LABORATORIO SULL’INFINITO Percorso didattico sul tema dell’infinito nella cultura greca DESTINATARI: studenti al termine del terzo anno di Liceo Artistico PREREQUISITI: i contenuti dei programmi di filosofia e di storia dell’arte di terza superiore di un Liceo Artistico OBIETTIVI: proporre un percorso in grado di far emergere la singolarità, la polisemanticità e la significatività del concetto di infinito per la cultura greca. Si ritiene infatti che il concetto classico di infinito sia differente da quello contemporaneo (singolarità), che presenti diverse accezioni non riconducibili ad una (polisemanticità), e che sia indicativo di una concezione del mondo emergente nelle diverse forme della cultura (significatività). A tal fine, si valorizzano le conoscenze di storia dell’arte per sottolineare l’unità della visione del mondo in cui l’arte, la filosofia e la matematica si fondano. MATERIALE Vengono distribuiti agli alunni i seguenti testi: - Aristotele, Fisica, 204 a – 206 a 6. - Plotino, Enneadi, VI, 6, 17; VI, 9, 6. - Platone, Filebo, 24 a – 25 b. La motivazione di tale scelta è dovuta al desiderio di offrire brani esemplari per le concezioni che essi propongono. Vengono proiettate le opere: l’Afrodite Cnidia di Prassitele e il Cavallo di Duchamp-Villon (diapositiva o lavagna luminosa). METODOLOGIA DIDATTICA Il lavoro si articola in quattro parti. PRIMA PARTE Viene letto insieme agli alunni il testo aristotelico, in quanto esemplare e sintetico della concezione di infinito matematico dei greci, alla ricerca di “quali sono le due concezioni che Aristotele delinea di infinito?” e di “quale concezione di infinito rifiuta e quale accetta?”. Penso ad una interazione docente - studente, con domande dell’insegnante che stimolino risposte e con l’evidenziazione dei risultati che via via si acquisiscono, ad esempio scrivendo sulla lavagna le proposte degli alunni. I contenuti fondamentali che devono emergere sono: 1. differenza tra infinito in atto e infinito in potenza e loro chiarificazione; 2. opzione di Aristotele (e dei greci) per l’infinito in potenza e rifiuto dell’infinito in atto. Risulta chiaro che per Aristotele l’infinito non è ciò al di fuori del quale non c’è nulla, come magari oggi possiamo pensare, ma ciò al di fuori di cui c’è sempre qualcosa di più grande o più piccolo e di conseguenza l’infinito rientra per i Greci più nel concetto di parte che in quello di tutto. Si tratta di un concetto essenzialmente negativo che consiste nella non esauribilità di certe grandezze quando vengono sottoposte ad operazioni di composizione-aggiunta e di sottrazione-divisione. Come conclusione può essere portato il paradosso zenoniano di Achille con la domanda “quale infinito è presupposto?”, per esemplificare la concezione di infinito come infinitesimo (posso sempre dividerlo in parti ancora più piccole). Si aggiunge che la matematica successiva non rifiuterà il concetto di infinito in atto: le concezioni greca e moderna sono differenti. SECONDA PARTE Lettura insieme agli studenti dei frammenti di Plotino, con l’intento di far emergere la differenza del concetto di infinito in esame da quella che si era evidenziata dalla lettura aristotelica. I contenuti che devono emergere sono: 1. Il concetto di infinito in Plotino è essenzialmente diverso dall’infinito in potenza prima visto: a differenza dell’infinità del numero che è l’inesauribilità dell’infinito in potenza di Aristotele, si parla di un infinito che è “illimitatezza della potenza”; 2. questo concetto non è matematico, ma teologico e può essere ricondotto alla concezione neoplatonica, che va richiamata; si può aggiungere che avrà influenze sui filosofi successivi. TERZA PARTE Si invitano gli studenti a leggere il passo di Platone e rispondere alle domande: a. “Quali sono le caratteristiche dell’infinito-illimitato del passo?”; b. “Sono in accordo con la concezione matematica di infinito di Aristotele?” Penso che da una buona discussione emerga con facilità che: 1. Il concetto di infinito nel passo non è altro che il corrispettivo metafisico del concetto matematico tradizionale di infinito: l’infinito è “privo di numero e misura”, “suscettibile del più e del meno”, esclude la determinazione, e quindi non può mai essere compiuto, né essere tutto, ma sempre è parte, potenza; 2. Questo concetto è tipicamente greco e si fonda sull’ideale di ordine e misura che i greci ebbero. E’ importante richiamare a questo proposito le conoscenze della visione pitagorica del mondo: la realtà è ordinata secondo rapporti misurabili, per cui il numero è l’essenza del reale. L’infinito in atto rappresenta uno scacco per il loro pensiero (si richiami la crisi subita con la scoperta dell’incommensurabilità del rapporto tra il lato e la diagonale del quadrato). QUARTA PARTE Si riassumono le tre concezioni, matematica, teologica e metafisica, di infinito e si richiamano i caratteri estetici della grecità, a partire dall’osservazione di un’opera d’arte classica (si può proiettare con una lavagna luminosa ad esempio il Doriforo di Policleto, o l’Afrodite Cnidia di Prassitele) messa a confronto con quella di un’epoca successiva (ad esempio una scultura cubista come il Cavallo di Duchamp-Villon). Ci si interroga su: 1. Che cosa rende bella la scultura, per i greci? Si deducono così le caratteristiche di armonia, misura, determinazione, precisione di rapporti: il mondo dell’uomo greco è ispirato all’ordine misurabile e l’infinito è pensabile solo come potenza, altrimenti non sarebbe ordine misurabile; solo il mondo divino può assumere i tratti dell’illimitatezza. Per questo motivo l’infinito matematico e quello metafisico sono pensabili solo come “potenziali”, nell’arte emerge questo ideale di ordine razionale e misura. 2. Quali sono i canoni dello scultore cubista? Per lui, invece, il volume e la massa non occupano più uno spazio preciso, ma tendono a scomporsi e proiettarsi nel vuoto, quasi ad evocare l’indeterminatezza di ogni realtà, con una sorta di abbraccio infinito del reale. Questa concezione è ovviamente impensabile per un greco. Penso che facilmente studenti abituati alla lettura di un’opera d’arte colgano la differenza tra una concezione (estetica ma non solo) legata alla determinazione di ciò che è potenzialmente indefinito e una che tende a oltrepassare nell’infinito la determinatezza delle cose finite. Si conclude affermando che A. Il rapporto tra uomo e infinito (matematico, filosofico, artistico) per i greci era differente da quello contemporaneo: impensabile l’infinito in atto per l’ideale greco di misura come determinazione dell’indefinito e quindi concepibile solo in potenza. B. La concezione matematica di infinito ha avuto notevoli evoluzioni e l’infinito in atto rifiutato da Aristotele è stato pensato ed elaborato dalla matematica moderna; C. La concezione teologica neoplatonica fu ripresa e si rimanda agli anni scolastici successivi (San Tommaso, per esempio); D. La concezione metafisica di infinito della grecità si fonda sulla concezione matematica greca di infinito e, proprio perché indicativa di una visione del mondo, non ha superato i confini della grecità classica (la concezione di infinito proposta da Platone muore con la grecità).