19.dispense biochimica della fatica

PREMESSE
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La forza muscolare prodotta durante l’attività fisica dipende in larga
misura dalla formazione di energia chimica (ATP) da parte del metabolismo
anaerobico e aerobico.
L’affaticamento si sviluppa allorquando si esauriscono gli elementi che
servono a produrre ATP o quando si verifica un accumulo di sottoprodotti
metabolici.
Queste modificazioni metaboliche possono causare affaticamento in
quanto agiscono sui processi nervosi che mettono in funzione i muscoli.
Sia il sistema nervoso centrale che quello periferico possono risultare
compromessi.
La riduzione a livello muscolare di ATP, di fosfocreatina e di glicogeno e
la minor disponibilità di glucosio nel sangue possono compromettere la
prestazione del muscolo scheletrico. Una bassa concentrazione di glucosio
nel sangue può agire negativamente sulla funzione del sistema nervoso
centrale.
Un aumento intramuscolare nei livelli di magnesio, ADP, fosfato
inorganico, ioni di idrogeno e di radicali liberi danneggiano la funzionalità
muscolare. Altri fattori che contribuiscono all’insorgenza dell’affaticamento,
agendo sul sistema nervoso centrale, sono una maggior presenza di
ammoniaca e l’ipertermia.
Programmi di allenamento mirati e interventi alimentari migliorano la
resistenza fisica e la prestazione atletica agendo direttamente sulla
capacità dei muscoli di prolungare la produzione di ATP.
INTRODUZIONE
L’adenosintrifosfato (ATP) rappresenta la principale fonte intracellulare di
energia chimica per la contrazione muscolare. Data la scarsità delle riserve
intramuscolari di ATP, la continua rigenerazione diventa problematica per il
mantenimento della potenza muscolare necessaria nel corso di attività fisica
intensa. L’esercizio ad alta intensità (a esempio come durante gli scatti) è reso
possibile grazie alla produzione di ATP con processo anaerobico, ciò segue il
crollo della fosfocreatina (PCr) o la degradazione del glicogeno muscolare in
lattato. Diversamente, quando la potenza sviluppata è inferiore, come durante
l’esercizio prolungato (di endurance), la glicolisi aerobia dei carboidrati
(glicogeno muscolare e glucosio che si è formato nel sangue) e i lipidi (acidi
grassi derivanti dalle riserve di trigliceridi presenti nei muscoli e nel tessuto
adiposo) forniscono, virtualmente, tutto l’ATP richiesto per i processi cellulari.
Questi processi metabolici e la loro enorme importanza durante l’esercizio sono
stati a lungo studiati (Coyle, 2000; Sahlin et al., 1998).
Molta attenzione è stata rivolta ai potenziali meccanismi dell’affaticamento
durante l’esercizio e ai fattori metabolici che coinvolgono quei cambiamenti.
Tali fattori possono essere definiti come esaurimento delle fonti di energia (ATP
e altri composti biochimici utilizzati nella produzione di ATP) e accumulo di
sottoprodotti metabolici (Tabella 1).
TABELLA 1. Fattori metabolici
nell’affaticamento
Esaurimento delle fonti di energia
ATP
Fosfocreatina (Pcr)
Glicogeno muscolare
Glucosio che si crea nel sangue
Sottoprodotti metabolici
Ioni di magnesio (Mg2)
Adenosina di fosfato (ADP)
Fosfato inorganico (Pi,)
Ioni di lattato
Ioni di idrogeno (H)
Ammoniaca
Radicali liberi
Calore
ANALISI DELLA RICERCA
Aree potenziali dell’affaticamento
L’affaticamento è un processo multifattoriale che riduce l’esercizio e la
performance atletica. Può essere generalmente definito come l’incapacità o la
ridotta efficacia nel mantenere la forza e la potenza richieste o previste.
Sebbene l’affaticamento possa coinvolgere diversi organi, l’attenzione
maggiore viene rivolta ai muscoli scheletrici e alla loro abilità di generare forza.
Pertanto, nel valutare le aree potenziali dell’affaticamento, si devono prendere
in considerazione tutti le fasi che coinvolgono l’attivazione dei muscoli. Tutto
ciò è ben riassunto nella Figura 1 che rappresenta le sedi dell’affaticamento
ossia quei procedimenti che possono venire coinvolti dalla mancanza delle fonti
energetiche e/o l’accumulo di sottoprodotti metabolici.
Per gli esperti del settore è cosa comune prendere in considerazione oltre ai
meccanismi principali anche quelli periferici relativi alla eziologia
dell’affaticamento perché, è ovvio, entrambi i livelli contribuiscono a ridurre la
prestazione del muscolo durante l’attività. Per informazioni più dettagliate si
possono consultare due articoli molto esaustivi di Fitts, 1994; Gandevia,
(2001).
Esaurimento delle fonti
Una ridotta disponibilità dei substrati biochimici fondamentali coinvolti nella
produzione di energia limita il rifornimento di ATP durante l’esercizio e
compromette la funzione dei muscoli e del sistema nervoso centrale.
Queste fonti includono la PCr, il glicogeno muscolare e il glucosio presente nel
sangue.
ATP. Molti studi di ricerca hanno dimostrato che la concentrazione di ATP in
campioni di fibre muscolari miste viene generalmente ben salvaguardata
durante l’esercizio intenso, sebbene scenda del 30-40% circa. Tuttavia,
analizzando le fibre muscolari semplici, i livelli di ATP possono crollare in
misura maggiore nel tipo II “veloce” dopo intensa attività fisica e limitano la
capacità di tali fibre di contribuire allo produzione della potenza (Casey et al.,
1996). Inoltre, possono subentrare minime trasformazioni, per tempi e
distretti, nella disponibilità di ATP per micro-modificazioni locali di alcuni enzimi
chiave legati all’ATP (miosina ATPasi, Na+/K+ ATPasi, reticolo sarcoplasmatico
Ca2+ ATPasi) e all’interno dei canali di rilascio del Ca2+ del reticolo
sarcoplasmatico. Che la diminuzione di ATP provochi maggior stanchezza è
stato dimostrato da Dutka and Lamb (2004) sui topi. Nei loro esperimenti, un
abbassamento della concentrazione di ATP danneggiava l’abbinamento
eccitazione-contrazione e la produzione di potenza nelle fibre muscolari
cutanee. Negli uomini, durante attività fisica intensa e di breve durata e nelle
ultime fasi di attività estenuante e prolungata, un certo aumento degli agenti di
crollo dell’ATP, implica che il livello di utilizzo di ATP supera la risintesi dello
stesso (Sahlin et al., 1998).
PCr. Un altro fosfato altamente energetico, la PCr gioca un ruolo importante
nel rifornimento di ATP durante l’attività muscolare (PCr + ADP <=> Cr +
ATP). I livelli di PCr possono essere quasi nulli dopo sforzi massimi (Bogdanis
et al., 1995; Casey et al., 1996), e tale mancanza di PCr provoca il rapido
declino della produzione di potenza che si riscontra dopo questo genere di
attività fisica (Sahlin et al., 1998). Il recupero della capacità di generare
potenza dopo attività alla massima potenza è strettamente legato alla risintesi
del PCr (Bogdanis et al., 1995). Una maggiore disponibilità muscolare di PCr
rappresenta una possibile spiegazione del miglioramento della prestazione
molto intensa, alla pari di quello che si osserva con integrazioni di creatina
nella dieta (Casey & Greenhaff, 2000). I livelli di PCr si possono ridurre anche
in molte fibre muscolari in fase di affaticamento durante attività prolungata e
quasi massima, che coincide con l’esaurimento di glicogeno muscolare, come
riflesso – probabilmente – di una incapacità di mantenere un grado sufficiente
di risintesi di ATP (Sahlin et al., 1998). Tuttavia, non tutti gli studi hanno
osservato gli stessi cambiamenti nei fosfati durante attività fisica prolungata
(Baldwin et al., 2003).
Glicogeno muscolare. L’associazione tra l’affaticamento e la diminuzione
delle riserve di glicogeno muscolare nel corso di esercizio prolungato ed
estenuante è stata studiata regolarmente per quasi 40 anni (Hermansen et al.,
1967). I primi studi svolti in Scandinavia evidenziarono l’uso del “carico di
glicogeno” che migliorava le performance di durata in gare di oltre 90 minuti
(Hawley et al., 1997). La disponibilità del glicogeno muscolare è importante
anche per la fase di mantenimento nelle attività intermittenti ad elevata
intensità (Balsom et al., 1999). La relazione fra l’esaurimento di glicogeno e
l’affaticamento muscolare è stata proposta come incapacità di mantenere un
livello sufficiente di risintesi di ATP, secondaria alla ridotta disponibilità di
piruvato e di altri intermediari metabolici chiave (Sahlin et al. 1990). Per
contro, un altro studio aveva evidenziato un minor sconvolgimento dei livelli
muscolari di ATP, PCr e di altri intermediari metabolici dopo attività fisica
protratta fino all’affaticamento se si aveva disponibilità, in fase preesercitazione, di glicogeno muscolare (Baldwin et al., 2003). Non si può,
tuttavia, escludere la possibilità di esaurimento di glicogeno nelle aree chiave
all’interno del muscolo, che non può essere determinata con sicurezza da un
campione bioptico. Oppure, è possibile che il consumo di glicogeno provochi
affaticamento a causa di altri meccanismi. Ad esempio, è stato osservato che il
consumo di glicogeno muscolare danneggia l’abbinamento eccitazionecontrazione (Chin & Allen, 1997; Stephenson et al., 1999). Senza considerare i
meccanismi fondamentali, esiste una forte relazione tra il consumo di glicogeno
muscolare e l’affaticamento nel corso di attività prolungata ed estenuante.
Glucosio del sangue. Quando non si hanno integrazioni di glucosio (ad
esempio con l’assunzione di carboidrati), i livelli di glucosio nel sangue
scendono progressivamente nel corso di attività prolungata, in quanto il
glicogeno presente nel fegato si esaurisce. La disponibilità di minori quantità di
glucosio è in relazione con una peggiore ossidazione di carboidrati e con
l’affaticamento, mentre dosi maggiori di glucosio, come conseguenza
dell’assunzione di carboidrati aumentano l’ossidazione dei carboidrati e
migliorano la prestazione di resistenza (Coyle et al., 1983, 1986). Ciò è in
parte dovuto a un migliore assorbimento di glucosio nei muscoli (McConell et
al., 1994) e a una positivizzazione del bilancio energetico muscolare (Spencer
et al., 1991), ma apparentemente non a una riduzione dell’utilizzo del
glicogeno muscolare (Coyle et al., 1986). Posto che il glucosio rappresenti
l’essenza base per il cervello, quantità inferiori di glucosio (ipoglicemia)
contribuiscono a ridurre l’assorbimento di glucosio nel cervello e pertanto
provocano un maggior affaticamento generale (Nybo & Secher, 2004).
Pertanto, il beneficio ergogenico che deriva dall’assunzione di carboidrati nel
corso di esercizio fisico prolungato ed estenuante può essere causato da un
corretto equilibrio cerebrale energetico e dalla conservazione di impulsi neurali
centrali (Nybo & Secher, 2004). Studi recenti hanno evidenziato uno sviluppo
delle funzioni fisiche e mentali con l’assunzione di carboidrati, nel corso di
attività intermittente, tipo quella degli sport di squadra. (Welsh et al., 2002;
Winnick et al., 2005).
Accumulo di sottoprodotti metabolici
L’attivazione del percorso metabolico che produce ATP si rivela anche
nell’aumento dei livelli di numerosi sottoprodotti metabolici che contribuiscono
potenzialmente all’affaticamento. Tra questi magnesio (Mg2+), ADP, fosfato
inorganico (Pi), ione di lattato e ione di idrogeno (H+), ammoniaca (NH3),
radicali liberi e calore.
Mg2+, ADP, Pi. Se si verifica un rapido crollo di ATP e di PCr, aumentano i
livelli di Mg2+, ADP e Pi all’interno del muscolo scheletrico. Un aumento del
Mg2+ inibisce il rilascio di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico e danneggia la
produzione di forza, soprattutto se combinato con la diminuzione dei livelli di
ATP nel muscolo (Dutka & Lamb, 2004). Concentrazioni elevate di ADP
possono ridurre la potenza e rallentare il rilassamento muscolare dei muscoli
influendo negativamente sulle fibre contrattili e sull’assorbimento di Ca2+ nel
reticolo scarcoplasmatico (MacDonald & Stephenson, 2004). Un aumento di Pi
diminuisce, inoltre, la forza contrattile e il rilascio di Ca2+ da parte del reticolo
sarcoplasmatico. Quest’ultimo effetto sembra essere dovuto alla degradazione
del fosfato di calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico (Allen & Westerblad,
2001). Infine, aumenti di ADP e di Pi riducono il rilascio di energia in durante il
crollo di ATP (Sahlin et al., 1998).
Lattato, H+. Il rapido esaurimento di glicogeno e di glucosio nei muscoli
durante esercizio intenso fa aumentare in modo vertiginoso la produzione di
acido lattico. Generalmente, lo ione lattato non sembra avere effetti negativi
sulla capacità del muscolo scheletrico di generare forza, sebbene la letteratura
sia piena di informazioni contrastanti. Maggiori conseguenze le provoca,
invece, l’aumento della concentrazione intramuscolare di H+ (minor pH e
acidosi) collegato a un’alta percentuale di esaurimento di ATP, alla produzione
di ATP anaerobico e al movimento di ioni particolarmente potenti, come K+,
nella membrana cellulare del muscolo. Molti scienziati sono dell’opinione che
l’aumento di H+ possa interferire con l’abbinamento eccitazione-contrazione e
con la produzione di forza nei miofilamenti. Tuttavia, in molti studi sui muscoli
isolati a temperature fisiologiche, l’acidosi non sembrava esercitare effetti
negativi importanti. Coerenti a tali scoperte, alcune osservazioni spiegano
come la forza isometrica massima (Sahlin & Ren, 1989) e la potenza dinamica
(Bogdanis et al., 1995) si recuperino abbastanza velocemente dopo esercizio
intenso, nonostante che il pH muscolare continui a mantenersi basso. Al
contrario, la capacità di mantenere la forza isometrica e la produzione di
potenza negli uomini viene compromessa dall’acidosi, di cui una possibile
spiegazione è il diminuito ricambio di ATP (Sahlin & Ren, 1989). Da notare che
nel muscolo scheletrico umano, l’acidosi può inibire il crollo di glicogeno (Spriet
et al., 1989) e la produzione di ATP aerobico (Jubrias et al., 2003). Inoltre,
l’assunzione di bicarbonato di sodio, un agente alcalinizzante, fa migliorare il
tempo di affaticamento nel corso di attività molto intensa che segue una serie
di scatti ripetuti (Costill et al., 1984); tuttavia è difficile separare i diversi
meccanismi che provocano l’affaticamento in tali condizioni. E’ importante
sapere che, un miglior adattamento all’allenamento veloce (scatti e sprint)
(Sharp et al., 1986) e quello intervallato, ad alta intensità (Weston et al.,
1997) rappresentano un aiuto alla capacità tampone dei muscoli scheletrici.
Ammoniaca (NH3). L’ammoniaca viene prodotta dal muscolo scheletrico
come sottoprodotto del crollo di ATP o di aminoacidi. Durante l’attività fisica,
aumenta il rilascio di NH3 da parte del muscolo contratto nel sangue e di
conseguenza si avrà un aumento nel plasma dei livelli di ammoniaca. Dato che
questa sostanza può oltrepassare la barriera ematoencefalica, un aumento nel
plasma di NH3 ne incrementa l’assorbimento a livello cerebrale che può
influenzare i neurotrasmettitori e provocare affaticamento generale (Nybo &
Secher, 2004). Sono necessari, tuttavia, studi più approfonditi per riuscire a
esaminare completamente il ruolo dell’ammoniaca nell’eziologia
dell’affaticamento. Sappiamo che l’assunzione di carboidrati riduce l’accumulo
di NH3 a livello plasmatico (Snow et al., 2000) e l’assorbimento a livello
cerebrale (Nybo & Secher, 2004) durante esercizi prolungati, e ciò rende
ancora più sicura l’importanza e gli effetti ergogenici dell’assunzione di
carboidrati.
Un altro aspetto relativo all’affaticamento generale durante esercizio
prolungato riguarda le possibili interazioni tra gli aminoacidi a catena
ramificata (BCAA, leucina, isoleucina e valina), l’assorbimento di triptofano
cerebrale e i livelli di serotonina. Il triptofano è un precursore della serotonina
e la captazione di triptofano cerebrale è connesso sia alla sua concentrazione
nel plasma, che al suo rapporto nella concentrazione plasmatica rispetto a
quello degli aminoacidi. Durante l’esercizio fisico, la degradazione nel plasma
dei livelli di BCAA e l’aumento di triptofano può provocare l’aumento dei livelli
di serotonina al cervello e di conseguenza il senso di affaticamento generale
(Nybo & Secher, 2004). E’ stata proposta l’assunzione di BCAA come strategia
per mantenere inalterati livelli nel plasma e ridurre l’assorbimento di triptofano
da parte del cervello, ma non sembra essere efficace (Van Hall et al., 1995).
Una strategia più oculata potrebbe essere l’assunzione di carboidrati, che
attutiscono l’aumento degli acidi grassi liberi come conseguenza dell’attività
fisica. (Dato che gli acidi grassi liberi e il triptofano lottano per fissarsi
all’albumina, nel plasma, il minor livello di acidi grassi durante l’attività che si
ottiene con l’assunzione di carboidrati, attenua la crescita del rapporto
triptofano libero/BCAA (Davis et al., 1992).)
Radicali liberi. Durante l’esercizio, il metabolismo aerobico e altre reazioni
cellulari possono dare vita ai radicali liberi come gli anioni (ioni negativi) di
perossido di idrogeno e di superossido (Reid, 2001). In quantità minime, questi
metaboliti giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della funzione del
muscolo scheletrico, ma il loro accumulo provoca affaticamento fisico (Barclay
& Hansel, 1991; Moopanar & Allen, 2005). Esistono molti antiossidanti
enzimatici (superossido dismutasi, catalasi, glutatione per ossidasi) all’interno
del muscolo scheletrico che provocano la degradazione dei radicali liberi, e
esistono pure antiossidanti non-enzimatici come glutatione ridotto, ß-carotene
e vitamine E e C che agiscono contro i radicali liberi (Reid, 2001). La
somministrazione di composti di acetilcisteina (mucolitici) può far aumentare
l’azione antiossidante non-enzimatica nel muscolo. Questo effetto è collegato a
una riduzione dell’affaticamento in fase di stimolazione muscolare (Reid et al.,
1994) e a un miglioramento della performance di durata per ciclisti ben allenati
(Medved et al., 2004). Studi effettuati con integrazioni di vitamina E e C sono
alquanto dubbi, sebbene i livelli antiossidanti degli enzimi endogeni aumentino
con l’allenamento.
Calore. Circa il 20% dell’ossigeno consumato durante attività fisica viene
convertito in lavoro meccanico, il resto si trasforma in calore, il maggior
sottoprodotto metabolico dell’attività fisica molto stancante. Sebbene molto di
questo calore venga disperso, a livelli di intensità particolarmente elevati e con
temperature esterne e umidità eccessive, si può generare un aumento
significativo della temperatura corporea (ipertermia) che provoca affaticamento
e, in casi estremi, addirittura la morte. L’ipertermia danneggia i processi
centrali e periferici coinvolti nella produzione di forza muscolare e di potenza
(Nybo & Secher, 2004; Todd et al., 2005) e danneggia le performance di
sprinter e di fondisti (Gonzalez-Alonso et al., 1999). Tra le strategie pensate
per ridurre al minimo l’impatto negativo esercitato dalla temperatura elevata
sia a livello generale che a livello del muscolo sulla prestazione atletica, ci
sono l’acclimatazione al calore, il raffreddamento pre-gara (Gonzalez-Alonso
et al., 1999) e l’assunzione di liquidi (Hamilton et al., 1991).
CONCLUSIONI
La produzione di ATP con procedimento anaerobico e aerobico nel muscolo
scheletrico è fondamentale per il mantenimento della forza e per la produzione
di potenza durante l’esercizio fisico. Tuttavia, l’esaurimento delle fonti e
l’accumulo di sottoprodotti metabolici sono cause possibili di affaticamento.
Una ridotta disponibilità di PCr limita la produzione di potenza negli esercizi di
sprint, laddove la mancanza di carboidrati rappresenta una limitazione
maggiore per i fondisti. Negli esercizi di sprint, l’aumento di Pi e di H+ possono
contribuire all’insorgenza della stanchezza, mentre in attività prolungate e
estenuanti, l’accumulo di NH3, di radicali liberi e il calore limitano la
prestazione. Appropriati programmi di allenamento e una giusta educazione
alimentari rappresentano possibili strategie per migliorare la resistenza
all’affaticamento e di conseguenza anche la prestazione atletica.
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