Il Basilisco nella provincia del Verbano Cusio Ossola
Daniela Piolini
Il basilisco è diffusissimo in tutta la tradizione
popolare alpina, ma con particolare frequenza
in Ossola, Vigezzo, Novarese e attorno al
Monte Rosa. La nostra area è letteralmente
stipata di racconti, leggende e memorie
personali nei quali appare l’immagine del
basilisco, sempre descritto con le stesse
caratteristiche fisiche. Da Guida ai draghi e mostri
d’Italia di Umberto Cordier vale la pena di
riportare il brano che riguarda quest’area.
“Tracce di strani rettili e di misteriose presenze si
possono trovare, stranamente concentrate, sul versante
esposto a sud di una breve valle dell’alto Piemonte. E’
la Val Vigezzo, diramazione orizzontale della più
vasta Val d’Ossola.
In località Giavina de la Bisàa, di fronte al paesino di
Folsogno (Re), si può incontrare d’estate un grosso
serpente con cresta e quattro alette, lungo più di mezzo
metro. Viene chiamato Sarpent de la Cestra. Il suo
morso sarebbe letale, ma anche il solo sguardo
provocherebbe gravi turbamenti.
Ugualmente d’estate si può trovare nelle vicinanze di
Albogno, piccolo paese a monte di Druogno, un
pericolosissimo serpente, da alcuni descritto con strani
tratti felini: i suoi occhi sarebbero ipnotici.
Ed ancora: sotto Dissimo (Re), località In la Costa,
vivono serpenti sottili con testa quadrata e occhi
smisurati; sono i famosi Sarpent dai Ugiài. Se visti da
donna gravida provocherebbero danni al feto”.
Rovistando nel repertorio di storie e leggende
locali, si trovano tracce di basilischi anche nella
bassa Ossola (Anzola e Premosello), in Val
Cannobina, in Val Strona e sul Mottarone. Ogni
tanto, ancora oggi, c’è qualcuno che sostiene di
averlo visto o di conoscere qualcuno che lo ha
visto.
La presenza di animali fantastici che presentano
caratteri fisici analoghi a quelli del basilisco è da
noi piuttosto diffusa anche nell’iconografia
popolare. Basterà ricordare il “drago” appeso a
testa in giù sulla parete esterna della
Parrocchiale di Santa Maria Maggiore e gli
“üslasc” in metallo delle processioni rogazionali
dell’alto Novarese e dell’Ossola. La stessa
leggenda devozionale di San Giulio che scaccia
draghi e serpenti è strettamente legata con i
tratti simbolici del basilisco.
Il Basilisco è considerato un piccolo drago, o un
drago dalle dimensioni più piccole. Lo stesso
suo nome si allaccia a questa parentela:
Basilisco è infatti un nome greco che deriva da
piccolo Basileus, piccolo re, proprio in
connessione alla sua relazione con il drago, “re
grande” degli animali simbolici con cui divide la
caratteristica anatomica che fa somigliare la
cresta a una corona.
Su di esso si accumulano tutte le ambiguità dei
fratelli più grandi ma con una particolare
concentrazione di valenze negative. Questa
cattiva fama è in larga parte il risultato di una
antica e poco benevola descrizione comparsa
sulla Storia Naturale di Plinio il Vecchio (I secolo
d.C.) che ne parla in due brani, nei libri VIII e
XXIX.
Di seguito viene riportata la loro versione
cinquecentesca di Lodovico Domenichi: “Questo
nasce nella provincia di Cirenaica, e non è maggiore di
dodici dita; e ha una macchia bianca in capo, a guisa di
diadema. Col fischio caccia tutti i serpenti; ne va come
l’altre serpi avvolgendosi, ma cammina ritto dal mezzo
in su. Appassisce le piante non solamente col toccarle,
abbrucia l’herbe e rompe i sassi. Et tanta forza ha
questa bestia. Dicesi ch’essendo morto con una hasta da
uno ch’era a cavallo, che montando il veleno su per
l’hasta non sol morì l’huomo, ma il cavallo ancora. Et a
questo mostro (perciocchè i Re spesse volte hanno voluto
veder morto) la donnola è mortal veleno, così la natura
non hanno voluto far cosa che sia senza pari. Coloro che
vogliono far morire i basilischi gettano le donnole nelle
caverne loro, e esse gli ammazzano solamente con la
bruttura, e elle similmente muoiono solamente per
l’odore, e così la natura fornisce la sua battaglia.
Il basilisco è fuggito dall’altre serpi, perché con l’odore
l’uccide; e dicesi che uccide l’huomo ancora guardandolo;
nondimeno i Magi attribuiscono maravigliose lodi al suo
sangue, il quale si rassoda come pece, e stemperato ha
colore più chiaro che cinabro. Attribuiscongli prosperità
nelle cose domandate a’ principi e a’ magistrati e a Dio
in beneficio e liberazione delle infermità. Alcuni
chiamano questo sangue, sangue di Saturno”.
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Questa descrizione carica di bivalenza (la
ferocia e la forza, le proprietà di distruggere ma
anche le qualità miracolose del suo sangue) ha
condizionato la vita del simbolo e la
reputazione del povero basilisco per due
millenni. La sua maggiore sfortuna nasce
dall’utilizzo che ne ha fatto la cultura cristiana
trasformandolo nel condensato delle peggiori
nequizie. Si tratta di un atteggiamento
probabilmente derivato dalla solita necessità di
cancellare i più forti simboli pagani: la
similitudine col drago, le grandi qualità curative
e magiche del suo sangue, la difficoltà a spiegare
atteggiamenti e poteri non controllabili.
Dal testo pliniano hanno tratto origine anche
tutte le svariate descrizioni del suo aspetto, delle
sue origini e dei suoi caratteri specialissimi: è
l’insieme di un gallo e di un serpente-drago che
sono entrambi animali che hanno una forte
presenza nell’iconografia celtica e questo spiega
l’acrimonia dei suoi detrattori e anche la sua
persistenza nella cultura popolare delle aree
marginali, soprattutto di montagna. Grosso
serpente dotato di cresta sul capo, in genere
bianca e trasparente, e provvisto lungo il corpo
di appendici, probabilmente zampe ridotte, si
solleva sulle zampe ed è velocissimo. Una
costante di tutte le descrizioni è costituita dalla
sua cresta (che è forse all’origine del suo nome),
solitamente costituita da tre appendici
prominenti. In molti casi è descritto come
molto piccolo, lungo circa venti centimetri. Una
possibile variante è il Cockatrice che ha più
piume, ali colorate e la coda ripiegata sulla
schiena. Possiede strani occhi (spesso descritti
come gialli e sporgenti come quelli di un rospo)
con palpebre particolari; impressionante è la sua
capacità di rizzarsi sulla coda. La diafana
bellezza della cresta diventa in alcune versioni
un grosso diamante che l’animale porta in capo
e che posa solo per bere. L’ibridazione galloserpente è all’origine di altri nomi con cui era
conosciuto fino al secolo XV e che Geoffrey
Chaucer ha ricordato: Cocadrille, Coquatrix,
Besilecoq o Basilicok.
Alcuni ciarlatani dei secoli XVI e XVII,
fruttando l’alone di arcano che circondava i
basilischi, allo scopo di vendere meglio i loro
farmaci sui mercati, avevano confezionato finti
esemplari abilmente realizzati con parti di
animali diversi. Almeno quattro di questi
simulacri sono oggi visibili: tre al Museo Civico
di storia naturale di Verona e uno al Museo di
Storia naturale di Venezia.
Il domenicano Vincent de Beauvais,
contemporaneo di San Luigi, così lo descrive: ,
(Speculum majus, Liber XX): “Si assicura che il gallo,
essendo diventato troppo vecchio, depone un uovo fatto da
sé (“facit ovum ex se”), e che da questo uovo
meraviglioso, il basilisco è generato se si verificano certe
condizioni. L’uovo deve essere stato deposto su di un
mucchio di letame, grazie al cui calore esce, dopo un
lungo tempo di attesa, un piccolo animale che cresce poco
alla volta, come fanno i piccoli anatroccoli. Questo
animale ha una coda come la vipera e il resto del corpo
come un gallo. Altri pretendono che l’uovo non abbia il
guscio ma una sorte di pelle così dura che neanche gli
sforzi più violenti possono rompere. Altri dicono che una
vipera e un gufo covano l’uovo, ma questo non è affatto
sicuro. Gli scritti degli Antichi si limitano ad affermare
che esiste una specie di basilico che è generato dall’uovo
di un gallo vecchio”.
Brunetto Latini, contemporaneo di Vincent de
Beauvais, aggiunge un particolare tratto dalla
tradizione egizia (“Il serpente che non muore
mai”): “Il basilisco lancia con i suoi occhi degli effluvi
del suo veleno interiore così potentemente terribili da
uccidere col solo sguardo uomini e animali quando li può
fissare negli occhi prima che questi abbiano il tempo di
accorgersene”.
Anche questa descrizione condizionerà tutte
quelle successive.
Alcuni autori medievali hanno voluto
ingigantire questo potere di malignità
fulminante attribuito allo sguardo del basilisco
rappresentando degli occhi anche sulla punta
della sua coda o mettendoci una testa
aggiuntiva, trasformandolo cioè in un
Amphisbaena.
Ildegarda di Bingen (1098-1179) ha scritto:
“Allorché una volta il rospo si sentì gravido, vide un
uovo di serpente e vi si sedette sopra per covare, finché i
suoi piccoli vennero alla luce. Essi morirono, ma il rospo
continuò a covare l’uovo del serpente, finché in esso si
generò vita, subito influenzata dalla forza del serpente
del paradiso. Il piccolo ruppe il guscio, scivolò fuori, ma
subito emise un soffio come di fuoco vivo (…) che
uccideva quanto incontrava sul suo cammino”.
Si credeva che nascesse da un uovo senza
tuorlo deposto da un gallo con forti disturbi alle
viscere e covato da un rospo (o da una rana, o
da un serpente) sopra lo sterco o in qualche
luogo caldo. Secondo autori medievali l’uovo
era deposto da un gallo di 7 anni (o dai 7 ai 14
23
anni), l’uovo era sferico e doveva essere covato
in un processo che poteva impiegare fino a 9
anni. Il momento della deposizione era quando
Sirio era in ascendente: si tratta di tutta una
serie di condizioni che ne rendono difficile la
proliferazione e che ne spiegherebbero la rarità.
Può uccidere con l’alito, con un’occhiata o con
un colpo della coda, e il fiato che si sprigiona
dalla sua bocca brucia vivi gli esseri umani, gli
animali e le piante; inoltre provoca l’idrofobia e
la follia. Frequenta i luoghi deserti o vive nel
deserto da lui stesso creato. Può essere ucciso
soltanto dalla donnola o da un gallo che canta,
oltre che dal suo riflesso nello specchio.
Secondo un’altra fonte, può essere ucciso anche
ributtandogli contro il suo alito velenoso. I
viandanti che dovevano attraversare le regioni
da lui infestate portavano con sé per proteggersi
un gallo o uno specchio per riflettere il suo
“sguardo velenoso” e rimandargli contro il
potere di pietrificare:
“Il malefico basilisco da chiaro specchio sugge per la
propria rovina il veleno dei suoi occhi; chi è incline a far
del male al prossimo è giusto venga colto egli stesso dal
proprio empito assassino”.
I precisi e costanti riferimenti alla velocità e alla
capacità di rizzarsi sulle zampe, agli occhi strani
e allo sguardo ipnotico lo potrebbero collegare
a rettili forse estinti o allo sguardo ipnotico che
i serpenti usano per paralizzare le prede. Anche
la tossicità del sangue e della pelle è presente in
alcuni anfibi. Per tutti questi motivi, il basilisco
potrebbe anche non essere solo frutto di
invenzioni fantasiose: in questo senso va anche
interpretata la forte somiglianza di tutte le
descrizioni, almeno in alcune costanti
significative.
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