continuerà (in modo pressoché inevitabile) a connotarsi in modo prevalente come diritto giurisprudenziale più che come diritto positivo in senso stretto. In tale quadro, ad esempio, si potrebbe sottolineare come lo stesso art. 20 della Carta, in materia di eguaglianza, nel fondo, apparrebbe costituire un arretramento rispetto al dibattito teorico-costituzionale e alle garanzie da accordare secondo gli standard più elevati previsti dalle (prevalenti) costituzioni sociali europee. In una simile valutazione di tipo problematico, è da considerare lo spazio importante accordato alla giurisdizione dell’Unione e a quella convenzionale. Nello sviluppo di tali giurisprudenze, le corti europee, ma soprattutto la CGUE, potranno forse operare una nuova e più significativa spinta in avanti nella materia dei diritti fondamentali, che ora – rispetto agli anni ’70 – appare maggiormente argomentata alla luce dei nuovi parametri positivizzati in materia di diritti fondamentali a livello dell’Unione. D’altra parte, la giurisprudenza della CGUE aveva già da tempo offerto chiari riscontri di tale bilanciamento (soprattutto fra esigenze del mercato comune, libertà economiche e diritti sociali), oltre che nella giurisprudenza in materia di divieto di discriminazione (parità uomodonna), nella soluzione di conflitti relativi alla protezione del lavoratore (previdenza sociale 33 pubblica, ferie retribuite, contrattazione collettiva) . Diversamente dai diritti di prima generazione, tuttavia, come viene lucidamente sottolineato, la protezione dei diritti sociali era 34 – ed è tuttora – solo “indiretta e puramente eventuale” , in quanto i vincoli riconosciuti non sono connessi direttamente alla difesa di taluni diritti sociali ma sono giudicati rilevanti nella sola misura in cui essi siano riconducibili ad interessi pubblici collegati all’attuazione di determinate politiche dell’Unione. Il quadro normativo in materia di diritti sociali a livello dell’Unione, dunque, solleva molteplici perplessità, sia per quanto riguarda la disciplina positiva di tali peculiari situazioni giuridiche (dalla natura pretensiva), sia per quanto concerne l’estensione alle stesse della medesima natura di diritti inviolabili e pertanto di princìpi supremi costitutivi dell’ordinamento costituzionale, sia, ed infine, per quanto riguarda l’effettiva loro giustiziabilità. Ma prima ancora, tale quadro solleva la centrale questione della natura e dei corrispondenti contenuti normativi dei princìpi fondamentali cui lo stesso s’ispira. All’interno di tale quadro, si pone l’interrogativo sull’esistenza di un raccordo fra il principio di eguaglianza formale e quello di eguaglianza sostanziale, come avviene all’interno delle 35 tradizioni costituzionali comuni più avanzate degli Stati membri dell’Unione . Si pone, 33 Cfr. J. ILIOPOULOS-STRANGAS, La Charte des droits fondamentaux … cit.; G. BRONZINI, Il modello sociale europeo, in AA.VV., Le nuove istituzioni europee … cit.,; M. BARBERA, Dopo Amsterdam: i nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis, Brescia 2000; S. Giubboni, Diritti sociali e mercato … cit.; Id., Libertà di mercato e cittadinanza sociale europea, in AA.VV., Le prospettive del welfare in Europa, Ediesse, Roma 2007. 34 Cfr. U. ALLEGRETTI, I diritti sociali, in www.luiss.it. 35 Cfr. G. ALLEGRETTI, Uguaglianza e solidarietà nella Carta dei diritti di Nizza, in M. SICLARI, Contributi allo studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Giappichelli, Torino 2003, 71; M. CARTABIA, Princìpi inviolabili e integrazione europea, Giuffré, Milano 1995 e della stessa A., L’ora dei diritti 13 parimenti, il quesito se i diritti sociali comunitari, per come ora positivizzati nella Carta, si limitino a far proprio e a dare attuazione al principio di eguaglianza, inteso nel senso originario di divieto di discriminazione fra i soggetti o se, piuttosto, non accolgano anche quello di eguaglianza sostanziale posto a base del costituzionalismo dei Paesi europei del secondo dopo-guerra, coinvolgendo in tal senso la questione della copertura della spesa e pertanto dell’esistenza in capo all’Unione di una competenza in materia che non risulti lesiva 36 della competenza costituzionale di ogni singolo Stato membro . Diversamente da quanto viene sancito nelle originarie carte costituzionali liberaldemocratiche e in quelle del costituzionalismo sociale successivo al secondo conflitto mondiale, come si è già osservato, nelle finalità originarie dei trattati non rientrava né l’enunciazione di un principio generale di eguaglianza né la previsione di un generale principio di divieto di discriminazione, tranne quello relativo alla nazionalità, sia pure in quest’ultimo caso come clausola non espressa. È la Corte comunitaria – come si ricorderà – a identificarlo come species del più ampio genus dei princìpi generali del diritto dell’Unione, attingendo allo stesso patrimonio delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, cui la stessa ha fatto ricorso per la tutela dei diritti fondamentali dell’Unione. Tuttavia, se di indubbio rilievo appare la ricerca volta a evidenziare l’apporto del patrimonio costituzionale europeo alla formazione di tali princìpi, e con essi alla stessa fondazione del ‘blocco di comunitarietà’ approntato dalla CGUE, meno approfondito (e per questo di maggiore interesse scientifico) risulta il contributo che tale giurisprudenza potrà apportare alla giurisprudenza costituzionale nazionale, ancora per molti profili ferma ad un’attenzione limitata ai profili del divieto di discriminazione di cui all’art. 3, I co., Cost., come, ad esempio, potrebbe osservare della giurisprudenza costituzionale in materia di divieto di discriminazione delle donne nell’accesso alle cariche elettive. 3. Diritti sociali e mercato Nel richiamare le questioni poste dal rapporto fra ordinamenti con riguardo più specifico all’effettività della tutela giudiziaria delle specifiche pretese giuridiche dei soggetti, può osservarsi come le recenti evoluzioni nel processo d’integrazione europea (e per un tempo ancora rilevante, probabilmente, lo stesso futuro del diritto europeo) appaiano destinate a una valorizzazione ulteriore del sistema giurisdizionale, al cui interno potrà assistersi (in modo quasi inevitabile) ad un nuovo protagonismo della giurisdizione (sia della Corte dell’Unione che dei giudici nazionali). Tale protagonismo potrà esprimersi sia nella fase ascendente, di ricorso al Giudice dell’Unione da parte del giudice nazionale (e ora dello stesso Giudice costituzionale) attraverso lo strumento del “rinvio pregiudiziale”, che avrà ora nuove e più complesse disposizioni (i nuovi trattati, inclusivi della incorporazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE) su cui esercitarsi, sia, e soprattutto, nella fase discendente, con riferimento alla disapplicazione del diritto interno per contrasto con la normativa dell’Unione, ora composta sia da disposizioni di garanzia dei diritti, sia da disposizioni che sanciscono ‘princìpi’. fondamentali nell’Unione Europea, in AA.VV., I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, a cura di M. Cartabia, Il Mulino, Bologna 2007. 36 Cfr. O. POLLICINO, Di cosa parliamo quando parliamo di uguaglianza? Un tentativo di problematizzazione del dibattito interno alla luce dell’esperienza sopranazionale, in www.forumcostituzionale.it; V. ONIDA, L’eguaglianza ed il principio di non discriminazione, in www.luiss.it; A. SACCOMANNO, Eguaglianza sostanziale e diritti sociali nel rapporto fra ordinamento interno e ordinamento comunitario, C. DI TURI, La protezione dei diritti sociali fondamentali a livello internazionale ed europeo, in S. GAMBINO, Costituzione italiana … cit. 14 Quanto ai rapporti fra diritto dell’Unione e diritto interno – e in tale quadro alla disapplicazione di quest’ultimo per contrasto con la disciplina dell’Unione in materia di diritti – in realtà, non sembrano sussistere dubbi di rilievo; disponiamo, infatti, di una giurisprudenza risalente e più che consolidata. Dalle sentenze Van Gend en Loos e Costa/Enel in poi, la prevalenza e la diretta applicabilità del diritto dell’Unione europea nell’ambito del diritto interno costituiscono princìpi pienamente affermati e riconoscibili come un (pienamente conseguito) acquis comunitario. Rispetto alla questione relativa alla piena vigenza del diritto primario dell’Unione con riguardo alla normativa nazionale in eventuale antinomia con esso, la Corte costituzionale, infatti, assume che il giudice ordinario ha il potere di disapplicare le leggi con esso contrastanti, senza che lo stesso debba sollevare previamente questione della loro legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 11 Cost. Nell’ottica specifica di quest’analisi appare ora opportuno approfondire i rapporti fra tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, specifiche loro previsioni di protezione di diritti fondamentali (in particolare del diritto di sciopero e di contrattazione collettiva in quanto diritti fondamentali sociali) e diritto/giurisprudenza dell’Unione. Lo faremo citando a mo’ di esempio alcune recenti sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea che sottolineano una evidente asimmetria fra libertà economiche e diritti sociali per come garantiti sulla base dei principi e delle disposizioni del diritto dell’Unione nonché delle specifiche protezioni costituzionali nazionali. Tradizioni costituzionali – queste ultime – che l’art. 4 dei “nuovi” trattati dell’Unione sancisce debbano essere “rispettate”. Nell’ambito di questo orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia si devono richiamare alcune sentenze che sono state bene approfondite soprattutto dalla dottrina giuslavoristica, ma anche da quella costituzionale e da quella comunitaria (sentenze Viking, Laval, Rüffert et Commissione c. Repubblica federale di Germania). Tali sentenze, peraltro, evidenziano lo sviluppo di una tendenza evolutiva del costituzionalismo comune europeo verso la giurisdizializzazione del diritto costituzionale europeo, in un’ottica che sembra voler valorizzare un approccio common law piuttosto che civil law. In tal senso, può porsi l’interrogativo se si possa o meno riconoscere al solo Giudice comunitario l’interpretazione delle nozioni e delle garanzie previste nei trattati europei e nelle costituzioni nazionali, relativamente al bilanciamento fra diritti del lavoro (sciopero, libertà sindacale, contrattazione collettiva), diritto di concorrenza e libertà di stabilimento, in breve fra diritti sociali e mercato 37. In un simile quadro può anche porsi l’interrogativo se la Carta europea dei diritti fondamentali e il suo utilizzo quale parametro di giudizio da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea non incorra nel rischio di possibili letture svalutative delle costituzioni nazionali (e delle protezioni dei diritti quivi sancite, come ad. es. – con riguardo alla presente riflessione – il diritto di sciopero, le libertà sindacali, il diritto di contrattazione collettiva, ecc.), che non sarebbero (non dovrebbero essere) permesse alla stessa luce degli artt. 51, 52 e 53 della Carta, nell’ottica del costituzionalismo multilevel quivi previsto come criterio interpretativo ai fini della scelta degli strumenti (sostanziali e processuali) di garanzia dei diritti da parte dei soggetti. Tali previsioni normative obbligherebbero (obbligano, secondo la nostra lettura) il Giudice costituzionale di ogni singolo Paese membro dell’Unione a far valere le garanzie dei controlimiti, al pari di quanto 38 si prevede per il rispetto delle identità nazionali, politiche e costituzionali (art. 4.2. TUE) . 37 Fra gli altri, sul punto, cfr. anche G. FONTANA, La libertà sindacale in Italia e in Europa, in Rassegna di diritto pubblico, 2/2010. 38 Cfr. S. GAMBINO, Constitutionnalismes nationaux et constitutionnalisme européen: les droits fondamentaux sociaux dans les Pays membres de l’Union Européenne, la Charte des droits et l’identité constitutionnelle nationale, in Seminar National constitutional identity ad European integration (Universitat Pompeu Fabra - Barcelona - Spagna, 23-24 February 2012). Una versione più ridotta di tale testo è ora pubblicata in AA.VV., Caleidoscopio. Cultura, politica, società. Scritti in memoria di Régine Laugier, a cura di M.F. Benvenuto, I.M. Robinson, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013. 15 Con riguardo a tali interrogativi, la dottrina italiana (soprattutto costituzionale e giuslavoristica), nel sottolineare la richiamata divergenza fra tradizioni e garanzie costituzionali degli Stati membri e cultura/garanzie del diritto primario dell’Unione, osserva come una simile asimmetria fra la garanzia delle libertà economiche accolta nel diritto dei trattati e i diritti sociali costituzionalmente protetti ritrova i suoi limiti (almeno impliciti) nella formulazione normativa della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, con la “innovativa 39 classificazione dei diritti in categorie di valori” che questa ne propone. In un simile approccio, l’obiettivo perseguito a suo tempo dalla Convenzione di Laeken, ed oggi dai nuovi trattati e le garanzie assicurate dalla Carta, nel collocare sullo stesso livello tutti i diritti fondamentali, in assenza di criteri di bilanciamento fra gli stessi, costituiscono un “progresso solo apparente” rispetto alle precedenti previsioni dei trattati, con la conseguenza (teorica e pratica) che “non sarà più possibile trarre dal ‘testo costituzionale’ ovvero ‘a valenza costituzionale’ (quale vuole essere la Carta) una gradazione fra diritti; non sarà più 40 possibile individuare dei principi prevalenti e caratterizzanti l’ordinamento costituzionale … tutti i diritti posti allo stesso livello, tutti fondamentali senza distinzione, non sarà più possibile equilibrare i diritti … Una volta perduto le proprie basi testuali e il relativo tessuto argomentativo, l’equilibrio potrà essere giustificato solo in base alle diverse enunciazioni dei diritti allineati uno dietro l’altro, tutti egualmente fondamentali … Ne risulterà così un equilibrio “libero”, nel quale i termini saranno definiti – fino ad essere in gran parte forgiati – 41 dallo stesso giudice” . Ne segue una evidente rinuncia da parte del diritto dell’Unione di dotarsi di una “legge superiore”, rinviando, in tal modo, ad un problematico “bilanciamento fra valori” che viene rimesso al solo dialogo fra Giudice comunitario e giudice nazionale, finendosi, in tal modo, “per assegnare alle Corti il ruolo decisivo di determinazione dei diritti in base al criterio giurisprudenziale della “proporzionalità” […] una “proporzionalità”, però, invertebrata, perché liberamente utilizzabile in assenza di prescrizioni di sistema che siano in 42 grado di orientare il giudice” . Tale asimmetria nel parametro positivo e nella relativa garanzia giurisdizionale della protezione dei diritti fondamentali sociali fra livelli costituzionali nazionali e Unione europea richiama in modo inevitabile l’attenzione della dottrina costituzionale sui limiti necessari da opporre alla pretesa primauté generalizzata del diritto dell’Unione sul diritto costituzionale nazionale delle libertà e dei diritti per come previsti nelle costituzioni nazionali. Con l’indicazione al giudice del rinvio pregiudiziale della verifica della proporzionalità dello sciopero con riguardo alla sua congruità nell’assicurare l’esercizio di una libertà comunitaria fondamentale, come il diritto di stabilimento previsto nei trattati, la Corte di giustizia dell’Ue, ad es., – facendo ricorso al criterio di proporzionalità, in particolare nella sentenza Viking – finisce per entrare direttamente nella materia del conflitto oggetto della causa, invece di ricercare un equilibrio fra le disposizioni costituzionali nazionali e quelle comunitarie. La stessa si apre, in tal modo, “ad un controllo penetrante ed inedito del giudice 39 Cfr. G. AZZARITI, Le garanzie del lavoro tra costituzioni nazionali, Carta dei diritti e Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in www.europeanrights.eu, 2011, 8. 40 Cfr. S. GAMBINO, Identità costituzionali nazionali, cit. 41 Cfr. G. AZZARITI, Le garanzie del lavoro, cit., 8; M. Barbera, Diritti sociali e crisi del costituzionalismo europeo, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.INT – 95/2012, 6. 42 Ult. op. cit., 9-10; A. LO FARO, Diritti sociali e libertà economiche del mercato interno: considerazioni minime in margine ai casi Viking e Laval, in Lavoro e diritto, 2008, il quale, a proposito del bilanciamento operato dalla Corte Ue nella giurisprudenza ora in esame, osserva criticamente che “si tratta, in effetti, non di bilanciamento ma di riscrittura dei limiti della libertà sindacale in presenza dell’interesse a garantire la libertà di stabilimento (sovraordinata alle finalità d tutela dei lavoratori). In sostanza, si chiama bilanciamento ma deve leggersi ‘primato’ (del diritto comunitario sui diritti costituzionali europei” (169). 16 43 naturale sulle strategie della lotta sindacale” concretamente perseguite dalle parti sociali in conflitto. Il rischio evidente di una simile giurisprudenza, pertanto, è che “con l’intermediazione del principio di proporzionalità, s’impone una riformulazione del diritto di sciopero nei termini di una extrema ratio nella soluzione delle controversie collettive negli stessi ordinamenti, come 44 quello italiano, in cui tale principio non esiste (almeno nel settore privato)” . Tale valutazione porta una parte della dottrina a parlare di una vera e propria degradazione del diritto costituzionale di sciopero (art. 40 Cost.) a livello di mero “interesse”, che tuttavia meriterebbe una protezione “se non eccede i limiti stretti imposti al suo esercizio dai criteri di 45 adeguatezza e di proporzionalità” . Valutando in modo critico l’indirizzo giurisprudenziale del Giudice dell’Unione per quanto concerne il bilanciamento (e pertanto l’equilibrio) fra le libertà economiche comunitarie e i diritti sociali costituzionalmente garantiti, nell’ottica dell’art. 6.1 del TUE e dell’art. 28 della Carta, si è fatto bene sottolineare come una simile giurisprudenza costituisca un vero e proprio errore logico dal momento che la stessa non considera i diritti sociali al pari dei diritti dell’uomo 46 . Pertanto, ciò che va rilevato nelle sentenze in esame (Viking, Laval, Rüffert) non è tanto il mancato riconoscimento del diritto di sciopero, quanto piuttosto il tipo di equilibrio (e pertanto il relativo bilanciamento) previsto fra lo stesso diritto di sciopero e il diritto di stabilimento sancito dal diritto dell’Unione, che finisce per degradare l’effettività della garanzia costituzionale riconosciuta al diritto di negoziazione collettiva, disciplinato dall’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Alla luce di tale riflessione, tanto con riguardo alla positivizzazione dei diritti nella Carta (e all’incorporazione di quest’ultima nei nuovi trattati), tanto con riguardo al bilanciamento operato dal Giudice dell’Unione fra gli stessi e gli standard di protezione previsti per tali diritti nelle costituzioni nazionali, ne segue che risulta quanto meno regionevole additare un qualche freno al diffuso ottimismo dell’approccio teorico-costituzionale sugli effetti del costituzionalismo multilevel e sui relativi impatti nell’effettività delle garanzie negli ambiti materiali riguardati da positivizzazioni normative tanto nei trattati quanto nelle costituzioni. Per molti profili, pertanto, lo stesso grado di vincolatività dei diritti sociali non sembra poter andare molto oltre la “presa in considerazione” degli stessi (per come previsto nell’art. 151 TFUE), non potendosi pertanto parlare di una loro effettiva giustiziabilità né quale parametro di misurazione degli effetti orizzontali delle disposizioni del diritto UE, tantomeno del bilanciamento con i più elevati standard di protezione dei diritti sociali nel costituzionalismo nazionale. Né le altre innovazioni introdotte dai ‘nuovi trattati’ appaiono tali da far mutare segno alle perplessità sin qui espresse. Nella recente evoluzione registrata dall’ordinamento dell’Unione, pertanto, i diritti sociali continuano a mantenere, nel fondo, la natura di diritti ‘strumentali’ agli obiettivi economici, tanto più che la normativa europea in materia sociale e le stesse previsioni della Carta dei diritti in materia si limitano alla disciplina di mere disposizioni programmatiche, in alcuni casi all’individuazione di semplici ‘obiettivi’. Una conferma di tale tesi è ora rinvenibile nella giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di rapporti tra libertà economiche e diritti collettivi (Viking, Laval, Rüffert, Lussemburgo 43 Cfr. S. GIUBBONI, Dopo Viking, Laval e Rüffert: in cerca di un nuovo equilibrio fra i diritti sociali e mercato, in AA.VV., Libertà economiche e diritti sociali nell’Unione Europea. Dopo le sentenze Laval, Viking, Rüffert e Lussemburgo, a cura di A. Andreoni, B. Veneziani, Ediesse, Roma 2009, 123. 44 Cfr. G. ORLANDINI, Autonomia collettiva e libertà economiche nell’ordinamento europeo: alla ricerca dell’equilibrio perduto in un mercato aperto e in libera concorrenza, in GDL, 2008, 281. 45 Cfr. G. FONTANA, Crisi economica ed effettività dei diritti sociali in Europa, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. INT – 104/2014. 46 B. CARUSO, Diritti sociali e libertà economiche sono compatibili nello spazio europeo?, in AA.VV., Libertà economiche e diritti sociali … 111; 17 e Commissione c. Germania), ove – pur riconoscendo all’azione collettiva in generale, e allo sciopero in particolare, la natura di diritti fondamentali, e come tali garantiti dall’ordinamento comunitario – il Giudice dell’Unione ritaglia per le libertà economiche un ampio spazio di regolazione e pertanto di tutela libero dalle incursioni dei diritti collettivi. Con particolare riguardo alle prime due richiamate sentenze, la Corte si è pronunciata sulla compatibilità di due azioni collettive con il diritto europeo sia con riguardo all’effetto orizzontale diretto di protezione dell’art. 43 TCE (ora art. 49 TFUE) sia con riguardo ai diritti nazionali costituzionalmente protetti. In tale ottica, il Giudice dell’Unione si è interrogato sulla questione di come conciliare – bilanciandoli – due diritti fondamentali dell’ordinamento comunitario, quali la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi, con il diritto di un sindacato o di un’associazione di sindacati di intraprendere e sostenere un’azione collettiva; tuttavia, non risultano molte tracce della lettura svolta dal medesimo Giudice relativamente alla protezione dei diritti coinvolti (sciopero e diritti di negoziazione) alla luce degli ordinamenti costituzionali nazionali, non potendo lo stesso Giudice ancora riferirsi al parametro delle stesse ‘identità nazionali, politiche e costituzionali’ di cui all’art. 4 TUE, ancora non vigente al momento della sentenza. Come era già avvenuto in due altre importanti sentenze comunitarie nelle quali il bilanciamento riguardava diritti parimenti fondamentali (Omega e Schmidberger), anche nella vicenda relativa a tali sentenze in materia di libertà economiche si può osservare preliminarmente come la scelta di operare un bilanciamento esprime comunque l’indirizzo verso il superamento di una connotazione economicista dell’Unione. Essa, infatti, implica che si ammette la presenza di valori e diritti di pari dignità con cui le libertà economiche devono necessariamente relazionarsi. Tuttavia, nel vaglio comparativo operato, esso si palesa chiaramente ‘sbilanciato’, ‘asimmetrico’, in quanto, da parte del Giudice dell’Unione, non si fa che ribadire che le libertà fondamentali rappresentano il principio mentre i diritti collettivi, al contrario, le eccezioni, in questo evidenziando un primato (diremo ideale, non potendo dire ideologico) per il valore ‘politico’ del sostegno del mercato rispetto agli altri beni costituzionalmente protetti nella costituzione economica, quali la contrattazione collettiva e il diritto di sciopero 47. Il risultato complessivo di un simile approccio giurisprudenziale non può che leggersi come uno svuotamento (almeno parziale) del contenuto del diritto di sciopero, in ragione della considerazione che esso evidenzia un minore tasso di resistenza nei confronti della vis espansiva delle libertà economiche; né parrebbe che la stessa contraddittorietà di un simile indirizzo giurisprudenziale del giudice UE possa mutare alla luce della previsione dell’art. 28 della Carta (per come ora dotato della medesima forza normativa dei trattati dell’Unione). Come si fa osservare sul punto in modo convincentemente critico “… appare, insomma, alquanto chimerico pensare che l’assunzione di vincolatività giuridica della Carta possa addirittura trasformare dalle fondamenta l’ordinamento comunitario, rendendolo primariamente orientato verso il perseguimento di valori sociali e di tutela ed emancipazione della persona, assegnando a quelli economici rilievo secondario: proprio la formulazione finale della Carta di Nizza, e specificamente dell’art. 28, ci dice, anzi, che, allo stato dei rapporti politici tra e negli Stati membri, il miglior punto di equilibrio che si è potuto raggiungere è costituito dall’attribuzione di pari rilievo ‘costituzionale’ agli interessi di lavoratori e datori di lavoro, nelle loro varie manifestazioni, e finanche ai loro diritti di azione collettiva (sciopero e serrata). Insomma, la vincolatività giuridica della Carta non farebbe che 48 confermare quanto già la Corte ha riconosciuto attraverso il suo sforzo interpretativo” . 47 In questa stessa ottica, A. LO FARO, Diritto al conflitto e conflitto di diritti nel mercato unico: lo sciopero al tempo della libera circolazione, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 1/2010. 48 Così U. CARABELLI, Europa dei mercati e conflitto sociale, Cacucci, Bari 2009, 156. 18 Nella stessa ottica argomentativa, altra convincente dottrina giuslavoristica sottolinea criticamente come “le (appena richiamate) sentenze della Corte di Giustizia rinviano ad un assetto non già ‘compromissorio’ … ma ad uno schema in cui prevalgono, nel confronto fra libertà economiche e diritti sociali collettivi, conflitti minimalistici da risolvere caso per caso. È questo uno schema che esige, a ben vedere, una pre-condizione: la relativizzazione dei diritti fondamentali, la rinuncia ad un modello politico-normativo coerente, finalisticamente orientato, la frammentazione dell’ordinamento in una miriade di schegge non più ricomponibili. È quindi un modello che rinvia ad un ordine giuridico del mercato presupponendo che nessun diritto possa o debba prevalere … Ne consegue in tal modo che i rapporti fra ‘democrazia’ e ‘mercato’ riemergono come perfettamente allineati, piuttosto che conflittuali. Ma fra democrazia economica e democrazia politica si ricrea il fossato che le Costituzioni nazionali avevano provato a colmare” 49. L’effetto di un simile indirizzo giurisprudenziale rileva problematicamente anche nell’ottica degli effetti nel tempo e nello spazio di una simile lettura, nella misura in cui l’interpretazione dei trattati così effettuata da parte della Corte UE non può non condizionare gli stessi giudici nazionali al momento della valutazione della “legittimità di un’azione collettiva alla luce del diritto comunitario” 50 , trasferendo in tal modo un approccio ermeneutico fondato sui trattati alla dinamica della stessa giurisprudenza dei giudici nazionali e soprattutto delle corti costituzionali al momento di operare bilanciamenti fra libertà di azione collettiva e libertà di circolazione. Una lunga citazione può aiutarci a concludere l’approccio seguito nella pagine che precedono. Pur essendo la riflessione sulle sentenze Viking e Laval debitrici di ordinamenti diversi da quello italiano ed anche dalle esperienze più mature in termini di protezione dei diritti sociali secondo standard elevati, l’indirizzo della Corte UE non può non allarmare con riguardo specifico alla tenuta e alla effettività della tutela dei diritti sociali in ambito giuslavoristico. Come è stato convincentemente osservato, infatti, non può non inquietare “la prospettiva di vedere in un futuro prossimo i piedi della Corte … affondati nel piatto della nostra Costituzione, alla quale abbiamo molte ragioni di restare sinceramente affezionati. Detto in altri termini, le due sentenze ci costringono a riflettere seriamente sulle conseguenze di affidare la nostra tradizione costituzionale alla mediazione di una Corte, interprete del diritto dei Trattati che non è ora, e non sarà nel prossimo futuro, la “Costituzione” dell’Ue; una Corte, che non è ora e non sarà la Corte costituzionale dell’UE” 51. Da una lettura complessiva delle richiamate sentenze del Giudice UE, pare dunque potersi desumere una visione nel complesso individualista, se non espressamente mercantilista, dei diritti fondamentali, con la costruzione di una gerarchia di diritti capovolta rispetto agli ordinamenti nazionali, effetto dell’arbitrario bilanciamento, al cui apice sono poste le libertà 52 economiche e in cui i diritti sociali occupano una posizione del tutto recessiva . Se ci limitiamo all’ordinamento italiano, infatti, non può che sottolinearsi la distanza considerevole tra il grado di tutela di cui beneficiano tali diritti nell’ordinamento interno e quello loro offerto dal diritto dell’Unione. Mentre la CGUE ha interpretato il diritto di sciopero in senso 49 Così, G. FONTANA, La libertà sindacale in Italia e in Europa, in Rassegna di diritto pubblico, 2/2010, 171172; Id., Crisi economica ed effettività dei diritti sociali in Europa, in www.forumcostituzionale.it (30 giugno 2014). 50 Cfr. M.V. BALLESTRERO, Le sentenze Viking e Laval: la Corte di Giustizia ‘bilancia’ il diritto di sciopero, in Lavoro e diritto, 2/2008, 372, 388; ID., Europa dei mercati e promozione dei diritti, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 55/2007. 51 Cfr. M.V. BALLESTRERO, Le sentenze Viking e Laval: la Corte di Giustizia ‘bilancia’ il diritto di sciopero, in Lavoro e diritto, 2/2008, 391. 52 Fra gli altri, cfr. almeno, G. FONTANA, Crisi economica ed effettività dei diritti sociali in Europa, in www.forumcostituzionale.it (30 giugno 2014); S. GIUBBONI, Dopo Viking, Laval e Rüffert: in cerca di un nuovo equilibrio fra i diritti sociali e mercato … cit. 19 restrittivo, sancendone la conformazione e il rispetto delle finalità dell’Unione, la Corte costituzionale italiana, nella sua interpretazione dell’art. 40 della Costituzione, ha affermato che il diritto al conflitto non è fine a se stesso ma è strumentale al perseguimento di una crescita sociale volta a dare contenuto al principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, II co., Cost. 53. Nel pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 503 del codice penale – nella parte in cui punisce lo sciopero per fine politico – in riferimento agli artt. 3 e 40 della Costituzione, la Corte (sent. 290/1974) ne censura l’illegittimità costituzionale nella parte in cui punisce anche lo sciopero politico che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare. Da parte del Giudice delle leggi nella richiamata sentenza, viene sottolineato, in tale ottica, che “ammettere che lo sciopero possa avere il fine di richiedere l’emanazione di atti politici non significa affatto incidere sulle competenze costituzionali rendendone partecipi i sindacati, né significa dare ai lavoratori una posizione privilegiata rispetto agli altri cittadini. Significa soltanto ribadire quanto dalla Costituzione già risulta: esser cioè lo sciopero un mezzo che, necessariamente valutato nel quadro di tutti gli strumenti di pressione usati dai vari gruppi sociali, è idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione” (sent. 290/1974, cons. dir. 3). Anche alla luce di questa giurisprudenza, risulta ben chiara la diversa relazione (e le relative distanze) osservabili nei contenuti e nella protezione del diritto di sciopero a livello costituzionale e a quello comunitario. Tuttavia, a ben vedere, è proprio l’art. 153.5 del TFUE a sancire in modo espresso che l’Unione non ha competenza regolativa in materia di diritto di associazione e di diritto di sciopero (né di diritto di serrata). Poiché il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi sancito nell’art. 28 della Carta inizia ad assumere la forza normativa propria dei trattati solo a partire dal 2009, la richiamata disposizione (art. 153.5) avrebbe potuto indurre la Corte di giustizia a dichiarare la propria incompetenza a giudicare il conflitto tra diritti sociali e libertà economiche almeno con riguardo ai profili relativi al rapporto fra ordinamento nazionale e ordinamento dell’Unione; conflitto rispetto al quale ogni potere decisionale sarebbe dovuto spettare esclusivamente agli Stati membri, in ragione della diretta incidenza di tali diritti sull’assetto costituzionale nazionale. Come sappiamo, la via seguita dai giudici dell’Unione è stata un’altra. 53 Fra gli altri, sul punto, cfr. anche G. ORLANDINI, Viking, Laval e Rüffert: i riflessi sul diritto di sciopero e sull’autonomia collettiva nell’ordinamento italiano, in A. VIMERCATI, Il conflitto sbilanciato. Libertà economiche e autonomia collettiva tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali, Cacucci, Bari 2009. 20