L`inno di Alessandro Manzoni per la memoria del nome di Maria «E

L'inno di Alessandro Manzoni per la memoria del nome di Maria
«E UBBIDIENTE L'AVVENIR RISPOSE»
di Inos Biffi
Secondo il progetto contenuto in un manoscritto cartaceo, conservato nella sala
manzoniana della biblioteca Braidense, tra i dodici inni programmati Manzoni intendeva comporne due in onore di Maria: quello per la festa dell'Assunzione e
quello per la memoria del suo nome, ricorrente nella liturgia il 12 settembre. In realtà solo quest'ultimo vide la luce - tra il novembre 1812 e il 19 aprile 1813. E manifesta tutta la semplice e ardente pietà dello scrittore, da poco ridiventato credente,
verso la Vergine.
Si potrebbe dire, in sintesi, che Il Nome di Maria traduca in delicatissima poesia il
vangelo lucano della Visitazione, il mistero dell'umiltà e della grandezza della Madre di Dio, e il rifrangersi nell'universale devozione cristiana della sua profezia "Tutte le genti / Mi chiameran beata" -.
La pacata bellezza dell'inno, modellato sul ritmo
contemplativo della saffica, attrae già dalla prima
strofa, dove, con tocco agile e delicato, il poeta ci fa
apparire dinanzi in tutta la sua suggestion e la trasparente immagine di Maria nel suo ascendere raccolto alla casa di Elisabetta: "Tacita un giorno a
non so qual pendice / Salia d'un fabbro nazaren la
sposa; / Salia non vista alla magion felice / D'una
pregnante annosa".
"Il Manzoni - commenta il cardinale Giovanni Colombo da finissimo conoscitore del poeta lombardo
- con una paroletta di sole tre sillabe - "Tacita" - dà
inizio a questa lirica. Felice scoperta: basterebbe
questo sdrucciolo silenzioso per darci la misura del
suo gusto e del suo genio. Il fascino di bellezza, che ad alcune parole ricorrenti nelle
prime strofe della poesia sembra conferire una vaga indeterminatezza, riempie di
stupore.
"Un giorno": quale non si sa; "a non so qual pendice": neppure il poeta saprebbe
indicarcela. "Salìa... Salìa": vuol significare l'agile fretta; "d'un fabbro nazaren": a
Nazaret i falegnami saranno stati più d'uno; ma qui non è lui che conta, è la sua
sposa. Ed ella va "non vista", tanto era umile e raccolta in sé (...) Anche "inaspettata"
è una di queste parole che acquistano fascino dall'indeterminatezza da cui sono velate".
In questo incontro tra le due madri Manzoni si sofferma in particolare sull'annunzio profetico di Maria: "Tutte le genti / Mi chiameran beata". L'"età superba" - co1
me egli qualifica con secca e sferzante definizione
l'umanità priva della luce e della pietà cristiana nel suo "tardo consiglio" e nel suo umano "antiveder bugiardo", sicuramente avrebbe schernito questo presagio divinamente ispirato al cuore
dell'"inaspettata" nella casa di Elisabetta.
Quanti però sono destinati a vivere nell'amore e a
porsi alla scuola di Dio e dei suoi misteri - "Noi
serbati all'amor, nati alla scola / Delle celesti cose" possono attestare che il tempo si è docilmente piegato al preannunzio della Vergine - "Ubbidiente
l'avvenir
rispose".
Il poeta passa, così, all'esaltazione e al saluto del
nome di Maria, Madre di Dio: un nome solenne e
incomparabile; caramente ripetuto in ogni età, anche la più rude; insegnato di padre in figlio; invocato universalmente e onorato anche nei luoghi remoti e incolti,
che pure conoscono "le benedette soglie" dei suoi "miti altari": miti, perché spirano
e trasfondono nell'anima serenità e confidenza, a dire anche "la preferenza - di
Manzoni - per la gentilezza delle piccole cose" (Giovanni Colombo).
Ma altri "bei nomi", insieme con quello di "Maria", sono riservati alla Madonna: "O
Vergine, o Signora, o Tuttasanta / - esclama il poeta nella sua ammirata contemplazione - Che bei nomi ti serba ogni loquela!". Né mancano popoli, per quanto altezzosi, che si gloriano di essere sotto la sua protezione: "Più d'un popol superbo esser
si vanta / In tua gentil tutela": e qui sentiamo l'eco dell'antica antifona: Sub tuum
praesidium, mentre possiamo notare la felice scelta dell'aggettivo "gentile" riferito alla salvaguardia di Maria, per dirne ancora il garbo affabile e attento.
La strofa che segue, nel suo ritmo sciolto e composto, è di un fascino incantevole
nella rievocazione del suono di campana che tre volte al giorno - al mattino, a mezzogiorno e al tramonto - chiama i fedeli alla preghiera mariana, come "racchiudendo nel nome di Maria l'intera giornata del cristiano" (Valter Boggioni): "Te, quando
sorge, e quando cade il die, / E quando il sole a mezzo corso il parte, / Saluta il
bronzo che le turbe pie / Invita ad onorarte".
Ed è l'invocazione degli umili e degli indifesi, con i loro "preghi" e le loro "querele",
che il poeta si sofferma poi a illustrare. Sul mondo di questi offesi e umiliati egli
vede, particolarmente inchinata, la tenerezza materna della Vergine. Potremmo dire: sui piccoli dei Promessi Sposi, trascurati dal mondo, che "col suo crudele / discernimento" distingue il dolore "degl'imi / e de' grandi", ma cari alla Provvidenza
di Dio e alla cura della Vergine. In particolare, il poeta indugia "a contemplare tre
quadretti: quello del fanciulletto che la chiama "nelle paure della veglia bruna", del
navigante che ne invoca il soccorso nei momenti della burrasca, della femminetta
che le affida la sua "spregiata lacrima". È questa la parte più intensa della poesia.
Ogni volta che il Manzoni nella vita umana vissuta immerge i simboli religiosi,
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questi perdono la loro fredda astrattezza e suscitano le vibrazioni più profonde".
Del resto, la Vergine stessa ha fatto l'esperienza delle lacrime: "Tu pur, beata, un dì
provasti il pianto", e "quello che in quest'inno ci commuove, è
ciò che vi è di più semplice: la preghiera che si appella alla Madre divina per una
nostra
comunione
al
suo
soffrire"
(G.
Colombo).
Il ricordo del pianto di Maria non si è spento lungo i secoli ed è rimasta viva - "come di fresco evento" - la memoria della sua allegrezza, rievocata nell'antifona pasquale Regina caeli, laetare.
E questo non sorprende. Il poeta coglie la ragione profonda di questa lode unica e
primeggiante verso Maria: essa è "di Dio la Madre" e insieme la "fanciulla ebrea",
che "piacque al Signor di porre in cima", e ama intrattenersi su questa origine della
Vergine.
Colei che noi veneriamo - "in tanto onor avemo" - è frutto della fede ebraica: "Di
vostra fede uscita", è detto con espressione felicissima. Maria proviene, infatti, dal
"ceppo" di Davide ed era riferito a lei il preannuncio della vittoria della donna sul
serpente: "Era il pensier de' vostri antiqui vati, / Quando annunziaro i virginal trofei / Sopra l'inferno alzati".
Maria "è madre particolarmente degli ebrei" (G. Colombo): per questo essa è il motivo della speranza per la "prole d'Israello", esortata a implorare da lei - "che salva i
suoi" - il dono della salvezza, ardentemente invocata anche nell'inno sacro La Passione, come frutto del "sacro / Santo Sangue".
Si potrebbe parlare di comunione ecumenica tra ebrei e cristiani come grazia che
viene da Maria. Nessuno, infatti, dovrà mancare al lieto canto che così saluterà la
Vergine: "Salve, o degnata del secondo nome" - il nome più glorioso, dopo quello
di Cristo -, "O Rosa, o Stella ai periglianti scampo", "Inclita come il sol", "terribile
come / Oste schierata in campo". Vengono in mente le invocazioni delle litanie del
Rosario: Rosa mystica, Stella matutina, Turris davidica, Auxilium christianorum: Maria
speranza, riparo e difesa contro il male. Ma se "la venerazione alla Vergine Maria
da parte del Manzoni ha nell'Inno Sacro dedicato al suo Nome l'espressione più alta", essa "non è un atto isolato".
Osserva ancora Giovanni Colombo: "Il riferimento a Maria, una costante della sua
meditazione, è inseparabile dalla sua riscoperta della fede in Cristo. Nel Natale il
Manzoni contempla l'adorante Vergine Madre che par non tocchi il "Pargolo", quasi
per timore di sciuparlo, dopo la divina ascesa alla maternità; nella Passione prega
Maria "regina de' mesti" perché il nostro "patire", unito a quello del Figlio, sia "pegno" della eterna gioia; nella Risurrezione invita la Vergine, che fu "nido" di Dio,
all'esultanza della Pasqua; nell'Ognissanti celebra l'Immacolata (la "tuttasanta"), cioè
la piena di grazia; nei Promessi Sposi è attestata l'"umile" preghiera mariana del rosario, che dà l'avvio al sacrificante voto di Lucia prigioniera dell'innominato". Non
solo: il nome di Maria "commuove la sua rozza carceriera, nel cui animo si illu3
mina il rimorso di un passato che pareva perduto per sempre", e fu poi il nome che,
secondo la promessa di Renzo, fu dato alla bambina dei due sposi che venne alla
luce prima che finisse l'anno del matrimonio.
Del resto - scrive sempre Colombo, che ci ha fatto da guida impareggiabile in questo commento - "in casa Manzoni si doveva conoscere questa predilezione del capo
famiglia verso la Vergine Maria, se Giulietta, una sera del settembre 1827, in prossimità della festa liturgica del nome di Maria, insistette per avere - e ottenne - quei
cantabili Versi improvvisati sopra il nome di Maria, e se "in occasione della prima comunione della figlia Vittoria, le raccomandava la devozione alla Vergine, con queste parole commoventi per la fede con cui un tal padre le scriveva e per il recente
angoscioso lutto della morte di Enrichetta: "Senti in questa felice tua e santa occasione, una più viva gratitudine, un più tenero affetto, una più umile riverenza per
quella Vergine, nelle cui viscere il nostro Giudice s'è fatto nostro Redentore"".
(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2008)
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