La politica monetaria della BCE

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Economia Monetaria (Istituzioni)
a.a. 2003-2004
Giovanni Verga - Marco Allegretti
La politica monetaria della BCE(*)
Questi appunti sono parte di uno studio più completo sulla politica monetaria della
BCE. Gran parte del lavoro riflette il contenuto della tesi di laurea di Marco Allegretti.
1
1. INTRODUZIONE
La costituzione del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC)1 è stabilita
dal Trattato che ha istituito al Comunità Europea e dallo Statuto del SEBC ad esso
allegato. Questi gli assegnano anche obiettivi e compiti specifici. Il SEBC,
incorporando tutti i 15 paesi dell’UE, include anche le BCN degli Stati Membri che
non hanno ancora adottato l’Euro. Per agevolare la comprensione di questa struttura e
aumentare il grado di trasparenza, il consiglio direttivo della BCE ha deciso di
adottare il termine “Eurosistema” per indicare l’articolazione con cui il SEBC assolve
i suoi compiti. In particolare questo è composto dalla BCE e dalle sole BCN degli
Stati Membri che hanno già adottato l’Euro (FIGURA 1).
FIGURA 1. SEBC ed Eurosistema.
Banca Centrale Europea
Nationale Bank van Belgie
Banca d’Italia
Deutsche Bundesbank
De Nederlandsche Bank
Banco de España
Banco de Portugal
Banque de France
Suomen Pankki
Central Bank of Ireland
Banca di Grecia
Banque centrale du
Luxembourg
Oesterreichische
Nationalbank
Danmarks Nationalbank
Sveriges Riksbank
Bank of England
Come meglio vedremo in seguito, l’obiettivo primario dell’Eurosistema è
quello di mantenere la stabilità dei prezzi. Una volta raggiunto questo, esso sarà
tenuto anche a sostenere le politiche della Comunità Europea (sempre che queste
ultime non compromettano il primo). Il Trattato non si limita però a determinare gli
1
E’ un’istituzione formata dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dalle Banche Centrali Nazionali (BCN)
dei 15 paesi membri dell’Unione Europea (UE).
2
obiettivi da perseguire, ma specifica anche quali sono i compiti fondamentali in modo
da poterli perseguire col miglior sistema possibile. In particolare, fra gli altri,
l’Eurosistema deve: definire la politica monetaria dell’euro-area, svolgere le
operazioni sui cambi, gestire le riserve ufficiali ed emettere le banconote.
Come detto il ruolo più importante all’interno dell’Eurosistema è svolto dalla
Banca Centrale Europea. Questa istituzione ha:
-
Personalità giuridica ai sensi del diritto pubblico internazionale e, con questa,
la capacità accordata a tali soggetti nei diversi stati e la facoltà di concludere
accordi regolati dal diritto pubblico internazionale.
-
La responsabilità di assicurare che l’Eurosistema assolva ai propri compiti e
che, nel farlo, applichi, ove possibile, il “principio del decentramento”2.
-
Il potere normativo (essa può adottare qualsiasi atto giuridico ritenuto
necessario).
-
La completa indipendenza istituzionale (per impedire interferenze con
interessi finanziari della Comunità, la BCE è stata dotata di un bilancio
autonomo).
-
Rigidi obblighi di rendiconto (cui l’Eurosistema tuttavia si è addirittura
impegnato ad andare oltre) in modo che essa sia trasparente e chiara nel
motivare il proprio operato.
Importante per meglio comprendere il processo decisionale della Banca
Centrale è vedere dettagliatamente quali sono i compiti svolti dai suoi organi
deliberanti, che sono: Consiglio Direttivo e Comitato Esecutivo.
Il Consiglio Direttivo comprende tutti i membri del Comitato Esecutivo e i
governatori delle Banche Centrali Nazionali che hanno adottato l’Euro. Questo è il
massimo organo decisionale e ad esso sono, per tanto, demandate le decisioni di
maggiore rilievo strategico. In particolare, fra gli altri compiti, ha la responsabilità di:
adottare gli Indirizzi e le Decisioni necessari per assicurare l’adempimento dei
compiti affidati all’Eurosistema e formulare la politica monetaria. In base allo
2
Tale principio consiste nel far ricorso, per la realizzazione dei propri compiti, alle Banche Centrali
Nazionali.
3
Statuto, questo organo deve riunirsi almeno 10 volte l’anno, ma in pratica lo ha fatto
inizialmente con cadenza quindicinale e poi mensilmente.
Il Comitato Esecutivo è composto dal Presidente e dal Vicepresidente della
BCE e da altri quattro membri nominati tra persone di riconosciuta levatura ed
esperienza professionale nel settore monetario e bancario. Attualmente essi sono
(FIGURA 2):
.... omissis ...
Le sue principali responsabilità sono: attuare le misure di politica monetaria,
impartire le Istruzioni alle Banche Centrali Nazionali ed esercitare i poteri delegatigli
dal Consiglio Direttivo.
Minore importanza riveste il Consiglio Generale. Esso è composto dal
Presidente e dal Vicepresidente della BCE e dai governatori delle Banche Centrali
Nazionali di tutti e quindici gli stati membri. Quest’organo è preposto allo
svolgimento di attività particolari del SEBC quali le funzioni consultive e la raccolta
di informazioni statistiche, inoltre contribuisce ai preparativi per la fissazione del
tasso di cambio delle monete degli stati membri che non hanno ancora adottato
l’Euro.
... omissis....
2. OBIETTIVI E STRATEGIA DELLA BCE
2.1 L’obiettivo della stabilità dei prezzi
La politica monetaria della Banca Centrale Europea è indirizzata ad assolvere
al mandato conferito dal Trattato di Maastricht (trattato che istituisce l’Unione
Europea) al Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC). Tale mandato è esplicitato
nel Capo II – Politica Monetaria – ed in particolare nell’articolo 105, il quale poi
rimanda al 2 che viene completato dall’articolo 3(a). Di seguito riportiamo le parti di
questi articoli utili ai fini della nostra discussione:
Articolo 105
L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità
dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC
sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di
4
contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti
nell’articolo 2.
Articolo 2
La Comunità ha il compito di promuovere (...) uno sviluppo
armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell’insieme
della Comunità, una crescita sostenibile, non inflazionistica e che
rispetti l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati
economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale,
il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione
economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.
Articolo 3a
Ai fini enunciati all’articolo 2, l’azione degli Stati membri e della
Comunità comprende (…) la definizione e la conduzione di una
politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano
l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto
salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali
nella Comunità.
Come si può notare ogni azione della BCE deve essere ispirata alla stabilità
dei prezzi: è questo l’obiettivo primario cui la BCE non può sottrarsi per nessun
motivo. Ciò nonostante essa è al tempo stesso tenuta, nel limite di non arrecare danno
al suddetto obiettivo principale, a contribuire alla realizzazione delle finalità
secondarie: crescita dell’attività economica al livello sostenibile ed elevato livello
dell’occupazione per raggiungere lo scopo di elevare la qualità della vita.
Al fine di perseguire questo obiettivo nel miglior modo possibile e tenuto
conto che tale politica monetaria sarà inevitabilmente a contatto con le politiche
attuate dalle altre istituzioni presenti all’interno dell’Unione Monetaria, il Trattato ha
inoltre fornito la BCE e le Banche Centrali Nazionali di completa indipendenza
istituzionale. Ciò è stato fatto per evitare il rischio di pressioni politiche indirizzate a
obiettivi di breve termine che potrebbero pregiudicare il mantenimento della stabilità
dei prezzi. Tuttavia questo non significa affatto che le scelte di politica monetaria non
debbano mai guardare al breve termine. Anzi la BCE è tenuta a farlo, ma come detto
solo nel rispetto dell’obiettivo primario.
Una politica monetaria incentrata solo al breve periodo punterebbe a creare le
cosiddette “sorprese inflazionistiche” in modo da mantenere il prodotto sopra il
5
livello “potenziale” o la disoccupazione al di sotto di quello “naturale”3. Il problema
sottostante tali manovre sta nel fatto che col tempo non sono più “sorprese”, ma
vengono incorporate attraverso le aspettative nella fissazione dei prezzi odierni e, per
tanto, si trasformano in inflazione corrente. Il che, nel medio-lungo periodo, conduce
solamente ad un quota di inflazione durevolmente più elevata4. Il livello del prodotto
e dell’occupazione infatti tendono in quest’ultimo orizzonte temporale al loro valore
“potenziale” o “naturale” e nessun beneficio ricevono da manovre orientate al breve
termine. L’unico metodo per ottenere durevolmente una variazione in aumento di
questi è attraverso riforme strutturali. Proprio per questo la Banca Centrale,
soprattutto durante i primi anni, ha puntato sulla necessità di rendere più flessibili ed
efficienti i mercati.
Un altro problema legato a questo tipo di manovre risiede nella perdita di
credibilità cui la Banca Centrale che le attua va incontro. Difatti, anche se fosse la
Banca stessa a dichiarare che è suo intento perseguire l’obiettivo della stabilità dei
prezzi, nessuno darebbe peso a tali dichiarazioni di fronte ai suoi comportamenti
attuali e passati volti a stimolare la crescita o l’occupazione nel breve periodo
attraverso l’aumento dell’inflazione.
E’ la BCE stessa ad affermare, in un articolo del Bollettino Mensile del
Gennaio 1999 in cui tratta dei punti cardine della propria strategia (La strategia di
politica monetaria dell’Eurosistema, orientata alla stabilità), che la ricerca della
stabilità dei prezzi nel medio periodo è la scelta migliore per la politica monetaria.
Nel riquadro intitolato “I benefici della stabilità dei prezzi” essa riporta quattro
argomentazioni a favore della propria tesi:
“1. La stabilità dei prezzi migliora la trasparenza del meccanismo
dei prezzi relativi, evitando così distorsioni e contribuendo ad
assicurare che il mercato effettui in maniera efficiente l’allocazione
delle risorse reali sia tra i diversi utilizzi sia nel tempo.
Un’allocazione più efficiente aumenta il potenziale produttivo
dell’economia. In tal senso, la stabilità dei prezzi crea le condizioni
migliori per assicurare l’efficacia delle necessarie riforme
strutturali attuate dai governi nazionali per aumentare la flessibilità
e l’efficienza dei mercati.”
3
Si fa in questo caso riferimento al meccanismo della “Phillips curve” sia nel breve che nel lungo periodo.
4
Tale effetto è conosciuto in letteratura come “distorsione inflazionistica”.
6
La stabilità aumenta la trasparenza dei prezzi cosicché sia i consumatori che le
aziende possono basare i loro consumi e i loro investimenti su un maggiore numero di
informazioni. Per tanto le risorse saranno meglio allocate date le scelte più
consapevoli effettuate dagli attori economici e vi sarà una crescita del potenziale
produttivo dell’economia.
“2. Come discusso nel testo, prezzi stabili minimizzano il premio
per il rischio di inflazione nei tassi di interesse a lungo termine, in
tal modo abbassandoli e contribuendo a stimolare gli investimenti e
la crescita.”
La diminuzione dell’incertezza, derivata dalle manovre atte a mantenere la
stabilità, porta a una riduzione della domanda del premio per coprirsi dal rischio di
inflazione sopportato acquisendo titoli a lunga scadenza. Questo premio va a
sommarsi al tasso di interesse reale e determina il tasso di interesse nominale, cioè
quello effettivamente richiesto. La riduzione dei tassi pagati permette un aumento
dell’efficienza allocativa, nonché incentiva gli investimenti e di conseguenza la
crescita economica.
“3. Se il livello futuro dei prezzi è incerto, risorse reali vengono
assorbite dal tentativo di coprirsi contro il rischio di inflazione o di
deflazione, anziché essere destinate a usi produttivi. Mantenere in
modo credibile la stabilità dei prezzi evita tali costi e crea le
condizioni per decisioni di investimento produttivo efficienti. La
stabilità dei prezzi elimina, inoltre, i costi reali in cui si incorre
quando l’inflazione o la deflazione aggravano gli effetti distorsivi
del sistema fiscale e di quello di assistenza sociale sul
comportamento economico.”
La stabilità permette di impiegare tutte le risorse disponibili nella produzione
senza togliere risorse non necessarie per attività di copertura dei rischi da inflazione
futura. Ne è un esempio la formazione di riserve di “beni rifugio”, il cui valore è
ritenuto più sicuro della detenzione di titoli o moneta. Inoltre altre deviazioni dalla
situazione ottimale sono date dal fatto che la tassazione, di per sé, crea distorsioni nel
comportamento le quali vengono aggravate dalla non stabilità dei prezzi.
“4. Mantenere la stabilità dei prezzi evita la pervasiva e arbitraria
redistribuzione di ricchezza e di reddito che si crea in condizioni sia
di inflazione sia di deflazione, contribuendo così a mantenere la
coesione e la stabilità sociale.”
7
Da ultimo il non mantenimento della stabilità dei prezzi (inteso sia come
crescita dell’inflazione oltre dati livelli che come deflazione) attraverso la riduzione
del benessere crea instabilità sociali e politiche, come dimostrato dall’evidenza
empirica durante tutto il ventesimo secolo.
Tutti questi argomenti sono confermati da evidenze economiche che mostrano
come in molti paesi durante vari periodi “le nazioni con più bassa inflazione
crescono, in media, più rapidamente”5 in termini reali nel medio periodo. Tanto più
che, estendendola a diversi paesi dell’area dell’euro, questa analisi mostra come “i
benefici potrebbero essere perfino maggiori che negli Stati Uniti”6. Tuttavia va detto
che esiste una notevole incertezza sui meccanismi che regoleranno l’intero sistema
economico dopo l’introduzione della Moneta Unica e, per tanto, questa analisi a mio
parere deve essere ponderata alla luce di ciò.
Ciò nonostante i benefici della stabilità dei prezzi di cui abbiamo parlato sopra
non sono messi in discussione e la scelta operata dai firmatari del Trattato di renderla
l’obiettivo principale della politica monetaria è supportata da ottimi fondamenti
teorici e risulta, a mio avviso, la più appropriata.
2.2 La strategia della BCE
Per poter raggiungere l’obiettivo primario nel miglior modo possibile serve
una strategia, cioè un quadro di riferimento, che regoli in ogni situazione quali sono
le decisioni di politica monetaria più coerenti con gli obiettivi da perseguire.
Una strategia deve essere chiara e ben definita affinché, attraverso il suo
rispetto nel tempo, rafforzi le aspettative degli attori economici. Ciò a sua volta
contribuisce, attraverso i meccanismi visti sopra, a rafforzare i risultati
macroeconomici.
La Banca Centrale Europea, nella seconda metà del 1998, cioè dell’anno che
ha preceduto l’inizio della sua attività, aveva già definito e reso noto i principali
elementi della sua strategia di politica monetaria.
5
Si veda R. J. Barro “Determinant of economic growth”, MIT PRESS, (1997).
6
Si veda il riquadro “I benefici della stabilità dei prezzi” dell’articolo “La strategia di politica monetaria
dell’Eurosistema, orientata alla stabilità” nel Bollettino Mensile del Gennaio 1999 di cui sopra.
8
... omissis ...
Il 13 Ottobre del 1998 ha infatti reso pubblico il seguente comunicato stampa
intitolato “Una strategia di politica monetaria dell’Eurosistema, orientata alla
stabilità”7:
«Nella sua riunione del 13 ottobre 1998 il Consiglio direttivo della
BCE ha fissato i principali elementi della strategia di politica
monetaria dell’Eurosistema, orientata alla stabilità. Tali elementi
riguardano: la definizione quantitativa dell’obiettivo primario della
politica monetaria unica, la stabilità dei prezzi; un ruolo di primo
piano per la moneta, con un valore di riferimento per la crescita di
un aggregato monetario; e una valutazione di ampio respiro circa le
prospettive degli andamenti dei prezzi.
Come previsto dal Trattato che istituisce la Comunità europea, il
mantenimento della stabilità dei prezzi sarà l’obiettivo primario del
SEBC. Pertanto, la strategia di politica monetaria dell’Eurosistema
sarà rigorosamente rivolta al conseguimento di tale obiettivo. In
questo contesto, il Consiglio direttivo della BCE ha adottato la
seguente definizione: “La stabilità dei prezzi sarà definita come un
aumento sui dodici mesi dell’indice armonizzato dei prezzi al
consumo (IAPC) per l’area dell’euro inferiore al 2 per cento”. La
stabilità dei prezzi deve essere mantenuta su un orizzonte di medio
termine. (...)
Sono tre le caratteristiche di questa definizione che vanno
evidenziate. (1) Lo IAPC è l’indicatore dei prezzi più adatto per la
definizione di stabilità dei prezzi dell’Eurosistema. È l’unico indice
dei prezzi che sarà sufficientemente armonizzato in tutta l’area
dell’euro all’avvio della Terza fase. (2) Concentrandosi sullo IAPC
“nell’area dell’euro”, il Consiglio direttivo della BCE chiarisce che
fonderà le sue decisioni sugli andamenti monetari, economici e
finanziari nell’intera area dell’euro. La politica monetaria unica
adotterà una prospettiva che riguarderà tutta l’area dell’euro; non
reagirà a specifici andamenti regionali o nazionali. (3) Un
“aumento (...) inferiore al 2 per cento” è del tutto in linea con le
definizioni più correnti adottate dalle banche centrali nazionali
nell’area dell’euro.
Inoltre, l’affermazione che “la stabilità dei prezzi deve essere
mantenuta su un orizzonte temporale di medio periodo” riflette la
necessità che la politica monetaria sia orientata agli sviluppi futuri,
in un orizzonte di medio termine, e riconosce anche l’esistenza di
una variabilità dei prezzi nel breve periodo che non può essere
controllata dalla politica monetaria.
7
Si veda sul sito della BCE (www.ecb.int) la press release intitolata “A stability-oriented monetary policy
for the ESCB”. Tale pubblicazione è riportata in lingua italiana all’interno dell’articolo “I due pilastri della
strategia di politica monetaria della BCE” apparso sul Bollettino Mensile del Novembre 2000, più
precisamente nel riquadro I (La strategia di politica monetaria della BCE).
9
Per mantenere la stabilità dei prezzi, il Consiglio direttivo della
BCE ha deciso di adottare una strategia di politica monetaria che
sarà formata da due elementi chiave. (1) Alla moneta sarà
assegnato un ruolo di primo piano; questo sarà segnalato
dall’annuncio di un valore di riferimento quantitativo per la
crescita di un aggregato monetario ampio. (...) (2) Parallelamente
all’analisi della crescita monetaria rispetto al valore di riferimento,
un ruolo importante nella strategia dell’Eurosistema sarà assegnato
a una valutazione di ampio respiro circa le prospettive degli
andamenti dei prezzi e i rischi per la loro stabilità nell’area
dell’euro. Tale valutazione sarà effettuata utilizzando un ampio
ventaglio di variabili economiche e finanziarie come indicatori
degli andamenti futuri dei prezzi.
Tale strategia sottolinea il forte impegno del Consiglio direttivo
della BCE nei confronti del suo obiettivo primario e dovrebbe
facilitarne la realizzazione. Essa assicurerà, inoltre, che il SEBC
segua un processo decisionale trasparente e renda conto del
proprio operato. Sulla base della sua strategia, il Consiglio
direttivo della BCE informerà il pubblico regolarmente e in modo
dettagliato sulla sua valutazione della situazione onetaria,
economica e finanziaria nell’area dell’euro e sulle motivazioni alla
base delle sue decisioni di politica monetaria.»
Questa prima impostazione del metodo di conduzione della Politica Monetaria
è stato poi riesaminata nel 1993 alla luce dell’esperienza dei primi quattro anni di
attività della BCE. Il risultato di questo riesame è stato messo a frutto l’8 Maggio
2003 durante una riunione del Consiglio Direttivo. Nel comunicato stampa che ha
fatto seguito a questa riunione (che vedremo più nel dettaglio nei paragrafi seguenti)
sono infatti stati introdotti alcuni emendamenti alla precedente strategia risalta che,
però, non sono di portata tale da portare a un suo stravolgimento. In sostanza il
cambiamento consiste in questo:
-
Nella definizione di stabilità dei prezzi, l’obiettivo inflazionistico di medio
periodo che prima era “positivo ma inferiore al 2 per cento” ora è diventato
“inferiore ma prossimo al 2 per cento”
-
E’ diminuita la rilevanza della crescita delle variabili monetarie all’interno
delle decisioni di politica monetaria.
A partire da maggio 2003, la BCE decide infatti quale politica monetaria adottare
dopo un esame dell’andamento delle cosiddette “variabili economiche” (in
precedenza denominate “secondo pilastro della strategia di politica monetaria”). Le
“variabili economiche” comprendono tutte le variabili che la BCE ritiene rilevanti per
10
individuare la presenza di inflazionistici /deflazionistici, con l’esclusione delle
cosiddette “variabili monetarie” (la moneta, nelle sue diverse definizioni, e il
credito). Si noti che anche le previsioni della BCE e degli altri enti specialistici su
inflazione, reddito (PIL), etc. sono incluse tra le “variabili economiche”.
Le “variabili monetarie” (in precedenza denominate “primo pilastro della strategia
di politica monetaria”), cioè la moneta e credito, a partire dal maggio 2003 hanno
solo il ruolo di confermare le conclusioni che emergono dall’analisi delle “variabili
economiche” relativamente al problema della crescita dei prezzi nel lungo periodo.
L’idea di base è che una crescita eccessiva e prolungata della moneta e del credito
non motivata dall’andamento delle altre variabili potrebbe rappresentare un segnale di
pericolo per la stabilità dei prezzi nel medio lungo periodo. Per esempio, negli ultimi
mesi, la crescita della moneta della zona-Euro (M1 in particolare), è stata molto
elevata. Secondo la BCE però questo non rappresenta un pericolo inflazionistico
perché: (1) al contrario della moneta, il credito cresce a un ritmo molto contenuto, (2)
la riduzione dei tassi decisa dalla BCE ha aumentato la domanda di moneta e quindi
la quantità di moneta è cresciuta [nel modello della BCE la moneta è endogena!!!] e
(3) l’aumento del rischio degli investimenti azionari ha spinto i risparmiatori
“parcheggiare” in attività liquide una quota della loro ricchezza più elevata del
normale. Se invece crescessero contemporaneamente sia la moneta che il credito, e
questo fenomeno non avesse una sua giustificazione logica, allora vi potrebbe essere
un pericolo di aumento dell’inflazione nel medio-lungo periodo. In precedenza
(almeno in via di principio perché poi la prassi è sempre stata diversa), una crescita
della moneta M3 (che era considerata la variabile monetaria più importante, tanto che
la sua crescita veniva chiamata “primo pilastro della strategia di politica monetaria”)
che permanesse significativamente sopra il 4,5% annuo era già considerata un segnale
di un potenziale pericolo inflazionistico, indipendentemente dalle cause che
l’avevano provocata. Questo 4,5% annuo corrispondeva infatti, secondo i calcoli della
BCE, alla crescita di M3 coerente con l’obiettivo di un’inflazione di medio periodo
inferiore al 2%.
-
In seguito a questi aggiustamenti della strategia di politica monetaria è stata
anche modificata l’impostazione dei principali documenti ufficiali, come per
esempio la cosiddetta “dichiarazione introduttiva del Presidente” (cioè della
prima parte delle conferenze che seguono le principali riunioni del Consiglio
direttivo). E questo al fine di “rendere più chiara la comunicazione riguardo
alla verifica incrociata delle informazioni in base a cui perviene a un giudizio
complessivo univoco sui rischi per la stabilità dei prezzi”.
11
2.3 Alcuni approfondimenti sull’obiettivo di stabilità dei
prezzi:
2.3.1 Che cos’è l’indice armonizzato dei prezzi al consumo
(per l’esame questa parte va solo letta)
Il comitato esecutivo della Banca Centrale Europea ha quantificato l’obiettivo
principale della stabilità dei prezzi, che gli è stato dettato dal Trattato, come “un
aumento sui 12 mesi dell’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo (IAPC) per
l’area dell’euro inferiore al 2%”.
L’IAPC è, infatti, la statistica che più si avvicina al prezzo del paniere dei beni
effettivamente acquistati nell’euro-area. In questo indice, che è una media ponderata
dei prezzi dei diversi beni e servizi, gli andamenti connessi a variazione dei prezzi
relativi si compensano a vicenda nel corso del tempo e nel medio periodo (orizzonte
in cui va mantenuta la stabilità dei prezzi) non influenzano in modo significativo i
suoi andamenti.
Dati inerenti questo indice sono presenti dal 1995 e l’armonizzazione nei
diversi paesi introdotta per l’IAPC è stata basata su regolamenti e linee guida
d’accordo con gli stati membri. Questi ultimi riguardano la copertura della spesa
effettuata dai consumatori e standard per gli aggiustamenti della qualità e il
trattamento di nuovi beni e servizi. Essi riguardano inoltre l’armonizzazione di
sottoindici per la comparazione dei prezzi dei diversi gruppi di consumi.
Abbiamo detto che questo indice viene calcolato come una media ponderata,
quindi ora definiamo quali sono le cinque componenti di cui si tiene conto. Innanzi
tutto dobbiamo distinguere rilevazioni inerenti i beni da quelle inerenti i servizi
(FIGURA 10). Poi possiamo distinguere all’interno dei beni altre quattro componenti:
-
Cibi lavorati
Cibi non lavorati
Beni industriali non energetici
Beni energetici
12
L’idea che sta alla base di tale disaggregazione è che analizzando i vari gruppi
è meglio identificabile quale è il fattore economico che sta dietro una variazione
dell’IAPC. Ad esempio un aumento del prezzo del petrolio provocherà un aumento
dell’intero IAPC. Tuttavia la causa scatenante la crescita dell’indice è percepibile
attraverso l’analisi di sotto-indici depurati degli andamenti specifici delle varie
componenti (in questo caso di quella energetica). Inoltre i beni alimentari sono
suddivisi fra lavorati e non in quanto gli ultimi sono più sensibili alla stagionalità e
alle condizioni atmosferiche.
FIGURA 10. Le componenti dello IAPC
BENI
Cibi lavorati
SERVIZI
Cibi non lavorati
Beni industriali non energetici
Beni industriali energetici
... omissis...
2.3.2 Perché l’obiettivo di stabilità dei prezzi è riferito al “medio
periodo”
La Banca Centrale Europea ha quantificato la propria definizione di stabilità
dei prezzi nel documento dell’Ottobre ’98 sopra riportato e, nella riunione di
revisione della strategia avvenuta l’08 Maggio 2003, ha poi confermato questo
obiettivo, chiarificandolo in alcuni punti. Come già detto tale quantificazione aiuta ad
ancorare le aspettative di inflazione futura e quindi, creando credibilità, aumenta gli
effetti delle singole politiche monetarie.
Tuttavia vanno fatte alcune precisazioni riguardanti gli elementi costitutivi di
tale definizione e, per tanto, la riportiamo e ne analizziamo i singoli frammenti:
“La stabilità dei prezzi sarà definita come un aumento sui 12 mesi
dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC) per l’area
13
dell’euro inferiore al 2%”. “La stabilità dei prezzi deve essere
mantenuta su un orizzonte di medio termine”.
La chiarificazione esposta nel Comunicato Stampa dell’08 Maggio 2003,
denominato “The ECB’s monetary policy strategy”, sottolinea invece che:
“(…) il Consiglio direttivo(…) ha deciso che, nel perseguimento
della stabilità dei prezzi, si prefiggerà di mantenere l’inflazione su
livelli prossimi al 2 per cento nel medio periodo. Tale precisazione
sottolinea l’impegno della BCE di fornire un margine di sicurezza
sufficientemente ampio a salvaguardia dai rischi di deflazione e
tiene altresì conto di possibili distorsioni nella misurazione dello
IAPC, nonché delle implicazioni dei differenziali di inflazione
all’interno dell’area dell’euro.”
Sicuramente la prima caratteristica da prendere in considerazione è la
sostituzione della definizione “aumento (…) inferiore a 2%” con “inflazione su
livelli prossimi a 2%” (“close to 2%”). Seppure ampiamente apprezzata dai membri
del Commitee for economic and monetary affaire of the European Parlament (fatto
riscontrabile nei vari commenti che hanno seguito l’uscita del comunicato stampa
dell’08 Maggio 2003) in quanto rende meno pressante l’obiettivo8 ed è sicuramente
un passo avanti rispetto alla situazione precedente, questa scelta è stata anche
criticata in quanto non specifica a fondo cosa significa esattamente “close to 2%”.
Particolarmente significativa in questo senso sembra essere il commento di Lars
Svensson9 nel quale egli afferma:
“(…) This is a change in the right direction, but it is not enough. (…)
Issing’s answer raises several questions: First, it would seem that
“below but close to 2% in the medium term” would mean a mediumterm inflation targeting of, say, 1.9% or 1.8%, depending on how one
defines “close”. Why not say what it means, and remove the remaining
ambiguity of “close”. What is the point of this ambiguity? There is less
ambiguity than before (“below but close to two” is less ambigous than
“below two”), but why not go all the way? Everyone should know these
days that having a precise inflation target, whether a point or a target
range, has no downside. Everyone should know that real-world inflation
targeting is always in practice “flexible” medium-term inflation
targeting.”
8
Confrontare pagina 1 di Anne Sibert, Birkbeck College, London and CEPR, “The New Monetary Policy
Strategy of the ECB, May 2003.
9
Confrontare pagina 2 e 3 di Lars E.O. Svensson, Princeton University, CEPR and NBER, “In the right
direction, but not enough: the modification of the monetary-policy strategy of the ECB”, May 2003.
14
Proprio in questo commento si fa esplicito riferimento ad un ulteriore segnale
della poca chiarezza di questa definizione. Infatti nella presentazione fatta da Issing
subito dopo la decisione dell’08 Maggio si è lasciato spazio a varie domande e molte
di queste vertevano proprio sull’ambiguità di questa specificazione10.
Va comunque sottolineato anche che, in entrambe le definizioni, la stabilità dei
prezzi non è sinonimo di crescita nulla di questi, bensì di una loro moderata
variazione in aumento. Questa scelta è dovuta, come riportato anche nel Comunicato
Stampa dell’08 Maggio, alla volontà di “fornire un margine di sicurezza
sufficientemente ampio a salvaguardia dai rischi di deflazione
...omissis...
Da ultimo va sottolineato che viene dato anche un orizzonte temporale: “la
stabilità dei prezzi deve essere mantenuta su un orizzonte di medio termine”. Questo
riferimento deriva dai già citati problemi in cui si incorre attuando una politica
monetaria troppo orientata al breve periodo. Inoltre nel breve termine i prezzi
possono risentire di andamenti, quali quelli dei prezzi delle materie prime sui mercati
internazionali (si pensi ad esempio alle continue variazioni in aumento del prezzo del
petrolio negli ultimi anni), che non hanno natura monetaria e per tanto non sono
controllabili direttamente con decisioni di politica monetaria. Per tanto la Banca
Centrale si riserva di analizzare meglio gli effetti prodotti contrastando solo quelli
che tenderanno a protrarsi nel medio-lungo termine e sorvolando sulle fluttuazioni di
breve periodo dell’indice dei prezzi al consumo oltre i limiti imposti.
2.4 Gli indicatori per la politica monetaria
2.4.1 Le “variabili economiche” (l’ex secondo pilastro)
(per l’esame questa parte va solo letta)
Sebbene l’inflazione sia, “in ultima analisi”, un fenomeno monetario, la sola
analisi dell’evoluzione degli aggregati monetari non sempre è in grado di fornire una
10
Confrontare ECB Press Conference “Press seminar on the evaluation of the ECB’s monetary policy
strategy”, Frankfurt 08 May 2003.
15
informativa esauriente al fine di definire adeguatamente la politica monetaria da
intraprendere.
E’ per questo che già nel comunicato stampa del 13 Ottobre 1998, in peraltro
si dava peraltro così rilevanza alla crescita della M3, la Banca Centrale Europea
sottolineava l’importanza anche di una seconda analisi fondata su
“una valutazione di ampio respiro circa le prospettive degli
andamenti dei prezzi e i rischi per la loro stabilità (…) utilizzando
un ampio ventaglio di variabili economiche e finanziarie come
indicatori degli andamenti futuri dei prezzi.”
E lo scopo di tale analisi era di comprendere a fondo la situazione economica e
per conoscere la natura specifica e la dimensione dei fattori di disturbo che possono
minacciare l’ottenimento dell’obiettivo principale.
Dopo il riesame della strategia di politica monetaria avvenuto nel maggio
Maggio 2003, e che ha ridimensionato il ruolo segnaletico della moneta, l’analisi dei
fattori economici è diventata, anche formalmente, il principale fondamento alle
decisioni di politica monetaria.
Il gruppo di fattori analizzato è vario, ma tutti influenzano, chi direttamente
chi indirettamente, il livello dei prezzi nel breve periodo e, se si radicano, anche
quello di medio periodo. Quindi una volta scoperte le cause di questi disturbi, la
Banca Centrale dovrà poi studiare se questi hanno solo natura temporanea o
protrarranno i loro effetti nel tempo e dovranno quindi essere contrastati.
Di seguito andremo a fare una carrellata degli indicatori che vengono
solitamente tenuti sotto controllo, tuttavia va sottolineato che è molto difficile
rappresentare in modo esaustivo tutti i fattori che possono influenzare l’andamento
dei prezzi se non calandosi nella realtà che in quel determinato momento ha prodotto
quell’effetto.
Un primo indicatore che viene analizzato è sicuramente l’indice armonizzato
dei prezzi al consumo (IAPC). Di tale indice oltre al livello, per vedere se compatibile
con la definizione di stabilità, la Banca Centrale analizzerà le cinque principali
componenti11 costruendo anche una serie di sotto-indici. Ciò è fatto al fine di studiare
11
Per saperne di più si guardi l’appendice alla fine del capitolo.
16
gli andamenti dell’indice depurati da eventuali variazioni di una componente
particolare. Prendiamo ad esempio la crescita del prezzo del petrolio degli ultimi
anni. Essa ha fatto sicuramente lievitare l’aumento dell’intero IAPC, tuttavia ciò è
stato determinato in gran parte dalla evoluzione della componente connessa ai beni
energetici. Studiando il sotto-indice depurato di questo elemento, si è potuto
comprendere l’andamento dei prezzi degli altri beni che formano il paniere di
riferimento e determinare la causa scatenante di tale fenomeno di crescita del livello
di inflazione (nel nostro esempio la crescita del prezzo del petrolio). Questa seconda
indicazione è molto importante in quanto la risposta della Banca Centrale varia al
variare della causa scatenante (essa sarà, ad esempio, meno forte se determinata da
una crescita del prezzo del petrolio che se determinata da una crescita dei salari).
Oltre all’IAPC viene comunque guardato in dettaglio l’andamento di altri
prezzi, in particolare: quelli che vengono impiegati nelle prime fasi della produzione,
quelli dei beni importati, la dinamica dei salari e del costo del capitale. Sono questi,
infatti, tutti fattori che influenzano il pricing dei beni e servizi destinati al consumo.
Altro indicatore che viene usato frequentemente per analizzare la dinamica dei
prezzi è l’indice dei prezzi alla produzione che riguarda i prezzi dei beni trasformati
in ciascuno stadio del processo produttivo.
Viene fatta anche una analisi per scoprire se esiste un eccesso di domanda o di
offerta attraverso la differenza fra livello del prodotto effettivo e quello potenziale,
conosciuta come “output gap”. Il tasso di crescita potenziale può essere visto come
quello che l’attuale sistema produttivo può permettere di raggiungere nel medio
periodo. Due sono i metodi per calcolarlo come due sono anche le definizioni
accettabili. Difatti coloro che lo vedono come una componente di trend della serie
osservata inerente il prodotto effettivo basano il loro calcolo su approcci statistici12
(univariati o multivariati) quantificando l’output gap come la distanza fra il trend e il
prodotto osservato. Invece coloro che lo leggono come il livello sostenibile
dell’offerta aggregata (determinato dalla struttura di produzione, dalla tecnologia
esistente e dai fattori produttivi disponibili) basano il suo metodo di calcolo sulla
funzione di produzione13 spesso utilizzando una “funzione di Cobb – Douglas”14.
12
Ad esempio la Commissione Europea basa il suo calcolo sul metodo statistico del filtro di Hodrick –
Prescott ai fini della correzione dei saldi di bilancio pubblici.
13
Metodo usato da organizzazioni internazionali quali OCSE e FMI.
14
La formulazione standard di una Cobb – Douglas è la seguente:
17
Tuttavia entrambi i metodi portano con sé alcuni inconvenienti che ne riducono la
precisione e per tanto la dimensione dell’output gap non può altro che essere stimata
e il suo livello va studiato con le dovute cautele. Ciò nonostante, dal punto di vista
teorico, resta valido che qualsiasi crescita del prodotto superiore a quella potenziale
(output gap positivo) conduce a pressioni inflazionistiche, mentre l’opposto succede
con output gap negativo.
Ulteriori indicazioni sull’andamento della produzione giungono da un analisi
per settore produttivo e dal clima di fiducia delle imprese, il quale mostra una forte
relazione col livello di produzione.
L’analisi prosegue poi con le componenti che determinano la domanda
aggregata:
-
I consumi sono determinati dal reddito delle famiglie e, per tanto, verranno
studiati: il livello dei salari (già per altro analizzato in quanto determinante
anche del costo del lavoro e quindi parte importante del pricing) e il clima di
fiducia dei consumatori.
-
L’analisi sottostante la spesa dello stato riguarda le modifiche apportate alle
politiche fiscali, ma anche (soprattutto negli ultimi mesi) il rispetto del patto
che prevede il pareggio di bilancio.
-
Per gli investimenti, oltre al già citato clima di fiducia delle imprese, viene
studiata anche la dinamica dei tassi di finanziamento.
-
Le esportazioni nette necessitano dello studio della competitività dei prezzi sui
mercati internazionali, della crescita economica al di fuori dell’euro-area e del
tasso di cambio. Quest’ultimo non è tuttavia un obiettivo per la BCE perché il
suo controllo, di difficile gestione, talvolta induce a scelte in contrasto con
l’obiettivo della stabilità dei prezzi ed inoltre in quanto l’area dell’euro può
essere vista come un’economia sostanzialmente chiusa.
Dove :
-
Yt
At
Kt
Nt
α
Yt = AtKt1-αNtα
è il prodotto potenziale
è la componente di trend della produttività totale dei fattori
è la disponibilità di capitale
è la componente di trend dell’offerta di lavoro
è l’elasticità del lavoro rispetto al prodotto
18
Una volta completato lo studio dal lato della domanda si dovranno poi
monitorare gli indicatori dell’andamento dell’offerta:
-
La dinamica del tasso di disoccupazione (e quello di occupazione, le
dinamiche dei due non sono infatti necessariamente corrispondenti), il quale
sintetizza le tensioni sul mercato del lavoro15 e per tanto influenza le pressioni
salariali.
-
Il grado di utilizzo della capacità produttiva: all’aumentare del suo utilizzo
aumentano i costi di manutenzione e serve lavoro straordinario, il quale genera
pressioni inflazionistiche.
-
Gli investimenti, che influenzano la capacità produttiva. Questi dipendono a
loro volta dal tasso di interesse applicato ai finanziamenti e dai profitti
realizzati che, se non distribuiti, creano autofinanziamento.
Infine, l’andamento dei prezzi può essere influenzato da eventi politici e da
shock finanziari, i quali tuttavia hanno carattere prettamente straordinario.
Resta da analizzare la dinamica degli indicatori finanziari (quali ad esempio i
tassi di interesse) che abbiamo già più volte citato. In effetti la Banca Centrale
Europea osserva l’andamento di vari tassi e i prezzi di attività finanziarie in quanto,
essendo rivolti al futuro, riflettono le aspettative dei mercati. In particolare pone
attenzione ai tassi applicati ai Titoli dello Stato a lungo termine e a reddito fisso. Da
questi è infatti possibile desumere informazioni sulle aspettative inerenti la crescita
economica e l’inflazione.
Tale tasso può essere rappresentato dalla seguente equazione:
in = ir + πe + r
dove:
- in
- ir
- πe
è il tasso di interesse nominale (cioè quello effettivamente
pagato)
è il tasso di interesse reale
è il tasso di inflazione atteso
15
La disoccupazione può essere portata anche da cause strutturali quali la mancanza delle capacità
richieste che non permettono l’incontro fra domanda e offerta di posti di lavoro.
19
-r
è la componente richiesta come premio al rischio
La prima componente, cioè il tasso reale (ir), dà informazioni sulle aspettative
di andamento dell’economia. Altre indicazioni su questo aspetto possono giungere
della curva dei rendimenti: una inclinazione positiva farà pensare ad una
accelerazione dell’attività economica e viceversa una pendenza negativa. Infatti se si
presume una diminuzione dell’attività economica, aumenterà la domanda di titoli a
lungo termine, aumenterà il prezzo di questi ultimi rispetto a quelli a breve e
diminuirà il loro tasso determinando un appiattimento della curva dei rendimenti.
Oppure nella stessa direzione spinge una seconda spiegazione: se aumenta la crescita
nominale ci si attende un aumento dei tassi della Banca Centrale, ciò fa crescere i
tassi a lungo termine (che sono una media dei tassi a breve più un premio al rischio) e
quindi aumenterà la pendenza della curva.
Ciò nonostante una variazione dell’inclinazione della curva dei rendimenti può
essere generata anche da un aumento dell’inflazione attesa, come visibile dalla
formula. Importante risulta perciò separare i due effetti. Questo può essere fatto
analizzando la curva dei tassi overnight a termine implicito, la quale fornisce
indicazioni delle aspettative sui tassi a breve per il futuro. Ipotizzando ir e r stabili
questi rifletteranno le aspettative di inflazione futura. Un altro metodo è quello di
calcolare il “tasso di inflazione di pareggio”, cioè la differenza fra il tasso di un titolo
indicizzato e quello di uno a reddito fisso. Supponendo premi al rischio nulli, questa
differenza è uguale al tasso medio di inflazione durante la vita del titolo. Tuttavia le
ipotesi sottostanti i due metodi sono molto restrittive e i risultati vanno letti con le
dovute cautele.
Si possono ricavare altre informazioni molto importanti sull’incertezza che il
mercato attribuisce a tali previsioni attraverso lo studio dei derivati. Infatti questi
contratti danno indicazioni sull’incertezza associata all’andamento futuro del titolo
sottostante e di conseguenza alle tre componenti viste prima (ir, πe e r), solo che in
questo caso non esiste un metodo per distinguere quanta è imputabile a ir, quanta a πe
e quanta a r. Queste informazioni possono essere anche ricavate dalla misura della
volatilità attesa.
Un altro indicatore osservato è costituito dai tassi di interesse a breve termine
sul mercato monetario. Questi tassi infatti sono in larga misura influenzati dai tassi
ufficiali sulle operazioni effettuate dalla Banca Centrale. Essi variano in base alle
aspettative degli operatori sulla condotta di politica monetaria anticipando i
20
cambiamenti nei tassi e palesando così le loro percezioni su quale dovrebbe essere, in
base a crescita economica e inflazione nonché alla strategia resa pubblica dalla Banca
Centrale, la reazione di quest’ultima. Per l’area dell’euro un buon indicatore dei tassi
a breve è l’EURIBOR (Euro Interbank Offered Rate) e informazioni sul loro
andamento futuro è dato dai contratti future sull’EURIBOR a 3 mesi. Valgono anche
per queste indicazioni le cautele sull’interpretazione di cui già esposto sopra.
L’ultimo indicatore finanziario è costituito dall’andamento del mercato
azionario. Anche se in Europa questo investimento non ha ancora la rilevanza che
mostra negli USA, tuttavia sta prendendo sempre più piede e la BCE comincia a
dargli maggiore peso. Va detto che gli andamenti azionari influenzano la politica
monetaria attraverso due ruoli:
-
Un ruolo passivo, riflettendo le aspettative del mercato circa l’evoluzione
dell’attività economica. La quotazione di una azione può essere vista come il
valore attuale del flusso dei dividendi. Siccome il livello dei dividendi tende a
crescere con l’aumentare dei profitti, i quali a loro volta sono influenzati dalla
crescita dell’attività economica, si può dire che i corsi azionari informano
sulle aspettative del livello di quest’ultima.
-
Un ruolo attivo, a causa del loro impatto sul livello della domanda aggregata.
Infatti influenzando la ricchezza posseduta possono fare aumentare o
diminuire i consumi e gli investimenti.
Alla fine di questa analisi della tipologia delle cosiddette “variabili economiche” è
opportuno ricordare che un ruolo importante fra gli strumenti di sintesi delle
informazioni desumibili è svolto dalle proiezioni macroeconomiche. Uno staff
dell’Eurosistema, comprendente economisti della Banca Centrale Europea e delle
Banche Centrali Nazionali, prepara due volte l’anno una relazione che sintetizza le
rilevazioni effettuate integrando i modelli econometrici e le valutazioni soggettive
degli esperti. Molti sono i limiti in cui però incorrono queste proiezioni:
-
Variano a seconda del modello assunto per valido.
-
Sono fondate su ipotesi che possono essere più o meno realistiche.
-
Richiedono tempo per essere realizzate e non sono per tanto molto aggiornate.
21
-
Essendo basate su modelli, i quali sono visioni semplificate dell’economia,
danno una descrizione sommaria della realtà.
-
Incorporano la visione degli esperti.
-
Esiste particolare incertezza dovuta alla novità rappresentata dall’euro-area.
Va comunque osservato che la Banca Centrale Europea, pur studiando tutti i segnali
che presentano rischi per la stabilità dei prezzi, intraprende manovre sui tassi ufficiali
se e solo se esistono indizi non contradditori e che trasmettono una presumibile
certezza di effetti indesiderati sui livelli dei prezzi nel medio periodo.
2.4.2 Le variabili monetarie (l’ex “primo pilastro”)
(per l’esame questa parte va solo letta)
... omissis...
Nel comunicato stampa che ha seguito la riunione dell’8 Maggio 2003, si
possono cogliere varie differenze con la precedente impostazione. In particolare si
legge:
“(…) analisi monetaria, il cui scopo è valutare le tendenze
dell’inflazione nel medio-lungo periodo, alla luce della stretta relazione
esistente fra moneta e prezzi su orizzonti temporali estesi. Questa analisi
continuerà a vertere su un’ampia gamma di indicatori monetari, fra cui
M3, le sue componenti e contropartite, in particolare il credito, e
diverse misure dell’eccesso di liquidità.
(…) A tale riguardo, l’analisi monetaria costituisce principalmente un
termine di riscontro, in una prospettiva a medio-lungo termine, per le
indicazioni di breve e medio periodo fornite dall’analisi economica.
Al fine di sottolineare la natura di lungo periodo del valore di
riferimento per la crescita della moneta come benchmark per la
valutazione degli andamenti monetari, il Consiglio direttivo ha
altresì deciso di non effettuare più una revisione annuale di tale
valore. Esso continuerà, tuttavia, a esaminare le condizioni e le
ipotesi sottostanti alla sua derivazione.”
La questione che maggiormente salta all’occhio è sicuramente il minor peso
che in questa prima revisione dell’impostazione della politica monetaria viene dato
all’analisi monetaria. Questa scelta è stata accolta molto favorevolmente dalla critica
22
che, anzi, talvolta suggeriva la completa eliminazione di questa analisi16 o perlomeno
la sua inclusione all’interno di quella che viene definita “economic analysis”17.
In seconda battuta, è altrettanto importante sottolineare che l’analisi monetaria
sarà effettuata al fine di valutare l’andamento di lungo periodo dell’inflazione e
avere, pertanto, un termine di riscontro rispetto ai risultati ottenuti attraverso l’analisi
economica. Solo nel caso in cui queste due analisi producano risultati contrastanti
verranno meglio analizzati le implicazioni portate dalla crescita della moneta. Proprio
al fine di sottolineare questa valenza di lungo periodo non verrà più rivalutato
annualmente il valore di riferimento della crescita di M3 (peraltro mai modificato
durante questi primi 4 anni di vita della BCE). Questi ultimi due concetti sono ben
sintetizzati e spiegati da Issing il quale nella conferenza stampa che ha seguito la
riunione dell’8 Maggio, a fronte di una domanda che riguardava l’analisi monetaria,
rispose:
“(…) First, we did not say that we will no longer publish a
reference value. But we will discontinue the practice we have
adopted so far, namely that of the Governing Council reviewing the
reference value in December each year. What is behind that? It is
mainly that there was a misconception that the yearly review would
lead to a yearly reference value indicator, a kind of normative
indicator for the development of money. This was never intended. It
was a "timeless" concept right from the beginning. A yearly review
in this context has perhaps led to some confusion. So what we will
do is not skip the reference value; we are keeping it. But this will be
monitored and if there are changes, for example in the trend of
potential growth – hopefully in the upward direction – in the euro
area, which is badly needed, then this will have consequences for
the reference value.”
16
Confrontare Charles Wyplosz, “Briefing notes to the Committee for Economic and Monetary Affaire of the
European Parlamient”, Second Quarter 2003.
17
Confrontare Lars E.O. Svensson, “In the right direction, but not enough: The modification of the
Monetary-Policy Strategy of the ECB”, May 2003.
23
2.5 Le reazioni degli economisti alle modifiche della
strategia di politica monetaria del Maggio 2003
Come già detto in precedenza, nel comunicato stampa del 9 maggio scorso, la
Banca Centrale Europea ha reso noto di avere introdotto delle modifiche
nell’obiettivo primario di politica monetaria e nella sua strategia, in particolare: è
stata aggiunta la precisazione che d’ora in poi il Consiglio direttivo si prefigge di
mantenere l’inflazione a livelli prossimi al 2 per cento nel medio periodo ed, inoltre,
la nuova impostazione dà soprattutto rilevanza all’esame delle “variabili
economiche”, mentre l’“analisi monetaria” dovrebbe principalmente costituire un
termine di riscontro.
Il giudizio degli esperti su queste modifiche della politica monetaria è stato
generalmente positivo, in particolare per quanto riguarda l’obiettivo inflazionistico
posto vicino al 2% e l’abbandono, di fatto, del confronto tra la crescita della M3 e il
valore di riferimento, da mesi diventato inutile. E’ stato però anche segnalato che le
innovazioni non sono sufficienti e che la conduzione della politica monetaria è ancora
troppo poco trasparente. A questo proposito può essere interessante elencare le
critiche degli esperti del Committee on Economic and Monetary Affairs del
Parlamento Europeo 18 (de la Dehesa, Horn, Silbert, Svensson e Wyplosz), che
peraltro riflettono quelle di numerosi altri economisti:
- l’espressione “inferiore al 2% e su livelli prossimi al 2%” è ambigua in quanto è
asimmetrica e non specifica l’esatto valore del target inflazionistico (Silbert,
Svensson e Wyplosz). Manca inoltre l’indicazione della fascia attorno al target
che la Banca Centrale considera tollerabile (de la Dehesa e Wyplosz). Sarebbe
infine stato più opportuno definire l’inflazione in termini della cosiddetta core
inflation (Wyplosz);
- la specificazione “nel medio periodo” relativo all’obiettivo inflazionistico è
troppo vaga e riduce la trasparenza e la rendicontabilità della Banca Centrale
(Wyplosz);
- nemmeno stavolta la Banca Centrale Europea ha specificato i suoi obiettivi reali,
che pure costituiscono l’obiettivo secondario della politica monetaria previsto
18 Si veda il sito internet http://www.europarl.eu. int/comparl/econ/emu/default_en.htm.
24
dall’art. 5 del trattato di Maastricht (Bofinger). Idem per le informazioni sulla
politica del cambio e degli interventi nel mercato valutario (Bofinger).
Per quanto riguarda invece la strategia di politica monetaria la critica è più globale
perché ne abbraccia tutta l’impostazione:
-
la Banca si ostina a mantenere la ripartizione delle variabili in due pilastri
(economiche vs/ monetarie) invece di adottare un vero e proprio approccio di
inflation targeting (Bofinger, da la Dehesa, Wyplosz). Anche la nuova strategia,
peraltro, ignora le informazioni sull’andamento di breve periodo del settore reale
fornite dall’andamento degli aggregati monetari, in particolare M1 (Horn);
-
la Banca Centrale Europea non dà abbastanza rilevanza alle previsioni
quantitative sull’inflazione, sia proprie sia di altri enti specialistici: il confronto
tra le aspettative e l’obiettivo dovrebbe invece costituire la chiara cornice di ogni
discussione in tema di politica monetaria (Bofinger, Wyplosz);
-
l’approccio scelto dalla BCE le consente, di fatto, di mantenere riservate le sue
previsioni (Wyplosz): anche dopo questa modifica i documenti ufficiali si
limitano a riportare un elenco di variabili condito da un giudizio qualitativo di
sintesi la cui motivazione è pressoché ignota al lettore.19
La nostra opinione su queste critiche è che, almeno in linea di principio, sono
ben motivate. La definizione dell’obiettivo è formalmente incompleta e poco chiara, e
anche la strategia non brilla certo per la trasparenza. Nel complesso, più che una
modifica della vecchia politica monetaria, la nuova impostazione sembra
semplicemente ricalcare la forma che i documenti ufficiali avevano già assunto col
passare del tempo.
Detto questo, però, se si guarda ai fatti, alcune critiche risultano eccessive.
Descrivere l’obiettivo inflazionistico come “sotto il 2% ma prossimo al 2” è
certamente un modo inelegante e ambiguo di esprimersi ma, tutto sommato, non
sembra che faccia molta differenza avere un obiettivo inflazionistico dell’1,8% o
dell’1,9%, piuttosto che del 2%. Analogamente, che vantaggio si avrebbe ad adottare
una “fascia accettabile” attorno all’obiettivo, visto che la politica monetaria ha effetto
soltanto dopo circa 1,5 - 2 anni? La “fascia accettabile” è utile se è possibile
19 Wyplosz arriva persino a definire “fortemente ritualizzate” le conferenze stampa del Presidente, e il loro
contenuto “una litania”.
25
controllare l’inflazione nel breve periodo, ma, nel medio periodo, non ha molto senso
fissare una fascia quando già si sa che, comunque, il vero valore si discosterà
dall’obiettivo di un intervallo che, se tutto va bene, è di ± 0,5 punti. Siamo infine
d’accordo che l’espressione “medio periodo” è ambigua se non viene chiaramente
specificata in termini di mesi: in vari documenti ufficiosi, però, esponenti della BCE
hanno lasciato trapelare che, per medio periodo, intendono un intervallo dell’ordine
di un anno e mezzo, e quindi una definizione, per lo meno indicativa, c’è già.
Siamo infine perfettamente d’accordo anche sul fatto che i documenti della
BCE siano troppo reticenti sulle aspettative inflazionistiche della nostra Autorità
Monetaria e che la Banca non dia abbastanza rilevanza alle aspettative sue e degli
altri, ma pretendere di basare la politica monetaria solo sul confronto tra obiettivo e
aspettative sarebbe quanto meno pericoloso. Senza entrare in diatribe teoriche, basti
osservare che, dal 1999 in avanti, le previsioni inflazionistiche di medio periodo sono
risultate quasi sempre in linea con l’obiettivo, e ciò indipendentemente dalla fonte: in
base al confronto tra aspettative e valori attesi, in questi ultimi anni la migliore
politica dalla Banca Centrale Europea sarebbe quindi stata quella di mantenere il
Repo costante.
3. I principi di trasparenza e accountability
(rendicontabilità) nella conduzione della politica
monetaria
[per l’esame questa parte va solo letta]
Nella scelta della propria strategia la Banca Centrale Europea ha utilizzato una
serie di principi ispiratori che garantiscono un comportamento corretto e che l’hanno
spinta nella direzione di attuare determinate scelte.
L’Istituto Monetario Europeo (IME), prima della Terza Fase, in un documento
del Gennaio 1997 intitolato “The single monetary policy in stage three: specification
of the operational framework” auspicava che determinati fattori influenzassero le
26
scelte della Banca Centrale nella definizione della propria strategia di politica
monetaria. In esso infatti troviamo le seguenti affermazioni20:
“The assessment of alternative monetary policy strategies for the ESCB is
guided by the following general principles:
Effectiveness: The strategy has to put the ESCB in a position to
effectively pursue its final objective;
Accountability: The strategy needs to involve the formulation and
announcement of targets so that the ESCB can be held accountable
to the public for its actions;
Transparency: The process of setting targets and making decisions
on the basis of the trategy must be clear to the public;
Medium-term orientation: The strategy has to enable the ESCB to
meet its final objective over the medium term, thereby providing an
anchor for inflation expectations, but nevertheless providing the
ESCB with some discretion in response to short-term deviations
from the target;
Continuity: The strategy of the ESCB must build on the experience
gained by participating NCBs before the start of Stage Three;
Consistency with the independence of the ESCB: The strategy must
be consistent with the independent status granted to the ESCB by
the Treaty.”
Di questi concetti, due sono molto importanti e la Banca Centrale lo ha più
volte sottolineato dando loro spazio quando, nei propri Bollettini Mensili, pubblica
articoli inerenti la propria strategia. I due principi sono: trasparenza e responsabilità
(o accountability).
Potremo definire l’accountability come l’obbligo di rendere conto del proprio
operato al pubblico conseguente al mantenimento di un buon livello di indipendenza
nelle sue decisioni. In altre parole essa è legata alla necessità che qualsiasi soggetto
interessato sia messo in grado di verificare che ogni singola azione della Banca
Centrale (che va dall’attuare cambiamenti alla scelta di non intervenire) sia coerente
con l’obiettivo che le è stato affidato dal Trattato.
20
Si confronti il paragrafo 2.1”Guiding principles for assessing monetary policy strategies” a pagina 7 del
documento sopra citato.
27
Per quanto riguarda la trasparenza, invece, è la stessa Banca Centrale Europea
che, nel Bollettino Mensile del Novembre 200221, la definisce come:
“… un modus operandi in cui la banca centrale fornisce al pubblico
e ai mercati in modo aperto, chiaro e tempestivo tutte le
informazioni rilevanti su mandato, strategia, valutazioni e decisioni
di politica monetaria nonché sulle proprie procedure. La
trasparenza riguarda, in ultima istanza, l’effettiva comprensione da
parte del pubblico dell’intero processo di conduzione della politica
monetaria.”
La loro importanza e il loro recepimento da parte della Banca Centrale
Europea sono sottolineati anche nel comunicato stampa del 13 Ottobre 1998 dove si
legge:
“Tale strategia sottolinea il forte impegno del Consiglio direttivo
della BCE nei confronti del suo obiettivo primario e dovrebbe
facilitarne la realizzazione. Essa assicurerà, inoltre, che il SEBC
segua un processo decisionale trasparente e renda conto del
proprio operato. Sulla base della sua strategia, il Consiglio
direttivo della BCE informerà il pubblico regolarmente e in modo
dettagliato sulla sua valutazione della situazione monetaria,
economica e finanziaria nell’area dell’euro e sulle motivazioni alla
base delle sue decisioni di politica monetaria.”
Va messo in risalto che questi principi non sono, tuttavia, solo un vincolo per
la BCE, ma rendono più comprensibile la politica monetaria per diversi motivi. Come
afferma la Banca Centrale, nel suo Bollettino del Novembre 200222, infatti:
“(…) Innanzi tutto, una banca centrale comunicando con chiarezza il
proprio mandato e le azioni intraprese per assolverlo, promuove la
propria credibilità. Quando una banca centrale è ritenuta in grado di
raggiungere il proprio mandato e determinata a farlo, le aspettative sui
prezzi sono ben ancorate. Ciò assicura che le decisioni economiche, ad
esempio la determinazione di salari e prezzi, siano prese nel
convincimento che la stabilità dei prezzi verrà mantenuta nel medio
periodo. Viene creato un circolo virtuoso favorevole a un contesto di
prezzi stabili in cui l’attività economica può prosperare.”
“(…) In secondo luogo, un forte impegno alla trasparenza impone ai
responsabili della politica monetaria l’autodisciplina, la quale
21
Si confronti l’articolo “La trasparenza della politica monetaria della BCE” a pagina 57 del suddetto
Bollettino Mensile.
22
Si confronti l’articolo “La trasparenza della politica monetaria della BCE” a pagina 59 del suddetto
Bollettino Mensile.
28
contribuisce a garantire che le loro spiegazioni siano coerenti nel
tempo.”
“(…) In terzo luogo, una strategia di politica monetaria annunciata
pubblicamente fornisce una guida ai mercati, così che le aspettative
possano essere formate più efficientemente e accuratamente.”
Proprio quest’ultimo effetto di anticipazione è molto importante per la buona
riuscita delle operazioni di politica monetaria. Come vedremo meglio in seguito, le
Banche Centrali sono in grado di influenzare solo i tassi a breve termine mentre per
ottenere il massimo risultato dalle operazioni di politica monetaria sono determinanti
altri fattori. Per tanto “(…) se gli operatori possono anticipare in linea di massima le
risposte di politica monetaria, il processo tramite cui quest’ultima è trasmessa alle
decisioni di investimento e di consumo può essere accorciato e gli aggiustamenti
economici necessari possono essere accelerati”23.
E’ in quest’ottica di dare un supporto agli operatori, il quale permetta loro di
anticipare le intenzioni della BCE, che abbiamo svolto una ricerca al fine di
determinare quando e in che direzione evolverà la politica monetaria.
La nostra analisi parte dallo studio delle dichiarazioni rilasciate dagli operatori
della BCE all’interno dei documenti ufficiali. Normalmente infatti in una moderna
banca centrale le decisioni di politica monetaria sono prese in giorni prestabiliti e i
tassi ufficiali vengono variati solo se il pericolo di mancato raggiungimento degli
obiettivi supera una certa soglia. Questo comportamento viene spesso paragonato
nella letteratura a quello di un condizionatore d’aria nel quale il motore non mantiene
sempre ed esattamente la temperatura a quel livello ma si avvia soltanto se la
temperatura dell’ambiente si allontana oltre una certa soglia da quella programmata.
Un modo per prevedere l’avvicinarsi dell’accensione del motore è quindi osservare i
movimenti nel termometro collegato all’apparecchio. Nel caso di una Banca Centrale
“trasparente”, il suo “termometro” è costituito, appunto, dai documenti ufficiali sullo
“stato” dell’economia, dei quali “le conferenze stampa mensili tenute dal Presidente e
dal Vicepresidente e il Bollettino mensile sono due dei più importanti canali di
comunicazione”24.
23
Si confronti l’articolo “La trasparenza della politica monetaria della BCE” a pagina 59 del Bollettino
Mensile del Novembre 2002.
24
Si confronti l’articolo “La trasparenza della politica monetaria della BCE” a pagina 62 del Bollettino
Mensile del Novembre 2002.
29
All’interno di questi documenti possiamo trovare una brevissima sintesi, costituita
da poche parole chiave, che esprime l’opinione della Banca circa la presenza di rischi
inflazionistici o deflazionistici. Tale giudizio è normalmente collocato verso l’inizio del
documento (nel caso del Bollettino è all’inizio dell’Editoriale), subito dopo la
presentazione delle decisioni di politica monetaria. A questi documenti ufficiali va
comunque assimilata anche la Testimonianza del Presidente davanti al Comitato degli
Affari Economici e Monetari: essa avviene però solo ogni tre mesi ed ha una struttura
simile a quella della conferenza stampa.
Tanto per fare un esempio, nel Bollettino del febbraio 2003 era riportato che il
livello dei tassi ufficiali fosse ancora sostanzialmente idoneo (“appropriate” in inglese),
anche se il quadro economico di fondo rimaneva contrassegnato da incertezza e rischi
deflazionistici. Subito dopo, però, nella Testimonianza davanti al Comitato degli Affari
Economici e Monetari del 17 febbraio, Duisemberg non aveva più fatto cenno all’idoneità
dalla politica monetaria, limitandosi a sottolineare i soli rischi per l’attività economica,
dichiarazione questa che nel passato aveva sempre preceduto un immediato ribasso dei
tassi. Nella conferenza stampa del successivo 6 marzo, giorno della riduzione di 0,25 punti
del Repo, il Presidente, dopo aver ricordato che “le prospettive inflazionistiche sono
migliorate nei mesi più recenti grazie in particolare alla bassa crescita economica e
all’apprezzamento dell’euro”, concludeva affermando che “il Consiglio Direttivo resta
pronto ad agire con decisione e prontezza”. Anche queste espressioni non sono nuove: nel
passato avevano sempre indicato l’avvicinarsi di una riduzione, anche se non imminente,
dei tassi.
Un problema cui si va incontro nel valutare questi documenti è che lo loro sintesi
sono (ovviamente) redatte in termini verbali, con tutte le possibili ambiguità che ne
derivano. Per cercare di rendere più semplice l’interpretazione e valutarne nel contempo
l’utilità, abbiamo allora raccolto tutti i giudizi apparsi nei documenti ufficiali dal gennaio
1999 in avanti. Essi sono poi stati ripartiti sia in base al significato letterale delle
espressioni utilizzate (è andata consolidandosi nel tempo la prassi che la BCE riutilizzi
esattamente le stesse parole,25 o al più impieghi stretti sinonimi), sia in base ai mesi
25
A questo proposito è fondamentale anche il parere dello stesso Duisenberg che nella conferenza stampa
del 6 marzo, rispondendo a un’esplicita domanda sull’uso della parola “appropriare” (= idoneo), ha
affermato che “if we use the word “appropriate” we expect it [= il livello dei tassi] to remain valid for a
considerable period of time. By now the uncertainties are so great and the developments may come so fast.
And we are not even certain of what direction the actual development will take. So that is the reason why we
deliberately avoided the word “appropriate” because that would give a sort of consolidation idea which we
simply don't have.”
30
intercorrenti tra un certo giudizio espresso dalla Banca e il successivo intervento di politica
monetaria.
Il risultato mostra una sostanziale coerenza tra significato linguistico delle
espressioni dei documenti ufficiali e futuro comportamento dell’autorità monetaria. E’
stato così possibile costruire una sorta di corrispondenza tra queste espressioni e un indice
di pericolo per la stabilità dei prezzi (TABELLA 1).
TABELLA 1. Giudizi ufficiali della BCE sulla situazione economica e nostro indice
di rischio inflazionistico (+ inflazione, - deflazione). (in neretto le espressioni standard della
BCE; periodo: gen. 1999- dic. 2002)
Espressioni chiave dei giudizi della BCE
Assoluta necessità di contrastare l’inflazione:
Imperative that upward pressure to be contained. – Essential short-term
movements of inflation do not become protracted and translate into second round
effects. - [We assure that] price stability in the euro area will be maintained, or: [that
ECB will] take appropriate action if and when required.
Grave pericolo inflazionistico:
Risks [to price stability] are upward (upside). - Downward risks have receded
further. - The risks to price stability are confirmed.
Necessità di monitorare attentamente l’inflazionistici:
Vigilant (vigilance). - Alert. - Assessed continuously. - Close monitored. –
Continuous close attention.
Situazione sotto controllo ma da monitorare:
Both confident and vigilant (Good however vigilant)
Assenza di rischi deflazionistici:
The downside risks have disappeared
Situazione di Incertezza:
Mixed signals. - Uncertainty. - [Price perspectives are] less satisfactory but further
evidence is needed
Situazione leggermente meno favorevole che nel passato:
Somewhat less favourable
Situazione sostanzialmente bilanciata:
Rather balanced. – Upward pressure remain contained. - Not a risk increases
Situazionemolto ancor più bilanciata, con scarsi sintomi inflazionistici:
More balanced. - {questa sintesi è spesso accompagnata nella precisazione finale da
espressioni del tipo: At the same time vigilant with regard to (or: monitor closely)
some factors. - Argue for caution [with regard to] some (or: key) factors. – [Only]
some risks can be identified - Temporary factors effect prices.}
Politica monetaria già adeguata alle condizioni economiche;
Appropriate. - Current policy stance should ensure price stability. – Confident. –
Consistent [with price stability]. – Favourable. - In line
Situazione econmica bilanciata:
[risks to price stability are] balanced. – Absence (or: no indications) of significant
[or: no strong] upwards or downwards pressures on prices.
Ulteriore riduzione dell’inflazione e passaggio dell’enfasi alla crescita:
Upward risks to price stability have diminished [even if not fully disappeared]. Improvement [in inflation risks]. - Inflationary pressures have further diminished (or:
are lower). – Risks from the first and second pillars are diminished.
Forti rischi deflazionistici:
Monitor closely the downside risks to economic growth (or: monitor the [low]
development very closey; or: the downside risks to economic growth in the euro area
will be monitored closely) - Economic slowdown is cause for concern
Confirmed. - Not altered. - No change from previous assessment. - Broadly
unchanged
Compatible
Fonte: nostre analisi dei documenti ufficiali della BCE.
31
Nostro
indice
+3
+2
+1
0
-1
-2
-3
?
?
In questa tabella le espressioni più tipiche della BCE sono riportate in neretto e il
corrispondente livello di rischio è rappresentato da una graduatoria che va da -3 a +3.
Ovviamente questa scala è del tutto arbitraria e va considerata puramente indicativa (per
esempio nell’interpretare una certa dichiarazione si deve considerare anche se i tassi sono
appena stati modificati e di quanto); ciò non toglie che possa essere utile come ausilio per
comprendere i documenti ufficiali: per esempio, a un livello di rischio ≤ -2 o ≥ +2 è quasi
sempre seguita nel mese successivo una variazione (riduzione nel primo caso e aumento
nel secondo) del tasso ufficiale.
Invece, quando il livello era compreso tra -1 e +1, il Repo non è stato quasi mai
modificato.26 Va comunque segnalato che le espressioni utilizzate dalla BCE fanno
normalmente riferimento al rischio per la stabilità dei prezzi, ne deriva che una situazione
inflazionistica “favorevole” delinea già un moderato clima al ribasso, coerentemente con
l’articolo 2 del Trattato che chiede all’autorità monetaria di stimolare la crescita quando la
stabilità dei prezzi non è in pericolo.
Grazie all’ausilio della TABELLA 1 è stata poi costruita una graduatoria mensile
di “giudizi” (costituita come detto in precedenza da numeri che vanno da -3 a +3) per tutto
il periodo dal gennaio 1999 in avanti. Nei pochi casi in cui la BCE ha utilizzato più di
un’espressione, come indice del rischio inflazionistico è stata presa la media dalla loro
graduatoria. Alle espressioni contenute negli eventuali commenti esplicativi è stato
comunque assegnato un peso più basso (1/2) di quello dato ai giudizi sintetici. La serie
mensile così calcolata è riportata nella FIGURA 4 insieme al segno degli interventi di
politica monetaria del mese successivo.
26
Nella Tabella 1 l’espressione “confirmed” con i suoi sinonimi non è stata classificata perché ambigua, in
quanto indica semplicemente che il giudizio è lo stesso del mese precedente. Non è stata classificata
nemmeno l’aggettivo “compatible” perché, anche se grammaticalmente simile a “appropriate”, è stato
quasi sempre utilizzato in presenza di elevato rischio inflazionistico. Altre espressioni apparentemente
ambigue (come ad es. “more balanced”) sono state impiegate soltanto in condizioni di rientro da pericoli
inflazionistici che ne hanno reso sostanzialmente univoco il significato.
32
FIGURA 4. Nostro indice del giudizio della BCE sul rischio inflazionistico e segno
della variazione del Repo nel mese successivo.
+3
(periodo: gen. 1999 – gen. 2003)
+2
+1
0
-1
-2
Giudizio BCE
segno del successivo intervento
-3
99:01
99:07
00:01
00:07
01:01
01:07
02:01
02:07
Fonte: nostre elaborazioni su dati e documenti BCE
Come si nota, questi interventi sono stati quasi sempre preceduti da un giudizio
preoccupato sullo stato dell’economia.
Un’ulteriore conferma dell’importanza attribuita ad una comunicazione ci giunge
chiara dalla riunione che si è tenuta l’08 Maggio 2003 al fine di fare una revisione
dell’approccio nella conduzione della politica monetaria. Proprio in questa occasione il
Consiglio Direttivo della Banca Centrale Europea ha dichiarato la necessità di una
maggiore chiarezza comunicativa pur lasciando pressoché inalterata la strategia di
conduzione sottostante. Si è infatti sottolineato che “il Consiglio Direttivo (…) desidera,
tuttavia, rendere più chiara la comunicazione riguardo alla verifica incrociata delle
informazioni in base a cui perviene a un giudizio complessivo univoco sui rischi per la
stabilità dei prezzi. Si è pertanto deciso di modificare l’impostazione della dichiarazione
introduttiva del Presidente. D’ora innanzi questa esordirà con l’analisi economica, (…)”
cui “seguirà l’analisi monetaria”. “La nuova impostazione della dichiarazione introduttiva
conferirà maggiore risalto al fatto che le due prospettive offrono quadri analitici
complementari a supporto della valutazione complessiva dei rischi per la stabilità dei
prezzi effettuata dal Consiglio Direttivo.”
... omissis ...
33
4. Influenza del contesto di incertezza
sulle scelte strategiche
Le Banche Centrali devono prendere le decisioni di politica monetaria in un
contesto di notevole incertezza. Questa incertezza può derivare da tre fattori generali:
lo stato dell’economia, la struttura economica e la reazione degli operatori.
L’incertezza inerente lo stato dell’economia riguarda la corretta valutazione
delle condizioni correnti al fine di individuare natura e persistenza degli shock
osservati ed è influenzata dalla imperfezione delle informazioni. In particolare
studiando variabili monetarie, finanziarie ed economiche si possono riscontrare
problemi di tempestività (i migliori dati sono quelli diffusi con breve ritardo rispetto
al periodo cui si riferiscono) e affidabilità (nell’area dell’euro particolare importanza
riveste l’armonizzazione dei concetti statistici fra i diversi paesi; inoltre i dati
migliori sono quelli che normalmente subiscono il minor numero di revisioni). Altra
causa di questo tipo di incertezza risiede nell’utilizzo di indicatori sintetici che
raggruppano un certo numero di dati osservati (si pensi ad esempio alla misurazione
dell’output gap). Per calcolarli, oltre a compiere delle stime vengono uniti dati più e
meno incerti e quindi la distorsione relativa degli indici risultanti è presumibilmente
maggiore di quella dei dati di partenza.
La seconda fonte risiede nella scarsa conoscenza della struttura dell’economia
e del suo funzionamento. Essa è insita nella difficoltà di individuare il modello che
descrive a pieno le relazioni esistenti nell’economia anche perché, essendo ogni
modello una semplificazione della realtà, esso darà più peso a determinati aspetti
piuttosto che ad altri. Inoltre i parametri che compongono un modello sono stimati sui
dati reali, che come già detto sono imperfetti, e cambiamenti strutturali dell’economia
possono modificarli.
Collegata invece alla reazione che avranno gli operatori alle azioni della
Banca Centrale è la terza causa di incertezza. Ciò è direttamente connesso alle
aspettative che gli operatori si creano e, come vedremo più avanti, all’influenza che
queste esercitano sul meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Tuttavia è
già intuibile che quest’ultima sia più agevole da portare a termine con successo
quanto maggiore è il grado di prevedibilità delle azioni della Banca Centrale. Questa
considerazione rafforza il concetto, espresso in un paragrafo precedente, secondo cui
34
la trasparenza (attraverso la creazione di credibilità) innesca un circolo virtuoso che
renderà più facile mantenere gli obiettivi prefissati.
I tre fattori di incertezza esaminati sono comuni a tutte le Banche Centrali, ma
come più volte citato ne esiste uno specifico per la Banca Centrale Europea che
amplifica questi fenomeni distorsivi. Con l’inizio della Terza Fase l’Eurosistema
affronta una situazione completamente nuova e unica: l’Unione Monetaria.
Particolare preoccupazione creano alcune incertezze riguardanti il comportamento
degli operatori, le strutture istituzionali e le serie statistiche nell’euro-area. Infatti
questo cambiamento ha trasformato le istituzioni che prendevano le decisioni di
politica monetaria e per tanto tenderà a modificarsi l’assetto del sistema finanziario
influenzato dal modo in cui si formano le aspettative. Ma se dovessero cambiare i
comportamenti degli operatori alcune relazioni empiriche calcolate sui dati relativi al
passato potrebbero risultare non più valide e quindi fuorvianti. Altri cambiamenti
potrebbero crearsi nella composizione dei portafogli dei privati, portati
dall’introduzione della moneta unica, o nella concorrenza sui mercati, sostenuta
dall’eliminazione del rischio di cambio e dalla maggiore trasparenza nei prezzi.
L’insieme di queste cause condurrebbero alla perdita dell’esperienza accumulata nella
formulazione di analisi e previsioni macroeconomiche.
Per tutti questi motivi la Banca Centrale Europea nell’enunciare la propria
strategia di politica monetaria ha fatto riferimento a due concetti abbastanza noti in
letteratura. Il primo concetto è quello del “Principio di Cautela di Brainard”: tenuto
conto delle incertezze esistenti sui dati e sulle caratteristiche del processo di
trasmissione che caratterizzano l’area dell’euro, la Banca Centrale Europea reagirà in
modo meno vigoroso di quanto sia ottimale senza questa incertezza (ne è un esempio
la manovra dei tassi in modo graduale). Naturalmente va ponderato il grado di cautela
in base alla entità e alla natura dell’incertezza riscontrata.
Il secondo concetto è quello della “Robustezza”: verrà attuata quella politica
che dà i migliori risultati attraverso l’utilizzo dei vari modelli plausibili e nelle varie
circostanze in cui si può incorrere. Ciò per rispondere alle sopra descritte incertezze
inerenti affidabilità dei dati, valori dei parametri e modello usato.
Varie erano anche le alternative già sperimentate da altri istituti su cui basare
la propria strategia fra cui la BCE poteva scegliere. Pensiamo ad esempio al
“Monetary Targeting” (in cui viene modificato il tasso ufficiale ogni qual volta la
crescita dell’aggregato monetario si discosta dal valore di riferimento), al “Direct
35
Inflation Targeting” (in cui ci si impegna a reagire a qualsiasi deviazione
dell’inflazione riscontrata rispetto all’obiettivo prefissato) o al “Exchange Rate
Targeting” (quest’ultimo era seguito da alcuni stati europei prima della moneta
unica).
La Banca Centrale Europea non li ha scartati a priori, ma ha valutato
seriamente pregi e difetti e, nell’ottica di formulare una strategia “cauta” e “robusta”,
ha attuato le proprie scelte. Ha scartato l’“Exchange Rate Targeting” dato che
l’Europa è una economia relativamente chiusa e l’impatto del tasso di cambio sul
livello dei prezzi, concretizzato attraverso le importazioni, è modesto. Ha accettato le
considerazioni secondo cui l’inflazione è “in ultima analisi” un fenomeno monetario e
non ha completamente escluso l’approccio del “Monetary Targeting”, anzi ne ha fatto
il fondamento del primo pilastro della propria strategia. Tuttavia, ritenendo altrettanto
valide le osservazioni secondo cui esistono altre variabili macroeconomiche che
contengono informazioni rilevanti per una politica monetaria votata alla stabilità dei
prezzi, gli ha affiancato una “analisi di ampio respiro” di vari indicatori economici.
Fra questi figura anche l’analisi del tasso di inflazione corrente che sta alla base del
“Direct Inflation Targeting”.
In definitiva ha creato una strategia in cui il primo pilastro rappresenta
l’insieme dei modelli che assegnano un ruolo importante alla moneta, mentre il
secondo quelli che danno peso alla relazione domanda-offerta e alle pressioni
esercitate dai costi.
Comunque esistono altre due grosse differenze fra la strategia della Banca
Centrale Europea e i due approcci non completamente scartati:
1.
Per il “Principio di cautela” la BCE non reagirà immediatamente a ogni
variazione al di sopra o al di sotto del livello di riferimento, ma verrà
valutata sia l’entità che la natura (di breve o di lungo periodo) di tale
deviazione.
2.
Spinti dalla “Robustezza”, vengono fatti studi approfonditi delle cause
delle variazioni registrate. Possono, infatti, esistere fattori la cui analisi
ci può dimostrare che l’effetto che si è verificato non costituirà un
pericolo per la stabilità dei prezzi nel medio periodo.
36
Concludendo, si può dire che la strategia della Banca Centrale Europea è
basata su tutte le informazioni disponibili e non solo su quelle maggiormente
rilevanti. Così facendo si riducono gli errori di politica monetaria causati da un
eccessivo affidamento a un modello o indicatore che, nella situazione di incertezza in
cui opera la BCE, potrebbero distorcere la realtà.
5. LA TRASMISSIONE
DELLA POLITICA MONETARIA
5.1 Gli effetti economici della politica monetaria
Definito l’obiettivo di cui si è fatta carico la Banca Centrale Europea e lo
schema di analisi che sta alla base della strategia per il suo ottenimento, passiamo ora
ad studiare come questa istituzione utilizza gli strumenti a sua disposizione.
La risposta di politica monetaria più opportuna per risolvere al meglio uno
specifico problema va decisa tenendo conto sia della natura degli shock intervenuti
(esigenza cui si sopperisce con l’analisi a due pilastri), ma anche dando importanza
all’intero processo di trasmissione, il quale si sviluppa a pieno su un orizzonte
temporale di diversi anni. E’ anche per questo che il periodo di riferimento su cui
mantenere la stabilità dei prezzi è stato definito di medio termine. Infatti, l’economia
non reagisce immediatamente agli interventi, anzi impiega circa due anni per
rispondere completamente allo stimolo datole. Nel medio periodo quindi si avrà
un’economia pienamente influenzata dalla politica della Banca Centrale e che meglio
rispetterà gli obiettivi che questa si è prefissa. Inoltre, dati i considerevoli ritardi,
eventuali tentativi di controllare gli shock a breve potrebbero provocare effetti
destabilizzanti nel medio periodo.
Il meccanismo di trasmissione è costituito dai diversi canali attraverso cui
l’utilizzo di un determinato strumento influisce sul livello dei prezzi. La loro
comprensione ci permette di valutare la portata e i tempi delle decisioni da
intraprendere ed è per questo importante che coloro che attuano le scelte di politica
monetaria ne abbiano una piena conoscenza.
37
Va, ancora una volta, sottolineato che una realtà nuova come quella dell’euro
(in continua evoluzione in risposta a variazioni nei comportamenti economici e nella
struttura istituzionale) è afflitta da un notevole livello di incertezza. Ciò va tenuto
presente anche dalla Banca Centrale perché influenza la conoscenza dei meccanismi
di trasmissione. Solo col tempo ci si potrà rendere conto meglio di quali sono le
effettive reazioni dell’economia dell’euro-area alle sollecitazioni di politica
monetaria.
Infine non è secondario il fatto che nel breve periodo la dinamica dei prezzi è
influenzata da altri fattori, interni o esterni, non legati alle scelte della Banca Centrale
Europea. Un esempio, che spesso nella breve storia della BCE è riscontrabile, è
quello del rincaro del prezzo del petrolio che ha considerevolmente influenzato il
livello dell’IAPC. Per comprendere a fondo la realtà, la Banca Centrale deve essere
capace di separare gli effetti di questi fenomeni distorsivi di breve periodo
dall’impatto delle proprie scelte.
Di seguito si andranno ad analizzare quali sono i vari passaggi che portano da
una modificazione del livello dei tassi ufficiali a una variazione dell’inflazione,
nonché di come le aspettative possano influenzare la trasmissione.
5.1.1 I canali di trasmissione e le aspettative
Dopo l’attenta analisi svolta inerente il primo e secondo pilastro della
strategia, la Banca Centrale Europea deciderà se intervenire o se lasciare le cose come
stanno perché l’attuale situazione non comporta pericoli per il livello dell’inflazione
nel medio periodo. Nel caso in cui essa decida di agire, il processo che condurrà agli
effetti desiderati sull’economia verrà innescato attraverso una modificazione dei tassi
ufficiali, cioè quelli applicati dalla Banca Centrale stessa sulle operazioni di
rifinanziamento principali e sulle standing facilities.
Siccome il sistema bancario domanda moneta alla BCE per supplire alla
richiesta dei propri clienti, per far fronte alla riserva obbligatoria presso la stessa
Banca Centrale e per sopperire alle necessità interbancarie e siccome la BCE ha il
38
monopolio nella creazione di Base Monetaria, quest’ultima può, attraverso le sue
scelte, influenzare il mercato monetario e quello creditizio.
La modifica delle condizioni su questi ultimi due mercati crea una variazione
delle possibilità di finanziamento (atto a compiere investimenti) e investimento
(inteso sia come acquisto di beni durevoli, che come acquisizione di attività
finanziarie) di consumatori e imprese. Viene così influenzato da una parte il prezzo di
titoli e azioni e dall’altra il livello della domanda interna di beni e servizi.
Si creano in questo modo variazioni sia della domanda che dell’offerta che, a
seconda della direzione in cui spingono, possono creare tensioni al rialzo o al ribasso
sui prezzi (FIGURA 12).
FIGURA 12. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria
Modificazione
tassi
ufficiali
Modificazione
mercato monetario e
creditizio
Modificazione
mercato
finanziario
Aspettative
Livello
della
inflazione
Modificazione
della
spesa
Un fattore che non ha gran peso all’interno di una grande economia
relativamente chiusa come quella dell’Unione Europea è, invece, il livello del tasso di
cambio. Esso in condizioni diverse da quelle europee agirebbe sul livello del costo
delle materie prime e dei semilavorati (che influenzerebbe il pricing dei beni) e a
livello di costo del bene finito importato o esportato, variando la competitività di
questi ultimi sia sui mercati nazionali che esteri.
Prima di passare ad analizzare più nello specifico i vari passaggi attraverso cui
si procede dalla variazione dei tassi ufficiali al controllo del livello dell’inflazione, è
opportuno soffermarsi su un fattore che gioca un ruolo altrettanto importante nel
meccanismo di trasmissione: le aspettative. Queste sono molto importanti perché
39
agiscono su tutti gli agenti economici: le famiglie decidono il livello di spesa e
risparmio27 (determinando l’ammontare di spesa futuro) e le imprese quello degli
investimenti (determinando la loro capacità produttiva futura).
Abbiamo già detto che le aspettative sono influenzate dalla definizione
dell’obiettivo che si vuole raggiungere e che il loro ancoraggio dipende dalla capacità
delle istituzioni di raggiungere un certo livello di credibilità attraverso la
comunicazione sia delle decisioni prese che delle cause che l’hanno spinta ad attuare
una specifica scelta d’intervento.
Le aspettative svolgono un ruolo importante anche nella definizione di alcuni
fattori su cui poi si baserà il futuro pricing dei beni. Ad esempio, sul mercato del
lavoro la contrattazione che porta alla definizione del livello dei salari viene fatta
tenendo conto dell’inflazione attesa per il futuro. Un altro esempio possiamo trovarlo
nella definizione dei tassi di interesse a lungo termine di cui una componente
importante è il premio al rischio di inflazione. Più gli attori economici crederanno a
un mantenimento nel tempo della stabilità dei prezzi e più questo premio sarà basso.
Va tenuto presente, però, che è molto difficile misurare qual è il livello delle
aspettative o prevedere se e come cambieranno quando arriveranno sul mercato nuove
informazioni. Tuttavia l’importanza di questo canale di trasmissione non è stata
sottovalutata dalla Banca Centrale Europea che, nella definizione della sua strategia,
ha tenuto conto che quest’ultima è capace di influenzare le aspettative e per
aumentarne la comprensione (e quindi la credibilità) ha postulato il principio della
trasparenza.
Quando, col passare del tempo, gli operatori capiranno a fondo gli obiettivi,
anche secondari, della Banca Centrale e la maniera in cui vengono fissati i tassi
ufficiali per il loro mantenimento, allora anticiperanno sempre con maggiore
esattezza gli interventi di politica monetaria e favoriranno il raggiungimento del fine
cui è preposta la BCE.
27
Facciamo in questo caso riferimento al concetto microeconomico di vincoli di bilancio e curve di
indifferenza.
40
5.1.2 Le variazioni delle condizioni dei mercati finanziari
Tutta la catena di trasmissione monetaria ha inizio con una variazione, da parte
della Banca Centrale Europea, dei tassi di interesse sulle operazioni di
rifinanziamento principali e sulle operazioni attivabili su iniziativa delle controparti.
A questa modifica si adegueranno, con ritardi variabili (dettati dalla struttura dei
mercati e dalle caratteristiche degli operatori), gli altri tassi di interesse, il prezzo
delle attività e la disponibilità di credito.
Tuttavia, prima di analizzare a fondo i canali di trasmissione, è importante
fare una precisazione inerente il modo in cui si modifica la realtà: le decisioni di
politica monetaria saranno anticipate, e non seguite, dalle variazioni delle condizioni
del mercato finanziario, soprattutto quando queste sono ampiamente previste. In
particolare i tassi di mercato iniziano a portarsi su nuovi livelli alcuni giorni prima
della data di modificazione del tasso di interesse di riferimento (FIGURA 13).
Una volta modificate le condizioni del mercato monetario, sarà la “possibilità
di arbitraggio” a determinare gli adeguamenti dei prezzi sui mercati finanziari. La
teoria della struttura a termine dei tassi ci suggerisce che i tassi di interesse nominali
a lungo termine sono calcolati come la media dei tassi a breve termine correnti e di
quelli futuri attesi lungo tutto l’arco di vita residua del titolo sottostante. E’ quindi
necessario sapere se per il futuro ci si aspetta che il livello dei tassi a breve,
determinato dalla variazione, persista o se ci si aspetta una seconda manovra che
riporta i tassi a livelli registrati prima della stessa. Nel primo caso anche i tassi a
lungo termine si muoveranno nella direzione dell’intervento di politica monetaria.
Nel secondo caso l’inversione di tendenza può compensare la crescita dei tassi a
breve (che comunque entra nella determinazione del livello dei tassi a lungo) e per
tanto con aspettative di diminuzione dell’inflazione i tassi a lungo possono anche
diminuire a fronte a un aumento dei tassi ufficiali. Uno dei fattori alla base di questo
ultimo fenomeno è la credibilità, e quindi la forza, della misura di politica monetaria
attuata: più si ritiene che la Banca Centrale abbia agito tempestivamente e nella giusta
direzione per il mantenimento della stabilità dei prezzi e più il livello dell’inflazione
e quindi i tassi futuri attesi si manterranno su livelli bassi.
41
FIGURA 13. Modificazioni del tasso ufficiale e dell’EURIBOR ∗
A sua volta, una variazione dei tassi di interesse di mercato potrebbero influire
sul prezzo dei valori mobiliari e delle attività reali. Infatti le condizioni di arbitraggio
equiparano il loro valore a quello dei rendimenti futuri attesi attualizzati a un
determinato tasso di sconto. Per tanto una modifica dei tassi di mercato porta un
cambiamento su due fronti (FIGURA 14):
FIGURA 14. Da variazione tassi ufficiali a variazione mercato delle attività.
∆ rendimento
∆
TASSI
UFFICIALI
di equilibrio
delle attività
∆
TASSI
∆
PREZZO
DI
∆ utili futuri
(per le azioni
e la proprietà
di capitale)
MERCATO
∗
DELLA
ATTIVITA’
Fonte: Articolo del Bollettino Mensile pubblicato dalla BCE nel Luglio 2000 intitolato: “La trasmissione
della politica monetaria nell’area dell’euro.
42
-
Influenza il livello del tasso di sconto. Ciò significa che ipotizzando un
aumento di tassi ufficiali, cresce il tasso di sconto applicato e per tanto,
ceteris paribus, diminuisce il valore attuale dei flussi monetari futuri e quindi
il prezzo dell’attività sottostante.
-
Influenza il livello degli oneri finanziari subiti dalle aziende. In particolare,
sempre nell’ipotesi di un aumento dei tassi ufficiali, ciò si tradurrebbe in una
diminuzione del livello degli utili futuri attesi delle imprese. Questi, a loro
volta, vanno a diminuire il valore attuale dei flussi monetari futuri e quindi il
prezzo dell’attività sottostante (questo effetto è molto importante soprattutto
per le azioni). Va aggiunto che all’aumentare degli oneri finanziari potrebbe
crescere il rischio che l’azienda non riesca a far fronte agli impegni presi. A
questo punto le banche aumenterebbero il premio al rischio richiesto, con un
secondo inevitabile aumento del tasso del finanziamento che andrebbe a
peggiorare ulteriormente la situazione. Tuttavia, va ripreso il concetto secondo
cui una manovra di politica monetaria tempestiva potrebbe creare le
premesse per una diminuzione dell’inflazione attesa e quindi dei tassi di
interesse a lungo termine: ciò avrebbe un effetto positivo sui corsi azionari.
Esiste una terza condizione di arbitraggio che agisce a livello dei tassi di
cambio. Infatti questa presuppone che un attore economico ottenga uguale rendimento
investendo lo stesso ammontare in diverse valute e quindi agisce sul livello dei tassi
di cambio in modo da mantenerlo uguale al differenziale fra i tassi interni e quelli
esteri. Anche questa condizione, come le altre, agisce però in maniera approssimativa
dato che il livello dei tassi è influenzato da diversi fattori di rischio (cambio,
liquidità, ecc.). Ciò nonostante queste variazioni del tasso di cambio possono
influenzare il livello dei profitti di quelle aziende che lavorano con l’estero.
Abbiamo, fino ad ora, dato per scontato il ruolo delle banche all’interno del
meccanismo che conduce, da una variazione delle condizioni sui mercati monetari,
alla modificazione dei tassi sul mercato del credito e dei depositi: analizziamolo
quindi nel dettaglio.
Il loro adeguamento sarà influenzato da diversi fattori strutturali, quali il
livello della concorrenza e le preferenze di prenditori e datori di fondi legate a durata
e livello dei tassi nominali. Nell’Unione Monetaria è riscontrabile che i tassi di
43
interesse bancari seguono da vicino il livello di quelli del mercato monetario,
mostrando però un andamento più regolare. In particolare le banche che devono
affrontare un basso livello di concorrenza possono adeguare con maggiore ritardo il
livello dei tassi che pagano sui depositi rispetto ad un aumento dei tassi del mercato
monetario. Dall’altra parte, tenderanno ad abbassare con lentezza il tasso richiesto sui
prestiti dopo una riduzione dei tassi ufficiali. In questo modo riescono ad allargare il
divario fra costi e ricavi (interessi attivi e passivi) aumentando il loro profitto.
Inoltre, teoricamente, un aumento dei tassi a breve provoca una contrazione
dei depositi in conto corrente a fronte di una maggiore richiesta di altre attività. Le
banche in risposta a questa situazione contrarranno la loro offerta di prestiti a scapito
delle piccole e medie imprese e delle famiglie, che vedendosi diminuire le possibilità
di finanziamento diminuiranno il livello dei loro investimenti e consumi.
Seppure queste considerazioni siano teoricamente valide, va detto che al
momento sono in atto profondi mutamenti all’interno del settore finanziario. La
nascita di un mercato unico ha aumentato il livello di concorrenza cui le istituzioni
creditizie devono fare fronte. Più in generale stanno nascendo nuovi servizi
all’interno del settore finanziario (maggiore ricorso a finanziamento diretto, nascita di
numerosi fondi comuni, nascita di istituti finanziari specializzati in leasing, factoring,
ecc.) che obbligano le banche a una maggiore efficienza nella fissazione dei prezzi
dei loro prodotti.
5.1.3 Le variazioni della spesa
Le variazioni nelle condizioni del mercato finanziario, viste sopra, a loro volta,
attraverso quattro diversi effetti, provocano una variazione della spesa. Anche qui
tuttavia dimensioni e tempi delle variazioni dipenderanno della struttura finanziaria
ed economica e da altri fattori che hanno il loro impatto sulla domanda aggregata.
I quattro diversi effetti che innescano una variazione della spesa sono:
-
Effetti sul costo del capitale.
Effetti di reddito.
Effetti di ricchezza.
Effetti del tasso di cambio.
44
Gli effetti sul costo del capitale sono direttamente collegati alla variazione del
livello dei tassi di interesse. Infatti tanto più aumenta il costo che un soggetto
economico è costretto a pagare per ottenere capitale dalle istituzioni finanziarie o
direttamente emettendo titoli (si prenda ad esempio il tasso di interesse sulle
obbligazioni o il livello di guadagno minimo che ci si aspetta investendo in azioni di
una determinata società) e tanto più sarà disincentivato a spendere.
Ad esempio una azienda che si vede aumentare i tassi da pagare e per tanto il
livello degli oneri finanziari, ceteris paribus, contrarrà il livello degli investimenti a
quelli strettamente necessari, aspettando momenti più favorevoli per effettuare quelli
non così impellenti ma che le permetterebbero comunque di diventare maggiormente
competitiva. Questo in quanto si riduce la redditività dell’investimento rendendolo
meno appetibile. E’ vero, tuttavia, che l’impatto di questo effetto dipende molto
anche dal settore in cui si trova a competere l’azienda. In particolare esso si farà
sentire di più nei settori a più alta intensità di capitale, piuttosto che nei servizi o nei
comparti a forte utilizzo della manodopera.
Infine il costo del capitale costituisce una determinante importante del livello
di spesa delle famiglie. Esse, per l’acquisto di beni di consumo durevoli che
necessitano di un ingente esborso (si pensi ad autoveicoli e abitazioni), fanno
affidamento a mutui o a pagamenti rateali. L’aumento dei tassi di interesse provoca
quindi una contrazione dell’acquisto di questi beni. D’altra parte una diminuzione dei
tassi fa diminuire la redditività dei risparmi a favore dell’aumento dei consumi (non
necessariamente di beni di consumo durevoli). E’ importante precisare che
quest’ultimo effetto è però ritenuto, dagli economisti, di entità piuttosto modesta.
Gli effetti di reddito si manifestano in quanto una variazione dei tassi
influenza il reddito percepito e i pagamenti da effettuare derivanti da interessi. Nella
maggior parte dei paesi del mondo le famiglie sono solitamente in posizione
creditoria netta (cioè l’ammontare dei loro crediti supera quello dei debiti), mentre le
imprese e lo stato si trovano comunemente in posizione debitoria netta (prendono a
prestito più di quello che cedono come credito). Questa posizione è importante perché
un aumento dei tassi crea effetti diversi in base al fatto che ci si trovi da una parte o
dall’altra di questa situazione. In particolare le famiglie si vedranno aumentare il
reddito disponibile, laddove le imprese subiranno una riduzione dei profitti e crescerà
il disavanzo pubblico. La dimensione di questi effetti dipenderà in gran parte dalla
composizione del bilancio degli attori economici, mentre il ritardo con cui si
manifesteranno sarà legato alla natura dei tassi applicati (capitali remunerati a tassi
45
variabili manifesteranno prima il loro effetto rispetto a valori che vengono retribuiti a
tassi fissi).
Per le imprese questo effetto si manifesta aumentando i costi finanziari di
quella parte del debito che, avendo scadenza inferiore all’anno, deve essere
rinegoziato. La diminuzione del flusso di cassa che si genera in tal modo va a
potenziare l’effetto di costo del capitale di cui abbiamo discusso in precedenza e a
indebolire le basi su cui le istituzioni creditizie fondano l’analisi per la concessione di
prestiti (e quindi ad aumentare il premio al rischio richiesto).
Il capitale delle famiglie invece è costituito in gran parte da posizioni a medio
o lungo termine accese a tasso fisso. Per tanto gli effetti prodotti da una variazione
del livello dei tassi si manifesteranno soltanto gradualmente.
Siccome i due risultati inerenti l’effetto di reddito visti sopra compensano la
loro spinta sulla domanda aggregata, la direzione presa da quest’ultima dipenderà
dalla propensione alla spesa dei debitori netti e dei creditori netti.
Il terzo effetto visto è quello di ricchezza. Esso si manifesta in quanto, come
abbiamo già detto, la variazione dei tassi di interesse modifica il valore delle attività
finanziarie e reali. In questo modo viene influenzata la percezione che ogni individuo
ha della propria ricchezza. In particolare se aumenteranno i corsi dei titoli o il valore
delle attività reali possedute, un soggetto economico sarà più propenso a spendere di
quando, gli stessi, avranno un andamento opposto.
L’aumento del valore delle attività reali, come anche la diminuzione delle
stesse ma in opposta direzione, provoca un secondo risultato che influenza il livello
dei finanziamenti ottenibili e quindi della spesa. Negli ultimi anni sta prendendo
piede la pratica di contrarre prestiti offrendo in garanzia le attività reali (si prenda, ad
esempio, per le famiglie le ipoteche iscritte sulla casa e per le aziende la fornitura di
fattori produttivi come garanzia nei contratti di credito). E’, a questo punto, intuibile
che all’aumentare del valore del bene cresca anche il finanziamento concesso e con
esso la capacità di spesa di un soggetto economico.
Da ultimo vi sono i risultati, di cui abbiamo già accennato nel paragrafo
precedente, inerenti l’effetto del tasso di cambio. Innanzitutto va detto che questi
effetti possono influenzare sia le importazioni che le esportazioni.
46
Quando si parla di importazione, va inoltre distinto se si importano beni
intermedi nel processo produttivo o beni finiti. Nel primo caso infatti si ha un effetto
sui costi di produzione che poi l’impresa scaricherà nel processo di pricing. Si
determinerà così, direttamente, un risultato di variazione dei prezzi e del livello di
inflazione. Nel secondo caso invece i risultati di questo effetto sul tasso di cambio
sono inerenti il livello delle esportazioni nette, le quali sono una delle componenti
determinanti la domanda aggregata.
Nel momento in cui si parla di esportazioni, sia che si riferiscano a beni
intermedi che a beni finiti, si provocherà solo il secondo effetto visto sopra (cioè
quello inerente le esportazioni nette). Ricordiamo infine che, essendo l’euro-area
un’economia relativamente chiusa, questi risultati sono abbastanza lievi e non vanno
sopravvalutati.
Concludiamo con una rappresentazione schematica degli effetti appena
descritti che riassume bene tutto il passaggio di trasmissione di politica monetaria
dalla variazione dei mercati finanziari alla variazione della spesa (FIGURA 15).
47
FIGURA 15. Dalla variazione dei mercati finanziari alla variazione di spesa
Variazione dei tassi
∆
∆ costo del bene di
consumo durevole
EFFETTO
COSTO DEL
CAPITALE
∆ redditività
dell’investimento
S
∆ costi per i
debitori netti
EFFETTO
P
DI
REDDITO
∆ guadagni per i
creditori netti
E
∆ percezione della
∆
del valore
delle
attività
propria ricchezza
EFFETTO
DI
RICCHEZZA
S
∆ valore attività
date in garanzia
A
∆ livello delle
EFFETTO
esportazioni
TASSO DI
CAMBIO
∆ livello delle
importazioni
∆
livello
della
inflazione
Beni
intermedi
48
Prodotti
finiti
5.1.4 Le variazioni dell’inflazione
Siamo a questo punto arrivati a determinare come il meccanismo di
trasmissione della politica monetaria possa, semplicemente agendo sui tassi di
interesse ufficiali, produrre una variazione del livello della spesa. Tuttavia tale
meccanismo viene attuato per il raggiungimento dell’obiettivo primario della stabilità
dei prezzi. Vediamo, quindi, ora come da una variazione del livello della spesa si
possa raggiungere una modificazione del tasso di inflazione.
Prima di tutto è bene sottolineare che la velocità con cui variazioni della spesa
possono tradursi in tensioni sui prezzi dipende da vari fattori. I più importanti sono
sicuramente ricollegabili alla rigidità dei prezzi nominali e alla flessibilità
dell’economia.
Avevamo già anticipato, in altra sede, che nel lungo periodo il livello del
prodotto tende ad allinearsi con quello “potenziale”. Quest’ultimo a sua volta è
direttamente collegabile agli investimenti in capitale produttivo, alla scoperta di
nuove tecnologie e, quindi, alle variazioni intervenute sul livello dell’occupazione.
Nel breve periodo invece la forza lavoro e il capitale produttivo possono essere
impiegati in maniera più o meno intensiva. Questo per la forza lavoro tende a tradursi
nel ricorso a lavoro straordinario o turni supplementari, mentre nel caso dei fattori
produttivi in un incremento dell’utilizzo della capacità disponibile. Tuttavia, di fatto,
nel momento in cui una variazione della spesa accresce il livello della domanda
aggregata e questo supera il prodotto potenziale, si alimentano le pressioni
inflazionistiche.
Queste pressioni sul livello dei prezzi possono originarsi attraverso due canali,
comunque entrambi ricollegabili alla scelta, effettuata dalle imprese, di mantenere il
livello della produzione al di sopra della loro effettiva capacità (FIGURA 16):
- Nel momento in cui le imprese prendono questa decisione, esse sono obbligate
ad incrementare l’occupazione facendo ricorso o al lavoro straordinario o
all’assunzione di forza lavoro aggiuntiva. Questo si tradurrà in maggiore forza
contrattuale dei lavoratori dipendenti che, nella circostanza in cui sul mercato
del lavoro esistono tensioni, determinerà delle pressioni salariali. Tuttavia dal
momento in cui i salari aumentano, aumenterà, ceteris paribus, il costo del
lavoro per unità di prodotto e con esso il costo della produzione. A questo
punto se le imprese non sono disposte a vedersi ridurre il proprio profitto,
49
l’incremento del costo della produzione tenderà a ricadere sul prezzo dei
prodotti venduti.
-
Un aumento dell’utilizzo della capacità delle macchine provoca un incremento
del loro logoramento e, per tanto, una crescita dei costi di manutenzione e
riparazione che, se più che proporzionale all’aumento della produzione,
provoca l’innalzamento del costo per unità prodotta e, nell’ipotesi che le
imprese vogliano mantenere invariata la loro redditività, dei prezzi dei
prodotti.
-
La decisione presa può determinare, soprattutto nel breve periodo, una carenza
di input che, traducendosi in impossibilità di aumentare il livello di
produzione e quindi dell’offerta, provocherà, ceteris paribus, un aumento dei
prezzi.
FIGURA 16. Dalle variazioni della spesa alle variazioni dell’inflazione.
∆
della
spesa
Pressioni
inflazionistiche:
Domanda
aggregata
>
Prodotto
potenziale
-
Da contrattazione salariale
Da maggiore logoramento
Da carenze di input
Il rischio determinato dalle pressioni salariali può essere acuito da un fattore
che nell’area dell’euro non va affatto sottovalutato. In questa area infatti la
disoccupazione è determinata in gran parte da fattori strutturali. Ciò comporta che
qualsiasi diminuzione della disoccupazione, anche dovuta a fattori temporanei, si
tradurrà in una ancora maggiore forza contrattuale dei dipendenti e quindi in tempi
relativamente brevi a forti pressioni salariali. E’, tuttavia, opportuno ricordare,
avendo a lungo parlato di contrattazione salariale, che nella determinazione dei questi
ultimi rientra anche il livello delle aspettative di inflazione futura di cui abbiamo già
discusso sopra.
Infine, abbiamo già visto come, ma è ora maggiormente intuibile il perché, la
Banca Centrale Europea, fin dalla sua nascita, abbia premuto e tuttora prema sulla
necessità di attivare le riforme strutturali in modo da ottenere livelli più elevati di
50
crescita non inflazionistica, cosa che semplificherebbe notevolmente il compito
primario dell’Eurosistema.
Per completezza va da ultimo ricordato l’effetto sul costo degli input importati
discusso nel paragrafo precedente, che non va sopravvalutato, essendo l’euro-area
un’economia relativamente chiusa.
... omissis ...
6. LA REAZIONE DEI TASSI di mercato ALLE
MANOVRE DI POLITICA MONETARIA
6.1 La previsione degli interventi
da parte degli operatori
Mentre, nel capitolo precedente, abbiamo descritto cosa avviene
“teoricamente” a seguito dell’introduzione di un intervento di politica monetaria, ora
invece vediamo come si comportano effettivamente i tassi sui mercati.
Innanzitutto partiamo dallo studio del comportamento dei tassi a breve,
cercando di determinare il grado di prevedibilità delle decisioni di politica monetaria
della Banca Centrale Europea. Ciò è molto importante in quanto, nel caso in cui
queste risultassero eccessivamente imprevedibili, si genererebbe incertezza sui
mercati e aumenterebbe il livello del rischio che operatori e investitori devono
sopportare.
Al fine di individuare tale grado di prevedibilità studiamo quanto esperti e
operatori siano capaci di anticipare una variazione del tasso ufficiale attraverso il loro
comportamento, che si esplicita nella modificazione dei tassi a breve. Tuttavia, va
sottolineato che, agendo in questo modo, non riusciamo a distinguere se l’eventuale
discrepanza fra il comportamento degli operatori e le decisioni della BCE sia dovuta
alla cattiva specificazione della strategia di quest’ultima o dipenda dall’incapacità dei
primi.
51
Dal punto di vista teorico partiamo dall’accettazione della teoria della
“struttura a termine dei tassi di interesse”, secondo cui i rendimenti di attività
omogenee con diversa scadenza si differenziano principalmente per le aspettative
sull’andamento futuro dei tassi a breve. In particolare:
RNt = [R1t + E(R1t+1) + E(R1t+2) + ... + E(R1t+N)] / N
dove: RNt
R1t
E(R1t+...)
è il rendimento su un’attività con scadenza N
è il rendimento su un’attività con scadenza unitaria
è la previsione dei futuri rendimenti R1
A tale ipotesi iniziale ne aggiungiamo una seconda, la cui realisticità può
essere verificata osservando la FIGURA 19: le modificazioni del Repo (cioè del tasso
ufficiale), effettuate dalla Banca Centrale Europea, hanno un impatto diretto sui tassi
a più breve scadenza.
Dovendo verificare se gli operatori siano o meno in grado di prevedere gli
interventi di politica monetaria, possiamo concludere che, poste valide le tre
proposizioni, la dinamica dei tassi deve essere tale che:
FIGURA 19. Modificazioni del Repo e dei tassi alle varie scadenze*.
-
*
Essa risulti molto diversa nei periodi in cui è previsto (ed effettivamente
segue) una variazione dei tassi ufficiali. In questo caso, i tassi a breve
cominciano a muoversi nella direzione dell’intervento previsto giorni prima
che questo avvenga, fino a portarsi a un livello che incorpora la variazione del
Repo quando questa effettivamente avviene (FIGURA 19). Ciò significa che i
Fonte: elaborazione dell’Osservatorio Monetario su dati Datastream.
52
tassi, nei giorni immediatamente precedenti e successivi l’operazioni
subiscono solo modeste oscillazioni.
... omissis ...
FIGURA 20.Andamento dell’Euribor e del Repo.
5.0
4.5
4.0
3.5
3.0
Euribor a 1 mese - media diff.
REPO
2.5
2.0
1/01/99
10/08/99
7/14/00
4/20/01
1/25/02
6.2 Il controllo dei tassi a lunga scadenza
A differenza dell’effetto, mostrato nel paragrafo precedente, che un intervento
di politica monetaria ha sui tassi a breve, lo stesso produce, sui tassi a lunga, una
variazione molto modesta.
Riprendendo quanto già visto sopra, possiamo dire che i tassi a lunga scadenza
o, per essere più precisi, il tasso a scadenza N, secondo la teoria della “struttura a
termine dei tassi di interesse”, corrisponde alla media dei tassi a scadenza unitaria
correnti e futuri attesi. Come già visto, in formula matematica questa affermazione
equivale a:
53
RNt = [R1t + E(R1t+1) + E(R1t+2) + ... + E(R1t+N)] / N
dove: RNt
è il rendimento su un’attività con scadenza N
R1t
è il rendimento su un’attività con scadenza unitaria
E(R1t+...)
è la previsione dei futuri rendimenti R1
Da questa formula (che in seguito denomineremo [1]) è facilmente intuibile
che i tassi a lunga scadenza sono poco sensibili alle variazioni effettive dei tassi di
policy, i quali invece si riflettono su quelli a breve: questi ultimi, infatti, non sono
che uno degli N tassi che compongono RNt e, per tanto, il loro effetto viene tanto più
diluito quanto più è lungo l’orizzonte temporale di scadenza (si veda la FIGURA 20).
FIGURA 21. Tassi per scadenza in presenza di una variazione del REPO*.
Un altro modello, molto noto in letteratura, definisce il tasso di interesse di
equilibrio a lunga nominale (R*) come la somma del tasso di interesse di equilibrio a
lunga reale (R) e quello di inflazione futuro atteso (π), cioè:
R* = R + π
Il che significa che nel medio-lungo periodo il valore atteso del tasso nominale
a lunga scadenza sarà identicamente uguale a R*. Tuttavia il suo livello resta
influenzato dalle aspettative che gli operatori hanno del tasso di inflazione futura.
Starà alla Banca Centrale Europea (e per ora, sembra, vi sia riuscita con successo)
ancorare queste aspettative al livello desiderato in modo da raggiungere nel migliore
dei modi l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi.
*
Fonte: elaborazione dell’Osservatorio Monetario su dati Datastream.
54
In pratica, la Banca Centrale Europea, contribuendo a determinare un valore
stabile (e basso) dell’inflazione attesa di lungo periodo π, rende stabili (e bassi) anche
i valori attesi del livello del tasso d’interesse a lunga scadenza. Facendo ciò, innesca
un processo, già considerato da Keynes in “The General Theory” del 1936:
“Ogni livello di tasso [a lunga] ritenuto con sufficiente convinzione
probabilmente durevole sarà durevole; soggetto naturalmente, in un
mondo che cambia – e per ogni genere di ragioni – a fluttuazioni
intorno al suo valore atteso normale.”
Il tasso a lunga, cioè, pur non immobile (si modifica - anche se di poco – al
modificarsi della realtà 28) rimane comunque sostanzialmente stabile, con oscillazioni
relativamente modeste e poco legate alla politica monetaria corrente.
A questo proposito, però, si può osservare che Keynes, sempre nello stesso
libro, ha sollevato un problema che può affliggere le Banche Centrali che si trovano
ad operare in questa situazione: la “trappola di liquidità”. Secondo l’autore, infatti, la
mancata influenza dell’attività della Banca Centrale sui tassi a lunga scadenza, che
sarebbero, per Keynes, i più rilevanti per l’investimento delle imprese, farebbe
perdere alla Banca Centrale gran parte della sua forza. Secondo Keynes, infatti, tra le
principali possibilità in cui si forma la “trappola della liquidità” vi sarebbero infatti
questi due eventi:
1. Quando gli operatori hanno opinioni talmente omogenee sul futuro livello dei
tassi che il tasso a lunga può subire solo piccolissime variazioni in risposta
alle manovre della Banca Centrale (caso questo in cui sembra ricadere anche la
situazione della BCE)
2. Quando il tasso ha raggiunto livelli talmente bassi che, considerando il rischio
da sopportare, a tassi inferiori nessuno sarebbe disposto a detenere titoli
(questo sarebbe invece il caso giapponese).
Il caso (1), che sembra simile a quello attuale della BCE (la sua politica monetaria
corrente ha solo un impatti marginale sui tassi a lunga), è però simile solo in
apparenza: nel caso europeo, infatti, l’ininfluenza della operazione della BCE sui
28
Il tasso a lunga europeo presenta delle oscillazioni simili a quelle del tasso a lunga USA ed è più basso
quando non sono buone le aspettative di crescita economica.
55
tassi a lunga è una scelta consapevole e voluta dalla Banca Centrale, e non una
circostanza nella quale ci si è trovata, suo malgrado, ad operare. Infatti, nell’area
dell’euro, come in tutte le altre aree, la situazione di incertezza sul futuro andamento
dell’economia e sugli effetti della politica monetaria, cui si somma il problema del
ritardo con cui l’economia reagisce agli interventi della Banca Centrale, non permette
interventi di fine-tuning (cioè di controllo continuo dell’economia). La BCE ha così
deciso di orientare i suoi interventi al medio periodo, in cui, un elemento chiave per il
successo della politica monetaria è la stabilità delle aspettative, anche se questa scelta
implica una situazione formalmente simile alla trappola di liquidità. Il principale
ingrediente di una politica di prezzi stabili nel medio/lungo periodo è infatti che le
aspettative sull’inflazione rimangano stabilmente basse (così che queste aspettative,
incorporate nella dinamica dei contratti di lavoro, etc., esercitino un impatto
moderatore sull’inflazione effettiva). Se le aspettative sull’inflazione futura sono
basse, diventano basse e stabili anche le aspettative sui futuri tassi d’interesse a breve
della Banca Centrale. Se sono basse e stabili le aspettative sui futuri tassi d’interesse
della Banca centrale rimangono basse e stabili anche le aspettative sui futuri tassi a
lunga. Se le aspettative sui futuri tassi a lunga sono basse e stabili, anche gli attuali
tassi a lunga, che dipendono soprattutto dalle loro aspettative, diventano bassi e
stabili, e risentono poco degli attuali tassi a breve di politica monetaria. La politica
corrente della BCE, che si riflette nell’andamento dei tassi a breve, influenza
attivamente le decisioni di spesa solo per la rilevanza che su queste hanno i tassi a
breve, sia di mercato che bancari, e i tassi a lunga indicizzati sul breve (per es. quelli
dei mutui indicizzati,etc.). I tassi a lunga, che invece oscillano lungo un valore basso
e stabile, indipendente da quello che fa in un certo momento la Banca Centrale - e che
pertanto rimangono attestati al loro valore di equilibrio di lungo periodo e perdono il
loro ruolo di strumento attivo di “policy” - contribuiscono, tramite questo loro
andamento, ad evitare il sorgere di eccessive fluttuazioni cicliche e a mantenere
l’economia sul suo sentiero di equilibrio di lungo periodo.
APPENDICE
La definizione degli aggregati monetari nell’area dell’euro
La Banca Centrale Europea, considerato l’ampio consenso sul fatto che
l’inflazione nel medio periodo abbia un origine monetaria, affida nel primo pilastro
56
della propria analisi molto peso allo studio dell’aggregato monetario ampio. Risulta,
per tanto, molto importante analizzare la definizione che la BCE stessa ha dato degli
aggregati.
In prima analisi essi possono essere definiti come la somma del circolante e
delle esistenze di alcune passività delle istituzioni finanziarie, con elevata liquidità.
Per meglio comprendere però l’essenza di questi si deve partire dal bilancio
consolidato delle Istituzioni Finanziarie Monetarie29 (FIGURA 7).
Possiamo definire varie tipologie di aggregati, dai più ristretti comprendenti
solo la base monetaria a quelli più ampi che hanno un “carattere monetario” meno
marcato. Quest’ultimo è solitamente misurato dalla liquidità dell’attività sottostante,
la quale a sua volta è inversamente proporzionale al livello dei costi di transazione e
alla variabilità nel tempo del suo valore nominale. E’ empiricamente dimostrato che
gli aggregati monetari più ampi sono solitamente più stabili e hanno maggiori
capacità anticipative di quelli ristretti perché meno influenzati da processi di
sostituzione fra le varie
FIGURA 7. Bilancio consolidato semplificato delle IFM per l’area dell’euro*
ATTIVITA’
PASSIVITA’
Prestiti
Circolante
Titoli diversi dalle azioni
Depositi dell’Amministrazione centrale
Azioni e altri titoli di capitale
Depositi delle altre Amministrazioni
pubbliche e di altri residenti nell’area
dell’euro
Attività sull’estero
Immobilizzazioni
Quote di fondi di investimento monetario e
titoli del mercato monetario
Altre attività
Titoli obbligazionari
Capitale e riserve
Passività sull’estero
29
Le IFM comprendono tre categorie di istituzioni: le Banche Centrali Nazionali, gli istituti di credito
residenti e le istituzioni finanziarie residenti che ricevono da enti diversi dalle IFM depositi o strumenti ad
essi sostituibili e concedono crediti o fanno investimenti in titoli per conto proprio (principalmente fondi di
investimento monetari).
*
Fonte: Bollettino Mensile della BCE · Febbraio 1999 (pagina 30).
57
Altre passività
tipologie di passività delle IFM. Purtroppo però gli aggregati ristretti sono meglio
controllabili nel breve periodo attraverso modifiche dei tassi ufficiali. In quanto non
remunerati a tassi vicini a questi ultimi, se i tassi ufficiali salgono sarà meno
conveniente detenere le componenti degli aggregati ristretti.
Veniamo quindi a quali sono le definizioni date dall’Eurosistema per gli
aggregati nell’area dell’euro facendo riferimento al bilancio consolidato delle IFM
(FIGURA 7):
-
L’aggregato monetario ristretto (denominato M1) è formato dal circolante
(monete più banconote) e dai depositi a vista, cioè quelli immediatamente
convertibili in contante o direttamente utilizzabili per i pagamenti.
-
L’aggregato monetario intermedio (denominato M2) è formato dalle
componenti di M1 cui si aggiungono i depositi a scadenza fissa fino a due anni
e quelli rimborsabili tramite preavviso non superiore a tre mesi.
-
L’aggregato monetario ampio (denominato M3) è formato dalle componenti di
M2 cui si aggiungono strumenti con elevata liquidità e certezza del prezzo.
Essi sono in particolare pronti conto termine, quote di fondi di investimento
monetario, titoli del mercato monetario e obbligazioni con scadenza fino a due
anni.
FIGURA 8. Definizione degli aggregati monetari nell’euro-area
M1
M2
M3
Circolante
M1
M2
+
+
+
58
Depositi a vista
Depositi con scadenza fissa
fino a 2 anni
Pronti conto termine
+
+
Depositi rimborsabili con
preavviso fino a 3 mesi
Quote fondi di investimento
monetario e titoli del mercato
monetario
+
Obbligazioni con scadenza
fino a 2 anni
59
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