6. DINAMICA RELATIVISTICA 74. RI nello spazio tempo curvo 75. Invariante o no? 76. La simultaneità è relativa 77. Il terzo principio (PAR) non vale più! 78. Le due cariche in moto 79. Quantità di moto e velocità limite 80. La legge dell’angolo retto … 81. … non vale in relatività 82. Il moto circolare uniforme relativistico 83. La quantità di moto relativistica 84. Dall’urto elastico radente in 2D … 85. … all’espressione relativistica di p 86. L’impulso relativistico ed il secondo principio 87. Il “paradosso” del condensatore 88. Le equazioni di Maxwell sono relativistiche! 89. L’energia relativistica (E) 90. L’energia cinetica relativistica (T) 91. L’inerzia dell’energia (1a parte) 92. L’inerzia dell’energia (2a parte) 93. La massa non si conserva negli urti anelatici. 94. La massa non è additiva: la somma delle masse non è la massa totale 95. Decadimento radioattivo 96. Urto totalmente anelastico 88 97. Pressione della luce 98. Diminuzione di massa del Sole 99. Massa del vapor acqueo 100. E=mc2? No, meglio E=mc2! Per concludere … 7. ASTROFISICA E COSMOLOGIA 101. La scala delle distanze: la parallasse 102. La distanza ricavata dalla luminosità 103. La massa delle galassie e la densità di materia 104. La legge di Hubble 105. Il principio cosmologico (PC) 106. Il modello di Universo a curvatura costante 107. Il redshift cosmologico 108. La legge di Hubble come approssimazione 109. La dinamica cosmologica 110. Evoluzione della densità di materia 111. L’orizzonte 112. Universo aperto o chiuso? Il futuro 89 6. DINAMICA RELATIVISTICA 90 74. RI NELLO SPAZIO-TEMPO CURVO Novità importante della RG rispetto alla meccanica newtoniana: il concetto di RI ha significato soltanto locale: non ci si può aspettare che esista un RI “esteso” nello spazio e nel tempo. Consideriamo due RI, in pratica due laboratori in caduta libera: percorrono geodetiche dello spazio-tempo, che non necessariamente si intersecano. Nel caso newtoniano, invece, dato che la definizione di RI NON era LOCALE, questo problema non si poneva. Ognuno dei due “cubetti” rappresenta la PICCOLA (LIMITATA) porzione (4D) di spazio-tempo entro cui il RIF è INERZIALE. Non è necessario che le due geodetiche (linee orarie) si intersechino, ma è possibile che questo avvenga. C’è una parte di spazio-tempo in comune, nella quale entrambi sono inerziali. Se mi metto in questa porzione in comune – limitata – di spaziotempo, posso considerare le trasformazioni da un RI all’altro, vedere quali grandezze sono “invarianti” e quali invece si trasformano, e con che legge. (Ad es. la “composizione” delle velocità, che non potrà essere quella galileiana, a causa del PR, cioè dell’invarianza di c) Questa parte, la dinamica relativistica, è storicamente detta “ristretta” (RR), ma vedremo che è perfettamente integrata in quella “generale” (RG), vista finora. 91 75. INVARIANTE O NO? N.B. “Costante del moto” ed “invariante” hanno significati diversi! Due fisici eseguono esperimenti nei loro laboratori (RI) e annotano i risultati sui loro taccuini. Sulla base del PR, quali delle seguenti grandezze (o leggi) devono necessariamente essere uguali quando vengono misurate (o scoperte) nei due RI e quali no? 1) Valore numerico (unità SI) della velocità della luce nel vuoto; 2) Velocità di una pallina da tennis; 3) Carica dell’elettrone; 4) Massa dell’elettrone; 5) Massa della pallina da tennis; 6) Velocità dell’elettrone; 7) Intervallo di tempo tra due eventi A e B, esterni ai laboratori; 8) Legge d’inerzia; 9) Secondo principio della dinamica; 10) Terzo principio della dinamica; 11) Quantità di moto; 12) Forza; 13) Energia cinetica; 14) Campo elettrico; 15) Teorema di conservazione della quantità di moto; 16) Teorema di conservazione dell’energia Vedremo che, con opportune ridefinizioni di alcune grandezze, i principi restano gli stessi, pur di enunciarli adeguatamente. 92 76. LA SIMULTANEITÀ È RELATIVA Consideriamo un treno che percorra, a velocità costante, un binario rettilineo. A metà del treno si trova una sorgente luminosa, che invia un impulso in entrambe le direzioni: verso la testa A e verso la coda B del treno. Consideriamo i diagrammi orari nel RI che accompagna il treno (T) e nel RI della stazione (S). Gli eventi rilevanti sono: P = partenza dei segnali QA =arrivo del segnale in A QB = arrivo del segnale in B Al solito, si scelgono opportunamente le unità in modo che la velocità della luce sia unitaria. Nel RI “T” gli eventi QA e QB sono simultanei, dato che P è equidistante dalle due rette verticali, che sono le linee orarie di A e B. Nel RI “S” il treno viaggia verso destra con velocità costante, perciò le linee orarie della testa e della coda sono rette inclinate (>45°), tra loro parallele. L’evento P ha ancora luogo a metà strada tra A e B, la luce viaggia alla stessa velocità, e perciò QA e QB non sono simultanei. 93 77. IL TERZO PRINCIPIO (PAR) NON VALE PIÙ! Supponiamo che, nel RI “K”, valga, istante per istante il terzo principio (di “azione e reazione”, PAR). Le due particelle A e B, che si muovono rispettivamente lungo le traiettorie A e B, interagiscono agli istanti t1 e t2. In generale, le forze dipendono dal tempo, se non altro perché dipendono dalla distanza, che cambia nel tempo. In un altro RI, “K”, gli eventi A1 e B1 non sono più simultanei, per esempio A1 potrebbe essere simultaneo con B2, perciò in K’ le forze d’interazione sono diverse: il PAR non vale più, in relatività! Qual è l’ipotesi, sottintesa al PAR, che non regge più? È l’idea newtoniana che le azioni a distanza siano ISTANTANEE e questo è in aperto contrasto con l’esistenza di una VELOCITÀ LIMITE. Ogni azione è mediata da un campo, che si propaga a VELOCITÀ FINITA. 94 78. LE DUE CARICHE IN MOTO È un esempio, “non relativistico”, in cui il PAR NON VALE. Sia la particella A che la B sono cariche positivamente e, all’istante t, si muovono con le velocità v A v A xˆ e vB vB yˆ La carica A produce, nel punto B, un campo elettrico, diretto lungo l’asse x (verso positivo). Inoltre, la carica A, muovendosi, genera un campo magnetico, ma che in B è nullo. Quindi, la forza esercitata dalla A sulla B è solo lungo l’asse x: FAsuB FAsuB xˆ La carica B produce, in A, un campo elettrico, diretto lungo l’asse x, in verso negativo. La carica B genera, inoltre, un campo magnetico in A, diretto come l’asse z (uscente); quindi una forza (di Lorentz) diretta come – ŷ sulla A. In definitiva, la forza esercitata dalla B sulla A ha anche una componente lungo y: FBsuA FAsuB 95 79. QUANTITÀ DI MOTO E VELOCITÀ LIMITE Abbiamo visto che il 3° principio (PAR) non vale più. Vediamo che succede al 2° principio, nella forma F ma . Se valesse, applicando una forza costante, si otterrebbe un’accelerazione costante, cioè la velocità aumenterebbe oltre ogni limite: questo sappiamo che non è vero sperimentalmente. Film PSSC “La velocità limite”: viene fornita ad un elettrone un’energia crescente (V d.d.p.) e si misura la velocità raggiunta. La parabola tratteggiata rappresenta il caso “classico”, mentre i dati sperimentali hanno un evidente asintoto orizzontale, in corrispondenza di v=c. DUNQUE, NON È VERO CHE F ma ! Inoltre, non vale più la legge di trasformazione galileiana delle velocità: v' v u u = velocità relativa Neppure l’energia cinetica T e la quantità di moto p possono avere la forma classica, perché allora v T , senza alcun limite. VOGLIAMO SALVARE I TEOREMI DI CONSERVAZIONE, PERCIÒ dp OCCORRERÀ RIDEFINIRE P , T E F . dt 96 80. LA LEGGE DELL’ANGOLO RETTO … fig. 1 fig. 2 Si tratta dell’urto elastico di due masse uguali. Sistema isolato. Il RI C è quello del centro di massa, quello F è quello in cui la massa 2 è ferma, prima dell’urto (fig. 1) Faccio le seguenti ipotesi: p è un vettore parallelo a v ; per una particella di data massa, il suo modulo è funzione (crescente) solo del modulo delle velocità, e si annulla per v=0; nell’urto, la quantità di moto totale si conserva; per una particella di data massa, l’energia cinetica T è funzione (crescente) del modulo della velocità, e si annulla per v = 0; in un urto elastico, l’energia cinetica totale si conserva; In C ptot o p'tot Anche senza sapere la relazione tra p e v , questo basta per dire che v1 v2 e v '1 v ' 2 (cons. di p ) anche che v1=v’1 (cons. di T) In F ptot p1 (dato che v2 o ) dunque p1 p' 2 p' 2 Se T p2 , allora p1 p' 2 p' 2 e l’angolo tra p'1 e p' 2 è retto. 2m 97 81. … NON VALE IN RELATIVITÀ Sperimentalmente, questo non è vero (elettroni in camera di Wilson): l’angolo è acuto. Problema: come si passa dal RI C al RI F? In F la 2 è ferma mentre in C si muove con velocità v 2 , quindi la velocità di F rispetto a C è v 2 , quella di C rispetto ad F è v2 v1 . Se voglio conoscere le velocità in F a partire da quelle in C, devo sapere COME SI TRASFORMANO LE VELOCITÀ DA UN RI ALL’ALTRO! N.B. Non “si compongono”, non è detto che si sommino! La fig.2 mostra la COMPOSIZIONE GALILEIANA DELLE VELOCITA’ (SOMMA): v '1 F v '1 C v1 C etc… SI OSSERVA CHE L’ANGOLO TRA v '1 F e v ' 2 F E’ RETTO. MA SAPPIAMO CHE QUESTA LEGGE NON È VERA SPERIMENTALMENTE INOLTRE SAPPIAMO CHE ESISTE UNA VELOCITÀ LIMITE E DUNQUE: v ' v u p mv T 1 2 mv 2 T p2 2m RIASSUMENDO: Il PI vale in tutti i RI Dato che la simultaneità è relativa, il PAR non vale Dato che esiste una velocità limite, le velocità si trasformano in modo diverso da quello galileiano La legge dell’angolo retto non vale, perciò, anche in conseguenza del punto precedente se vogliamo che valgano ancora le conservazioni di p e di T, dobbiamo definirle diversamente. 98 82. IL MOTO CIRCOLARE UNIFORME RELATIVISTICO Una particella si muove di moto circolare uniforme. Note F e p, calcolare il periodo, senza conoscere l’esatta espressione di p in funzione di v. Per ipotesi si sa che p // v e che nel m.c.u. anche il modulo di p come quello di v resta costante Dalla similitudine dei triangoli in figura si ha: p v :p : v Passando agli infinitesimi e ricordando t t che dp vp dv v2 p a , si ottiene dt r dt r Ma dp 2 F e dunque F p p dt T T 2 p F Per un elettrone in moto in un campo magnetico ortogonale alla traiettoria avremo F=evB da cui p=eBr. Ecco perché, per accrescere p si aumenta r: acceleratori sempre più grandi (ma anche per ridurre la potenza perduta per irraggiamento che, a parità di p, va come r-2) Dall’esistenza di una velocità limite, anche il periodo tende ad un valore limite 2r e quindi anche la frequenza degli impulsi (che danno l’energia) deve c c crescere fino ad un limite costante : “sincrotroni”. 2r T 99 83. LA QUANTITÀ DI MOTO RELATIVISTICA Resta il problema di trovare per p un’espressione che sia compatibile con i seguenti requisiti: 1) deve conservarsi negli urti (sistema isolato) 2) per “piccole” velocità, deve ridursi a p mv Quest’ultimo è detto “principio di corrispondenza”, nato con la meccanica quantistica: si richiedeva che la nuova meccanica dovesse riprodurre quella classica al limite in cui la costante di Planck diventa trascurabile (sistemi meccanici con azione >>h). Nel nostro caso, il parametro che definisce il caso limite è la velocità del corpo: se v<<c, gli effetti relativistici sono trascurabili. dr Si può dimostrare che p m , inoltre è ampiamente verificata da numerose d prove sperimentali dr Per v<<c, allora dr si riduce a dt e si ottiene p m mv dt massa m: è quella misurata con la meccanica newtoniana, a piccole velocità. Ad es: la m dell’elettrone viene ricavata dalle misure di “e/m” (Thomson) e “e” (Millikan), ed in entrambi i casi la velocità è “piccola”, rispetto a c. LA MASSA È INVARIANTE, COME LA CARICA DELL’ELETTRONE E COME c dy dx dz ; py m e pz m d d d mv In componenti cartesiane p p x xˆ p y yˆ p z zˆ con: p x m ( r x xˆ y yˆ z zˆ ) anche : p m dr dr dt m mv d dt d 100 1 v2 c2 84. DALL’URTO ELASTICO RADENTE IN 2D … Urto elastico tra due RI “A”: quello del centro di particelle di uguale massa massa v1A v1' A v2A v2' A (m1=m2=m), A A ptot p'tot o studiato in tre diversi RI “B”: quello in cui la RI. L’angolo deve particella 2 ha nulla la essere “piccolo”: urto componente “radente”. vx>>vy nei velocità (B “accompagna” tre RI la particella 2 lungo l’asse x della x) p2B mv2B p1B ? (*) Dall’ipotesi 2 (principio di corrispondenza) deve discendere che p e v devono essere paralleli ed equiversi (*), ad ogni t. Inoltre l’ipotesi di urto RADENTE implica che in B la velocità della 2 sia “piccola”: la supporremo non relativistica, in modo da poter usare l’espressione newtoniana p2B mv2B mv2By yˆ RI “B” p2 y 2mv2 y p2 y mv2 y ; p' 2 y mv2 y ; avremo perciò p' 2 x p2 x o p2 x Dall’ipotesi 1 (conservazione di ptot ) p1 y p2 y 2mv2 y e p1x p2 x o , da cui, tenendo conto di (*), p1 y p'1 y mv2 y e p1x p'1x ? Naturalmente, non conosciamo ancora l’espressione di p1 in funzione di v1 : è proprio *quella* che vogliamo trovare! Seguiamo il moto della particella 1 per un intervallo di tempo t1 dopo l’urto, mentre Nel si sposta di s1: v1 y p v y s s y1 s ; v1 1 ; 1 y 1 y 1 e dunque p1 p1 y 1 mv2 y 1 . p1 v1 s1 y1 t1 t1 y1 Se y2 è la componente y dello spostamento s2 fatto dalla particella 2 in un intervallo di tempo qualsiasi t2; allora v2 y y2=y1, si ottiene: s1 s t t m 1 ; 1 mv1 1 * t 2 t1 t 2 t 2 t Calcoliamo ora il rapporto 1 [t1? t2 !] t 2 * p1 m 101 y 2 . Se scegliamo t2 in modo che t 2 85. … ALL’ESPRESSIONE RELATIVISTICA DI p Dato che gli intervalli di tempo t1 e t2 sono misurati nel RI “B”, li indichiamo con t1B e t 2B rispettivamente, e allo stesso modo v1 v1B e v2 v2B c Allora, per ciascuna delle due particelle, si ottengono le seguenti espressioni per i tempi propri (che, ricordiamo, sono i tempi segnati nei RI in cui le particelle sono in quiete): 1 t B 1 v 1 B 2 1 2 c e 2 t B 2 v 1 B 2 2 2 c t 2B (dato che v 2B <<c) Nel RI “C” i ruoli della 1 e della 2 si scambiano, perciò t1C t 2B ed anche 1 t1C (qui è v1C <<c) da cui si trova che 1 2 in ogni RI, dato che il tempo proprio è invariante. Da questa relazione si ottiene t1B t 2B 1 v 1 B 2 1 2 c e dunque, sottintendendo l’apice B, p1 mv1 1 v2 1 12 c mv1 c.d.d. ed anche: p1 mv1 102 86. L’IMPULSO RELATIVISTICO ED IL SECONDO PRINCIPIO AZIONI e REAZIONI FLUSSO di Q. di MOTO nello schema newtoniano nello schema einsteiniano Come è noto, il teorema dell’impulso e il secondo principio sono equivalenti a dp F dt Dato che, nei casi relativistici, è impossibile misurare indipendentemente la forza (non si può attaccare un dinamometro ad un elettrone!), la precedente relazione viene interpretata come definizione dinamica della forza: la forza diventa una misura del “tasso di trasferimento di quantità di moto tra due corpi”. Quando due corpi interagiscono, si scambiano quantità di moto, eventualmente attraverso l’intermediario di un campo. Il PAR newtoniano viene visto come la manifestazione di un “flusso” di quantità di moto tra due o più corpi: la quantità di moto totale si conserva sempre, ma viene trasferita da un corpo all’altro. La misura di questo trasferimento (quantità di moto trasferita per unità di tempo) è ciò che siamo abituati a chiamare forza. Caso elettromagnetico: le forze possono essere misurate per via indipendente (macroscopico) e si può verificare F dp con F data dalle espressioni classiche dt dell’elettromagnetismo. 103 87. IL “PARADOSSO”DEL CONDENSATORE In realtà, il paradosso è solo apparente. Abbiamo il solito condensatore piano sufficientemente grande, per cui siamo sicuri che il campo E sia uniforme. K Dall’interno del condensatore lancio un elettrone in direzione parallela alle armature, con velocità iniziale v0 . Poiché il campo è uniforme, la traiettoria è una parabola come per i proiettili sulla Terra “piatta”. In particolare vx(t)=v0; t! K’ Nel RI che viaggia con la velocità orizzontale dell’elettrone, il condensatore si muove in senso opposto, con velocità v0 e sulle sue armature si hanno le due correnti i indicate. Il campo E è ancora uniforme, perché dipende solo dalla densità di carica presente sulle armature e questa è ancora uniforme (non ci interessa sapere se è uguale a prima) A causa delle correnti i, compare un campo magnetico B , con verso entrante. In questo RI, l’elettrone è inizialmente fermo, poi inizia a cadere. Con la velocità compare una forza di Lorentz FL qv B , di modulo crescente, direzione parallela alle armature e verso tale da deviare l’elettrone verso sinistra. La velocità orizzontale dell’elettrone, nulla all’inizio, diventa negativa: non è costante! Se si fanno i calcoli esatti, sempre con la meccanica newtoniana, per un elettrone soggetto a campo E e B , entrambi uniformi e ortogonali tra loro, e che parte da fermo, la traiettoria è una cicloide. La componente orizzontale della velocità resta costante oppure no? 104 88. LE EQUAZIONI DI MAXWELL SONO RELATIVISTICHE! Il ragionamento in K’ è ineccepibile: il campo B c’è, la forza di Lorentz pure, perciò v x t NON È COSTANTE NEL TEMPO. Allora, ci deve essere un errore relativamente al RI K. In K si conserva la componente orizzontale della quantità di moto dell’elettrone e non quella verticale, dato che E esercita una forza (“trasferisce quantità di moto”) sull’elettrone. La quantità di moto relativistica lungo x è: p x mvx e, come detto, si conserva nel tempo. In entra IL MODULO DELLA VELOCITA’ v t , perciò, dato che la componente vy aumenta, anche v2 aumenta, 1 v2 1 2 c v2 v2 1 pure, diminuisce e c2 c2 aumenta [(v) è funzione strettamente di v, per v<c] Dato che px resta costante e aumenta, necessariamente vx deve diminuire nel tempo. Il motivo di questo apparente paradosso è che le equazioni di Maxwell sono intrinsecamente relativistiche, perciò non sono compatibili con la meccanica newtoniana. Naturalmente, le correzioni sono di secondo ordine in v/c. 105 89. L’ENERGIA RELATIVISTICA (E) L’energia viene definita in questo modo: E mc 2 dt d Occorre ricavare una relazione importante. Fissato un certo istante di tempo, scegliamo un SC in modo che la velocità sia diretta lungo l’asse x: sarà quindi vy=vz=0, py=pz=0 e p x m dx . d Ricordando che d 2 dt 2 dx 2 e che p x2 p 2 , si ottiene la seguente importantissima c2 relazione E2-c2p2 = m2c4 Il secondo membro è un INVARIANTE (non dipende dal RIF), dunque lo è anche il primo, cioè, studiando la stessa particella in due diversi RI, si troveranno valori diversi (E, p), (E’, p’) per energia e quantità di moto, ma sarà sempre: E2-c2p2=(E’)2-c2(p’)2 In particolare, nel RI di QUIETE della particella, cioè se p=0, si ha E=mc2 : l’energia di una particella ferma è proporzionale alla sua massa. Se p è diverso da 0 allora E= m 2 c 4 c 2 p 2 , che è funzione crescente di p Se p<<mc, lo sviluppo al primo ordine (*) dà: E 2 m2c 2 p2 2m x 2 che dà qualche indicazione sul significato di E [ (*) 1 x 1 .... ] per x<<1 Misurando E e p, è possibile misurare indirettamente la massa, anche se questa non è ferma. Se, misurando E e p, è possibile misurare indirettamente la massa, anche se questa non è ferma. Se, misurando E e p, si ottiene che E =cp, allora la massa è nulla: m=0. Allora, da p ds v 2 2 , con E=cp, si ha v=c, in ogni RI! E c dt c È da notare che tutte le misure saranno affette da incertezze. 106 90. L’ENERGIA CINETICA RELATIVISTICA (T) La relazione E 2 c 2 p 2 m 2 c 4 vale istante per istante, mentre la particella si muove e cambiano da E e p cambiano: la massa è una costante del moto. Differenziando, si ottiene E·dE=c2p dp, da cui, ricordando che p v 2 , che dp=F·dt e E c c2 p che F·dx=dL (lavoro), si ha: dE dp v dp v F dt F dx dL , che ricorda il E teorema delle forze vive: la grandezza E (per ora ancora senza significato fisico!) varia durante il moto, nella stessa misura del lavoro compiuto dalla forza agente sul corpo. La definizione relativistica di T deve ridursi a T=0 per v=0: basta definire T=E‒ mc2, cioè E=mc2+T. Dato che d=dt/, allora E=mc2 e quindi anche: T=mc2(–1) Verifica sperimentale: film PSSC “La velocità limite”. Si accelerano degli elettroni in un acceleratore lineare e si misurano: a) la velocità, dal tempo di volo fra due traguardi (figura) b) l’energia cinetica, dal riscaldamento di un bersaglio in cui gli elettroni vengono frenati. c) È così possibile constatare che l’energia cinetica, misurata per via calorimetrica, coincide con quella ricavata teoricamente dalla velocità. d) Altre verifiche sperimentali: nella fisica delle alte energie, misurando gli angoli di “scattering” (diffusione elastica delle particelle) è possibile verificare che energia e quantità di moto si conservano. 107 91. L’INERZIA DELL’ENERGIA (1a parte): UN ESPERIMENTO CON I PROIETTILI Nel settembre 1905 Einstein pubblicò un articolo di tre pagine dal titolo “L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?”. È la scoperta di quella che poi verrà spesso chiamata, assai impropriamente, “equivalenza massa-energia”, che è un’espressione che dà adito a numerosi equivoci. Il ragionamento, che è solo uno dei numerosi proposti da Einstein, anche in seguito, ha come conseguenza logica appunto l’inerzia dell’energia. Su un oggetto di massa M vengono sparate due masserelle m. Nel RI “K’ la M è ferma e le due m hanno velocità uguali in modulo e direzione e opposta in verso. Nel RI “K” M ha velocità v, mentre i due proiettili hanno velocità oblique di uguale modulo u, la cui componente verticale è u’ e quella orizzontale è v (siamo in meccanica newtoniana). In “K’” i due proiettili restano “incastrati” nel blocco M: urto totalmente anelastico. All’inizio il blocco è fermo e la ptot è o , anche dopo l’urto il blocco+proiettili sta fermo (massa M+2m). In “K” la quantità di moto totale, prima dell’urto, ha componente nulla in verticale, pari a Mv+2mv=(M+2m)v verso destra. Abbiamo due modi per prevedere quello che succede in K: A) dalla conservazione della quantità di moto in K, bisogno che la velocità del blocco+proiettili, di massa M+2m, sia ancora v. B) dato che K’ e K sono entrambi RI: se in K’ il blocco+proiettili resta fermo, allora in K dovrà essere ancora v, come prima. Tutto “quadra” bene. Vediamo cosa succede in un altro caso. 108 92. L’INERZIA DELL’ENERGIA (2a parte): UN ESPERIMENTO CON LA RADIAZIONE Si tratta dello stesso esperimento, salvo che, invece di sparare due proiettili di massa m, si fanno arrivare sulla massa M due “pacchetti” di radiazione e.m., di energia ’ e quantità di moto ’/c (la quantità di moto della radiazione è conseguenza delle equazioni di Maxwell: elettromagnetismo “classico”) Anche in questo caso, M è “nera” cioè completamente assorbente. Nel RI “K’” i due pacchetti di radiazione portano quantità di moto ’/c, ma in versi opposti. Quando vengono assorbiti da M, la quantità totale resta nulla e M resta ferma. Nel RI “K” l’energia dei fotoni è (diversa da ’ per effetto Doppler e =h) e la quantità di moto /c, la cui componente orizzontale è c sen . La quantità totale, verso destra, è perciò Mv 2 sen . c E dopo? Ragioniamo come prima, in due modi: A) dalla conservazione della q. di moto in K, se la velocità finale di M è v f si ha: M f v f Mv 2 sen c B) se in K’ il blocco resta fermo, in K si muoverà con velocità v? vf=v? Mv Mv 2 sen per 0 è impossibile! c DOV’È L’ERRORE? FORSE È NELLA CONSERVAZIONE DELLA MASSA? (Ma ci voleva Einstein per pensarci!) 109 93. LA MASSA NON SI CONSERVA NEGLI URTI ANELASTICI Scriviamo dunque M f al posto di M, dopo l’assorbimento. Dato che B vale ancora, vf=v e ottengo Mf M 2 Resta da calcolare . Pensando sen c v all’orologio a luce, è evidente che x x x v sen 2 2 , dove t è, al solito, l’intervallo di tempo impiegato ct ct c d 2 dall’impulso luminoso per percorrere la distanza LSR, misurato nel RI rispetto al quale l’orologio si muove con velocità v v x ). Dunque, sen e quindi: c t Mf M 2 c 2 Ma 2 è proprio l’energia assorbita dal blocco (cioè ceduta dai due pacchetti di radiazione), cioè 2=E. Allora: M 1 E c 2 ossia l’aumento di massa è proporzionale all’aumento di energia (interna!): INERZIA DELL’ENERGIA. Se la velocità della massa M è nulla, allora =1 e quindi (RI K’!) la variazione di massa è: M 1 E c2 UN CORPO FERMO ACCRESCE LA SUA MASSA QUANDO ASSORBE ENERGIA, RESTANDO FERMO. Inoltre, in K: E=2=c2M, mentre in K’:E’=2’=c2M, da cui: = ’ legge di trasformazione dell’energia del pacchetto in moto trasversale rispetto a v . 110 94. LA MASSA NON È ADDITIVA: LA SOMMA DELLE MASSE NON È LA MASSA TOTALE DECADIMENTO DEL MESONE K0: K0 → + + La massa del K0 è 498 MeV/c2 (1 eV=1,6·10-19 J), quella di ogni pione è 140 MeV/c2. Quando il K0, che era fermo, sparisce e nascono i due pioni, parte della massa sembra “sparire”, nel senso che la somma delle masse finali è minore della massa iniziale. La somma delle masse non si conserva, ma l’energia sì. mKc2=2 mc2 (i due hanno stessa v) mK=2 m >1 perché i si muovono: mK>2m, mentre il K0 era fermo L’ENERGIA SI CONSERVA L’ENERGIA È UGUALE A Mc2 (=1 se v=0) NUCLEO DI ELIO (PARTICELLA ) La massa della particella è minore di 28 MeV (lo 0,7%) della somma delle masse dei suoi costituenti (2 protoni e 2 neutroni) Questo “difetto di massa” è l’energia di legame, dovuta alle forze nucleari, che sono attrattive: quando il sistema è legato, la sua energia complessiva è minore di quella delle particelle separate, e quindi è minore anche la sua massa. GAS NEL RECIPIENTE CHIUSO Al contrario di prima, il sistema non è legato: c’è energia cinetica ma non c’è apprezzabile energia potenziale (negativa!) La massa complessiva del gas è maggiore della somma delle masse delle molecole, perché ognuna di loro ha un’energia Ei=mc2i e i > 1 SINTESI DELL’ACQUA In un recipiente chiuso con idrogeno e ossigeno, viene innescata la reazione chimica. L’energia di legame si trasforma in altra energia di legame ed energia cinetica delle molecole di vapore (la reazione produce molto “calore”): se il recipiente è termicamente isolato, l’energia, e quindi la massa, è costante. 111 95. DECADIMENTO RADIOATTIVO Problema 7.8 da Taylor-Weeler “Fisica dello spazio-tempo” Nucleo razzo Nel riferimento del laboratorio la particella A, in quiete, decade nella particella C e D, che si muovono in versi opposti mA=20 u mC=2u mD=? EA=? EC=5 u ED=? PA=0 PC=? PD=? E2=p2+m2 ? EA= 20 u si conserva l’energia EA=EC+ED ? ED=15 u p2=E2-m2 ? pC= 21 u si conserva la quantità di moto p A pC p D ? pD = pC = 21 u m2 = E2 - p2 ? mD ˜ 14 u la massa non è additiva: mA = 20 u mC + mD 16 u mA > mC + mD 112 96. URTO TOTALMENTE ANELASTICO Problema 7.9 da Taylor-Weeler “Fisica dello spazio-tempo” Urti appiccicaticci Nel riferimento del laboratorio la particella A e la B si urtano formando la C, in quiete. mA = 2 u mB = ? mC = 15 u EA = 6 u EB = ? EC = ? PA = ? PB = ? PC = 0 E2 = p2 + m2 ? EC = 15 u EA + EB = EC ? EB = 9 u p2 = E2 - m2 ? pA = 4 2 u p A p B pC ? pB = pA =4 2 u m2 = E2 - p2 ? mB = 7 u mA + mB = 9 u mC = 15 u mA +mB < mC 113 97. PRESSIONE DELLA LUCE Problema 8.3 da Taylor-Weeler “Fisica dello spazio-tempo” a) calcolare la forza esercitata su una mano da un fascio di luce emesso da una torcia elettrica da 1 W e paragonarlo al peso di una massa fotone E2=p2c2 p E c F p E P0t 1W 3 10 9 N è il peso di una 8 1 t ct c 3 10 ms particella di massa 3·10-10 Kg: non si sente! b) L’energia luminosa proveniente dal Sole penetra negli strati più elevati dell’atmosfera al ritmo di 1372 W per ogni metro quadrato di area disposta perpendicolarmente alla radiazione incidente (costante solare). Calcolare la pressione della luce solare su un satellite della Terra, sia con superfici riflettenti, che assorbenti, che reali, cioè intermedie. Perché il colore della luce non fa differenza? F pot 1372W m 2 4,6 10 6 Pa (assorbimento completo) (la pressione pressione = 8 1 A cA 3 10 ms atmosferica è circa 105 Pa) 2p pot 2 t c 6 p2 2 4,6 10 Pa 9 10 6 Pa caso reale (intermedio) 5 10 6 Pa p2 9 10 6 Pa caso superficie riflettente p 2 p F la pressione è determinata dall’energia assorbita per ogni m2, non dal colore c) un satellite sferico in orbita attorno alla Terra ha r=1 m e m=10 3 Kg Supponete che assorba tutta la luce solare che vi incide sopra. Qual è il rapporto tra l’accelerazione del satellite e l’accelerazione g0=9,8 m/s2? Fluce=maluce=p2A aluce= p2 A m 1,6 10 8 2 m s A=area cerchio massimo al=10-9 g0 d) può succedere che particelle minori di una certa dimensione limite siano spinte fuori dal sistema solare dalla pressione della luce solare? Fluce 1 r2 pot mM 1 AG 2 Fg r a v i t à 2 : la distanza del Sole non importa 2 m R r 4 m v r 3 3 =103 Kg·m-3 M=MS … r ≈10-6 m 114 A r 2 R= 1 UA pot/m2=1372 W·m-2 98. DIMINUZIONE DI MASSA DEL SOLE Il Sole emette radiazione em al ritmo di 4·1026 Js-1 . Calcolare M in un anno. Perché diminuisce la massa del Sole? M J s Energia emessa in un anno E=4·1026 ·3,153·107 s = 1,3·1034 J che corrisponde ad una variazione di massa M E 1,3 10 34 J 1,4 1018 kg 2 c 9 1016 m 2 s 2 M 1,4 1018 kg 10 12 M 2 10 30 kg diminuisce perché 4 protoni si trasformano in un nucleo di elio, formato da 2 protoni e 2 neutroni massa dei 4 protoni: 4·1,67262·10-27 kg = 6,69048·10-27 kg massa del nucleo di He: 6,64648·10-27 kg la differenza è 0,04400·10-27 kg = 4,400·10-29 kg 115 99. MASSA DEL VAPOR ACQUEO Un litro di acqua (liquida) ha massa circa di 1 kg. Se evapora (a temperatura costante) la sua massa cambia? Quanto? Perché? È possibile considerare il calore latente di vaporizzazione, cioè l’energia necessaria per far passare la massa unitaria dallo stato liquido a quello di vapore, in condizioni isoterme. A condizioni normali di pressione, il calore latente di vaporizzazione dell’acqua è 2,253·106 J kg–1 = LV E=LV m=2,253·106 J M= E 2 106 J 10 11 kg c 2 9 1016 m 2 s 2 M=(1+10–11) kg La massa del vapore acqueo è maggiore di quella dell’acqua liquida perché è aumentata l’energia interna delle molecole: l’energia cinetica media di traslazione è rimasta costante, come la temperatura, mentre è diminuita (in valore assoluto) l’energia potenziale dovuta alle forze attrattive, che è negativa. 116 100. E=mc2? NO, MEGLIO E=mc2! E=mc2 è di sicuro la formula più citata e meno capita di tutta la fisica, a causa della m, intesa come m’=m, cosiddetta “massa relativistica”, variabile con la velocità. È molto meglio chiamare m la massa (di “riposo”), che è invariante e caratterizza la particella come la carica, lo spin, etc… Lo stesso Einstein scrisse: <<Non è bene parlare della massa m v2 1 2 c di un corpo in moto, poiché non se ne può dare una definizione chiara. Se si vogliono descrivere le proprietà inerziali dei corpi in moto veloce, è meglio limitarsi alla “massa di riposo” m e dare piuttosto le espressioni dell’impulso e dell’energia>> (riprodotto da Okun in “The concept of Mass”, Physics Today, 49 (1989), p. 31). PER CONCLUDERE … Altre due citazioni di Einstein: <<Ma gli anni di ansiose ricerche nel buio, di intense speranze, l’alternarsi di fiducia e delusione e, infine, l’emergere alla luce: solo chi l’ha provato può capirlo>> (riprodotto da J. A. Wheeler in “Gravità e spazio tempo”, Zanichelli NCS, 1993) <<Dio è inesorabile nel concedere i suoi doni. A me ha dato solamente l’ostinazione di un mulo; no, veramente mi ha anche dato un buon fiuto>>. (Riprodotto da E. Segré in “Personaggi e scoperte nella fisica contemporanea”, Mondatori EST, 1976) 117 7. ASTROFISICA E COSMOLOGIA 118 101. LA SCALA DELLE DISTANZE: LA PARALLASSE PARALLASSE DIURNA Se C è la posizione di un oggetto celeste, allora, nota la distanza AB, dalla misura di 2 2 (piccolo) si può determinare B C da: A B 2 B C sen 2B C ( in radianti) Più esattamente, si chiama parallasse diurna di un oggetto celeste l’angolo . Dato che R = D sen ~ D , si può ricavare D. Per la Luna ≈ 1°; per il Sole ≈ 9”. In questo modo è stato possibile determinare la distanza Terra-Sole, detta unità astronomica UA = 500 secondi-luce ≈ 1,5·1011 m. Ora, le misure sui pianeti si fanno con echi radar (il primo eco-radar dalla Luna è stato ricevuto nel 1946). PARALLASSE ANNUA Nota l’UA=a, è possibile determinare D, ovvero la distanza di una stella vicina , utilizzando la luce proveniente da una molto lontana ’, e misurando l’angolo a distanza di sei mesi, quando la Terra si trova in A e poi in B. Dato che a = D tg ≈ D , da a e si ottiene D. Per tutte le stelle < 1”; il parsec (pc) è la distanza D quando la parallasse annua è 1” 1 pc ≈ 2,06·105 UA≈ 3·1016 m ≈ 3,26 a l Oggi si determina da Terra fino a 102 pc (103 pc dai satelliti), oltre è troppo piccolo per essere misurato in modo attendibile. 119 102. LA DISTANZA RICAVATA DALLA LUMINOSITÀ Luminosità assoluta (o intrinseca) è la potenza totale irradiata. Ad es., la luminosità assoluta del Sole, integrata su tutte le lunghezze d’onda (bolometrica) è 4·10 26 W. L’intensità d’illuminazione I è inversamente proporzionale al quadrato della distanza D: I Lass 4D 2 Luminosità apparente è la luminosità assoluta che ha una stella fittizia, posta ad una distanza convenzionale (10 pc), che illumina con la stessa intensità I. Perciò Lapp 4 10 pc 2 L ass2 4D Lapp 10 pc Lass D 2 Misurando I, si ricava Lapp e quindi D, infatti Lass è nota, conoscendo lo spettro della luce emessa: stelle che emettono luce di uguale distribuzione spettrale hanno la stessa luminosità assoluta. Classe spettrale si ricava dalle righe spettrali, classe di luminosità dall’intensità e dalla forma delle righe. Conoscendo, con la parallasse, la distanza di una stella, si possono ottenere molte altre. Si arriva a 104 pc, dentro la Galassia. Cefeidi sono variabili regolari, le novae sono variabili cataclismiche. Entrambe variano in modo noto la luminosità, e se ne può determinare la distanza. Si arriva a ~50 Mpc, incluso l’ammasso di galassie “della Vergine” e migliaia di galassie. Nelle galassie lontane non si distinguono le singole stelle, perciò si misura la luminosità dell’intera galassia. Si fa l’ipotesi che nei diversi ammassi la galassia più luminosa abbia sempre la stessa luminosità assoluta. Note le distanze nell’ammasso della Vergine, si possono valutare le distanze degli altri ammassi dalla misura della galassia più brillante di ciascuno di loro. Distanza di ~2·10 9 pc ≈ 7·109 aℓ. Le supernovae sono stelle che esplodono, aumentando enormemente la luminosità. Conoscendo la curva di luce, se ne può ricavare la luminosità assoluta e dunque la distanza. Molta incertezza, discordanze anche del 50% tra un metodo e l’altro. 120 103. LA MASSA DELLE GALASSIE E LA DENSITÀ DI MATERIA Massa del Sole MS. Conoscendo rT, raggio dell’orbita terrestre, circolare, e TT, periodo di rivoluzione, si ricava vT 2rT TT mvT2 GM S m rT rT2 MS vT2 rT 4 2 rT3 G GTT2 ottenendo la massa MS=1,99·1030 kg e la densità media 1,4·103 kg/m3. Allo stesso modo per un pianeta con satellite, altrimenti si devono studiare le perturbazioni al moto degli altri pianeti. Massa della Galassia MG. Se si fa l’ipotesi che la Galassia abbia un nucleo centrale massivo e che il Sole sia molto periferico, si usano le stesse formule e si ottiene M G TT M S TS 2 rS rT 3 1,3 1011 Stesso metodo per altre galassie. Conoscendo la massa media delle galassie e il loro numero per unità di volume, si trova la densità di materia dell’Universo: 10-31 g/cm3. MASSA MANCANTE Dalla relazione v 1 r M v2r per diverse stelle di una galassia a spirale, si vede che G ovvero l’andamento tratteggiato della figura (il tratto iniziale crescente è dovuto al fatto che vicino al centro non tutta la massa della galassia produce campo g ). Si trova invece che la velocità è pressoché costante, anche a grandi distanze. Dunque la M non è concentrata, ma cresce come r: materia oscura, non luminosa. Problema ancora aperto. 121 104. LA LEGGE DI HUBBLE Negli anni ’20 si scoprì che la luce di galassie lontane è spostata verso il rosso (redshift cosmologico) e che lo spostamento è proporzionale alla distanza della galassia. A brevi distanze i moti disordinati delle galassie (v~10 3 km/s) producono uno spostamento Doppler (rumore) v 0,003 Per avere un redshift nettamente c superiore, per es., 0,01, occorre andare a distanza > 50 Mpc, ma l’incertezza delle distanze grandi è assai elevata. Il redshift è invece facile da determinare, perché le righe di assorbimento e le loro lunghezze d’onda possono essere paragonate con le misure del laboratorio a Terra: per ogni atomo o ione esse sono ben note. Principio di uniformità delle leggi di natura in tutto l’Universo. e= lunghezza d’onda di una certa riga, misurata in laboratorio r = lunghezza d’onda ricevuta dalla galassia z r e parametro di redshift r e e Tralasciando per ora le velocità alte, il redshift per effetto Doppler è uguale, al primo ordine, a v/c. In realtà, si conoscono oggetti per i quali z>4, e dunque z=v/c è impossibile, occorre tener conto della relatività. Se la causa del redshift è l’effetto Doppler, z~v ma anche, sperimentalmente, z~ distanza d, dunque v~ d v=Hd H = costante di Hubble = (65±13) km s-1 Mpc-1 Il moto di allontanamento delle galassie non significa che siamo al centro dell’universo. Se O è l’osservatore sulla Terra e O1 e O2 su due galassie lontane i triangoli all’istante t=0 e t=t* sono simili: anche da O 1 e O2 si trova la stessa legge di Hubble e si misura la stessa espansione che da O. 122 105. IL PRINCIPIO COSMOLOGICO (PC) Fare un modello cosmologico significa fare ipotesi sulla distribuzione di materia nell’Universo e sulla geometria dello spazio-tempo. Conviene pensare all’Universo come ad un gas, i cui atomi sono le galassie, in moto disordinato e non interagenti fra loro. Si assume che la densità di galassie, e quindi la densità di materia nell’Universo, sia la stessa dappertutto. Principio cosmologico (PC): le proprietà fisiche dell’Universo sono le stesse in tutti i punti dello spazio e in tutte le direzioni; l’Universo è OMOGENEO E ISOTROPO. Legge di Hubble, distribuzione delle galassie e isotropia della radiazione di fondo sono le basi di questa ipotesi. TEMPO L’Universo si espande, perciò la densità di materia diminuisce nel tempo. Che significa? Definiamo nello spazio-tempo una famiglia di ipersuperfici di tipo spaziale, tali che non si intersechino e che per ogni punto dello spazio-tempo ne passi una ed una sola. Parametrizziamo la famiglia con una variabile reale t, e questo è il tempo di cui parliamo. PC: è possibile “fogliettare” lo spazio-tempo in modo che ogni punto della stessa ipersuperficie abbia la stessa densità: ipersuperfici di omogeneità. Isotropia: l’osservatore deve essere fermo rispetto alla materia vicina, ovvero le linee orarie degli osservatori che vedono isotropo l’Universo sono ovunque ortogonali (nel senso della metrica dello spazio-tempo) alle ipersuperfici di omogeneità. Non è banale che esista una ipersuperficie di omogeneità: se lo spazio avesse proprietà diverse nelle varie regioni, non si riuscirebbe a definire la famiglia in modo da avere l’omogeneità. 123 106. IL MODELLO DI UNIVERSO A CURVATURA COSTANTE Se si ammette che la densità di materia è la stessa dappertutto, anche la curvatura dello spazio-tempo sarà la stessa dappertutto. Si intende costanza nello spazio non nel tempo: lo spazio-tempo è quadridimensionale, se consideriamo le sezioni tridimensionali a t assegnato, il PC ci dice che queste sezioni sono a curvatura (tridimensionale) costante, ma a tempi successivi la curvatura cambia. Il raggio di curvatura R(t), detto “parametro di scala”, aumenta col tempo, dato che l’Universo si espande. Uno spazio tridimensionale a curvatura costante può essere euclideo (piatto, k=0, curvatura nulla), sferico (k=1, curvatura positiva) oppure iperbolico (k=-1, curvatura negativa). Per semplicità, pensiamo ad uno spazio bidimensionale: la superficie di una sfera, dove le “rette” (le geodetiche) sono i cerchi massimi. Coordinate polari: se P è il polo, le coordinate sono e , in S2. In S3, spazio sferico 3-dim, c’è la terza coordinata x. Le coordinate polari sono costanti nel tempo: la sfera si “gonfia”, aumenta il raggio, ma gli angoli restano uguali: le coordinate “comoventi” di un determinato punto del “fluido cosmologico” (di una galassia) sono costanti. La distanza QP invece varia: è l’arco di cerchio massimo e misura R. S3 è uno spazio finito, a curvatura positiva. 124 107. IL REDSHIFT COSMOLOGICO E: emettitore R: ricevitore La luce viaggia da E a R lungo la geodetica. Viene emessa all’istante t = t e, quando il raggio è Re, e viene ricevuta all’istante t = tr, quando il raggio è Rr > Re. La distanza ER vale Re prima , e Rr dopo. Se parte un secondo flash da E’, esso verrà ricevuto da R’, perché gli angoli sono uguali.. Il lampo emesso da E’ passa per E all’istante te + te. Dopo essere arrivato in R’, raggiungerà anche R, all’istante tr + tr. Se l’angolo è piccolo, nel tempo te e nel tempo tr il raggio non cambia apprezzabilmente, perciò te = Re /c e tr = Rr /c. Il tempo t, in ogni punto, è il tempo proprio, segnato da un orologio locale; tutti gli orologi sono sincronizzati, dato il PC. Se invece di due flash si pensa ad un’unica sorgente monocromatica, te e tr possono essere i periodi della radiazione alla trasmissione e alla ricezione. I periodi sono proporzionali alle lunghezze d’onda e pure: 1 z t r r Rr t e e Re Rr , dove z è il parametro di red-shift. Interpretazione più profonda che non Re l’effetto Doppler: l’osservazione del redshift cosmologico è la prova che il raggio dell’Universo è cresciuto dal momento in cui la luce è stata emessa al momento in cui la riceviamo. Non c’è affatto l’ipotesi che z debba essere piccolo. Se conosciamo una sorgente per cui z=4, significa che il raggio di curvatura dell’Universo era, all’emissione, 5 volte più piccolo dell’attuale. Nulla si può dire del tempo, finché non si conosce R(t). 125 108. LA LEGGE DI HUBBLE COME APPROSSIMAZIONE Per galassie “vicine” (fino a 108 aℓ) z è piccolo, infatti nel tempo che la luce impiega ad arrivare, il raggio dell’Universo cambia poco: lo supponiamo costante t r t e Inoltre Rr Re z d . c dR t r t e Re R d e dunque Rr 1 R d ma anche Rr 1 z da cui dt Rc Re Rc Re R d v d R H ovvero la legge di Hubble. con H cioè a piccole distanze, il Rc c c R redshift è proporzionale alla distanza, come pure la velocità di allontanamento dovuta all’espansione. Se la funzione R(t) è la curva a tratto intero tracciando la tangente R 1 all’istante attuale t=t0, si vede che il tratto t1 t0 (sottotangente) è uguale a t H R H tempo di Hubble, circa 15 miliardi di anni. Se la curva fosse una retta, ovvero la velocità di espansione fosse costante, tH sarebbe il tempo trascorso dall’istante in cui il raggio era nullo, ma tutto dipende dalla forma di R(t). ESPANSIONE avviene come evoluzione “macroscopica dell’Universo nel suo insieme, ma in dettaglio l’Universo non è affatto omogeneo. Le galassie non si espandono, la Terra neppure. VELOCITA’ La legge della velocità limite della RR vale in un RI, nello spaziotempo piatto, su piccola scala. Lo spazio-tempo dell’Universo è curvo e un RI che copra distanze cosmologiche non esiste. 126 109. LA DINAMICA COSMOLOGICA Per trovare la legge di variazione di R(t) e un’equazione del moto è possibile usare la teoria newtoniana e non le equazioni di Einstein (regioni piccole, moto lento). Isoliamo una piccola sfera (piccola alla scala cosmologica), pensiamola nello spazio vuoto e studiamo il moto di una piccola galassia di massa m al bordo, che si muove sotto la sola azione della forza di gravità prodotta dalla massa interna alla sfera. r accelerazione m r GMm r2 r GM 4 r3 4 2 G rG stessa equazione per 2 3 r 3 r una massa m’ a distanza r’, dato che la densità è uniforme, anche se non è costante nel tempo. Scegliendo una velocità iniziale proporzionale a r, anche gli altri punti si muoveranno con velocità proporzionale a r, e anche l’accelerazione lo è. Conservazione dell’energia: 8 r 2 Gr 2 cos t 3 r velocità 1 2 GMm mr cos t 2 r r 2 GM cos t r Anche se la forza è attrattiva ci può essere espansione, dipende solo dalle condizioni iniziali. EQUAZIONI DI EVOLUZIONE Se scegliamo le coordinate con P al centro della sfera e Q sulla galassia al bordo, allora r=R con costante. Allora si ha 4 RG , che è proprio l’equazione del moto per il raggio R 3 8 3 dell’Universo. Anche R 2 GR 2 cos t k (k=0, +1, -1) dove il valore di k si ricava solo usando le equazioni di Einstein e dipende dal tipo di curvatura R 0 , quindi il grafico di R(t) è concavo verso il basso: Se questo modello è corretto, il grafico incontra l’asse delle ascisse a un’epoca la cui distanza da oggi è minore di t H. Però la RG diventa inapplicabile a tempi in cui R è dell’ordine della lunghezza di Planck LP kG 1.6 10 33 cm , per cui nulla si può dire dell’istante in cui R=0. c3 127 110. EVOLUZIONE DELLA DENSITÀ DI MATERIA Uno spazio tridimensionale a curvatura costante ha volume finito: V=22R3, ovvero V R3. La massa dell’Universo è data in prevalenza dai nuclei degli atomi, ovvero dai barioni (protoni e neutroni), il cui numero si conserva. Perciò la massa totale non cambia, quindi la densità 1/R3 sostituendo con b/R3 si ottiene l’equazione del 4 bG moto R da cui è possibile determinare R(G), se si conoscono le condizioni 2 3 R iniziali a t qualunque. RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA COSMICA Oggi l’Universo è trasparente alla radiazione e.m. quasi dappertutto, ossia non c’è un’interazione apprezzabile tra la radiazione ed il resto della materia. Se il numero 1/R3, con n=numero di fotoni per unità di totale di fotoni n si conserva, allora n volume. L’energia media dei fotoni non si conserva, perché l’energia dipende dalla frequenza e la frequenza cambia - per effetto del redshift – inversamente alla lunghezza d’onda. Dato che energia n R, 1/R e, per la densità di 1/R4 Dunque, per la densità di massa dovuta alla materia barionica si ha b per la densità di massa dovuta ai fotoni: f 1/R3 mentre 1/R4 Oggi f è trascurabile rispetto a b ma per un R abbastanza piccolo la situazione si capovolge: f >b Nel lontano passato gran parte dell’energia era e.m.: è la “palla di fuoco” (fireball) di Gamow. Per ragioni di equilibrio statistico, quella sarà “radiazione nera”, con una distribuzione spettrale data dalla legge di Planck, ed energia data da kT. T <1/R Ai giorni nostri la temperatura è circa 3 K. Previsione nel ’48, scoperta della radiazione di fondo nel 1965, ≈ 3 mm microonde. 128 111. L’ORIZZONTE In un ipotetico Universo a sezioni spaziali euclidee, ed in cui R= a t , quale sarà la relazione redshift-distanza? cdt=ds=Rd= a t d c 2 t a tr te tr c dt c dt d d a t a te t G 2c a tr te 2c Rr Re a2 la distanza dr alla ricezione è d r Rr 2c 2 Re 2c 2 1 2c 2 z Rr 1 2 Rr 1 2 Rr 2 R 1 z 1 z a a a r da cui il parametro di redshift risulta essere z 2c dr dove D 2 Rr2 D dr a si vede che per dr →D z→∞, ossia la distanza D è un orizzonte Re=0 implica che =D/Rr e dr=D inoltre ≤ (antipodo) Rr e 2 2c , cioè esiste orizzonte quando il raggio dell’Universo è piccolo. Questo risultato si riproduce con qualsiasi modello di Universo realistico con cioè 0 cresce con una potenza di t minore di 1 R Nelle prime fasi dell’espansione regioni distanti dell’Universo non si possono vedere, quindi non possono interagire. È questo uno dei motivi che hanno portato a proporre “modelli inflazionari”, in cui si postula la presenza di un qualche campo con proprietà (densità, pressione) diverse dalla materia ordinaria, così che l’espansione iniziale segue una legge diversa 129 112. UNIVERSO APERTO O CHIUSO? IL FUTURO Dividendo per R2 un’equazione del moto si ottiene 8 k R 2 8 k G 2 ovvero H 2 G 2 2 3 3 R R R Conoscendo H e si trova il segno di K. Con i dati attuali k=-1, spazio iperbolico. Altre indicazioni danno k=0, ovvero spazio piatto, ma è difficile da giustificare una situazione tanto regolare a partire dall’esplosione iniziale. Anche per questo si suppongono i modelli inflazionari. Sappiamo inoltre che è dominato dalla materia barionica e che decresce come 1/R3, perciò il primo termine al secondo membro diventa trascurabile rispetto al secondo. Per R→ ∞, dato che H2≥0, è escluso che sia k=1. Dunque se lo spazio è a curvatura positiva R non può crescere indefinitamente; raggiunge un massimo in cui H=0 e poi torna a decrescere, ripercorrendo simmetricamente le fasi percorse durante l’espansione. C’è dunque un legame tra il segno della curvatura e l’evoluzione futura dell’Universo. PROBLEMI APERTI Il PC pone dei problemi teorici → proposta dei modelli inflazionari. Onde gravitazionali, previste dalla RG. Ancora niente con le “antenne gravitazionali” ma prova indiretta, basata sul moto di un sistema binario di stella di neutroni. Termine cosmologico, introdotto (e poi tolto) da Einstein Accelerazione dell’espansione, in contraddizione con R 0 , se ne sa ancora troppo poco. La cosmologia è ancora una scienza giovane, in pieno sviluppo. 130