2015 | 2016 21 settembre - 7 ottobre | sala Shakesperare sala Fassbinder e sala Bausch MILANOLTRE 29ª EDIZIONE 13 - 31 ottobre | sala Shakespeare Elio De Capitani, Cristina Crippa MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE di Arthur Miller, regia Elio De Capitani 26 dicembre – 17 gennaio | sala Bausch Cristina Crippa IL BAMBINO SOTTOVUOTO di Christine Nostlinger, regia Elio De Capitani 7 - 10 gennaio | sala Shakespeare Moni Ovadia IL NOSTRO ENZO... RICORDANDO JANNACCI 8 - 10 gennaio | sala Fassbinder THANKS FOR VASELINA Carrozzeria Orfeo 3 - 22 novembre | sala Fassbinder Ferdinando Bruni SALOME' di Oscar Wilde, regia Bruni/Frongia 11 - 17 gennaio | sala Fassbinder ANIMALI DA BAR Carrozzeria Orfeo 3 - 8 novembre | sala Shakespeare DRAGPENNY OPERA Nina's drag queens 12 - 17 gennaio | sala Shakespeare Stefano Accorsi DECAMERONE da Giovanni Boccaccio, regia Marco Baliani 3 - 8 novembre | sala Bausch ZOMBITUDINE Compagnia Frosini/Timpano 13 - 22 novembre | sala Bausch Elena Russo Arman SHAKESPEARE A MERENDA regia Elena Russo Arman 23 - 29 novembre | sala Fassbinder Giulia Lazzarini GORLA FERMATA GORLA testo e regia Renato Sarti 24 - 29 novembre | sala Bausch ADULTO regia Giuseppe Isgrò, Phoebe Zeitgeist! 30 novembre – 31 dicembre | sala Shakespeare Ferdinando Bruni, Luciano Scarpa, Ida Marinelli MR PUNTILA E IL SUO SERVO MATTI di Bertold Brecht, regia Bruni/Frongia prima nazionale 1 - 6 dicembre | sala Fassbinder PER UNA STELLA Artevox Teatro 8 - 13 dicembre | sala Fassbinder Antonella Questa, Giuliana Musso, Marta Cuscunà WONDER WOMAN 10 - 20 dicembre | sala Bausch AMORE E ANARCHIA Ravenna Teatro 15 - 20 dicembre | sala Fassbinder Federica Fracassi MAGDA E LO SPAVENTO di Massimo Sgorbani, regia Renzo Martinelli 19 - 31 gennaio | sala Shakespeare Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli IL VIZIO DELL'ARTE di Alan Bennett, regia Bruni/Frongia 26 gennaio - 7 febbraio | sala Bausch Angelo Di Genio ROAD MOVIE di Godfrey Hamilton, regia Sandro Marbellini 2 - 7 febbraio | sala Shakespeare Alessandro Haber HABEROWSKI 8 - 14 febbraio | sala Shakespeare Eros Pagni IL SINDACO DEL RIONE SANITA' di Eduardo De Filippo, regia Marco Sciaccaluga 9 febbraio - 6 marzo | sala Fassbinder Elena Russo Arman, Cristina Crippa HARPER REGAN di Simon Stephens, regia Elio De Capitani prima nazionale 16 - 28 febbraio | sala Shakespeare Antonio Rezza, Flavia Mastrella NUOVO SPETTACOLO 18 - 28 febbraio | sala Bausch IL VICARIO di Rolf Hochhuth, regia Rosario Tedesco 1 - 13 marzo | sala Shakespeare Maurizio Lastrico IL BUGIARDO di Carlo Goldoni, regia Valerio Binasco 8 - 20 marzo | sala Fassbinder GYULA testo e regia Fulvio Pepe, Teatro Due 15 - 23 marzo | sala Shakespeare TI REGALO LA MIA MORTE, VERONIKA di Federico Bellini e Antonio Latella, regia Antonio Latella 4 - 17 aprile | sala Fassbinder Ferdinando Bruni ROSSO di John Logan, regia Bruni/Frongia 5 - 10 aprile | sala Shakespeare Stefano Bollani, Valentina Cenni LA REGINA DADA 18 - 22 aprile | sala Fassbinder Ugo Dighero APOCALISSE dai racconti di Niccolò Ammaniti, regia Giorgio Gallione 2 - 8 maggio | sala Fassbinder AMORE Compagnia Scimone Sframeli NUOVE STORIE 27 - 31 ottobre | sala Bausch Animanera LA MODA E LA MORTE di Magdalena Barile, regia Aldo Cassano 1 - 6 dicembre | sala Bausch I CONIGLI NON HANNO LE ALI testo e regia da Paolo Civati 9 - 14 febbraio | sala Bausch ORE D'AMORE di Rosario Lisma 8 - 13 marzo | sala Bausch Teatro Libero Palermo Onlus SISSY BOY: LA CONFERENZA DEL SIG. S.B. di Franca De Angelis, regia Anna Cianca 2 - 8 maggio | sala Bausch Giovanni Franzoni CARO GEORGE di Federico Bellini, regia Antonio Latella 16 - 23 marzo | sala Bausch Compagnia Intus TI AUGURO UN FIDANZATO COME NANNI MORETTI scritto e diretto da Livia Ferracchiati 3 - 29 maggio | sala Shakespeare Ida Marinelli, Elio De Capitani, Federico Vanni IL GIARDINO DEI CILIEGI di Anton Cecov, regia Ferdinando Bruni 12 - 17 aprile | sala Bausch Biancofango PORCO MONDO di Francesca Macrì e Andrea Trapani, regia Francesca Macrì 9 - 16 maggio | sala Fassbinder, Casa Boschi Di Stefano IL TEATRO DI DEFLORIAN/TAGLIARINI Cinque modi per sopravvivere continuando a parlare 9 - 10 maggio REWIND 11 - 12 maggio REALITY 11- 12 maggio CE NE ANDIAMO 13 - 14 maggio COSE 15 - 16 maggio IL POSTO (Casa Boschi di Stefano) 18 - 22 aprile | sala Bausch Teatro Ma HARVEST, QUANTO COSTA UN UOMO AL CHILO? di Manjula Padmanabhan, adattamento di Matteo Salimbeni 17 - 22 maggio | sala Fassbinder Corrado Accordino LA DANZA IMMOBILE La Danza Immobile/Teatro Binario 7 6 - 10 giugno | sala Shakespeare Paolo Sasselli, Luciano Scarpa LA LEGGENDA DEL FAVOLOSO DJANGO REINHARDT Gli ipocriti 6 - 10 giugno | sala Bausch Saverio Marconi BIANCO O NERO - SUNSET LIMITED di Cornach MacCarthy, Compagnia della Rancia PREZZI intero ! 30,50 convenzioni ! 27,00 coop ! 25,50 ikea ! 25,50 giovani < 25 / anziani > 65 ! 16 martedi' posto unico ! 20 nuove storie posto unico ! 15 ABBONAMENTI COPPIA 7 spettacoli a scelta per due persone (l'intestatario più un accompagnatore) • intero ! 196 (! 14 a tagliando) • ridotto (giovani < 25 e anziani > 65) ! 168 (! 12 a tagliando) PROMOZIONE COPPIA PIÙ due omaggi per lo spettacolo Mr Puntila e il suo servo matti per chi acquista l'abbonamento coppia entro il 1 ottobre 2015 PRIMA SETTIMANA • ! 70 (! 10 a tagliando) abbonamento personale per 7 spettacoli a scelta, valido esclusivamente per le prime 6 repliche, debutto incluso PRIMA SETTIMANA IN DUE • ! 140 (! 10 a tagliando) 7 spettacoli a scelta per due persone (l'intestatario più un accompagnatore), valido esclusivamente per le prime 6 repliche, debutto incluso PIÙ TRE • ! 45 (! 15 a tagliando) abbonamento personale per tre spettacoli nel periodo scelto: ottobre-dicembre, gennaio-marzo, marzo-giugno CARNET • ! 171 (! 19 a tagliando) carnet non nominale da 9 ingressi da utilizzare senza vincoli per tutti gli spettacoli della stagione CARTA REGALO • ! 61 (! 30,50 a tagliando) 2 ingressi da utilizzare senza vincoli per tutti gli spettacoli della stagione UNIVERSITA' • ! 36 abbonamento personale per 4 ingressi da utilizzare senza vincoli per tutti gli spettacoli della stagione Gli abbonamenti sono validi per la stagione 2015/2016 dell'Elfo Puccini e per la rassegna Nuove Storie. Non sono validi per il 31 dicembre e per repliche speciali. Per i primi abbonati: - 80 biglietti a ! 6,50 cad. per la prima del Festival MilanOltre del 21 settembre - 50 inviti per la proiezione de Il Dolore, ultima interpretazione di Mariangela Melato, organizzata da Agis Lombardia, nell'ambito della rassegna Cannes e dintorni (Sala Shakespeare, 18 giugno 2015, ore 20.45) TEATRO ELFO PUCCINI c.so Buenos Aires 33 www.elfo.org tel. 02.00.66.06.06 [email protected] lunedì - sabato 10.30 - 19.00 ORARI ESTIVI dal 15 giugno al 30 luglio e dal 1 settembre al 6 settembre: lunedì - venerdì 14.30 /17.30 ACQUISTI TELEFONICI tel. 02.00.66.06.06 (con carta di credito, senza costi aggiuntivi) ACQUISTI ONLINE www.elfo.org www.vivaticket.it Per gli acquisti online e telefonici è attivo il servizio print@home: stampati il biglietto a casa ed evita la coda in cassa. FUORI PROGRAMMA 21 settembre - 7 ottobre, sale Shakespeare, Fassbinder Festival MilanOltre 29 ªedizione ...La danza continua www.milanoltre.org 16 ottobre, ore 21, sala Fassbinder Albanaia da un romanzo di Augusto Bianchi Rizzi drammaturgia Tommaso Amadio e Bruno Fornasari, regia Bruno Fornasari Ricordando Augusto serata in collaborazione con Teatro Filodrammatici Sentieri selvaggi in residenza all'Elfo Puccini Primi Piani stagione 2016 Concerti di musica contemporanea www.sentieriselvaggi.org Dopo la fortunatissima stagione 2015 Tempi Moderni, Sentieri selvaggi torna alla carica con una nuova serie di concerti che mettono a fuoco diverse personalità della musica d’oggi. Primi Piani, questo il titolo della nuova edizione, presenta delle monografie dedicate ad autori di caratura internazionale come Luca Francesconi, Fabio Vacchi, David Lang, Louis Andriessen, un doveroso omaggio a Niccolò Castiglioni nel ventennale della sua scomparsa, nonché una panoramica sulle ultime generazioni di compositori statunitensi. Musica ricca di energia, di stimoli provenienti da tendenze stilistiche di molteplici identità, profonda e divertente al tempo stesso, che metterà in luce come sempre il virtuosismo e la musicalità dell’Ensemble Sentieri selvaggi. SOSTENITORI, PARTNER E COLLABORATORI sostengono l’elfo puccini Ministero dei Beni e delle Attività Culturali Comune di Milano - Cultura/Teatro convenzionato Fondazione Cariplo Regione Lombardia - Assessorato alla Culture, Identità e Autonomie sponsor Coop Lombardia collaborazioni Provincia di Milano Associazione Amici del Teatro Puccini Fondazione Cineteca Italiana La fabbrica di Olinda Società Cooperativa sociale onlus Doria Grand Hotel LE PRODUZIONI DEL TEATRO DELL'ELFO MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE Milano, Elfo Puccini 13 - 31 ottobre Tour: Piacenza, Pisa, Savona, Roma, Modena, Rimini, Ravenna, Bergamo, Ferrara, Parma e altre piazze in via di definizione SALOMÉ Milano, Elfo Puccini 3 - 22 novembre SHAKESPEARE A MERENDA Milano, Elfo Puccini 13 - 22 novembre Tour in via di definizione MR PUNTILA E IL SUO SERVO MATTI Milano, Elfo Puccini 30 novembre – 31 dicembre IL BAMBINO SOTTOVUOTO Milano, Elfo Puccini 26 dicembre – 17 gennaio IL VIZIO DELL'ARTE Milano, Elfo Puccini 19 - 31 gennaio Tour: Bologna, Lugano, Genova, Pergine, Bolzano e altre piazze in via di definizione ROAD MOVIE Milano, Elfo Puccini 26 gennaio - 7 febbraio Tour in via di definizione HARPER REGAN Milano, Elfo Puccini 9 febbraio - 6 marzo ROSSO Milano, Elfo Puccini 4 - 17 aprile LA PALESTRA DELLA FELICITÀ' Tour: Milano/Teatro Filodrammatici e altre date in via di definizione IL GIARDINO DEI CILIEGI Milano, Elfo Puccini 3 - 29 maggio 13 - 31 ottobre, sala Shakespeare MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE di Arthur Miller traduzione di Masolino d'Amico regia Elio De Capitani con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Federico Vanni, Gabriele Calindri, Alice Redini, Vincenzo Zampa, Marta Pizzigallo/Vanessa Korn scene e costumi Carlo Sala luci Michele Ceglia, suono Giuseppe Marzoli produzione Teatro dell'Elfo Torna a Milano l’intensa e personale versione del capolavoro di Arthur Miller creata da Elio De Capitani, con il suo applauditissimo cast e la scenografia mutante di Carlo Sala. Andato in scena nel gennaio 2014 (e in tour fino al 2017), lo spettacolo ha ricevuto un’accoglienza critica unanimemente favorevole e ha emozionato migliaia di spettatori, che hanno riconosciuto nel racconto dell’ultimo giorno di vita di Willy Loman (commesso viaggiatore pronto a tutto per vendere e per vendersi) una storia personale che diventa collettiva e risuona prepotentemente attuale in questi anni. Un classico del Novecento - andato in scena per la prima volta nel febbraio del 1949 a New York per la regia di Elia Kazan - che ha offerto a Elio De Capitani, Premio Hystrio all'interpretazione e Premio Flaiano alla regia per questo spettacolo, l'occasione per proseguire una personale riflessione sul tema dei rapporti tra giovani e adulti e sulle contraddizioni sociali del mondo contemporaneo. Stiamo tornando agli anni Cinquanta? Ogni tanto, per capire a che punto siamo arrivati, conviene spegnere le urla dai talk show e passare una sera a teatro. Mi incuriosiva per esempio capire perché Elio De Capitani, uno dei nostri migliori attori e registi di teatro, sempre così attento a raccontare il presente attraverso i classici, avesse deciso di riesumare il Miller di Morte di un commesso viaggiatore. Altra epoca, altra società, altri mestieri. Il commesso viaggiatore è stato il lavoro che per anni ha identificato l'avventura sociale del ceto medio e il sogno americano, poi divenuto universale. Il venditore itinerante che girava di città in città, portando il nuovo modello di vita consumista, il conquistatore, il seduttore, il messaggero «porta a porta» del verbo neocapitalista. Nell'era di Ebay e Amazon tutto questo suona polveroso. Ma bastano pochi minuti della versione di De Capitani per capire che in realtà oggi siamo tutti diventati commessi viaggiatori, qualunque mestiere facciamo, qualunque mezzo di trasporto usiamo, l'auto o l'aereo o internet o la televisione, siamo ruffianeschi e affabulanti venditori porta a porta di merci e in particolare di una: noi stessi. Gli etichettatoci delle nostre esistenze lo chiamano personal o self branding. (...) Abbiamo perduto certezze. Dignità. Ora che molti diritti sono messi in dubbio dalla crisi, ci rendiamo conto di quante lotte nel passato non si spieghino con le rivendicazioni economiche. Erano battaglie di dignità. (...) Willy Loman si fa prestare ogni mese i soldi da un amico non perché abbia bisogno di un salario, ma per fingere davanti alla propria famiglia di avere ancora una dignità di lavoratore, socialmente riconosciuta. Di essere ancora in corsa per diventare «il numero uno». Perché soltanto i primi contano. Morte di un commesso viaggiatore è stato scritto nel `49 e non è mai stato tanto attuale. Lo spettacolo di Elio De Capitani, che gira l'Italia, non è soltanto uno dei più belli della stagione, ma un'occasione unica per guardare nel cuore di tenebra della nostra società. Curzio Maltese, il Venerdì La regia di Elio De Capitani con passione e intelligenza ha costruito uno spettacolo importante in cui si mescolano armoniosamente il piano del presente a quello del passato, in un andare e venire fra realtà e sogno, che la scena espressionista di Carlo Sala divisa in diversi luoghi deputati, a volte compresenti, evidenzia per dare vita allo spazio della realtà e a quello del ricordo, dove si svolge questa saga di borghesi piccoli piccoli. Notevole la prova della numerosa compagnia, un atto di coraggio in questi tempi teatrali così difficili, con una recitazione sul filo di un vissuto tutto interiore. Elio De Capitani è un Willy Loman commovente, bravissimo nel tenere il suo personaggio su di una corda tesa molto profonda e umanissima, Cristina Crippa trasmette assonanze inaspettate alla sua Linda e non si lascia sfuggire il suo doloroso finale. Maria Grazia Gregori, l'Unità 3 - 22 novembre, sala Fassbinder SALOMÉ uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia di Oscar Wilde con Ferdinando Bruni, Enzo Curcurù, Mauro Bernardi luci di Nando Frigerio produzione Teatro dell'Elfo Ferdinando Bruni e Francesco Frongia riportano in scena la loro personale versione della Salomé di Oscar Wilde che intreccia al tessuto di questo atto unico, composto nel 1891 a Parigi, altri brani tratti dalle ultime opere dello scrittore (in particolare dalla Ballata del carcere di Reading e De Profundis) e tratti da testimonianze, interviste e dichiarazioni. Tra gioco e rito questa inquietante Salomé, interpretata unicamente da uomini, va in scena nel baraccone di un circo o di un luna park di periferia. Mavor Parker (personaggio di fantasia che richiama due amanti di Wilde che divennero suoi accusatori quando fu processato per sodomia) invita il pubblico a entrare “nel serraglio” dove potrà ammirare un prodigio: il Poeta, “il Gran Sacerdote della Corrente Estetica Moderna che raccolse tutti i sistemi in una sola frase, tutta la vita in un epigramma”. In uno spettacolo in cui le identità dei personaggi sono destinate a moltiplicarsi, Ferdinando Bruni si cala inizialmente nei panni dello scrittore, incatenato in carcere (dove fu effettivamente recluso dal 1895 al 1897), poi in quelli del profeta Iokanaan, anch’egli prigioniero, e infine dà corpo e voce a Erode, innamorato della giovane Salomé (che in questa ripresa viene interpretata da Mauro Bernardi). Enzo Curcurù è Mavor Parker, il Giovane siriano e Erodiade. Tutti personaggi che, tra gli eccessi di lustrini, paillettes e gioielli, ritrovano la loro dimensione tragica: uomini dallo sguardo di fanciulla, satrapi decadenti, vecchie vogliose, prigionieri da esibire senza pudore ma capaci di riaffermare la dignità di “un amore che può finalmente dire il suo nome”. E le parole di dolore che segnano le ultime opere dello scrittore si intrecciano con le loro battute per ricordarci che “ognuno uccide ciò che ama”. Al di là dell'opera di Strauss, è sicuramente Carmelo Bene ad aver fissato, con un film del 1972 che molti giudicano il migliore dei suoi, l'iconografia della danzatrice che ottiene su un vassoio la testa mozzata di Giovanni Battista. Non è meno visionario, anche se di tutt'altro genere e linguaggio, lo spettacolo della compagnia milanese. Il tutto, senza mai rinunciare alla drammaticità paradossale della situazione, ha un andamento ironico e divertente, che cita il teatro d'antico stile e le contraddizioni di una morale pubblica che continuamente si rovescia. La vicenda, e le parole di Wilde, ci sono tutte, insieme però all'amara consapevolezza che quelle contraddizioni e quelle iperboli allignano ancora volentieri nella nostra morale, doppia e tripla. Il tono D'Origlia-Palmi risulta comico, ma serve anche a rendere «accettabili» i paradossi di una storia d'amore letale. Mentre i tentativi da parte del monarca Erode di evitare la propria rovina politica, rifiutando di concedere alla regale escort ballerina quella testa del Battista, sono degni di un grande illusionista della politica di oggi, tra iperboli e bugie capaci di sfidare ogni tribunale, giudiziario o morale. Quell'estremismo grottesco ci consente di ridare dignità a quella famiglia sgangherata e di vedere, sotto i sette veli, il niente. Gianfranco Capitta, il manifesto Ferdinando Bruni è Wilde, il profeta Jokanaan e un pavido Erode, tutti e tre prigionieri: di un carcere il primo, della sua intransigenza il secondo e del desiderio per la figlia della moglie Erodiade il terzo. Il volitivo Enzo Curcurù è l'imbonitore Mavor, il siriano che sorveglia il prigioniero e una gelosa vacua Erodiade. Le identità si moltiplicano e si fondono e, tra proiezioni di foto erotiche, irruzioni pulsionali di corpi, intesi nella loro dimensione di significante fluttuante, Eros e Thanatos sembrano danzare insieme in un tempo senza tempo per irradiarsi nell'ambivalenza irriducibile di uno spazio metaforico. E si compie, in eterno, tra tragico e grottesco, il dramma dell'amore come ossessione e come unica grande libertà. Magda Poli, Corriere della Sera 3 - 8 novembre, sala Shakespeare DRAGPENNY OPERA liberamente ispirato a The Beggar's Opera di John Gay regia Sax Nicosia con Alessio Calciolari, Gianluca Di Lauro, Stefano Orlandi, Lorenzo Piccolo, Ulisse Romanò drammaturgia Lorenzo Piccolo costumi Gianluca Falaschi scene Nathalie Deana coreografie Alessio Calciolari musiche originali Diego Mingolla produzione Nina’s Drag Queens È l’alba. Nel cortile di un carcere, sotto il patibolo, si danno ritrovo alcune figure. Attendono l’esecuzione capitale del bandito Macheath. Sono le donne della sua vita. Saranno loro a raccontare questa storia: le nozze segrete di Macheath con Polly, figlia della regina dei mendicanti Peachum; i provvedimenti che questa ha preso e gli avvenimenti che ne sono seguiti; come il delinquente sia stato arrestato a causa del tradimento di Jenny, prostituta e sua vecchia amante; come sia stato liberato grazie a Lucy, altra amante... per giungere al momento dell'esecuzione, al giudizio finale, e forse, all'happy end. La composizione di questo spettacolo si ispira, nei temi e nella struttura, a The Beggar's Opera di John Gay. Scritta nel 1728, l'opera nasce come reazione parodistica a un certo teatro lirico dell'epoca: soggetti inverosimili, messe in scena pompose, spettacoli che rincorrono mode (soprattutto legate alle opere italiane). The Beggar's in origine era stata concepita per essere cantata a cappella, senza accompagnamento musicale, opera dichiaratamente e orgogliosamente povera. Povera di mezzi ma ricca di spirito, operetta satirica e pioniera, sferzante nella sua critica sociale. La volontà di rompere uno schema precostituito, lo sguardo graffiante sul mondo, la libertà di inventare e reinventare un linguaggio lavorando su temi musicali esistenti: tutti questi motivi ci hanno portato vicini a quest'opera. Il linguaggio teatrale delle Nina’s Drag Queens, infatti, è un pastiche di citazioni, affettuose parodie, brani cantati in playback. Procede per frammenti, accostamenti eccentrici, continui spiazzamenti. John Gay miscelava la musica colta e la canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più nera, e soprattutto adattava canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d'opera. Allo stesso modo, le Nina's Drag Queens attingono al repertorio della musica contemporanea, reinventando (grazie alle composizioni originali di Diego Mingolla) alcuni riferimenti dell'immaginario pop che ci circonda. E lo fanno con la stessa allegra ferocia messa in campo da Gay, sotto il segno di un umorismo amaro e politicamente scorretto. La scena ricorda un teatro abbandonato: un sipario senza più ragion d'essere, quinte sfondate, frammenti di specchi, praticabili sghembi. È un mondo che ha ormai perso il suo splendore. I costumi di Gianluca Falaschi e la scenografia di Nathalie Deana ne conservano solo poche tracce che covano, pronte ad esplodere in un lieto fine dichiaratamente falso e falsamente liberatorio, fra drappi fucsia e lamé. Un gioco teatrale che sia un’opera buffa e, insieme, un’opera seria. Un cabaret agrodolce, dai tratti mostruosi e scintillanti. La compagnia delle Nina’s Drag Queens è composta da attori e danzatori che hanno trovato nel personaggio Drag Queen la chiave espressiva per portare avanti la loro idea di teatro. Nasce nel 2007 a Milano, presso il Teatro Ringhiera da un’idea di Fabio Chiesa, sotto la direzione artistica di Francesco Micheli. Partendo dal genere della rivista e dell’happening performativo, le Nina’s Drag Queens sono approdate sempre più a uno specifico teatrale, spostando parte della loro ricerca sulla rivisitazione di grandi classici: il primo esperimento in questo senso è Il Giardino delle Ciliegie rilettura en travesti del capolavoro di Cechov. 3 - 8 novembre, sala Bausch ZOMBITUDINE testo, regia, interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano scene e costumi Alessandra Muschella ideazione e realizzazione luci Marco Fumarola e Daniele Passeri luci Omar Scala, Matteo Selis produzione Frosini/Timpano - amnesiA vivacE, Kataklisma coproduzione Teatro della Tosse, Fuori Luogo, Teatro dell'Orologio / Progetto Goldstein Accademia degli Artefatti col sostegno del Teatro di Roma nell'ambito del progetto “Perdutamente” Un uomo e una donna sono rifugiati in un teatro insieme al pubblico. In questo spazio di illusoria salvezza e resistenza attendono l’arrivo di qualcuno o qualcosa: la fine del mondo? Un nuovo inizio? la Rivoluzione? Forse arrivano gli zombi. Gli zombi siamo noi. La zombitudine è la nostra condizione quotidiana. Stretti tra l’emergenza di un evento imminente e devastante e una quotidianità claustrofobica si fa fatica a riconoscere il pericolo o la salvezza: la vita da assediati è divenuta normalità. Quella dello zombi allora è l’immagine della nostra fine, ma è anche un’immagine di speranza, l’unica prospettiva di rinascita, l’unica forma di vita alternativa al dominio di banche, finanza e multinazionali. L’unico Risorgimento possibile per noi e il nostro paese è un Risorgimento zombi. zombi di tutto il mondo uniamoci! La coppia Timpano/Frosini - grandi irregolari del teatro, irridenti, graffianti, volutamente irritanti e politicamente scorretti - confeziona un testo che dovrebbe sembrare un non testo, aleatorio, magmatico, apparentemente improvvisato, ma che invece è un testo vero, di stralunata qualità poetica. Il loro nuovo spettacolo si intitola non a caso Zombitudine, e vuole assumere sarcasticamente la condizione dei morti-viventi come emblema dell’Italia di oggi, metafora di una fine collettiva, ma anche di una paradossale speranza di rinascita. Renato Palazzi, Il Sole 24Ore Un uomo e una donna, le fedi al dito, sono “rifugiati teatrali” insieme al pubblico. Vestiti con abiti color pastello, hanno con sé solo una valigia e camminano in lungo e in largo, cercando di (far) prendere una posizione sulla conquista della nostra Penisola da parte degli Zombi. I due, però, sono co-stretti in proscenio: il grande sipario acceso di un rosa caramelle, un po’ melodramma zuccheroso un po’ circo decaduto, rimane chiuso. Lì dentro cova l’epicentro di ciò che non credono possibile, ma per ora la minaccia grava soltanto sulla libertà di movimento, schiaccia le gambe, non lo spirito. Ci si può quindi battibeccare sulla Loro invasione dell’Italia come se si trattasse di scegliere il colore della carta da parati per il soggiorno. Questa atmosfera da apocalisse sospesa ammantata di tocchi anni ’50 (le scene e i costumi sono di Alessandra Muschella) fa di Zombitudine un Vacanze Romane stravolto da Tim Burton. Matteo Brighenti, Doppiozero Davanti ad un sipario chiuso, la coppia Frosini/Timpano, bagnata da luci rossastre, parla direttamente agli spettatori, comunica di aver scelto di rifugiarsi in teatro per scampare all’ecatombe, luogo sicuro “essendo vuoto e pieno di morti”, come recita la regola n.13 del prontuario distribuito agli spettatori all’ingresso. Difendendosi in un luogo della cultura, i due attori, tra monologhi e dialoghi serrati che rasentano l’elenco, attendono l’arrivo di qualcosa o qualcuno che potrebbe smuovere gli equilibri del rifugio. Perché di nuovi equilibri ha bisogno il teatro, sembrano denunciare, che anziché vivere riesce solo a non morire. Dalila D'Amico, Alfabeta2 13 - 22 novembre, Sala Bausch SHAKESPEARE A MERENDA scritto diretto e interpretato da Elena Russo Arman suono di Giuseppe Marzoli luci di Nando Frigerio voce registrata Francesco Gagliardi produzione Teatro dell'Elfo Shakespeare a merenda è lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Elena Russo Arman, andato in scena nel 2014 e definito da stampa e pubblico “un vero piacere per bambini e adulti”. Il testo è ambientato alla corte di Elisabetta I d’Inghilterra dove c’è grande attesa per il nuovo spettacolo di Sir William Shakespeare in scena al Globe, il famoso teatro di Londra, davanti ad un pubblico variopinto ed entusiasta. Il più grande interprete del teatro elisabettiano, Mr Goodwin, è appena entrato in scena tra le grida e le ovazioni del suo pubblico adorante. Dietro le quinte c'è la sua piccola sarta tuttofare, Mary, che ha seguito ogni prova, cucito ogni abito, pettinato, truccato e sistemato il grande attore affinché egli possa interpretare magistralmente il ruolo di Giulietta. Questo fa Mary prima di ogni spettacolo e anche se il suo sogno è interpretare la parte di Giulietta, che ormai conosce a memoria; pur sapendo che non lo potrà mai fare perché è una donna, e le donne non possono recitare. Ma Mary ha un segreto: quando si ritrova sola, in camerino, lontana da occhi indiscreti, indossa un costume e si diverte a dar sfogo alla sua passione. Ben presto il suo gioco è destinato a interrompersi, Mary deve tornare al lavoro ma continuerà a sognare di poter recitare, e chissà che un giorno non troppo lontano questo sogno potrà avverarsi... Attraverso lo sguardo ironico e scanzonato di Mary, Elena Russo Arman offre agli spettatori grandi e piccoli un modo diverso di scoprire il gioco teatrale, i mestieri di chi sta "dietro le quinte", la magia del palcoscenico. È un testimone privilegiato che, da un punto di osservazione particolare - un camerino ingombro di costumi, parrucche, manichini, teschi, spade, pugnali e oggetti di ogni tipo - rievoca i più celebri successi del Bardo, le scene più commoventi e quelle più divertenti e "spettegola" sui protagonisti della compagnia del Lord Ciambellano, con cui lavora ogni giorno. Così ripercorre le storie affascinanti ed eterne raccontate da Shakespeare, storie “da grandi”, che da secoli fanno sognare spettatori di tutto il mondo e di tutte le età. Shakespeare a misura di bambino. Ma raccontato con tale grazia, arguzia e passione teatrale da essere vivamente consigliato a tutti. È Shakespeare a merenda spettacolo scritto, diretto e interpretato da Elena Russo Arman, qui nei panni della giovane Mary, sarta tuttofare nel dietro le quinte del celeberrimo Globe Theatre, dove assiste Mr Goodwin, star del teatro elisabettiano impegnato nel ruolo di Giulietta. Ne viene fuori un affresco avvincente e ammaliante che attraverso Shakespeare racconta la magia del teatro, il suo mistero, il suo artigianato amorevole e senza tempo. Uno spettacolo per bambini ma non da bambini. Loro se ne vanno felici, portandosi via anche la locandina che sul retro si trasforma in una deliziosa tavola disegnata con i personaggi, i costumi e alcuni cenni storici, mentre gli adulti, oltre a divertirsi, si fanno anche un bel ripasso shakespeariano. Sara Chiappori, TuttoMilano 23 - 29 novembre, sala Fassbinder GORLA FERMATA GORLA di Renato Sarti con Giulia Lazzarini, Federica Fabiani, Matthieu Pastore regia Renato Sarti scene e costumi Carlo Sala musiche Carlo Boccadoro produzione Teatro della Cooperativa Dopo il successo personale a Cannes per la sua interpretazione della Madre nel film di Nanni Moretti, che commosso il mondo, la grande attrice, maestra e amica Giulia Lazzarini torna all’Elfo con un piccolo spettacolo dalla grande anima. Il mattino del 20 ottobre del 1944, alcuni aerei della Air Force, dopo aver bombardato l’area nord di Milano, scaricarono le bombe residue sulla città. Una di queste, per una tragica combinazione, sfondò il tetto della Scuola Francesco Crispi di Gorla, si infilò nella tromba delle scale ed esplose nella cantina dove si erano rifugiati gli alunni, uccidendone 184. Fu uno degli episodi piu terribili di tutta la Seconda Guerra Mondiale, ma rischia di svanire dalla memoria della città: oggi, per i più, Gorla è solo una fermata della metropoilitana. Il drammaturgo e regista Renato Sarti ha rievocato, con linguaggio teatrale, quel tragico evento, basando il suo lavoro sulle pubblicazioni, i documenti militari, i libri, gli articoli e, soprattutto, sulle testimonianze. Due giovani attori, Federica Fabiani e Matthieu Pastore, danno voce ai bambini che quel giorno persero la vita, mentre a Giulia Lazzarini, attrice di grande sensibilità, che al tempo viveva proprio vicino al quartiere di Gorla e ricorda perfettamente quei momenti drammatici, è affidata la testimonianza dei sopravvissuti. «Credo nel valore della memoria», afferma l'attrice. «Ricordare quella strage, simile a tante altre all'ordine del giorno anche oggi in molti posti del mondo, è importante. Mi piace lavorare con Renato Sarti perché ha un'idea molto precisa della necessità civile del teatro. Per questo spettacolo ha scovato come un cane da tartufi testimonianze, documenti, memorie dei sopravvissuti e le ha cucite con un gran lavoro di pazienza, pietà e amore». Gorla fermata Gorla è stato presentato per una sola replica nella scorsa stagione - a settant'anni da quel tragico giorno - e merita di essere riproposto e condiviso con quanti più spettatori possibile. 24 - 29 novembre, sala Bausch ADULTO ispirato dai testi finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Dario Bellezza uno spettacolo di Giuseppe Isgrò con Dario Muratore voci Ferdinando Bruni, Ida Marinelli dramaturg Francesca Marianna Consonni suono Giovanni Isgro Phoebe Zeitgeist in collaborazione con Voci Erranti, Racconigi e TMO Teatro Mediterraneo Occupato, Palermo Adulto è una ricerca sulla parte maledetta della crescita, quella che non matura, che non si dichiara, che non si esprime e che non si arresta: un'energia sotterranea e magmatica, devastante quanto generatrice. Lo sguardo del pubblico è affacciato alla scena come alla rete da cantiere di uno scavo. Qui sono insabbiati gli oggetti ludici, erotici, i feticci e i travestimenti di un individuo abnorme e delicatissimo, che produce i suoi riti scabrosi in questo che sembra un luogo periferico, sospeso, tutto autogenerato, autonomo rispetto al resto del mondo. Linee di led e radio analogiche sono i confini visivi e sonori della scena, un luogo della mente che restituisce suoni, bagliori, presenze. Questa non è la storia dell'ostilità alla vita o di un arroccamento, ma quella al contrario di una totale resa, di una spesa oscena di sé, di un'estasi fatale, unita carnalmente al fallimento. Invece di crescere e divenire solido, l'io si disperde, si sparge, decresce, torna all'origine, fino all'utero materno. Le trasformazioni a cui è sottoposto il personaggio trascendono il genere sessuale, la morale, il ruolo sociale, la direzione ordinaria della vita. Tutto il processo è però attraversato da desiderio, amore, bisogno estremo e abominevole di tenerezza. Le parole che compongono questa contro oratoria sono tratte dalle opere finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante e Dario Bellezza, accomunate dall'essere liriche filosofiche, opere pericolose e azzardate, crolli monumentali che prefigurano la morte e sono assieme capaci di un pensiero visionario e rigenerativo sul divenire. Da questi testi controversi emerge la possibilità di un procedere diverso, interno alla vita, contrario all'essere unitari, finiti, coerenti, pienamente adulti. Adulto è infatti una dedica allo spirito che è capace di osare strumenti di conoscenza impervi e non convenienti, quali il regresso, il percorso a ritroso, l'involuzione, il ricorso all'infanzia, uscire dal genere e degenerare. Rimane una omogeneità d'intenti che piace. In un lavoro che gioca sapientemente fra il livello realistico delle descrizioni e le ramificazioni filosofico-immaginifiche. Ottimo Dario Muratore, la cui formazione performativa qui si sposa con la precisione interpretativa di un testo difficilissimo, che rimane soprattutto di parola. L'oggettistica retrò-infantile accentua il gusto e permette un continuo essere dentro e fuori i personaggi, le situazioni, il teatro. Sempre più tangibili le potenzialità della giovane compagnia milanese. Nuovi orizzonti. Diego Vincenti, Hystrio La chiave di lettura dell'attenta e appassionata regia è quella di focalizzarsi sul percorso a ritroso dei personaggi che trascendono il genere, la morale e il ruolo sociale... Tocca all'ottimo Dario Muratore veicolare queste difficili istanze. La sua è un'interpretazione che privilegia la componente corporea di cui dimostra grande padronanza, senza però penalizzare l'aspetto vocale, variando toni e registro a seconda dei passaggi affrontati. Mario Cervio Gualersi, Pride La prova di Muratore, giocata sui registri più del grottesco che del tragico, crea cortocircuiti tra linguaggio e potere, parole e corpo. Carponi o eretto, con una gestualità icastica mai troppo esibita, Muratore interpreta un ibrido mezzo animale e mezzo essere umano, bimbo e adulto. Senza trucco né trucchi, anche lo spettatore vive sfascio e deformazione, integrità e tensione verso l’armonia. Vincenzo Sardelli, Krapp's Last Post 30 novembre - 31 dicembre, sala Shakespeare MR PUNTILA E IL SUO SERVO MATTI di Bertolt Brecht regia e scene di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia con Ferdinando Bruni, Luciano Scarpa, Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Elena Russo Arman, Luca Toracca, Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo De Mojana, Francesca Turrini, Francesco Baldi, Carolina Cametti musiche arrangiate ed eseguite dal vivo da Matteo de Mojana costumi Gianluca Falaschi luci di Nando Frigerio suono di Giuseppe Marzoli produzione Teatro dell'Elfo prima nazionale Puntila e il suo servo Matti segna il primo incontro del Teatro dell'Elfo con Brecht, dopo che Bruni e De Capitani in tandem avevano diretto nel 2009 L'anima buona di Sezuan con Mariangela Melato per Teatro Stabile di Genova. Considerata una delle migliori commedie di Brecht, scritta nel 1940 a guerra da poco iniziata, mette in scena una "variante" del dottor Jeckyll e Mister Hyde. Il ricco possidente Puntila è un personaggio a due volti, come lo è Shen Te, la protagonista nell'Anima buona, testo di poco precedente: da sobrio è un tiranno che vessa i suoi dipendenti, sfrutta i suoi operai e vuol dare in moglie la figlia Eva a un diplomatico inetto e a caccia di dote, mentre, quando è ubriaco diventa amico di tutti e vuol far sposare Eva al suo autista Matti, che tratta su un piano di parità. Sfortunatamente le sbronze passano sempre. Un’allegoria del capitalismo e dei suoi sorrisi da caimano dove Karl Marx incontra suo fratello Groucho. E il messaggio di Brecht suggerisce che solo un’autentica eguaglianza, piuttosto che uno slancio filantropico individuale, può davvero colmare il divario fra ricchezza e povertà. Al tagliente Matti il compito di smontare le false promesse e la falsa bontà del suo padrone, in un rapporto che a tratti richiama nobili precedenti, che vanno da Don Chisciotte/Sancho Panza a Don Giovanni/Leporello, e a tratti rimanda alle dinamiche fra il comico e la spalla delle comiche finali. Brecht aveva definito questo suo testo una "commedia popolare" e questo vuole essere lo spettacolo di Bruni e Frongia, comico, popolare, oltre che molto musicale, grazie agli interventi live di Matteo de Mojana e a un'affiatata compagnia di dodici attori di diverse generazioni, impegnata anche in interventi canori. A guidarli Ferdinando Bruni nel ruolo schizofrenico di Puntila, affiancato dal servo Matti di Luciano Scarpa che torna tra le file dell'Elfo dove aveva interpretato Orazio nell'Amleto, Elicone nel Caligola, il giovane Eugenio nella Bottega del caffé. Completano il cast Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Elena Russo Arman e Luca Toracca, insieme agli "elfi d'adozione" Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo de Mojana, Carolina Cametti e ai nuovi scritturati Francesca Turrini e Francesco Baldi. 1 - 6 dicembre, sala Fassbinder PER UNA STELLA progetto di Marta Galli, Anna Maini e Roberto Rampi di Anna Maini regia Stefano De Luca con Tommaso Banfi e Marta Comerio adattamento drammaturgico Stefano De Luca consulenza musicale Marco Mojana consulenza storica Marco Cimmino scene e costumi Linda Riccardi produzione ArteVOX Teatro in collaborazione con LupusAgnus con il patrocinio di Museo Storico del Trentino e Museo Centrale del Risorgimento di Roma Drammaturgia originale ispirata ad una storia vera, Per una stella racconta l'incrocio di due destini sullo sfondo della Grande Guerra: quello di Rosa Anna, figlia del kaiserjäger austriaco Franz, e quello del soldato italiano Pietro, che combatte la stessa guerra di Franz, ma sul fronte opposto. Tra migliaia di spari, è un colpo solo, una sola stella, a unire misteriosamente le loro vite. Uno spettacolo che racconta la guerra e s'interroga sui suoi significati attraverso gli occhi di una bambina che, come noi, non sa nulla di essa; è grazie a lei, che scopriamo velo dopo velo, quello che la Guerra fa alle madri, ai figli e ai soldati. Uno spettacolo che vive la guerra con lo spirito critico di un giovane uomo che insegue con impeto la pace, ne indaga le strade ma che, messo di fronte alla necessità, alla fine, spara. Il tema delle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra, in un momento come quello che stiamo vivendo segnato dalla crisi economica internazionale, è di centrale importanza. Proprio i morsi delle manovre economiche imposte dalla Comunità Europea vanno giorno dopo giorno indebolendo le motivazioni del progetto politico di unione continentale, che trovava e trova le sue ragioni più profonde in quell'esigenza di assicurare la pace internazionale che affiorò con tanta forza al termine del secondo conflitto mondiale. Oltre sessant'anni di convivenza fra i popoli europei senza conflitti (eccezion fatta per il caso della ex-Jugoslavia) sembrano aver portato a dimenticare soprattutto tra le nuove generazioni, che non hanno vissuto in prima persona quegli eventi catastrofici, il portato tragico di ideologie che insanguinarono con due guerre mondiali l'Europa. È l'attualità di tale memoria sul piano politico su cui si deve far conto per giustificare la commemorazione del centenario. In ogni caso, la Grande Guerra non può ritenersi consegnata definitivamente al passato perché le scosse di tale sisma continuano a propagarsi nel nostro presente. Ciò che questo progetto teatrale e culturale di “costruzione della memoria” si propone di fare è di ricordare e di tutelare le vestigia di un conflitto in cui moltissimi uomini hanno perso la vita. La memoria di un evento che ha segnato la storia nazionale più di qualsiasi altro. Ed è proprio attraverso la meta-esperienza del teatro che si vuole raccontare, in occasione dell'anniversario del grande conflitto mondiale, una storia che parte da fatti realmente accaduti e che, nello stesso tempo, tocca temi universali che la rendono attuale e condivisibile. Il progetto RADICI NEL PASSATO E SGUARDO NEL FUTURO Lo spettacolo teatrale Per una stella è collegato allo sviluppo di un progetto più ampio, finanziato da Regione Lombardia attraverso il bando per la valorizzazione della memoria della Grande Guerra (D.d.s. 8 ottobre 2014, n. 9226). 8 - 13 dicembre, sala Fassbinder WONDER WOMAN donne, denaro e super poteri di e con Antonella Questa, Giuliana Musso, Marta Cuscunà produzione La Corte Ospitale Superman era un giornalista, Batman un miliardario. Le super eroine non sono mai riuscite a fare carriera. Partendo dall'inchiesta di Silvia Sacchi e Luisa Pronzato, tre attrici esplorano il tema dell'indipendenza economica femminile con le armi del teatro d'indagine e dell'ironia. "Il miglior rimedio per valorizzare le qualità delle donne è creare un personaggio femminile con tutta la forza di Superman e in più il fascino della donna brava e bella”. Così scriveva William Moulton Marston, ideatore di Wonder Woman, la prima eroina femminile dei comics. Eppure, anche se sei forte come Superman, essere femmina comporta degli svantaggi: mentre si trovano notizie sulla professione e lo status sociale dei super eroi maschi, della carriera delle loro colleghe donne sappiamo poco o nulla. Forse, pur essendo dotate di abilità sovrumane, nemmeno alle nostre sorelle bioniche è concesso di rompere il soffitto di cristallo che le allontana dall'autonomia economica e da una reale parità con gli uomini nel mondo del lavoro. E poi l’amore... Superman ha una dolcissima fidanzata. Batman è un vero playboy, forse è bisessuale. Wonder Woman rinunciò ai suoi superpoteri per stare vicino al suo innamorato che però venne ucciso nell’episodio successivo. Le super donne in generale sono un po’ sfortunate in amore. Forse anche per questo il grido di battaglia di Wonder Woman potrebbe essere commovente come una preghiera: «Being a cute superhero AND a woman is exhausting!». Wonder Woman è una drammaturgia originale, solo a tratti fumettistica, che indaga un mondo fatto di stereotipi di genere, spreco di talenti, crisi della coppia, diritti mancati; ma anche popolato da donne e uomini che, pur non avendo poteri sovrumani, affrontano la quotidianità dell'amore, del lavoro, della famiglia con voglia di cambiamento. Da questa suggestione e dal dato, oramai risaputo, che l'occupazione femminile è un potente fattore di crescita dell'economia, nasce un reading in cui i dati statistici si intrecciano ai racconti biografici e la realtà è raccontata con l'arma a doppio taglio della satira. Un divertente esercizio teatrale per dare spazio a legittimi interrogativi sullo stato dell’indipendenza economica delle donne e segnalare una soluzione alla generale stagnazione economica italiana: l'economia in rosa, womenomics! Attrice e autrice teatrale, Giuliana Musso è nata a Vicenza nel 1970. Vive a Udine ed è mamma di una bambina. Dal 2001 intraprende un percorso di scrittura per il teatro fondato sull’indagine e la raccolta di testimonianze. I suoi spettacoli tutt’ora in repertorio sono: Nati in casa, monologo sulla nascita (2001); Sexmachine, sulla sessualità commerciale (2005); Tanti saluti, sul fine vita (2008), La fabbrica dei Preti, sui seminari pre-conciliari (2012). Attrice di lunga esperienza, Antonella Questa vive e lavora tra l’Italia e la Francia. In tv è stata tra i protagonisti della Fattoria dei Comici di Serena Dandini; traduce e promuove per l'Italia testi di drammaturgia contemporanea francese. Nel 2005 ha fondato la Compagnia LaQ-Prod, con la quale produce spettacoli di impegno civile: Dora Pronobis; Stasera ovulo (Premio Calandra 2009 Miglior spettacolo e Migliore interprete); Vecchia sarai tu! (Premio Museo Cervi 2012 e Premi Calandra 2012 Migliore Spettacolo, Migliore Attrice e Migliore Regia). Nata a Monfalcone, città operaia, Marta Cuscunà studia a Prima del Teatro: Scuola Europea per l’Arte dell’Attore. Diretta da Joan Baixas lavora con la compagnia Teatro de la Claca di Barcellona. Nel 2009 vince il Premio Scenario Ustica con È bello vivere liberi!, progetto di teatro civile per un'attrice, 5 burattini e un pupazzo. Nel 2012 vince la menzione d'onore come attrice emergente al Premio Eleonora Duse e nel 2013 il premio Last Seen come miglior spettacolo dell'anno con La semplicità ingannata, satira per attrice e pupazze sul lusso d'esser donne. 10 - 20 dicembre, sala Bausch AMORE E ANARCHIA di Luigi Dadina e Laura Gambi regia Luigi Dadina con Luigi Dadina e Michela Marangoni scene e luci Pietro Fenati e Elvira Mascanzoni suoni Alessandro Renda consulenza e ricerca storica Massimo Ortalli Archivio storico della FAI e Cristina Valenti Università di Bologna produzione Ravenna Teatro a partire da Amore e anarchia di Claudia Bassi Angelini Luigi Dadina racconta una storia a Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani in una trattoria di Ravenna. La storia è affascinante, densa, avventurosa, antica. «Dovresti farne uno spettacolo». «L’ho già fatto…» Eccolo qua. Maria Luisa Minguzzi e Francesco Pezzi: nati entrambi nel centro storico di Ravenna, lui il 30 agosto del 1849, lei nella notte del 21 giugno del 1852. Da quasi cent'anni abitano, non visti, nella scuola di S. Bartolo, vicino a Ravenna. Nella loro infanzia e adolescenza la città, ma l'Italia intera, è attraversata da sconvolgimenti politici e umani: le imprese garibaldine, l'ideale repubblicano, la caduta del governo dei papi, l'unità d'Italia, l'internazionalismo anarchico e socialista sono solo alcuni degli elementi che segnano la crescita dei due ravennati. Luisa è sarta «silenziosa, attenta, bravissima, con tutti quelli spilli tenuti fra le labbra e via via tolti per segnare i difetti, per stringere, per attillare, pronta a ubbedire, o meglio a rispettare il proprio lavoro di artigiana ineccepibile», così la immagina Gianna Manzini nel romanzo dedicato al padre anarchico. Francesco è intelligente, sguardo mite con una luce di collera, di modi gentili e di briosa vivacità; conseguito il diploma di ragioniere viene assunto alla Cassa di Risparmio di Ravenna. Giovanissimi si incontrano, si innamorano e si infiammano per l'idea dell'anarchia, che guiderà le scelte e i pensieri di tutta la loro vita. Tra militanza, fughe, confino e carcere, sono la coppia che accoglie gli amici anarchici nelle case sempre aperte di Firenze, Lugano, Napoli, Buenos Aires, Londra. Primi fra tutti Andrea Costa, Anna Kuliscioff ed Enrico Malatesta, che fu anche il terzo nella loro relazione per qualche anno. Moriranno a Firenze, lei nel 1911, cieca e piegata nella salute dopo il confino a Orbetello, lui suicida nel 1917, in un boschetto alle Cascine. In un biglietto scrive il disgusto «fino alla nausea di questo impasto di fango che si chiama mondo e della vigliaccheria degli uomini che lo subiscono». La limpida anarchica e l’infaticabile organizzatore sono ancora assieme oggi, sempre, giorno dopo giorno, continuano a vivere nella scuola di San Bartolo (dove lo spettacolo ha debuttato nell'ottobre 2014). Il mondo è filtrato dalle voci dei bambini che la mattina occupano i banchi e i corridoi. Ogni notte sono soli, e continuano a ripercorrere le vicende di allora e quelle di oggi, in un dialogo mai interrotto in vita, ma ancora ardente, ancora in cerca di risposte. Continuano a parlare, a discutere, del sindacato dei panettieri di Buenos Aires e delle pagine arringanti de El Obrero Panadero, delle tetillas de monja, di libero amore, di libertà, di giustizia, del sacrificio per l’ideale, delle paludi dell’Orbetello, a decifrare i discorsi dei bambini, i suoni del paese e della strada, che da cent’anni accompagnano le loro giornate. Luigi Dadina e Laura Gambi Stanno in equilibrio, con destrezza, tra l'ineludibile qui e ora della (rap)presentazione e la condizione, propriamente surreale, nella quale ciò di cui resta traccia nella memoria non si sa se sia o meno un prodotto dell'immaginazione. Non si pensi a fumosi concettualismi: Amore e anarchia è uno spettacolo di robusto teatro d'attore con un impianto tradizionalmente testocentrico e un copione costruito su basi storiche ben documentate. Dal punto di vista recitativo, Dadina aggiunge alla consueta rocciosità inedite sfumature di fragile morbidezza, mentre Marangoni dà prova di maturità dopo un decennio di apprendistato alla bottega artigiana delle Albe: un lento e prezioso allenamento alla sottrazione. Michele Pascarella, Hystrio 15 - 20 dicembre, sala Fassbinder MAGDA E LO SPAVENTO di Massimo Sgorbani dalla trilogia "Innamorate dello spavento" regia di Renzo Martinelli con Milutin Dapcevic e Federica Fracassi dramaturg Francesca Garolla suono dal vivo Fabio Cinicola - luci Mattia De Pace Produzione Teatro i Teatro i ha presentato Magda e lo spavento, ultima tappa del progetto Innamorate dello spavento, nell'autunno 2014. Nella stagione 2015/16 lo spettacolo arriva sul palcoscenico della sala Fassbinder per incontrare anche il pubblico dell'Elfo Puccini. Il dialogo della morte, il dialogo dell’incubo. Il dialogo delle fiabe da raccontare ai bambini per farli stare buoni. Il dialogo impossibile eppure reale tra la infanticida e il genocida. Un dialogo pieno di comparse, da Biancaneve ai sette nani, passando per Topolino, con Walt Disney che sorride sornione alla finestra del bunker. Magda e lo spavento: in effetti c’è da aver paura, pensando alla storia, la Storia con la esse maiuscola. Si ride, si scherza, si flirta amabilmente con l’uomo nero e, per farlo, bisogna avere il sangue freddo di Magda Goebbles, essere capaci di far amabilmente morire sei piccoli cuccioli d’uomo, il freddo del cianuro e il bacio della buona notte. A conclusione della trilogia ecco arrivare l’innominabile, l’osceno, Heil Hitler! Magda e lo spavento è l’unico dei tre testi a vedere in scena proprio Mein Führer, orribile, eppure bellissimo agli occhi idealizzanti delle sue seguaci, forte, eppure debolissimo, l’uomo di razza dalle origini incerte. Innamorate dello spavento è un progetto di Teatro i in cui l’autore Massimo Sgorbani cattura le voci di alcune donne legate al Führer che precipitano inarrestabili verso la fine del Reich. Tra il 29 aprile e il 1° maggio del 1945, nel bunker sotterraneo del Palazzo della Cancelleria di Berlino, alcuni dei principali rappresentanti del partito nazionalsocialista si suicidano. Poche ore prima Hitler sposa Eva Braun. Poche ore dopo Hitler e signora si uccidono con le fiale testate sul pastore tedesco del Führer, Blondi, il primo a morire. Poche ore dopo Magda Goebbels somministra le fiale ai sei figli addormentati. Ancora poche ore, e anche Magda e il marito si avvelenano con le stesse fiale. Innamorate dello spavento si compone di tre testi distinti che Teatro i sta affrontando con la regia di Renzo Martinelli e l’interpretazione di Federica Fracassi. Il primo, Blondi, è stato prodotto dal Piccolo Teatro di Milano nella stagione 2012 2013 ed è stato ripreso sul medesimo palco nel maggio 2014. La seconda parte, Eva (1912-1945), uno spettacolo in site specific le cui tappe hanno portato a molteplici versioni dello realizzate ad hoc per i luoghi ospitanti, dà voce all’omonima protagonista, Eva Braun che, precipitando ignara verso il suicidio, intreccia la sua storia con quella di Rossella O’Hara, protagonista di Via col Vento, il suo film preferito. Infine, la terza parte, che vede in scena Magda Goebbels e lo stesso Führer, ha debuttato nell’autunno 2014. Tutta la trilogia è stata presentata all’interno del programma radiofonico Teatri in diretta / Radio3 di Laura Palmieri e Antonio Audino e in occasione del Festival delle Colline Torinesi 2014. I testi della trilogia sono editi dalla casa editrice Titivillus. 26 dicembre – 17 gennaio, sala Bausch IL BAMBINO SOTTOVUOTO di Christine Nöstlinger traduzione di Clara Beccagli Calamai adattamento di Cristina Crippa regia Elio De Capitani con Cristina Crippa disegno del fondale di Ferdinando Bruni luci Rocco Colaianna copyright Verlag für kindertheater, Adriano Salani Editore nella collana Gl'Istrici produzione Teatro dell’Elfo Torna in scena Cristina Crippa con la riduzione teatrale del famoso romanzo per ragazzi Il bambino sottovuoto, che ha saputo già coinvolgere spettatori grandi e piccini. Un pubblico trasversale e di ogni età come quello che segue da sempre Christine Nöstlinger, tra le più note autrici di letteratura per l'infanzia (vincitrice del prestigioso Premio Internazionale Hans C. Andersen). Una scrittrice austriaca scanzonata e surreale che ama scardinare luoghi comuni e aspettative con l’ironia graffiante di una bambina “cattiva”, ma anche con intensa partecipazione e solidarietà. Romanzo dal titolo curioso, è una favola surreale e ipermoderna. Narra la storia di Marius, un bambino sintetico e liofilizzato che una potente ed efficiente multinazionale produce per soddisfare le richieste di una clientela di genitori/acquirenti esigenti e frettolosi, con poco tempo da perdere per la procreazione, l’accudimento e l’educazione dei figli. Marius è un personaggio che appartiene alla specie dei Pinocchi, dei replicanti, degli esseri magici e diversi, e, perché no, dei bambini mai adulti come Peter Pan. Anche se dopo qualche pagina, quando si comincia a stare al gioco, non si ha nessun problema a considerarlo un bambino normalissimo. Coprotagonista del racconto è la signora Betta Bartolotti. La signora B.B. non è troppo giovane, né troppo vecchia, è disordinatissima, un po’ anarchica e, sfiorata un tempo dal desiderio di maternità, ormai non ci pensava più. Un bel mattino per un errore del sistema viene consegnato un bambino, programmato, istruito e condizionato ad essere fin esageratamente perfetto, educato, ubbidiente e studioso. Comincia così, tra questo essere insolito e questa improbabile mamma, un rapporto di grande amore, simpatia ed affetto che sconvolge totalmente la vita della nostra B.B.. Cristina Crippa, profondamente emozionata e divertita dalla lettura de Il bambino sottovuoto, lo ha trasformato in un monologo teatrale dove la vicenda è narrata dal punto di vista del suo personaggio preferito, la signora B.B.. Uno spettacolo per grandi e piccoli che diverte, fa riflettere e racconta un mondo surreale, eppure non dissimile dalla realtà quotidiana. Una realtà fatta di approssimazione, di superficialità e di fretta, dove è preferibile essere quello che gli altri vorrebbero piuttosto che quello che si è realmente. Emergono così i sentimenti veri e i valori – quelli che forse oggi rischiano di perdersi – come il senso della famiglia, l’amicizia e la correttezza: indispensabili per vincere anche i piu temibili “scagnozzi” della multinazionale che vuole riprendersi il proprio “prodotto”, quando si accorge di averlo inviato al destinatario sbagliato. Diretta da Elio De Capitani, una coloratissima Cristina Crippa – che non smentisce le sue doti sceniche ne l’affetto del suo calorosissimo pubblico – che vale la pena di non perdere, in uno spettacolo decisamente intelligente e dal sapore contemporaneo. Persinsala.it 7 - 10 gennaio, sala Shakespeare IL NOSTRO ENZO RICORDANDO JANNACCI con Moni Ovadia e Alessandro Nidi al pianoforte Promomusic «Come si fa a cadere nel pessimismo quando c’è la musica?», diceva Enzo Jannacci cantautore, cabarettista e attore ma anche cardiochirurgo, tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del Dopoguerra. Fin dagli anni ‘50, ha lavorato insieme agli amici Dario Fo e Giorgio Gaber, passando dalla canzone dialettale al rock al jazz, fornendo l’ispirazione anche a personaggi come Renato Pozzetto, Diego Abatantuono, Massimo Boldi. Tra i suoi brani più noti: Vengo anch’io. No tu no, El portava i scarp del tennis, Ho visto un re, Quelli che. La vita l’è bela... Alcune di queste canzoni, diventate oramai dei classici, sono reinterpretate da Moni Ovadia artista versatile e curioso sperimentatore – che le propone in un’inedita veste. Lo spettacolo ha debuttato al Festival Astiteatro il 2 luglio 2014, in una versione con la musica dal vivo eseguita dalla Filarmonica Toscanini. Nella ripresa della stagione 2015/16 le musiche sono eseguite dal vivo da Alessandro Nisi. Questo l’articolo scritto da Moni Ovadia per la Stampa in occasione della morte di Enzo Jannacci nell’aprile 2013: Il bardo dei poveri cristi Il grande, grandissimo Enzo Jannacci ci ha lasciati. Oggi noi milanesi siamo diventati orfani e insieme a noi l'Italia intera ha perso uno dei suoi figli più autentici. È stato in assoluto, a mio parere, il più originale poeta della canzone che abbiamo avuto il privilegio di ascoltare e insieme un artista della scena e del cinema inarrivabile nel suo essere stralunato e surreale. Il suo talento di musicista si esprimeva al meglio nel jazz come nel rock, ma la fonte più intima della sua prodigiosa ispirazione era l'humus poetico-culturale delle periferie urbane e specificamente quelle della sua Milano. La "capitale morale", quando Jannacci fece la sua comparsa sulle scene della canzone e del cabaret, era una metropoli industriale in pieno e impetuoso sviluppo, dava lavoro, chiamava gli immigrati dalle periferie meridionali orientali ed isolane dello Stivale. Ma la stessa orgogliosa città, albergava nei suoi interstizi e nei suoi sottofondi, la povera gente, i disperati, i fuori di testa, gli esclusi, i sognatori senza voce, i terroni, gli abbandonati dall'amore e dalla vita, le puttane navi scuola da strada e da cinema. Di tutti questi poveri cristi, lui è stato il cantore assoluto. Jannacci ne ha colto, incarnato e raccontato la storia, le emozioni, i sentimenti e la vita vera. Di quel popolo ha interpretato la malinconica, maleducata e balorda grazia, ha rivelato che la poesia dei luoghi, fiorisce nei gesti impropri e sgangherati degli ultimi fra gli ultimi, nella loro grandiosa lingua gaglioffa e sfacciata. Enzo non era nato povero cristo, aveva fatto ottimi studi in ogni senso, ma quella condizione l'aveva incorporata con arte alchemica. L'aveva assunta nel volto fisso alla Buster Keaton, nei gesti liricamente scomposti, nel modo di suonare la chitarra tenuta bloccata sotto il mento, nella fibra e nel canto della lingua vernacola di cui esprimeva l'anima e di cui aveva trasferito l'umore triste e gagliardo anche nell'italiano. Tutta questa sapienza confluiva nella sua inimitabile voce sguaiata e sul crinale precario della sua intonazione che dava vita ad un capolavoro espressivo e stilistico. Jannacci è stato un caposcuola e il caposcuola di se stesso. Con lui se ne va la Milano più struggente e necessaria. Sarà difficile andare avanti. 8 - 17 gennaio, sala Fassbinder CARROZZERIA ORFEO Torna all'Elfo Puccini Carrozzeria Orfeo con un dittico di spettacoli: per soli tre giorni va in scena Thanks for vaselina, la produzione che li ha resi famosi, poi l'attesa novità, che debutterà a fine agosto al Festival Castel dei mondi di Andria. 8 - 10 gennaio THANKS FOR VASELINA dedicato a tutti i familiari delle vittime e a tutte le vittime dei familiari drammaturgia Gabriele Di Luca regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi interpreti Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Beatrice Schiros, Ciro Masella, Francesca Turrini musiche originali Massimiliano Setti luci Diego Sacchi, costumi e scene Nicole Marsano e Giovanna Ferrara produzione Carrozzeria Orfeo, Fondazione Pontedera Teatro (2013) La Corte Ospitale, Festival Internazionale Castel dei Mondi di Andria 11 - 17 gennaio ANIMALI DA BAR drammaturgia Gabriele Di Luca regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi musiche originali Massimiliano Setti produzione Fondazione Teatro della Toscana Un bar abitato da personaggi strani: un vecchio malato, misantropo e razzista che si è ritirato a vita privata nel suo appartamento; una donna ucraina dal passato difficile che sta affittando il proprio utero ad una coppia italiana; un imprenditore ipocondriaco che gestisce un’azienda di pompe funebri per animali di piccola taglia; un buddista inetto che, mentre lotta per la liberazione del Tibet, a casa subisce violenze domestiche dalla moglie; uno zoppo bipolare che deruba le case dei morti il giorno del loro funerale; uno scrittore alcolizzato costretto dal proprio editore a scrivere un romanzo sulla grande guerra. Sei animali notturni, illusi perdenti, che provano a combattere, nonostante tutto, aggrappati ai loro piccoli squallidi sogni, ad una speranza che resiste troppo a lungo. Come quelle erbacce infestanti e velenose che crescono e ricrescono senza che si riesca mai a estirparle. E se appoggiati al bancone troviamo gli ultimi brandelli di un occidente rabbioso e vendicativo, fatto di frustrazioni, retorica, falsa morale, psicofarmaci e decadenza, oltre la porta c’è il prepotente arrivo di un “oriente” portatore di saggezze e valori… valori, però, ormai svuotati e consumati del loro senso originario e commercializzati come qualunque altra cosa. Tutto è venduto, sfruttato e contrattato in Animali da Bar. La morte e la vita, come ogni altra merce, si adeguano alle logiche del mercato. E quando l’alcol allenta un pochettino la morsa e ci toglie la museruola… è un grande zoo la notte… una confessione biologica dove ognuno cerca disperatamente di capire come ha fatto a insediarsi tutta quell’angoscia. Giorno dopo giorno. Da anni, da secoli. Come abbiamo fatto a non sentirla entrare? E per quanto riguarda gli altri... beh, cerchiamo di essere realisti. Possiamo dire di conoscerci appena. Siamo tutti degli estranei. D’altronde almeno una mezza dozzina di Cristiani desidera la nostra morte ogni giorno o no? In coda sulla tangenziale... il lunedì mattina in ufficio… chi non vorrebbe torturare il cane del vicino, o schiacciare qualche ciclista di tanto in tanto? Se volete provare l’esatta inesistenza di Dio, salite in una metrò affollata di vostri simili in pieno agosto. 12 - 17 gennaio, sala Shakespeare DECAMERONE VIZI, VIRTU, PASSIONI liberamente tratto dal Decamerone di Giovanni Boccaccio adattamento teatrale e regia di Marco Baliani con Stefano Accorsi e con Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu, Naike Anna Silipo drammaturgia Maria Maglietta scene e costumi Carlo Sala luci Luca Barbati produzione Nuovo Teatro in coproduzione con Fondazione Teatro della Pergola Portare in teatro la lingua di tre grandi italiani Ariosto, Boccaccio, Machiavelli, sfidando la complessità delle loro opere, per scoprire quanto ancora possiamo nutrirci delle loro invenzioni, dei loro azzardi, delle loro intuizioni. Questo è il PROGETTO GRANDI ITALIANI di Marco Baliani, Stefano Accorsi, Marco Balsamo che, dopo l'Orlando furioso, hanno messo in scena il Decamerone (debuttato nel dicembre 2014) e prossimamente proporranno Il principe. Sulla scena è parcheggiato un carro-furgone, “casa” e teatro viaggiante della compagnia che si appresta a mettere in scena l’opera. La modularità del carro favorirà la messa in scena di sette novelle del Decamerone, permettendo di volta in volta la creazione degli spazi e delle suggestioni necessarie alle storie che si vanno a narrare. Una grande passione anima la compagnia, ma non altrettanto grandi sono le loro risorse materiali, gli attori si alterneranno quindi in un susseguirsi di ruoli e vicende, forti della loro arte teatrale. Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta faticosamente vivendo. Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo, l’alito della morte. Finché si racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo. Per questo nel Decamerone ci si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città è appestata, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici, furiosi, storie grottesche, paurose, purché siano storie, e raccontate bene, perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda. Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare. In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti. Per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la peste ci avvilisce. Per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality in cui ci ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello. Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza. Potremmo così scoprire che il re è nudo e che, per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti. Marco Baliani 19 – 31 gennaio, sala Shakespeare IL VIZIO DELL'ARTE di Alan Bennett traduzione di Ferdinando Bruni uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli, Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocaña, Vincenzo Zampa, Michele Radice, Matteo de Mojana luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli musiche dal vivo Matteo de Mojana costumi di Saverio Assumma voce registrata Giorgio Gaddi produzione Teatro dell'Elfo «Pensavamo che Alan Bennett non fosse in grado di ripetere il successo di The History Boys, ma con The Habit of Art è senza ombra di dubbio riuscito di nuovo a fare il botto. The Habit of Art è sicuramente un grande successo». (The Telegraph). Bruni e De Capitani non potevamo che condividere l’entusiasmo con cui la stampa inglese ha accolto questo testo che ha inaugurato la stagione 2014/2015 dell'Elfo Puccini il 21 novembre scorso. Dopo la lunga e felice esperienza di The History Boys, i registi dell'Elfo hanno fatto conoscere al pubblico italiano anche Il vizio dell'arte, bissando il successo del precedente spettacolo. Il vizio dell'arte è un esilarante gioco di "teatro nel teatro". Assistiamo alla prova di una nuova produzione del National Theater, intitolata Il giorno di Calibano: cuore del play è l’incontro tra Wystan Hugh Auden e Benjamin Britten, che si rivedono, ormai anziani, dopo vent'anni di lontananza. Bruni, che firma anche traduzione e regia con Francesco Frongia, è in scena nella parte del poeta inglese e De Capitani in quella del compositore. Completano il cast Ida Marinelli, Alessandro Bruni Ocaña, Umberto Petranca, Michele Radice, Vincenzo Zampa e Matteo de Mojana (al pianoforte). Con la maturità gli Elfi hanno trovato la loro età dell'oro. Coerenti nella scelta di testi e autori, per lo più di provenienza angloamericana, da qualche stagione non sbagliano un colpo. Il vizio dell'arte di Alan Bennett lo conferma. Tra l'entusiasmo di un pubblico che si lascia stregare ma non blandire. Agile e curatissima, la regia di Bruni e Francesco Frongia è in felice sintonia con il testo, i suoi dentro e fuori, il suo umorismo colto. Sul palco tutto aperto dell'Elfo si mescolano gli attrezzi della sala teatrale e la scenografia della disordinata stanzetta di Auden, i piani si intrecciano, ma la visione resta: nitida. Anche nei song, quando a cantare sono i mobili o le rughe. Sara Chiappori, la Repubblica Che alla fine arrivi un pizzico di commozione è vero. A commuovere invece è proprio l'altrettanto vetusto meccanismo metateatrale, che qui ha una funzione catartica. Ma poi a esser bello è lo spettacolo, non solo perché dà vita. È bello per come la dà. Ida Marinelli, la regista, è in ombra e però in grado di salire alla ribalta dei sentimenti come sempre le accade. Elio De Capitani, con il suo parrucchino, sembra un omosessuale inglese più omosessuale di Britten: a volte ci fa ridere, a volte tocca corde più segrete. L'interpretazione memorabile è di Ferdinando Bruni: per come si è invecchiato (con pancia e spalle cadenti), per come trascina i piedi nelle pantofole; per come si tira giù il golf ogni minuto; per come irride ed è ben lontano dal temere la morte che verrà. Con loro, Umberto Petranca, il biografo; Tim, il prostituto; e Michele Radice, l'autore del testo nel testo che si deve rappresentare, di cui è eroe Calibano, l'uomo che niente altro vuole se non la conoscenza. Franco Cordelli, Corriere della Sera Con la messinscena del Vizio dell'arte di Alan Bennett il Teatro dell'Elfo conferma la felice vena creativa che sta esprimendo da qualche anno, e centra ancora l'obiettivo dopo un'impressionante serie di successi. Al di là dei singoli risultati, colpisce l'irriducibile costanza del cammino intrapreso: sottovalutare l'unicità di un simile percorso vuol dire non comprendere come questa compagnia abbia saputo adattare la propria storia alle esigenze di un nuovo pubblico, di un nuovo spazio, di una nuova forma di consumo culturale, senza snaturarsi, ma incarnando un profondo impulso di cambiamento. Al crocevia di queste fortune c'è, non a caso, ancora Bennett, che col suo History boys è assurto, nel 2010, a vero nume tutelare dei primi passi nella "multisala" milanese. L'autore inglese, per gli attori e i registi dell'Elfo, si sta rivelando un importante punto di riferimento, un po' come lo era stato Fassbinder negli anni Novanta: le sue pièce sono brillanti, provocatorie, intelligenti, elegantemente trasgressive. Si riallacciano a una tradizione, ma la loro scrittura appartiene inequivocabilmente al nostro tempo. Renato Palazzi, Il sole 24 ore 26 gennaio - 7 febbraio sala Bausch ROAD MOVIE di Godfrey Hamilton traduzione Gian Maria Cervo regia Sandro Mabellini con Angelo Di Genio produzione Teatro dell’Elfo Angelo Di Genio si sta rivelando uno dei più bravi attori della sua generazione. Dopo History Boys, che è valso a lui e agli otto giovani attori il premio UBU, ha ottenuto un successo personale come interprete di Biff in Morte di un commesso viaggiatore. Road Movie, un piccolo gioiello, ha confermato il suo talento. Si tratta di un testo profondamente commovente che ci parla della paura dell'amore, della perdita e della morte, sentimenti spesso inscindibilmente legati. Scritto per la compagnia angloamericana Starvig Artist Theater, Road Movie ha vinto nel 1995 il Fringe First Award al festival di Edimburgo ed è stato rappresentato negli Stati Uniti e in molti paesi europei. Nell’allestimento curato da Sandro Mabellini, Angelo Di Genio interpreta tutti i personaggi, dialogando in scena con un musicista. Al debutto nella rassegna Nuove Storie nell’autunno 2014, lo spettacolo ha convinto senza riserve pubblico e stampa,!tanto che il Teatro dell’Elfo ha scelto di ammetterlo nel suo repertorio di produzioni. Ambientato negli Stati Uniti degli anni Novanta, racconta di Joel, gay trentenne, e della sua avventura coast to coast durata cinque giorni per rincontrare “il suo amore”, Scott. Un viaggio interiore costellato da incontri che lo porteranno ad infrangere paure ed accorciare la distanza dagli altri e da se stesso, trasformandolo profondamente. Allacciate le cinture di sicurezza, annullate paure e tabù , si parte coast to coast sulle strade dell'anima. Il testo di Godfrey Hamilton, già definito monumentale per la bellezza del linguaggio e l'intensità emotiva dal Times, fluisce in cadenza perfetta attingendo a piene mani da trame esistenziali, innamoramenti, incontri, ribellioni, malattia che nessun incantesimo sconfigge, in continuità tra passato e presente plasmando un piccolo miracolo drammaturgico che parla di morte per aggrapparsi con forza alla vita. Angelo Di Genio, annotatevi il nome, da tempo non si vedeva sulla scena un giovane di pari talento. Joel randagio attraversa gli States da New York a San Francisco, cinque giorni e mezzo di catarsi per guardare dritto nelle pupille la paura e gli spettatori, riempire la valigia vuota di piccoli oggetti necessari, simboli di incontri salvifici, ridere, piangere, imprecare, stupirsi, sentire finalmente il flusso delle emozioni scorrere nelle vene. Francesca Motta, ilsole24ore.it Un monologo sull’Hiv, ma anche su di una solitudine estremamente affollata, popolata di personaggi estremi che racconta l’amore altrettanto estremo fra Joel e Scott. Sandro Mabellini firma una regia asciutta e incisiva. A reggere questo viaggio che è – almeno così a me pare – una sorta di presa di coscienza, del mutare dello sguardo di Joel sui sentimenti e dunque punto di partenza della sua crescita esistenziale, è un bravissimo Angelo Di Genio che si dona al proprio personaggio con una totalità disarmante, vivendo in scena anche situazioni non facili. Provocatorio e dolce, inquieto e disarmato, cattura, senza mai compiacerlo, il pubblico che lo segue con grande tensione, in una storia lontana dal paradiso, disperatamente vitale, che ci riguarda. Maria Grazia Gregori, delteatro.it Angelo di Genio è al suo primo spettacolo da solista e riesce a reggere magistralmente la sfida. Non solo è capace di interpretare con abilità sia la parte di Joel che la parte di Scott, ma dà forza ed intensità anche ai ruoli minori, plasmando sia personaggi maschili che femminili ed interpretando una variegata schiera di figure grazie ad un’espressione, una fisicità e un’intonazione di grandissimo livello. Piero Salvatori, impeccabile violoncellista, completa l’opera con le musiche in scena eseguite con contrabbasso e pianoforte. Daniele Giacari, Cultweek.it 2 - 7 febbraio, sala Shakespeare HABEROWSKY Alessandro Haber è Charles Bukovsky regia Tonino Zangardi musica a cura di Alfaromeo produzione Atalante Haberowski nasce dall’incontro di Alessandro Haber, Manuel Bozzi, Tonino Zangardi e il produttore Angelo Calculli. Come spesso accade alle più accattivanti e vincenti sinergie, in un caldo pomeriggio lucano nell’estate 2014 prende forma una nuova visione, un “remix” come amano chiamarlo gli autori, di una celebre performance di Haber. Una nuova veste per uno spettacolo di grande successo, andato in scena ormai più di dieci anni fa (e visto anche al Teatro dell'Elfo di via Menotti). Gli ingredienti di questo remix: Alessandro Haber interpreta, recita, canta ma soprattutto vive i testi e le poesie originali di Charles Bukowski, accompagnato dalla musica elettronica di Alfa Romero e da un visual ideato da Manuel Bozzi e Madlene India Sabin, in una continua interazione con il pubblico. Un’esperienza sonora e visiva coinvolgente e di grande qualità artistica. Tecnologia, recitazione, musica, amore si fondono in un progetto ad alto impatto emotivo. Un live, perché di un vero e proprio LIVE si tratta, che arriva dritto al cuore, che fa emozionare, soffrire, sorridere e divertire il pubblico che assapora Bukowski sotto una nuova luce, dove le parole si uniscono alla musica elettronica e alle immagini in un’unica incalzante danza “coreografata” dal regista Tonino Zangardi. Tonino Zangardi cura la regia di questa pièce. Dopo aver diretto lo stesso Haber più volte, oltre a nomi illustri come Monica Guerritore, Adriano Giannini, Valeria Golino, si cimenta in questo nuovo viaggio ai confini della poesia avanguardista e del teatro interattivo. Nell’attesa dell’imminente uscita del suo nuovo film L’esigenza di unirmi ogni volta con te con Claudia Gerini e Marco Bocci, vi accompagna in questo percorso multisensoriale. Alfa Romero è il nome del duo composto da Marzio Aricò e Lorenzo Bartoletti, Dj di fama internazionale e producer di grande levatura della scena techno italiana che hanno accettato la sfida di accompagnare i dissacranti testi di Bukowski magicamente interpretati da un grande Haber. Il duo propone tracce originali, appositamente editate per lo spettacolo. A Manuel Bozzi, designer orafo di fama mondiale, che vanta collaborazioni con le piu grandi maison di moda, artista preferito di molte star e a sua volta musicista e visual artist, spetta la direzione artistica del progetto. Accompagnato dalla talentuosa Madlene India Sabin, completa l’opera di Alessandro Haber e Alfa Romero offrendo al pubblico la parte interattiva dello show unendo ai testi e alla musica una videoproiezione interattiva. 8 - 14 febbraio, sala Shakespeare IL SINDACO DEL RIONE SANITÀ di Eduardo De Filippo regia Marco Sciaccaluga con Eros Pagni, Maria Basile Scarpetta, Federico Vanni, Gennaro Apicella, Massimo Cagnina, Angela Ciaburri, Orlando Cinque, Gino De Luca, Dely De Majo, Francesca De Nicolais, Rosario Giglio, Luca Iervolino, Marco Montecatino, Gennaro Piccirillo, Pietro Tammaro scene Guido Fiorato costumi Zaira de Vincentiis musiche Andrea Nicolini luci Sandro Sussi produzione Teatro Stabile di Genova, Teatro Stabile di Napoli Presentato al Napoli Teatro Festival in occasione del trentesimo anniversario della morte del suo autore, Il sindaco del Rione Sanità con Eros Pagni protagonista ha superato, raccogliendo un grande esito di pubblico, la scommessa di portare “in casa” di Eduardo De Filippo un testo di Eduardo interpretato da un attore non napoletano. L’azione si svolge per i primi due atti nella residenza di campagna di Don Antonio Barracano e nel terzo nella sua casa di città, al Rione Sanità. In entrambi i luoghi, Don Antonio esercita, con il trentennale appoggio del sempre più disincantato dottor Fabio della Ragione, la sua personale idea della legge. Fa estrarre pallottole e ricucire ferite dal corpo di giovanotti troppo animosi; concede “udienze” giornaliere a chi si rivolge a lui per avere giustizia e protezione. Lo spettatore fa così la conoscenza di una curiosa fauna umana, composta da piccoli delinquenti, usurai e bottegai poco accorti. Per tutti Don Antonio ha la soluzione giusta. Ma quando davanti a lui si presentano Rafiluccio e Rituccia, sua compagna in avanzato stato di gravidanza, le cose si complicano. Rafiluccio, infatti, non chiede aiuto o protezione, vuole solo comunicargli che ucciderà suo padre, Arturo Santaniello, ricco panettiere, che lo ha diseredato e cacciato di casa, non riconoscendolo più come figlio. Prima di dare il suo parere, Don Antonio vuole però sentire “l’altra campana” e convoca pertanto il padre, al quale dapprima confida la storia vera del suo primo delitto contro i soprusi di un arrogante prepotente, invitandolo poi a riconciliarsi con i figlio. Ma il panettiere rifiuta e lo invita di fatto a farsi gli affari suoi, dando così inizio a un tragico precipitare degli eventi. Scritta e rappresentata nel 1960, Il sindaco del Rione Sanità è una commedia che lo stesso Eduardo amava definire «simbolica e non realistica», una commedia che «affonda le proprie radici nella realtà, ma poi si sgancia da essa, si divinizza, per dare una precisa indicazione alla giustizia», perché «Don Antonio è qualcosa di assai diverso da quel capo camorra che all’inizio sembrerebbe che fosse: egli è un visionario che cerca di ristabilire nel mondo un ordine andato fuori sesto». La regia di Sciaccaluga lascia parlare il copione e questo s'impone sia con l'impagabile dialettica degli episodi sia con la magnifica teatralità del loro svolgimento, a partire dal celebre, irresistibile, inizio con la famiglia di don Antonio Barracano che senza parlare, in pigiami e pantofole, allestisce in piena notte una camera operatoria per un ferito di arma da fuoco. Con qualche inflessione napoletana tra virgolette, Eros Pagni fa di Barracano un uomo stanco, curvo, che spesso si astrae per colloquiare tra sé e sé, canterellandosi qualcosa o ridacchiando per qualche ricordo personale da cui gli altri sono esclusi. Superbo allestimento di grande castità visiva, scena quasi inesistente ma personaggi molto vivi e plausibili, eccellentemente resi da una compagnia numerosa. Masolino d'Amico, La Stampa 9 febbraio - 6 marzo, sala Fassbinder HARPER REGAN di Simon Stephens traduzione di Lucio De Capitani regia di Elio De Capitani scene e costumi Calo Sala con Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Camilla Semino Favro, Marco Bonadei e altri tre attori luci di Nando Frigerio suono di Giuseppe Marzoli produzione Teatro dell'Elfo prima nazionale Simon Stevens (Manchester 1971) ha scritto una trentina di testi, rappresentati da importanti teatri del Regno Unito e di altri paesi del Commonwealth, negli Usa e nel Canada, in Olanda, in Germania, nell’est Europa. Autore già premiatissimo, con la sua ultima pièce è in corsa per i Tony Awards 2015. L’Elfo e Elio De Capitani, grande appassionato dei suoi testi, hanno pensato che non si poteva aspettare a farlo conoscere anche in Italia. Il titolo scelto è Harper Regan, un'opera in due atti, che ha debuttato al National Theatre nel 2008. Una storia coinvolgente e spiazzante che procede a ritmi serrati, portando in scena una splendida figura protagonista, la quarantunenne Harper Regan (interpretata da Elena Russo Arman), e nove personaggi, tutti magistralmente definiti nella brevità e nella concentrazione dei dialoghi. Harper abbandona improvvisamente il lavoro, il marito e la figlia adolescente per andare a trovare un'ultima volta il padre morente e il viaggio di andata e ritorno di soli due giorni, da Uxbridge (nei sobborghi di Londra) verso Stockport e Manchester, diventa un percorso di presa di coscienza lungo il quale emergono i nodi irrisolti della sua vita, le sue difficoltà personali e famigliari. Il confronto con la malattia, gli incontri con uomini molto più giovani e più anziani di lei, il ritorno ai luoghi dell'infanzia trasformano rapidamente il viaggio della donna in una violenta e a tratti comica esplorazione della morale del sesso e della morte, delle relazioni con i genitori, con la figlia, il marito e prima di tutto con se stessa. Il drammaturgo inglese Simon Stephens (1971) dopo avere insegnato per alcuni anni al Royal Court Theater, nel corso per Young Writers, è diventato "artista associato" del Lyric Hammersmith di Londra, dove hanno debuttato le sue pièce Morning e Tree Kindoms (2012) e della Step Theatre Company di Chicago che ha portato in scena le prime statunitensi di Harper Regan e Motortown. La sua ultima pièce, un adattamento del romanzo di Mark Haddon Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ha vinto sette Olivier Award e ha ricevuto sei nomination ai Tony Awards 2015 tra cui quello per il miglio testo. 16 - 28 febbraio, sala Shakespeare NUOVO SPETTACOLO di Flavia Mastrella Antonio Rezza con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista mai scritto da Antonio Rezza habitat di Flavia Mastrella assistente alla creazione Massimo Camilli disegno luci Mattia Vigo produzione Fondazione TPE - Teatro Vascello la Fabbrica dell’attore - RezzaMastrella Il nuovo spettacolo della coppia più anarchica del teatro italiano: Flavia Mastrella crea sculture sceniche, Antonio Rezza le abita con il suo corpo ipercinetico, smontando inesorabilmente la rappresentazione. In uno spazio privo di volume, il muro piatto chiude alla vista la carne rituale che esplode e si ribella. In uno spazio privo di volume, il muro piatto chiude alla vista la carne rituale che esplode e si ribella. Non c’è dialogo per chi si parla sotto. 18 - 28 febbraio sala Bausch IL VICARIO di Rolf Hochhuth progetto e lettura di Matteo Caccia, Marco Foschi, Nicola Bortolotti, Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò e Rosario Tedesco luci di Giuliano Almerighi coordinamento Cinzia Spanò adattamento e Regia di Rosario Tedesco si ringrazia l’associazione culturale PIANOINBILICO Ospitato il 27 gennaio 2015, per il Giorno della Memoria (la ricorrenza internazionale celebrata ogni 27 gennaio in ricordo delle vittime dell'Olocausto), la mise en espace de Il vicario, frutto del lavoro gruppo di bravissimi attori che dopo le comuni esperienze di spettacoli con Latella, entra nella nuova stagione dell’Elfo Puccini. "Un testo teatrale deve essere breve e aggressivo come una dichiarazione di guerra". Queste le parole che Hochhuth ci ha rivolto quando siamo andati a trovarlo nella sua casa di Berlino, e ha accettato l'invito a parlarci del suo testo, qui in Italia pressoché sconosciuto, ma che in Germania ha venduto un milione di copie e viene letto nelle scuole. Un'opera che ha sollevato aspre e mai sopite polemiche, che hanno costretto la Chiesa ad aprire gli archivi vaticani e a fare luce sull'atteggiamento di Pio XII nei confronti dell'eccidio ebraico. 2 divise 2 uomini La storia, i suoi orrori, il silenzio e la responsabilità. Un soldato tedesco e un prete italiano, s'incontrano nel teatro della storia. Di fronte alle atrocità del lager, scoprono tutta l'ipocrisia delle loro esistenze, la follia del mondo. Così intraprendono la missione di portare al Papa notizia dell'olocausto. Spogliandosi dalle loro divise, scoprono che è possibile essere uomini, soltanto accettando le proprie responsabilità. Nonostante questa dolorosa acquisizione, la Chiesa rimarrà muta davanti al sacrificio degli innocenti. Il progetto che ha preso spunto dal testo di Hochhuth, è una mise en espace delle scene più significative del testo. Le parole vengono offerte nella loro nudità, invito alla riflessione sulle conseguenze del silenzio. Assumersi la responsabilità del proprio tempo. Scegliere: silenzio o grido. Il gruppo Artefice di questo lavoro è un gruppo di attori che fin dagli inizi ha partecipato e contribuito in maniera determinante ai progetti e spettacoli di Antonio Latella, affrontando autori come Genet e Pasolini, Shakespeare e Marlowe, Goldoni e Kafka. 1 - 13 marzo, Sala Shakespeare IL BUGIARDO di Carlo Goldoni con Maurizio Lastrico, Michele di Mauro e Popular Shakespeare Kompany regia Valerio Binasco musiche originali Arturo Annecchino scene e Costumi Carlo de Marino luci Pasquale Mari produzione Oblomov Films Srl in collaborazione con il Festival Estate Teatrale Veronese e la Versiliana Festival È una commedia celeberrima, ricca di gag e di fulminanti trovate comiche: gli equivoci che danno vita alla storia. Goldoni è un autore moderno, con lampi di vera contemporaneità. Il Bugiardo offre molte occasioni per una regia ispirata dal gioco del teatro, che si avvale di un gruppo di attori formidabili, capaci di trascinare il pubblico e di sorprenderlo continuamente. Il Bugiardo è un punto di arrivo importante per la nostra Kompany, Tratteremo Goldoni così come abbiamo trattato Shakespeare: cercando di evidenziarne al massimo la forza poetica e i sentimenti più coinvolgenti. Valerio Binasco Il bugiardo di Goldoni diretto da Valerio Binasco è da apprezzarsi per più ragioni, tra cui la conferma di una compagnia giovane e affiatata. Proprio come nel football, anche a teatro le star possono offrire momenti di estasi, ma quando tutta la squadra funziona l'astante prova un senso di impagabile relax. Ovviamente perché ciò si dia c'è anche bisogno di un buon copione, e questo Bugiardo, per cui il grande veneziano rielaborò genialmente una vecchia farsa spagnola ripresa anche da Corneille, è mirabile nel crescendo di bugie, o come famosamente le definisce il protagonista, di spiritose invenzioni, con cui costui preso nel proprio gioco di non arrendersi davanti all'evidenza, riesce a mandare avanti i suoi imbrogli solo a patto di caricare continuamente la dose, fino all'assurdo e a un parossismo di comicità. Maurizio Lastrico dà un'allegria autoreferenziale nervosa e sotto sotto insicura, ma superficialmente irresistibile, alla quale momentaneamente tutti si arrendono volentieri, malgrado le riserve del disincantato Arlecchino di Sergio Romano. In una scenografia deliberatamente dimessa, con vestiti trasandatamente modernoidi, tutti reggono il gioco a meraviglia; tra i più meritevoli ricorderò Fabrizio Contri e Michele Di Mauro come i vecchi. Masolino d’Amico, La Stampa Poesia pura tra i pieni e i vuoti della scenografia: finestre aperte sulla sconfinata tristezza di esistere. E poi la vera forza dello spettacolo. Gli attori al servizio di una costruzione contemporanea. Il Lelio di Maurizio Lastrico è uno straordinario lucifero traballante, accartocciato sulla sua fame atavica di spiritose invenzioni. Mangiato dalla paura dell'ombra che gli disegna mirabilmente il volto, a perenne distanza di sicurezza dai suoi interlocutori, più affamato dell'Arlecchino (un cinico Sergio Romano) che gli fa da pubblico, sguscia e s'insinua intrappolato tra le maglie delle sue stesse bugie. Attorno a lui gesticola una Beatrice (Elena Gigliotti) più provinciale e meglio costruita di quanto fece Goldoni e poi le altre donne: Deniz Özdogan, una Rosaura così ironica sulle sue svenevolezze d'amore da render inutili le stucchevoli rappresentazioni goldoniane. Maria Sofia Alleva non è più la Colombina ossequiosa del suo ruolo ma già al primo quadro appare con il suo lato B. E poi gli uomini, a partire dalla forza classica di Michele di Mauro, un Pantalone che scava nella paternità con una sofferenza moderna. La caratterizzazione di Fabrizio Contri ci ricorda la precedente operazione di Binasco nella Tempesta. Nicola Pinelli è uno spaurito Brighella, Andrea Di Casa un tronfio Ottavio, Roberto Turchetta un esagerato Florindo e Ivan Zerbinati un poliedrico caratterizzatore. Simone Azzoni, l’Arena Valerio Binasco ha allestito uno spettacolo molto interessante, abbigliando gli interpreti in abiti vagamente anni sessanta e facendo di Lelio una sorta di disadattato che si crea un mondo parallelo edificato con i mattoncini delle sue bugie come fosse un gigantesco Lego colorato, che crollerà messo alle strette dal grigio conformismo e dalla banalità del reale. Molto ritmo nella seconda parte e bella la scena finale con quelle copie “regolari” tristi e già rassegnate a un avvenire di noia garantita, priva delle spiazzanti invenzioni dello spirito dell’intruso Lelio. Rita Cirio, L’Espresso 8 - 20 marzo, sala Fassbinder GYULA UNA PICCOLA STORIA D’AMORE scritto e diretto da Fulvio Pepe con Ilaria Falini, Orietta Notari, Gianluca Gobbi, Enzo Paci, Alberto Astorri, Nanni Tormen, Ivan Zerbinati, Alessia Bellotto, Nicola Pannelli, Tania Rocchetta, Massimiliano Sbarsi spazio scenico Mario Fontanini luci Pasquale Mari realizzazione costumi Simone Jael Hofer, Chiara Teggi produzione Fondazione Teatro Due Gyula è quasi una favola, immersa in un clima immaginifico, povero e puro. In un paese lontano, sospeso nel tempo e nello spazio, vive un ragazzo diverso, amorevolmente cresciuto e protetto da mamma Eliza; il vicinato è raccolto intorno a poche strade, un bar e una vecchia falegnameria. I personaggi di questa storia, divisi fra personalità pragmatiche, terrigne e caratteri eterei, poetici, conducono una vita semplice: Bogdan e Adi sono operai, Messi è capo cantiere, Yury fa il tranviere, Viku il barista, Nina l’ubriacona, il Maestro Jani è un violinista con l’artrite alle mani, sposato con Tania. Complici una serie di prodigiose coincidenze, Gyula, personaggio di lacerante purezza e di tenera ingenuità, riuscirà a incidere la grevità della realtà che lo circonda, divenendo l’artefice di un piccolo, grande miracolo che convincerà tutti che è possibile librarsi in alto e credere che esista sempre un’altra possibilità. Con questi elementi, Fulvio Pepe mette in scena le piccolissime avventure della vita quotidiana di una comunità: le speranze, i timori, le gioie, persino l’amore si raccolgono in una storia popolare, nel senso più alto del termine, in una favola minima e poetica che riesce a parlare agli spettatori, rivelando in pochi tratti un intero universo. Protagonista assoluta di questo vivace racconto corale è la piccola storia d’amore del sottotitolo, quella fra la madre e il figlio disabile, ma anche quella fra l’autore del testo e la musica, elemento che attraversa la narrazione e permea di sé lo spettacolo. Fulvio Pepe, attore di solida esperienza teatrale e cinetelevisiva, ha saputo convincere anche in questo suo debutto come autore e regista. Diplomato al Teatro Stabile di Genova, ha lavorato fra gli altri con Peter Stein (I demoni), Giuseppe Patroni Griffi (Il Vizietto), Valerio Binasco (Noccioline, Romeo e Giulietta, Il mercante di Venezia e La Tempesta), Jurij Ferrini (Cymbeline), Marco Sciaccaluga. Ha interpretato il commissario Rizzo nella serie Tv Romanzo Criminale. Dice del suo spettacolo: «C’è qualcosa nella musica che mi ricorda l’amore. La sua capacità di aggirare la mia sfera cosciente le permette di far emergere delle parti di me profonde e sconosciute soprattutto, delle parti dell’io talmente pure da essere spudorate. Ecco, credo che la spudoratezza sia la prima caratteristica dell’amore, come la verità. Di entrambe le cose io ho estrema paura, eppure so che entrambe (non so come, non saprei spiegare in che modo) sono intimamente legate al testo messo in scena. Gyula richiama la struttura narrativa di una favola, una sorta di grammatica infantile che trova il suo culmine in un lieto fine nato quasi involontariamente». Al suo esordio da regista e autore Fulvio Pepe ha creato con Gyula un piccolo gioiello, un racconto delicato, mai stucchevole, grazie al giusto equilibrio tra grandi sentimenti, miserie umane e umorismo. La storia scorre senza ostacoli, il pubblico ride, partecipa, si entusiasma; quel piccolo mondo attrae semplicemente al suo interno, nel cuore dei personaggi ai quali ci si affeziona già dalle prime battute, perché ognuno di loro ha una personalità compiuta, mai approssimativa, e ottima è la prova degli undici attori in scena. Si vede il mestiere di Fulvio Pepe, è chiara la scelta di costruire ogni personaggio e l’intera drammaturgia sul singolo interprete, come lui stesso spiega, ognuno col suo ruolo cucito addosso, su misura, in una idea di teatro come arte dell’attore. Giulia Foschi, la Repubblica 15 - 23 marzo, sala Shakespeare TI REGALO LA MIA MORTE, VERONICA di Federico Bellini e Antonio Latella liberamente ispirato alla poetica del cinema fassbinderiano regia Antonio Latella con Monica Piseddu, Annibale Pavone, Valentina Acca, Candida Nieri, Caterina Carpio, Nicole Kehrberger, Fabio Pasquini, Maurizio Rippa, Massimo Arbarello, Sebastiano Di Bella, Fabio Bellitti scene Giuseppe Stellato costumi Graziella Pepe musiche Franco Visioli luci Simone de Angelis ombre Altretracce produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione nell'ambito del Progetto Prospero Il lavoro di indagine sulla drammaturgia contemporanea, che Emilia Romagna Teatro Fondazione persegue da anni, segna oggi una nuova tappa grazie al nuovo allestimento di Antonio Latella. Latella consolida il suo rapporto con lo stabile regionale dell’Emilia Romagna dirigendo Ti regalo la mia morte, Veronika, lavoro che il regista di origine napoletana ha riscritto con il drammaturgo Federico Bellini ispirandosi liberamente - come esplicitamente dichiarato nel sottotitolo - alla poetica del cinema fassbinderiano. Ecco allora che, dopo il pluripremiato Un tram che si chiama desiderio, Latella prosegue la propria analisi nell’universo femminile con uno spettacolo che rilegge i miti del cinema occidentale e ne indaga le icone che essi hanno regalato alla memoria collettiva, senza dimenticare Francamente me ne infischio, personale rilettura di Via col vento che ha recentemente impegnato il regista nel confronto con un film chiave della storia popolare del cinema occidentale. Latella ritrova qui la poetica di Rainer Werner Fassbinder a distanza di quasi dieci anni: era infatti del 2006 la sua rilettura teatrale di Le lacrime amare di Petra von Kant. La base di questo nuovo lavoro non è però un testo teatrale dell’autore bavarese, ma parte dell’opera cinematografica che Fassbinder ha dedicato alla rappresentazione e all’analisi della donna. Partendo dalla rievocazione della vicenda di Veronika Voss, ultima tra le protagoniste del suo cinema, lo spettacolo incontra alcune tra le figure femminili grazie alle quali il regista ha consegnato forse una grande, unica opera, una lavoro il cui sguardo cinematografico e biografia personale tendono inevitabilmente a coincidere. Una corsa folle, senza protezioni, una prolungata allucinazione dove realtà e finzione diventano quasi indistinguibili. Entriamo così nella mente di Veronika, diva sul viale del tramonto e vittima della morfina somministrata da medici senza scrupoli, dove i ricordi e i personaggi rievocati diventano apparizioni in bianco e nero, il nero come forma perfetta che fagocita gli altri colori e il bianco della purezza ma anche del lutto. E, inevitabilmente, il bianco della morfina che trasforma le memorie in gratificazioni, deforma ogni percezione fino a rendere accettabile la morte come possibilità, o liberazione. Un viaggio in cui Veronika e le altre eroine del cinema fassbinderiano regalano il proprio sacrificio al loro ideatore, il regista, il medico ma anche il carnefice Fassbinder, a sua volta, probabilmente, personaggio del suo stesso dramma. 4 - 17 aprile, sala Fassbinder ROSSO di John Logan traduzione di Matteo Colombo regia, scene e costumi di Francesco Frongia con Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña luci di Nando Frigerio produzione Teatro dell'Elfo Uno dei successi più sorprendenti del Teatro dell'Elfo: tra il maggio 2012, quando ha debuttato a Milano, e la tournée del 2013 ventimila spettatori hanno applaudito Rosso. A grande richiesta torna in scena all'Elfo Puccini. Red negli Stati Uniti era stato un caso: dopo il successo al Golden Theater di Brodway e al Donmar Warehouse di Londra, si era aggiudicato 6 Tony Award nel 2010. John Logan è noto come sceneggiatore di molti capolavori cinematografici: dai film di Scorsese The Aviator (soggetto e sceneggiatura) e Hugo Cabret (nomination per l'Oscar 2012), a Sweeney Todd di Tim Burton fino agli ultimi due episodi di 007, Skyfall e Spectre (in uscita in autunno), diretti da Sam Mendes. La pièce è ispirata alla biografia del pittore americano Mark Rothko, maestro dell’espressionismo astratto, che alla fine degli anni Cinquanta ottenne la più ricca commissione della storia dell’arte moderna, una serie di murali per il ristorante Four Season di New York. Puntando i riflettori proprio su quel periodo, Rosso mette in scena lo scontro tra generazioni di artisti: tra Rothko, un uomo maturo che fa i conti con se stesso, e Ken, giovane allievo alla ricerca di un "padre". «Il figlio deve scacciare il padre. Rispettarlo, certo, ma anche ucciderlo» - sostiene Rothko ripercorrendo la propria storia - «Abbiamo distrutto il cubismo, io e de Kooning e Barnett Newman». Dopo due anni di lavoro febbrile per realizzare i dipinti murali, sarà inevitabilmente Ken a mettere in discussione il maestro in uno scontro teso e feroce che lo spinge alla scelta radicale (ma intimamente coerente) di disattendere gli impegni con il Four Season. Firmato da uno che lavora per il cinema, e si sente, ma che conosce bene anche l'arte del dialogo teatrale (e le sue furbizie). Buon punto di partenza, ma non sufficiente a garantire la riuscita dello spettacolo. Cosa che invece accade a questa versione diretta con puntuale intelligenza da Francesco Frongia. Sua anche la scena che ricostruisce con amorevole cura lo studio di Rothko: le grandi tele che fanno esplodere il rosso, l'amaranto e la voragine del nero, i pennelli, il giradischi, i pastelli, gli schizzi, i cavalletti. Il resto lo fa Bruni, a suo agio nel ruolo, un Rothko arrogante e irrequieto, sprezzante e fragile, perché «è una tragedia diventare irrilevanti quando si è ancora vivi». Teorizza, pontifica, dissacra, si tormenta combattuto tra mercato e sacralità dell'arte. Andy Warhol e compari lo incalzano alle spalle e nel confronto con Ken si consuma il conflitto tra generazioni. Feroce, perché i figli devono uccidere i padri, ma non necessariamente destinato al fallimento. Come dimostra un finale che riesce anche a commuovere, a chiusura di uno spettacolo cavalcato da Bruni (e dal suo giovane compagno) con agilità, precisione e il tocco sensibile di chi sa fare del teatro una festa del pensiero senza essere saccente e dell'emozione senza essere retorico. Sara Chiappori, la Repubblica Serrato, intenso e anche spiritoso com'è, si avvale di un'eccellente regia di Francesco Frongia, autore anche di scena e costumi, coronata dalla superba interpretazione di Ferdinando Bruni, adeguatamente coadiuvato da Alejandro Bruni Ocaña. Il successo incondizionato della serata dimostra, quando c'è la qualità, la disponibilità del pubblico davanti a proposte meno scontate di quelle consuete ai nostri prudenti cartelloni. Il Teatro dell'Elfo compie così un altro passo lungo questa benemerita strada. Masolino D’Amico, La Stampa 5 - 10 aprile, Sala Shakespeare LA REGINA DADA con Stefano Bollani e Valentina Cenni scritto e interpretato da Stefano Bollani e Valentina Cenni musiche Stefano Bollani sound design Francesco Giomi regia del suono Francesco Canavese/Tempo Reale light design Luigi Biondi scenografie Andrea Stanisci produzione Stefano Bollani, Pierfrancesco Pisani in collaborazione con Infinito srl «Piu in alto che l’amore per l’uomo io pongo l’amore per i fantasmi». Dopo le sue celebri incursioni nei territori radiofonici e televisivi, il sempre piu poliedrico Stefano Bollani si lancia questa volta in un’avventura teatrale e debutta come autore e attore al fianco di Valentina Cenni, con uno spettacolo surreale, intessuto di musica, che esplora i territori della creatività, al di fuori dagli schemi oppressivi del senso comune. Nel testo una regina di fiaba, frenetica e assorta al tempo stesso, si inoltra nel bosco delle avanguardie, dove incontrerà un Dio Pan depresso e intristito e altre creature fantastiche, frutto della sua stessa immaginazione, con cui dialogherà su passato, presente, futuro, vita, morte. La grazia e la fisicità di Valentina Cenni, il panorama sonoro creato da Francesco Giomi di Tempo Reale, le musiche composte e eseguite dal vivo dallo stesso Bollani, le luci di Luigi Biondi evocano impalpabilmente le stranianti follie dell’universo Dada. La regina Dada cerca il centro della terra e al tempo stesso i confini della propria testa. È inciampata in una realtà e con grande entusiasmo prova a ritrovarsi e a ricostruirsi. Senza nessun altro?. Senza nessun altro. Tanto tutto è uno. La Regina Dada ha debuttato nel luglio 2014 al Mittelfest di Cividale del Friuli. Stefano Bollani comincia a suonare il pianoforte a sei anni e a quindici esordisce professionalmente. Da allora si esibisce nei contesti musicali più disparati, dal jazz con Enrico Rava, Chick Corea, Martial Solal, Gato Barbieri, Richard Galliano, Lee Konitz e tanti altri fino alla musica classica con Riccardo Chailly, Daniel Harding, Kristjan Jarvi e al pop-rock. Ha condotto programmi radiofonici (Il dottor Djembè, radio3) e televisivi (Sostiene Bollani, Rai3). Ha scritto alcuni libri (tra cui il romanzo La sindrome di Brontolo e Parliamo di musica). Fra i numerosi dischi a suo nome, l'incisione della Rapsodia in Blu di Gershwin insieme alla Gewandhaus Orchester di Lipsia (più di 80.000 copie vendute solo in Italia) e i suoi due lavori più recenti, Joy in spite of everything con Bill Frisell, Mark Turner, Jesper Bodilsen e Morten Lund e Sheik yer Zappa, un live-tributo alla musica di Frank Zappa. Valentina Cenni, nasce a Riccione nel 1982, studia danza classica/contemporanea per 18 anni. Si diploma della Royal Academy of Dancing di Londra. Nel 2007 si diploma all' Accademia nazionale d' Arte Drammatica Silvio D'Amico. Artista poliedrica è interprete di molti spettacoli tra i quali Il compleanno di Pinter per la regia di Fausto Paravidino; Antigone di Sofocle per la regia di Cristina Pezzoli. Inoltre è protagonista in Aggiungi un posto a tavola di Garinei & Giovannini accanto a Gianluca Guidi. Nel 2011 è Rossana nel Cyrano di Bergerac di e con Alessandro Preziosi e nel 2014 è Desdemona nell'Otello di e con Luigi Lo Cascio. Per Rai3 è protagonista di Babele di Letizia Russo, per il progetto di teatro in televisione Atto unico. È Micol nel nuovo film di Sergio Castellitto Nessuno si salva da solo e da una decina d'anni inventa e porta in scena spettacoli di danza col fuoco. Di recente insieme al violoncellista Enrico Melozzi forma il duo I fuochi di Bach. Come fotografa, ha realizzato copertine di libri (Mondadori) e dischi (Universal, ECM). 18 - 22 aprile, sala Fassbinder APOCALISSE da Niccolò Ammaniti regia Giorgio Gallione con Ugo Dighero produzione Teatro dell’Archivolto L’Apocalisse, senza trombe del giudizio ad annunciarla, è arrivata! Dai racconti di Niccolò Ammanniti una parodia a tinte fosche e grottesche della nostra società. I racconti di Niccolò Ammaniti sono commedie grottesche, al limite dell'inverosimile, che utilizzano spesso un linguaggio senza ipocrisie, duro, spudorato e vorace; vicende paradossali dove il delirio comico e l'immaginario sfrenato convivono ed esplodono sulla pagina. Apocalisse monta e incrocia in palcoscenico due racconti scritti in tempi molto diversi: Lo zoologo (tratto da Fango) e Sei il mio tesoro (nel volume Crimini). Queste due storie si innestano nella vicenda di un uomo colpito da un morbo misterioso contratto con l'avvicinarsi di una sorta di Apocalisse globale, arrivata senza trombe del giudizio ad annunciarla. Ma ormai per lui e - teme - per tutti, qualsiasi processo biologico provoca disagio, dolore: dal camminare alla crescita della barba, dal sorridere al fare all’amore. Allora, barricato in una devastata casa/hangar, con le ultime forze scrive e racconta storie simbolo di questo progressivo disfacimento dell'umanità e del mondo. Vengono così evocati sulla scena zombie che prendono la laurea e folli chirurghi plastici, poliziotti antidroga dal grilletto facile, ultras demenziali e violenti, cabarettisti cialtroni e starlette formose dal dubbio talento. Ne viene fuori uno spettacolo che è una perfida parodia di una società alla deriva, un po' operetta a/morale e un po’ favola nera. Ma, lo sappiamo, nel tempo dell’Apocalisse le favole sono cambiate e «nella bocca dei poeti anche la bellezza è terribile». In Apocalisse i testi di Ammaniti e la regia consentono a Dighero di esprimere il massimo, passando attraverso diversi personaggi e accompagnando il tutto con una fisicità interpretativa ai limiti dello sfoggio atletico, da gran saltimbanco della gestualità, oltre che della parola. Silvana Zanovello, Il Secolo La grande abilità del regista, con il contributo determinante dell’attore Ugo Dighero, è di avere collegato le due storie in modo da ricavarne un unico quadro, coerente e terribile a un tempo. Uno spettacolo che tocca tutte le corde della rappresentazione teatrale, dalla comicità al dramma, dal virtuosismo fisico alla modulazione della recitazione. Il risultato è ottimo. Umberto Rossi, Cinema e Teatro Ugo Dighero, volto noto al pubblico televisivo per la sua partecipazione a trasmissioni e fiction televisive – da Mai dire Gol ai Ris a Un medico in famiglia – è un attore di solida formazione teatrale. Diplomato alla Scuola di recitazione dello Stabile di Genova, ha dato vita insieme a Maurizio Crozza, Carla Signoris, Marcello Cesena e Ugo Pirovano ai Broncoviz, protagonisti per diversi anni degli spettacoli del Teatro dell’Archivolto. Una volta terminata l’esperienza Broncoviz, Dighero ha continuato a collaborare con l’ensemble diretto da Giorgio Gallione, prendendo parte in tempi recenti a spettacoli come Italiani, italieni, italioti (insieme alla Banda Osiris), La nonna e Ciò che vide il maggiordomo (coprodotti dall’Archivolto con il Teatro Stabile di Genova). Tra i suoi ultimi spettacoli teatrali: Servo per due di Richard Bean, diretto e interpretato da Pierfrancesco Favino, Il matrimonio del Signor Mississippi di Frederick Durrenmatt, diretto da Marco Sciaccaluga e prodotto dal Teatro Stabile di Genova (2015). 2 - 8 maggio, sala Fassbinder AMORE di Spiro Scimone regia di Francesco Sframeli con Spiro Scimone, Francesco Sframeli, Gianluca Cesale e un interprete in via di definizione scenografia di Lino Fiorito produzione compagnia Scimone Sframeli Dai, amore, dammi un bacio sulle labbra! Dammi un bel bacio sulle labbra!...(pausa) Come da giovani, amore... Come quando eravamo giovani, amore! Amore è l'ottava commedia di Spiro Scimone, la quarta con la regia di Francesco Sframeli (dopo La Busta, Pali e Giù) messa in scena dalla compagnia Scimone Sframeli. Il debutto in prima assoluto è previsto nell’estate 2015. In scena due coppie: il vecchietto e la vecchietta, il comandante e il pompiere. Quattro figure che non hanno nome. Si muovono tra le tombe. La scena è, infatti, un cimitero. Il tempo è sospeso, forse, stanno vivendo l'ultimo giorno della loro vita. Dialoghi quotidiani e surreali, ritmi serrati che intercettano relazioni, attenzioni e richieste fisiche che celano necessità sul limite tra la verità e la tragedia del quotidiano. Spiro Scimone prosegue il suo percorso drammaturgico ai bordi dell'umanità, all'interno di non luoghi, dove i personaggi non hanno nome e sono “tutti vecchietti”. L' Amore è una condizione estrema e, forse, eterna. Partiti come "allievi" del grande Carlo Cecchi, Spiro Scimone, scrittore e autore, e Francesco Sframeli sono una delle poche compagnie realmente indipendenti, che, senza teatri riconosciuti alle spalle, hanno inventato una narrazione del presente, dell'io contemporaneo surreale e visionaria, forte di una rielaborazione in chiave originale delle esperienze letterarie e drammaturgiche che hanno segnato il Novecento, da Beckett a Pinter, e forti di un linguaggio che ha radici nel dialetto siciliano a sua volta rielaborato in una lingua teatrale anche quando è "italiano" come negli ultimi testi. Non solo: Scimone e Sframeli hanno collaborato con il meglio della regia italiana da Carlo Cecchi a Valerio Binasco e Gianfelice Imparato, con gli scenografi più "artisti" come Titina Maselli, Lino Fiorito, Sergio Tramonti, Barbara Bessi, attori come Nicola Rignanese, Salvatore Arena, Gianluca Casale per non parlare della collaborazione con la Comédie Française che ha voluto i loro testo nel proprio repertorio. Dicono Scimone e Sframeli: «speriamo di dare un segnale forte per promuovere il teatro in un altro modo. Siamo una delle poche compagnie che hanno in vita il loro intero repertorio, cosa rara in Italia dove c'è una scarsissima considerazione per gli autori. Che fare? Secondo noi bisogna partire dal pubblico, avvicinarlo in altro modo, coltivare la sua attenzione attraverso incontri, con una formazione universitaria adeguata a partire dai giovani. Vuol dire per noi artisti andare nelle scuole e nelle università a far conoscere i percorsi creativi». Anna Bandettini, larepubblica.it 2 - 8 maggio, sala Bausch CARO GEORGE di Federico Bellini regia Antonio Latella con Giovanni Franzoni costumi Graziella Pepe musiche Franco Visioli luci Simone De Angelis produzione stabilemobile - compagnia Antonio Latella Nell’ottobre del 1971, a Parigi, una retrospettiva consacra Francis Bacon come uno dei più grandi pittori del suo tempo. Alla vigilia della mostra, George Dyer, amante e modello dell’artista irlandese, si suicida nella stanza d’albergo che ospitava entrambi. Davanti ai dipinti che raffigurano George, Bacon rivive la relazione con il compagno, in un momento in cui trionfo artistico e fallimento esistenziale si confondono, diventando anch’essi, inevitabilmente, materia del dipingere. Federico Bellini Franzoni percorre con chirurgica nettezza e sorprendente trasporto emotivo gli stati d'animo dell'artista intimamente devastato da questa perdita, in uno straniante intersecarsi tra l'acclamazione pubblica a lui tributata e l'abisso senza fine in cui è repentinamente precipitato il suo vissuto più intimo. Gli innumerevoli dipinti in cui aveva immortalato Dyer si tramutano pertanto in specchi deformanti ad imperitura testimonianza del suo fallimento umano, in una roulette russa al massacro che si traduce in un'eruzione verbale rabbiosa ed incontenibile, un soliloquio che sotto il manto della venefica invettiva cela un rimorso che non potrà mai conoscere balsamo lenitivo. Ecco che però, avviandosi verso l'epilogo dell'opera, Bellini e Latella disvelano repentinamente l'altra faccia della medaglia dando voce agli ultimi strazianti vaneggiamenti di George, in un rallentamento progressivo del concitato ritmo sino a sprofondare in un silenzio che è mutismo, contorsione, smorfia disumana ed agonizzante che condurrà il suicida a riverberare le distorte sembianze che più e più volte aveva assunto sulle tele baconiane. La simbiosi tra la ricercata drammaturgia di Federico Bellini, la possente direzione registica di Antonio Latella e la vivida interpretazione profusa da Giovanni!Franzoni, capace di avvolgere progressivamente lo spettatore in una spirale ineluttabile di amore annientato dalla devastazione della morte, costruiscono un frammento di grande verità e pregiata arte teatrale. Andrea Cova, saltinaria.it 3 - 29 maggio, sala Shakespeare IL GIARDINO DEI CILIEGI di Anton Cechov italiano di Ferdinando Bruni (supervisione di Rosa Molteni Grieco) uno spettacolo di Ferdinando Bruni con Ida Marinelli, Elio De Capitani, Federico Vanni Elena Russo Arman, Angelica Leo, Luca Toracca, Cristina Crippa, Nicola Stravalaci, Corinna Agustoni, Carolina Cametti, Fabiano Fantini, Vincenzo Giordano musiche di Filippo Del Corno, eseguite da Sentieri Selvaggi luci di Nando Frigerio una produzione Teatro dell'Elfo Premio Persefone 2008 a Ferdinando Bruni (Miglior scenografia e Miglior attore coprotagonista) Un’enorme tenuta che va alla malora, un frutteto che una volta all’anno, nel mese di maggio, si copre di fiori bianchi e diventa “giardino”, simbolo di rimpianti, speranze e sogni. Ogni anno il ciclo delle stagioni si compie, e ogni anno il giardino ritorna giovane, ricomincia la sua vita. A contemplare questo miracolo per l’ultima volta, riuniti nella grande casa dell’infanzia, i personaggi della commedia non possono che scorgere su di sé, ognuno nell’altro, i segni del tempo che passa, il miracolo che su di loro non si compie, l’approssimarsi di una resa dei conti col proprio destino. Uno spettacolo del 2006 che torna in scena con quasi tutti gli interpreti che l'hanno portato al successo: in primo luogo Ida Marinelli nel ruolo protagonista, Elio De Capitani in quello di suo fratello Gaev ed Elena Russo Arman nel ruolo di Varja, oltre a Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Luca Toracca, Angelica Leo, Nicola Stravalaci, Fabiano Fantini, Vincenzo Giordano. Lopachin sarà in questa nuova edizione Federico Vanni (apprezzato interprete di Charlie nella Morte di un commesso viaggiatore). E si unisce alla compagnia anche Carolina Cametti. Dodici attori, sotto l’attenta direzione di Bruni, mettono in gioco la coralità, la sensibilità e la maturità di un gruppo e delle sue singole personalità, nell’allestimento di questa commedia rarefatta, buffa e disperata che ha per protagonista il tempo e il suo trascorrere nella vita degli individui e del mondo. La regia colloca i quattro atti del Giardino dei ciliegi in una specie di limbo, l’antica stanza dei bambini, che è simbolicamente punto di ritrovo per la famiglia di Ljuba, fra oggetti concreti, ma carichi di valenze evocative: la lavagna con l’alfabeto cirillico-europeo, i tabelloni illustrati per imparare il francese (la lingua dell’aristocrazia, la lingua dell’esilio), gli uccelli impagliati, prigionieri di una vita artificiale, oggetti che piano piano andranno sparendo, recidendo legami col passato, fragili e malati, lasciando spazio alla durezza impietosa del presente o alle utopie luminose del futuro. L'ascolto della voce di Cechov è possibile fino allo spasimo, fino a cogliere, nei suoi silenzi, il respiro, e, di essi, il ritmo. Come accade tutto ciò? È Cechov a offrirne l'evenienza non con un trucco ma, ancora una volta, con l'ascolto (della vita). (...) Davvero mirabile l'interpretazione di Ida Marinelli, un'attrice piuttosto sottovalutata. Ma è svagato, bravissimo anche Elio De Capitani e, con lui, ricordo Elena Russo Arman, Angelica Leo, Fabiano Fantini e Corinna Agustoni. Franco Cordelli, Corriere della Sera Una compagnia della seconda generazione come quella dell'Elfo ci sforna un’edizione del Giardino dei ciliegi del tutto degna degli antichi livelli ma capace di leggere nel grande testo un’atmosfera non di riporto. (...) I giorni passano nell’antica stanza dei bambini percorsa da personaggi nostalgici e irresoluti, in preda ai loro tic di bislacchi che la regia passionale e rigorosa di Ferdinando Bruni sa rendere ritmicamente espressiva di un frastagliato accumulo di stati d’animo. (...) Degna delle storiche primedonne la splendida prova di Ida Marinelli accanto al maniacale fratello Elio De Capitani e alla sensitiva Elena Russo Arman nella ricca collezione di caratteri di un grande emozionante spettacolo. Franco Quadri, la Repubblica 9 - 16 maggio, sala Fassbinder e casa Boschi Di Stefano IL TEATRO DI DEFLORIAN/TAGLIARINI CINQUE MODI PER SOPRAVVIVERE CONTINUANDO A PARLARE Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, Reality, rzeczy/cose Rewind - omaggio a Cafè Müller di Pina Bausch, Il posto Daria Deflorian e Antonio Tagliarini sono autori, registi e performer. Dal 2008 cominciano un’assidua collaborazione dando vita a una serie di importanti progetti: il primo lavoro è Rewind, omaggio a Cafè Müller di Pina Bausch che ha debuttato al Festival Short Theatre di Roma. Nel 2009 hanno portato in scena al Teatro Palladium un lavoro liberamente ispirato alla filosofia di Andy Warhol, from a to d and back again. Tra il 2010 e il 2011 hanno iniziato a lavorare al Progetto Reality che, a partire dai diari di una casalinga di Cracovia, ha dato vita a due lavori: l’installazione/performance czeczy/cose (2011) e lo spettacolo teatrale Reality nel 2012, lavoro per il quale Daria Deflorian ha vinto il Premio Ubu 2012 come miglior attrice protagonista. L’anno successivo, il 2013, ha debuttato al Romaeuropa Festival Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, spettacolo che vede in scena insieme a Daria e Antonio anche Monica Piseddu e Valentino Villa (Premio Ubu 2014 come novità italiana o ricerca drammaturgica). Tre dei loro testi sono stati raccolti in un volume, Trilogia dell’invisibile (Titivillus, 2014). Con il medesimo titolo hanno presentato a novembre 2014 al Teatro India una retrospettiva dei loro lavori. Tra settembre e ottobre 2015 presenteranno Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni e Reality al Festival d’Automne di Parigi. Nel portare a compimento un percorso cominciato nel 2008, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini si sono posti programmaticamente l’obiettivo di formare un nuovo metodo di recitazione, lontano da Stanislavskij ma stranamente non anti-stanislavskiano. Ripensando il percorso nel suo complesso si coglie bene che Rewind. Omaggio a Café Müller è stato l’origine, la fonte d’ispirazione, la spinta iniziale senza la quale esso non avrebbe potuto avere luogo. Ma si trattava eminentemente della dichiarazione di una poetica, del geniale manifesto di un teatro dell’anti-rappresentazione. Il suo nucleo portante era uno spettacolo che non veniva mostrato, ma discusso, commentato, assunto a emblema di un’epoca e di una generazione. Lo stesso andamento trasversale caratterizzava, grosso modo, il successivo e più articolato “dittico” sui diari in cui una donna polacca, Janina Turek, aveva annotato per oltre quarant’anni i dettagli più insignificanti delle sue giornate: rzeczy/cose e Reality costituivano un vertiginoso, doppio esercizio poetico su un’insussistenza, su un testo che non è un testo ma una raccolta di labili tracce della quotidianità dell’autrice, uno squarcio di vita che di fatto tale non è, giacché in quelle pagine si trovano solo le impassibili indicazioni di cibi consumati o di telefonate ricevute. Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni spezza radicalmente il cerchio chiuso di questi sfuggenti equilibrismi sul filo sottile della meta-realtà: qui c’è uno spunto drammaturgico forte, urgente come la vicenda – mai avvenuta, ma credibile – delle quattro pensionate greche che si suicidano per non pesare sulle casse dello stato. Ancora una volta viene rifiutata qualunque modalità narrativa, anzi gli attori si presentano alla ribalta per annunciare che non sono pronti, che una materia così complessa non può tradursi in una mera azione scenica: ma proprio quest’ammissione di impotenza diventa una tecnica straniante grazie alla quale il tema della crisi può essere evocato in modo ben più efficace di quanto non facciano tanti spettacoli che l’affrontano direttamente. Renato Palazzi, delteatro.org Con Il posto Deflorian-Tagliarini proseguono la loro peculiare ricerca sulla rappresentabilità del reale, facendosi attraversare e, in un certo senso, “possedere” dai luoghi (casa Boschi Di Stefano) in cui scelgono di esibirsi. Dopo aver “abitato” personaggi come l’ossessiva elencatrice di dettagli apparentemente futili Janina Turek o le pensionate greche che decidono di suicidarsi, i due artisti si confrontano con l’immanenza di luoghi impregnati di vita, cercano di carpirne i segreti che palpitano ancora, celati solo da un sottile velo di polvere. Enzo Fragassi, delteatro.org 17 - 22 maggio, sala Fassbinder LA DANZA IMMOBILE da Manuel Scorza regia Corrado Accordino con Corrado Accordino, Riccardo Buffonini, Federica Castellini, Roberta Lanave, Giancarlo Latina scene e costumi Maria Chiara Vitali spettacolo sostenuto nell'ambito del progetto NEXT 2014 Il romanzo è un contrappunto fra un guerrigliero e un ex-guerrigliero. Sotto un altro punto di vista, un conflitto fra due uomini che devono scegliere fra l’Amore e la Rivoluzione. Manuel Scorza Una storia che parla di amore e amicizia, gioia e dolore. Una storia che pone il dubbio della scelta. L'impegno politico da una parte e l'amore per una donna dall'altra. Due uomini, le cui vite s'inseguono, condizionandosi l'uno con l'altro. Fino all’ultimo incontro, fino alla resa dei conti, per un finale di partita che non lascia superstiti. Lo spettacolo prende forma dal lavoro di riscrittura drammaturgica dell’omonimo romanzo di Manuel Scorza, uno degli scrittori latinoamericani più letti in tutto il mondo, noto soprattutto per il suo impegno politico. Tante domande aleggiano in questo spettacolo. I rivoluzionari Santiago e Nicolàs operano scelte contrastanti. Nicolàs sceglie la rivoluzione, lascia Parigi e Francesca, la donna amata. Santiago resta, rinunciando alle armi. Ma scopre che Marie-Claire era innamorata proprio della sua identità di guerrigliero. L’amore tradisce, la causa politica pure. Una scelta vale l’altra. Forse. Le medesime parole significano cose diametralmente opposte. Le parole sono formule vuote senza l’efficacia del gesto. I personaggi lottano con le proprie maschere. Ognuno è alla ricerca di un volto autentico. Si cammina su travi di legno, quaranta centimetri sul pavimento. Qua e là le travi si ammucchiano, a formare una zattera o un’isola. Un gigantesco specchio deformante sul fondo riflette le molteplici anime del nostro essere. Un’opera forse anacronistica: i nostri sembrano anni acquiescenti, refrattari alla ribellione. Ma i lavori di Accordino hanno un’onestà di fondo che li rende interessanti. Nascono da una riflessione personale autentica e appassionata, in genere autobiografica. Non sono mai perfettamente inquadrabili in un codice. Valorizzano gli attori, che svelano nuovi lati di sé. Pongono interrogativi forti, che avviano nel pubblico il dialogo interiore, di là da ogni banale schematismo. Vincenzo Sardelli, klpteatro.it 6 - 10 giugno, sala Shakespeare LA LEGGENDA DEL FAVOLOSO DJANGO REINHARDT adattamento Bianca Melasecchi, Paolo Sassanelli, Luciano Scarpa regia Paolo Sassanelli con Luciano Scarpa, Margherita Vicario, Eleonora Russo, Anna Ferzetti, Marit Nissen, Paolo Sassanelli orchestra MUSICA DA RIPOSTIGLIO Luca Pirozzi (chitarra e banjo), Luca Giacomelli (chitarra) Raffaele Toninelli (contrabbasso), Ruben Chaviano (violino) produzione Gli ipocriti Django Reinhardt è una leggenda, una vera leggenda della musica swing, del Jazz. Django è anche un mito per tutti gli zingari europei ed è diventato la storia della tradizione musicale Manouche, un’etnia di zingari che si muove tra la Francia, il Belgio e la Spagna. Django è un mito per tutti i giovani che si affacciano alla scoperta della chitarra Jazz, ne ascoltano i dischi, ne narrano le storie, si appendono le sue foto in stanza; è anche un mito per i cinquantenni che, come me, lo hanno ascoltato da giovani e riscoperto più in là, come colonna sonora del cinema di Woody Allen. Django è qualcosa di più di quello che si sa, sempre e comunque. Se solo ci si avvicina alla sua biografia ci sembra di leggere le avventure di un eroe… Un eroe! «In questo spettacolo noi raccontiamo le gesta di un eroe che con sole tre dita cambiò la storia della musica…». Mi sembra un buon inizio. Certo di mezzo c’è anche la storia di Parigi, dell’Europa, della guerra, di sua madre Negros - la donna zingara per eccellenza - di deportazioni e scommesse, fumo, donne, balli, fiamme, ecc. Ci saranno le canzoni di un ventennio francese e non solo, musica cantata e suonata dal vivo, ballata e raccontata. Insomma, accomodatevi nel circo che narra la storia del favoloso Django, le sorprese saranno tante! Paolo Sassanelli 6 - 10 giugno, sala Bausch BIANCO O NERO THE SUNSET LIMITED romanzo in forma drammatica di Cormac McCarhty regia di Gabriela Eleonori con Saverio Marconi e Rufin Doh Zéyénovin produzione Compagnia della Rancia Dio esiste? Esiste una vita, di qualsiasi specie, dopo la morte? Il cammino terreno determinerà la condizione dell'anima nell'aldilà? O, forse, la nostra esistenza è una straordinaria realizzazione di nessi causa-effetto delle scienze che governano la riproduzione e la morte di corpi organici? Domande eterne di una ricerca ineffabile dell'essere umano. Nella dilaniante incertezza del vivere si muovono i personaggi di Sunset Limited di Cormac McCarthy. Senza estremismi categorici, anzi, con la crudezza del vivere quotidiano di uomini contemporanei in una realtà descritta iper-realisticamente. Personaggi mitici già dalla scelta dei nomi: Bianco e Nero, in riferimento al colore della propria pelle. Il Bianco è professore ed ateo, il Nero un ex carcerato per omicidio e credente. Il bianco tenta il suicidio gettandosi sotto il Sunset Limited, un treno che attraversa gli Stati Uniti, dalla California verso Est, ma viene fortuitamente salvato dal nero. Questi lo porta nel suo appartamento e da lì prende il via tutta la vicenda. I nostri protagonisti si affrontano come se volessero superare l'uno le certezze dell'altro, come in una specie di duello, dove i colpi sono le parole. Ma non può esserci un vincitore. Così come nella realtà ciascuno di noi si scontra con il mistero del "libero arbitrio" e con la micidiale evidenza che la decadenza del corpo umano porterà alla fine del tutto. Il dubbio... La speranza di una beatitudine ultraterrena riesce a fare superare "i dardi del destino" di shakespeariana memoria? Oppure, la certezza dell'esistenza di Dio riesce a dare al tempo presente una vivida intensità, un modo sublime del vivere qui e ora? La necessità della realizzazione scenica di questo che McCarthy definisce un “romanzo in forma drammatica” sta nell'urgenza del tentativo di determinare i contorni dello scontro di certezze. Certezze che non sono mai tali perché siamo sempre in piene indagini esistenziali. Lo spettatore viene messo davanti ad una terribile indeterminatezza, una sospensione pericolosa che è il costrutto intrinseco del vivere. Il dubbio, come è ovvio, non verrà sciolto. La realtà ha dei confini molto più complicati e ruvidi della disquisizione accademica. E nella fatica del sopravvivere è sempre più difficile trovare prove dell'esistenza di Dio o della supremazia dell'uomo sul proprio destino. Non conosciamo chi sia l'ospite che bussa alla nostra porta. Sarà il Salvatore o il killer che, come in Questo non è un paese per vecchi, vuole mettere fine al nostro desiderio di godere il gusto della vita? Gabriela Eleonori