miti legati all`acqua

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MITI LEGATI ALL’ACQUA
Il mito del diluvio: l’acqua che purifica
Le tradizioni leggendarie di popoli molto antichi e diversi riportano il mito del diluvio universale
che, in una certa epoca, ha distrutto tutta l’umanità, tranne pochi eletti. È un motivo presente nella
tradizione orale e scritta di circa 400 comunità mondiali. Gli studi geologici condotti nelle zone
dove il racconto è più vivo e circostanziato (la zona tra il Tigri e l’Eufrate) hanno rivelato la
presenza di tracce di grandi inondazioni legate ai secolari cicli dei disgeli postglaciali. Ma queste
inondazioni risultano essersi verificate in epoche e
con intensità diverse. Si deve allora pensare che la presenza in tante comunità dello stesso mito
risalga a motivi religiosi. Come nelle celebrazioni misteriche, l’iniziato deve morire simbolicamente
per poter rivivere in possesso delle autentiche qualità umane, così tutta l’umanità deve passare
attraverso la morte per rigenerarsi. E’ significativo il fatto che l’acqua sia considerata la fonte della
vita da tutte le tradizioni arcaiche; la vita, dunque, si congiunge con la morte per dare origine ad una
nuova vita. L’eletto che si salva galleggia a lungo sulle acque; è il simbolo dell’uomo rigenerato
che, dall’acqua portatrice di morte per gli altri, assume le facoltà per una vita totalmente nuova.
Sul piano della diffusione del mito del diluvio, un centro fondamentale fu la zona assiro-babilonese
ed ebraica e la direttrice di diffusione andò verso l’India fino al Pacifico. Un altro centro di
irradiazione fu il Medio Oriente e da lì il mito passò nell’Asia centrale, in Siberia e, con le
migrazioni attraverso lo Stretto di Bering, fino all’America Settentrionale. La tradizione letteraria
greca presenta il mito di Deucalione e Pirra, unici superstiti di un diluvio universale mandato da
Zeus per punire la malvagità degli uomini. Anche la tradizione ebraica attribuisce la causa del
diluvio alla cattiveria degli uomini e racconta il cataclisma nella Bibbia, libro I della Genesi: Dio
decide di punire l’umanità ed elegge a continuatori della stirpe umana Noè ed i suoi figli. Nella
Sacra Scrittura l’acqua evoca ancora interventi divini nella storia della salvezza: le acque del Mar
Rosso, l’acqua scaturita dalla roccia, l’acqua del Giordano. Nella mitologia sumera il diluvio è
inteso come l’evento sacro che divide il tempo in ante-diluviale e post-diluviale.
Il diluvio babilonese è narrato nell’Epopea di Gilgamesh, un poema in lingua assira, tramandato su
12 tavolette cuneiformi rinvenute a Ninive nel secolo scorso. Nell’undicesima tavoletta si parla di
un antenato di Gilgamesh, Utnapishtim, scelto dal dio Ea per ricostituire l’umanità dopo il diluvio
mandato sulla terra per punire la malvagità umana. È importante notare che le tradizioni più svariate
insistono su un punto comune: la presentazione del ciclo degenerazione-generazione, sempre con la
presenza dell’elemento acqueo, inteso come morte-vita. Il mito indonesiano parla, invece, di
un’inondazione rivolta contro le montagne. La mitologia maya utilizza tre diluvi per distinguere
quattro ere del mondo, vissute da quattro diverse umanità. Anche oggi svariati sono i culti di salute
legati alle acque sorgive in una vasta area che va dall’Estremo Oriente (l’immersione nel Tavoletta
11 del poema di Gilgamesh, British Museum Il Grechetto (1609-1664), Deucalione e Pirra)
all’Occidente cristiano (l’acqua di Lourdes).
Ma l'acqua come simbolo di purezza è riconoscibile anche in quei rituali di purificazione e
iniziazione che permettono all'uomo di liberarsi dai peccati commessi e di poter così iniziare una
nuova vita o una nuova e più evoluta fase dell'esistenza. È questo il caso del battesimo (dal greco
baptein/baptzein immergere, lavare) che libera dal peccato originale e permette la partecipazione
alla vita cristiana. O dell'antico rito ebraico dell'immersione nel mikvé, una piscina d'acqua piovana
in cui bisognava immergersi nudi per purificarsi dai peccati. Ancora oggi l'immersione nel mikvé è
necessaria per coloro che si convertono all'ebraismo, prima del Yom Kippur e per le donne dopo il
periodo mestruale. Simili riti di purificazione si ritrovano nella religione romana e italica in cui
sono frequenti le cerimonie di lustrazione che avevano lo scopo di purificare persone e luoghi fisici
attraverso
l'aspersione
di
acqua.
Ma molte sono anche le leggende greche e latine di persone trasformate in fonte purificatrici. Tra
queste il mito di Egeria, la ninfa che secondo la tradizione sarebbe stata amante e musa ispiratrice di
Numa Pompilio. Alla morte di questi, gli dei impietositi dal suo dolore la trasformarono in fonte. E
proprio la fonte dedicata alle Camene (ninfe delle fonti) fuori Porta Capena era per i romani oggetto
di culto; si riteneva infatti che le sue acque avessero il potere di risanare gli infermi.
Tra i fiumi purificatori per eccellenza è il Gange, il fiume celeste che già nella Genesi è indicato
come uno dei quattro fiumi che nascono dall'Eden. Per gli indiani esso scende dalla capigliatura di
Sciva ed è chiamato Ganga perché ritenuto manifestazione dell'omonima dea. Il potere del Gange
nel liberare gli uomini dai peccati è tanto grande da poter cancellare anche le colpe peggiori che un
uomo possa commettere.
I miti dell'acquario
Solo fino a pochi decenni fa gli abissi sono riusciti a tenere gelosamente nascosti i loro reconditi
meandri. Anche per questo, in quasi tutte le culture, sono vissuti come luoghi leggendari popolati da
creature mitologiche, da demoni e da dei. In questi imperscrutabili "teatri sottomarini" la creatività
dell´uomo ha spesso avuto il sopravvento totale sulla realtà, partorendo leggende con protagonisti
interamente fantastici.
Non di rado, però, gli stessi abitanti del mare, quelli veri, quelli che oggi affollano i documentari
naturalistici, hanno a loro volta ispirato le menti di antichi e contemporanei, collocandosi al centro
di
un
universo
narrativo
denso
di
significati
simbolici.
Certamente emblematico in questo senso è il delfino. Animale intelligente e socievole, era stato
adottato come simbolo positivo già nell´antichità: Aristotele, per esempio, riferisce nella sua "Storia
degli animali" la credenza allora comune secondo la quale i delfini sorvegliavano i giovani bagnanti
per evitare loro disgrazie e che, quando queste malauguratamente accadevano, essi si prodigavano
per riportare pietosamente le vittime a riva. I delfini erano inoltre ben visti anche dai navigatori, che
interpretavano i loro fischi come presagi propizi. Arrivando a tempi più vicini a noi, infine, questi
simpatici cetacei sono stati assunti dai simbolisti cristiani come emblema della virtù, della carità e
della purezza: non a caso a volte la loro effigie è stata impressa anche sulle fonti battesimali.
Nel singolare mondo dei mammiferi marini, comunque, il delfino e la sua aura di positività
rappresentano un´eccezione: sia l´orca sia la balena, infatti, complici probabilmente le loro
dimensioni, sono state dipinte con le tinte più fosche. La prima è stata direttamente paragonata alla
morte, tra gli altri da Stefano D´Arrigo, un romanziere siciliano di metà ottocento, che ha riassunto
con queste parole la sua opinione del cetaceo di bianco e di nero striato: "Lo volete sapere in due
parole cosa fa l´orca? Fa il cerchio della morte intorno al mondo, e gira, gira, incavallando onde e
dando morte a rotazione continua". Un po´ più in chiaroscuro, ma comunque sempre tormentato, è
il rapporto della letteratura con la balena. Nel romanzo di Melville, "Moby Dick", il capodoglio
rappresenta un simbolo diverso per ognuno dei personaggi del racconto. Per il capitano Achab, che
nella caccia all´animale ha perso una gamba, il cetaceo è l´incarnazione del male; per padre Mapple
è il mostro biblico, lo strumento di cui Dio si avvale per elargire doni e proibizioni; infine per
Isamaele, l´io narrante, la balena è nel contempo benigna e malvagia, splendida e orribile,
vulnerabile
e
immortale.
Scendendo dall´enormemente grande all´infinitamente piccolo, dalle balene ai molluschi, si passa
da una mitologia di morte a una simbologia che richiama la comparsa e la perpetuazione della vita
sulla terra. Nell´isola di Samoa, per esempio, il polpo è un animale sacro, considerato a tutti gli
effetti un dio-creatore, coinvolto nella genesi dell´universo. In Europa certo non si è mai arrivati a
questi estremi, ma, come puntualizza Renè Guenon in "Simboli della Scienza Sacra", seppie e
calamari sono frequentemente ritratti nell´arte micenea come emblema della primigenia apparizione
della vita. Fa eccezione solo la piovra che nelle descrizioni spaventose di Plinio il Vecchio è una
bestia gigantesca con la testa capace di contenere quindici anfore e con i tentacoli nodosi come
vecchi
bastoni.
All’orrido dei calamari giganti fa da contro altare la fascinosa spietatezza dello squalo bianco, ossia
una delle figure centrali nella mitologia marina. Come spiega Herman Melville, al di là dei tanti
particolari fisici e delle tante leggende sulle sue abitudini di caccia, è proprio il colore bianco ad
acuirne la ferocia: "…che cos’altro se non la loro soffice e fioccosa bianchezza li rende quegli
orrori ultraterreni che sono? è quella bianchezza spettrale che impartisce una bonarietà così
orrenda…".
Se il bianco dello squalo è sinonimo di spietatezza, i colori dell´ippocampo, più comunemente
conosciuto come cavalluccio marino, hanno al contrario sempre riecheggiato la tenerezza, e non
solo nel mondo infantile. Le leggende ritraggono questo pesciolino come salvatore caritatevole di
tante fanciulle cadute tra i flutti, e molti autori latini, da Galeno a Plinio il Vecchio, narrano con
partecipazione le virtù medicali delle polveri da esso ricavate, impiegate in farmacopea per
rimarginare
le
ferite.
L´ondeggiare tra queste credenze a volte truculente a volte solari potrebbe continuare all´infinito,
perchè infiniti sono stati i ricami cuciti dalla fantasia umana attorno alle creature degli abissi. Nel
passato, infatti, era comune a tutti, marinai, filosofi e scrittori, guardare agli abitanti delle acque
elevandosi al di sopra della pura apparenza. Oggi forse non è più così? Certo è più difficile farlo: le
indagini e le osservazioni dei biologi ci hanno svelato molti dei misteri nascosti sotto la superficie
dell´acqua e ormai molti miti ai nostri occhi sono solo semplici storielle. Il fascino del mondo
sottomarino e dei suoi inquilini non è però destinato a tramontare. Non è di sicuro arrivata l´ora del
crepuscolo nell´ambito della fiction, tant´è vero che sia i film per adulti sia i cartoni animati per
ragazzi continuano ad attingere copiosamente dal novero delle creature marine, dividendosi, ora
come in passato, tra l´ammirata narrazione di un universo sommerso e la drammatica rilettura delle
tragedie a esso legate. Solo per citare un paio che di esempi a molti familiari, granchi, gamberi e
delfini sono i simpatici protagonisti della "Sirenetta", una delle ultime produzioni disneyane, mentre
lo squalo è il sanguinario pesce assassino al centro del film che Spielberg ha ispirato ad alcuni
drammatici
fatti
di
cronaca
occorsi
sulle
coste
statunitensi.
Grande schermo a parte, inoltre, nella vita di ciascuno di noi è probabilmente presente e forte il
ricordo infantile di conchiglie raccolte, di inseguimenti a minuscoli branchi di pesciolini o di fughe
da granchi troppo invadenti. Piccoli eventi, solo semplici frammenti di vacanze passate, ovvio, dai
quali però nasce spesso la voglia di visitare isole, fondali e acquari per continuare a sognare i colori
e le forme del variegato mondo sottomarino. A occhi aperti naturalmente.
Altri miti legati all’acqua
1) Glauco e Scilla
Nelle Metamorfosi Ovidio racconta la tragica storia dell'amore di Glauco per la bella Scilla. Glauco
era un pescatore della Beozia, forse il figlio di Poseidone, il dio del mare. Un giorno, mentre si
riposava, si accorse che uno dei pesci che aveva pescato, a contatto con l'erba di un prato vicino, era
ritornato
in
vita
e
si
era
rituffato
fra
le
onde.
Attirato dagli enormi poteri di questa erba ne mangiò e sentì una fortissima passione per la vita
marina: abbandonò la terra trasformandosi in una creatura divina, un nuovo dio del mare.
Scilla era una fanciulla bellissima e corteggiata che, però, respingeva ogni suo pretendente.
Appena Glauco la vide, mentre si rinfrescava in una caletta d'acqua, se ne innamorò, ma Scilla fuggì
rifiutandolo,
come
aveva
fatto
con
gli
altri.
Glauco chiese aiuto alla maga Circe affinché preparasse un filtro d'amore per conquistare la bella
fanciulla. Ma la maga, si invaghì di lui e, vistasi rifiutata, decise di vendicarsi su Scilla.
Con erbe malefiche preparò una pozione e recitò un sortilegio con cui infettò le acque della caletta
dove la giovane era solita riposarsi. Quando Scilla si immerse nelle acque si trasformò in un orribile
mostro con sei teste e cani latranti che le spuntavano dai fianchi. Condannata a vivere in quell'antro,
da quel giorno terrorizzò e uccise i naviganti che di lì transitavano.
Glauco disperato per il destino dell'amata fuggì, ma si rifiutò di unirsi a Circe che si era così
crudelmente vendicata della fanciulla, sua inconsapevole rivale.
2) La leggenda di Kea
In Oriente la balena è associata al concetto di divinità e di aiuto per la popolazione.
In Giappone, ad esempio, era considerata una delle cavalcature del dio del mare. In Vietnam le sue
ossa sono venerate come amuleti, perché l'animale è considerato una divinità del mare che guida le
barche,
aiutandole
a
salvarsi
dai
naufragi.
In Islanda, poi, è vista anche come una guida per la pesca (attività fondamentale per il
sostentamento della popolazione), al punto che molestarla era proibito dalla legge.
La leggenda di Kea si inserisce in questo filone interpretativo. Il giovane Kea viaggiò nel ventre di
uno squalo sino all'isola di Vanoi, isola che egli scoprì popolata solo da donne, le quali procreavano
fecondandosi
con
radici
che
crescevano
lungo
il
mare.
Kea dapprima si nascose, e in seguito rivelò la sua presenza solo a Hina, la capotribù, di cui finì per
diventare l'amante. Il loro amore continuò di nascosto dalle altre donne dell'isola. Quando Hina gli
disse che per partorire le donne morivano per mano di due divinità venute dal bosco, Kea le spiegò
il modo in cui far nascere figli senza conseguenze per la madre e da allora le donne diedero
normalmente
alla
luce
i
loro
figli.
Un giorno Hina e Kea si resero conto che stavano invecchiando; la donna gli disse allora di
immergersi nell'acqua secondo un rituale che li avrebbe fatti ringiovanire… ma mentre Hina tornò
giovane, il rito non ebbe alcun effetto su Kea. Resosi conto che egli sarebbe invecchiato sempre più,
al contrario della sua compagna, decise di far ritorno alla sua isola.
Hina chiamò allora suo fratello Tunua-nui, ovvero Grande Balena, affinché lo trasportasse fino a
casa. Ma giunti lì il cetaceo si arenò e fu preda degli indigeni che lo uccisero e lo mangiarono.
In seguito Hina diede alla luce il figlio di Kea. Il ragazzo, una volta cresciuto, chiese di poter andare
alla ricerca del padre e la madre glielo concesse, facendolo accompagnare da suo fratello minore,
Tunua-iti,
cioè
Piccola
Balena.
Il ragazzo fu così trasportato nell'isola paterna. Gli indigeni provarono nuovamente a catturare il
cetaceo, ma Piccola Balena riuscì a non arenarsi e, anzi, trascinò gli indigeni in mare e li fece
annegare, vendicandosi così della morte del fratello.
3) La nascita di Afrodite
Tutti sono concordi nell'affermare che Afrodite, dea dell'amore e del desiderio, emerse nuda dalla
spuma del mare. Alcuni ritengono che nacque dalle onde fecondate da Urano, dopo che Crono
l'aveva gettato in mare; altri pensano invece che Zeus la generò in Dione (signora della quercia del
cui oracolo il padre degli dei s'impadronì) e che fu figlia dell'Oceano e della dea del mare Teti,
oppure
dell'Aria
e
della
Terra.
Cavalcando una conchiglia Afrodite giunse dapprima all'isola di Citera, centro di scambi dal quale
il suo culto si diffuse in tutta la Grecia; in seguito, pensando che l'isola fosse troppo piccola per
contenere la sua bellezza, attraversò il Peloponneso e finì per stabilire la sua residenza a Pafo,
nell'isola di Cipro, dove da sempre è situata la sede principale del suo culto
Là ogni primavera le sue sacerdotesse si bagnavano nel mare e ne riemergevano vergini. Su una
gemma ritrovata nella grotta Idea si vede incisa la dea cretese che soffia in una conchiglia, con un
anemone di mare accanto all'altare: il riccio e la seppia erano sacri per lei. Si dice poi che i fiori
sboccino là dove Afrodite posa i piedi, e che la dea voli nell'aria accompagnata da stormi di passeri
e tortore.
4) Il mito di Poseidone
Dopo aver deposto il padre Crono, i tre dei Zeus, Ade e Poseidone estrassero a sorte delle tessere da
un elmo per decidere su quale parte dell'Universo ognuno avrebbe esercitato il suo dominio:
stabilito che la terra appartenesse a tutti, a Zeus toccò il cielo, ad Ade l'oltretomba, a Poseidone il
mare. Quest'ultimo costruì uno splendido palazzo subacqueo al largo di Egea, in Eubea, nel quale
oltre a lui avrebbero dimorato i cavalli bianchi dagli zoccoli di bronzo e dalle criniere d'oro che
tiravano il suo cocchio (all'apparire in superficie del Dio le tempeste si placavano e mostri marini
emergevano dalle onde per fargli da scorta). Cercando una moglie che si trovasse a suo agio negli
abissi, Poseidone corteggiò la ninfa Teti, ma in seguito seppe da una profezia che il futuro figlio
(Achille, il cui padre fu poi Peleo) sarebbe diventato più famoso di lui, e rinunciò. Prese quindi in
sposa Anfitrite, un'altra ninfa, ma al pari di Zeus con Era fece soffrire molto la propria moglie con
continui tradimenti (ebbe a turno come amanti svariate dee, ninfe e donne mortali). Ma di
Poseidone non si ricordano solo le gesta amorose, bensì anche e principalmente la sua avidità di
assicurarsi sempre maggiori spazi. Questa lo spinse un giorno ad avanzare pretese sull'Attica (il Dio
del mare scagliò il suo tridente nell'acropoli di Atene e si dice che quando soffia il vento del Sud si
possa udire il remoto fragore della risacca). Questo portò a una contesa con Atena per il possesso
della città: gli dei stabilirono (per un voto solo, e Zeus si astenne) che la città dovesse spettare alla
dea guerriera, e questo rese furioso Poseidone che più volte in seguito cercò di espropriare territori
ad altri dei (si ricordano, per esempio, gli scontri con Zeus per Egina, con Dioniso per Nasso, con
Elio per Corinto). Proprio per questa sua aggressività il Dio del mare è solitamente rappresentato
come cupo e litigioso, avido e prepotente.
5) Il mito di Atlantide
Atlantide era chiamata la terra governata dal gigante Atlante, un regno immenso emerso dalle acque
che si estendeva ad ovest delle Colonne d'Ercole fino a un continente sconosciuto agli antichi. Il
popolo che nacque insieme ad essa canalizzò e coltivò un'enorme pianura centrale, irrigata dalle
acque delle colline che la cingevano da ogni lato salvo per un breve tratto aperto verso il mare. Su
ordine del re Atlante furono costruiti poi palazzi, terme, templi, e molte guerre furono combattute
non solo contro i popoli del continente occidentale ma anche contro quelli dell'Est, fìno alle terre
d'Egitto e d'Italia. Gli Egiziani dicono che Atlante fosse figlio di Posidone e che le sue cinque
coppie di fratelli gemelli giurassero lealtà al dio del mare sul sangue di un toro sacrificato. I Greci
non accennano a questo, ma ricordano che per generazioni i governanti riuscirono ad amministrare
con saggezza le enormi quantità d'oro e d'argento di cui il continente nato dalle acque disponeva.
Venne però un tempo in cui il carattere umano si fece largo in loro: Atlantide divenne il regno
dell'avidità, e Zeus ordinò che il continente e i suoi abitanti fossero colpiti dalla pena più crudele.
Un diluvio di dimensioni apocalittiche s'abbattè sulla terra emersa, e questa in un giorno e una notte
sprofondò fino a ritornare negli abissi.
6) La tragica storia di Lorelei
La storia di Lorelei è un'invenzione moderna dello scrittore tedesco Clemens von Brentano. Egli
affermava che derivasse da una leggenda antichissima di cui però non si hanno tracce.
La leggenda sarebbe associata a una rupe che si trovava sul fiume Reno. Lei in alto tedesco
significa infatti "roccia, rupe" Lür indicava che la roccia era fatta a lastroni.
In seguito fu associata all'espressione tedesca Lürenn che vuol dire "guardare all'insù o spiare in
agguato". Numerose sono le storie che si raccontano sui popoli che avrebbero abitato questa rupe,
ma fu von Brentano a inventare la storia di una maga che con la sua voce incantava gli uomini:
Lorelei. Il vescovo locale la fece convocare e scoprì che il suo unico desiderio era morire, per
sfuggire al destino che la spingeva a rovinare gli uomini per vendicarsi dell'amante da cui era stata
abbandonata. Il vescovo decise di farla accompagnare da tre cavalieri in un convento dove la donna
sarebbe stata ospitata. Durante il viaggio, giunta alla sua rupe, chiese ai soldati di poter contemplare
un'ultima volta il Reno. I tre accolsero la sua richiesta accompagnandola sulla rupe. Da lì Lorelei,
visto un battello e credutolo del suo amante, si gettò nel Reno trascinando nella morte anche i tre
cavalieri. Il suo triste destino e la sua storia sono stati ripresi da altri poeti tedeschi e, con alcune
variazioni, anche in un'omonima opera lirica di Alfredo Catalani, rappresentata per la prima volta
nel 1890.
7) Il mito di Danae: pioggia elemento fecondatore
Tra gli aspetti più importanti dell'acqua per la vita degli uomini c'è la sua capacità di fecondare la
terra e fornire il sostentamento indispensabile al nutrimento. Così la pioggia diventa in molte civiltà
il simbolo dell'elemento celeste e divino che feconda i campi donando prosperità. Lo spiega
chiaramente l'I Ching sostenendo che la pioggia è espressione del principio attivo celeste da cui
tutte le manifestazioni cosmiche traggono la loro esistenza. E lo confermano le tradizioni americane
degli Aztechi secondo cui la pioggia è il seme del dio della tempesta Tlaloc.
Uno dei miti più rappresentativi della capacità fertile dell'acqua e del legame tra cielo e terra nella
creazione della vita è quello greco di Danae rinchiusa dal padre Acrisio nella torre più alta della
città per impedire che si avverasse la profezia secondo la quale egli sarebbe stato ucciso dal nipote.
Ma della bella Danae si era invaghito Zeus che per sedurla si trasformo in una sottile pioggia d'oro
che riuscì a penetrare le chiusure ermetiche della torre e a fecondare la fanciulla generandole un
figlio: Perseo che un giorno avrebbe involontariamente ucciso il nonno Acrisia.
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